Documenti epigrafici delle associazioni professionali nella regio octava lungo la via Aemilia: da...

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1 ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI Corso di Laurea in STORIA Documenti epigrafici delle associazioni professionali nella regio octava lungo la via Aemilia: da Ariminum a Placentia Tesi di laurea in Epigrafia e Istituzioni Romane Relatore Presentata da Prof.ssa Daniela Rigato Luca Scarpellini Seconda Sessione Anno accademico 2013 – 2014

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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA

SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI

Corso di Laurea in STORIA

Documenti epigrafici delle associazioni professionalinella regio octava lungo la via Aemilia:

da Ariminum a Placentia

Tesi di laurea in Epigrafia e Istituzioni Romane

Relatore Presentata daProf.ssa Daniela Rigato Luca Scarpellini

Seconda Sessione Anno accademico 2013 – 2014

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INDICE GENERALE

Introduzione p. 5

1. Capitolo I: “I collegia: definizione ed origini” p. 7

1.1 la definizione p. 7

1.2 Le origini p. 8

1.2.1 Età Arcaica p. 9

1.2.2 Età Repubblicana p. 9

1.2.3 Età Imperiale p. 11

1.2.4 Età Tardo-antica p. 14

1.3 L'atto pratico: tra religione e affari p. 16

1.4 Le strutture interne e la gerarchia p. 20

1.5 Tipologie di collegia p. 27

1.5.1 I tria collegia: Fabri, Centonarii e Dendrophori p. 27

1.5.2 I collegi semi-ufficiali e para-religiosi p. 30

1.5.3 I collegi di mutua assistenza e le associazioni rurali p. 32

2. Capitolo II: “La Regio Octava e la via Aemilia” p. 36

2.1 La Regio VIII: l'Aemilia p. 36

2.1.1 Le fonti geografiche p. 36

2.1.2 La conquista e la romanizzazione della regione p. 38

2.1.3 L'economia p. 40

2.2. La via Aemilia p. 43

2.2.1 Le fonti storiche p. 43

2.2.2 La fondazione e la storia p. 45

3. Capitolo III: “le schede delle epigrafi” p. 46

3.1 Ariminum p. 46

3.1.2 I testi epigrafici p. 49

3.2 Faventia p. 61

3.2.1 I testi epigrafici p. 63

4

3.3 Forum Cornelii p. 64

3.3.1 I testi epigrafici p. 66

3.4 Bononia p. 67

3.4.1 I testi epigrafici p. 70

3.5 Mutina p. 71

3.5.1 I testi epigrafici p. 72

3.6 Regium Lepidi p. 76

3.6.1 I testi epigrafici p. 78

3.7 Parma p. 80

3.7.1 I testi epigrafici p. 83

3.8 Brixellum p. 86

3.8.1 I testi epigrafici p. 88

3.9 Fidentia p. 90

3.9.1 I testi epigrafici p. 92

3.10 Placentia p. 94

3.10.1 I testi epigrafici p. 97

4. Conclusioni p. 99

5. Bibliografia p. 101

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INTRODUZIONE

Con il presente studio intitolato “Documenti epigrafici delle associazioni professionali nella

regio octava lungo la via Aemilia: da Ariminum a Placentia” ho inteso occuparmi di

quell'ambito, di certo poco dibattuto, che riguarda lo studio delle epigrafi romane in merito alle

“società professionali” all'interno del territorio dell'antica Regio octava e corrispondente

all'odierna Emilia Romagna; in particolare mi sono concentrato sulle maggiori città romane

collocate lungo la via consolare.

Studiando i collegi ho cercato di comprendere un fenomeno sociale fondamentale della società

romana antica per diffusione e numero di individui coinvolti, potendo così cogliere nel

particolare alcuni aspetti che la contraddistinguono.

Il collegio accorpa un insieme di aspetti mutevoli, da quelli economici (interessi commerciali,

pubblici e privati) a quelli religiosi (devozione ad una divinità o ad un imperatore) e a quelli

sociali (nel caso di mutua assistenza). Tuttavia, sarebbe comunque diminutivo pensare che un

collegio potente e largamente diffuso come quello dei fabri si riunisse unicamente per venerare la

dea Minerva; è più probabile che i membri di questo collegio si fossero riuniti e si incontrassero

spinti anche da interessi economici comuni, oltre che dal desiderio iniziale di venerare la dea.

D’altro canto, ritenere che l'aspetto commerciale fosse quello predominante, è errato: entrambi le

due componenti coesistono, garantendo ai propri membri unità, privilegi e mutuo soccorso,

mentre lo Stato ottiene sicurezza nei servizi e sostentamento nei rifornimenti.

Nel percorso di ricerca ho analizzato prima le origini, la funzione e l'organizzazione, sociale e

legale, dei collegi durante tutto l'arco della storia romana, dall'età arcaica alla tarda antichità,

soffermandomi poi sul problematico binomio religione ed economia e sull’organizzazione

interna e sulla gerarchia di queste associazioni professionali; il primo capitolo termina con un

breve accenno alle forme associative minori e ai collegi più importanti.

Nel secondo capitolo ho fatto un breve excursus sul processo di formazione e romanizzazione

della regio VIII, parlando quindi anche della nascita della via Aemilia.

Il terzo capitolo racchiude l'elemento principale di questa ricerca: le epigrafi.

Specifico che le iscrizioni da me raccolte sono principalmente di tipo funerario ed onorifico, per

un totale di 20 stele.

Seppur gli scavi siano in molto casi ancora scarsi ed incompleti, ho tracciato un breve profilo

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storico-archeologico delle città nelle quali è stato attestato (sia per tradizione letteraria che per

conservazione materiale della stele) almeno un testo con riferimento ad un collegium.

La schedatura delle epigrafi prevede:

una breve tabella con tutti i dati tecnici (edizione di riferimento, nome della città antica e

moderna di ritrovamento e luogo di conservazione dell'iscrizione, materiale e dimensioni del

supporto, tecnica e lingua di iscrizione, religione, tipologia dell'iscrizione ed estrazione sociale

del menzionato); naturalmente i dati variano se il monumento non è conservato;

trascrizione integrale, in minuscolo, del testo latino, con evidenziate eventuali mancanze

dell'iscrizione;

commento e significato dell'epigrafe.

Per svolgere questa analisi mi sono basato su diversi studi, più o meno recenti, su cataloghi

epigrafici cartacei, quali il Corpus Iscriptionum Latinatum e l’aggiornamento fornito dall’Année

Epigraphique. Ho consultato, inoltre, l’Epigraphische Datenbank Clauss – Slaby (EDCS) e

l'Epigraphic Database di Roma (EDR), con l'obiettivo di ricercare e classificare il maggior

numero possibile di testimonianze epigrafiche scoperte lungo il tragitto dell'antica via Emilia e

facendo quindi riferimento alle città di Rimini, Faenza, Imola, Bologna, Modena, Reggio Emilia,

Parma, Fidenza, Brescello e Piacenza.

Si sono esclusi dalla ricerca i centri lontani dalla Via Emilia, anche se in essi sono presenti

epigrafi che menzionano collegi, ed in particolare Ravenna e Sarsina, quest’ultima, però, ascritta

da Augusto alla Regio VI (Umbria).

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I CAPITOLO

I collegia: definizione e origini

1.1 La definizione

Gli antichi non hanno lasciato un termine, una definizione precisa, riconducibile alla concezione

moderna di collegio, sufficiente a indicarne la complessità: un gruppo più o meno esteso di

persone che ubbidiscono a leggi o a codici morali e che perseguono, insieme, un fine ultimo

comune che può essere, nel caso delle associazioni professionali, un accordo o un investimento

commerciale conveniente e proficuo.

La parola “collegio” è probabilmente il termine più generico utilizzato per indicare l'eccezionale

mondo delle associazioni professionali, dei collettivi chiamati dagli antichi in modo molto

diverso: corpus, sodalitas, sodalicium e societas indicano, infatti, quanto questo sistema, con

forme e indicazioni differenti, sia stato un elemento sempre presente all'interno della sfera

storica, economica e culturale della società romana. D'altronde, la vastità di queste associazioni

ha ben presto portato a una grande confusione: la stessa giurisprudenza romana, fonte per

eccellenza di precisione e correttezza, dovette adattarsi a questo sistema adottando formule

comuni, perifrasi e sezioni dedicate per l'utilizzo corretto delle parole e dei termini in un contesto

in continuo mutamento e sviluppo. La difficoltà delle istituzioni nel definire esattamente cosa

fosse un collegio è ben riscontrabile nella mutevolezza e nell’ambiguità degli stessi; basti

pensare ai commenti del giurista Marcellus, che riporta le parole dei propri predecessori:

<<Neratius Priscus tres facere existimat collegium1>>.

Solo in età alto imperiale saranno riconosciuti dei veri e propri collegi ufficiali, regolamentati e

controllati dallo Stato. Difficile era indicare, addirittura, chi fossero i membri di questi gruppi:

<<sodales sunt qui eiusdem collegi sunt2>>.

Elemento comune fondamentale e permeante di tali associazioni è la presenza di un radicato

senso di religiosità che, almeno nelle prime fasi, li caratterizza: allo scopo primario di tipo

pratico (commerciale) si univa una forte identità sacra, con la scelta di una divinità protettrice

alla quale “affidare” i propri affari. Tuttavia è ancora incerta la vera influenza che tale

dimensione può aver avuto sulle scelte dei collegi.

1 “Neratio Prisco pensa che tre individui bastino per formare un collegio”; Dig., 50, 16, 85.2 “Sono membri quelli che appartengono allo stesso collegio”; Dig. 47, 22, 4.

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1.2 Le Origini

Una delle prime attestazioni epigrafiche romane del termine collegium è l'espressione gonlegium

presente sulla cosiddetta “Lamina di Faleri” 3 (fig. 1), realizzata in bronzo e databile tra il 241 e

il 238 a. C.

Questo documento presenta

un’iscrizione su entrambi i lati:

una dedica a Giove, Giunone e

Minerva da parte dei Falisci

insediatisi in Sardegna (con la

sovrintendenza dei magistri L.

Latrio figlio di Kaesonis e C.

Salvenia figlio di Volta);

l'indicazione, in versi saturni, dei

dedicanti, ossia il

collegio\associazione dei “cuochi”.

Rimane ancora aperto, tuttavia, il dibattito su quale sia in realtà la testimonianza più antica

giunta fino a noi: secondo altri studiosi (Ernout e Wachter) la redazione di questo testo non è

anteriore al 150 a. C., in quanto la grafia arcaicizzante presenta delle incongruenze, mentre i

tratti arcaizzanti sono traditi dalla presenza di forme moderne. Inoltre, i collegi sono

espressamente menzionati in iscrizioni di Roma e Praeneste, Minturno e Capua, databili alla

seconda metà del II sec. a. C.4, e sono le più antiche fino ad ora note.

Tale tipo di società ha, comunque, origini ben più antiche di quelle romane, risalenti al contesto

greco: heteria o orgeones fanno già la loro comparsa nelle parole del mitico legislatore ateniese

Solone (VI a.C.), che ne difese la costituzione a patto che non contravvenissero alla pubblica

amministrazione5. I primi riferimenti diretti di fonti greche partono invece dal V-IV secolo a.C.,

per concentrarsi in età ellenistica.

3 CIL XII, 364.4 CIL XII, 877 e 978 per Roma; 1450 e 1455 per Praeneste.5 Gaius 4 ad l. XI tab.; Dig. XLVII, 22, 4.

fig. 1

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1.2.1 Età Arcaica

Nella tradizione romana, com’è riportato da Plutarco6 e Plinio il Vecchio7, sarebbe il secondo re

di Roma, Numa Pompilio, ad aver istituito i primi otto collegi artigianali, facendo sì che

avvenisse una mescolanza tra i cittadini romani e sabini, di recente acquisizione, che venivano

ora equamente ridistribuiti tra flautisti, orefici, carpentieri, tintori, calzolai, conciatori, bronzisti e

ceramisti.

Il dibattito su questa mitica fondazione, trasmessa in un periodo di forte ellenizzazione di Roma,

in un contesto di giustificazione della giurisdizione romana tramite il confronto coi grandi

legislatori greci, rimane comunque aperto.

Il più antico collegio di fondazione romana è il collegio Capitolino: costituito nel 390 a. C. su

ordine del dictator Marco Furio Camillo a seguito della guerra coi Galli Senoni, aveva il compito

di celebrare i giochi in onore di Giove Capitolino8. Ne erano membri tutti i cittadini compresi tra

il Campidoglio e l'arx, la cittadella.

Sono tuttavia poche e tarde le fonti che forniscono informazioni su questo e altri collegi di

fondazione arcaica che, arrivati ad essere successivamente svuotati del loro significato

originario, mantennero comunque un’ eccezione elitaria all'interno della società romana.

1.2.2 Età Repubblicana

Nel periodo repubblicano i collegi godettero di ampie libertà: ne sono testimonianza il loro

aumento numerico, la forte autonomia e la quasi totale assenza di imposizioni da parte dello

stato: unica eccezione fu il senatusconsultus de Bacchanalibus nel 186 a.C., col quale si regolava

in modo restrittivo la celebrazione di feste orgiastiche celebrate in onore del dio Dionisio e

ritenute fonte di moti sovversivi e dannosi per lo Stato.

La maggior parte della documentazione epigrafica proviene da Roma, con riferimenti ai mestieri

e alle attività più disparate: i tibicines (suonatori di flauto durante le cerimonie sacre), sectores

serrarium (artigiani dediti alla fabbricazione dei materiali da costruzione), aurifices (orefici),

aerarii (bronzisti) e lanii (macellai).

Particolari sono i casi di collegi affiliati a un preciso tempio extra-cittadino, taluno anche con

sedi delle attività all'interno della città stessa: ne sono un esempio gli aurifices de Sacra via9,

6 Plut. Numa, 17, 3. 7 Plin., Nat. Hist., XXIV, 1; XXV, 46 .8 Liv.,V, 50.9 CIL I, 3058.

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probabilmente cittadini della capitale che si recavano in pellegrinaggio al vicino tempio della dea

Fortuna Primigena a Praeneste, l’odierna Palestrina, protettrice di mercanti e commercianti, per

celebrarne il culto.

La ricchezza di epigrafi permette di cogliere la ricchezza e l'attività che, per la salubrità dell'aria

e la fiorente agricoltura, fecero di Praeneste un centro molto frequentato e ricco. Qui si riscontra

la presenza di numerosi collegi: il conlegium fullonum10, i Centonari11, il conlegium arcarium12

(di tesorieri) il conlegium cantorum13, il conlegium lecticariorum14 (i portatori di lettiga) e il

conlegium scrutarium15 (straccivendoli).

Al di fuori del territorio della capitale le fonti sono poche e frammentarie: incontriamo

spessissimo associazioni generiche di opicifes (artigiani) con riferimenti a magistri non meglio

identificati, con il compito di gestire i traffici commerciali, l'organizzazione del collegio e

celebrare le cerimonie e i giochi dedicati alle divinità.

Costoro, in quanto componenti fondamentali del collegio, acquisivano in terra straniera

(principalmente la zona orientale del Mediterraneo) la denominazione greca, ove sono diffuse le

associazioni di devoti che prendono nome dalla divinità venerata: un esempio è il modo di

indicare nei testi bilingui i magistri: essi divengono Ermaistai, Apolloniastai, Poseidoniastai,

nella trasformazione greca. Infatti, se nella formulazione romana esisteva una determinata carica

collegiale, i magistri, nella tradizione greco-orientale, che non usava sottolineare l'elemento

professionale, veniva posto in primo piano l'elemento religioso.

La situazione mutò radicalmente nel I sec. a. C. con la trasformazione dei collegi in fazioni

politiche.

Sotto la denominazione di collegi novi, in una situazione politica in continuo mutamento, queste

pseudo associazioni professionali a base popolare raccolsero larghe schiere di facinorosi e

violenti al comando di personaggi capaci di indirizzarne la forza accaparrandosene il consenso.

Per mantenere l'ordine costituito vennero emanati diversi decreti atti ad eliminare, per motivi di

ordine pubblico, molti collegi, risparmiando solo i più antichi non politicizzati e di pubblica

utilità.

Tuttavia, nel 58 a. C. il tribuno della plebe Clodio, abolendo i primi provvedimenti senatori

10 CIL I, 1455-1456.11 CIL I, 1457.12 CIL 1, 3057.13 CIL I, 3059.14 CIL I, 3066.15 CIL I, 3068.

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(risalenti al 68 e 64 a.C.), favorì la nascita di un sempre maggiore numero di questi collegi,

proprio perché alla ricerca di crescente consenso, in particolare tra le fasce povere della

popolazione.

La sconfitta del tribuno, che non fu nominato console, permise libertà di azione al senato: la lex

Licinia de sodaliciis del 56-55 a. C., voluta da Crasso, mise nuovamente al bando questi

raggruppamenti politicizzati, condannandone i membri all'esilio. Successivamente, i decreti di

Cesare (46 a. C.) e la “lex Iulia de collegiis”16(22 a. C) di Ottaviano Augusto abolirono

definitivamente tutti i collegi, ad eccezione dei più antichi, inaugurando un lungo periodo di

equilibrio fra le parti.

Da quel momento, le associazioni professionali divennero lo strumento principale del governo

tardo-repubblicano e imperiale per esercitare un forte controllo sulla massa della popolazione

cittadina, agendo, in particolare, come strumento di disciplina nei confronti dei commercianti e

degli artigiani.

1.2.3 Età Imperiale

Se i collegia, durante tutto l'arco repubblicano, godettero quasi sempre di ampie libertà e

agevolazioni da parte dello Stato, in seguito ai fatti turbolenti del I sec. a. C., si vide nascere nei

loro confronti un nuovo atteggiamento generale improntato a cautela e controllo, con il risultato

che fu necessario richiedere l'autorizzazione ufficiale per costituirsi in una sodalitas

ufficialmente riconosciuta e per svolgere gran parte delle loro attività. Per legittimarsi, molti

collegi fanno riferimento, sulle epigrafi, all'autorizzazione concessa dalle istituzioni, tramite la

formula “CCC” (Coire Convocari Cogi), con l'espressione <<collegium quae ex senatus

consulto coire licet>>17, oppure con la trascrizione diretta del testo della legge.

Questo provvedimento minò profondamente i dettami della costituzione tardo-repubblicana che

vide la negazione di uno dei suoi precetti fondamentali, ovvero la libertà di associazione.

Questo divieto divenne oltremodo palese in età imperiale con il venir meno della concezione di

associazione intesa prettamente come “insieme” a carattere commerciale, e sostituita da quella di

gruppo obbligatoriamente caratterizzato da un’utilità sociale verso il popolo romano.

L'elemento giuridico divenne sempre più importante nella vita associativa, come indicano le

numerose leggi che regolarono la vita collegiale, tanto da rendere difficile redigere una

16 CIL VI, 2193.17 CIL XI, 7881; VI, 1872.

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cronologia puntuale della loro evoluzione.

Per prima cosa, per il diritto romano, i collegi sono soggetti di pari diritto rispetto al singolo

cittadino, al popolo e al senato18, vengono considerati soggetti a leggi, provvedimenti e privilegi,

ed hanno la capacità di possedere beni e di poter essere rappresentati nei processi. In questo

modo i membri affrontano, come comunità, i guadagni e le perdite, in proporzione al ruolo

rivestito all'interno dell’associazione, senza essere coinvolti in prima persona.

Sono diversi gli interventi di giuristi che dimostrano il sempre maggiore controllo centrale su tali

associazioni: Gaio19, vissuto in età antonina, afferma che <<neque societas neque collegium

neque huiusmodi corpus passim omnibus habere conceditur>>, ovvero che non è concesso a

tutti formare una società, un collegio o un altro corpo senza il consenso senatorio ed imperiale.

Vengono così create delle regole e un modello di organizzazione standardizzato: ai collegi fu

concessa la possibilità di possedere terre, casse comuni e un agente (actor) o portavoce legale

(syndicus) che ne rappresentasse i diritti; divenne invece obbligatoria, per i membri,

l'appartenenza ad un unico collegio, oltre che il divieto di riunirsi più di una volta al mese, se non

a scopo religioso. Un senatoconsulto, testimoniato da un’iscrizione di Lanuvio20 di età antonina,

riporta il regolamento grazie al quale fu permesso di riunirsi in un collegio e le incombenze che

spettavano ai suoi membri, tra le quali versare una somma mensile in una cassa comune per

assicurarsi una tomba e il regolare svolgimento delle cerimonie funebri.

Queste organizzazioni sono comunque permesse in pochi casi: ad esempio è concesso formare

un corpus ai soci che prendono, vincendone l'appalto, la gestione di beni statali (vectigalia),

come aree boschive, miniere e saline.

Inoltre, esiste lo status di “collegia certa”, associazioni la cui condizione è confermata da statuti

di matrice senatoria o imperiale perché assolutamente necessari, come nel caso dei fornai e altri

collegi riferiti all'annona cittadina.

Se un’associazione, o un suo collegiale, avesse violato in qualsiasi modo la legge, veniva

immediatamente definito illecito e vedeva confiscati tutti i suoi beni, senza possibilità di

difendersi in tribunale, perdendo ogni privilegio e il diritto di ricevere donazioni e lasciti.

Allo stesso modo, i collegi formatisi senza autorizzazione ricevevano la stessa punizione di chi

occupava con uomini armati luoghi pubblici o templi21 e condannati per <<laesa maiestatis

18 Ulp. Dig, IV, 2, 9, 1.19 Dig., III, 4, 1.20 CIL XIV, 2112. 21 Ulp., Dig., XLVII, 22, 2.

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adversus securitatem populi Romani>>.

Sono comunque riscontrabili numerose eccezioni a questa regola (soprattutto dietro all’apparente

facciata della religione) e lo stato divenne ben presto più permissivo soprattutto con quei collegi

che coinvolsero le fasce più basse della popolazione, i tenuiores (quindi quelle meno influenti

politicamente), con funzioni più di mutuo soccorso e funerari che professionali.

Il continuo atteggiamento di sospetto porterà a decidere caso per caso se concedere, o meno,

l'autorizzazione e a procedere con una certa discrezionalità.

Augusto autorizzerà la nascita di nuovi collegi, anche se per la maggior parte ritenuti innocui: ne

sono esempio un’associazione di vincitori di gare musicali ad Ossirinco22 e un collegio di

topiarii e glutinatores (giardinieri e altri lavoratori di dubbia identificazione) di Tusculum23.

Sotto Tiberio, invece, furono soppresse, per motivi morali e politici, numerose associazioni in

Egitto, nonostante queste si lamentassero di aver sempre rispettato leggi e obblighi statali24.

Claudio sciolse numerosi collegi che erano stati reintrodotti durante il regno di Caligola25 e,

sempre in un’ ottica di controllo, fece chiudere le osterie dove il popolo era solito radunarsi .

Traiano, pur permettendo la nascita di un’associazione di tipo assistenziale nella Misia26,

ostacolò la formazione di collegi di fabri a Nicomedia27, temendone una successiva deriva

politica.

In generale, i collegi esclusivamente professionali furono tollerati, anche se con grandi difficoltà

nelle provincie orientali (più turbolente), e anzi questi prolifereranno per tutto il II secolo d.C.:

sotto il solido dominio di grandi dinastie quali gli Antonini e i Severi, è anzi spesso riscontrabile

un incoraggiamento nei confronti dei collegia, venendo così a creare una forza leale nei confronti

del potere centrale, molto interessato a controllare il normale funzionamento delle mansioni

pubbliche a loro affidate.

22 PLond1178.23 AE 1903, 52.24 Philo Iud., Flacc., 4.25 Cass. Dio, LX, 6, 6.26 Plin., Ep., X, 92-9327 Plin., Ep., X, 33-34 e X, 96, 7

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1.2.4 Età Tardo-antica

La forte crisi economica che investì l'impero al termine della dinastia dei Severi generò, assieme

alla disgregazione di gran parte del territorio, grandi difficoltà nelle comunicazioni, nei

rifornimenti e un conseguente collasso dei servizi pubblici. Per risolvere questa situazione, lo

Stato dovette rivolgersi proprio alle associazioni di privati: i collegia.

Questi vennero trasformati in enti al servizio del governo, con leggi ferree che abolivano le

ultime libertà delle associazioni, ora con appartenenza obbligatoria ed ereditaria dei singoli

membri.

Alla benevolenza di Antonini e Severi si contrappose il rigido controllo degli imperatori di epoca

tarda su una realtà divenuta fondamentale per la sopravvivenza stessa dell'impero.

Ne è un esempio l'azione condotta da Alessandro Severo che, abolendo tutti i collegi preesistenti,

raggruppò tutti i vari associati in nuovi formazioni parastatali.

Questa influenza sempre maggiore traspare anche nell'ambito epigrafico, con la diminuzione

progressiva, fino al IV secolo d.C., delle dediche onorarie agli imperatori poste dai collegia.

Sotto Valentiniano la trasformazione da libere associazioni a servizi statali si completò con la

nascita del rapporto clientelare: i prefetti e l'amministrazione locale, per agevolazioni e sgravi

fiscali, acquisirono maggiore importanza rispetto alla famiglia imperiale.

Un’iscrizione di Roma28 degli inizi del IV secolo d. C., riferisce di una nuova divisione che si era

venuta a creare: i collegia necessaria e gli alia collegia: i primi sono addetti ai servizi pubblici e

godono di privilegi ed immunità, ma di scarsa autonomia, i secondi no.

Fioriscono ulteriori stringenti regolamentazioni che trasformano i collegiali in veri e propri

addetti obxonii, vincolati individualmente, con famiglia e patrimonio, alla stessa associazione: il

membro doveva, infatti, partecipare continuamente alle attività comuni e, nel caso, sopperire a

proprie spese ai servizi pubblici richiesti, in base alle proprie disponibilità economiche.

Pare che venissero, comunque, organizzati turni di lavoro che permettevano ai singoli di

dedicarsi anche ad affari individuali.

I collegi, così riformati, raggiunsero un ruolo fondamentale nella sopravvivenza dell'Urbe: erano

loro a fornire i trasporti (naviculari e nautae), la merce (dendrophori e suarii), il servizio di

verifica (mensores), la conservazione delle derrate (horrearii) e la lavorazione dei beni di

consumo primari, come pane (pistores) olio, vino, carne, carbone e legname, necessari

28 R. Ambrosino; 1939, pag. 85.

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all'enorme popolazione raggiunta dalla capitale romana.

La loro importanza era tale che anche gli imperatori cristiani dovettero piegarsi alle loro origini

pagane: i collegi professionali continuarono ad accordare uno spazio considerevole al culto delle

divinità antiche, protetti dall’aristocrazia ancora fortemente pagana: come nel caso di Simmaco,

che impedì nel 384 d. C. all'imperatore Valentiniano29 la soppressione delle professiones

gentiliciae, oppure con Onorio e Teodosio che nel 415 d. C. poterono solo confiscarne i beni

senza però scioglierne lo statuto30.

D’altra parte, questa situazione di necessità permetterà ai collegi di esercitare una certa

pressione: scioperi e rivolte divennero l'arma migliore per la difesa dei propri diritti e, se da una

parte ne trassero vantaggio, come la rivolta dei panettieri di Efeso31, dall'altro furono frequenti le

repressioni violente sfociate nel sangue.

In conclusione, lo sviluppo dei collegia può essere visto non come un processo naturale o

spontaneo ma influenzato da provvedimenti regolatori del governo, positivi o negativi, a lungo o

a breve termine. Le leggi non furono mai eccessivamente rigide o uniformi e i rapporti tra

collegia, legge e pubblica autorità furono complessi ad ogni livello. Alcuni collegi, perché utili

alla società e allo stato per i loro servizi, mantennero ampie libertà e acquisirono diversi

privilegi, ottenendo immunità e una grande rilevanza a livello pubblico e sociale.

29 Symm., Rel. XIII, 2-3 e Ep., X.30 Cod. Theod., XVI, 10, 20, 2.31 Imagnesia 144.

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1.3 L'atto pratico: tra religione e affari

Come già affermato, il sistema dei collegia è difficile da comprendere per noi moderni, dato che

si basa su aspetti fondamentali della società romana ormai lontani. Fondamentale da

comprendere è il rapporto tra religione e commercio, creato nel tentativo di nobilitare le attività

economiche conferendo a queste un elemento di sacralità.

Ciò è ben visibile fin dalle origini della società romana, in particolare grazie ad uno dei collegia

più antichi: i Mercuriales.

Legata al dio Mercurio, protettore e garante degli scambi per antonomasia, l'associazione nacque,

secondo Livio32, su ordine del senato nel 495 a.C., in contemporanea alla fondazione del tempio

legato alla divinità stessa, sorto nell'area occupata in futuro dal Circo Massimo e in rapporto alla

Vallis Murcia e al Foro Boario, il principale mercato della capitale.

Il motivo principale di questa fondazione, vuole rimarcare la necessità fondamentale di un

collegio con il compito di provvedere al rifornimento (l'annona) di una città in continuo fermento

come la capitale.

Agli inizi del V secolo a.C., quindi, è già presente a Roma un’associazione di commercianti con

funzione vitale per la città: alcuni autori33 ritengono invece che questo collegio avesse funzioni

più prettamente culturali e religiose, anche se va ricordato che nella società romana era possibile

ricoprire sia cariche religiose di alto rango che continuare a seguire le proprie attività.

L'atto stesso della Fides, il supremo concetto di onore e affidabilità, in ambito commerciale è

assolutamente necessario ai fini della trattativa, arrivando a legare i due contraenti con un patto

vincolato alle divinità stesse.

In seguito alla sua fondazione, le notizie sui Mercuriales diventano sempre più rare e spesso

legate alla nomina dei collegiali dell'altrettanto antico collegio Capitolino; ciò fa pensare ad una

perdita del significato originale, trasformato in un titolo prettamente onorifico.

Tuttavia, si nota una sempre maggiore quantità di riferimenti al collegio (e principalmente ai suoi

magistri) al di fuori della capitale, come in età repubblicana, a partire dai mercanti romani ed

italici di Delo34, di Capua35 e Minturnae36 fino, nella tarda repubblica e prima età imperiale, ad

32 Liv., II, 21, 7 e 27, 5-7.33 B. Combet Farnoux, 1981, pp. 451-501.34 CIL I, 3433.35 CIL I^2, 2947.36 CIL I^2, 2702.

17

Avellino37, Viggiano38, Eclano39, Isernia40, Conza della Campania41, Caiazzo42, Nola43, Pompei44,

Lecce45, Brindisi46, Foro Felice47, Grumento48, Atena Lucana49, Lucca50, Pisa51, Aquino52,

Treviri53, Chalon-sur-Saône54, Vid55.

Oltretutto rimangono dubbie diverse epigrafi, con riferimenti ad Augustales, a mercatores56 e a

nummulares57 ma riconducibili direttamente ai Mercuriales, sottolineando l'importanza che

questo collegio possedeva, legandosi definitivamente alla definizione di mercante, poiché i suoi

membri entravano in un rapporto privilegiato con la divinità proprio per il mestiere da questi

esercitato.

All'interno dei collegia convivono, quindi, aspetti propriamente professionali, legati alle attività

private e corporative, aspetti religiosi incentrati sulle divinità protettrici e rappresentative del

mestiere, e l'insieme degli aspetti assistenziali e di pietas, quali la sepoltura dei membri e i riti

funerari in loro memoria, l'ausilio ai soci o ai loro congiunti, cui si aggiungono riunioni

conviviali e cerimonie pubbliche e private.

Il caso dei Mercuriales non è isolato: ogni associazione si appella alla protezione di una specifica

divinità, soprattutto quelle care all'ambiente dei commercianti, degli artigiani e dei produttori.

Ne sono esempio Ercole, Fortuna, Minerva, Cerere, Bona Mens, Silvano o i Genius dei collegia,

oltre che le divinità locali.

Alcune societates venerano un pantheon di divinità specifico: i Negotiatores di Delo58

omaggiano Apollo, Mercurio, Nettuno, ed Ercole; il primo perché natio dell'isola, gli altri perché

sempre collegati al commercio.

L'appartenenza a un collegio portava grandi vantaggi, impensabili per un singolo individuo.

37 CIL X, 1152-1154.38 AE 1901, 173.39 AE 1912, 106.40 AE 1993, 553.41 CIL IX, 972.42 CIL X, 4589.43 CIL X, 1272.44 AE, 1992, 285.45 CIL X, 23.46 CIL IX, 54, 56; AE 1964, 131-132.47 AE 1999, 538.48 CIL X, 205, 232.49 CIL X, 340.50 AE 1937, 131.51 CIL IX, 1417.52 AE 1988, 257.53 CIL XIII, 4194.54 CIL XIII, 2614.55 CIL III, 1769-1770, 1799, 1801; AE 1932, 82.56 CIL IX, 1710.57 CIL IX, 1707.58 CIL I, 2233.

18

Questo status offriva immunità, privilegi concessi dallo Stato, la gestione del pagamento di tasse

e andamento dei prezzi delle proprie merci, l’opportunità di dividere i costi d'esercizio e le spese,

di assicurarsi una maggiore stabilità economica e di ottenere monopoli, appalti privati e pubblici,

oltre che la gestione di strutture pubbliche. Per esempio, i Fullones (i tintori) di Roma59

esercitavano la propria professione in vasche concesse dallo Stato.

Spesso tali concessioni erano gestite direttamente dal collegio e dai suoi magistri, che stabilivano

multe, punizioni e indicavano gli addetti per l'utilizzo delle attrezzature in concessione, come

indicato in una iscrizione tardo-repubblicana60, dove il conlegium aquae doveva gestire due

vasche ed una fonte di un quartiere per le loro attività pagando l'appalto allo Stato.

Un papiro da Tebtunis61, in Egitto, datato al 47 d.C., presenta il caso di un’associazione di

commercianti per la vendita del sale a livello locale, i cui membri si impegnavano a pagare

collettivamente le tasse, a fissare una riunione mensile e a celebrare la morte di un collegiato con

un banchetto lungo un intero giorno, al quale tutti gli iscritti devono partecipare sia con la

propria persona che con un contributo. Inoltre, nello stesso testo, viene indicata la nomina dei

responsabili (curatores) con il compito di controllare e regolamentare l'attività e gli scambi dei

singoli membri, di gestire gli affari pubblici della associazione e di far arrestare i trasgressori.

Lo Stato stabilisce e controlla i prezzi applicati dai collegi: sia la lex Irnitana che una legge del

codice di Giustiniano impediscono l'iniziativa delle singole associazioni.

Non mancano, tuttavia, i trasgressori: a Smirne62 tra I e II sec. d.C. viene sanzionato dalle

autorità un collegio di traghettatori che, data la loro sempre maggiore importanza e autorità,

impediva ad altri di esercitare la stessa professione, procedendo oltretutto con l'aumento delle

tariffe.

Adriano stesso dovrà, a Pergamo63, punire i cambiavalute cittadini che, ottenuto il monopolio,

applicavano tassi illegittimi, mentre i prestatori di denaro (pleisteriazontes) di Nicomedia di

Bitinia 64 vengono puniti da un decreto anti-usura. Gli argentarii (banchieri) di Efeso65 arrivarono

addirittura a causare, per il loro comportamento, una sommossa popolare.

All'interno dei collegia, per onorare le divinità tutelari, si celebravano particolari riti, sia in

ambito privato che pubblico.

Quelli privati venivano celebrati all'interno delle sedi del collegio, come un tempio, un’ area

59 CIL VI, 266-268.60 CIL VI, 10298.61 P.Mich. V, 245.62 IK 24, 1, 71263 IGR 4, 352.64 TAM 4, 1, 3.65 Acta apost., 19, 23-28

19

sacra all'aperto con simulacri ed altari o un semplice sacrario posto all'ingresso della sede del

collegio stesso, con una rappresentazione del Genius tutelare.

I riti, invocazioni, commemorazione dei defunti e sacrifici sono officiati dalle cariche

gerarchiche superiori, da ministri addetti al culto o da veri e propri sacerdoti, membri o meno del

collegio.

Tali cerimonie cadevano, principalmente, nei giorni delle ricorrenze ufficiali delle divinità, in

occasione di festività locali e nel dies natalis del collegio: a parteciparvi erano i membri a pieno

titolo e tutti coloro i quali erano stati insigniti di questo diritto per carica onoraria.

I rituali pubblici, se il collegio disponeva di fondi sufficienti e delle necessarie autorizzazioni, si

svolgevano nei templi cittadini o nelle aree sacre e durante le processioni pubbliche ma spesso si

manifestavano sotto forma di dedicazione di stele, statue e monumenti in onore alla divinità.

A parte va considerato il culto degli imperatori, praticato probabilmente per evitare accuse di

lesa maiestatis o comunque per garantirsi il favore dello Stato. Un esempio è rappresentato dal

collegio dei dendrophori di Bovillae (Marino)66 che pose il pino sacro a Cybele, nello spazio

garantito dai decurioni, in onore della salute dell'imperatore Antonino Pio e di tutta la sua

famiglia.

Inoltre, come rappresentanti di una parte della plebe, i collegiali partecipavano alle cerimonie

pubbliche, come la parata imperiale di Aureliano67 e Gallieno68, ai funerali di Pertinace69 e

l'arrivo di Augusto a Augustodunum70 (Autun).

Spesso, per comprovare il proprio attaccamento alla città o farsi accettare dai suoi abitanti, i

collegi si adoperavano per finanziare il costo di un monumento pubblico, come la statua dedicata

ad un benefattore dalla boulè, dal popolo e dai mercanti di Apamea di Frigia71 e pagata dai

commerciati della strada delle Terme; oppure su propria iniziativa, il collegio stesso procedeva

alla costruzione di statue e monumenti in onore delle divinità o dei benefattori che giovarono,

con il proprio contributo, all'insediamento: è il caso C. Cornelius Felix Italus che, salvata

Rimini72 da una crisi annonaria, venne nominato patrono del municipio e dei tre collegi maggiori.

66 AE 1927, 5167 SHA, Aurel, 33-35, I68 SHA, Gallien., 7, 4-9, 169 Cass. Dio, LXXIV, 4, 2-5, 170 Pan. Lat. Constant., 8.71 IDélos 1645.72 CIL XI, 377.

20

1.4 Le strutture interne e la gerarchia

Come riportato nel Digesto73, i collegia presentano una organizzazione interna <<ad exemplum

rei publicae>>, ovvero ad imitazione di quella dello Stato: se l'autorizzazione alla fondazione, i

criteri di ammissione dei membri e il regime amministrativo sottoposto sono noti grazie alla

legislazione civile romana, i particolari sulla gestione e l'organizzazione interna sono conosciuti

grazie all'insieme delle leges collegii, gli statuti che ogni collegio si dava al momento della

fondazione, modificabili ed incrementabili nel tempo, per regolamentare ogni attività,

disciplinare i rapporti interni e risolvere eventuali e possibili controversie.

Un’ulteriore testimonianza è fornita dagli alba, elenchi dei membri del collegio indicati per

carica ricoperta in ordine decrescente; una copia era conservata dal collegio stesso, un’altra era

invece inviata all'imperatore in persona: esempio ne è un papiro di Ossirinco74, contenente

l'elenco dei membri del collegio inviato allo stesso Traiano.

Altri alba, ancora provenienti da Roma, Ostia e dalla Campania, indicano la componente sociale

di un collegio, le cariche previste e la sua organizzazione: l'epigrafe in onore del liberto C. Iulius

Helpidephorus Cyrinus posta dal sodalicium dii Silvani Pollentis di Roma75 nel tempio dedicato

al dio, costruito grazie alle donazioni dell'onorato, elenca ad imperitura memoria i nomi degli

associati, per la maggior parte schiavi, immunes e biatores, suddivisi per decurie.

Grazie a questa iscrizione è stato possibile, oltre che confermare l'esistenza di associazioni di

schiavi, ipotizzare un’ipotetica distribuzione dei soci in decurie, seguendo un modello non

necessariamente simile a quello militare.

Altri collegi, invece, dato il grande numero dei partecipanti, optavano per la divisione in decurie

o centurie, ad esempio i fabri, i centonari e i dendrophori, con una chiara derivazione militare, a

capo delle quali era posto un praefectus, con compito di controllo e sorveglianza delle attività a

loro preposte.

Probabile, inoltre, che a capo di ogni decuria fosse posto proprio un decurione, come

testimoniato ad esempio a Ravenna76 o a Roma77.

Per entrare a far parte di un collegio bisognava essere nominati tramite adlectio, ovvero con il

benestare dei membri (sopratutto magistri e quinquennali) e per volontà dell'assemblea generale

73 Gaius, Dig., III, 4, 1.74 POxy 12, 1414, rr. 4-11.75 CIL VI, 647.76 CIL VI, 647.77 CIL VI, 7861, 7863-7864, 9254.

21

dei soci78. Possibile è la nomina a membro di un determinato collegio di un lavoratore che non ne

esercita la professione79, ma che non gode delle eventuali immunità del quale beneficia solo chi

esercita realmente la professione ufficiale del collegio: esempio il cuoco membro del collegio dei

dendrophori di Alba Fucens80

Le motivazioni più plausibili di tale nomina possono essere state, nei primi secoli dell'impero, la

devozione religiosa, i probabili vantaggi e relazioni offerti dal collegio o il prestigio delle cariche

o del patronato. In epoche più tarde, si ricercano delle agevolazioni fiscali.

Le magistrature, nei collegi romani, sono annuali e rieleggibili: i magistri (la carica suprema del

collegio) e i curatores (con compiti di tipo amministrativo) sono eletti dall'assemblea generale

dei soci, tra i membri più ricchi e facoltosi (spesso liberti arricchiti) poiché spesso dovevano

garantire, a proprie spese, i banchetti e il restauro degli edifici dell'associazione.

Terminato il mandato, i magistri decadevano, assumendo il titolo di honorati.

Il titolo di quinquennales inizialmente veniva attribuito ogni cinque anni ed era ripetibile ma,

successivamente, l'intervallo di attesa tra una nomina ed un’altra non venne più rispettato,

probabilmente per l'abitudine dei quinquennales neoeletti, di festeggiare dispensando banchetti e

donativi.

Il titolo di quinquennalis perpetuus era l'onore più grande dispensato dal collegio; la carica di

rector quinquennalis doveva essere invece una nomina straordinaria; agli uffici di quaestor ed

arkarius spettavano i compiti amministrativi (con l'ausilio di scribi e messi).

Controversa appare invece la carica del praefectus collegi che, se da una parte è definito come

sovrintendente preposto al controllo dei tre collegia maggiori, dall'altra viene definito assieme

alla nomina a patrono delle singole associazioni: si tratta quindi di un responsabile del collegio,

similmente ad un quinquennalis, ma nei confronti dei suoi stessi soci e non dello Stato.

Altri onori che potevano essere attributi dal collegio erano il titolo di immunis, bisellarius e

duplicarius: il primo riguarda l'esenzione da particolari obblighi comuni o dal pagamento della

quota mensile, il secondo concede al designato il diritto ad una sedia d'onore a due posti, il terzo,

durante le divisiones, riceveva una doppia razione.

L'epiteto di munificus è ovviamente onorifico ed è attribuito, solitamente, ai grandi benefattori

del collegio.

A Roma81, i curatores del collegio degli eborarii e dei citrarii di Trastevere (commercianti di

78 CIL VI, 10294, 10395.79 Dig., L, 6, 6 (5), 12.80 CIL IX, 3938.81 CIL VI, 33885.

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legni pregiati come ebano e cedro) vengono eletti ogni quattro anni e, oltre a ridistribuire

equamente a fine anno il fondo cassa dell'associazione, devono assicurare, durante tutto il loro

mandato, una serie di donazioni (sportulae) in particolari ricorrenze, come in occasione del

compleanno dell'imperatore Adriano, del benefattore del collegio Iulius Aelianus e del suo figlio

Iulius Flaccus, oltre che al giorno di inizio dell'impero (dies imperii) dell'imperatore stesso.

Da non confondere con il patrono, carica di rango superiore, sono i pater e mater collegii:

costoro sono principalmente benefattori di estrazione modesta, ma non povera, che concedono

lasciti e cospicue donazioni materiali al collegio piuttosto che favori politici.

La nomina a mater è comune dato che si tratta dell'unica carica onorifica femminile all'interno

del collegio: è il caso di Memmia Victoria, mater dei fabri di Sentinum (Sassoferrato), che chiese

al collegio di assumere tutti i propri discendenti come patroni in cambio di un probabile aiuto

economico.

Il patronato è una carica di prestigio ma anche un impegno formale, volontario e giuridico

(testimoniato dalle tabulae patronatus), grazie al quale un individuo crea un legame personale di

lunga durata con un gruppo di status sociale diseguale, contribuendo vicendevolmente con

scambi sia simbolici che materiali ed economici. Esso fornisce un elemento in più per i collegi

per integrarsi nel sistema municipale.

Esempio ne è l'iscrizione bronzea proveniente da Reggio Emilia82 in cui il collegio dei fabri e dei

centonarii nomina patrono Tutilius Iulianus.

La legge non vietava di essere patrono di più collegia (seppur fosse vietato appartenere a due

associazioni separate) ma impedisce la cooptazione dei bambini, pratica diffusa tra chi, seppur

dalle cospicue risorse, proveniva da origini modeste.

In età imperiale, a seguito del decreto che impediva alla classe senatoria di poter ricevere tale

nomina, sono sempre di più i patroni di rango equestre. Dal III sec. d.C. torneranno ad essere

patroni senatori e equestri di alto rango, in questo caso nomina legata alla carica politica o alla

città di riferimento, per carattere ereditario, diventando l'espressione del prestigio di una

famiglia: a Capua, Anicius Paolinus, primo proconsole della Campania, e Sex. Claudius

Petronius Probus, prefetto del pretorio, sono rispettivamente patroni originales di regiones e

collegia, quindi con patronato di tradizione familiare83.

Il gruppo decisamente più ampio di patroni proviene dagli equites publici (di classe municipale),

seguono decurioni, seviri o coloro che ricoprivano altre cariche sacerdotali, infine i liberti.

I patroni sono poi comunemente coinvolti all'interno dell'organizzazione collegiale: a Signia

82 CIL XI, 970.83 G. Barbieri, 1971; p. 291.

23

(Segni) 84 un patrono dei dendrophori è anche quinquennalis del collegio.

Spesso, un commerciante può allacciare, attraverso il patronato, più collegamenti con diverse

associazioni, potenziando i propri affari: a Roma85 è stata ritrovata l'epigrafe del cavaliere C.

Sentius Regolianus di Lugdunum (Lione) che, come negotiator vinarius, diffusor olearius ex

Baetica e nauta, è patrono dei negotiatores vinarii, dei nautae e dei seviri augustali.

Solitamente i collegi omaggiano i propri patroni con iscrizioni onorarie, dove vengono elencati i

loro meriti; tuttavia sono comuni anche forme di ringraziamento indirette, come l'esempio dei

collegi dei fabri, centonari e dendrophori di Falerio nel Piceno86 che celebrano il patrono T.

Cornasidius Vesennius Clemens dedicandogli una statua del padre.

Il patrono di un collegium può donare, oltre a somme di denaro, strutture e infrastrutture

necessarie all'esercizio del mestiere dell’associazione (come tabernae o moli) e, se dotato di

autorità politica, può influenzare favorevolmente il mercato per il collegio, esentarlo da tributi,

aiutarlo se chiamato in giudizio, concedergli l'esclusiva di monopoli, lavori e servizi.

Sono documentati casi di legami a vita tra associazioni e magistrati, con reciproci vantaggi, o

con famiglie nobili locali, generazione dopo generazione, con ovvi fini economici. Celebre il

caso di Cn. Sentius Felix, armatore di Ostia87 che oltre a ricoprire cariche come duoviro e

questore dell'erario, ha legami con venticinque tra corpora, collegi, sodalizi e associazioni di

varia natura.

Il patrono può ricoprire anche la carica di syndicus, ovvero di consigliere e difensore legale, con

la possibilità di capovolgere le sorti di un processo: è proprio grazie all'intervento del patrono dei

fullones e dei tintori di Tebtunis88 che i collegi vinsero il ricorso contro l'aumento delle imposte.

Se il patrono è di alta estrazione, può intercedere presso l'amministrazione, se meno influente

può comunque fungere da intermediario e chiedere l'intervento dei propri superiori, come il caso

del patrono T. Claudius Severus, littore, che grazie all'intercessione di un decurione riuscì a

concedere il permesso di pesca ai pescatori del Tevere89.

In cambio di questi favori il patrono poteva ricevere soprattutto appoggio politico, utile per la

sua carriera municipale: lo provano i vari manifesti elettorali ritrovati a Pompei, dove ogni

collegio sosteneva un proprio candidato.

Questa pratica era mal vista dallo Stato, che vedeva così indebolita la propria autorità.

84 CIL X, 5968.85 CIL VI, 29722.86 CIL IX, 5439.87 CIL XIV, 409.88 Ptebt 2, 287.89 CIL VI, 1872.

24

La sopravvivenza dei collegi si basava sulle entrate che derivavano dalla somma mensile pagata

dai soci e dalla summa honoraria, versata da chi veniva eletto ad una carica collegiale; a parte va

considerato il funeraticium, contributo versato per le esequie dei membri.

Era oltretutto pratica comune la richiesta di una tassa straordinaria per la dedica di statue ai

patroni.

Dalla cassa comune venivano prelevati i denari per celebrare i riti e i sacrifici in onore delle

divinità protettrici del collegio o della famiglia imperiale.

Altre rendite potevano provenire da capitali e immobili, multe ed eredità: un collegio poteva

ricevere in dono la propria schola, un edificio in cui svolgere le cerimonie religiose e i banchetti,

un terreno e strutture atte allo svolgimento della professione.

La stragrande maggioranza dei donativi rimaneva comunque in denaro; gestiti dai collegia,

dovevano garantire una rendita utile alla distribuzione regolare di sportulae, e alla pratica di

banchetti e riti: a Roma, T. Claudius Chresimus, ob honorem quinquennalitas, dona al proprio

collegio 10.000 sesterzi, con la cui rendita annuale si procedeva a distribuzioni al popolo il primo

di agosto, dies natalis del collegium.

Il collegio poteva disporre anche di una rendita perpetua legata a una fondazione funeraria: il

lascito prevedeva che il collegio amministrasse e investisse la somma donata per ricavare

interessi; con essi andava celebrata un ricorrenza in memoria del defunto (o dei suoi parenti

deceduti) in particolari date, come la cara cognatio, il dies violaris, i rosalia, i parentalia oppure

l'anniversario di nascita e morte. Era ricompresa anche l'eventuale manutenzione della tomba del

benefattore.

A Roma90, Salvia Marcellina dona nel 153 d.C al collegio di Esculapio e Hygia una statua del dio

ed una struttura lungo la via Appia dove svolgere i banchetti e i riti in memoria del marito, il

liberto imperiale M. Ulpius Capito, e del procurator Augusti Flavius Apollonius; inoltre, dona

50000 sesterzi con le cui rendite distribuire sportulae ai 60 soci e piccole somme di denaro (in

base al grado ricoperto nella gerarchia dell'associazione) in ricorrenza del compleanno

dell'imperatore Antonino Pio.

Le motivazioni di tali donazioni, spesso molto generose, sono diverse e articolate: c'è chi, come

un patrono di umili origini, vuole trasmettere ai posteri la propria memoria con banchetti, riti e

distribuzioni in proprio nome e chi, per motivi economici, vuole preservare le proprie ricchezze

da espropri e tasse donando ampie proprietà ai collegi.

Nel caso le volontà testamentarie del defunto non fossero state seguite dagli associati, un

secondo collegio, nominato in precedenza, aveva il potere di imporre una multa: un mensor di

90 CIL VI, 10234.

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Efeso91 lascia un donativo agli artigiani del propyleion attivi sotto la statua di Poseidone con

l'obbligo di celebrare un banchetto con vino e sacrifici ogni anno nell'anniversario del suo

compleanno; la multa per inadempienza andava pagata al collegio dei mensores del grano.

Infine, era pratica comune che un privato affidasse la protezione e la manutenzione della propria

tomba ad un collegio, in modo tale che questo potesse incassare le multe a danno di chi lo

violava.

Da sempre i collegi hanno beneficiato, in cambio dei propri servizi, di diversi privilegi: poiché

questi erano investiti da un munus straordinario in virtù della loro professione che svolgevano

per conto di tutti gli altri cittadini, questi venivano esentati da alcuni o da tutti gli altri munera92

obbligatori, che variavano in base all'importanza stessa del collegio. Tra tutte le associazioni,

quella dei navicularii ricevette il maggior numero di agevolazioni, dato il loro ruolo

fondamentale per l'annona e di conseguenza il loro maggiore potere contrattuale con lo Stato.

La più antica testimonianza di privilegi è quella ottenuta dai tibicines di Roma93, risalente al IV

sec. a.C, ai quali fu concesso di celebrare un banchetto nel tempio di Giove, accompagnato da

musica.

Al I sec. d.C. risale, invece, l'iscrizione ritrovata ad Efeso che concede uno sconto del 2% sui

dazi per chi trasporta beni in beneficio del popolo romano o per scopi pubblici.

L'associazione egiziana94degli artisti vincitori di gare in onore di Dioniso, ottenne dall'imperatore

Adriano una lunga serie di benefici: il diritto di riunione, di asilo, di proedria95 e di giurisdizione,

l'esenzione dalle tasse, l'immunità dalla partecipazione obbligatoria ai riti, dall'intrattenere ospiti

e dall'essere imprigionati in carceri straniere. I collegiali ricevevano, inoltre, varie riconoscenze,

sia da privati che da pubblici per i servizi a loro resi: lo Stato stesso poteva contribuire con

donazioni alle casse comuni o col restauro delle strutture produttive di proprietà del collegio.

In età imperiale l'utilità delle associazioni professionali fu innegabile: lo Stato per garantire il

regolare svolgimento della vita della città ed evitare sommosse e turbolenze popolari, concesse ai

collegi particolari privilegi; questi quindi svolsero, oltre alle proprie attività commerciali, servizi

pubblici fondamentali come il rifornimento dell'annona, la costruzione e la manutenzione degli

edifici e il riscaldamento delle terme. Lo Stato impose comunque tasse e servizi pubblici

91 IK 17, 1, 3216.92 I munera publica e i munera civilia riguardavano tutta una serie di servizi che il cittadino doveva alla città e ai

suoi abitanti, spesso rivolti alla specializzazione professionale del singolo: per esempio è obbligatorio contribuireal trasporto di beni (municipali e statali), contribuire alle spese ludiche, partecipare all'acquisto collettivo di cibo,acqua e combustibile per le terme.

93 Liv., IX, 30, 5-10.94 BGU 1074.95 Il diritto di sedere nei primi posti in teatro, durante i giochi o nelle assemblee.

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proporzionati alle disponibilità e alla specializzazione del collegio.

A beneficiare della riforma imperiale delle organizzazioni collegiali furono quindi i negotiatores

frumenti (privilegiati fin dai tempi di Augusto), i mercatores olearii esentati dai munera publica

dopo aver prestato cinque anni di servizio, i centonarii di Solva (sotto Settimio Severo e

Caracalla), che videro svincolate le loro ricchezze personali, mentre i panettieri di Roma

ottennero, se lavoravano per lo Stato, la cittadinanza; tuttavia, chi non ne faceva parte o non

esercitava direttamente la professione di riferimento era automaticamente escluso

dall'immunitas.

A partire dal III sec. d.C., tuttavia, la sempre maggiore decadenza dell'impero comportò la

trasformazione in obbligatori di alcuni servizi fondamentali, controllati e regolamentarizzati

dallo Stato stesso.

Le associazioni vennero così lentamente statalizzate; gli alba si trasformarono negli elenchi di

coloro che dovevano svolgere, obbligatoriamente, un particolare servizio: Aureliano fece inserire

anche i nomi dei successori degli associati, rendendo di fatto la cosa ereditaria.

In età tardo-antica si proibi, addirittura, di fuoriuscire da tali associazioni se non autorizzati,

soprattutto nei collegi predisposti al rifornimento delle città di Roma e Costantinopoli.

Per esempio un decreto di Onorio del 412 d.C. impose il rientro nei rispettivi collegi dei

fuoriusciti durante alcuni disordini politici96.

96 Cod. Theod., XIV, 7, 1-2.

27

1.5 Tipologie di Collegia

1.5.1 I tria collegia: Fabri, Centonarii e Dendrophori

I collegi dei Fabri, Centonarii e Dendrophori, spesso definiti tria collegia licita97, tria collegia

principalia98 o più semplicemente tria collegia per la posizione di superiorità che ricoprivano

rispetto alle altre associazioni, sono i tre collegi più diffusi in assoluto nel mondo romano,

testimoniati sia in grandi che piccoli centri abitati.

Proprio per la loro “autorità” raggruppavano gli strati più alti della plebe urbana, formando una

sorte di élite o aristocrazia delle associazioni professionali.

Dato l'alto numero dei membri e l'abitudine di raggrupparli tra loro, sono state elaborate diverse

teorie; in particolare quella teorizzata, due secoli fa, dagli studiosi Maué e Waltzing, che indica

un loro probabile utilizzo come vigili del fuoco, non convince più gli studiosi. Data la totale

assenza di testi epigrafici e letterari a favore di questa ipotesi, ciò che pare accomunare le tre

associazioni, più del ruolo di pompieri, è il loro carattere di collegi ufficialmente riconosciuti (in

un periodo dove la tolleranza è minima), lo stretto legame che univa le tre professioni e il loro

status che dal punto di vista economico garantiva il beneficio di immunità. Eloquente è il caso di

Pisaurum99 (Pesaro), dove due personaggi vengono nominati patroni oltre che dei fabri, dei

centonari e dei dendrophori anche dei navicularii che probabilmente avevano acquisito, nella

medesima città, lo stesso prestigio dei tria collegia.

Il termine faber indica, generalmente, colui che fa, produce, ovvero l'artigiano, soprattutto dei

materiali come legno, metallo e pietra. Spesso il termine è accompagnato da un elemento che ne

specifica ulteriormente il compito: i più diffusi sono i fabri tignarii (costruttori edili o più in

generale i costruttori), i fabri navales (costruttori di navi), fabri argentarii e ferrarii e i

fabbricanti di ogni prodotto possibile, dai letti (fabri lectarius) ai pettini (faber pectinarius) alle

suole delle scarpe (faber solearius baxearius).

Il collegio dei fabri è l'associazione municipale più importante e diffusa, ma solo nelle provincie

pacificate; si esclude quindi l'oriente, la Grecia e l'Africa.

Tradizionalmente fondato da re Numa100 e legati al culto di Minerva, i fabri andavano fieri delle

proprie antiche origini: i fabri tignarii di Roma101 affermavano, nel 129 d.C., di essere al XVIII

97 CIL V, 7881.98 CIL XI, 5748-5749.99 CIL IX, 6362, 6378.100 Plut., Numa, 17.101 CIL VI, 10299.

28

lustrum (ovvero il sacrificio fatto ogni cinque anni tra un censimento e l'altro) e quindi facevano

risalire la loro fondazione a circa 140 anni prima.

In epoca imperiale, la divisione dei membri riprendeva direttamente l'organizzazione militare102

per decurie o centurie, guidate da magistri o praefecti: Aurelio Vittore103 attribuisce tale divisione

ad Adriano.

Ovvia la pubblica utilità dei fabri, sopratutto dei tignarii e dei navales, utilizzati per la

costruzione di edifici pubblici: Cicerone104 afferma che la costruzione del tempio del

Campidoglio non costò nulla allo Stato, dato che fu realizzato forzatamente dal collegio,

nell'ottica delle attività obbligatorie contenute nei munera pubblica.

Per quanto riguarda la loro ipotetica funzione di vigili del fuoco, gli studiosi hanno fatto

riferimento unicamente alla lettera nella quale Plinio il Giovane105, durante il suo governatorato

della Bitinia, informò Traiano della necessità di formare un collegio di fabri a seguito

dell'enorme incendio che colpì Nicomedia, causando ingenti danni senza che alcuno potesse fare

qualcosa.

Nei centri minori il collegio dei fabri poteva riunire tutti gli artigiani attivi nel territorio: è il caso

del ceramista inserito nei fabri di Lugdunum106.

Per quanto riguarda i centonarii, a differenza dei fabri, le notizie sono carenti e spesso riferite

alle numerosissime attestazioni epigrafiche comprese tra la tarda età repubblicana e il IV secolo

d.C.

Queste fonti rimangono comunque vaghe e spesso contraddittorie, tanto che la definizione del

semplice produttore di coperte grossolane non è più sufficiente: se da una parte il rimando alle

centones (stoffa grezza) richiama proprio questa definizione, Petronio107 sembra identificare sotto

questa definizione piuttosto un piccolo commerciante. Nel codice Teodosiano108 una legge del

369 d.C. infligge pene severissime al membro del collegio che cerca di entrare nella curia o si

assenta dal suo posto.

Il servizio di pompiere sarebbe stato loro attribuito per il fatto che le coperte di stracci da loro

prodotte sarebbero state utili per spegnere le fiamme; tuttavia, oltre a questa, il cento ha ricevuto

102 Nell'esercito erano presenti due centurie di fabri con funzioni ausiliarie di genio militare.103 Aur. Vict., Ep., 14, 5.104 Cic., Verr., V, 19, 48.105 Plin., Ep., X, 33, 1-3.106 CIL XIII, 1978.107 Satyr., 45, 1.108 XIV, 8, 2.

29

altre definizioni: casacca per schiavi109, usata da pescatori110 e mulattieri111 (utilizzata sopra ai

basti), come tappezzeria da inserire sui cardini delle porte112, usato nell'esercito come copricapo

da porre sotto l'elmo113 o, nella forma di centones, come “uniforme da fatica” usata dai soldati

durante le operazioni nelle retrovie114.

Proprio per la mutevolezza del termine pare strano che un collegio di straccivendoli possa aver

guadagnato una tale ricchezza e reputazione all'interno della vita cittadina: più probabile è che il

collegio possa raggruppare tra le proprie fila un insieme eterogeneo di commercianti al dettaglio,

anche se è ancora difficile dimostrarlo.

L'ultimo dei tria collegia, il più recente dei tre, è quello dei dendrophori: il documento

epigrafico più antico riguardante questo collegio è un iscrizione di Regium Iulium115 del 79 d.C.,

il più tardo proviene da Sifitis116 ed è datato al 288 d.C. anche se, come testimoniato dal codice

Teodosiano117, le ultime attestazioni risalgono al V sec d.C.

I dendrophori (“portatori di albero”) sono generalmente definiti come boscaioli, falegnami e

mercanti di legname ma, a fronte degli studi di Waltzing118, nessuno ha messo in discussione la

forte preminenza religiosa di questo collegio: come è noto i dendrophori presentano uno stretto

collegamento col culto di origine frigia di Cybele e di Attis. Essi svolgevano un ruolo

fondamentale durante le cerimonie in onore di Attis, in particolare durante la dendrophoria, un

rito che prevedeva, agli inizi della primavera, la processione per la città di un albero sacro

(generalmente un pino) ornato con viole e un’immagine della divinità.

L'origine dell'associazione professionale, attraverso la fusione di realtà professionali e credenze

religiose, è stata attribuita al governo imperiale del I sec d.C., in particolare alla riorganizzazione

attuata durante il principato di Claudio: a lui, data la mancanza di testi epigrafici precedenti, si

devono la riforma del culto della Magna Mater e l'introduzione del ciclo di feste di origine frigia

tra il 15 e il 27 marzo.

Claudio, in questo modo, lega i culti di Cybele e Attis a un nome greco (del tutto estraneo alle

due divinità) e ricollega ad un culto di una divinità delle montagne e delle acque l'importante

corporazione professionale dei trasportatori e commercianti di legno.

L'obbiettivo più plausibile di questa riforma potè essere solo l'intenzione di sottoporre al

109 Cato, r.r., II, 10, 11, 59, 135; Colum., r.r., 8; Iuven., VI, 121.110 Plin., Nat. Hist., IX, 84.111 Liv., VII, 14; Veget., II, 59, 2; edict. Diocl., VII, 51, 52.112 Satyr., 7.113 Amm. Marc., XIX, 8, 8.114 Caes., b. gall., III, 44.115 CIL X, 7.116 CIL VIII, 8457.117 XVI, 10, 20, 2.118 J. P. Waltzing 1895-1900, I, pp. 240-253; II, pp. 122-124, p. 148.

30

controllo statale sia un culto straniero (Magna Mater) sia il garantirsi l'afflusso di una materia

prima fondamentale per ogni aspetto della vita civile (edilizia, riscaldamento, energia e

produzione) della quale lo Stato stesso possedeva il monopolio.

1.5.2 I collegi semi-ufficiali e para-religiosi

A fianco dei collegi propriamente professionali, di ambito commerciale, sussistevano realtà

esterne, che spesso in molte realtà territoriali sembrano rappresentare il fenomeno associativo

maggiore: gli iuvenes o sodales.

Di matrice principalmente religiosa, dei sodales (i membri vengono definiti cultores, più che

sacerdoti) si hanno poche notizie: una delle più antiche e certe fa riferimento ai sodales Titi, del

quale si ignora ogni aspetto tranne che, a seguito della morte di Augusto, furono collegati ai

sodales Augustales, preposti al culto dell'imperatore divinizzato. Da questo nacquero poi altri

collegi sacerdotali minori, come i sodales Augustales Claudiales (in onore a Claudio), i sodales

Flaviales (Vespasiano) e i sodales Hadrianales (Adriano).

Elemento fondamentale dei sodales Augustales era la loro apertura ai ceti sociali minori

permettendo, principalmente ai ricchi liberti e ai propri discendenti, un’incredibile scalata

sociale; tuttavia, come collegio semi-ufficiale all’interno delle municipalità, si collocava subito

al di sotto dei decurioni e prima di ogni altra associazione riconosciuta.

Il termine sodalis ha inoltre un’accezione ben più ampia e soprattutto privata: con questo termine

venivano definiti un amico, un familiare, un commilitone, un collega o un socio di bottega, anche

in assenza di vincoli formali o di associazione. Solitamente questo termine compare utilizzato in

epigrafi e dagli autori antichi: è l'indicazione ufficiale dell’associazione a distinguere una realtà

pubblica da una privata. Ad esempio, è un unico sodalis che si occupa della sepoltura di un

defunto, in virtù di un legame privato tra conoscenti o collega (similmente ai collegia).

Sodales sono considerati anche gli appartenenti a confraternite religiose non ufficiali, come i

cristiani, ebrei e seguaci dei culti orientali.

In Italia sono testimoniati una serie di cultores e sodales che non sono né Augustales né legati ad

un culto imperiale; in questo caso potrebbe trattarsi di gruppi che, presentandosi come religiosi,

cercavano legittimità nei confronti dell'autorità statale: ad esempio, il sodalicium urbanorum di

Bracara Augusta119, in Spagna, di età repubblicana, si presentava come associazione religiosa di

cittadini, ma con ovvi fini culturali e politici.

A differenza dei collegi, a predominare era quindi una dimensione religiosa e culturale più che

119 CIL II, 2428.

31

commerciale; tuttavia l'idea che dietro ai sodales non sussistesse anche un elemento puramente

economico non è da scartare. I sodales carpentarii di Padova120 appaiono chiaramente legati da

un aspetto professionale, in quanto si tratta di conduttori di carri da trasporto; come anche i

sodales lanarii pectinarii di Brixia121 e il sodalicium marmoriarum di Augusta Taurinorum122

(Torino).

A volte il sodalizio aveva un nome che faceva riferimento sia alla divinità venerata che al

mestiere esercitato: è il caso del sodalicium Iovis Conservatoris cursorum Caesaris nostri, che

onora Giove conservatore ed è composto dai soli impiegati della posta imperiale di Roma123.

Le sodalitates, come i collegia maggiori, presentano una lunga serie di attività, che vanno dalla

raccolta di fondi per la realizzazione di opere in onore delle divinità o dei benefattori, alle

sepolture per i consociati o alle ristrutturazione di edifici pubblici e privati.

In conclusione, quindi, difficilmente i membri dei cultores di una divinità si sarebbero potuti

riunire al di fuori del contesto religioso (la legge romana permetteva l'istituzione di sodalites per

religionis causa), tuttavia l'elemento commerciale rimane forte e presente, anche se non

articolato ai livelli delle associazioni collegiali.

Quale fosse questo interesse è difficile determinarlo ma, tuttavia, come accade nel caso dei

Mercuriales, la scelta della divinità protettrice è un ottimo indicatore.

Altri elementi caratterizzano, invece, le società di iuvenes: queste aggregazioni sono

maggiormente presenti a Roma e nei municipia e si presentano spesso come promotori o fruitori

di giochi, generalmente offerti da benefattori o patroni.

Secondo le teorie di M. Jaczynowska124, si tratta di società diffuse principalmente sul suolo

italico tra I e II sec d.C., con finalità sportive, religiose, paramilitari ma anche sociali e politiche,

agendo in molti casi come una vera e propria associazione professionale.

A Roma si hanno testimonianze di organizzazioni giovanili di stampo aristocratico, i cui membri

raccoglievano i figli di senatori e cavalieri, legate a cerimonie tradizionali ed interessate

principalmente all'organizzazione di giochi e spettacoli: tramite un curator125 o un editor126

venivano organizzati i lusus iuvenum o iuvenalia, con gare ed attività circensi. Panciera127

120 AE 1927, 129.121 CIL V, 4501.122 CIL V, 704.123 CIL VI, 241.124 Jaczynowska, 1967-68, pp. 296-306.125 CIL IX, 4368, 4395.126 CIL XI, 4580.127 S. Panciera, 1970, p. 161; AE 1971, 44.

32

sottolineò come l'appartenenza di un nunzio circense di più di quaranta anni ad un collegio di

giovani della VI e VII regio di Roma debba indicare un collegamento con spettacoli di quartiere a

cui questi giovani potevano assistere.

Da ciò è comprensibile come gli iuvenes non fossero in realtà delle associazioni giovanili di élite

o di stampo paramilitare dato la presenza di membri appartenenti a ceti minori come schiavi e

liberti, anche se di condizioni economiche di medio livello, frammisti a cittadini di classi sociali

più elevate.

Queste società, come a Carsulae128, ricevevano donazioni da privati, similmente a quanto

accadeva a qualsiasi altra associazione e ai collegi maggiori.

Non è raro che membri di altri collegi facessero parte anche degli iuvenes: è il caso del

quinquennale del collegio dei lotores (lavatori, non meglio identificati) di Aricia129, membro dei

sodales iuvenum Martis Salutaris.

In certi casi anche le donne, principalmente di alta estrazione sociale, potevano divenire patrone

di una di queste associazioni: ad esempio il sodalicius dei giovani dedicato ad Ercole di Tivoli130

di cui faceva parte una matrona appartenente alla nobiltà romana.

1.5.3 I collegi di mutua assistenza e le associazioni rurali

All'interno della fitta rete di collegia ed associazioni professionali, la tipologia più diffusa e

spontanea è quella delle società di mutua assistenza.

Per lungo tempo si è dibattuto sull'effettiva importanza che il rito della sepoltura dei membri e

della pietas avessero all'interno di queste associazioni: come recita Marciano nel Digesto131, la

legge permetteva la formazione di associazione di tenuiores (poveri) nella quale fosse

obbligatorio versare una quota per la celebrazione funebre dei membri (il funeraticium); era

ovvio, quindi, che queste società sottolineassero questo aspetto per garantire al proprio statuto

l'aspetto della legalità.

Caso esplicativo è quello del collegio di Diana e Antinoo di Lanuvium, nato nel 133 d.C. come

collegio salutare (favorevole, portatore di salvezza) della famiglia imperiale: su una tavola

affissa nel peristilio del tempio in onore di Antinoo, a seguito della cospicua donazione fatta

dall'onorato dell'iscrizione (L. Caesennius Rufus, patrono e dictator del municipio e

quinquennale del culto di Diana e Antinoo), si decise la fondazione di un collegio dei poveri per

128 CIL XI, 4580, 4589.129 AE 1912, 92 = AE 1991, 382.130 AE 1956, 77 = AE 1958, 177.131 Dig., XLVII, 22, 1:“In summa autem, nisi ex senatus consulti auctoritate vel caesaris collegium vel

quodcumque tale corpus coierit, contra senatus consultum et mandata et constitutiones collegium celebrat.”

33

provvedere alla sepoltura dei membri, specificando come i membri si potessero riunire solo per

<<ut exitus defunctorum honestre prosequamur>>.

La lex collegi riserva una sezione alla procedura di sepoltura dei membri del collegio: prelevati

300 sesterzi, 50 vanno distribuiti durante la cerimonia, 60 come compenso per i tre membri

selezionati per curare il funerale e il resto per coprire le spese sostenute. Tutto ciò se la morte del

collegiato è avvenuta a 20 miglia dalla sede del collegio. Al contrario, se avveniva al di fuori da

questo simbolico perimetro, chiunque avesse sostenuto l'onere della spesa avrebbe ricevuto un

rimborso delle spese sostenute dalla stessa associazione. Se il defunto era uno schiavo e il suo

padrone non avesse voluto procedere alla sepoltura, veniva organizzato un funerale simbolico

(funus imaginarium).

Difficile risulta definire il concetto di tenuiores: è chiaro il riferimento alle classi povere o

comunque alle fasce di ceto medio-basso (“a rischio”), ma rimane evidente anche la condizione

di bassa professionalità che li caratterizza, insufficiente per aspirare all’inserimento in un

collegio di altro tipo.

I collegi che si venivano così a formare non erano esclusivamente votati all'ambito funerario:

sempre il giurista Marciano132 testimonia l'usanza dei tenuiores di riunirsi una volta al mese e

pagare una tassa mensile, non necessariamente legata ai funera. Lo scopo principale di questi

collegi poteva essere quindi la mutua assistenza, predisponendo anche i costi di una sorta di

assicurazione collettiva. Anche Plinio il Giovane133 quando parla, seppur in modo non molto

chiaro, degli eranoi di Amisus in Bitinia, ne descrive l'usanza di riunirsi per aiutare i più

bisognosi: in che modo, non lo sappiamo.

Questi collegi permettevano, quindi, di garantire occasioni di incontro sia collegiale che

conviviale, sostenere i membri in difficoltà: tuttavia non godevano di alcuna forma di privilegio

statale o riconoscimento sociale; vanno considerati semplicemente delle associazioni di carattere

privato.

Nonostante fossero vietate, sono comuni anche le associazioni tra soldati, il cui scopo è la mutua

assistenza, soprattutto alle famiglie, e la sepoltura dei caduti.

Uno dei più antichi è testimoniato nel castra di Lambesis134, Numidia, risalente al 203 d.C., dove

una iscrizione cita trentasei cornicines (suonatori di strumenti a fiato) della II legio Augusta Pia

Vindex che fondano una cassa comune, rimpinguata dalle tasse dei membri, ripartite in base al

132 Dig., XLVII, 22, 1.133 Ep.., X, 93.134 CIL VIII, 2557.

34

grado militare.

Comuni sono i collegia tra veterani, fondati da congedati in terra natia o nelle provincie dove

erano stati stanziati, con scopi principalmente religiosi e funerari anche se erano comuni, come

tra i veterani di Aquincum135 (Budapest), attività conviviali (convibium veteranorum).

Identica situazione per i collegia domestica di schiavi, nati per motivi di aiuto comunitario ma

anche su iniziativa del padrone, con l'intento di creare un culto ai propri Lari Familiari:

l'associazione degli schiavi di Q. Satrienus Pollio136; quelli della familia Iuliana137 di Roma

seppellivano i propri colleghi.

Nelle realtà maggiori, tuttavia, questi collegi acquisivano un’autorità superiore rispetto a molti

collegi di medio livello: è il caso dei servi della domus Augusta, con sede sullo stesso Palatino.

Nel caso dei collegi rurali, questi radunavano gli schiavi e i dipendenti del padrone, che favoriva

così il culto della propria gens, traendo grande guadagno ed autorità dalla sua nuova posizione di

patrono (generalmente non attribuita a tale carica). Lo stesso Plinio138 diventò patronus dei propri

mezzadri.

Esistono comunque dei collegi indipendenti: è il caso dei giardinieri di Mileto139.

A differenza delle grandi città, questi collegi non avevano i mezzi per crescere ed acquisire

l'importanza attribuita alle grandi associazioni urbane: sono infatti formati da umili mezzadri,

coltivatori, pastori, allevatori, coloni, schiavi e fattori, legati soprattutto al proprio proprietario

terriero nei suoi culti privati o nella preghiera delle divinità agresti, in particolare Silvano.

La lex familiae Silvani di Monteleone Sabino140, del 60 d.C., racchiude lo statuto di un collegio

rustico formato da schiavi, liberti e liberi che operavano nella stessa proprietà agricola, con al

vertice il magister di tale associazione, che doveva occuparsi di celebrare il culto del dio Silvano.

Coloro che partecipavano alle cerimonie in onore del dio non dovevano né in alcun modo turbare

l'ordine con litigi o risse né invitare estranei al collegio. Chi infrangeva queste regole poteva

essere espulso dal collegio, in modo da non provocare le autorità.

Chi fosse uscito dall’associazione avrebbe ricevuto un rimborso, prelevato dalla cassa comune,

mentre chi ritardava con il pagamento della tassa sociale o non partecipava ad un funerale di un

collegiale veniva multato.

135 AE 965, 43.136 CIL VI, 23548.137 CIL VI, 10257.138 Ep.., VIII, 2.139 AE 1904, 178.140 AE 1929, 161.

35

Per il funerale venivano versati, ma solo agli eredi designati, una somma di 560 sesterzi: il posto

lasciato libero dal defunto poteva essere occupato dall'erede designato nel testamento.

Bibliografia Principale

R. Ambrosino, 1939, pp 85.

G. Barbieri, 1971; p. 291.

B. Combet Farnoux, 1981, pp. 451-501.

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S. Gatti, 1996; pp. 253-258.

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J. P. Waltzing, 1895-1900, I, pp. 240-253; II, pp. 122-124, p. 148.

36

CAPITOLO II La Regio Octava e la via Aemilia

2.1 La Regio VIII: l'Aemilia

2.1.2 Le fonti geografiche

Le fonti letterarie che raccontano e descrivono la regione oggi denominata Emilia-Romagna

sono numerose e varie; oltre a testi specialistici di storici e topografi, si trova un nutrito gruppo

di opere di oratori, naturalisti e scrittori di commedie e satire che offrono, seppur in modo sparso

e frammentario, notizie di grande importanza.

Una delle descrizioni più attendibili del territorio, delle città e dei popoli che caratterizzavano

questa regione, proviene da un celebre passo della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio141: per

la regione delimitata dai fiumi Padus (il Po) ed Ariminus (il Marecchia) e dagli Appenini Plinio

fornisce l'elenco delle città, della fitta rete di fiumi e piccoli laghi e dei popoli qui insediatisi

prima dell’arrivo dei Romani e dopo la conquista ad opera dell’Urbe.

Degli autori in lingua latina, la descrizione puntuale e precisa di Plinio è l'unica ad esserci

pervenuta integralmente.

Una testimonianza ancora più lunga e dettagliata viene offerta dal V libro dell'opera Geographia

del greco Strabone142 (I sec. a. C.) in cui, dopo aver citato le maggiori popolazioni preromane

(Veneti, Celti, Liguri), si ricorda la presenza, principalmente nella zona occidentale della regione

(Parma), di vasti tratti paludosi lungo il corso del Po, ridotti tuttavia dall'opera di bonifica di M.

Emilio Scauro, attraverso la costruzione di canali navigabili.

I capitoli finali del libro ricordano in Cispadana l'originaria presenza di Celti (ormai scomparsi),

di Umbri e di Tirreni (ora frammisti ai Romani ma sempre evocati nella memoria degli abitanti).

Segue, infine, la lunga lista delle città e dei fiumi, l'elogio della ricchezza e dell'estensione delle

città, della numerosa popolazione e della sua fertilità che supera il raccolto e la produzione del

resto dell'Italia per qualità e quantità.

Della regione se ne era occupato, in precedenza, nel II sec. a. C., anche un altro grande autore,

sempre di origini greche: Polibio. Durante il periodo della vita che trascorse come ostaggio in

Italia, grazie alla sua amicizia con la famiglia degli Scipioni, godette di ampia libertà di

movimento, potendo così viaggiare lungo la penisola. Nel II libro delle sue Storie, viene dunque

141 Plin., Nat. Hist., III, 115-122.142 Strab., V, I, 4, 12.

37

proposto un quadro geografico143, seppur errato e semplicistico, della pianura padana, descritta

come <<superiore per fertilità ed estensione rispetto alle altre d'Europa>>144. Essa avrebbe avuto

forma triangolare: la base ricalcava la linea della costa adriatica fino a Sena Gallica (Senigallia),

mentre i lati erano invece costituiti da Alpi ed Appennini; nel punto di unione delle due catene, il

vertice dell'ipotetico triangolo, nasceva il Po che divideva in due parti la pianura145.

143 Pol., II, 4-II.144 Pol., II, 14, 7.145 Pol II, 14.

38

2.1.2 La conquista e la romanizzazione della regione

Gli studiosi concordano nel fissare al 295 a.C., anno della celebre “battaglia delle nazioni”

svoltasi nei pressi dell'antica Sentinum (Sassoferrato), l'inizio dell'avanzata romana in pieno

territorio cisalpino; le basi di tale operazione risalgono alla fondazione della prima colonia, di

diritto latino, di Rimini nel 268 a.C., dedotta a seguito della vittoria presso il lago Vadimone nel

283 a. C sulle popolazioni galliche, umbre ed etrusche della zona.

L'apertura di nuove ostilità da parte di un fronte rimasto per lungo tempo statico a seguito della

prima guerra punica, diede nuova vitalità alla conquista della pianura: fattisi promotori di una

coalizione celtica in funzione antiromana, i galli Boi, alleatisi con Insubri, Lingoni, Taurini e

Gesati (d'Oltralpe) condussero una spedizione attraverso la Cispadana e valicarono l'Appennino,

arrivando a saccheggiare larghe porzioni dell’Etruria fino all'altezza della città di Chiusi; qui

vennero però fermati al lago Talamone nel 225 a.C.

Ristabilito l'ordine, lo stesso vincitore del lago Talamone, Emilio Paolo fu il primo di una lunga

serie di comandanti romani che condussero campagne militari oltre l'Appennino e il Po: si

ricordano T. Manlio Torquato, Q. Fulvio Flacco, Caio Flaminio e M. Claudio Marcello.

Vinti successivamente gli Insubri, vennero fondate nei pressi del guado del Po le colonie gemelle

di Piacenza e Cremona nel 218 a.C., con l'obiettivo preciso di presidiare uno dei passaggi

obbligatori della pianura, collegamento tra Insubri e Boi, e mantenere una presenza stabile in un

progetto futuro di conquista della Transpadana.

La discesa nel medesimo anno dei Cartaginesi guidati da Annibale fornì ai Boi l'occasione ideale

per insorgere nuovamente contro la presenza romana: il passaggio del Po ad opera dei Punici, la

sconfitt del Trebbia e della Silva Litana (dove venne ucciso lo stesso console L. Postumio

Albinio), testimoniano l'iniziale incertezza e debolezza della risposta romana sul territorio

padano.

Sconfitto Annibale a Zama nel 202 a.C., ai Boi venne meno un alleato importante e furono

definitivamente sottomessi da Roma, a seguito di alcuni scontri culminati nella loro resa nel 191

a.C. Si concludeva, con la sottomissione dei Boi e la fondazione della città di Bononia nel 189

a.C., la conquista territoriale della Cispadana: pochi decenni dopo, lo stesso Polibio poteva già

personalmente testimoniare la sempre minore presenza delle popolazioni celtiche in pianura

padana, ormai espulse dalla regione o confinate in alcune limitate aree subalpine146.

Una volta riappacificato il territorio, nel 187 a.C., ebbero inizio i lavori di costruzione della via

146 Pol., Stor., II.35.4.

39

consolare Aemilia.

La guerra sociale, scoppiata nel 90 a.C. e combattuta da Roma contro i suoi alleati italici,

rappresentò un episodio ideale per la rifondazione dei centri della regione: le vecchie colonie

romane e latine vennero trasformate in municipia, ovvero in comunità di cittadini romani, con

amministrazione e magistrati autonomi. Tuttavia, i fora e i vecchi centri preromani dovettero

attendere ancora qualche anno prima di raggiungere questo traguardo.

Fu Lucio Cornelio Silla a perfezionare, a seguito della definitiva sconfitta dei propri rivali,

l'assetto amministrativo della regione, in particolare della zona orientale, assegnando ai nuovi

municipi parti del territorio di quelle città confinanti che avevano militato dalla parte mariana: è

il caso di Rimini, che dovette affrontare l'emergere di Cesena, o di Bologna, che vide crescere la

città di Claterna (oggi scomparsa) e Forum Cornelii (Imola), il cui nome ricorderebbe proprio

quello del dittatore.

Le guerre civili, prima tra Pompeo e Cesare, poi tra Ottaviano e Marco Antonio, portarono ad

una nuova colonizzazione con la confisca di proprietà degli oppositori del vincitore e la loro

ridistribuzione tra i propri veterani: lo scopo fu sia quello di affidare ai propri soldati terra da

coltivare per il proprio sostentamento, abbandonando così le armi, sia quello di attuare la

creazione di una classe cittadina leale. Furono molte le città a ricevere i soldati augustei: Rimini,

Bologna, Modena, Parma, Piacenza e Brescello, l’antica Concordia Brixillum, dedotta da

Antonio, Ottaviano e Lepido a seguito della vittoria sui cesaricidi nel 42 a.C.

In età augustea questo insieme di città e insediamenti, situati lungo la via Emilia, formarono un

territorio organico che prese il nome di Regio VIII, secondo la divisione della penisola italiana

operata dall'imperatore Augusto.

A partire dal I-II d.C., si può quindi dire che la romanizzazione politica ed istituzionale della

regione fosse conclusa; iniziò, dunque, un periodo di splendore e ricchezza rimasto inalterato per

i primi secoli dell'età imperiale.

Solo con il III secolo d.C. e l'inizio del declino dell'impero si accentuò la crisi economica, resa

ancora più difficile dalla concorrenza delle provincie, affrontata con l'accorpamento delle

proprietà in latifondi sempre più ampi e specializzati in determinate colture.

Nel IV d.C. molte città decaddero e furono completamente abbandonate (ne è esempio Claterna),

altre iniziarono a contrarsi in realtà sempre più ristrette, spesso gravitanti attorno a centri

religiosi: chiare appaiono le parole di Sant'Ambrogio che, durante un suo viaggio lungo la via

Emilia, parla di <<semirutarum urbium cadavera>>147.

147 Ambros., Ep., XXXIX, 3.

40

2.1.3 L'economia

Nel processo di espansione dei Romani in Italia settentrionale, la consapevolezza dei vantaggi

che avrebbe portato il possesso di un così ampio territorio era palese; di fatto l'economia

regionale, sviluppò nel tempo un sistema complesso, fondato essenzialmente su agricoltura,

allevamento e fabbricazione di manufatti.

Per quanto riguarda l'agricoltura è sempre Polibio, nel libro II delle sue Storie, a redigere un’

attenta descrizione socio-economica della regione: la ricchezza del terreno permetteva la

produzione in grandi quantità di grano e vino, mentre l'abbondanza di ghiande consentiva

l'allevamento del suino al punto da coprire il fabbisogno di carne sia dei cittadini che dell'intero

esercito148.

Proprio grazie a questa incredibile fertilità appaiono numerosissime le popolazioni che abitarono

questa pianura: in particolare, vengono ricordati i Lai (o Leci), i Lebeci, gli Insubri, i Cenomani,

i Veneti, gli Anari, i Boi, i Lingoni e i Senoni149.

I coloni romani, quindi, giunti nella regione nella prima metà del II secolo a.C., trovarono nel

settore dell'agricoltura e dell'allevamento un sistema già funzionante e collaudato.

Per uno sfruttamento più razionale del territorio si procedette poi alla complessa opera di

centuriazione, con la creazione di spazi agricoli razionalmente suddivisi in parti

geometricamente uguali, utile a trarre il maggior ricavo possibile.

Altre fonti letterarie ci indicano la specializzazione delle produzioni agricole di alcune città

emiliane: Plinio150 e Marziale151 elogiano la coltura degli asparagi nel ravennate, primi per gusto

e qualità; sempre Plinio152 descrive l'abbondanza delle viti del modenese che producono un uva

(detta “Perusina”) con grossi grappoli neri, dai quali si ottiene <<intra quadriennium albescente

vino>>153 .

Anche l'allevamento era ampiamente diffuso, principalmente nella zona occidentale della

regione: Strabone154, Columella155 e Plinio156 elogiano sia lo sviluppo dell'allevamento ovino che

l'ottima qualità della lana che si ricavava a Modena e a Parma.

148 Pol., II, 15-16.149 Pol., II, 16-17.150 Plin., Nat. Hist., XIX, 19, 42.151 Mart., XIII, 21.152 Plin., Nat. Hist., XIV, 4, 39.153 “Un vino che diviene bianco dopo quattro anni di maturazione”.154 Strab.,V, 1, 12, 218.155 Col., VII, 2, 3.156 Plin., Nat. Hist., VIII, 73, 190.

41

Nella zona orientale, soprattutto nelle aree collinari, è celebre la produzione di formaggi, come

quello di Sarsina, testimoniato da Silio Italico157, Plinio158 e Marziale159.

Per quanto riguarda l'ambito manifatturiero, le fonti epigrafiche ci testimoniano un universo

vitale e assai attivo, con un complesso sistema di produzione, scambio e vendita di ogni genere

di bene di consumo, colla presenza di artigiani dai più comuni, come il semplice lanius, a quelli

di lusso come l'aurifex.

Oltre alla produzione della lana, anche la sua lavorazione - fase testimoniata dal gran numero di

pesi da telaio rinvenuti - e la commercializzazione su larga scala sono elementi ben presenti e

documentati nelle fonti e nell'epigrafia, soprattutto funeraria, della regione: fanno capo alle

numerose menzioni dei tonsores, vestiarii160, sagari161, fullones162, purpurarii163, lanarii

pectinatores e carminatores164 che operavano sul territorio.

Altre epigrafi documentano attività strettamente legate alla lavorazione dei metalli, seppur sia

nota la scarsità di resti archeologici. Fra gli artigiani specializzati compaiono un aerarius165

(lavoratore del rame e delle sue leghe in tutte le sue forme), un faber anularius166 (fabbricante di

anelli) ed un aurifex167 (lavoratore dell’oro e produttore di beni di lusso).

Ampia diffusione ebbero oggetti in metallo di ben più largo impiego: pentole di rame e oggetti di

bronzo, stagno, ferro, piombo come candelabri, lucerne, bilance, pesi, strumenti per la

misurazione, serrature, chiavi, borchie, campanelli, oggetti decorativi e di uso quotidiano hanno

caratterizzato una produzione attiva e presente, anche se di utilizzo principalmente locale.

Seppur scarsa e carente di informazioni archeologiche, la lavorazione della pietra era un’attività

praticata a livello architettonico (balauste, colonne, pavimentazioni), decorativo (tavole,

lampade, vasche) ed artistico (principalmente statue); sono testimoniati: fabri lapidarii168

(tagliatori di pietra), marmorarii169 (lavoratori del marmo) e statuarii (scultori).

Ad avere grande importanza nell'economia della regione fu la produzione fittile, grazie alle

157 Sil. It., Pun., VIII, 461.158 Plin., Nat. Hist., XI, 97, 241.159 Mart., I, 43, 7.160 CIL XI, 6839.161 G. A. Mansuelli, 1941, pp. 89-97, n.9.162 A. Santarelli, 1878, pp. 155-156.163 CIL XI, 1069a.164 CIL XI, 1031.165 CIL XI, 1234.166 G. Ghirardini, Not. Sc. Ant., 1921, p. 34, n.6.167 G. Soffredi, G. Susini, 1966, p. 189, n. 20.168 CIL XI, 6838.169 CIL XI, 961.

42

abbondanti materie prime offerte dai banchi di argilla alluvionale e dall'abbondanza di acqua e

legname: già gli Etruschi seppero sfruttare al meglio questa situazione, dato i resti di grandi

centri produttivi a Marzabotto e a Bologna, mentre i Romani riuscirono a trasformare questa

produzione in una delle principali attività dell'Italia settentrionale, soprattutto a causa della scarsa

reperibilità della pietra.

Già dal II sec a.C., si può osservare, come attestato dall'iscrizione di un mattone, una produzione

locale di questo genere a Cesena170. Tuttavia, a predominare saranno le piccole fornaci, sorte

principalmente su proprietà rurali e dedite alla manifattura di vasellame di uso quotidiano.

170 G. Susini, 1965, pp. 3-9.

43

2.2 La via Aemilia

2.2.1 Le fonti storiche

Sull'importanza di questa strada numerose sono le notizie che si ricavano dagli autori antichi.

Sulle finalità riposte dal console M. Emilio Lepido nella realizzazione della via Aemilia informa

con chiarezza Livio: <<viamque a Placentia, ut Flaminiae committeret, Ariminum

perduxit>>171.

Alcuni dati si possono ricavare dalle parole di Polibio172, che percorse di persona la via; da

Appiano173, che descrive la battaglia tra Mariani e Sillani svoltasi a Faenza nell’ 82 a.C.; da

Tacito174 che cita lo scontro di Cremona tra Vitellio e Otone nel 69 a.C. e le successive

rappresaglie di Modena, Brescello e Piacenza; o ancora da Procopio175, che descrive come nel

552 d.C. i Goti avessero tentato di ostacolare i movimenti dell'esercito bizantino cercando di

abbattere il ponte di Tiberio a Rimini. A informarci sui dati tecnici è Strabone176 che indica sia la

lunghezza della strada, calcolata dal Rubicone, di 1300 stadi (circa 230 chilometri) sia le città e i

corsi d'acqua che la via attraversa. Ancora altri dati importanti provengono dai testi che

descrivono la viabilità in epoca romana, in particolare l'Itinerarium Antonini (di III sec. d.C) e la

successiva Tabula Peutingeriana, testo medievale ricopiato da un manoscritto cartografico della

stessa età dell'itinerario.

Entrambe queste opere segnalavano ai viaggiatori del tempo la rete viaria, la posizione e la

distanza delle città, oltre che le eventuali stazioni poste sul tragitto.

La via Aemilia è inoltre descritta nell'Itinerario Burdigalense, di età costantiniana: si tratta di un

percorso compiuto da un gruppo di cristiani da Burdigala (l'attuale Bordeaux) a Gerusalemme;

durante il viaggio di ritorno, decisero di visitare i luoghi sacri della città di Roma, dovendo poi

percorrere necessariamente la via consolare per ritornare in Gallia.

Non bisogna poi dimenticare le fonti epigrafiche, soprattutto quelle rappresentate dai miliari,

grandi cippi di pietra posti lungo le maggiori vie di comunicazione a un miglio (1476 m) l'uno

dall'altro, recanti le informazioni sul magistrato o imperatore che aveva costruito o rinnovato la

strada, e con l'indicazione delle distanze tra le varie città: ne sono esempi i cippi del costruttore

171“…condusse la via da Piacenza a Rimini, per collegarla alla Flaminia”.172 Pol., II, 35, 4.173 App., Civ., I, 91.174 Tac., Hist., II, 17-45.175 Proc., B. C., IV, 28.176 Strab., V, I, 11-12.

44

M. Emilio Lepido177 trovati a Castel San Pietro e a Borgo Panigale, oppure quelli dell'imperatore

Augusto178, rinvenuti a San Mauro Pascoli e sempre a Borgo Panigale.

177 CIL XI, II, 6641, 6642, 6645.178 CIL XI, II, 8103.

45

2.2.2 La fondazione e la storia

Debellata l'ultima tribù gallica ostile (i Boi) per il predominio della pianura Padana nel 187 a.C.

ebbero inizio i lavori di costruzione della via Emilia: edificata in soli due anni su ordine del

console Marco Emilio Lepido, che proprio secondo l'antica usanza diede il nome alla via, questo

importante asse mise in comunicazione Ariminum (terminale della via Flaminia, diretta verso

Roma) e Placentia (crocevia con la via Postumia, Genova – Aquileia).

Delineata seguendo antichi sentieri protostorici, la via Emilia correva in una una zona a ridosso

degli Appennini emiliano-romagnoli: un questo modo il manto stradale si trovava poco più

sollevato rispetto alla bassa pianura, soggetta a continui allagamenti e ricca di zone acquitrinose

e malsane.

Utilizzata principalmente in funzione militare, mantenne per lungo tempo il compito di limes di

un area presidiata costantemente e che rimase per diverso tempo turbolenta: le popolazioni

galliche che abitavano la zona mal sopportarono un così imponente sforzo di colonizzazione in

quello che era stato il loro territorio. Doveva quindi essere continua la situazione di aperta

ostilità nei confronti dei coloni romani, spesso sfociata in continue opere di disturbo e guerriglia.

Proprio per mantenere un controllo rigido del territorio furono fondate lungo il tracciato della via

un grande numero di nuove città romane: centri urbani precedenti all'azione di Roma che

ricevuto un nuovo impulso dall’asse stradale, conobbero un nuovo periodo di espansione e

crescita (è il caso di Caesena\Cesena); centri prettamente commerciali o con funzione di servizi,

i “fora”, i quali ottennero la nomina a municipia aggiungendo poi, a titolo onorifico, il nomi dei

magistrati romani che ne avevano permesso la promozione (“Forum Popili”, probabilmente dal

console Publio Popilio Lenate, “Forum Lepidi”, dallo stesso costruttore della strada, Marco

Emilio Lepido) e nuove fondazioni che recavano nomi di radice ben augurali (Faventia\Faenza,

Fidentia\ Fidenzia).

Nacquero poi un gran numero di punti di sosta lungo il tragitto stradale, utili ai viaggiatori per

ristorarsi e pernottare.

Bibliografia principale

1) G. Brizzi, 2000, pp. 19-24.

2) N. Giordani, 2000, pp. 352-3533) V. Cicala, A. Donati, G. Susini, 2006, pp. XXIII-XXVIII.

4) L. Quirici, 2000, pp 75-77.

46

CAPITOLO III Schede delle Epigrafi

3.1 ARIMINUM

La valle del fiume Marecchia è sempre stata, fin dalla Preistoria, zona di intensi scambi

per le popolazioni dell'interno e in particolare per la città di Verucchio che, con l'accesso al mare

Adriatico, divenne un importante crocevia verso l'Etruria e le popolazioni orientali del mar Egeo.

Alla fine del VII secolo a.C., con il lento declino del centro villanoviano, il fulcro degli scambi

iniziò a spostarsi sulla costa, in particolare nei pressi della foce del fiume Ariminus, odierno

Marecchia.

Proprio qui, nel 268 a.C., fu fondata la colonia di diritto latino di Ariminum, ove furono inviati

6000 cittadini romani con le loro famiglie.

La scelta di questa nuova fondazione non fu casuale ma dettata da funzioni di controllo

territoriale per tenere separate le tribù galliche, Boi a Nord e Senoni a Sud, e avere così un

avamposto verso la pianura padana, futura terra di conquista per Roma.

Col tempo divenne anche un importante porto militare e una solida base per intraprendere

spedizioni verso le coste dell'Illirico (Durazzo e Apollonia).

Fortemente legata alle proprie origini romane, e sostenendo come città alleata Roma durante la

seconda guerra punica, fu sempre schierata a favore del partito dei populares, parteggiando

prima per Mario, durante le guerre sociali del I sec. a.C., per poi legarsi a Cesare, guadagnandosi

così l'amicizia della dinastia Giulio-claudia che attuò, a più riprese, grandi opere di

monumentalizzazione della città.

Primo esempio di questo fervido periodo di espansione fu la costruzione, nel 27 a.C dell'Arco di

Augusto, che andava a sostituire l'antica porta urbica, collegamento tra la città e la via Flaminia.

L'Arco, finemente decorato con gruppi statuari, insegne di potere (con ovvi fini propagandistici)

elementi militari e marittimi, rivela il suo compito celebrativo con la dedica epigrafica dell'attico,

posta dal Senato romano in ricordo dei lavori di manutenzione operati dall'imperatore sulla via

consolare. Il diretto intervento dell'imperatore è attestato inoltre nel rifacimento della via Aemilia

che testimonia la grande attenzione riservata da Augusto alla zona, espressa anche con la

lastricatura delle strade interne della città (promossa dal figlio adottivo Gaio Cesare179), il

rifacimento del sistema fognario, la bonifica di alcuni quartieri e la costruzione del ponte lapideo

sopra la fossa Patara .

Sempre all'interno di un programma di rappresentanza, inteso a riqualificare l'immagine urbana,

179 CIL XI, 366.

47

vennero realizzati, sul fianco occidentale del Foro, un teatro in opera laterizia e un sacello

dedicato a Giove Dolicheno180, contrapposti ad un arco monumentale sul lato orientale.

A completare questa trasformazione fu l'inaugurazione, nel 21 d.C, del ponte di Tiberio: iniziato

nel 14 d.C. da Augusto, ma completato dal figlio adottivo, si compone di una struttura a 5 arcate

in marmo di Istria, ricoprendo, assieme all'Arco di Augusto, il compito fondamentale di

enfatizzare e caratterizzare in senso simbolico le principali vie di accesso della rinnovata colonia

augustea.

Anche i successivi interventi, in epoca imperiale, non sono però stati da meno: significativo

doveva essere l'acquedotto realizzato sotto Domiziano; così ancora si intuisce l'importanza

dell'anfiteatro in laterizi e cemento, di grandi dimensioni lungo il litorale marino, realizzato nel II

secolo d.C. in seguito alla necessità di adeguare i servizi civici alle nuove esigenze della

comunità, in continua espansione.

Se Rimini conobbe durante tutto l'arco del periodo imperiale un notevole sviluppo economico,

visibile appunto nei suoi monumenti, a partire dal III sec. d. C., le uniche opere pubbliche furono

principalmente di tipo difensivo, con Gallieno ed Aureliano, atte solo in parte a limitare le

scorribande delle varie tribù barbariche (in particolare ad opera degli Alamanni) che

saccheggiavano l'Italia.

In età tardo-antica si registra un nuovo periodo di prosperità dettato principalmente dal

trasferimento della capitale a Ravenna e dalla nomina della città a sede del concilio indetto nel

359 d.C. da Costanzo II con l'obiettivo di condannare l'arianesimo.

Tuttavia, neppure Rimini poté sottrarsi al declino che interessò l'intera penisola italiana,

determinato dalla fine dell'impero romano d'occidente e dalla sua successiva frammentazione.

Per quanto concerne il patrimonio epigrafico, Rimini presenta un esteso compendio di testi che

rispecchiano la sua fervente attività commerciale, legata alla funzione di fondamentale crocevia

tra la via Emilia (diretta a Piacenza) e la via Flaminia (collegata con Roma).

Dai resti delle necropoli sviluppatesi, come era pratica comune, lungo queste importanti vie di

comunicazione, si può desumere la composizione delle varie classi sociali che popolavano la

città, classi che, tra le più facoltose, hanno permesso la raccolta di un grande quantitativo di dati,

in una città che ha restituito il più altro numero di informazioni per quanto riguarda l'edilizia

privata (soprattutto di lusso), con testimonianze databili fin dall'età repubblicana;

L'esempio più conosciuto, luogo di molte scoperte per gli studiosi, è sicuramente la domus del

chirurgo, presso l'odierna piazza Ferrari: gli scavi hanno portato alla luce un complesso edilizio

di elevata qualità, compatto e funzionale, perfetto per il proprietario (il chirurgo di origini

180 CIL XI, 6788-6789.

48

elleniche Eutyches) per esercitare il mestiere di medico, con ambulatorio e spazi adibiti alla

degenza dei pazienti. Il reperto più interessante rinvenuto è una collezione di ben 150 strumenti

chirurgici: questi, per numero e tipologia, dimostrano l'origine militare delle conoscenze del

chirurgo.

La vita dell'edificio ebbe un tragico epilogo quando, attorno alla metà del III secolo d.C., un

devastante incendio distrusse l'intero complesso salvaguardando, tuttavia, oltre all'alto numero di

reperti, i fastosi e numerosi mosaici che ne ricoprivano i pavimenti.

Bibliografia

1) J. Ortalli, Rimini: la città, pp. 501-506.

2) M. G. Maioli 2000, pp. 507-509.

3) J. Ortalli, Rimini: la domus del chirurgo, pp. 512-519.

49

3.1.1 I testi epigrafici

1)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, chiesa di San BartolomeoLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 377

Testo:C(aio) Cornelio / C(ai) f(ilio) Quirin(a) / Felici Italo / iurid(ico) per Flamin(iam) / etUmbri[am] leg(ato) / prov(inciae) Achaiae praet(ori) / [t]r(ibuno) pl(ebis) quaest(ori) prov(inciae) Sicil(iae)/ patrono coloniae / vicani vicorum VII et / co[ll]eg(ium) fabr(um) cent(onariorum) dendr(ophororum) / urb(is) iuridicatus eius ob eximiam / moderationem et in sterilitate /annonae laboriosam erga ipsos fidem / et industriam ut et civibus anno[n(am)] / superesset et vicinis civitatibus / subveneretur / l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum)

Commento:

L'epigrafe, andata perduta, fa riferimento a Caio Cornelius Felix Italo, figlio di Caio della tribù

Quirina, e al suo cursus honorum: iuridicus della Flaminia e dell'Umbria, legato della provincia

di Acaia, pretore, tribuno della plebe, questore della provincia di Sicilia.

L’epigrafe è di tipo onorario e menziona il suo ruolo di patronus coloniae; è posta a cura dei

vicani dei sette vici (i borghi che formavano la città) e del collegio cittadino dei fabri, dei

centonari e dei dendrophori.

Il personaggio elogiato per la grande moderazione (eximia moderatio) dimostrata durante

l'incarico di giudice e la sua fattiva vicinanza (laboriosa fides et industria) nei momenti difficili,

come la carestia di raccolti (sterilitate annonae), con la quale ha operato a favore anche dei

cittadini delle città vicine.

50

L'abbreviazione finale l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum) indica che questa epigrafe è stata

eretta in un luogo concesso per decreto dei decurioni, il senato cittadino, sottolineandone così il

carattere pubblico.

Bibliografia

A. Donati, 1967 p. 28, nr. 39.

51

2)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, porta di Sant'AndreaLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae:ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 378

Testo:L(ucio) Faesellio / L(uci) filio An(iensis) / Sabiniano / proc(uratori) I[m]p(eratoris) Anton(ini) / Aug(usti) Pii [pr]ov(inciae) Pan(noniae) inf(erioris) / proc(uratori) XX [he]r(editatium)region(is) / Campan(iae) Apu[l(iae)] Calabr(iae) / [e]quo publ(ico) Aug(usto) IIIvir(o) / IIvir(o)quinq(uennali) [f]la[m(ini)] / patron(o) col(oniae) / colleg(ium) [c]enton(ariorum) / patron[o] opt[im(o)] et rarissim(o) / honor(e) acce[pt(o)] impens(am) remiss(am) / l(ocus) d(atus) d(ecreto)d(ecurionum)

Commento:L'epigrafe si riferisce a Lucio Faesellius Sabinianus, figlio di Lucio, della tribù Aniense (quindi

originario della città di Rimini), con indicazione delle relative cariche da lui conseguite:

procuratore, sotto l'imperatore Antonino Pio, della provincia della Pannonia Inferiore,

procuratore della XX (vigesima) hereditatium (tassa sulle eredità) per Campania, Puglia e

Calabria. Fu nominato cavaliere (equus publicus) dall’imperatore.

Ricoprì, inoltre, importanti incarichi politici e religiosi nella sua città (tresviro, duoviro

quinquennale, flamine), tanto da esserne eletto patrono. I suoi meriti e le sue qualità lo fanno

definire optimo et rarissimo da parte del collegio dei centonari che onora con questa iscrizione il

suo patronus.

Il terreno venne concesso (come nel caso precedente) per decreto dei decurioni e l'iscrizione fu

eretta a spese dell'onorato.

Dato che viene indicato il nome dell'imperatore sotto il quale ricoprì alcuni incarichi, la

52

datazione si restringe ad età antonina, ovvero attorno alla metà del II secolo d.C.

Bibliografia

1) A. Donati 1967 p. 30, nr. 44.

2) A. Donati 1981 p. 24.

3) H.-G. Pflaum 1960, p. 362, nr. 153.

53

3)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, chiesa di San BartolomeoLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae:ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus: Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00379

Testo:C(aio) Faesellio C(ai) f(ilio) An(iensis) / Rufioni eq(uo) publ(ico) L(aurenti) L(avinati)cur(atori) rei p(ublicae) Forodr(uentinorum) patr(ono) col(oniae) Arim(inensium) itemq(ue) vicanorum vicorum VII / et coll(egiorum) fabr(um) et cent(onariorum) optimo etrarissimo civi quod liberalitates / in patriam civesque a maioribus suis tributas exemplis suis supe/raverit dum et annonae populi / inter c[e]tera beneficia saepe subvenit et praeterea singulis / vicis munificentia sua HS XX(milia) n(ummum) ad / emptionem possessionis cuius de / reditu die natalis sui sportular(um) / divisio semper celebretur / largitussit ob cuius dedicationem / HS n(ummum) IIII vicanis divisit / vicani vici Dianensis // Proseri

Commento:L'epigrafe è dedicata al cavaliere Caio Faesellius Rufio, della tribù Aniense (Rimini), che ricoprì

la carica sacerdotale di Laurens Lavinas. Fu curator rei publicae (amministratore straordinario)

del centro di Forum Druentinorum (forse l'odierna Bertinoro, in provincia di Forlì-Cesena),

patrono della colonia di Rimini e onorato dai vicani dei sette vici e dai collegi dei fabri e dei

centonari.

Viene ricordato come optimo et rarissimo cittadino, poiché con i suoi esempi superò le

elargizioni verso la patria e verso i cittadini dispensate dai suoi antenati; inoltre provvide

all'annona del popolo, donò ad ogni singolo vicus 20.000 sesterzi per l'acquisto di un podere, i

cui proventi dovevano essere utilizzati per celebrare, nel giorno del suo compleanno, una

distribuzione di donativi, compresi 4 ulteriori sesterzi per vicus.

L'epigrafe termina con l'indicazione di chi pose il monumento: gli abitanti del vicus Dianensis.

54

Nonostante la somiglianza del nome con il protagonista dell'epigrafe precedente (Lucio Faesellio

Sabiniano) non possiamo conoscere eventuali legami di parentela: certamente non erano né

padre e figlio né fratelli, dato che prenomi e patronimici sono differenti.

Sul retro è presente il signum, ovvero il soprannome, Proseri.

Bibliografia

1) A. Donati 1967, p. 29, nr. 43.

2) A. Donati 1981, p. 25.

3) S. Mrozek 1968, pp. 161-162.

4) F. Jacques 1983, pp. 316-318.

55

4)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, parrocchia di Santa Maria in CerretoLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: alt.: 0.18 m lat.: 0,20 m crass./diam: 0,03 m Status tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00381

Testo:honorif[icentissimae] / feminae / Faeselli Ru[fi / possession[em(?) / collegi[i]

Commento:L'epigrafe, breve e frammentaria, fa riferimento a una matrona (feminae), della quale però non

conosciamo il nome ma che viene ricordata come “honorificentissimae”.

La menzione del probabile marito Faeselli Rufi può indicare un’appartenenza della donna alla

gens Faesellia, importante famiglia di rango equestre del riminese e in particolare potrebbe

trattarsi della consorte del personaggio menzionato in CIL 11, 379.

Bibliografia

1) F. Cenerini 1983, p. 28, nr. 6.

2) G. A. Mansuelli 1941, p. 34.

3) F. Jacques 1983, pp. 316-318.

56

5)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, chiesa di Sant'AndreaLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: completusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio:honorariusVirorum distributio:ord. mun.Editiones: CIL 11, 00385

Testo:L(ucio) Betutio L(uci) f(ilio) / Pal(atina) Furiano / p(rimo) p(ilo) leg(ionis) I Ital(iae) IIviro quinq(uennali) IIvir(o) i(ure) d(icundo) IIIvir(o) / aedili cur(uli) pontif(ici) / flamini divi Nervae patrono colon(iae) / colleg(ium) centonarior(um) / amantissimo patriael(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum)

Commento:In questa iscrizione viene ricordato Lucio Betutius Furianus, figlio di Lucio, della tribù Palatina.

Oltre ad una brillante carriera militare, che lo portò ad essere centurione primipilo nella I legio

Italica, ricoprì importanti cariche all'interno del contesto riminese: fu duoviro quinquennale,

triumvir, edile curule, pontefice e flamine del divus Nerva, carica di grande prestigio, in quanto si

trattava di un sacerdozio col compito di celebrare il culto dell'imperatore divinizzato.

Onorato dal collegio dei centonari, fu talmente apprezzato da essere nominato patrono della città

e amantissimo patriae. Difatti, Rimini non sembra essere la sua patria originaria, dato

l’appartenenza a una tribus diversa (Palatina), ma le sue opere e i suoi contributi alla città

sembrano essere tali da avergli permesso di acquisire la cittadinanza onoraria.

Ricorre nuovamente la formula ufficiale l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).

Il riferimento all'imperatore Nerva induce a datare il testo ai primi anni del II sec d.C.

Bibliografia

1) A. Donati, 1967 p. 27, nr. 37.

2) F. Cenerini, 1982 p. 39 n. 44.

3) G. A. Mansuelli 1941, pp. 36-38.

57

6)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, arco trionfale nei pressi della chiesa di San Bartolomeo Locus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: completusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00386

Testo:L(ucio) Betutio L(uci) f(ilio) | Pal(atina tribu) Furiano, | (primo)p(ilario) leg(ionis)(primae)Ital(icae), (duo)vir(o) | quinq(uennali), (duo)vir(o) i(ure) d(icundo),(tres)vir(o), | aedil(i)cur(uli), pontif(ici), | flamini divi Nervae, | patrono colon(iae),| colleg(ium) fabr(um) | amantissimopatriae L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).

CommentoRitroviamo una seconda volta il primipilo Lucio Betutio Furiano (confronta CIL 11, 00385);

questa volta, però, viene menzionata un’ altra importante associazione riminese che si fa

promotrice della dedica: il collegium fabrum.

Si riferisce a questo personaggio anche un altro frammento scoperto durante le opere di scavo nei

pressi dell'anfiteatro cittadino, che contiene le prime lettere del nome e della carica militare.

Bibliografia

1) G. A. Mansuelli 1941, pp. 36-38.

58

7)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, Porta di Sant'AndreaLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00405

Testo:Aureliae/| Calligeniae/ Titi Sabiniani / equitis romani/ pudicissimae /honorificentissimaeq(ue) / feminae / coll(egium) fab(rum) splendidissimae / civitatis Ariminensium| ob munificentiam in se | [ab u]trisq(ue) conlatam. L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).Dedicat(a) idib(us) Jan(uariis) | Q(uinto) Sossio Prisco Senecione | P(ublio) Coelio Apollinare co(n)s(ulibus), | cuius dedicat(ione) sing(ulis) d(e)d(it) (sestertios) n(ummos) IIII.

Commento:Aurelia Calligenia, moglie del cavaliere Titus Sabinianus, viene ricordata con parole lodevoli dal

collegio dei fabri di Ariminum che la definisce pudicissimae honorificentissimaeq(ue) feminae.

Il motivo dell’onore è la generosità (munificentia) della moglie e del marito verso questo

collegio.

Precisa è la datazione: le Idi di gennaio dell'anno del consolato di Q. Sossius Priscus Senecio e P.

Coelius Apollinaris, ovvero il 13 gennaio 169 d. C.

Bibliografia

1) G. A. Mansuelli 1941, pp. 34 e 38.

59

8)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, Porta S. BartoliLocus adservationis:ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae:?Status tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. Mun.Editiones: CIL 11, 00406

Testo:Q(uinti) f(ilio) An(iensi)/ L(ucio) Ba[--- f(ilio) An(iensi)? /[---] (duo)vir(o) Val[---]/ / [---qua]estori Luperc(o), Laurenti Lavinati, ---]/(duo)vir(o), (tres)vir(o) aed(ili), p[ont(ifici)---]. [---e]t colleg(ia) fabr(um) et centona[rior(um)] / [--- ob ra]ram fid[em e]t industrimam [--- / ---].

Commento:L’epigrafe è composta da tre frammenti che, accostati, formano il monumento in onore di duemagistrati riminesi.I nomi, causa le condizioni della lastra, sono frammentari: il primo, figlio di Quinto, erasicuramente riminese per la menzione della tribù Aniensis. Ricoprì un’alta carica amministrativa,il duovirato, partendo dagli inizi del cursus, ovvero dalla questura.Il secondo presenta invece un numero maggiore di informazioni: membro del rango equestre conappartenenza ai collegi religiosi dei Luperci e dei Laurenti Lavinati, ricoprì le cariche di duovir,tresvir, aedilis e pontefice.Nella parte finale, che accomuna le due iscrizioni, compaiono alcune qualità dei protagonisti,degne di nota (raram fidem et industriam) e l'indicazione dei dedicanti: i collegi dei fabri e centonari,più una terza entità, probabilmente ivicani.

Bibliografia1) A. Donati 1981, p. 76-77

60

9)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, Porta S. BartoliLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus: Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00418

Testo:C(aio) Sentio C(ai) f(ilio) / Pal(atina) Valerio / Faustiniano / IIviro IIIviro augur(i) / vicanivicorum VII / collegia fabr(um) et / centonar(iorum) / ex aere conlato / quod in honoreIIviratus / industriae administrato / omnibus plebis desideriis / satisfecit / l(ocus) d(atus)d(ecreto) d(ecurionum)

Commento

Caio Sentius Valerius Faustinianus, figlio di Caio, della tribù Palatina, e quindi non originario di

Rimini, ricoprì importanti cariche amministrative come il duovirato e il tresvirato, venendo

onorato dai vicani dei sette vici e dai collegi dei fabri e dei centonari poiché, durante il

duovirato, operò con industria, riuscendo a soddisfare le necessità di tutti i cittadini (omnibus

plebis desideriis satisfecit).

Bibliografia

1) A. Donati 1967, p. 31 n. 52;

2) F. Cenerini 1982, pp. 40-41 n. 51.

3) G. A. Mansuelli 1941, p. 38 e p. 49.

61

3.2 FAVENTIA

L'insediamento di Faenza deve le sue origini, come altri centri della via Emilia, al fatto di

essere un importante crocevia commerciale, tra la via pedemontana costituita dalla via Emilia e

dallo sbocco in pianura della valle del fiume Lamone.

L'area venne già utilizzata dalle popolazione arcaiche come importante centro di scambi,

collegando

la costa dell'area ravennate con l'entroterra tirrenico (in particolare l'Etruria settentrionale):

questo stesso percorso verrà poi denominato “via Faventina” dai romani.

L'insediamento romano nacque alla fine del III secolo a.C., come attestato da Silio Italico181, ma

rimangono comunque incerte le notizie sulla sua fondazione: a parere di alcuni questa si colloca

fra il momento in cui comincia la colonizzazione del territorio in precedenza occupato dai Galli

(173 a.C.) e la metà dello stesso secolo, quando lo storico greco Polibio, visitando la regione al

seguito dell’amico Scipione l’Emiliano, la descrive in pieno fervore edilizio. Sicuramente al

momento della realizzazione della strada consolare da parte di Emilio Lepido (187 a.C.) il centro

esiste già, visto che la stessa via consolare ne costituisce il decumano massimo (attuale corso

Mazzini-Saffi). Il cardine massimo, invece, sembra seguire l'andamento di via Garibaldi.

La città era definita a occidente da un canale artificiale, spostato di circa 5-6 metri nel rettifico di

via Cavour-corso Baccarini; al di là di questo limite i reperti diventano sempre più rarefatti per

determinare, poi, centri di tipo rustico, come quello, risalente al I-II sec. d.C., in via Cantoni e

corso Mazzini. Il limite est è segnato da via Mura Mittarelli, come l'abitato odierno, data

l'impossibilità di reperire notizie più precise. La città, quindi, delimitata dal fiume Lamone ad est

e dal canale artificiale ad ovest, poté espandersi verso settentrione, anche se il perimetro in

questa direzione rimane ancora non ben definibile.

L'apparato viario odierno sembra rispettare quello romano antico ma rimane comunque difficile

l'individuazione del numero, la disposizione e la tipologia degli edifici: solo negli isolati centrali,

a seguito degli scavi di palazzo Pasolini ad ovest del cardine massimo, è stato possibile

ricostruire il loro orientamento lungo i cardini. Medesimo risultato negli scavi dell'area dell'ex

palazzo Grecchi, dove i resti di due domus convalidano questa tesi.

Le scarsissime testimonianze di abitazioni private permettono solo di avanzare alcune

supposizioni: si sa che un nucleo abitato esisteva già prima della costruzione della via Emilia,

come colonia all'interno del territorio gallico e sappiamo che, come tutte le grandi città della

regio VIII, subì l'opera di ampliamento a cura di Augusto, seppur siano maggiori le

181 VIII, 595.

62

ristrutturazioni di edifici già esistenti che le vere e proprie edificazioni. Certa, inoltre, era la sua

importanza come polo di rifornimento della flotta romana stanziata a Classe (Ravenna) durante

l'età augustea.

Anche per gli edifici pubblici le fonti sono poche: il foro, come tradizione, era posto all'incrocio

tra cardo e decumano massimi e, poco distante, erano posti due grandi edifici dei quali si

conservano solo alcuni frammenti di frontoni, colonne e resti scultorei (come il “dito” di una

grande statua, rinvenuto in via Costa e alcuni resti di rilievi e trabeazione di piazza del Popolo 8,

dove è stato localizzato un grande impianto termale).

Scarti di fornaci ed elementi per la cottura della ceramica fanno supporre una officina artigianale,

come la grande fornace in via Sant'Agostino all'incrocio di via Varani o quella di via Comandini

7. Due officine per la produzione dei laterizi erano poste in corso Mazzini 105 e viale Stradone,

rispettivamente nella zona occidentale e sud-occidentale della città.

Poco o nulla rimane delle elogiate produzioni di lino, testimoniate da Plinio182.

Probabile la presenza di salgarii, anche se rimangono dubbie le prove di una loro attività.

Le necropoli si estendevano all'esterno della città, lungo le maggiori direttrici e in particolare la

via Emilia, che ha restituito i maggiori esempi di stele funebri.

Bibliografia

1) C. Guarnieri, 2000, pp. 471-475.

182 Plin., Nat. Hist., XIX, I, 9.

63

3.2.1 I testi epigrafici

1)

Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: FaventiaUrbs nostrae aetatis: Boncellino di BagnacavalloLocus inventionis:Locus adservationis:erum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisMensurae: ignoraturScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord.munEditiones: AE 1957, 0138.

Testo:D(is) M(anibus) / G(aio) C(---) Mansuanio Con= / sortio omnib(us) decu= /rionalibusornament(is) / decorato IIIIviro q(uin)q(uennali) pat(rono) / collegiorum fab(rum) etd(en)d(rophorum) procu= / ratori iuvenum Ioviensium / qui suis inpendis cuncta curiae / suaeconcessit qui vixit ann(os) LX / m(enses) / XI d(ies) XV (h)o(ras) II / filios V nepo(tes) IIIIlib(ertos) II / fili patri karissimo

Commento

Iscrizione su lastra di marmo decorata con una figura di cantharus (coppa per il vino),

reimpiegata per una tomba di epoca successiva.

Protagonista dell'epigrafe è un Gaius C. (il nomen è mancante) Mansuanius Consortius, decorato

con gli ornamenta decurionalia. Fu quattrovir quinquennalis, patrono dei collegi dei fabri e dei

dendrophori, procuratore iuvenum Ioviensium.

La lastra fu posta a proprie spese dall'onorato, ma su concessione della curia.

Viene indicata sia l'età del defunto (60 anni, 11 mesi, 15 giorni, 2 ore) che la consistenza della

sua famiglia: 5 figli, 4 nipoti e 2 liberti.

In chiusura i figli onorano il padre definito karissimus.

Bibliografia

1) G. Susini 1962, pp. 35 ss.

64

3.3.1 FORUM CORNELII

Sono poche e frammentarie le notizie del centro insediativo formatosi prima dell'avvento

dell'influenza romana, oggi identificato nel comune di Imola.

Probabilmente, come la maggior parte degli insediamenti sul tracciato della via Emilia, la zona

era stata abitata da stirpi di origini villanoviane, ma non dagli Etruschi, che preferirono stabilirsi

nel territorio della vicina Bologna.

Le successive invasioni di Galli nella pianura padana e la fondazione romana non ci permettono

di identificare un nome preciso per il centro cittadino che comunque, stando alle fonti, era attivo

e prolifico.

La fondazione del centro romano viene fatta risale alla costruzione della stessa via Emilia,

ovvero il 187 a. C, mentre l'indipendenza amministrativa vera e propria verrà raggiunta solo nel I

secolo a.C., su concessione del console Lucio Cornelio Silla.

Da questo momento in poi, il piccolo centro urbano conoscerà un prosperoso periodo di

espansione con il raggiungimento di un ampio perimetro, rimasto inalterato (con le dovute

evoluzioni) fino al secolo scorso: la pianta della città richiama ancora in modo evidente lo

schema tipico di fondazione romana con l’incrocio fra il decumano (via Emilia) e il cardo (via

Appia - via Mazzini) presso il quale sorgeva l’antico foro, assetto urbano che risale

probabilmente al periodo compreso fra la guerra sociale e l’età sillana, consolidatosi poi intorno

all’età imperiale.

In epoca augustea, Forum Cornelii entrò a far parte di quella politica di monumentalizzazione

tipica della dinastia giulio-claudia e vide delinearsi in modo definitivo il suo impianto con

relativo potenziamento delle infrastrutture pubbliche e private.

Durante le invasioni barbariche la città fu notevolmente danneggiata: particolarmente distruttive

furono le incursioni ad opera di Iuthungi e Marcomanni nel III secolo d.C.

Saranno comunque le scorribande dei ceppi barbarici di origine gota, nel V-VI secolo d. C., a

segnare pesantemente il territorio imolese, quando la città verrà saccheggiata dai Franco-

Alemanni, venendo successivamente in parte abbandonata.

Gli scavi effettuati nel centro storico della città hanno restituito pavimentazioni di domus di

epoca romana dimostrando, inoltre, uno sviluppo del centro a carattere estensivo e soprattutto

una forte regolarità, con il costante allineamento sugli assi urbani.

Tra i resti più significativi di domus si possono ricordare quelli di San Pier Crisologo e di piazza

San Domenico nella zona centrale della città e di via Rivalta, presso i margini meridionali.

Poco o nulla si conosce, invece, su tutto quel complesso di edifici pubblici, civili e religiosi, che

65

devono aver caratterizzato la città: unico esempio l'anfiteatro, situato nella parte occidente .

Tutti gli altri riferimenti alle strutture pubbliche risultano scarsi e sommari, anche se, al momento

della pianificazione dell'impianto urbano, vennero predisposti degli isolati tra cardo e decumano

maximus, atti ad ospitare la costruzione di edifici pubblici.

Anche il Foro cittadino, nonostante il rinvenimento di ampie zone lastricate, non ha trovato una

ubicazione precisa: ipotesi condivisa è quella riferita alla canonica posizione, comune ad altre

città romane, della zona poco più a settentrione dell'incrocio tra le due vie principali.

Diversi studi hanno, tuttavia, portato alla luce resti di una probabile locazione fra i vicoli Inferno

e Stagni, a ridosso della via Emilia, indicandone l'estensione in senso longitudinale.

Anche per quanto riguarda l'edilizia sacra le fonti e i resti materiali sono molto scarsi: è

comunque attestato almeno un centro religioso sulle colline meridionali, al di fuori del contesto

cittadino, testimoniato da alcune decorazioni architettoniche e da una testa fittile decorativa.

Scavi recenti hanno, tuttavia, riportato alla luce i resti di un complesso centro religioso sorto

direttamente nel centro cittadino, nella zona occupata dal cinema Modernissimo: grazie ai

numerosi oggetti votivi scoperti è stato possibile determinare come in questo centro si

celebrassero i culti della Bona dea, dei Fauni, di Minerva, Mercurio, Iside e forse Cybele, fino ai

venerati dei Nixi, riconducibili ad uno dei culti più antichi e sacri della religiosità romana .

Bibliografia1) R. Curina 2000, pp. 465-469.

2) P. De Santis, C. Negrelli, D. Rigato 2009, pp. 317-360.

66

3.3.1 I testi epigrafici

1)

Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: Forum CorneliiUrbs nostrae aetatis: ImolaLocus inventionis: Abbazia di Santa Maria.Locus adservationis: Rerum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisMensurae: Scriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. munEditiones: CIL XI, 668.

Testo:Genio / colleg(ii) cent(onariorum) / Gavius Fel(ix) / p<a=E>tron(us)

Commento:

Cippo riccamente decorato sia alla base sia al coronamento con timpano centinato e corniciato.

L'iscrizione, l'unica della zona a fare riferimento a un collegio, presenta una dedica al genio, una

sorta di nume tutelare del collegio dei centonari.

Essa fu posta da Gavius Felix, un componente della gens Gavia, assai diffusa a Forum Cornelii.

Bibliografia

1) F. Mancini, G. A. Mansuelli, G. Susini 1957, pp. 195-196.

67

3.4 BONONIA

Snodo commerciale obbligatorio tra i due versanti degli Appennini, Bologna conobbe fin

dal VIII secolo a.C. un grande interesse da parte delle popolazioni protostoriche, confermato dai

resti archeologici di un attivo centro abitato.

L'avvento degli Etruschi, nel VI secolo a.C., pose le basi per la nascita di una città popolosa e

complessa, con veri e propri quartieri e i primi edifici pubblici, al centro di una fittissima rete di

scambi commerciali: il centro di Felsina.

La calata delle popolazioni celtiche, a partire dal IV sec. a.C., con successivo declino dei nuclei

etruschi nella pianura Padana, non decretò la fine della città, dove anzi resistettero alcuni piccoli

centri rurali e collinari in corrispondenza delle maggiori vie di comunicazione.

Con l'inizio dell'avanzata romana le popolazioni galliche, principalmente Boi e Insubri, tentarono

una strenua resistenza alleandosi con Annibale durante la seconda guerra punica.

La sconfitta di quest'ultimo decretò la resa di queste popolazioni, sancita con la fondazione di

Bononia nel 189 a.C., in corrispondenza del territorio occupato dal maggiore centro boico.

Edificata, quindi, sul precedente nucleo celtico e centro precoloniale (nato con una prima

centuriazione del territorio), la città nasce come colonia di diritto latino e conosce, nei secoli, una

lenta espansione, testimoniata dalla crescita delle sue mura urbiche, culminata con l'indipendenza

amministrativa agli inizi del I secolo a. C.

La struttura del nucleo urbano, di forma quadrangolare con lato di circa 6-700 metri, è ben

documentata, con lo sviluppo regolare e geometrico lungo il decumano (via Aemilia/via Rizzoli

e via Ugo Bassi) e il cardo maximus (Vie Galliera e Val d'Aposa), con il Foro posto proprio

nell'intersezione di queste due vie principali (la zona nei pressi del Palazzo Comunale). Nelle

immediate vicinanze del Foro, scavi condotti nel secolo scorso presso l'edificio dell'ex Sala

Borsa hanno dimostrato come vi fosse ubicata la Basilica civile di Bononia, principale centro di

riunione della comunità e sede dell'amministrazione della giustizia, mentre poco distante,

nell'odierna via Porta di Castello, si ergeva su un alto podio un grande edificio di culto di

tradizione etrusco-italica, probabilmente il più antico e venerato della colonia.

In età imperiale in un clima di espansione economica, dovuto anche alle nuove deduzioni di

matrice militare che, a partire dall'età triumvirale, rigenerarono profondamente il tessuto

insediativo, si denota la costruzione di nuove ed imponenti strutture civili: lo stesso Augusto

predisporrà la costruzione di nuove strade lastricate in basolati di trachite euganea rendendo, data

la mancanza di orme carraie sulla pavimentazione rinvenuta, il foro e le strade che ne

penetravano il comparto completamente pedonali.

68

Contemporanea la costruzione di un nuovo sistema fognario in condotte di laterizio e un nuovo

acquedotto cittadino destinato a soddisfare il fabbisogno idrico cittadino; a questo è poi

strettamente legato il complesso termale edificato nella zona sud-occidentale dell'abitato,

testimoniato da una dedica epigrafica a Ottaviano183 e successivamente restaurato da Caligola e

Nerone.

Sempre alle prime fasi del principato di Augusto risale la costruzione di un nuovo edificio di

culto, posto subito a ovest dell'antico tempio di età primo coloniale, quasi a voler simboleggiare

una continuità simbolica tra vecchi e nuovi culti (tra i quali quello dell'imperatore).

Sempre alla prima età imperiale risalgono l'opera di abbellimento della città con statue

raffiguranti la famiglia imperiale, la costruzione di un nuovo edificio pubblico, forse di tipo

amministrativo e un foro minore, riservato alle attività commerciali. Ai primi decenni del I

secolo a.C risale la costruzione del teatro, nel margine meridionale della città, sempre all'interno

di quell'ottica di rinnovamento del centro cittadino: l'edificio originario (esempio delle più

aggiornate tecniche costruttive romane) venne successivamente trasformato con un ampliamento

della struttura per aumentarne la capacità, ottenuto mediante l'impiego di nuove murature radiali

in pietra selenite. All'intervento strutturale si accompagnò una complessa opera di decorazione,

attestata da frammenti di lastre di rivestimento con rilievi ornamentali e utilizzo di marmi

pregiati. Tale restauro avvenne a seguito di un devastante incendio184 che colpì la città durante il

regno di Nerone, e lo stesso imperatore si fece personalmente promotore della ripresa della città:

a suo onore fu poi eretta una statua, rappresentata in armatura, al sommo della cavea così

rinnovata.

Continuano ad essere numerose le opere edili, anche su iniziativa privata: ciò è visibile grazie

allo sviluppo di nuove dimore, testimoniate dalle numerose pavimentazioni in mosaico

rinvenute, e dall’espansione abitativa, anche di lusso, al di fuori della cinta muraria primaria.

La situazione di benessere materiale e la vitalità sociale, che avevano raggiunto l'apice in età

augustea, perdurò fino alla media età imperiale: una volta stabilizzato l'impianto urbanistico,

l'unica edificazione di un certo rilievo fu, nel 69 d.C, la costruzione di un anfiteatro, forse a

terrapieno, da parte di manovalanza di tipo militare185.

Particolare la presenza, tra II-III secolo d.C., di un tempio dedicato al culto egizio di Iside

(domina Isis Victrix), a dimostrazione dell'affermazione di nuovi culti all'interno del pantheon

romano186.

183 CIL XI, 720.184 Tac., Ann. XII, 58; Svet. Nero, 7.185 Tac., Hist. II, 53, 7; 67, 5; 71.186 CIL XI, 695.

69

Come attestato in altre città, le necropoli si estendono lungo le vie principali al di fuori delle

mura cittadine: prima fra tutte la via Aemilia.

La grande quantità di stele e monumenti funerari rinvenuti, celebri quelli di età tardo-

repubblicana che in alcuni casi ricoprivano per chilometri i lati della via consolare, e la

conservazione di molte testimonianze si deve ad un caso fortuito, in seguito al riutilizzo

tardoantico di stele e lapidi in una diga di sbarramento (il cosiddetto “Muro del Reno”)

predisposto in appoggio all’antico ponte romano sul fiume.

L'arresto delle costruzioni, nel III secolo d. C, e il continuo reimpiego spesso degenerativo di

quelle preesistenti, denotano un periodo di crisi in ambito urbanistico, con il progressivo

abbandono e degrado di vaste aree dell'abitato.

Bibliografia

1) G. Sassatelli, A. Donati 2005, pp. 515-533.

2) J. Ortalli, Bologna, pp. 439-449.

70

3.4.1 I testi epigrafici

1)Regio antiqua:AemRegio nostrae aetatis:IUrbs antiqua:BononiaUrbs nostrae aetatis:BolognaLocus inventionis: chiesa di Santa Margherita.Locus adservationis:Rerum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisMensurae: alt.: 0.475 m lat.: 0,423 m crass./diam: 0,285 m Scriptura: scalproLingua: Latina Religio: paganaVersus:Titulorum distributio:Virorum distributio:Editiones: CIL, XI, 715

Testo:in] / memoriam / P(ubli) Corneli / Saturnini / magistralis / Cornelia Prima uxor / ex indulgentia colleg(ii) / signum Liberi / basim caulas d(onum) d(edit)

Commento:

L'iscrizione è incisa su un cippo in marmo bianco, successivamente riutilizzato per la

realizzazione di un putto.

La liberta Cornelia Prima pose questa epigrafe in memoria del marito, probabilmente un

colliberto, Publio Cornelius Saturninus, magister di una ignota associazione, su permesso del

collegio, che autorizzò anche la dedica di una statua del dio Libero e la costruzione di un recinto.

Il termine magistralis, con accezione di magister, è raro

nell'universo epigrafico: è possibile che il protagonista

dell'iscrizione si sia esercitato nel collegio menzionato

(forse i fullones), associato al culto del dio Libero.

Bibliografia

G. Susini 1960, nr. 47, p. 57.

71

3.5 MUTINA

La Citta di Mutina, fondata in concomitanza con Parma ad opera dei triumviri Marco

Emilio Lepido, Tito Ebuzio Parro e Lucio Quinzio Crispino nel 183 a.C, sorse su di una piana

alluvionale, dove distese palustri erano attestate già da epoca tardo-repubblicana187

La città costituisce un’ ulteriore tappa del processo di penetrazione ed occupazione della

Cispadana da parte dei Romani, a seguito della definitiva sconfitta dei Galli Boi e la costruzione

della via consolare Aemilia.

La colonia venne fondata, secondo Livio188, attorno al 183 a.C e, seppur i resti preromani siano

scarsi, è stata accertata la presenza di un precedente nucleo indigeno circostanziale alla nuova

città.

Trovandosi in un’ ottima posizione strategica, all’incrocio di importantissimi assi di

comunicazione in senso est-ovest (via Emilia) e in senso sud-nord (i transiti appenninici e la rete

viaria verso Mantova, Verona e l’area transalpina), la città mantenne a lungo il ruolo di area

militare di grande importanza, diventando teatro di numerose vicende belliche, soprattutto

nell’ultimo periodo della repubblica: ad esempio il saccheggio, successivo alla fondazione (177

a.C.)189, ad opera dei Liguri; l’assedio di Pompeo contro l’avversario Giunio Bruto nel 78 a.C.190;

la sconfitta di Cassio Longino ad opera dello schiavo rivoltoso Spartaco nel 72 a.C.191 e la guerra

di Modena fra Antonio e Decimo Bruto, asserragliato in città (43 a.C.)192. Nel 69 d.C., in età

imperiale, fu coinvolta nel conflitto fra Otone e Vitellio193.

Gli ultimi riferimenti alla città riguardano la tarda età imperiale: nel 312 d.C Modena è sotto il

controllo delle truppe di Massenzio lasciate come guarnigione. La resa, dopo un breve assedio,

all'esercito di Costantino gli permetterà di ottenerne i favori194.

La ricostruzione della disposizione dell'impianto urbano repubblicano non dispone di molte

evidenze archeologiche. Si presume che l'abitato avesse una pianta quadrangolare, proiettata

verso oriente rispetto al centro attuale (l'odierna piazza Garibaldi) e fosse racchiusa da una cinta

muraria, testimoniata dalle fonti di episodi militari e dagli scavi eseguiti in via Albinelli e di

recente in via Roma.

187 App., Bell. civ. 3, 9, 66; Cic., Fam. 10, 30.188 Liv. XXXIX, 55, 7-8.189 Liv. XLI, 14, 1-3.190 Plut., Vit. Par., Pom., 16.191 Plut., Vit. Par., Crass., 8.9.192 Cic., Phil., V 24-26; VI 3-6; VII 15, 21-22; VIII 5, 20-21.193 Tac., Hist, II 54,52.194 Naz. Pan., X 27.

72

La via Emilia aveva funzione di decumano maximus, mentre rua Pioppa viene identificata come

cardo maximus. Nella zona fra il cardine e viale dei Martiri era probabilmente ubicata l’area

amministrativa del Foro.

Probabilmente anche Modena, come la maggior parte delle città romane lungo la via Aemilia,

raggiunse un assetto definitivo con l'intervento augusteo: dal confronto dei reperti si è compreso

un aumento dell'estensione dell'abitato da 40 a 42 ettari complessivi.

In età claudio-neroniana ebbe inizio un programma di bonifica e riqualificazione delle zone

marginali dell'abitato, rese disponibili all'edificazione.

I dati per l'identificazione degli edifici e dei monumenti principali si basano su fonti scritte e

pochi manufatti archeologici: se è stato possibile delimitare un’ area pubblica lastricata di marmo

con quattro basi onorarie, delle quali tre scritte, con dediche agli imperatori Adriano, Numeriano

e Flavio Valerio Costanzo, certa è la testimonianza riferita alle terme pubbliche rinvenuta durante

gli scavi del Palazzo della Provincia di metà ottocento, con tracce di impianti di riscaldamento e

altri locali.

La presenza di un anfiteatro cittadino sembrerebbe tutt'ora visibile dall'anomala curvatura delle

vie Canalino e Mondatora, che pare ripercorrano uno spazio ellittico. Inoltre nelle immediate

vicinanze venne alla luce, alla fine del XIX secolo, un muro di grandi dimensioni con elementi

architettonici modanati, lungo il supposto perimetro esterno. Testimonianze letterarie195 ed

archeologiche (tessera di un abbonato, maschere di terracotta) sembrano confermare questa

ipotesi.

Per quanto riguarda l'edilizia privata, l’aspetto di un’ abitazione di lusso dell’avanzato I sec. a.C.

ci viene restituito da alcuni disegni della domus di via Università, fatti durante gli scavi di

costruzione del cinema Capitol: il complesso, che si sviluppa lungo la via Aemilia, presenta

diversi spazi abitativi sviluppatisi regolarmente attorno ad un cortile centrale. I resti in bronzo

riconducibili all'arredo di un triclinium (due letti, un tavolino, un portalucerne) e gli ornamenti

pregiati di una fontana descrivono il comfort e la raffinatezza raggiunti dai patrizi locali.

Numerose attestazioni appartengono al contesto funerario: le necropoli si disponevano

radialmente lungo i percorsi in uscita dalla città, specialmente ai due estremi della via Emilia e in

corrispondenza della direttrice verso Verona. A partire dall’età augustea ha inizio la

monumentalizzazione delle aree cimiteriali con recinti funerari, stele, monumenti a dado, a

edicola o a tamburo, e infine grandi sarcofagi del tipo ravennate. Questo grande varietà di

195 Mart., III, 59.

73

monumenti ha permesso di ricostruire lo status sociale raggiunto da Mutina: comuni i riferimenti

a cariche militari e a professioni di ambito commerciale, soprattutto nella compra-vendita e

lavorazione della lana ovina, per la quale Modena era celebre.

A partire dal III secolo d.C. si registra un lento abbandono delle zone residenziali lungo il limite

occidentale della città: gli studi condotti in via Albinelli lo dimostrano.

Dalle evidenze archeologiche si può dedurre come l'area urbana sia profondamente mutata:

all'insieme compatto e regolare definito da cardini e decumani, si è passati a nuclei insediativi

sparsi affiancati da grandi spazi aperti e la stessa cosa accadde anche all'area rurale.

Tuttavia Mutina continuerà a mantenere un ruolo predominante nella zona, conoscendo una

nuova ripresa economica, anche se breve, in età costantiniana, con la presenza di militari e alti

funzionari della corte imperiale.

Bibliografia

1) N. Giordani 2000, pp. 423-43.

74

3.5.2 I testi epigrafici

1)

Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: MutinaUrbs nostrae aetatis: ModenaLocus inventionis: Modena, «nelli fondamenti della nuovafortezza» (a. 1635), attuale area di via F.M. Molza (?)Locus adservationis: ignoratur, periitRerum inscriptarum distributio: ara, sepulcrumRei materia: marmorMensurae: alt: 230.00 lat.: 0.00 Crass./Diam.: 0.00 litt.alt.: ?Status tituli: tit. integerScriptura: scalproLingua: latinaReligio: Versus: Titulorum distributio: sepulcralisVirorum distributio:ord. mun.; offic. priv.; ignoraturEditiones: CIL 11, 00862

Testo:

D(is) M(anibus) / Q(uinto) Alfidio / Q(uinti) l(iberto) Hylae / VV IV vir(o) Foro Sem= / 5 proni, /colleg(i) harena= / riorum Romae, negot= / ianti lanario, / Alfidia Severa pat= / [ri] pientissimo〈:in latere intuentibus sinistro 〉 / ((:patera)) / 〈:in latere intuentibus dextro 〉 /((:urceus))

Commento:Epigrafe decorata ai lati con una patera (tazza rituale) e un urceus (contenitore per i liquidi),

trovata assieme a CIL XI, 859. L'iscrizione esordisce con una dedica agli Dei Mani e si riferisce

al commerciante di lane (negotians lanarius) Quintus Alfidius Hyla,

liberto di Quinto, seviro a Forum Sempronii (l'odierna città di

Fossombrone), membro del collegio degli harenarii di Roma. La

dedicante è la figlia Alfidia Severa, per il padre, definito piissimo.

Il termine negotians si trova frequentemente ad indicare associazioni

di commercianti riunite per scopi precisi, tuttavia sono comuni le

attestazioni di singoli negotiantes, con riferimenti alla merce che

trattavano, in questo caso la lana.

Considerando lo status sociale del defunto, difficilmente si può

intendere harenarius come sinonimo di venator o di gladiatore,

ovvero di minister amphiteatri, l'addetto con l'umilissimo compito di

75

mantenere pulita la sabbia dell'arena e rimuovere i corpi dei gladiatori morti o feriti durante i

giochi. Sembra invece più probabile che sia una carica più onoraria, forse legata

all'organizzazione dei giochi negli anfiteatri, oppure un’ attività riguardante il prelevamento e\o

vendita della sabbia, indispensabile per l'edilizia pubblica e privata.

Bibliografia

1) E. de Ruggiero 1895, p. 657.

2) L. Malnati 1983, p. 328.

3) Sabattini Tumolesi 1980, pp. 150-151.

4) E. Forcellini 1965, pp. 376-377.

5) L. Parisini 2011, pp. 37-42.

76

3.6 REGIUM LEPIDI

Le testimonianze preromane nel centro della città sono rare ed incerte tanto che si è

dubitato dell’esistenza di un insediamento preesistente al sito romano, la cui fondazione viene

solitamente riferita al secondo consolato di M. Emilio Lepido nel 175 a.C.

Quindi è probabile che l'istituzione dell'abitato sia stata opera diretta dello stesso console

(riscontrabile nella denominazione stessa della città), che diede vita ad un progetto di

riorganizzazione del sistema di popolamento della zona.

Solo nella prima parte del I sec. a.C. la documentazione archeologica rivela un’occupazione

stabile ed organizzata, con edifici in pietra che andarono a sostituire le costruzioni precedenti (i

quali scarti sono stati poi rinvenuti all'interno di alcune fosse ai margini dell'abitato).

Tale rinnovamento urbanistico può essere collegato all'estensione della cittadinanza, romana e

latina, avvenuta in occasione della guerra sociale del 91-88 a.C.

Tale ricostruzione sembra ricollegarsi anche al terremoto del 91 a.C. che devastò il centro

abitato, anche se le fonti a questo proposito restano dubbie e facili a fraintendimenti.

Nel territorio emiliano Regium Lepidi non ebbe un ruolo dominante, la città non raggiunse il

rilievo della vicina Modena o Parma: solo in rare occasioni divenne scenario di episodi storici

significativi, come l’uccisione di M. Giunio Bruto, oppositore di Silla, da parte di sicari di

Pompeo nel 77 a.C. o l’acquartieramento di Decimo Bruto agli inizi della Guerra di Modena

contro Antonio (43 a.C.)196.

Sempre a partire dall’età augustea, la città divenne il fulcro di un più ampio progetto di

riqualificazione urbana: dall’insediamento iniziale di età repubblicana, piuttosto limitato, si passa

quindi ad un agglomerato abbastanza esteso, con la via Emilia come decumanus maximus e Via

Roma come cardo. L'area amministrativa del Foro è stata individuata ad ovest del cardo e a sud

del decumano, grazie agli scavi condotti sotto la Curia e nei pressi della basilica di S. Prospero.

L'intero perimetro urbano era circondato da una cinta muraria in mattoni, testimoniata da alcuni

tratti rinvenuti nell’isolato di S. Rocco.

Gli scavi al di sotto della sede del Credito Emiliano hanno riportato alla luce i resti di due grandi

edifici: la basilica civile e un edificio di culto, i cui resti dimostrano una certa evoluzione nel

tempo.

Dallo scavo è emersa anche una testimonianza epigrafica, ricondotta all'imperatore Claudio,

ricordato benignamente dalla popolazione in altre iscrizioni, con la nomina a patronus

dell'imperatore e la dedica di una statua presso il ponte sul fiume Crostolo197.

196 Cic., Ad familiares, XI, 9. 197 CIL XI, 981.

77

Realizzato, sempre nella prima età imperiale, l'acquedotto proveniva dalla zona sud-orientale,

ricca di sorgenti: anche se si tratta di un opera dalla portata limitata, probabilmente era affiancato

da altre fonti idriche, ed è probabile che il suo uso fosse limitato ai soli bisogni pubblici.

Le numerose testimonianze dell’edilizia privata consentono di ricostruire un quadro

sufficientemente completo del tessuto residenziale urbano, dove le tipiche domus ad atrio

centrale aperto hanno restituito pavimenti in cocciopesto, spesso decorati con tessere o

frammenti di marmo, e mosaici in bianco\nero o policromi, talora di grandi dimensioni, come

nell’ abitazione scoperta fra le vie San Rocco ed Emilia Santo Stefano.

Parallelamente al periodo di massimo sviluppo della città, fra il 50. a.C. e la metà del I sec. d.C.,

anche le necropoli mostrano esempi di monumentalizzazione, soprattutto nel tratto orientale

della via Emilia, diretto verso Roma. Massimi esempi sono monumenti in pietra importata

lavorati secondo stili decorativi ed usi epigrafici consueti alla tradizione.

Difficile seguire la storia del centro in età medio e tarda imperiale: seppur centro ancora vivace

ed attivo, è riscontrabile un lento declino, visibile con il restringimento della zona residenziale e

la costruzione di una nuova cinta muraria ristretta, testimoniata dagli scavi in piazza Scapinelli.

Un ultimo episodio di ripresa urbana coincide con la nomina della città a sede episcopale nel IV

sec. d.C., con una serie di nuove costruzione legate al culto cristiano, di cui rimangono a

testimonianza i mosaici pavimentali.

Bibliografia

1) E. Lippolis, 2000, pp. 413-420.

78

3.6.1 i testi epigrafici1)

Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: Regium LepidiUrbs nostrae aetatis: Reggio dell'EmiliaLocus inventionis: Locus adservationis:Rerum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord.munEditiones: CIL XI, 970

Testo:

Imp(eratore) Caes(are) M(arco) Aurelio / [[[Commodo]]] Antonino Aug(usto) Pio / Felice VIM(arco) Petronio Septimi/ano co(n)s(ulibus) / X Kal(endas) April(es) in templo collegi(i) fabrum/ et centonariorum Regiensium / quod referentib(us) P(ublio) Saenio Marcellino et C(aio)Aufidio / Dialogo quaestoribus v(erba) f(ecerunt) / Tutilium Iulianum virum et vita et modestiaet / ingentia verecunda ornatum et liberalem / oportere collegi(i) nostri patronum cooptari ut /sit ceteris exemplo iudici(i) nostri testimonium / qu(id) f(ieri) p(laceret) d(e) e(a) r(e) i(ta)c(ensuerunt) / salubri consilio tam honesta(m) relatione(m) a quaestorib(us) / et magistriscollegi(i) nostri factam et singuli et uni/versi sentimus et ideo excusandam potius honesto viro /Iuliano huius tardae cogitationis nostrae necessitat(em) / petendumq(ue) ab eo libenter suscipiatcollegi(i) n(ostri) patronal(em) / honorem tabulamq(ue) aeream cum inscriptione huius decre/[tii]n domo eius poni censuerunt.

Commento:L'epigrafe si apre con l'indicazione temporale: durante il consolato dell'imperatore Cesare Marco

Aurelio Commodo (questo elemento onomastico è stato eraso dalla pietra in seguito alla

damnatio memoriae deliberata contro l’imperatore) Antonino Augusto Pio, Felice per la sesta

volta e di Marco Petronio Settimiano il decimo giorno delle Kalendas Apriles, quindi il dieci di

Aprile.

Nell'iscrizione si attesta che nel tempio del collegio dei fabri e dei dendrofori di Reggio Emilia i

questori Publio Saenio Marcellino e Caio Aufidio Dialogo rivolsero un elogio all'onorato: Tutilio

Iuliano.

In quanto persona che ha condotto una vita con modestia et ingentia verecunda ornatum et

liberalem, viene designato per l'elezione a patrono del collegio perché possa essere ricordato

come d'esempio agli altri giudici.

79

Ciò fu deciso in seguito ad un consiglio “utile”, con una relazione onorevole fatta da parte dei

questori e dai magistri del collegio che dovettero poi, singuli et universi, scusarsi con l'honesto

Iuliano per la nomina tardiva, sperando che questo la accolga volentieri.

Il tutto termina con la concessione all'onorato di poter collocare una tavola bronzea con questa

iscrizione nella propria dimora.

Bibliografia

1) F. Lenzi 2006, pp. 405.

80

3.7 PARMA

Con la fondazione delle colonie gemelle di Mutina e Parma nel 183 a.C., terminò il

progetto di M. Emilio Lepido della costruzione della celebre via. Tutto questo sistema di nuovi

centri cittadini si avvaleva però di una rete preesistente di origini etrusca o filogreca.

Parma, tuttavia, rappresenta un caso davvero singolare: nonostante non sia stato possibile

confermare un’origine etrusca (seppur sia visibile un orientamento rituale dell'impianto urbano e

anche una radice etrusca del nome derivante da un idronimo, mentre i rinvenimenti della fase

boica sono molto scarsi, la città presenta tracce significative di un insediamento di terramara

della tarda età del bronzo posta nel settore orientale del centro storico.

L'area, paludosa, fu soggetta a una costante opera di bonifica, già a partire dall'età repubblicana,

come dimostrano i rinvenimenti di anfore sotto la chiesa di San Sepolcro.

Partendo da un primo acquartieramento trincerato, furono stanziati duemila cittadini romani, con

le relative famiglie, per permettere la nascita e l'espansione della neonata colonia parmense.

L'area del centro cittadino fu sempre interessata da lavori e scavi per il contenimento della rete

idrografica minore che continuerà a scorrere, per secoli, in una fitta serie di canali ricordati da

Strabone198 ad opera di M. Emilio Scauro, che sovrintese alla bonifica del territorio tra la città e il

Po.

Tale opera venne continuata anche in età imperiale, con altre opere di risanamento, da parte di C.

Praeconius Ventilius Magnus.

La costruzione della città necessitò dell'edificazione di diversi rialzi artificiali: ne sono esempi lo

stesso Cardo massimo e le fondamenta del grande edificio sorto sul lato sud-occidentale di

piazza Garibaldi.

Distrutta durante la guerra tra Ottaviano e Antonio, Parma conobbe la rinascita quando Augusto,

conquistato il potere, attuò una completa ricostruzione stanziandovi una colonia di veterani:

nacque così la nuova colonia Julia Augusta Parmensis.

L’età augustea e il periodo successivo, fino a tutto il II secolo, rappresentarono per Parma il

periodo di maggior splendore e crescita. Un impianto urbano regolare, basato sul tracciato della

via Emilia (vie Mazzini-Repubblica) che fungeva come sempre da decumano massimo e si

intersecava con il cardo massimo rappresentato da via Farini-Cavour, accoglieva al suo centro lo

spazio forense, più o meno corrispondente all’attuale piazza Garibaldi.

Il lato corto occidentale del Foro è contraddistinto, in corrispondenza della chiesa di S. Pietro,

dalla presenza di un edificio sacro su podio esistente sin dalle prime fasi della colonizzazione,

198 Strab., V, I, II.

81

nel quale viene forse riconosciuto il Capitolium, il tempio dedicato a Giove.

Sul lato lungo settentrionale del Foro, invece, era sistemata la basilica, alla quale sembra

appartenere una statua di togato mutila e acefala trovata all’angolo tra Piazza Garibaldi e via

Cavour, forse appartenente ad un grande ciclo statuario.

In età giulio-claudia la città si dotò di un teatro, che venne eretto nell’area suburbana meridionale

e di un ingresso monumentale del quale faceva parte anche l'elegante clipeo marmoreo utilizzato

in reimpiego in via Farini.

Nello stesso periodo venne edificato un anfiteatro nella zona orientale della città, fra l’attuale

collegio Maria Luigia e Palazzo Poldi Pezzoli, in funzione del quale un tratto suburbano della via

Emilia viene poi lastricato e munito di marciapiedi.

Un complesso termale è stato identificato, in prossimità del Foro, grazie alla massiccia

fondazione e i pavimenti musivi rinvenuti sotto Palazzo Sanvitale. Una conferma di tale ipotesi

potrebbe venire da una statua in marmo pario che nell'iconografia potrebbe rientrare nella

rappresentazione del dio Nettuno.

Il progetto urbano, seppur sviluppato su un modello non costante, subì nel tempo continue

modifiche: l'alto numero di corsi d'acqua non risparmiò la città da diverse inondazioni causando,

addirittura, la cancellazione di un tratto decumano originario all'altezza di borgo Santa Brigida e

via Dante.

L’edilizia privata è nota solo in modo frammentario: i reperti portati alla luce (Palazzo S. Vitale,

Teatro Regio, ex convento di S. Rocco) come strutture murarie, pavimenti in cocciopesto e a

mosaico e le pitture murali sembrano individuare il modello di domus monofamiliare tipica della

tradizione italica.

Agli opposti estremi della città, ad est e ad ovest verso il torrente Parma, si estendevano le zone

di necropoli; di esse quella occidentale riuniva le tombe più monumentali: numerose quelle ad

impostazione architettonica, come quella conservata unicamente nell'elemento mediano

simulante un tempietto di prima età imperiale, oppure il più recente basamento con thiasos

marino e fiere in assalto. Nelle epoche successive comuni saranno le stele a ritratti o più modeste

lastre con sola iscrizione, come quella del tonsor e del purpuriarius. Particolari poi le epigrafi

con il simbolo religioso o apotropaico dell'ascia, che distingue l'officina parmense.

In età tardoantica il tessuto urbano si ridusse progressivamente, il teatro fu demolito per fornire

materiale edilizio alla nuova cinta muraria e alla barriera di contenimento del torrente.

Gli interventi di restauro, peraltro limitati, delle strutture pubbliche promossi dalla politica

teodoriciana e culminati nella metà del VI se. d.C., non arrestarono il processo di continuo

82

abbandono della città, dove gli spazi lasciati liberi vennero principalmente riutilizzati come aree

cimiteriali.

Bibliografia

1) M. Marini Calvani 2000, pp. 394-403.

83

3.7.1 I testi epigrafici

1)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: ParmaUrbs nostrae aetatis: ParmaLocus inventionis: Parma, davanti alla Cattedrale Locus adservationis: Parma, Museo ArcheologicoNazionaleRerum inscriptarum distributio: basisRei materia: marmorMensurae: alt.: 113.00 lat.: 98.00 Crass./Diam.: 92.00litt. alt.: 5 - 3Status tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus:Titulorum distributio: honorarius

Virorum distributio: offic. magg., Augg., mun.; ord. eq.Editiones: CIL 11, 01059

Testo:] / praef(ecto) leg(ionis) XX Valer(iae) / Victr(icis) primo p(ilo) leg(ionis) / X Geminae PiaeFidel(is) / cent(urioni) legion(um) IIII Scy/thic(ae) XI Claud(iae) XIIII Gemin(ae) / VIIGemin(ae) / patr(ono) col(oniae) Iul(iae) Aug(ustae) Parm(ensis) / patr(ono) municipiorum /Forodruent(inorum) et Foro/novanor(um) patr(ono) col/legior(um) fabr(um) et cent(onariorum)et / dendrophor(orum) Parmens(ium) / colleg(ium) cent(onariorum) merenti / [

Commento:

Basamento in marmo, mancante della parte

superiore (probabilmente destinata a supportare la

statua dell'onorato).

L'epigrafe, mutila nella parte iniziale e finale, tratta

di un ignoto personaggio con un’eccellente carriera

militare: prefetto della legione XX Valeriae

Victricis, primipilo nella legione X Geminae Piae

Fidelis e centurione della IIII Scythicae, XI

Claudiae, XIIII Geminae e VII Geminae.

Probabilmente per i suoi meriti, venne proclamato

patronus della colonia Iuliae Augustae Parmensis

(unica testimonianza epigrafica della

84

denominazione della città come colonia ancora in età imperiale), patrono dei municipia dei

Forumdruentinorum e dei Foronovarum (di dubbia identificazione) e dei collegi dei fabri,

centonari e dendrophori di Parma. A porre la stele, il collegio dei centonari.

Bibliografia

1) Panciera 1993, pp. 128-129.

85

2)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: ParmaUrbs nostrae aetatis: ParmaLocus inventionis: ParmaLocus adservationis: ignoratur, periitRerum inscriptarum distributio: stela(?)

Rei materia: ignoraturStatus tituli: tit. integerScriptura: ignoraturLingua: LatinaReligio:Versus:Titulorum distributio: sepulcralisVirorum distributio: cet.

Editiones: CIL 11, 01096

Testo:D(is) M(anibus) / Munatiae Piae/tati C(aius) Iulius / Zenon sodali/ae bene meren/ti

Commento:

Dedica posta da C. Iulius Zenon in onore della sodalia Munatia Pietas.

La dedica dell'uomo rimanda al sistema libertino sia per

il gentilizio (Iulius), di probabile retaggio primo

imperiale, che per il cognomen di radice greca,

Zenon, diffuso tra gli schiavi affrancati.

La donna apparteneva alla gens Munatia, ben

documentata a Parma (CIL XI, 1062, 1092, 1093,

1095, 1098). Il cognome Pietas, seppur usato

diverse volte in altre città, si rivela l'unica

attestazione parmense. Secondo Hatt questo nome ha origini religiose e assumerebbe particolare

valenza in quanto associato al termine sodalia in riferimento alla donna.

Si data al II sec. d.C.

Bibliografia

1) M.G. Arrigoni Bertini 2006, p. 146.

86

3.8 BRIXELLUM

La città di Brixellum (o Brixillum) di chiare origini celtiche - difatti il nome della città

sembra derivare dalla matrice Brixia\Brescia- ricoprì per lungo tempo un ruolo fondamentale per

il commercio lungo il Po, grazie alla sua strategica posizione nei pressi dell'antica foce del fiume

Enza.

Da civitas foederata, abitata da popolazioni di stirpe cenomane, la città acquisì lo status di

colonia latina grazie alla lex Pompeia de Transpadanis dell’ 89 a.C.

Inserita da Plinio199 tra le comunità autonome della Regio VIII, Brixellum presenta un articolato

impianto urbano, indicatore delle successive aggregazioni al centro originario, avvenute senza

pianificazione precisa.

L'andamento non rettilineo del decumano indica la sua evoluzione partendo da due nuclei, non

organici, mentre il cardo maximus riprende l'orientamento del quartiere occidentale, come

prolungamento di una direttrice proveniente dal Po.

Il Foro, l'attuale piazza Maggiore, fungeva da punto d’ incontro tra le due vie principali e, diviso

in due zone dal decumano, probabilmente ospitava, come consuetudine, i maggiori edifici

pubblici e religiosi, richiamando uno schema urbano simile a quello della vicina Brescia.

La presenza di tracce di un pavimento musivo e di un fulguritum200, dimostrano la probabile

presenza di un altro edificio sacro, lungo il prolungamento del cardo maggiore in direzione del

Po.

Grazie ai numerosi ritrovamenti fatti all'interno e all'esterno del perimetro della città è stato

possibile comprendere la presenza di un centro cittadino ricco e vivace: lo scapo dell'erma del

liberto Felix, i resti dei pavimenti della domus del Prato della Fiera e della domus di via

Venturini, in cocciopesto, tessere musive e resti di lastre di marmo.

Vanno poi ricordati il fastoso monumento dei Concordii, il togato rinvenuto in località Tre Ponti,

la figura con lacerna (mantello con cappuccio tipico di età romana), il monumento del ricco

liberto (insignito della toga e dello ius anuli aurei) e il navicularius, raffigurato in abiti

quotidiani, unico esempio in Italia.

Inoltre è stata dimostrata la presenza di terme urbane alimentate da un lungo acquedotto, di circa

15 km, proveniente dal lago Gruma.

Ricche e complete le informazioni ricavate dallo studio delle necropoli che, oltre a ribadire la

vivacità del centro, ci permettono di conoscere una comunità formata principalmente da liberti,

arricchitisi a tal punto da poter aspirare ad alcune delle cariche civili più alte, tra le quali il

199 Nat. Hist., III, 130.200 CIL XI, 1024.

87

sevirato.

Sono presenti diverse associazioni professionali: il collegium centonariorum201 e un sodalizio di

lanarium carminatorum202, ulteriore testimonianza di uno dei prodotti di maggior pregio e

produzione della regione in età antica.

Bibliografia1) M. Marini Calvani, Brescello, pp. 409-410.

201 CIL XI, 1027.202 CIL XI, 1031.

88

3.8.1 I testi epigrafici1)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: BrixellumUrbs nostrae aetatis: BrescelloLocus inventionis: presso lo scavodel forte estense San FerdinandoLocus adservationis: museoarcheologico di BrescelloRerum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord.munEditiones: CIL 11, 1027

Testo:

D(is) M(anibus) / T(iti) Iegi Iucundi / VIvir(i) Aug(ustalis) / et Decimiae Thal/liae eius / Filetuslibertus / his epule debentur / a collegio centona/riorum Brixellano/rum

Commento:Il testo esordisce con l’ invocazione agli dei Mani; il monumento è posto dal liberto Filetus.

In esso viene coinvolto il collegio dei centonari di Brescello coll’obbligo di organizzare

banchetti funerari in onore del seviro augustale Titi Iegi Iucundi, e della moglie Decimia.

La carica di sevir Augustalis, della quale conosciamo sei riferimenti a Brixellum, comportava

l’appartenenza a un collegio sacro dedito al culto dell'imperatore. I membri provenivano

prevalentemente dalla fascia dei liberti, inserita tra plebe ed aristocrazia, ma sembra che T. Iegus

Iucundus sia l'unico ad aver avuto la condizione di uomo libero (ingenuus) fin dalla nascita.

Sono documentati molteplici e numerosi rapporti tra seviri e collegi professionali locali, tanto da

far pensare che le fonti di guadagno del singolo siano fortemente correlate a quelle

dell'associazione.

Bibliografia

1) I. Chiesi 2014, pp. 61-62.

2) Inscriptiones Latinae Selectae, 6671.

89

2)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: BrixellumUrbs nostrae aetatis: Brescello Locus inventionis: Locus adservationis:Rerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord.munEditiones: CIL XI, 1031

Testo:

D(is) M(anibus) / haec loca sunt / Lanariorum / carminator(um) / sodalici / quae fac{c}iunt / inagro p(edes) C / ad viam p(edes) LV

Commento:Titulus pedaturae che delimitava l'area funeraria riservata ai membri dei sodalici Lanariorum e

Carminatorum di Brixellum,

Questo genere di iscrizione era incisa su cippi terminali che,

realizzati anche in duplice o quadruplice copia, venivano

murati negli spigoli esterni degli edifici tombali o

posizionati ai margini dell'area sepolcrale come avvisi.

Di seguito alla rituale invocazione agli dei mani e

all'indicazione dei realizzatori dell'iscrizione che ne sono

anche i destinatari, vengono indicate le misure del recinto:

in agro (profondità verso la campagna) e ad viam

(lunghezza lungo la strada), corrispondenti ad uno spazio di

100X60 piedi romani (un’area di circa 30X20 metri).

Bibliografia

1) I. Chiesi 2014, pp. 69-70.

90

3.9 FIDENTIA

Fidentia, come altre città della regione, si sviluppa da un agglomerato spontaneo sulla

via Emilia, in prossimità del vicino guado del torrente Stirone nella seconda metà del II a.C. e

ricevendo un nome di buon augurio, secondo una consuetudine romana comune di quel periodo,

diffuso anche in altre zone della regione.

Nell' 82 a.C., Fidentia è teatro della vittoria delle truppe Sillane di Marco Lucullo su quelle

Mariane di Gneo Papirio Carbone203.

All'età augustea risale, sicuramente, la nomina a municipium, come ricordato da Plinio il

Vecchio204.

Sempre in età augustea viene attuato quel periodo di rinnovamento dell'impianto urbano con la

costruzione del Foro cittadino (corrispondente all'attuale piazza Garibaldi), diviso dalla via

Emilia in due settori differenti e visibile tutt'oggi nella continuità del centro storico. Se il

decumano massimo, la via consolare, manterrà sempre un profilo preponderante, pressoché

indistinti rimangono i cardini.

In uscita dalla città, un ponte in pietra, di cui sono stati ritrovati alcuni elementi strutturali,

consentiva alla via di superare il corso d’acqua.

La città conobbe il massimo splendore nella prima età imperiale: nelle varie stratificazioni

urbane sono riemersi reperti sia di produzione coroplastica e bronzistica locale sia di

importazione, come la ceramica di Arretium, ai vetri di Ennione e alle tipiche tazze di Sarius.

Tuttavia, Già dagli inizio del II sec. d.C., la città subì un lento declino dell'abitato, molti reperti

vengono rinvenuti semilavorati ed incompleti, la stessa tabula alimentaria traianea di Veleia

arriva a ritenerla declassata a semplice vicus di Parma, condizione rimarcata anche

nell'Itinerarim Antonini nel secolo successivo.

La spietata concorrenza delle province colpì pesantemente l'Italia del nord, causando quella crisi

visibile a partire dalla media età imperiale: per Fidenza, oltre ai mutati assetti territoriali di

pertinenza, la nascita del municipium di Forum Novum (alle spalle di Parma) e l'affermazione del

municipium di Veleia furono un colpo fatale, dalla quale la città non si riprenderà.

Tuttavia nella tavola bronzea dedicata al fidentino Virio Valente, patrono di una corporazione di

artigiani, la città viene menzionata come Flavia Fidentia, testimoniando come, nella tarda

antichità, Fidenza fosse ancora un municipium.

Il recupero di tale condizione nel IV sec. d.C., non solamente dal punto di vista economico

(legato al commercio del sale), è causato, probabilmente, allo spostamento della capitale

203 Vel. Pat., Hist. Rom., II, 28.1.204 Plin., Nat. Hist., III,116.

91

imperiale a Milano.

Successivamente, nella tradizione medievale, Fidenza scompare facendo posto ad un piccolo

borgo: il Castrum Burgi Sancti Domnini nel cui nome si commemora il funzionario

dell’imperatore Massimiano Erculeo che proprio nei pressi dello Stirone venne martirizzato. Dal

luogo di sepoltura ha origine, molti anni dopo, un santuario divenuto elemento generatore di un

nuovo centro abitato che manterrà nella denominazione il forte legame con la figura del santo,

sino a quando nei primi decenni del Novecento tornerà all’antico appellativo romano.

Bibliografia

1) M. Marini Calvani, Fidenza, pp. 390-393.

92

3.9.1 i testi epigrafici1)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: FidentiaUrbs nostrae aetatis: Fidenza (Parma)Locus inventionis: Salsomaggiore (Parma),Campore.Locus adservationis: Ignoratur.Rerum inscriptarum distributio: tabula, patronatusRei materia: aesMensurae: alt: 793 cm; lat: 519 cm ; Crass./Diam:4 cm m; litt. Alt.: 3-1 cm Scriptura: caeloLingua: latinaReligio: paganaVersus: Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. sen.; ord. mun.Editiones: AE 1991, 713

Testo:M(arco) Nummio Albino L(ucio) Fulvio Aemiliano / co(n)s(ulibus) / Kal(endis) Apr(ilibus)Flavia Fidentia in templo Minervae collegi / fabrum quod referentib(us) G(aio) AntonioPrimitivo et Q(uinto) Sertorio Fe/licissimo curatorib(us) verba facta sunt esse perpetuamconsuetudin(em) / augendis collegi n(ostri) virib(us) si optimos quosq(ue) viros et amantissi/mossingulor(um) universorumq(ue) pro defensione tutela n(ostra) patronos / olim cooptatos tabulispatrocinalib(us) prosequamur q(uid) f(ieri) p(laceret) d(e) e(a) r(e) i(ta) c(ensuerunt) / et ideocum sit Virius Valens patronus colleg(ii) n(ostri) vir eximiae indolis / praeditus municipiquoq(ue) n(ostri) decurio et omnib(us) hon(oribus) perfunct(us) sit / et collegi(i)dendrophor(um) patron(us) ad cuius tam larga et ultro semper / obferentia cumulor(um) eiusinnumerabilia beneficia remuneran/da placuit universis tabulam aeneam patrocinal(em) ei /poni in parte domus eius qua permiserit quo plenius voluptas / n(ostra) erga eum eluceat cuiustitulus scripturae perpetuitate gloriam n(ostri) consensus declaret / adfuere universi.

Commento:Lastra bronzea fastigiata superiormente e provvista di una larga fascia decorata con elementi

vegetali.

L'epigrafe esordisce con l'indicazione temporale: durante il consolato di Marco Nummio Albino e

Lucio Fulvio Aemiliano, alle Kalendis Aprilibus, quindi il 1 di aprile del 206 d.C.

Nell'iscrizione viene documentato come, a Flavia Fidentia (fare nota), nel tempio di Minerva

sacro al collegio dei fabri, con referenti i curatores Gaio Antonio Primitivo e Quinto Sertorio,

venne fatto un discorso con l'intento di onorare con le tavole del patronato Virius Valens, patrono

del collegio dei fabri e dei dendrophori, definito vir eximiae indolis, che, seguendo tutto il

cursus, ricopriva la carica di decurione del municipio cittadino.

93

Nell'epigrafe viene indicato come questo onore venisse concesso, come era per perpetuam

consuetudinem, a quegli uomini optimos, amatissimi dal singolo e dalla collettività, che difesero

il collegio e tutelarono i patroni cooptati (neoeletti del collegio). Proprio per questo, allo scopo di

ripagare le tanto abbondanti, quanto generose donazioni e gli innumerevoli suoi benefici, venne

concesso all'onorato, all’unanimità, la possibilità di collocare una tavola bronzea di patronato

nella propria dimora, affinché fosse visibile la devozione del collegio nei suoi confronti, a

memoria dell'eterna gloria e della concorde testimonianza.

Adfuere universi… Erano presenti tutti.

Bibliografia

1) A. Donati 1991, p. 128.

94

3.10 PLACENTIA

Dopo l’avamposto di Rimini, sorto nel 268 a.C., le colonie gemelle di Piacenza

e Cremona, fondate entrambe nel 218 a.C. a guardia del guado sul Po, rappresentano la testa di

ponte del progetto di penetrazione romana nel cuore della pianura padana e insieme il presidio

strategico su cui più tardi convergeranno la via Emilia e la via Postumia.

Occupando un ampio perimetro, non lontano dalla confluenza fra Po e Trebbia, la città è frutto di

un unica pianificazione urbanistica che prevedeva l’istantaneo insediamento di circa seimila

famiglie, corrispondenti a poco meno di venticinquemila abitanti.

In origine l'insediamento si dispone con il carattere di presidio militare in un territorio ancora

instabile: se la tribù gallica degli Anari insediata nell’area piacentina era stata in parte domata, la

collina e la montagna prospicienti la città rimanevano saldamente nelle mani dei bellicosi Liguri.

La viabilità, in assenza di una sicurezza terrestre, era comunque garantita per via fluviale: era

possibile, infatti, raggiungere l'Adriatico con solo due giorni di navigazione.

La calata di Annibale in Italia interrompe in modo brusco il processo di evoluzione della colonia

che si vede fortemente coinvolta negli avvenimenti della seconda guerra punica. Dopo la

battaglia della Trebbia (218 a.C.) offrì rifugio ai resti dello sconfitto esercito romano e pochi anni

dopo (217 a.C.) si oppose all'esercito di Asdrubale che, valicate le Alpi, avanzava verso sud in

soccorso del fratello.

Soltanto dopo la definitiva sconfitta dei Galli Boi nel 191 a.C. e la rifondazione della colonia,

fortemente danneggiata per il susseguirsi degli episodi di guerra, che il programma di

urbanizzazione potrà riprendere, favorito dalla nuova organizzazione stradale rappresentata dalla

Via Emilia.

Il Foro, come consuetudine, è formato dall'incrocio tra decumano (in perfetto asse con la via

Emilia ) e cardine massimo, definito dall'attuale viale Risorgimento.

La presenza delle chiese di San Pietro e San Martino, di eredità alto medievale, dette entrambe

“in foro” conferma l'antico assetto urbano romano: la prima, inoltre, sembra sorgere sul sito del

Capitolium, il più antico tempio della colonia, eretto o ricostruito in età augustea.

All'edificio di culto potrebbero appartenere una serie di elementi decorativi (antefisse), scoperte

in via delle Benedettine, con raffigurazioni richiamanti il culto frigio, certamente risalenti ad età

repubblicana e riferibili ad un grande edificio con strutture lignee e rivestimenti del tetto in

terracotta.

Grazie alla caratteristica di crocevia derivatole dall’ubicazione strategica, Piacenza vide

accrescere in modo esponenziale la sua prosperità, raggiungendo l'apice quando, dopo le guerre

95

civili, Augusto promosse una nuova deduzione coloniaria, rinnovando il tessuto sociale cittadino:

ciò è visibile con l'aggiunta dell’appellativo al nome della città di Augusta e la testimonianza di

un monumento funerario ritrovato nei pressi di Casteggio.

Ulteriore prova del progressivo decollo economico e sociale può essere il frammento di statua

(prima metà I sec. a.C.) in marmo greco firmata dallo scultore Kleomenes, apprezzato a Roma

dalle grandi famiglie patrizie.

la colonizzazione militare riversa, in tutta la pianura, gruppi sempre più ampi di italici, portatori

di linguaggi architettonici e figurativi di chiara derivazione ellenistica. Esempi i monumenti

funerari della nuova aristocrazia locale che si era venuta così a formare: peculiare il complesso

monumento formato, probabilmente, da pezzi di reimpiego, scoperto in via Taverna, tratto

suburbano della via Postumia. Dallo stesso sito sono riemersi diversi blocchi (uno angolare) di

cornice ionica, uno dei quali sulla faccia opposta presenta un fregio ionico, bassorilievi con

panoplie, un acrotero angolare in figura di sfinge. Nel caso non debba considerarsi un elemento

di riutilizzo, l'ipotesi più plausibile è che il fregio dorico indichi una camera sepolcrale (che

secondo i canoni greci andrebbe posto all'interno) e di conseguenza una appartenenza, del

monumento, alle tipologie microasiatiche.

Altro esempio è la mutila figura togata seduta, in sella curulis, antica insegna magistratuale, che

probabilmente indica uno dei vari liberti insigniti della carica di seviro Augustale.

All’età repubblicana, probabilmente in concomitanza con la rifondazione della colonia, risale la

prima possente cinta muraria, spessa oltre due metri, realizzata in mattoni sesquipedali. Soltanto

in età tardoantica, verrà eretta una nuova cerchia di mura quando le pressioni delle popolazioni

barbariche, basta ricordare che nel 271 Alamanni e Iutungi sconfissero l’esercito imperiale,

renderanno necessario un rafforzamento delle opere difensive.

Queste ultime verranno poi nuovamente rimpiazzate durante la guerra greco-gotica.

Il Porto, già citato da Strabone e meglio definito come porto-canale, si situa a nord-est del centro,

al Malcantone all'originale sbocco della Fodesta, l'antica fossa Augusta alimentata dalle acque

del Trebbia, ed è testimoniato dalle opere di sbarramento formate da anfore da trasporto

abbandonate presso lo scalo.

Sulla sponda desta dell'acceso del porto al Po sono state rinvenute resti di un insediamento e di

una estesa necropoli che testimoniano il forte legame marittimo della città e la presenza di un

agglomerato urbano di non indigeni: l'ara funeraria di C. Birrius Primigenius, liberto che ricoprì

cariche parallele a Piacenza ed Aquileia, lo conferma.

96

Sono comunque presenti iscrizioni che testimoniano culti legati alle divinità romane e non: si

sono scoperti, ai margini della città , luoghi riservati a culti di tipo preromana, come quello delle

Matrone, divinità di matrice celtica, testimoniato dall'ara dedicata da Platius Acutus. Esistono

inoltre altre testimonianze di antichi riti, poi assimilati ed integrati nell'insieme delle credenze

romane: sono esempio le immagini di culto, coppe e altri vasi gettati come offerta nei fiumi e

santuari all'aperto sorti presso le valli e le confluenze dei fiumi.

Fra le strutture pubbliche non manca l’anfiteatro in mattoni e terrapieno, andato distrutto nel 69

d.C. durante gli scontri tra Otone e Vitellio eretto, secondo Tacito205, fra le mura cittadine e il Po.

Mancano i resti di qualsivoglia centro termale, seppur tra le città italiane sia una delle tipologie

di edifici più comuni e ricorrenti.

Un’ampia varietà di mosaici, soprattutto bianchi e neri, resti di sectilia pavimentali e frammenti

di intonaci dipinti sottolineano l'ottimo livello economico raggiunto dalla città, come in gran

parte degli insediamenti dell'Italia settentrionale: la domus scoperta nel cortile della Scuola

Mazzini ha riportato alla luce un atrio tessellato nero a motivi cruciformi bianchi in serie

parallele mentre, nello stesso isolato, è stato rinvenuto un triclinio, seppur lacunoso, con motivi a

mosaico a grata integrati con elementi naturalistici stilizzati, organizzati attorno ad un tappeto

centrale.

La città venne precocemente dotata di un sistema fognario, conservando anche tracce di

condutture e impianti di riscaldamento.

Le necropoli sono sempre poste lungo le vie principali: la zona della via Postumia e del suburbio

occidentale è riservato ai personaggi facoltosi, il tratto della via Emilia, quello più popoloso, e

occupato per lo più da liberti.

Una sostanziale continuità lega la Piacenza romana a quella di età tardoantica; pur con inevitabili

mutamenti all’interno del tessuto urbano, la città gode di una relativa tranquillità, ma sarà ancora

teatro di importanti avvenimenti come l’uccisione di Oreste o la presa per fame della città da

parte del re ostrogoto Totila nel 546 d.C206.

Bibliografia

1) M. Marini Calvani, Piacenza, pp. 378-387.

205 Hist., II, 21.206 De bello goth., III, 13, 15, 16.

97

3.10.1 i testi epigrafici1)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: PlacentiaUrbs nostrae aetatis: PiacenzaLocus inventionis: Piacenza, ignoraturLocus adservationis: ignoratur, periitRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: ignoraturStatus tituli: tit. integerScriptura: ignoraturLingua: latinaReligio: PaganaVersus: Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. eq.; ord. mun.; collegia,flamenEditiones: CIL 11, 01230

Testo:Q(uinto) Albinio / Ouf(entina) / Secundino / Q(uinti) f(ilio) Q(uinti) nep(oti) Q(uinti) pron(epoti)/ Mestrio Aebutio / Tulliano eq(uiti) R(omano) eq(uo) p(ublico) / accens(o) Ve[l(eiatium?)]flam(ini) / divi Magn(i) Anton(ini) / IIvir(o) i(ure) d(icundo) m(unicipii) P(lacentini) cur(atori)r(ei) p(ublicae) / Parmens(ium) repunctori / splendid(orum) collegiorum / fabrum etcent(umvirorum) c(oloniae) A(ureliae?) F(elicis) M(ediolaniensis) / collegia s(upra) s(cripta)patrono

Commento:Epigrafe dedicata a Quinto Albinio Oufentina Secundino Mestrio Aebutio Tulliano, figlio di

Quinto, nipote di Quinto e pronipote di Quinto.

Oltre allo status di equiti Romano equo publico ricoprì cariche di accensus velatus e in seguito di

flamen divi Magni Antonini (Caracalla). Inoltre rivestì la carica di duoviro iure dicundo a

Piacenza e curator rei publicae a Parma e repunctori (forse da intendersi come revisore del

patrimonio collegiale) del collegio dei fabri e centonari della colonia Aureliae Felicis

Mediolaniensum.

Il dedicante: il patrono dei collegi sopra citati, i fabri e centonari.

Bibliografia

1) Di Stefano Manzella, 1994 p. 264.

98

99

CONCLUSIONI

La via Aemilia ebbe, sia in epoca romana sia in quelle successive, un’importanza fondamentale per

il territorio emiliano-romagnolo.

Il suo potenziale economico e sociale si può dire illimitato: se nacque, come altre strade consolari,

con funzioni militari diventando poi un limes, come afferma G. Brizzi in un suo studio207, un

confine invalicabile di un’area rimasta per lungo tempo bellicosa ed insidiosa per i Romani, ben

presto, cessate le ostilità, grazie alla sua dislocazione strategica divenne un vettore fondamentale

per i commerci tra le coste dell'Adriatico, l'Etruria, il Lazio e i valichi alpini.

La ricchezza e la fertilità della pianura padana alla base dell’intensa attività commerciale, permise

sia l'arricchimento di una sempre maggiore fascia della popolazione, sia la nascita di grandi e

potenti collegi professionali che, nonostante le fonti, sono stati ancora poco studiati e ancora meno

classificati.

Si viene così a sottolineare, ulteriormente, la disparità con quei commercianti operanti

singolarmente, che hanno invece lasciato un enorme numero di epigrafi e resti archeologici.

Ragioniamo, dunque, sui numeri: le iscrizioni che ho raccolto rappresentano la maggioranza delle

testimonianze lasciate -e a noi pervenute- dei collegi nelle grandi città della via Emilia. Il lavoro di

ricerca di un epigrafista è, tuttavia, ulteriormente reso difficoltoso dall'ambiguità con la quale queste

associazioni venivano definite: si veda, ad esempio, il caso incerto di una donna parmenese che

nell’iscrizione sepolcrale viene definita sodalia208, ma per la quale non è stata ancora fornita una

fisionomia certa e condivisa.

Durante la stesura di questo elaborato è apparsa subito visibile la grande disparità tra il numero di

attestazioni delle associazioni professionali e quello delle singole figure di persone impegnate in

diversi ambiti lavorativi: si prenda in esame il caso di Bononia, città che come poche in Italia ha

restituito un grande numero di iscrizioni relative ad artigiani e lavoratori. La motivazione specifica

di questa abbondanza sta nella fortunata coincidenza del riutilizzo delle epigrafi di una porzione

della necropoli occidentale della città per la costruzione del “muro del Reno”, risarcimento del

tracciato della via Emilia in età tardoantica209.

Dall'analisi di tali epigrafi è emerso un grande numero di persone di status libertino, spesso di

matrice straniera, indicanti talvolta anche il mestiere esercitato dal singolo; peculiare, quindi, a

fronte della menzione di un gran numero di “professionisti”, il quasi nullo riferimento alle

associazioni collegiali.

207 Brizzi 1987, pp. 27-72.208 CIL XI, 1096.209 G. Susini, Il lapidario greco e romano di Bologna, Bologna,1960, pp. 111-113.

100

Mancherebbero da analizzare le città di Ravenna e Sassina (Sarsina) che per mantenere organicità

all'elaborato ho preferito tralasciare ma delle quali faccio un breve accenno: la prima reca numerose

iscrizioni utili alla comprensione dell'organizzazione gerarchica dei collegia, come quella di M.

Caesius Eutyches, decurione della XVII decuria del collegio dei centonari del municipio di

Ravenna210. Sarsina, invece, conserva un consistente numero di iscrizioni riferite ai collegia,

soprattutto se confrontate con i centri della regio VIII, ed in particolare riferite ai centonari211.

Dalle epigrafi raccolte, seppur conservatesi in numero esiguo, notiamo che i collegi più comuni

rimangono quelli dei fabri (con 11 riferimenti) e dei centonari (10), seguiti da dendrophori (5) e da

associazioni specifiche, come il collegio harenariorum nell'epigrafe dei negotiantes lanarii di

Mutina212, e il sodalicium lanariorum carminator di Brixillum213; sono poi presenti due riferimenti a

collegi non meglio identificati: è il caso di Ariminum214 e Bologna215.

Quello dei collegi è un argomento ancora poco studiato e sviluppato da parte degli studiosi che

preferiscono analizzare, proprio per la vastità dell'argomento, singoli aspetti di queste associazioni,

ricostruendo magari la storia politica o le disposizioni giuridiche, privilegiando la componente

sociale o religiosa oppure concentrandosi su una zona precisa o un insieme di città particolari.

Proprio quest'ultimo è stato il criterio da me scelto per questa breve trattazione, nei limiti delle

conoscenze da me accumulate, per creare una linea guida sulla quale poter basare un lavoro ben più

completo ed organico.

210 CIL XI, 125.211 CIL XI, 6515, 6520, 6523, 6525-6527, 6529, 6533, 6534.212 CIL XI, 862.213 CIL XI, 1031.214 CIL XI 381.215 CIL XI 715.

101

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ANRW: Auftieg und Niedergang der römischen Welt.

Bcom: Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma.

BGU: Aegypthisce Urkunden aus den staatlichen Museen zu Berlin.

CIL: Corpus Iscriptionum Latinarum.

IGR: Inscriptiones Graecae ad Res Romanas Pertinentes.

IK: Inschriften griechicher Städte aus Kleinasien.

Plond: Greek Papyri in the British Museum.

Pmich: Michigan Papyri.

Poxy: Oxyrhynchus Papyri.

TAM: Tituli Asiae Minoris.

Sitografia

Imagnesia 144 = http://epigraphy.packhum.org/inscriptions/main?url =oi%3Fikey%3D260555%26region%3D8

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