Documenti epigrafici delle associazioni professionali nella regio octava lungo la via Aemilia: da...
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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA
SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
Corso di Laurea in STORIA
Documenti epigrafici delle associazioni professionalinella regio octava lungo la via Aemilia:
da Ariminum a Placentia
Tesi di laurea in Epigrafia e Istituzioni Romane
Relatore Presentata daProf.ssa Daniela Rigato Luca Scarpellini
Seconda Sessione Anno accademico 2013 – 2014
3
INDICE GENERALE
Introduzione p. 5
1. Capitolo I: “I collegia: definizione ed origini” p. 7
1.1 la definizione p. 7
1.2 Le origini p. 8
1.2.1 Età Arcaica p. 9
1.2.2 Età Repubblicana p. 9
1.2.3 Età Imperiale p. 11
1.2.4 Età Tardo-antica p. 14
1.3 L'atto pratico: tra religione e affari p. 16
1.4 Le strutture interne e la gerarchia p. 20
1.5 Tipologie di collegia p. 27
1.5.1 I tria collegia: Fabri, Centonarii e Dendrophori p. 27
1.5.2 I collegi semi-ufficiali e para-religiosi p. 30
1.5.3 I collegi di mutua assistenza e le associazioni rurali p. 32
2. Capitolo II: “La Regio Octava e la via Aemilia” p. 36
2.1 La Regio VIII: l'Aemilia p. 36
2.1.1 Le fonti geografiche p. 36
2.1.2 La conquista e la romanizzazione della regione p. 38
2.1.3 L'economia p. 40
2.2. La via Aemilia p. 43
2.2.1 Le fonti storiche p. 43
2.2.2 La fondazione e la storia p. 45
3. Capitolo III: “le schede delle epigrafi” p. 46
3.1 Ariminum p. 46
3.1.2 I testi epigrafici p. 49
3.2 Faventia p. 61
3.2.1 I testi epigrafici p. 63
4
3.3 Forum Cornelii p. 64
3.3.1 I testi epigrafici p. 66
3.4 Bononia p. 67
3.4.1 I testi epigrafici p. 70
3.5 Mutina p. 71
3.5.1 I testi epigrafici p. 72
3.6 Regium Lepidi p. 76
3.6.1 I testi epigrafici p. 78
3.7 Parma p. 80
3.7.1 I testi epigrafici p. 83
3.8 Brixellum p. 86
3.8.1 I testi epigrafici p. 88
3.9 Fidentia p. 90
3.9.1 I testi epigrafici p. 92
3.10 Placentia p. 94
3.10.1 I testi epigrafici p. 97
4. Conclusioni p. 99
5. Bibliografia p. 101
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INTRODUZIONE
Con il presente studio intitolato “Documenti epigrafici delle associazioni professionali nella
regio octava lungo la via Aemilia: da Ariminum a Placentia” ho inteso occuparmi di
quell'ambito, di certo poco dibattuto, che riguarda lo studio delle epigrafi romane in merito alle
“società professionali” all'interno del territorio dell'antica Regio octava e corrispondente
all'odierna Emilia Romagna; in particolare mi sono concentrato sulle maggiori città romane
collocate lungo la via consolare.
Studiando i collegi ho cercato di comprendere un fenomeno sociale fondamentale della società
romana antica per diffusione e numero di individui coinvolti, potendo così cogliere nel
particolare alcuni aspetti che la contraddistinguono.
Il collegio accorpa un insieme di aspetti mutevoli, da quelli economici (interessi commerciali,
pubblici e privati) a quelli religiosi (devozione ad una divinità o ad un imperatore) e a quelli
sociali (nel caso di mutua assistenza). Tuttavia, sarebbe comunque diminutivo pensare che un
collegio potente e largamente diffuso come quello dei fabri si riunisse unicamente per venerare la
dea Minerva; è più probabile che i membri di questo collegio si fossero riuniti e si incontrassero
spinti anche da interessi economici comuni, oltre che dal desiderio iniziale di venerare la dea.
D’altro canto, ritenere che l'aspetto commerciale fosse quello predominante, è errato: entrambi le
due componenti coesistono, garantendo ai propri membri unità, privilegi e mutuo soccorso,
mentre lo Stato ottiene sicurezza nei servizi e sostentamento nei rifornimenti.
Nel percorso di ricerca ho analizzato prima le origini, la funzione e l'organizzazione, sociale e
legale, dei collegi durante tutto l'arco della storia romana, dall'età arcaica alla tarda antichità,
soffermandomi poi sul problematico binomio religione ed economia e sull’organizzazione
interna e sulla gerarchia di queste associazioni professionali; il primo capitolo termina con un
breve accenno alle forme associative minori e ai collegi più importanti.
Nel secondo capitolo ho fatto un breve excursus sul processo di formazione e romanizzazione
della regio VIII, parlando quindi anche della nascita della via Aemilia.
Il terzo capitolo racchiude l'elemento principale di questa ricerca: le epigrafi.
Specifico che le iscrizioni da me raccolte sono principalmente di tipo funerario ed onorifico, per
un totale di 20 stele.
Seppur gli scavi siano in molto casi ancora scarsi ed incompleti, ho tracciato un breve profilo
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storico-archeologico delle città nelle quali è stato attestato (sia per tradizione letteraria che per
conservazione materiale della stele) almeno un testo con riferimento ad un collegium.
La schedatura delle epigrafi prevede:
una breve tabella con tutti i dati tecnici (edizione di riferimento, nome della città antica e
moderna di ritrovamento e luogo di conservazione dell'iscrizione, materiale e dimensioni del
supporto, tecnica e lingua di iscrizione, religione, tipologia dell'iscrizione ed estrazione sociale
del menzionato); naturalmente i dati variano se il monumento non è conservato;
trascrizione integrale, in minuscolo, del testo latino, con evidenziate eventuali mancanze
dell'iscrizione;
commento e significato dell'epigrafe.
Per svolgere questa analisi mi sono basato su diversi studi, più o meno recenti, su cataloghi
epigrafici cartacei, quali il Corpus Iscriptionum Latinatum e l’aggiornamento fornito dall’Année
Epigraphique. Ho consultato, inoltre, l’Epigraphische Datenbank Clauss – Slaby (EDCS) e
l'Epigraphic Database di Roma (EDR), con l'obiettivo di ricercare e classificare il maggior
numero possibile di testimonianze epigrafiche scoperte lungo il tragitto dell'antica via Emilia e
facendo quindi riferimento alle città di Rimini, Faenza, Imola, Bologna, Modena, Reggio Emilia,
Parma, Fidenza, Brescello e Piacenza.
Si sono esclusi dalla ricerca i centri lontani dalla Via Emilia, anche se in essi sono presenti
epigrafi che menzionano collegi, ed in particolare Ravenna e Sarsina, quest’ultima, però, ascritta
da Augusto alla Regio VI (Umbria).
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I CAPITOLO
I collegia: definizione e origini
1.1 La definizione
Gli antichi non hanno lasciato un termine, una definizione precisa, riconducibile alla concezione
moderna di collegio, sufficiente a indicarne la complessità: un gruppo più o meno esteso di
persone che ubbidiscono a leggi o a codici morali e che perseguono, insieme, un fine ultimo
comune che può essere, nel caso delle associazioni professionali, un accordo o un investimento
commerciale conveniente e proficuo.
La parola “collegio” è probabilmente il termine più generico utilizzato per indicare l'eccezionale
mondo delle associazioni professionali, dei collettivi chiamati dagli antichi in modo molto
diverso: corpus, sodalitas, sodalicium e societas indicano, infatti, quanto questo sistema, con
forme e indicazioni differenti, sia stato un elemento sempre presente all'interno della sfera
storica, economica e culturale della società romana. D'altronde, la vastità di queste associazioni
ha ben presto portato a una grande confusione: la stessa giurisprudenza romana, fonte per
eccellenza di precisione e correttezza, dovette adattarsi a questo sistema adottando formule
comuni, perifrasi e sezioni dedicate per l'utilizzo corretto delle parole e dei termini in un contesto
in continuo mutamento e sviluppo. La difficoltà delle istituzioni nel definire esattamente cosa
fosse un collegio è ben riscontrabile nella mutevolezza e nell’ambiguità degli stessi; basti
pensare ai commenti del giurista Marcellus, che riporta le parole dei propri predecessori:
<<Neratius Priscus tres facere existimat collegium1>>.
Solo in età alto imperiale saranno riconosciuti dei veri e propri collegi ufficiali, regolamentati e
controllati dallo Stato. Difficile era indicare, addirittura, chi fossero i membri di questi gruppi:
<<sodales sunt qui eiusdem collegi sunt2>>.
Elemento comune fondamentale e permeante di tali associazioni è la presenza di un radicato
senso di religiosità che, almeno nelle prime fasi, li caratterizza: allo scopo primario di tipo
pratico (commerciale) si univa una forte identità sacra, con la scelta di una divinità protettrice
alla quale “affidare” i propri affari. Tuttavia è ancora incerta la vera influenza che tale
dimensione può aver avuto sulle scelte dei collegi.
1 “Neratio Prisco pensa che tre individui bastino per formare un collegio”; Dig., 50, 16, 85.2 “Sono membri quelli che appartengono allo stesso collegio”; Dig. 47, 22, 4.
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1.2 Le Origini
Una delle prime attestazioni epigrafiche romane del termine collegium è l'espressione gonlegium
presente sulla cosiddetta “Lamina di Faleri” 3 (fig. 1), realizzata in bronzo e databile tra il 241 e
il 238 a. C.
Questo documento presenta
un’iscrizione su entrambi i lati:
una dedica a Giove, Giunone e
Minerva da parte dei Falisci
insediatisi in Sardegna (con la
sovrintendenza dei magistri L.
Latrio figlio di Kaesonis e C.
Salvenia figlio di Volta);
l'indicazione, in versi saturni, dei
dedicanti, ossia il
collegio\associazione dei “cuochi”.
Rimane ancora aperto, tuttavia, il dibattito su quale sia in realtà la testimonianza più antica
giunta fino a noi: secondo altri studiosi (Ernout e Wachter) la redazione di questo testo non è
anteriore al 150 a. C., in quanto la grafia arcaicizzante presenta delle incongruenze, mentre i
tratti arcaizzanti sono traditi dalla presenza di forme moderne. Inoltre, i collegi sono
espressamente menzionati in iscrizioni di Roma e Praeneste, Minturno e Capua, databili alla
seconda metà del II sec. a. C.4, e sono le più antiche fino ad ora note.
Tale tipo di società ha, comunque, origini ben più antiche di quelle romane, risalenti al contesto
greco: heteria o orgeones fanno già la loro comparsa nelle parole del mitico legislatore ateniese
Solone (VI a.C.), che ne difese la costituzione a patto che non contravvenissero alla pubblica
amministrazione5. I primi riferimenti diretti di fonti greche partono invece dal V-IV secolo a.C.,
per concentrarsi in età ellenistica.
3 CIL XII, 364.4 CIL XII, 877 e 978 per Roma; 1450 e 1455 per Praeneste.5 Gaius 4 ad l. XI tab.; Dig. XLVII, 22, 4.
fig. 1
9
1.2.1 Età Arcaica
Nella tradizione romana, com’è riportato da Plutarco6 e Plinio il Vecchio7, sarebbe il secondo re
di Roma, Numa Pompilio, ad aver istituito i primi otto collegi artigianali, facendo sì che
avvenisse una mescolanza tra i cittadini romani e sabini, di recente acquisizione, che venivano
ora equamente ridistribuiti tra flautisti, orefici, carpentieri, tintori, calzolai, conciatori, bronzisti e
ceramisti.
Il dibattito su questa mitica fondazione, trasmessa in un periodo di forte ellenizzazione di Roma,
in un contesto di giustificazione della giurisdizione romana tramite il confronto coi grandi
legislatori greci, rimane comunque aperto.
Il più antico collegio di fondazione romana è il collegio Capitolino: costituito nel 390 a. C. su
ordine del dictator Marco Furio Camillo a seguito della guerra coi Galli Senoni, aveva il compito
di celebrare i giochi in onore di Giove Capitolino8. Ne erano membri tutti i cittadini compresi tra
il Campidoglio e l'arx, la cittadella.
Sono tuttavia poche e tarde le fonti che forniscono informazioni su questo e altri collegi di
fondazione arcaica che, arrivati ad essere successivamente svuotati del loro significato
originario, mantennero comunque un’ eccezione elitaria all'interno della società romana.
1.2.2 Età Repubblicana
Nel periodo repubblicano i collegi godettero di ampie libertà: ne sono testimonianza il loro
aumento numerico, la forte autonomia e la quasi totale assenza di imposizioni da parte dello
stato: unica eccezione fu il senatusconsultus de Bacchanalibus nel 186 a.C., col quale si regolava
in modo restrittivo la celebrazione di feste orgiastiche celebrate in onore del dio Dionisio e
ritenute fonte di moti sovversivi e dannosi per lo Stato.
La maggior parte della documentazione epigrafica proviene da Roma, con riferimenti ai mestieri
e alle attività più disparate: i tibicines (suonatori di flauto durante le cerimonie sacre), sectores
serrarium (artigiani dediti alla fabbricazione dei materiali da costruzione), aurifices (orefici),
aerarii (bronzisti) e lanii (macellai).
Particolari sono i casi di collegi affiliati a un preciso tempio extra-cittadino, taluno anche con
sedi delle attività all'interno della città stessa: ne sono un esempio gli aurifices de Sacra via9,
6 Plut. Numa, 17, 3. 7 Plin., Nat. Hist., XXIV, 1; XXV, 46 .8 Liv.,V, 50.9 CIL I, 3058.
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probabilmente cittadini della capitale che si recavano in pellegrinaggio al vicino tempio della dea
Fortuna Primigena a Praeneste, l’odierna Palestrina, protettrice di mercanti e commercianti, per
celebrarne il culto.
La ricchezza di epigrafi permette di cogliere la ricchezza e l'attività che, per la salubrità dell'aria
e la fiorente agricoltura, fecero di Praeneste un centro molto frequentato e ricco. Qui si riscontra
la presenza di numerosi collegi: il conlegium fullonum10, i Centonari11, il conlegium arcarium12
(di tesorieri) il conlegium cantorum13, il conlegium lecticariorum14 (i portatori di lettiga) e il
conlegium scrutarium15 (straccivendoli).
Al di fuori del territorio della capitale le fonti sono poche e frammentarie: incontriamo
spessissimo associazioni generiche di opicifes (artigiani) con riferimenti a magistri non meglio
identificati, con il compito di gestire i traffici commerciali, l'organizzazione del collegio e
celebrare le cerimonie e i giochi dedicati alle divinità.
Costoro, in quanto componenti fondamentali del collegio, acquisivano in terra straniera
(principalmente la zona orientale del Mediterraneo) la denominazione greca, ove sono diffuse le
associazioni di devoti che prendono nome dalla divinità venerata: un esempio è il modo di
indicare nei testi bilingui i magistri: essi divengono Ermaistai, Apolloniastai, Poseidoniastai,
nella trasformazione greca. Infatti, se nella formulazione romana esisteva una determinata carica
collegiale, i magistri, nella tradizione greco-orientale, che non usava sottolineare l'elemento
professionale, veniva posto in primo piano l'elemento religioso.
La situazione mutò radicalmente nel I sec. a. C. con la trasformazione dei collegi in fazioni
politiche.
Sotto la denominazione di collegi novi, in una situazione politica in continuo mutamento, queste
pseudo associazioni professionali a base popolare raccolsero larghe schiere di facinorosi e
violenti al comando di personaggi capaci di indirizzarne la forza accaparrandosene il consenso.
Per mantenere l'ordine costituito vennero emanati diversi decreti atti ad eliminare, per motivi di
ordine pubblico, molti collegi, risparmiando solo i più antichi non politicizzati e di pubblica
utilità.
Tuttavia, nel 58 a. C. il tribuno della plebe Clodio, abolendo i primi provvedimenti senatori
10 CIL I, 1455-1456.11 CIL I, 1457.12 CIL 1, 3057.13 CIL I, 3059.14 CIL I, 3066.15 CIL I, 3068.
11
(risalenti al 68 e 64 a.C.), favorì la nascita di un sempre maggiore numero di questi collegi,
proprio perché alla ricerca di crescente consenso, in particolare tra le fasce povere della
popolazione.
La sconfitta del tribuno, che non fu nominato console, permise libertà di azione al senato: la lex
Licinia de sodaliciis del 56-55 a. C., voluta da Crasso, mise nuovamente al bando questi
raggruppamenti politicizzati, condannandone i membri all'esilio. Successivamente, i decreti di
Cesare (46 a. C.) e la “lex Iulia de collegiis”16(22 a. C) di Ottaviano Augusto abolirono
definitivamente tutti i collegi, ad eccezione dei più antichi, inaugurando un lungo periodo di
equilibrio fra le parti.
Da quel momento, le associazioni professionali divennero lo strumento principale del governo
tardo-repubblicano e imperiale per esercitare un forte controllo sulla massa della popolazione
cittadina, agendo, in particolare, come strumento di disciplina nei confronti dei commercianti e
degli artigiani.
1.2.3 Età Imperiale
Se i collegia, durante tutto l'arco repubblicano, godettero quasi sempre di ampie libertà e
agevolazioni da parte dello Stato, in seguito ai fatti turbolenti del I sec. a. C., si vide nascere nei
loro confronti un nuovo atteggiamento generale improntato a cautela e controllo, con il risultato
che fu necessario richiedere l'autorizzazione ufficiale per costituirsi in una sodalitas
ufficialmente riconosciuta e per svolgere gran parte delle loro attività. Per legittimarsi, molti
collegi fanno riferimento, sulle epigrafi, all'autorizzazione concessa dalle istituzioni, tramite la
formula “CCC” (Coire Convocari Cogi), con l'espressione <<collegium quae ex senatus
consulto coire licet>>17, oppure con la trascrizione diretta del testo della legge.
Questo provvedimento minò profondamente i dettami della costituzione tardo-repubblicana che
vide la negazione di uno dei suoi precetti fondamentali, ovvero la libertà di associazione.
Questo divieto divenne oltremodo palese in età imperiale con il venir meno della concezione di
associazione intesa prettamente come “insieme” a carattere commerciale, e sostituita da quella di
gruppo obbligatoriamente caratterizzato da un’utilità sociale verso il popolo romano.
L'elemento giuridico divenne sempre più importante nella vita associativa, come indicano le
numerose leggi che regolarono la vita collegiale, tanto da rendere difficile redigere una
16 CIL VI, 2193.17 CIL XI, 7881; VI, 1872.
12
cronologia puntuale della loro evoluzione.
Per prima cosa, per il diritto romano, i collegi sono soggetti di pari diritto rispetto al singolo
cittadino, al popolo e al senato18, vengono considerati soggetti a leggi, provvedimenti e privilegi,
ed hanno la capacità di possedere beni e di poter essere rappresentati nei processi. In questo
modo i membri affrontano, come comunità, i guadagni e le perdite, in proporzione al ruolo
rivestito all'interno dell’associazione, senza essere coinvolti in prima persona.
Sono diversi gli interventi di giuristi che dimostrano il sempre maggiore controllo centrale su tali
associazioni: Gaio19, vissuto in età antonina, afferma che <<neque societas neque collegium
neque huiusmodi corpus passim omnibus habere conceditur>>, ovvero che non è concesso a
tutti formare una società, un collegio o un altro corpo senza il consenso senatorio ed imperiale.
Vengono così create delle regole e un modello di organizzazione standardizzato: ai collegi fu
concessa la possibilità di possedere terre, casse comuni e un agente (actor) o portavoce legale
(syndicus) che ne rappresentasse i diritti; divenne invece obbligatoria, per i membri,
l'appartenenza ad un unico collegio, oltre che il divieto di riunirsi più di una volta al mese, se non
a scopo religioso. Un senatoconsulto, testimoniato da un’iscrizione di Lanuvio20 di età antonina,
riporta il regolamento grazie al quale fu permesso di riunirsi in un collegio e le incombenze che
spettavano ai suoi membri, tra le quali versare una somma mensile in una cassa comune per
assicurarsi una tomba e il regolare svolgimento delle cerimonie funebri.
Queste organizzazioni sono comunque permesse in pochi casi: ad esempio è concesso formare
un corpus ai soci che prendono, vincendone l'appalto, la gestione di beni statali (vectigalia),
come aree boschive, miniere e saline.
Inoltre, esiste lo status di “collegia certa”, associazioni la cui condizione è confermata da statuti
di matrice senatoria o imperiale perché assolutamente necessari, come nel caso dei fornai e altri
collegi riferiti all'annona cittadina.
Se un’associazione, o un suo collegiale, avesse violato in qualsiasi modo la legge, veniva
immediatamente definito illecito e vedeva confiscati tutti i suoi beni, senza possibilità di
difendersi in tribunale, perdendo ogni privilegio e il diritto di ricevere donazioni e lasciti.
Allo stesso modo, i collegi formatisi senza autorizzazione ricevevano la stessa punizione di chi
occupava con uomini armati luoghi pubblici o templi21 e condannati per <<laesa maiestatis
18 Ulp. Dig, IV, 2, 9, 1.19 Dig., III, 4, 1.20 CIL XIV, 2112. 21 Ulp., Dig., XLVII, 22, 2.
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adversus securitatem populi Romani>>.
Sono comunque riscontrabili numerose eccezioni a questa regola (soprattutto dietro all’apparente
facciata della religione) e lo stato divenne ben presto più permissivo soprattutto con quei collegi
che coinvolsero le fasce più basse della popolazione, i tenuiores (quindi quelle meno influenti
politicamente), con funzioni più di mutuo soccorso e funerari che professionali.
Il continuo atteggiamento di sospetto porterà a decidere caso per caso se concedere, o meno,
l'autorizzazione e a procedere con una certa discrezionalità.
Augusto autorizzerà la nascita di nuovi collegi, anche se per la maggior parte ritenuti innocui: ne
sono esempio un’associazione di vincitori di gare musicali ad Ossirinco22 e un collegio di
topiarii e glutinatores (giardinieri e altri lavoratori di dubbia identificazione) di Tusculum23.
Sotto Tiberio, invece, furono soppresse, per motivi morali e politici, numerose associazioni in
Egitto, nonostante queste si lamentassero di aver sempre rispettato leggi e obblighi statali24.
Claudio sciolse numerosi collegi che erano stati reintrodotti durante il regno di Caligola25 e,
sempre in un’ ottica di controllo, fece chiudere le osterie dove il popolo era solito radunarsi .
Traiano, pur permettendo la nascita di un’associazione di tipo assistenziale nella Misia26,
ostacolò la formazione di collegi di fabri a Nicomedia27, temendone una successiva deriva
politica.
In generale, i collegi esclusivamente professionali furono tollerati, anche se con grandi difficoltà
nelle provincie orientali (più turbolente), e anzi questi prolifereranno per tutto il II secolo d.C.:
sotto il solido dominio di grandi dinastie quali gli Antonini e i Severi, è anzi spesso riscontrabile
un incoraggiamento nei confronti dei collegia, venendo così a creare una forza leale nei confronti
del potere centrale, molto interessato a controllare il normale funzionamento delle mansioni
pubbliche a loro affidate.
22 PLond1178.23 AE 1903, 52.24 Philo Iud., Flacc., 4.25 Cass. Dio, LX, 6, 6.26 Plin., Ep., X, 92-9327 Plin., Ep., X, 33-34 e X, 96, 7
14
1.2.4 Età Tardo-antica
La forte crisi economica che investì l'impero al termine della dinastia dei Severi generò, assieme
alla disgregazione di gran parte del territorio, grandi difficoltà nelle comunicazioni, nei
rifornimenti e un conseguente collasso dei servizi pubblici. Per risolvere questa situazione, lo
Stato dovette rivolgersi proprio alle associazioni di privati: i collegia.
Questi vennero trasformati in enti al servizio del governo, con leggi ferree che abolivano le
ultime libertà delle associazioni, ora con appartenenza obbligatoria ed ereditaria dei singoli
membri.
Alla benevolenza di Antonini e Severi si contrappose il rigido controllo degli imperatori di epoca
tarda su una realtà divenuta fondamentale per la sopravvivenza stessa dell'impero.
Ne è un esempio l'azione condotta da Alessandro Severo che, abolendo tutti i collegi preesistenti,
raggruppò tutti i vari associati in nuovi formazioni parastatali.
Questa influenza sempre maggiore traspare anche nell'ambito epigrafico, con la diminuzione
progressiva, fino al IV secolo d.C., delle dediche onorarie agli imperatori poste dai collegia.
Sotto Valentiniano la trasformazione da libere associazioni a servizi statali si completò con la
nascita del rapporto clientelare: i prefetti e l'amministrazione locale, per agevolazioni e sgravi
fiscali, acquisirono maggiore importanza rispetto alla famiglia imperiale.
Un’iscrizione di Roma28 degli inizi del IV secolo d. C., riferisce di una nuova divisione che si era
venuta a creare: i collegia necessaria e gli alia collegia: i primi sono addetti ai servizi pubblici e
godono di privilegi ed immunità, ma di scarsa autonomia, i secondi no.
Fioriscono ulteriori stringenti regolamentazioni che trasformano i collegiali in veri e propri
addetti obxonii, vincolati individualmente, con famiglia e patrimonio, alla stessa associazione: il
membro doveva, infatti, partecipare continuamente alle attività comuni e, nel caso, sopperire a
proprie spese ai servizi pubblici richiesti, in base alle proprie disponibilità economiche.
Pare che venissero, comunque, organizzati turni di lavoro che permettevano ai singoli di
dedicarsi anche ad affari individuali.
I collegi, così riformati, raggiunsero un ruolo fondamentale nella sopravvivenza dell'Urbe: erano
loro a fornire i trasporti (naviculari e nautae), la merce (dendrophori e suarii), il servizio di
verifica (mensores), la conservazione delle derrate (horrearii) e la lavorazione dei beni di
consumo primari, come pane (pistores) olio, vino, carne, carbone e legname, necessari
28 R. Ambrosino; 1939, pag. 85.
15
all'enorme popolazione raggiunta dalla capitale romana.
La loro importanza era tale che anche gli imperatori cristiani dovettero piegarsi alle loro origini
pagane: i collegi professionali continuarono ad accordare uno spazio considerevole al culto delle
divinità antiche, protetti dall’aristocrazia ancora fortemente pagana: come nel caso di Simmaco,
che impedì nel 384 d. C. all'imperatore Valentiniano29 la soppressione delle professiones
gentiliciae, oppure con Onorio e Teodosio che nel 415 d. C. poterono solo confiscarne i beni
senza però scioglierne lo statuto30.
D’altra parte, questa situazione di necessità permetterà ai collegi di esercitare una certa
pressione: scioperi e rivolte divennero l'arma migliore per la difesa dei propri diritti e, se da una
parte ne trassero vantaggio, come la rivolta dei panettieri di Efeso31, dall'altro furono frequenti le
repressioni violente sfociate nel sangue.
In conclusione, lo sviluppo dei collegia può essere visto non come un processo naturale o
spontaneo ma influenzato da provvedimenti regolatori del governo, positivi o negativi, a lungo o
a breve termine. Le leggi non furono mai eccessivamente rigide o uniformi e i rapporti tra
collegia, legge e pubblica autorità furono complessi ad ogni livello. Alcuni collegi, perché utili
alla società e allo stato per i loro servizi, mantennero ampie libertà e acquisirono diversi
privilegi, ottenendo immunità e una grande rilevanza a livello pubblico e sociale.
29 Symm., Rel. XIII, 2-3 e Ep., X.30 Cod. Theod., XVI, 10, 20, 2.31 Imagnesia 144.
16
1.3 L'atto pratico: tra religione e affari
Come già affermato, il sistema dei collegia è difficile da comprendere per noi moderni, dato che
si basa su aspetti fondamentali della società romana ormai lontani. Fondamentale da
comprendere è il rapporto tra religione e commercio, creato nel tentativo di nobilitare le attività
economiche conferendo a queste un elemento di sacralità.
Ciò è ben visibile fin dalle origini della società romana, in particolare grazie ad uno dei collegia
più antichi: i Mercuriales.
Legata al dio Mercurio, protettore e garante degli scambi per antonomasia, l'associazione nacque,
secondo Livio32, su ordine del senato nel 495 a.C., in contemporanea alla fondazione del tempio
legato alla divinità stessa, sorto nell'area occupata in futuro dal Circo Massimo e in rapporto alla
Vallis Murcia e al Foro Boario, il principale mercato della capitale.
Il motivo principale di questa fondazione, vuole rimarcare la necessità fondamentale di un
collegio con il compito di provvedere al rifornimento (l'annona) di una città in continuo fermento
come la capitale.
Agli inizi del V secolo a.C., quindi, è già presente a Roma un’associazione di commercianti con
funzione vitale per la città: alcuni autori33 ritengono invece che questo collegio avesse funzioni
più prettamente culturali e religiose, anche se va ricordato che nella società romana era possibile
ricoprire sia cariche religiose di alto rango che continuare a seguire le proprie attività.
L'atto stesso della Fides, il supremo concetto di onore e affidabilità, in ambito commerciale è
assolutamente necessario ai fini della trattativa, arrivando a legare i due contraenti con un patto
vincolato alle divinità stesse.
In seguito alla sua fondazione, le notizie sui Mercuriales diventano sempre più rare e spesso
legate alla nomina dei collegiali dell'altrettanto antico collegio Capitolino; ciò fa pensare ad una
perdita del significato originale, trasformato in un titolo prettamente onorifico.
Tuttavia, si nota una sempre maggiore quantità di riferimenti al collegio (e principalmente ai suoi
magistri) al di fuori della capitale, come in età repubblicana, a partire dai mercanti romani ed
italici di Delo34, di Capua35 e Minturnae36 fino, nella tarda repubblica e prima età imperiale, ad
32 Liv., II, 21, 7 e 27, 5-7.33 B. Combet Farnoux, 1981, pp. 451-501.34 CIL I, 3433.35 CIL I^2, 2947.36 CIL I^2, 2702.
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Avellino37, Viggiano38, Eclano39, Isernia40, Conza della Campania41, Caiazzo42, Nola43, Pompei44,
Lecce45, Brindisi46, Foro Felice47, Grumento48, Atena Lucana49, Lucca50, Pisa51, Aquino52,
Treviri53, Chalon-sur-Saône54, Vid55.
Oltretutto rimangono dubbie diverse epigrafi, con riferimenti ad Augustales, a mercatores56 e a
nummulares57 ma riconducibili direttamente ai Mercuriales, sottolineando l'importanza che
questo collegio possedeva, legandosi definitivamente alla definizione di mercante, poiché i suoi
membri entravano in un rapporto privilegiato con la divinità proprio per il mestiere da questi
esercitato.
All'interno dei collegia convivono, quindi, aspetti propriamente professionali, legati alle attività
private e corporative, aspetti religiosi incentrati sulle divinità protettrici e rappresentative del
mestiere, e l'insieme degli aspetti assistenziali e di pietas, quali la sepoltura dei membri e i riti
funerari in loro memoria, l'ausilio ai soci o ai loro congiunti, cui si aggiungono riunioni
conviviali e cerimonie pubbliche e private.
Il caso dei Mercuriales non è isolato: ogni associazione si appella alla protezione di una specifica
divinità, soprattutto quelle care all'ambiente dei commercianti, degli artigiani e dei produttori.
Ne sono esempio Ercole, Fortuna, Minerva, Cerere, Bona Mens, Silvano o i Genius dei collegia,
oltre che le divinità locali.
Alcune societates venerano un pantheon di divinità specifico: i Negotiatores di Delo58
omaggiano Apollo, Mercurio, Nettuno, ed Ercole; il primo perché natio dell'isola, gli altri perché
sempre collegati al commercio.
L'appartenenza a un collegio portava grandi vantaggi, impensabili per un singolo individuo.
37 CIL X, 1152-1154.38 AE 1901, 173.39 AE 1912, 106.40 AE 1993, 553.41 CIL IX, 972.42 CIL X, 4589.43 CIL X, 1272.44 AE, 1992, 285.45 CIL X, 23.46 CIL IX, 54, 56; AE 1964, 131-132.47 AE 1999, 538.48 CIL X, 205, 232.49 CIL X, 340.50 AE 1937, 131.51 CIL IX, 1417.52 AE 1988, 257.53 CIL XIII, 4194.54 CIL XIII, 2614.55 CIL III, 1769-1770, 1799, 1801; AE 1932, 82.56 CIL IX, 1710.57 CIL IX, 1707.58 CIL I, 2233.
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Questo status offriva immunità, privilegi concessi dallo Stato, la gestione del pagamento di tasse
e andamento dei prezzi delle proprie merci, l’opportunità di dividere i costi d'esercizio e le spese,
di assicurarsi una maggiore stabilità economica e di ottenere monopoli, appalti privati e pubblici,
oltre che la gestione di strutture pubbliche. Per esempio, i Fullones (i tintori) di Roma59
esercitavano la propria professione in vasche concesse dallo Stato.
Spesso tali concessioni erano gestite direttamente dal collegio e dai suoi magistri, che stabilivano
multe, punizioni e indicavano gli addetti per l'utilizzo delle attrezzature in concessione, come
indicato in una iscrizione tardo-repubblicana60, dove il conlegium aquae doveva gestire due
vasche ed una fonte di un quartiere per le loro attività pagando l'appalto allo Stato.
Un papiro da Tebtunis61, in Egitto, datato al 47 d.C., presenta il caso di un’associazione di
commercianti per la vendita del sale a livello locale, i cui membri si impegnavano a pagare
collettivamente le tasse, a fissare una riunione mensile e a celebrare la morte di un collegiato con
un banchetto lungo un intero giorno, al quale tutti gli iscritti devono partecipare sia con la
propria persona che con un contributo. Inoltre, nello stesso testo, viene indicata la nomina dei
responsabili (curatores) con il compito di controllare e regolamentare l'attività e gli scambi dei
singoli membri, di gestire gli affari pubblici della associazione e di far arrestare i trasgressori.
Lo Stato stabilisce e controlla i prezzi applicati dai collegi: sia la lex Irnitana che una legge del
codice di Giustiniano impediscono l'iniziativa delle singole associazioni.
Non mancano, tuttavia, i trasgressori: a Smirne62 tra I e II sec. d.C. viene sanzionato dalle
autorità un collegio di traghettatori che, data la loro sempre maggiore importanza e autorità,
impediva ad altri di esercitare la stessa professione, procedendo oltretutto con l'aumento delle
tariffe.
Adriano stesso dovrà, a Pergamo63, punire i cambiavalute cittadini che, ottenuto il monopolio,
applicavano tassi illegittimi, mentre i prestatori di denaro (pleisteriazontes) di Nicomedia di
Bitinia 64 vengono puniti da un decreto anti-usura. Gli argentarii (banchieri) di Efeso65 arrivarono
addirittura a causare, per il loro comportamento, una sommossa popolare.
All'interno dei collegia, per onorare le divinità tutelari, si celebravano particolari riti, sia in
ambito privato che pubblico.
Quelli privati venivano celebrati all'interno delle sedi del collegio, come un tempio, un’ area
59 CIL VI, 266-268.60 CIL VI, 10298.61 P.Mich. V, 245.62 IK 24, 1, 71263 IGR 4, 352.64 TAM 4, 1, 3.65 Acta apost., 19, 23-28
19
sacra all'aperto con simulacri ed altari o un semplice sacrario posto all'ingresso della sede del
collegio stesso, con una rappresentazione del Genius tutelare.
I riti, invocazioni, commemorazione dei defunti e sacrifici sono officiati dalle cariche
gerarchiche superiori, da ministri addetti al culto o da veri e propri sacerdoti, membri o meno del
collegio.
Tali cerimonie cadevano, principalmente, nei giorni delle ricorrenze ufficiali delle divinità, in
occasione di festività locali e nel dies natalis del collegio: a parteciparvi erano i membri a pieno
titolo e tutti coloro i quali erano stati insigniti di questo diritto per carica onoraria.
I rituali pubblici, se il collegio disponeva di fondi sufficienti e delle necessarie autorizzazioni, si
svolgevano nei templi cittadini o nelle aree sacre e durante le processioni pubbliche ma spesso si
manifestavano sotto forma di dedicazione di stele, statue e monumenti in onore alla divinità.
A parte va considerato il culto degli imperatori, praticato probabilmente per evitare accuse di
lesa maiestatis o comunque per garantirsi il favore dello Stato. Un esempio è rappresentato dal
collegio dei dendrophori di Bovillae (Marino)66 che pose il pino sacro a Cybele, nello spazio
garantito dai decurioni, in onore della salute dell'imperatore Antonino Pio e di tutta la sua
famiglia.
Inoltre, come rappresentanti di una parte della plebe, i collegiali partecipavano alle cerimonie
pubbliche, come la parata imperiale di Aureliano67 e Gallieno68, ai funerali di Pertinace69 e
l'arrivo di Augusto a Augustodunum70 (Autun).
Spesso, per comprovare il proprio attaccamento alla città o farsi accettare dai suoi abitanti, i
collegi si adoperavano per finanziare il costo di un monumento pubblico, come la statua dedicata
ad un benefattore dalla boulè, dal popolo e dai mercanti di Apamea di Frigia71 e pagata dai
commerciati della strada delle Terme; oppure su propria iniziativa, il collegio stesso procedeva
alla costruzione di statue e monumenti in onore delle divinità o dei benefattori che giovarono,
con il proprio contributo, all'insediamento: è il caso C. Cornelius Felix Italus che, salvata
Rimini72 da una crisi annonaria, venne nominato patrono del municipio e dei tre collegi maggiori.
66 AE 1927, 5167 SHA, Aurel, 33-35, I68 SHA, Gallien., 7, 4-9, 169 Cass. Dio, LXXIV, 4, 2-5, 170 Pan. Lat. Constant., 8.71 IDélos 1645.72 CIL XI, 377.
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1.4 Le strutture interne e la gerarchia
Come riportato nel Digesto73, i collegia presentano una organizzazione interna <<ad exemplum
rei publicae>>, ovvero ad imitazione di quella dello Stato: se l'autorizzazione alla fondazione, i
criteri di ammissione dei membri e il regime amministrativo sottoposto sono noti grazie alla
legislazione civile romana, i particolari sulla gestione e l'organizzazione interna sono conosciuti
grazie all'insieme delle leges collegii, gli statuti che ogni collegio si dava al momento della
fondazione, modificabili ed incrementabili nel tempo, per regolamentare ogni attività,
disciplinare i rapporti interni e risolvere eventuali e possibili controversie.
Un’ulteriore testimonianza è fornita dagli alba, elenchi dei membri del collegio indicati per
carica ricoperta in ordine decrescente; una copia era conservata dal collegio stesso, un’altra era
invece inviata all'imperatore in persona: esempio ne è un papiro di Ossirinco74, contenente
l'elenco dei membri del collegio inviato allo stesso Traiano.
Altri alba, ancora provenienti da Roma, Ostia e dalla Campania, indicano la componente sociale
di un collegio, le cariche previste e la sua organizzazione: l'epigrafe in onore del liberto C. Iulius
Helpidephorus Cyrinus posta dal sodalicium dii Silvani Pollentis di Roma75 nel tempio dedicato
al dio, costruito grazie alle donazioni dell'onorato, elenca ad imperitura memoria i nomi degli
associati, per la maggior parte schiavi, immunes e biatores, suddivisi per decurie.
Grazie a questa iscrizione è stato possibile, oltre che confermare l'esistenza di associazioni di
schiavi, ipotizzare un’ipotetica distribuzione dei soci in decurie, seguendo un modello non
necessariamente simile a quello militare.
Altri collegi, invece, dato il grande numero dei partecipanti, optavano per la divisione in decurie
o centurie, ad esempio i fabri, i centonari e i dendrophori, con una chiara derivazione militare, a
capo delle quali era posto un praefectus, con compito di controllo e sorveglianza delle attività a
loro preposte.
Probabile, inoltre, che a capo di ogni decuria fosse posto proprio un decurione, come
testimoniato ad esempio a Ravenna76 o a Roma77.
Per entrare a far parte di un collegio bisognava essere nominati tramite adlectio, ovvero con il
benestare dei membri (sopratutto magistri e quinquennali) e per volontà dell'assemblea generale
73 Gaius, Dig., III, 4, 1.74 POxy 12, 1414, rr. 4-11.75 CIL VI, 647.76 CIL VI, 647.77 CIL VI, 7861, 7863-7864, 9254.
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dei soci78. Possibile è la nomina a membro di un determinato collegio di un lavoratore che non ne
esercita la professione79, ma che non gode delle eventuali immunità del quale beneficia solo chi
esercita realmente la professione ufficiale del collegio: esempio il cuoco membro del collegio dei
dendrophori di Alba Fucens80
Le motivazioni più plausibili di tale nomina possono essere state, nei primi secoli dell'impero, la
devozione religiosa, i probabili vantaggi e relazioni offerti dal collegio o il prestigio delle cariche
o del patronato. In epoche più tarde, si ricercano delle agevolazioni fiscali.
Le magistrature, nei collegi romani, sono annuali e rieleggibili: i magistri (la carica suprema del
collegio) e i curatores (con compiti di tipo amministrativo) sono eletti dall'assemblea generale
dei soci, tra i membri più ricchi e facoltosi (spesso liberti arricchiti) poiché spesso dovevano
garantire, a proprie spese, i banchetti e il restauro degli edifici dell'associazione.
Terminato il mandato, i magistri decadevano, assumendo il titolo di honorati.
Il titolo di quinquennales inizialmente veniva attribuito ogni cinque anni ed era ripetibile ma,
successivamente, l'intervallo di attesa tra una nomina ed un’altra non venne più rispettato,
probabilmente per l'abitudine dei quinquennales neoeletti, di festeggiare dispensando banchetti e
donativi.
Il titolo di quinquennalis perpetuus era l'onore più grande dispensato dal collegio; la carica di
rector quinquennalis doveva essere invece una nomina straordinaria; agli uffici di quaestor ed
arkarius spettavano i compiti amministrativi (con l'ausilio di scribi e messi).
Controversa appare invece la carica del praefectus collegi che, se da una parte è definito come
sovrintendente preposto al controllo dei tre collegia maggiori, dall'altra viene definito assieme
alla nomina a patrono delle singole associazioni: si tratta quindi di un responsabile del collegio,
similmente ad un quinquennalis, ma nei confronti dei suoi stessi soci e non dello Stato.
Altri onori che potevano essere attributi dal collegio erano il titolo di immunis, bisellarius e
duplicarius: il primo riguarda l'esenzione da particolari obblighi comuni o dal pagamento della
quota mensile, il secondo concede al designato il diritto ad una sedia d'onore a due posti, il terzo,
durante le divisiones, riceveva una doppia razione.
L'epiteto di munificus è ovviamente onorifico ed è attribuito, solitamente, ai grandi benefattori
del collegio.
A Roma81, i curatores del collegio degli eborarii e dei citrarii di Trastevere (commercianti di
78 CIL VI, 10294, 10395.79 Dig., L, 6, 6 (5), 12.80 CIL IX, 3938.81 CIL VI, 33885.
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legni pregiati come ebano e cedro) vengono eletti ogni quattro anni e, oltre a ridistribuire
equamente a fine anno il fondo cassa dell'associazione, devono assicurare, durante tutto il loro
mandato, una serie di donazioni (sportulae) in particolari ricorrenze, come in occasione del
compleanno dell'imperatore Adriano, del benefattore del collegio Iulius Aelianus e del suo figlio
Iulius Flaccus, oltre che al giorno di inizio dell'impero (dies imperii) dell'imperatore stesso.
Da non confondere con il patrono, carica di rango superiore, sono i pater e mater collegii:
costoro sono principalmente benefattori di estrazione modesta, ma non povera, che concedono
lasciti e cospicue donazioni materiali al collegio piuttosto che favori politici.
La nomina a mater è comune dato che si tratta dell'unica carica onorifica femminile all'interno
del collegio: è il caso di Memmia Victoria, mater dei fabri di Sentinum (Sassoferrato), che chiese
al collegio di assumere tutti i propri discendenti come patroni in cambio di un probabile aiuto
economico.
Il patronato è una carica di prestigio ma anche un impegno formale, volontario e giuridico
(testimoniato dalle tabulae patronatus), grazie al quale un individuo crea un legame personale di
lunga durata con un gruppo di status sociale diseguale, contribuendo vicendevolmente con
scambi sia simbolici che materiali ed economici. Esso fornisce un elemento in più per i collegi
per integrarsi nel sistema municipale.
Esempio ne è l'iscrizione bronzea proveniente da Reggio Emilia82 in cui il collegio dei fabri e dei
centonarii nomina patrono Tutilius Iulianus.
La legge non vietava di essere patrono di più collegia (seppur fosse vietato appartenere a due
associazioni separate) ma impedisce la cooptazione dei bambini, pratica diffusa tra chi, seppur
dalle cospicue risorse, proveniva da origini modeste.
In età imperiale, a seguito del decreto che impediva alla classe senatoria di poter ricevere tale
nomina, sono sempre di più i patroni di rango equestre. Dal III sec. d.C. torneranno ad essere
patroni senatori e equestri di alto rango, in questo caso nomina legata alla carica politica o alla
città di riferimento, per carattere ereditario, diventando l'espressione del prestigio di una
famiglia: a Capua, Anicius Paolinus, primo proconsole della Campania, e Sex. Claudius
Petronius Probus, prefetto del pretorio, sono rispettivamente patroni originales di regiones e
collegia, quindi con patronato di tradizione familiare83.
Il gruppo decisamente più ampio di patroni proviene dagli equites publici (di classe municipale),
seguono decurioni, seviri o coloro che ricoprivano altre cariche sacerdotali, infine i liberti.
I patroni sono poi comunemente coinvolti all'interno dell'organizzazione collegiale: a Signia
82 CIL XI, 970.83 G. Barbieri, 1971; p. 291.
23
(Segni) 84 un patrono dei dendrophori è anche quinquennalis del collegio.
Spesso, un commerciante può allacciare, attraverso il patronato, più collegamenti con diverse
associazioni, potenziando i propri affari: a Roma85 è stata ritrovata l'epigrafe del cavaliere C.
Sentius Regolianus di Lugdunum (Lione) che, come negotiator vinarius, diffusor olearius ex
Baetica e nauta, è patrono dei negotiatores vinarii, dei nautae e dei seviri augustali.
Solitamente i collegi omaggiano i propri patroni con iscrizioni onorarie, dove vengono elencati i
loro meriti; tuttavia sono comuni anche forme di ringraziamento indirette, come l'esempio dei
collegi dei fabri, centonari e dendrophori di Falerio nel Piceno86 che celebrano il patrono T.
Cornasidius Vesennius Clemens dedicandogli una statua del padre.
Il patrono di un collegium può donare, oltre a somme di denaro, strutture e infrastrutture
necessarie all'esercizio del mestiere dell’associazione (come tabernae o moli) e, se dotato di
autorità politica, può influenzare favorevolmente il mercato per il collegio, esentarlo da tributi,
aiutarlo se chiamato in giudizio, concedergli l'esclusiva di monopoli, lavori e servizi.
Sono documentati casi di legami a vita tra associazioni e magistrati, con reciproci vantaggi, o
con famiglie nobili locali, generazione dopo generazione, con ovvi fini economici. Celebre il
caso di Cn. Sentius Felix, armatore di Ostia87 che oltre a ricoprire cariche come duoviro e
questore dell'erario, ha legami con venticinque tra corpora, collegi, sodalizi e associazioni di
varia natura.
Il patrono può ricoprire anche la carica di syndicus, ovvero di consigliere e difensore legale, con
la possibilità di capovolgere le sorti di un processo: è proprio grazie all'intervento del patrono dei
fullones e dei tintori di Tebtunis88 che i collegi vinsero il ricorso contro l'aumento delle imposte.
Se il patrono è di alta estrazione, può intercedere presso l'amministrazione, se meno influente
può comunque fungere da intermediario e chiedere l'intervento dei propri superiori, come il caso
del patrono T. Claudius Severus, littore, che grazie all'intercessione di un decurione riuscì a
concedere il permesso di pesca ai pescatori del Tevere89.
In cambio di questi favori il patrono poteva ricevere soprattutto appoggio politico, utile per la
sua carriera municipale: lo provano i vari manifesti elettorali ritrovati a Pompei, dove ogni
collegio sosteneva un proprio candidato.
Questa pratica era mal vista dallo Stato, che vedeva così indebolita la propria autorità.
84 CIL X, 5968.85 CIL VI, 29722.86 CIL IX, 5439.87 CIL XIV, 409.88 Ptebt 2, 287.89 CIL VI, 1872.
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La sopravvivenza dei collegi si basava sulle entrate che derivavano dalla somma mensile pagata
dai soci e dalla summa honoraria, versata da chi veniva eletto ad una carica collegiale; a parte va
considerato il funeraticium, contributo versato per le esequie dei membri.
Era oltretutto pratica comune la richiesta di una tassa straordinaria per la dedica di statue ai
patroni.
Dalla cassa comune venivano prelevati i denari per celebrare i riti e i sacrifici in onore delle
divinità protettrici del collegio o della famiglia imperiale.
Altre rendite potevano provenire da capitali e immobili, multe ed eredità: un collegio poteva
ricevere in dono la propria schola, un edificio in cui svolgere le cerimonie religiose e i banchetti,
un terreno e strutture atte allo svolgimento della professione.
La stragrande maggioranza dei donativi rimaneva comunque in denaro; gestiti dai collegia,
dovevano garantire una rendita utile alla distribuzione regolare di sportulae, e alla pratica di
banchetti e riti: a Roma, T. Claudius Chresimus, ob honorem quinquennalitas, dona al proprio
collegio 10.000 sesterzi, con la cui rendita annuale si procedeva a distribuzioni al popolo il primo
di agosto, dies natalis del collegium.
Il collegio poteva disporre anche di una rendita perpetua legata a una fondazione funeraria: il
lascito prevedeva che il collegio amministrasse e investisse la somma donata per ricavare
interessi; con essi andava celebrata un ricorrenza in memoria del defunto (o dei suoi parenti
deceduti) in particolari date, come la cara cognatio, il dies violaris, i rosalia, i parentalia oppure
l'anniversario di nascita e morte. Era ricompresa anche l'eventuale manutenzione della tomba del
benefattore.
A Roma90, Salvia Marcellina dona nel 153 d.C al collegio di Esculapio e Hygia una statua del dio
ed una struttura lungo la via Appia dove svolgere i banchetti e i riti in memoria del marito, il
liberto imperiale M. Ulpius Capito, e del procurator Augusti Flavius Apollonius; inoltre, dona
50000 sesterzi con le cui rendite distribuire sportulae ai 60 soci e piccole somme di denaro (in
base al grado ricoperto nella gerarchia dell'associazione) in ricorrenza del compleanno
dell'imperatore Antonino Pio.
Le motivazioni di tali donazioni, spesso molto generose, sono diverse e articolate: c'è chi, come
un patrono di umili origini, vuole trasmettere ai posteri la propria memoria con banchetti, riti e
distribuzioni in proprio nome e chi, per motivi economici, vuole preservare le proprie ricchezze
da espropri e tasse donando ampie proprietà ai collegi.
Nel caso le volontà testamentarie del defunto non fossero state seguite dagli associati, un
secondo collegio, nominato in precedenza, aveva il potere di imporre una multa: un mensor di
90 CIL VI, 10234.
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Efeso91 lascia un donativo agli artigiani del propyleion attivi sotto la statua di Poseidone con
l'obbligo di celebrare un banchetto con vino e sacrifici ogni anno nell'anniversario del suo
compleanno; la multa per inadempienza andava pagata al collegio dei mensores del grano.
Infine, era pratica comune che un privato affidasse la protezione e la manutenzione della propria
tomba ad un collegio, in modo tale che questo potesse incassare le multe a danno di chi lo
violava.
Da sempre i collegi hanno beneficiato, in cambio dei propri servizi, di diversi privilegi: poiché
questi erano investiti da un munus straordinario in virtù della loro professione che svolgevano
per conto di tutti gli altri cittadini, questi venivano esentati da alcuni o da tutti gli altri munera92
obbligatori, che variavano in base all'importanza stessa del collegio. Tra tutte le associazioni,
quella dei navicularii ricevette il maggior numero di agevolazioni, dato il loro ruolo
fondamentale per l'annona e di conseguenza il loro maggiore potere contrattuale con lo Stato.
La più antica testimonianza di privilegi è quella ottenuta dai tibicines di Roma93, risalente al IV
sec. a.C, ai quali fu concesso di celebrare un banchetto nel tempio di Giove, accompagnato da
musica.
Al I sec. d.C. risale, invece, l'iscrizione ritrovata ad Efeso che concede uno sconto del 2% sui
dazi per chi trasporta beni in beneficio del popolo romano o per scopi pubblici.
L'associazione egiziana94degli artisti vincitori di gare in onore di Dioniso, ottenne dall'imperatore
Adriano una lunga serie di benefici: il diritto di riunione, di asilo, di proedria95 e di giurisdizione,
l'esenzione dalle tasse, l'immunità dalla partecipazione obbligatoria ai riti, dall'intrattenere ospiti
e dall'essere imprigionati in carceri straniere. I collegiali ricevevano, inoltre, varie riconoscenze,
sia da privati che da pubblici per i servizi a loro resi: lo Stato stesso poteva contribuire con
donazioni alle casse comuni o col restauro delle strutture produttive di proprietà del collegio.
In età imperiale l'utilità delle associazioni professionali fu innegabile: lo Stato per garantire il
regolare svolgimento della vita della città ed evitare sommosse e turbolenze popolari, concesse ai
collegi particolari privilegi; questi quindi svolsero, oltre alle proprie attività commerciali, servizi
pubblici fondamentali come il rifornimento dell'annona, la costruzione e la manutenzione degli
edifici e il riscaldamento delle terme. Lo Stato impose comunque tasse e servizi pubblici
91 IK 17, 1, 3216.92 I munera publica e i munera civilia riguardavano tutta una serie di servizi che il cittadino doveva alla città e ai
suoi abitanti, spesso rivolti alla specializzazione professionale del singolo: per esempio è obbligatorio contribuireal trasporto di beni (municipali e statali), contribuire alle spese ludiche, partecipare all'acquisto collettivo di cibo,acqua e combustibile per le terme.
93 Liv., IX, 30, 5-10.94 BGU 1074.95 Il diritto di sedere nei primi posti in teatro, durante i giochi o nelle assemblee.
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proporzionati alle disponibilità e alla specializzazione del collegio.
A beneficiare della riforma imperiale delle organizzazioni collegiali furono quindi i negotiatores
frumenti (privilegiati fin dai tempi di Augusto), i mercatores olearii esentati dai munera publica
dopo aver prestato cinque anni di servizio, i centonarii di Solva (sotto Settimio Severo e
Caracalla), che videro svincolate le loro ricchezze personali, mentre i panettieri di Roma
ottennero, se lavoravano per lo Stato, la cittadinanza; tuttavia, chi non ne faceva parte o non
esercitava direttamente la professione di riferimento era automaticamente escluso
dall'immunitas.
A partire dal III sec. d.C., tuttavia, la sempre maggiore decadenza dell'impero comportò la
trasformazione in obbligatori di alcuni servizi fondamentali, controllati e regolamentarizzati
dallo Stato stesso.
Le associazioni vennero così lentamente statalizzate; gli alba si trasformarono negli elenchi di
coloro che dovevano svolgere, obbligatoriamente, un particolare servizio: Aureliano fece inserire
anche i nomi dei successori degli associati, rendendo di fatto la cosa ereditaria.
In età tardo-antica si proibi, addirittura, di fuoriuscire da tali associazioni se non autorizzati,
soprattutto nei collegi predisposti al rifornimento delle città di Roma e Costantinopoli.
Per esempio un decreto di Onorio del 412 d.C. impose il rientro nei rispettivi collegi dei
fuoriusciti durante alcuni disordini politici96.
96 Cod. Theod., XIV, 7, 1-2.
27
1.5 Tipologie di Collegia
1.5.1 I tria collegia: Fabri, Centonarii e Dendrophori
I collegi dei Fabri, Centonarii e Dendrophori, spesso definiti tria collegia licita97, tria collegia
principalia98 o più semplicemente tria collegia per la posizione di superiorità che ricoprivano
rispetto alle altre associazioni, sono i tre collegi più diffusi in assoluto nel mondo romano,
testimoniati sia in grandi che piccoli centri abitati.
Proprio per la loro “autorità” raggruppavano gli strati più alti della plebe urbana, formando una
sorte di élite o aristocrazia delle associazioni professionali.
Dato l'alto numero dei membri e l'abitudine di raggrupparli tra loro, sono state elaborate diverse
teorie; in particolare quella teorizzata, due secoli fa, dagli studiosi Maué e Waltzing, che indica
un loro probabile utilizzo come vigili del fuoco, non convince più gli studiosi. Data la totale
assenza di testi epigrafici e letterari a favore di questa ipotesi, ciò che pare accomunare le tre
associazioni, più del ruolo di pompieri, è il loro carattere di collegi ufficialmente riconosciuti (in
un periodo dove la tolleranza è minima), lo stretto legame che univa le tre professioni e il loro
status che dal punto di vista economico garantiva il beneficio di immunità. Eloquente è il caso di
Pisaurum99 (Pesaro), dove due personaggi vengono nominati patroni oltre che dei fabri, dei
centonari e dei dendrophori anche dei navicularii che probabilmente avevano acquisito, nella
medesima città, lo stesso prestigio dei tria collegia.
Il termine faber indica, generalmente, colui che fa, produce, ovvero l'artigiano, soprattutto dei
materiali come legno, metallo e pietra. Spesso il termine è accompagnato da un elemento che ne
specifica ulteriormente il compito: i più diffusi sono i fabri tignarii (costruttori edili o più in
generale i costruttori), i fabri navales (costruttori di navi), fabri argentarii e ferrarii e i
fabbricanti di ogni prodotto possibile, dai letti (fabri lectarius) ai pettini (faber pectinarius) alle
suole delle scarpe (faber solearius baxearius).
Il collegio dei fabri è l'associazione municipale più importante e diffusa, ma solo nelle provincie
pacificate; si esclude quindi l'oriente, la Grecia e l'Africa.
Tradizionalmente fondato da re Numa100 e legati al culto di Minerva, i fabri andavano fieri delle
proprie antiche origini: i fabri tignarii di Roma101 affermavano, nel 129 d.C., di essere al XVIII
97 CIL V, 7881.98 CIL XI, 5748-5749.99 CIL IX, 6362, 6378.100 Plut., Numa, 17.101 CIL VI, 10299.
28
lustrum (ovvero il sacrificio fatto ogni cinque anni tra un censimento e l'altro) e quindi facevano
risalire la loro fondazione a circa 140 anni prima.
In epoca imperiale, la divisione dei membri riprendeva direttamente l'organizzazione militare102
per decurie o centurie, guidate da magistri o praefecti: Aurelio Vittore103 attribuisce tale divisione
ad Adriano.
Ovvia la pubblica utilità dei fabri, sopratutto dei tignarii e dei navales, utilizzati per la
costruzione di edifici pubblici: Cicerone104 afferma che la costruzione del tempio del
Campidoglio non costò nulla allo Stato, dato che fu realizzato forzatamente dal collegio,
nell'ottica delle attività obbligatorie contenute nei munera pubblica.
Per quanto riguarda la loro ipotetica funzione di vigili del fuoco, gli studiosi hanno fatto
riferimento unicamente alla lettera nella quale Plinio il Giovane105, durante il suo governatorato
della Bitinia, informò Traiano della necessità di formare un collegio di fabri a seguito
dell'enorme incendio che colpì Nicomedia, causando ingenti danni senza che alcuno potesse fare
qualcosa.
Nei centri minori il collegio dei fabri poteva riunire tutti gli artigiani attivi nel territorio: è il caso
del ceramista inserito nei fabri di Lugdunum106.
Per quanto riguarda i centonarii, a differenza dei fabri, le notizie sono carenti e spesso riferite
alle numerosissime attestazioni epigrafiche comprese tra la tarda età repubblicana e il IV secolo
d.C.
Queste fonti rimangono comunque vaghe e spesso contraddittorie, tanto che la definizione del
semplice produttore di coperte grossolane non è più sufficiente: se da una parte il rimando alle
centones (stoffa grezza) richiama proprio questa definizione, Petronio107 sembra identificare sotto
questa definizione piuttosto un piccolo commerciante. Nel codice Teodosiano108 una legge del
369 d.C. infligge pene severissime al membro del collegio che cerca di entrare nella curia o si
assenta dal suo posto.
Il servizio di pompiere sarebbe stato loro attribuito per il fatto che le coperte di stracci da loro
prodotte sarebbero state utili per spegnere le fiamme; tuttavia, oltre a questa, il cento ha ricevuto
102 Nell'esercito erano presenti due centurie di fabri con funzioni ausiliarie di genio militare.103 Aur. Vict., Ep., 14, 5.104 Cic., Verr., V, 19, 48.105 Plin., Ep., X, 33, 1-3.106 CIL XIII, 1978.107 Satyr., 45, 1.108 XIV, 8, 2.
29
altre definizioni: casacca per schiavi109, usata da pescatori110 e mulattieri111 (utilizzata sopra ai
basti), come tappezzeria da inserire sui cardini delle porte112, usato nell'esercito come copricapo
da porre sotto l'elmo113 o, nella forma di centones, come “uniforme da fatica” usata dai soldati
durante le operazioni nelle retrovie114.
Proprio per la mutevolezza del termine pare strano che un collegio di straccivendoli possa aver
guadagnato una tale ricchezza e reputazione all'interno della vita cittadina: più probabile è che il
collegio possa raggruppare tra le proprie fila un insieme eterogeneo di commercianti al dettaglio,
anche se è ancora difficile dimostrarlo.
L'ultimo dei tria collegia, il più recente dei tre, è quello dei dendrophori: il documento
epigrafico più antico riguardante questo collegio è un iscrizione di Regium Iulium115 del 79 d.C.,
il più tardo proviene da Sifitis116 ed è datato al 288 d.C. anche se, come testimoniato dal codice
Teodosiano117, le ultime attestazioni risalgono al V sec d.C.
I dendrophori (“portatori di albero”) sono generalmente definiti come boscaioli, falegnami e
mercanti di legname ma, a fronte degli studi di Waltzing118, nessuno ha messo in discussione la
forte preminenza religiosa di questo collegio: come è noto i dendrophori presentano uno stretto
collegamento col culto di origine frigia di Cybele e di Attis. Essi svolgevano un ruolo
fondamentale durante le cerimonie in onore di Attis, in particolare durante la dendrophoria, un
rito che prevedeva, agli inizi della primavera, la processione per la città di un albero sacro
(generalmente un pino) ornato con viole e un’immagine della divinità.
L'origine dell'associazione professionale, attraverso la fusione di realtà professionali e credenze
religiose, è stata attribuita al governo imperiale del I sec d.C., in particolare alla riorganizzazione
attuata durante il principato di Claudio: a lui, data la mancanza di testi epigrafici precedenti, si
devono la riforma del culto della Magna Mater e l'introduzione del ciclo di feste di origine frigia
tra il 15 e il 27 marzo.
Claudio, in questo modo, lega i culti di Cybele e Attis a un nome greco (del tutto estraneo alle
due divinità) e ricollega ad un culto di una divinità delle montagne e delle acque l'importante
corporazione professionale dei trasportatori e commercianti di legno.
L'obbiettivo più plausibile di questa riforma potè essere solo l'intenzione di sottoporre al
109 Cato, r.r., II, 10, 11, 59, 135; Colum., r.r., 8; Iuven., VI, 121.110 Plin., Nat. Hist., IX, 84.111 Liv., VII, 14; Veget., II, 59, 2; edict. Diocl., VII, 51, 52.112 Satyr., 7.113 Amm. Marc., XIX, 8, 8.114 Caes., b. gall., III, 44.115 CIL X, 7.116 CIL VIII, 8457.117 XVI, 10, 20, 2.118 J. P. Waltzing 1895-1900, I, pp. 240-253; II, pp. 122-124, p. 148.
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controllo statale sia un culto straniero (Magna Mater) sia il garantirsi l'afflusso di una materia
prima fondamentale per ogni aspetto della vita civile (edilizia, riscaldamento, energia e
produzione) della quale lo Stato stesso possedeva il monopolio.
1.5.2 I collegi semi-ufficiali e para-religiosi
A fianco dei collegi propriamente professionali, di ambito commerciale, sussistevano realtà
esterne, che spesso in molte realtà territoriali sembrano rappresentare il fenomeno associativo
maggiore: gli iuvenes o sodales.
Di matrice principalmente religiosa, dei sodales (i membri vengono definiti cultores, più che
sacerdoti) si hanno poche notizie: una delle più antiche e certe fa riferimento ai sodales Titi, del
quale si ignora ogni aspetto tranne che, a seguito della morte di Augusto, furono collegati ai
sodales Augustales, preposti al culto dell'imperatore divinizzato. Da questo nacquero poi altri
collegi sacerdotali minori, come i sodales Augustales Claudiales (in onore a Claudio), i sodales
Flaviales (Vespasiano) e i sodales Hadrianales (Adriano).
Elemento fondamentale dei sodales Augustales era la loro apertura ai ceti sociali minori
permettendo, principalmente ai ricchi liberti e ai propri discendenti, un’incredibile scalata
sociale; tuttavia, come collegio semi-ufficiale all’interno delle municipalità, si collocava subito
al di sotto dei decurioni e prima di ogni altra associazione riconosciuta.
Il termine sodalis ha inoltre un’accezione ben più ampia e soprattutto privata: con questo termine
venivano definiti un amico, un familiare, un commilitone, un collega o un socio di bottega, anche
in assenza di vincoli formali o di associazione. Solitamente questo termine compare utilizzato in
epigrafi e dagli autori antichi: è l'indicazione ufficiale dell’associazione a distinguere una realtà
pubblica da una privata. Ad esempio, è un unico sodalis che si occupa della sepoltura di un
defunto, in virtù di un legame privato tra conoscenti o collega (similmente ai collegia).
Sodales sono considerati anche gli appartenenti a confraternite religiose non ufficiali, come i
cristiani, ebrei e seguaci dei culti orientali.
In Italia sono testimoniati una serie di cultores e sodales che non sono né Augustales né legati ad
un culto imperiale; in questo caso potrebbe trattarsi di gruppi che, presentandosi come religiosi,
cercavano legittimità nei confronti dell'autorità statale: ad esempio, il sodalicium urbanorum di
Bracara Augusta119, in Spagna, di età repubblicana, si presentava come associazione religiosa di
cittadini, ma con ovvi fini culturali e politici.
A differenza dei collegi, a predominare era quindi una dimensione religiosa e culturale più che
119 CIL II, 2428.
31
commerciale; tuttavia l'idea che dietro ai sodales non sussistesse anche un elemento puramente
economico non è da scartare. I sodales carpentarii di Padova120 appaiono chiaramente legati da
un aspetto professionale, in quanto si tratta di conduttori di carri da trasporto; come anche i
sodales lanarii pectinarii di Brixia121 e il sodalicium marmoriarum di Augusta Taurinorum122
(Torino).
A volte il sodalizio aveva un nome che faceva riferimento sia alla divinità venerata che al
mestiere esercitato: è il caso del sodalicium Iovis Conservatoris cursorum Caesaris nostri, che
onora Giove conservatore ed è composto dai soli impiegati della posta imperiale di Roma123.
Le sodalitates, come i collegia maggiori, presentano una lunga serie di attività, che vanno dalla
raccolta di fondi per la realizzazione di opere in onore delle divinità o dei benefattori, alle
sepolture per i consociati o alle ristrutturazione di edifici pubblici e privati.
In conclusione, quindi, difficilmente i membri dei cultores di una divinità si sarebbero potuti
riunire al di fuori del contesto religioso (la legge romana permetteva l'istituzione di sodalites per
religionis causa), tuttavia l'elemento commerciale rimane forte e presente, anche se non
articolato ai livelli delle associazioni collegiali.
Quale fosse questo interesse è difficile determinarlo ma, tuttavia, come accade nel caso dei
Mercuriales, la scelta della divinità protettrice è un ottimo indicatore.
Altri elementi caratterizzano, invece, le società di iuvenes: queste aggregazioni sono
maggiormente presenti a Roma e nei municipia e si presentano spesso come promotori o fruitori
di giochi, generalmente offerti da benefattori o patroni.
Secondo le teorie di M. Jaczynowska124, si tratta di società diffuse principalmente sul suolo
italico tra I e II sec d.C., con finalità sportive, religiose, paramilitari ma anche sociali e politiche,
agendo in molti casi come una vera e propria associazione professionale.
A Roma si hanno testimonianze di organizzazioni giovanili di stampo aristocratico, i cui membri
raccoglievano i figli di senatori e cavalieri, legate a cerimonie tradizionali ed interessate
principalmente all'organizzazione di giochi e spettacoli: tramite un curator125 o un editor126
venivano organizzati i lusus iuvenum o iuvenalia, con gare ed attività circensi. Panciera127
120 AE 1927, 129.121 CIL V, 4501.122 CIL V, 704.123 CIL VI, 241.124 Jaczynowska, 1967-68, pp. 296-306.125 CIL IX, 4368, 4395.126 CIL XI, 4580.127 S. Panciera, 1970, p. 161; AE 1971, 44.
32
sottolineò come l'appartenenza di un nunzio circense di più di quaranta anni ad un collegio di
giovani della VI e VII regio di Roma debba indicare un collegamento con spettacoli di quartiere a
cui questi giovani potevano assistere.
Da ciò è comprensibile come gli iuvenes non fossero in realtà delle associazioni giovanili di élite
o di stampo paramilitare dato la presenza di membri appartenenti a ceti minori come schiavi e
liberti, anche se di condizioni economiche di medio livello, frammisti a cittadini di classi sociali
più elevate.
Queste società, come a Carsulae128, ricevevano donazioni da privati, similmente a quanto
accadeva a qualsiasi altra associazione e ai collegi maggiori.
Non è raro che membri di altri collegi facessero parte anche degli iuvenes: è il caso del
quinquennale del collegio dei lotores (lavatori, non meglio identificati) di Aricia129, membro dei
sodales iuvenum Martis Salutaris.
In certi casi anche le donne, principalmente di alta estrazione sociale, potevano divenire patrone
di una di queste associazioni: ad esempio il sodalicius dei giovani dedicato ad Ercole di Tivoli130
di cui faceva parte una matrona appartenente alla nobiltà romana.
1.5.3 I collegi di mutua assistenza e le associazioni rurali
All'interno della fitta rete di collegia ed associazioni professionali, la tipologia più diffusa e
spontanea è quella delle società di mutua assistenza.
Per lungo tempo si è dibattuto sull'effettiva importanza che il rito della sepoltura dei membri e
della pietas avessero all'interno di queste associazioni: come recita Marciano nel Digesto131, la
legge permetteva la formazione di associazione di tenuiores (poveri) nella quale fosse
obbligatorio versare una quota per la celebrazione funebre dei membri (il funeraticium); era
ovvio, quindi, che queste società sottolineassero questo aspetto per garantire al proprio statuto
l'aspetto della legalità.
Caso esplicativo è quello del collegio di Diana e Antinoo di Lanuvium, nato nel 133 d.C. come
collegio salutare (favorevole, portatore di salvezza) della famiglia imperiale: su una tavola
affissa nel peristilio del tempio in onore di Antinoo, a seguito della cospicua donazione fatta
dall'onorato dell'iscrizione (L. Caesennius Rufus, patrono e dictator del municipio e
quinquennale del culto di Diana e Antinoo), si decise la fondazione di un collegio dei poveri per
128 CIL XI, 4580, 4589.129 AE 1912, 92 = AE 1991, 382.130 AE 1956, 77 = AE 1958, 177.131 Dig., XLVII, 22, 1:“In summa autem, nisi ex senatus consulti auctoritate vel caesaris collegium vel
quodcumque tale corpus coierit, contra senatus consultum et mandata et constitutiones collegium celebrat.”
33
provvedere alla sepoltura dei membri, specificando come i membri si potessero riunire solo per
<<ut exitus defunctorum honestre prosequamur>>.
La lex collegi riserva una sezione alla procedura di sepoltura dei membri del collegio: prelevati
300 sesterzi, 50 vanno distribuiti durante la cerimonia, 60 come compenso per i tre membri
selezionati per curare il funerale e il resto per coprire le spese sostenute. Tutto ciò se la morte del
collegiato è avvenuta a 20 miglia dalla sede del collegio. Al contrario, se avveniva al di fuori da
questo simbolico perimetro, chiunque avesse sostenuto l'onere della spesa avrebbe ricevuto un
rimborso delle spese sostenute dalla stessa associazione. Se il defunto era uno schiavo e il suo
padrone non avesse voluto procedere alla sepoltura, veniva organizzato un funerale simbolico
(funus imaginarium).
Difficile risulta definire il concetto di tenuiores: è chiaro il riferimento alle classi povere o
comunque alle fasce di ceto medio-basso (“a rischio”), ma rimane evidente anche la condizione
di bassa professionalità che li caratterizza, insufficiente per aspirare all’inserimento in un
collegio di altro tipo.
I collegi che si venivano così a formare non erano esclusivamente votati all'ambito funerario:
sempre il giurista Marciano132 testimonia l'usanza dei tenuiores di riunirsi una volta al mese e
pagare una tassa mensile, non necessariamente legata ai funera. Lo scopo principale di questi
collegi poteva essere quindi la mutua assistenza, predisponendo anche i costi di una sorta di
assicurazione collettiva. Anche Plinio il Giovane133 quando parla, seppur in modo non molto
chiaro, degli eranoi di Amisus in Bitinia, ne descrive l'usanza di riunirsi per aiutare i più
bisognosi: in che modo, non lo sappiamo.
Questi collegi permettevano, quindi, di garantire occasioni di incontro sia collegiale che
conviviale, sostenere i membri in difficoltà: tuttavia non godevano di alcuna forma di privilegio
statale o riconoscimento sociale; vanno considerati semplicemente delle associazioni di carattere
privato.
Nonostante fossero vietate, sono comuni anche le associazioni tra soldati, il cui scopo è la mutua
assistenza, soprattutto alle famiglie, e la sepoltura dei caduti.
Uno dei più antichi è testimoniato nel castra di Lambesis134, Numidia, risalente al 203 d.C., dove
una iscrizione cita trentasei cornicines (suonatori di strumenti a fiato) della II legio Augusta Pia
Vindex che fondano una cassa comune, rimpinguata dalle tasse dei membri, ripartite in base al
132 Dig., XLVII, 22, 1.133 Ep.., X, 93.134 CIL VIII, 2557.
34
grado militare.
Comuni sono i collegia tra veterani, fondati da congedati in terra natia o nelle provincie dove
erano stati stanziati, con scopi principalmente religiosi e funerari anche se erano comuni, come
tra i veterani di Aquincum135 (Budapest), attività conviviali (convibium veteranorum).
Identica situazione per i collegia domestica di schiavi, nati per motivi di aiuto comunitario ma
anche su iniziativa del padrone, con l'intento di creare un culto ai propri Lari Familiari:
l'associazione degli schiavi di Q. Satrienus Pollio136; quelli della familia Iuliana137 di Roma
seppellivano i propri colleghi.
Nelle realtà maggiori, tuttavia, questi collegi acquisivano un’autorità superiore rispetto a molti
collegi di medio livello: è il caso dei servi della domus Augusta, con sede sullo stesso Palatino.
Nel caso dei collegi rurali, questi radunavano gli schiavi e i dipendenti del padrone, che favoriva
così il culto della propria gens, traendo grande guadagno ed autorità dalla sua nuova posizione di
patrono (generalmente non attribuita a tale carica). Lo stesso Plinio138 diventò patronus dei propri
mezzadri.
Esistono comunque dei collegi indipendenti: è il caso dei giardinieri di Mileto139.
A differenza delle grandi città, questi collegi non avevano i mezzi per crescere ed acquisire
l'importanza attribuita alle grandi associazioni urbane: sono infatti formati da umili mezzadri,
coltivatori, pastori, allevatori, coloni, schiavi e fattori, legati soprattutto al proprio proprietario
terriero nei suoi culti privati o nella preghiera delle divinità agresti, in particolare Silvano.
La lex familiae Silvani di Monteleone Sabino140, del 60 d.C., racchiude lo statuto di un collegio
rustico formato da schiavi, liberti e liberi che operavano nella stessa proprietà agricola, con al
vertice il magister di tale associazione, che doveva occuparsi di celebrare il culto del dio Silvano.
Coloro che partecipavano alle cerimonie in onore del dio non dovevano né in alcun modo turbare
l'ordine con litigi o risse né invitare estranei al collegio. Chi infrangeva queste regole poteva
essere espulso dal collegio, in modo da non provocare le autorità.
Chi fosse uscito dall’associazione avrebbe ricevuto un rimborso, prelevato dalla cassa comune,
mentre chi ritardava con il pagamento della tassa sociale o non partecipava ad un funerale di un
collegiale veniva multato.
135 AE 965, 43.136 CIL VI, 23548.137 CIL VI, 10257.138 Ep.., VIII, 2.139 AE 1904, 178.140 AE 1929, 161.
35
Per il funerale venivano versati, ma solo agli eredi designati, una somma di 560 sesterzi: il posto
lasciato libero dal defunto poteva essere occupato dall'erede designato nel testamento.
Bibliografia Principale
R. Ambrosino, 1939, pp 85.
G. Barbieri, 1971; p. 291.
B. Combet Farnoux, 1981, pp. 451-501.
F. Diosono, 2007 pp. 24-88.
S. Gatti, 1996; pp. 253-258.
L. Jinyu, 2009, pp. 50-55.
N. Tran, 2006, pp. 1-41.
J. P. Waltzing, 1895-1900, I, pp. 240-253; II, pp. 122-124, p. 148.
36
CAPITOLO II La Regio Octava e la via Aemilia
2.1 La Regio VIII: l'Aemilia
2.1.2 Le fonti geografiche
Le fonti letterarie che raccontano e descrivono la regione oggi denominata Emilia-Romagna
sono numerose e varie; oltre a testi specialistici di storici e topografi, si trova un nutrito gruppo
di opere di oratori, naturalisti e scrittori di commedie e satire che offrono, seppur in modo sparso
e frammentario, notizie di grande importanza.
Una delle descrizioni più attendibili del territorio, delle città e dei popoli che caratterizzavano
questa regione, proviene da un celebre passo della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio141: per
la regione delimitata dai fiumi Padus (il Po) ed Ariminus (il Marecchia) e dagli Appenini Plinio
fornisce l'elenco delle città, della fitta rete di fiumi e piccoli laghi e dei popoli qui insediatisi
prima dell’arrivo dei Romani e dopo la conquista ad opera dell’Urbe.
Degli autori in lingua latina, la descrizione puntuale e precisa di Plinio è l'unica ad esserci
pervenuta integralmente.
Una testimonianza ancora più lunga e dettagliata viene offerta dal V libro dell'opera Geographia
del greco Strabone142 (I sec. a. C.) in cui, dopo aver citato le maggiori popolazioni preromane
(Veneti, Celti, Liguri), si ricorda la presenza, principalmente nella zona occidentale della regione
(Parma), di vasti tratti paludosi lungo il corso del Po, ridotti tuttavia dall'opera di bonifica di M.
Emilio Scauro, attraverso la costruzione di canali navigabili.
I capitoli finali del libro ricordano in Cispadana l'originaria presenza di Celti (ormai scomparsi),
di Umbri e di Tirreni (ora frammisti ai Romani ma sempre evocati nella memoria degli abitanti).
Segue, infine, la lunga lista delle città e dei fiumi, l'elogio della ricchezza e dell'estensione delle
città, della numerosa popolazione e della sua fertilità che supera il raccolto e la produzione del
resto dell'Italia per qualità e quantità.
Della regione se ne era occupato, in precedenza, nel II sec. a. C., anche un altro grande autore,
sempre di origini greche: Polibio. Durante il periodo della vita che trascorse come ostaggio in
Italia, grazie alla sua amicizia con la famiglia degli Scipioni, godette di ampia libertà di
movimento, potendo così viaggiare lungo la penisola. Nel II libro delle sue Storie, viene dunque
141 Plin., Nat. Hist., III, 115-122.142 Strab., V, I, 4, 12.
37
proposto un quadro geografico143, seppur errato e semplicistico, della pianura padana, descritta
come <<superiore per fertilità ed estensione rispetto alle altre d'Europa>>144. Essa avrebbe avuto
forma triangolare: la base ricalcava la linea della costa adriatica fino a Sena Gallica (Senigallia),
mentre i lati erano invece costituiti da Alpi ed Appennini; nel punto di unione delle due catene, il
vertice dell'ipotetico triangolo, nasceva il Po che divideva in due parti la pianura145.
143 Pol., II, 4-II.144 Pol., II, 14, 7.145 Pol II, 14.
38
2.1.2 La conquista e la romanizzazione della regione
Gli studiosi concordano nel fissare al 295 a.C., anno della celebre “battaglia delle nazioni”
svoltasi nei pressi dell'antica Sentinum (Sassoferrato), l'inizio dell'avanzata romana in pieno
territorio cisalpino; le basi di tale operazione risalgono alla fondazione della prima colonia, di
diritto latino, di Rimini nel 268 a.C., dedotta a seguito della vittoria presso il lago Vadimone nel
283 a. C sulle popolazioni galliche, umbre ed etrusche della zona.
L'apertura di nuove ostilità da parte di un fronte rimasto per lungo tempo statico a seguito della
prima guerra punica, diede nuova vitalità alla conquista della pianura: fattisi promotori di una
coalizione celtica in funzione antiromana, i galli Boi, alleatisi con Insubri, Lingoni, Taurini e
Gesati (d'Oltralpe) condussero una spedizione attraverso la Cispadana e valicarono l'Appennino,
arrivando a saccheggiare larghe porzioni dell’Etruria fino all'altezza della città di Chiusi; qui
vennero però fermati al lago Talamone nel 225 a.C.
Ristabilito l'ordine, lo stesso vincitore del lago Talamone, Emilio Paolo fu il primo di una lunga
serie di comandanti romani che condussero campagne militari oltre l'Appennino e il Po: si
ricordano T. Manlio Torquato, Q. Fulvio Flacco, Caio Flaminio e M. Claudio Marcello.
Vinti successivamente gli Insubri, vennero fondate nei pressi del guado del Po le colonie gemelle
di Piacenza e Cremona nel 218 a.C., con l'obiettivo preciso di presidiare uno dei passaggi
obbligatori della pianura, collegamento tra Insubri e Boi, e mantenere una presenza stabile in un
progetto futuro di conquista della Transpadana.
La discesa nel medesimo anno dei Cartaginesi guidati da Annibale fornì ai Boi l'occasione ideale
per insorgere nuovamente contro la presenza romana: il passaggio del Po ad opera dei Punici, la
sconfitt del Trebbia e della Silva Litana (dove venne ucciso lo stesso console L. Postumio
Albinio), testimoniano l'iniziale incertezza e debolezza della risposta romana sul territorio
padano.
Sconfitto Annibale a Zama nel 202 a.C., ai Boi venne meno un alleato importante e furono
definitivamente sottomessi da Roma, a seguito di alcuni scontri culminati nella loro resa nel 191
a.C. Si concludeva, con la sottomissione dei Boi e la fondazione della città di Bononia nel 189
a.C., la conquista territoriale della Cispadana: pochi decenni dopo, lo stesso Polibio poteva già
personalmente testimoniare la sempre minore presenza delle popolazioni celtiche in pianura
padana, ormai espulse dalla regione o confinate in alcune limitate aree subalpine146.
Una volta riappacificato il territorio, nel 187 a.C., ebbero inizio i lavori di costruzione della via
146 Pol., Stor., II.35.4.
39
consolare Aemilia.
La guerra sociale, scoppiata nel 90 a.C. e combattuta da Roma contro i suoi alleati italici,
rappresentò un episodio ideale per la rifondazione dei centri della regione: le vecchie colonie
romane e latine vennero trasformate in municipia, ovvero in comunità di cittadini romani, con
amministrazione e magistrati autonomi. Tuttavia, i fora e i vecchi centri preromani dovettero
attendere ancora qualche anno prima di raggiungere questo traguardo.
Fu Lucio Cornelio Silla a perfezionare, a seguito della definitiva sconfitta dei propri rivali,
l'assetto amministrativo della regione, in particolare della zona orientale, assegnando ai nuovi
municipi parti del territorio di quelle città confinanti che avevano militato dalla parte mariana: è
il caso di Rimini, che dovette affrontare l'emergere di Cesena, o di Bologna, che vide crescere la
città di Claterna (oggi scomparsa) e Forum Cornelii (Imola), il cui nome ricorderebbe proprio
quello del dittatore.
Le guerre civili, prima tra Pompeo e Cesare, poi tra Ottaviano e Marco Antonio, portarono ad
una nuova colonizzazione con la confisca di proprietà degli oppositori del vincitore e la loro
ridistribuzione tra i propri veterani: lo scopo fu sia quello di affidare ai propri soldati terra da
coltivare per il proprio sostentamento, abbandonando così le armi, sia quello di attuare la
creazione di una classe cittadina leale. Furono molte le città a ricevere i soldati augustei: Rimini,
Bologna, Modena, Parma, Piacenza e Brescello, l’antica Concordia Brixillum, dedotta da
Antonio, Ottaviano e Lepido a seguito della vittoria sui cesaricidi nel 42 a.C.
In età augustea questo insieme di città e insediamenti, situati lungo la via Emilia, formarono un
territorio organico che prese il nome di Regio VIII, secondo la divisione della penisola italiana
operata dall'imperatore Augusto.
A partire dal I-II d.C., si può quindi dire che la romanizzazione politica ed istituzionale della
regione fosse conclusa; iniziò, dunque, un periodo di splendore e ricchezza rimasto inalterato per
i primi secoli dell'età imperiale.
Solo con il III secolo d.C. e l'inizio del declino dell'impero si accentuò la crisi economica, resa
ancora più difficile dalla concorrenza delle provincie, affrontata con l'accorpamento delle
proprietà in latifondi sempre più ampi e specializzati in determinate colture.
Nel IV d.C. molte città decaddero e furono completamente abbandonate (ne è esempio Claterna),
altre iniziarono a contrarsi in realtà sempre più ristrette, spesso gravitanti attorno a centri
religiosi: chiare appaiono le parole di Sant'Ambrogio che, durante un suo viaggio lungo la via
Emilia, parla di <<semirutarum urbium cadavera>>147.
147 Ambros., Ep., XXXIX, 3.
40
2.1.3 L'economia
Nel processo di espansione dei Romani in Italia settentrionale, la consapevolezza dei vantaggi
che avrebbe portato il possesso di un così ampio territorio era palese; di fatto l'economia
regionale, sviluppò nel tempo un sistema complesso, fondato essenzialmente su agricoltura,
allevamento e fabbricazione di manufatti.
Per quanto riguarda l'agricoltura è sempre Polibio, nel libro II delle sue Storie, a redigere un’
attenta descrizione socio-economica della regione: la ricchezza del terreno permetteva la
produzione in grandi quantità di grano e vino, mentre l'abbondanza di ghiande consentiva
l'allevamento del suino al punto da coprire il fabbisogno di carne sia dei cittadini che dell'intero
esercito148.
Proprio grazie a questa incredibile fertilità appaiono numerosissime le popolazioni che abitarono
questa pianura: in particolare, vengono ricordati i Lai (o Leci), i Lebeci, gli Insubri, i Cenomani,
i Veneti, gli Anari, i Boi, i Lingoni e i Senoni149.
I coloni romani, quindi, giunti nella regione nella prima metà del II secolo a.C., trovarono nel
settore dell'agricoltura e dell'allevamento un sistema già funzionante e collaudato.
Per uno sfruttamento più razionale del territorio si procedette poi alla complessa opera di
centuriazione, con la creazione di spazi agricoli razionalmente suddivisi in parti
geometricamente uguali, utile a trarre il maggior ricavo possibile.
Altre fonti letterarie ci indicano la specializzazione delle produzioni agricole di alcune città
emiliane: Plinio150 e Marziale151 elogiano la coltura degli asparagi nel ravennate, primi per gusto
e qualità; sempre Plinio152 descrive l'abbondanza delle viti del modenese che producono un uva
(detta “Perusina”) con grossi grappoli neri, dai quali si ottiene <<intra quadriennium albescente
vino>>153 .
Anche l'allevamento era ampiamente diffuso, principalmente nella zona occidentale della
regione: Strabone154, Columella155 e Plinio156 elogiano sia lo sviluppo dell'allevamento ovino che
l'ottima qualità della lana che si ricavava a Modena e a Parma.
148 Pol., II, 15-16.149 Pol., II, 16-17.150 Plin., Nat. Hist., XIX, 19, 42.151 Mart., XIII, 21.152 Plin., Nat. Hist., XIV, 4, 39.153 “Un vino che diviene bianco dopo quattro anni di maturazione”.154 Strab.,V, 1, 12, 218.155 Col., VII, 2, 3.156 Plin., Nat. Hist., VIII, 73, 190.
41
Nella zona orientale, soprattutto nelle aree collinari, è celebre la produzione di formaggi, come
quello di Sarsina, testimoniato da Silio Italico157, Plinio158 e Marziale159.
Per quanto riguarda l'ambito manifatturiero, le fonti epigrafiche ci testimoniano un universo
vitale e assai attivo, con un complesso sistema di produzione, scambio e vendita di ogni genere
di bene di consumo, colla presenza di artigiani dai più comuni, come il semplice lanius, a quelli
di lusso come l'aurifex.
Oltre alla produzione della lana, anche la sua lavorazione - fase testimoniata dal gran numero di
pesi da telaio rinvenuti - e la commercializzazione su larga scala sono elementi ben presenti e
documentati nelle fonti e nell'epigrafia, soprattutto funeraria, della regione: fanno capo alle
numerose menzioni dei tonsores, vestiarii160, sagari161, fullones162, purpurarii163, lanarii
pectinatores e carminatores164 che operavano sul territorio.
Altre epigrafi documentano attività strettamente legate alla lavorazione dei metalli, seppur sia
nota la scarsità di resti archeologici. Fra gli artigiani specializzati compaiono un aerarius165
(lavoratore del rame e delle sue leghe in tutte le sue forme), un faber anularius166 (fabbricante di
anelli) ed un aurifex167 (lavoratore dell’oro e produttore di beni di lusso).
Ampia diffusione ebbero oggetti in metallo di ben più largo impiego: pentole di rame e oggetti di
bronzo, stagno, ferro, piombo come candelabri, lucerne, bilance, pesi, strumenti per la
misurazione, serrature, chiavi, borchie, campanelli, oggetti decorativi e di uso quotidiano hanno
caratterizzato una produzione attiva e presente, anche se di utilizzo principalmente locale.
Seppur scarsa e carente di informazioni archeologiche, la lavorazione della pietra era un’attività
praticata a livello architettonico (balauste, colonne, pavimentazioni), decorativo (tavole,
lampade, vasche) ed artistico (principalmente statue); sono testimoniati: fabri lapidarii168
(tagliatori di pietra), marmorarii169 (lavoratori del marmo) e statuarii (scultori).
Ad avere grande importanza nell'economia della regione fu la produzione fittile, grazie alle
157 Sil. It., Pun., VIII, 461.158 Plin., Nat. Hist., XI, 97, 241.159 Mart., I, 43, 7.160 CIL XI, 6839.161 G. A. Mansuelli, 1941, pp. 89-97, n.9.162 A. Santarelli, 1878, pp. 155-156.163 CIL XI, 1069a.164 CIL XI, 1031.165 CIL XI, 1234.166 G. Ghirardini, Not. Sc. Ant., 1921, p. 34, n.6.167 G. Soffredi, G. Susini, 1966, p. 189, n. 20.168 CIL XI, 6838.169 CIL XI, 961.
42
abbondanti materie prime offerte dai banchi di argilla alluvionale e dall'abbondanza di acqua e
legname: già gli Etruschi seppero sfruttare al meglio questa situazione, dato i resti di grandi
centri produttivi a Marzabotto e a Bologna, mentre i Romani riuscirono a trasformare questa
produzione in una delle principali attività dell'Italia settentrionale, soprattutto a causa della scarsa
reperibilità della pietra.
Già dal II sec a.C., si può osservare, come attestato dall'iscrizione di un mattone, una produzione
locale di questo genere a Cesena170. Tuttavia, a predominare saranno le piccole fornaci, sorte
principalmente su proprietà rurali e dedite alla manifattura di vasellame di uso quotidiano.
170 G. Susini, 1965, pp. 3-9.
43
2.2 La via Aemilia
2.2.1 Le fonti storiche
Sull'importanza di questa strada numerose sono le notizie che si ricavano dagli autori antichi.
Sulle finalità riposte dal console M. Emilio Lepido nella realizzazione della via Aemilia informa
con chiarezza Livio: <<viamque a Placentia, ut Flaminiae committeret, Ariminum
perduxit>>171.
Alcuni dati si possono ricavare dalle parole di Polibio172, che percorse di persona la via; da
Appiano173, che descrive la battaglia tra Mariani e Sillani svoltasi a Faenza nell’ 82 a.C.; da
Tacito174 che cita lo scontro di Cremona tra Vitellio e Otone nel 69 a.C. e le successive
rappresaglie di Modena, Brescello e Piacenza; o ancora da Procopio175, che descrive come nel
552 d.C. i Goti avessero tentato di ostacolare i movimenti dell'esercito bizantino cercando di
abbattere il ponte di Tiberio a Rimini. A informarci sui dati tecnici è Strabone176 che indica sia la
lunghezza della strada, calcolata dal Rubicone, di 1300 stadi (circa 230 chilometri) sia le città e i
corsi d'acqua che la via attraversa. Ancora altri dati importanti provengono dai testi che
descrivono la viabilità in epoca romana, in particolare l'Itinerarium Antonini (di III sec. d.C) e la
successiva Tabula Peutingeriana, testo medievale ricopiato da un manoscritto cartografico della
stessa età dell'itinerario.
Entrambe queste opere segnalavano ai viaggiatori del tempo la rete viaria, la posizione e la
distanza delle città, oltre che le eventuali stazioni poste sul tragitto.
La via Aemilia è inoltre descritta nell'Itinerario Burdigalense, di età costantiniana: si tratta di un
percorso compiuto da un gruppo di cristiani da Burdigala (l'attuale Bordeaux) a Gerusalemme;
durante il viaggio di ritorno, decisero di visitare i luoghi sacri della città di Roma, dovendo poi
percorrere necessariamente la via consolare per ritornare in Gallia.
Non bisogna poi dimenticare le fonti epigrafiche, soprattutto quelle rappresentate dai miliari,
grandi cippi di pietra posti lungo le maggiori vie di comunicazione a un miglio (1476 m) l'uno
dall'altro, recanti le informazioni sul magistrato o imperatore che aveva costruito o rinnovato la
strada, e con l'indicazione delle distanze tra le varie città: ne sono esempi i cippi del costruttore
171“…condusse la via da Piacenza a Rimini, per collegarla alla Flaminia”.172 Pol., II, 35, 4.173 App., Civ., I, 91.174 Tac., Hist., II, 17-45.175 Proc., B. C., IV, 28.176 Strab., V, I, 11-12.
44
M. Emilio Lepido177 trovati a Castel San Pietro e a Borgo Panigale, oppure quelli dell'imperatore
Augusto178, rinvenuti a San Mauro Pascoli e sempre a Borgo Panigale.
177 CIL XI, II, 6641, 6642, 6645.178 CIL XI, II, 8103.
45
2.2.2 La fondazione e la storia
Debellata l'ultima tribù gallica ostile (i Boi) per il predominio della pianura Padana nel 187 a.C.
ebbero inizio i lavori di costruzione della via Emilia: edificata in soli due anni su ordine del
console Marco Emilio Lepido, che proprio secondo l'antica usanza diede il nome alla via, questo
importante asse mise in comunicazione Ariminum (terminale della via Flaminia, diretta verso
Roma) e Placentia (crocevia con la via Postumia, Genova – Aquileia).
Delineata seguendo antichi sentieri protostorici, la via Emilia correva in una una zona a ridosso
degli Appennini emiliano-romagnoli: un questo modo il manto stradale si trovava poco più
sollevato rispetto alla bassa pianura, soggetta a continui allagamenti e ricca di zone acquitrinose
e malsane.
Utilizzata principalmente in funzione militare, mantenne per lungo tempo il compito di limes di
un area presidiata costantemente e che rimase per diverso tempo turbolenta: le popolazioni
galliche che abitavano la zona mal sopportarono un così imponente sforzo di colonizzazione in
quello che era stato il loro territorio. Doveva quindi essere continua la situazione di aperta
ostilità nei confronti dei coloni romani, spesso sfociata in continue opere di disturbo e guerriglia.
Proprio per mantenere un controllo rigido del territorio furono fondate lungo il tracciato della via
un grande numero di nuove città romane: centri urbani precedenti all'azione di Roma che
ricevuto un nuovo impulso dall’asse stradale, conobbero un nuovo periodo di espansione e
crescita (è il caso di Caesena\Cesena); centri prettamente commerciali o con funzione di servizi,
i “fora”, i quali ottennero la nomina a municipia aggiungendo poi, a titolo onorifico, il nomi dei
magistrati romani che ne avevano permesso la promozione (“Forum Popili”, probabilmente dal
console Publio Popilio Lenate, “Forum Lepidi”, dallo stesso costruttore della strada, Marco
Emilio Lepido) e nuove fondazioni che recavano nomi di radice ben augurali (Faventia\Faenza,
Fidentia\ Fidenzia).
Nacquero poi un gran numero di punti di sosta lungo il tragitto stradale, utili ai viaggiatori per
ristorarsi e pernottare.
Bibliografia principale
1) G. Brizzi, 2000, pp. 19-24.
2) N. Giordani, 2000, pp. 352-3533) V. Cicala, A. Donati, G. Susini, 2006, pp. XXIII-XXVIII.
4) L. Quirici, 2000, pp 75-77.
46
CAPITOLO III Schede delle Epigrafi
3.1 ARIMINUM
La valle del fiume Marecchia è sempre stata, fin dalla Preistoria, zona di intensi scambi
per le popolazioni dell'interno e in particolare per la città di Verucchio che, con l'accesso al mare
Adriatico, divenne un importante crocevia verso l'Etruria e le popolazioni orientali del mar Egeo.
Alla fine del VII secolo a.C., con il lento declino del centro villanoviano, il fulcro degli scambi
iniziò a spostarsi sulla costa, in particolare nei pressi della foce del fiume Ariminus, odierno
Marecchia.
Proprio qui, nel 268 a.C., fu fondata la colonia di diritto latino di Ariminum, ove furono inviati
6000 cittadini romani con le loro famiglie.
La scelta di questa nuova fondazione non fu casuale ma dettata da funzioni di controllo
territoriale per tenere separate le tribù galliche, Boi a Nord e Senoni a Sud, e avere così un
avamposto verso la pianura padana, futura terra di conquista per Roma.
Col tempo divenne anche un importante porto militare e una solida base per intraprendere
spedizioni verso le coste dell'Illirico (Durazzo e Apollonia).
Fortemente legata alle proprie origini romane, e sostenendo come città alleata Roma durante la
seconda guerra punica, fu sempre schierata a favore del partito dei populares, parteggiando
prima per Mario, durante le guerre sociali del I sec. a.C., per poi legarsi a Cesare, guadagnandosi
così l'amicizia della dinastia Giulio-claudia che attuò, a più riprese, grandi opere di
monumentalizzazione della città.
Primo esempio di questo fervido periodo di espansione fu la costruzione, nel 27 a.C dell'Arco di
Augusto, che andava a sostituire l'antica porta urbica, collegamento tra la città e la via Flaminia.
L'Arco, finemente decorato con gruppi statuari, insegne di potere (con ovvi fini propagandistici)
elementi militari e marittimi, rivela il suo compito celebrativo con la dedica epigrafica dell'attico,
posta dal Senato romano in ricordo dei lavori di manutenzione operati dall'imperatore sulla via
consolare. Il diretto intervento dell'imperatore è attestato inoltre nel rifacimento della via Aemilia
che testimonia la grande attenzione riservata da Augusto alla zona, espressa anche con la
lastricatura delle strade interne della città (promossa dal figlio adottivo Gaio Cesare179), il
rifacimento del sistema fognario, la bonifica di alcuni quartieri e la costruzione del ponte lapideo
sopra la fossa Patara .
Sempre all'interno di un programma di rappresentanza, inteso a riqualificare l'immagine urbana,
179 CIL XI, 366.
47
vennero realizzati, sul fianco occidentale del Foro, un teatro in opera laterizia e un sacello
dedicato a Giove Dolicheno180, contrapposti ad un arco monumentale sul lato orientale.
A completare questa trasformazione fu l'inaugurazione, nel 21 d.C, del ponte di Tiberio: iniziato
nel 14 d.C. da Augusto, ma completato dal figlio adottivo, si compone di una struttura a 5 arcate
in marmo di Istria, ricoprendo, assieme all'Arco di Augusto, il compito fondamentale di
enfatizzare e caratterizzare in senso simbolico le principali vie di accesso della rinnovata colonia
augustea.
Anche i successivi interventi, in epoca imperiale, non sono però stati da meno: significativo
doveva essere l'acquedotto realizzato sotto Domiziano; così ancora si intuisce l'importanza
dell'anfiteatro in laterizi e cemento, di grandi dimensioni lungo il litorale marino, realizzato nel II
secolo d.C. in seguito alla necessità di adeguare i servizi civici alle nuove esigenze della
comunità, in continua espansione.
Se Rimini conobbe durante tutto l'arco del periodo imperiale un notevole sviluppo economico,
visibile appunto nei suoi monumenti, a partire dal III sec. d. C., le uniche opere pubbliche furono
principalmente di tipo difensivo, con Gallieno ed Aureliano, atte solo in parte a limitare le
scorribande delle varie tribù barbariche (in particolare ad opera degli Alamanni) che
saccheggiavano l'Italia.
In età tardo-antica si registra un nuovo periodo di prosperità dettato principalmente dal
trasferimento della capitale a Ravenna e dalla nomina della città a sede del concilio indetto nel
359 d.C. da Costanzo II con l'obiettivo di condannare l'arianesimo.
Tuttavia, neppure Rimini poté sottrarsi al declino che interessò l'intera penisola italiana,
determinato dalla fine dell'impero romano d'occidente e dalla sua successiva frammentazione.
Per quanto concerne il patrimonio epigrafico, Rimini presenta un esteso compendio di testi che
rispecchiano la sua fervente attività commerciale, legata alla funzione di fondamentale crocevia
tra la via Emilia (diretta a Piacenza) e la via Flaminia (collegata con Roma).
Dai resti delle necropoli sviluppatesi, come era pratica comune, lungo queste importanti vie di
comunicazione, si può desumere la composizione delle varie classi sociali che popolavano la
città, classi che, tra le più facoltose, hanno permesso la raccolta di un grande quantitativo di dati,
in una città che ha restituito il più altro numero di informazioni per quanto riguarda l'edilizia
privata (soprattutto di lusso), con testimonianze databili fin dall'età repubblicana;
L'esempio più conosciuto, luogo di molte scoperte per gli studiosi, è sicuramente la domus del
chirurgo, presso l'odierna piazza Ferrari: gli scavi hanno portato alla luce un complesso edilizio
di elevata qualità, compatto e funzionale, perfetto per il proprietario (il chirurgo di origini
180 CIL XI, 6788-6789.
48
elleniche Eutyches) per esercitare il mestiere di medico, con ambulatorio e spazi adibiti alla
degenza dei pazienti. Il reperto più interessante rinvenuto è una collezione di ben 150 strumenti
chirurgici: questi, per numero e tipologia, dimostrano l'origine militare delle conoscenze del
chirurgo.
La vita dell'edificio ebbe un tragico epilogo quando, attorno alla metà del III secolo d.C., un
devastante incendio distrusse l'intero complesso salvaguardando, tuttavia, oltre all'alto numero di
reperti, i fastosi e numerosi mosaici che ne ricoprivano i pavimenti.
Bibliografia
1) J. Ortalli, Rimini: la città, pp. 501-506.
2) M. G. Maioli 2000, pp. 507-509.
3) J. Ortalli, Rimini: la domus del chirurgo, pp. 512-519.
49
3.1.1 I testi epigrafici
1)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, chiesa di San BartolomeoLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 377
Testo:C(aio) Cornelio / C(ai) f(ilio) Quirin(a) / Felici Italo / iurid(ico) per Flamin(iam) / etUmbri[am] leg(ato) / prov(inciae) Achaiae praet(ori) / [t]r(ibuno) pl(ebis) quaest(ori) prov(inciae) Sicil(iae)/ patrono coloniae / vicani vicorum VII et / co[ll]eg(ium) fabr(um) cent(onariorum) dendr(ophororum) / urb(is) iuridicatus eius ob eximiam / moderationem et in sterilitate /annonae laboriosam erga ipsos fidem / et industriam ut et civibus anno[n(am)] / superesset et vicinis civitatibus / subveneretur / l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum)
Commento:
L'epigrafe, andata perduta, fa riferimento a Caio Cornelius Felix Italo, figlio di Caio della tribù
Quirina, e al suo cursus honorum: iuridicus della Flaminia e dell'Umbria, legato della provincia
di Acaia, pretore, tribuno della plebe, questore della provincia di Sicilia.
L’epigrafe è di tipo onorario e menziona il suo ruolo di patronus coloniae; è posta a cura dei
vicani dei sette vici (i borghi che formavano la città) e del collegio cittadino dei fabri, dei
centonari e dei dendrophori.
Il personaggio elogiato per la grande moderazione (eximia moderatio) dimostrata durante
l'incarico di giudice e la sua fattiva vicinanza (laboriosa fides et industria) nei momenti difficili,
come la carestia di raccolti (sterilitate annonae), con la quale ha operato a favore anche dei
cittadini delle città vicine.
50
L'abbreviazione finale l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum) indica che questa epigrafe è stata
eretta in un luogo concesso per decreto dei decurioni, il senato cittadino, sottolineandone così il
carattere pubblico.
Bibliografia
A. Donati, 1967 p. 28, nr. 39.
51
2)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, porta di Sant'AndreaLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae:ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 378
Testo:L(ucio) Faesellio / L(uci) filio An(iensis) / Sabiniano / proc(uratori) I[m]p(eratoris) Anton(ini) / Aug(usti) Pii [pr]ov(inciae) Pan(noniae) inf(erioris) / proc(uratori) XX [he]r(editatium)region(is) / Campan(iae) Apu[l(iae)] Calabr(iae) / [e]quo publ(ico) Aug(usto) IIIvir(o) / IIvir(o)quinq(uennali) [f]la[m(ini)] / patron(o) col(oniae) / colleg(ium) [c]enton(ariorum) / patron[o] opt[im(o)] et rarissim(o) / honor(e) acce[pt(o)] impens(am) remiss(am) / l(ocus) d(atus) d(ecreto)d(ecurionum)
Commento:L'epigrafe si riferisce a Lucio Faesellius Sabinianus, figlio di Lucio, della tribù Aniense (quindi
originario della città di Rimini), con indicazione delle relative cariche da lui conseguite:
procuratore, sotto l'imperatore Antonino Pio, della provincia della Pannonia Inferiore,
procuratore della XX (vigesima) hereditatium (tassa sulle eredità) per Campania, Puglia e
Calabria. Fu nominato cavaliere (equus publicus) dall’imperatore.
Ricoprì, inoltre, importanti incarichi politici e religiosi nella sua città (tresviro, duoviro
quinquennale, flamine), tanto da esserne eletto patrono. I suoi meriti e le sue qualità lo fanno
definire optimo et rarissimo da parte del collegio dei centonari che onora con questa iscrizione il
suo patronus.
Il terreno venne concesso (come nel caso precedente) per decreto dei decurioni e l'iscrizione fu
eretta a spese dell'onorato.
Dato che viene indicato il nome dell'imperatore sotto il quale ricoprì alcuni incarichi, la
52
datazione si restringe ad età antonina, ovvero attorno alla metà del II secolo d.C.
Bibliografia
1) A. Donati 1967 p. 30, nr. 44.
2) A. Donati 1981 p. 24.
3) H.-G. Pflaum 1960, p. 362, nr. 153.
53
3)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, chiesa di San BartolomeoLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae:ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus: Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00379
Testo:C(aio) Faesellio C(ai) f(ilio) An(iensis) / Rufioni eq(uo) publ(ico) L(aurenti) L(avinati)cur(atori) rei p(ublicae) Forodr(uentinorum) patr(ono) col(oniae) Arim(inensium) itemq(ue) vicanorum vicorum VII / et coll(egiorum) fabr(um) et cent(onariorum) optimo etrarissimo civi quod liberalitates / in patriam civesque a maioribus suis tributas exemplis suis supe/raverit dum et annonae populi / inter c[e]tera beneficia saepe subvenit et praeterea singulis / vicis munificentia sua HS XX(milia) n(ummum) ad / emptionem possessionis cuius de / reditu die natalis sui sportular(um) / divisio semper celebretur / largitussit ob cuius dedicationem / HS n(ummum) IIII vicanis divisit / vicani vici Dianensis // Proseri
Commento:L'epigrafe è dedicata al cavaliere Caio Faesellius Rufio, della tribù Aniense (Rimini), che ricoprì
la carica sacerdotale di Laurens Lavinas. Fu curator rei publicae (amministratore straordinario)
del centro di Forum Druentinorum (forse l'odierna Bertinoro, in provincia di Forlì-Cesena),
patrono della colonia di Rimini e onorato dai vicani dei sette vici e dai collegi dei fabri e dei
centonari.
Viene ricordato come optimo et rarissimo cittadino, poiché con i suoi esempi superò le
elargizioni verso la patria e verso i cittadini dispensate dai suoi antenati; inoltre provvide
all'annona del popolo, donò ad ogni singolo vicus 20.000 sesterzi per l'acquisto di un podere, i
cui proventi dovevano essere utilizzati per celebrare, nel giorno del suo compleanno, una
distribuzione di donativi, compresi 4 ulteriori sesterzi per vicus.
L'epigrafe termina con l'indicazione di chi pose il monumento: gli abitanti del vicus Dianensis.
54
Nonostante la somiglianza del nome con il protagonista dell'epigrafe precedente (Lucio Faesellio
Sabiniano) non possiamo conoscere eventuali legami di parentela: certamente non erano né
padre e figlio né fratelli, dato che prenomi e patronimici sono differenti.
Sul retro è presente il signum, ovvero il soprannome, Proseri.
Bibliografia
1) A. Donati 1967, p. 29, nr. 43.
2) A. Donati 1981, p. 25.
3) S. Mrozek 1968, pp. 161-162.
4) F. Jacques 1983, pp. 316-318.
55
4)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, parrocchia di Santa Maria in CerretoLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: alt.: 0.18 m lat.: 0,20 m crass./diam: 0,03 m Status tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00381
Testo:honorif[icentissimae] / feminae / Faeselli Ru[fi / possession[em(?) / collegi[i]
Commento:L'epigrafe, breve e frammentaria, fa riferimento a una matrona (feminae), della quale però non
conosciamo il nome ma che viene ricordata come “honorificentissimae”.
La menzione del probabile marito Faeselli Rufi può indicare un’appartenenza della donna alla
gens Faesellia, importante famiglia di rango equestre del riminese e in particolare potrebbe
trattarsi della consorte del personaggio menzionato in CIL 11, 379.
Bibliografia
1) F. Cenerini 1983, p. 28, nr. 6.
2) G. A. Mansuelli 1941, p. 34.
3) F. Jacques 1983, pp. 316-318.
56
5)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, chiesa di Sant'AndreaLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: completusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio:honorariusVirorum distributio:ord. mun.Editiones: CIL 11, 00385
Testo:L(ucio) Betutio L(uci) f(ilio) / Pal(atina) Furiano / p(rimo) p(ilo) leg(ionis) I Ital(iae) IIviro quinq(uennali) IIvir(o) i(ure) d(icundo) IIIvir(o) / aedili cur(uli) pontif(ici) / flamini divi Nervae patrono colon(iae) / colleg(ium) centonarior(um) / amantissimo patriael(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum)
Commento:In questa iscrizione viene ricordato Lucio Betutius Furianus, figlio di Lucio, della tribù Palatina.
Oltre ad una brillante carriera militare, che lo portò ad essere centurione primipilo nella I legio
Italica, ricoprì importanti cariche all'interno del contesto riminese: fu duoviro quinquennale,
triumvir, edile curule, pontefice e flamine del divus Nerva, carica di grande prestigio, in quanto si
trattava di un sacerdozio col compito di celebrare il culto dell'imperatore divinizzato.
Onorato dal collegio dei centonari, fu talmente apprezzato da essere nominato patrono della città
e amantissimo patriae. Difatti, Rimini non sembra essere la sua patria originaria, dato
l’appartenenza a una tribus diversa (Palatina), ma le sue opere e i suoi contributi alla città
sembrano essere tali da avergli permesso di acquisire la cittadinanza onoraria.
Ricorre nuovamente la formula ufficiale l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).
Il riferimento all'imperatore Nerva induce a datare il testo ai primi anni del II sec d.C.
Bibliografia
1) A. Donati, 1967 p. 27, nr. 37.
2) F. Cenerini, 1982 p. 39 n. 44.
3) G. A. Mansuelli 1941, pp. 36-38.
57
6)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, arco trionfale nei pressi della chiesa di San Bartolomeo Locus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: completusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00386
Testo:L(ucio) Betutio L(uci) f(ilio) | Pal(atina tribu) Furiano, | (primo)p(ilario) leg(ionis)(primae)Ital(icae), (duo)vir(o) | quinq(uennali), (duo)vir(o) i(ure) d(icundo),(tres)vir(o), | aedil(i)cur(uli), pontif(ici), | flamini divi Nervae, | patrono colon(iae),| colleg(ium) fabr(um) | amantissimopatriae L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).
CommentoRitroviamo una seconda volta il primipilo Lucio Betutio Furiano (confronta CIL 11, 00385);
questa volta, però, viene menzionata un’ altra importante associazione riminese che si fa
promotrice della dedica: il collegium fabrum.
Si riferisce a questo personaggio anche un altro frammento scoperto durante le opere di scavo nei
pressi dell'anfiteatro cittadino, che contiene le prime lettere del nome e della carica militare.
Bibliografia
1) G. A. Mansuelli 1941, pp. 36-38.
58
7)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, Porta di Sant'AndreaLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00405
Testo:Aureliae/| Calligeniae/ Titi Sabiniani / equitis romani/ pudicissimae /honorificentissimaeq(ue) / feminae / coll(egium) fab(rum) splendidissimae / civitatis Ariminensium| ob munificentiam in se | [ab u]trisq(ue) conlatam. L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).Dedicat(a) idib(us) Jan(uariis) | Q(uinto) Sossio Prisco Senecione | P(ublio) Coelio Apollinare co(n)s(ulibus), | cuius dedicat(ione) sing(ulis) d(e)d(it) (sestertios) n(ummos) IIII.
Commento:Aurelia Calligenia, moglie del cavaliere Titus Sabinianus, viene ricordata con parole lodevoli dal
collegio dei fabri di Ariminum che la definisce pudicissimae honorificentissimaeq(ue) feminae.
Il motivo dell’onore è la generosità (munificentia) della moglie e del marito verso questo
collegio.
Precisa è la datazione: le Idi di gennaio dell'anno del consolato di Q. Sossius Priscus Senecio e P.
Coelius Apollinaris, ovvero il 13 gennaio 169 d. C.
Bibliografia
1) G. A. Mansuelli 1941, pp. 34 e 38.
59
8)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, Porta S. BartoliLocus adservationis:ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae:?Status tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. Mun.Editiones: CIL 11, 00406
Testo:Q(uinti) f(ilio) An(iensi)/ L(ucio) Ba[--- f(ilio) An(iensi)? /[---] (duo)vir(o) Val[---]/ / [---qua]estori Luperc(o), Laurenti Lavinati, ---]/(duo)vir(o), (tres)vir(o) aed(ili), p[ont(ifici)---]. [---e]t colleg(ia) fabr(um) et centona[rior(um)] / [--- ob ra]ram fid[em e]t industrimam [--- / ---].
Commento:L’epigrafe è composta da tre frammenti che, accostati, formano il monumento in onore di duemagistrati riminesi.I nomi, causa le condizioni della lastra, sono frammentari: il primo, figlio di Quinto, erasicuramente riminese per la menzione della tribù Aniensis. Ricoprì un’alta carica amministrativa,il duovirato, partendo dagli inizi del cursus, ovvero dalla questura.Il secondo presenta invece un numero maggiore di informazioni: membro del rango equestre conappartenenza ai collegi religiosi dei Luperci e dei Laurenti Lavinati, ricoprì le cariche di duovir,tresvir, aedilis e pontefice.Nella parte finale, che accomuna le due iscrizioni, compaiono alcune qualità dei protagonisti,degne di nota (raram fidem et industriam) e l'indicazione dei dedicanti: i collegi dei fabri e centonari,più una terza entità, probabilmente ivicani.
Bibliografia1) A. Donati 1981, p. 76-77
60
9)Regio antiqua: Aem\ Reg VIIIRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: AriminumUrbs nostrae aetatis: RiminiLocus inventionis: Rimini, Porta S. BartoliLocus adservationis: ignoraturRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisMensurae: ignoraturStatus tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus: Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. mun.Editiones: CIL 11, 00418
Testo:C(aio) Sentio C(ai) f(ilio) / Pal(atina) Valerio / Faustiniano / IIviro IIIviro augur(i) / vicanivicorum VII / collegia fabr(um) et / centonar(iorum) / ex aere conlato / quod in honoreIIviratus / industriae administrato / omnibus plebis desideriis / satisfecit / l(ocus) d(atus)d(ecreto) d(ecurionum)
Commento
Caio Sentius Valerius Faustinianus, figlio di Caio, della tribù Palatina, e quindi non originario di
Rimini, ricoprì importanti cariche amministrative come il duovirato e il tresvirato, venendo
onorato dai vicani dei sette vici e dai collegi dei fabri e dei centonari poiché, durante il
duovirato, operò con industria, riuscendo a soddisfare le necessità di tutti i cittadini (omnibus
plebis desideriis satisfecit).
Bibliografia
1) A. Donati 1967, p. 31 n. 52;
2) F. Cenerini 1982, pp. 40-41 n. 51.
3) G. A. Mansuelli 1941, p. 38 e p. 49.
61
3.2 FAVENTIA
L'insediamento di Faenza deve le sue origini, come altri centri della via Emilia, al fatto di
essere un importante crocevia commerciale, tra la via pedemontana costituita dalla via Emilia e
dallo sbocco in pianura della valle del fiume Lamone.
L'area venne già utilizzata dalle popolazione arcaiche come importante centro di scambi,
collegando
la costa dell'area ravennate con l'entroterra tirrenico (in particolare l'Etruria settentrionale):
questo stesso percorso verrà poi denominato “via Faventina” dai romani.
L'insediamento romano nacque alla fine del III secolo a.C., come attestato da Silio Italico181, ma
rimangono comunque incerte le notizie sulla sua fondazione: a parere di alcuni questa si colloca
fra il momento in cui comincia la colonizzazione del territorio in precedenza occupato dai Galli
(173 a.C.) e la metà dello stesso secolo, quando lo storico greco Polibio, visitando la regione al
seguito dell’amico Scipione l’Emiliano, la descrive in pieno fervore edilizio. Sicuramente al
momento della realizzazione della strada consolare da parte di Emilio Lepido (187 a.C.) il centro
esiste già, visto che la stessa via consolare ne costituisce il decumano massimo (attuale corso
Mazzini-Saffi). Il cardine massimo, invece, sembra seguire l'andamento di via Garibaldi.
La città era definita a occidente da un canale artificiale, spostato di circa 5-6 metri nel rettifico di
via Cavour-corso Baccarini; al di là di questo limite i reperti diventano sempre più rarefatti per
determinare, poi, centri di tipo rustico, come quello, risalente al I-II sec. d.C., in via Cantoni e
corso Mazzini. Il limite est è segnato da via Mura Mittarelli, come l'abitato odierno, data
l'impossibilità di reperire notizie più precise. La città, quindi, delimitata dal fiume Lamone ad est
e dal canale artificiale ad ovest, poté espandersi verso settentrione, anche se il perimetro in
questa direzione rimane ancora non ben definibile.
L'apparato viario odierno sembra rispettare quello romano antico ma rimane comunque difficile
l'individuazione del numero, la disposizione e la tipologia degli edifici: solo negli isolati centrali,
a seguito degli scavi di palazzo Pasolini ad ovest del cardine massimo, è stato possibile
ricostruire il loro orientamento lungo i cardini. Medesimo risultato negli scavi dell'area dell'ex
palazzo Grecchi, dove i resti di due domus convalidano questa tesi.
Le scarsissime testimonianze di abitazioni private permettono solo di avanzare alcune
supposizioni: si sa che un nucleo abitato esisteva già prima della costruzione della via Emilia,
come colonia all'interno del territorio gallico e sappiamo che, come tutte le grandi città della
regio VIII, subì l'opera di ampliamento a cura di Augusto, seppur siano maggiori le
181 VIII, 595.
62
ristrutturazioni di edifici già esistenti che le vere e proprie edificazioni. Certa, inoltre, era la sua
importanza come polo di rifornimento della flotta romana stanziata a Classe (Ravenna) durante
l'età augustea.
Anche per gli edifici pubblici le fonti sono poche: il foro, come tradizione, era posto all'incrocio
tra cardo e decumano massimi e, poco distante, erano posti due grandi edifici dei quali si
conservano solo alcuni frammenti di frontoni, colonne e resti scultorei (come il “dito” di una
grande statua, rinvenuto in via Costa e alcuni resti di rilievi e trabeazione di piazza del Popolo 8,
dove è stato localizzato un grande impianto termale).
Scarti di fornaci ed elementi per la cottura della ceramica fanno supporre una officina artigianale,
come la grande fornace in via Sant'Agostino all'incrocio di via Varani o quella di via Comandini
7. Due officine per la produzione dei laterizi erano poste in corso Mazzini 105 e viale Stradone,
rispettivamente nella zona occidentale e sud-occidentale della città.
Poco o nulla rimane delle elogiate produzioni di lino, testimoniate da Plinio182.
Probabile la presenza di salgarii, anche se rimangono dubbie le prove di una loro attività.
Le necropoli si estendevano all'esterno della città, lungo le maggiori direttrici e in particolare la
via Emilia, che ha restituito i maggiori esempi di stele funebri.
Bibliografia
1) C. Guarnieri, 2000, pp. 471-475.
182 Plin., Nat. Hist., XIX, I, 9.
63
3.2.1 I testi epigrafici
1)
Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: FaventiaUrbs nostrae aetatis: Boncellino di BagnacavalloLocus inventionis:Locus adservationis:erum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisMensurae: ignoraturScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord.munEditiones: AE 1957, 0138.
Testo:D(is) M(anibus) / G(aio) C(---) Mansuanio Con= / sortio omnib(us) decu= /rionalibusornament(is) / decorato IIIIviro q(uin)q(uennali) pat(rono) / collegiorum fab(rum) etd(en)d(rophorum) procu= / ratori iuvenum Ioviensium / qui suis inpendis cuncta curiae / suaeconcessit qui vixit ann(os) LX / m(enses) / XI d(ies) XV (h)o(ras) II / filios V nepo(tes) IIIIlib(ertos) II / fili patri karissimo
Commento
Iscrizione su lastra di marmo decorata con una figura di cantharus (coppa per il vino),
reimpiegata per una tomba di epoca successiva.
Protagonista dell'epigrafe è un Gaius C. (il nomen è mancante) Mansuanius Consortius, decorato
con gli ornamenta decurionalia. Fu quattrovir quinquennalis, patrono dei collegi dei fabri e dei
dendrophori, procuratore iuvenum Ioviensium.
La lastra fu posta a proprie spese dall'onorato, ma su concessione della curia.
Viene indicata sia l'età del defunto (60 anni, 11 mesi, 15 giorni, 2 ore) che la consistenza della
sua famiglia: 5 figli, 4 nipoti e 2 liberti.
In chiusura i figli onorano il padre definito karissimus.
Bibliografia
1) G. Susini 1962, pp. 35 ss.
64
3.3.1 FORUM CORNELII
Sono poche e frammentarie le notizie del centro insediativo formatosi prima dell'avvento
dell'influenza romana, oggi identificato nel comune di Imola.
Probabilmente, come la maggior parte degli insediamenti sul tracciato della via Emilia, la zona
era stata abitata da stirpi di origini villanoviane, ma non dagli Etruschi, che preferirono stabilirsi
nel territorio della vicina Bologna.
Le successive invasioni di Galli nella pianura padana e la fondazione romana non ci permettono
di identificare un nome preciso per il centro cittadino che comunque, stando alle fonti, era attivo
e prolifico.
La fondazione del centro romano viene fatta risale alla costruzione della stessa via Emilia,
ovvero il 187 a. C, mentre l'indipendenza amministrativa vera e propria verrà raggiunta solo nel I
secolo a.C., su concessione del console Lucio Cornelio Silla.
Da questo momento in poi, il piccolo centro urbano conoscerà un prosperoso periodo di
espansione con il raggiungimento di un ampio perimetro, rimasto inalterato (con le dovute
evoluzioni) fino al secolo scorso: la pianta della città richiama ancora in modo evidente lo
schema tipico di fondazione romana con l’incrocio fra il decumano (via Emilia) e il cardo (via
Appia - via Mazzini) presso il quale sorgeva l’antico foro, assetto urbano che risale
probabilmente al periodo compreso fra la guerra sociale e l’età sillana, consolidatosi poi intorno
all’età imperiale.
In epoca augustea, Forum Cornelii entrò a far parte di quella politica di monumentalizzazione
tipica della dinastia giulio-claudia e vide delinearsi in modo definitivo il suo impianto con
relativo potenziamento delle infrastrutture pubbliche e private.
Durante le invasioni barbariche la città fu notevolmente danneggiata: particolarmente distruttive
furono le incursioni ad opera di Iuthungi e Marcomanni nel III secolo d.C.
Saranno comunque le scorribande dei ceppi barbarici di origine gota, nel V-VI secolo d. C., a
segnare pesantemente il territorio imolese, quando la città verrà saccheggiata dai Franco-
Alemanni, venendo successivamente in parte abbandonata.
Gli scavi effettuati nel centro storico della città hanno restituito pavimentazioni di domus di
epoca romana dimostrando, inoltre, uno sviluppo del centro a carattere estensivo e soprattutto
una forte regolarità, con il costante allineamento sugli assi urbani.
Tra i resti più significativi di domus si possono ricordare quelli di San Pier Crisologo e di piazza
San Domenico nella zona centrale della città e di via Rivalta, presso i margini meridionali.
Poco o nulla si conosce, invece, su tutto quel complesso di edifici pubblici, civili e religiosi, che
65
devono aver caratterizzato la città: unico esempio l'anfiteatro, situato nella parte occidente .
Tutti gli altri riferimenti alle strutture pubbliche risultano scarsi e sommari, anche se, al momento
della pianificazione dell'impianto urbano, vennero predisposti degli isolati tra cardo e decumano
maximus, atti ad ospitare la costruzione di edifici pubblici.
Anche il Foro cittadino, nonostante il rinvenimento di ampie zone lastricate, non ha trovato una
ubicazione precisa: ipotesi condivisa è quella riferita alla canonica posizione, comune ad altre
città romane, della zona poco più a settentrione dell'incrocio tra le due vie principali.
Diversi studi hanno, tuttavia, portato alla luce resti di una probabile locazione fra i vicoli Inferno
e Stagni, a ridosso della via Emilia, indicandone l'estensione in senso longitudinale.
Anche per quanto riguarda l'edilizia sacra le fonti e i resti materiali sono molto scarsi: è
comunque attestato almeno un centro religioso sulle colline meridionali, al di fuori del contesto
cittadino, testimoniato da alcune decorazioni architettoniche e da una testa fittile decorativa.
Scavi recenti hanno, tuttavia, riportato alla luce i resti di un complesso centro religioso sorto
direttamente nel centro cittadino, nella zona occupata dal cinema Modernissimo: grazie ai
numerosi oggetti votivi scoperti è stato possibile determinare come in questo centro si
celebrassero i culti della Bona dea, dei Fauni, di Minerva, Mercurio, Iside e forse Cybele, fino ai
venerati dei Nixi, riconducibili ad uno dei culti più antichi e sacri della religiosità romana .
Bibliografia1) R. Curina 2000, pp. 465-469.
2) P. De Santis, C. Negrelli, D. Rigato 2009, pp. 317-360.
66
3.3.1 I testi epigrafici
1)
Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: Forum CorneliiUrbs nostrae aetatis: ImolaLocus inventionis: Abbazia di Santa Maria.Locus adservationis: Rerum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisMensurae: Scriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. munEditiones: CIL XI, 668.
Testo:Genio / colleg(ii) cent(onariorum) / Gavius Fel(ix) / p<a=E>tron(us)
Commento:
Cippo riccamente decorato sia alla base sia al coronamento con timpano centinato e corniciato.
L'iscrizione, l'unica della zona a fare riferimento a un collegio, presenta una dedica al genio, una
sorta di nume tutelare del collegio dei centonari.
Essa fu posta da Gavius Felix, un componente della gens Gavia, assai diffusa a Forum Cornelii.
Bibliografia
1) F. Mancini, G. A. Mansuelli, G. Susini 1957, pp. 195-196.
67
3.4 BONONIA
Snodo commerciale obbligatorio tra i due versanti degli Appennini, Bologna conobbe fin
dal VIII secolo a.C. un grande interesse da parte delle popolazioni protostoriche, confermato dai
resti archeologici di un attivo centro abitato.
L'avvento degli Etruschi, nel VI secolo a.C., pose le basi per la nascita di una città popolosa e
complessa, con veri e propri quartieri e i primi edifici pubblici, al centro di una fittissima rete di
scambi commerciali: il centro di Felsina.
La calata delle popolazioni celtiche, a partire dal IV sec. a.C., con successivo declino dei nuclei
etruschi nella pianura Padana, non decretò la fine della città, dove anzi resistettero alcuni piccoli
centri rurali e collinari in corrispondenza delle maggiori vie di comunicazione.
Con l'inizio dell'avanzata romana le popolazioni galliche, principalmente Boi e Insubri, tentarono
una strenua resistenza alleandosi con Annibale durante la seconda guerra punica.
La sconfitta di quest'ultimo decretò la resa di queste popolazioni, sancita con la fondazione di
Bononia nel 189 a.C., in corrispondenza del territorio occupato dal maggiore centro boico.
Edificata, quindi, sul precedente nucleo celtico e centro precoloniale (nato con una prima
centuriazione del territorio), la città nasce come colonia di diritto latino e conosce, nei secoli, una
lenta espansione, testimoniata dalla crescita delle sue mura urbiche, culminata con l'indipendenza
amministrativa agli inizi del I secolo a. C.
La struttura del nucleo urbano, di forma quadrangolare con lato di circa 6-700 metri, è ben
documentata, con lo sviluppo regolare e geometrico lungo il decumano (via Aemilia/via Rizzoli
e via Ugo Bassi) e il cardo maximus (Vie Galliera e Val d'Aposa), con il Foro posto proprio
nell'intersezione di queste due vie principali (la zona nei pressi del Palazzo Comunale). Nelle
immediate vicinanze del Foro, scavi condotti nel secolo scorso presso l'edificio dell'ex Sala
Borsa hanno dimostrato come vi fosse ubicata la Basilica civile di Bononia, principale centro di
riunione della comunità e sede dell'amministrazione della giustizia, mentre poco distante,
nell'odierna via Porta di Castello, si ergeva su un alto podio un grande edificio di culto di
tradizione etrusco-italica, probabilmente il più antico e venerato della colonia.
In età imperiale in un clima di espansione economica, dovuto anche alle nuove deduzioni di
matrice militare che, a partire dall'età triumvirale, rigenerarono profondamente il tessuto
insediativo, si denota la costruzione di nuove ed imponenti strutture civili: lo stesso Augusto
predisporrà la costruzione di nuove strade lastricate in basolati di trachite euganea rendendo, data
la mancanza di orme carraie sulla pavimentazione rinvenuta, il foro e le strade che ne
penetravano il comparto completamente pedonali.
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Contemporanea la costruzione di un nuovo sistema fognario in condotte di laterizio e un nuovo
acquedotto cittadino destinato a soddisfare il fabbisogno idrico cittadino; a questo è poi
strettamente legato il complesso termale edificato nella zona sud-occidentale dell'abitato,
testimoniato da una dedica epigrafica a Ottaviano183 e successivamente restaurato da Caligola e
Nerone.
Sempre alle prime fasi del principato di Augusto risale la costruzione di un nuovo edificio di
culto, posto subito a ovest dell'antico tempio di età primo coloniale, quasi a voler simboleggiare
una continuità simbolica tra vecchi e nuovi culti (tra i quali quello dell'imperatore).
Sempre alla prima età imperiale risalgono l'opera di abbellimento della città con statue
raffiguranti la famiglia imperiale, la costruzione di un nuovo edificio pubblico, forse di tipo
amministrativo e un foro minore, riservato alle attività commerciali. Ai primi decenni del I
secolo a.C risale la costruzione del teatro, nel margine meridionale della città, sempre all'interno
di quell'ottica di rinnovamento del centro cittadino: l'edificio originario (esempio delle più
aggiornate tecniche costruttive romane) venne successivamente trasformato con un ampliamento
della struttura per aumentarne la capacità, ottenuto mediante l'impiego di nuove murature radiali
in pietra selenite. All'intervento strutturale si accompagnò una complessa opera di decorazione,
attestata da frammenti di lastre di rivestimento con rilievi ornamentali e utilizzo di marmi
pregiati. Tale restauro avvenne a seguito di un devastante incendio184 che colpì la città durante il
regno di Nerone, e lo stesso imperatore si fece personalmente promotore della ripresa della città:
a suo onore fu poi eretta una statua, rappresentata in armatura, al sommo della cavea così
rinnovata.
Continuano ad essere numerose le opere edili, anche su iniziativa privata: ciò è visibile grazie
allo sviluppo di nuove dimore, testimoniate dalle numerose pavimentazioni in mosaico
rinvenute, e dall’espansione abitativa, anche di lusso, al di fuori della cinta muraria primaria.
La situazione di benessere materiale e la vitalità sociale, che avevano raggiunto l'apice in età
augustea, perdurò fino alla media età imperiale: una volta stabilizzato l'impianto urbanistico,
l'unica edificazione di un certo rilievo fu, nel 69 d.C, la costruzione di un anfiteatro, forse a
terrapieno, da parte di manovalanza di tipo militare185.
Particolare la presenza, tra II-III secolo d.C., di un tempio dedicato al culto egizio di Iside
(domina Isis Victrix), a dimostrazione dell'affermazione di nuovi culti all'interno del pantheon
romano186.
183 CIL XI, 720.184 Tac., Ann. XII, 58; Svet. Nero, 7.185 Tac., Hist. II, 53, 7; 67, 5; 71.186 CIL XI, 695.
69
Come attestato in altre città, le necropoli si estendono lungo le vie principali al di fuori delle
mura cittadine: prima fra tutte la via Aemilia.
La grande quantità di stele e monumenti funerari rinvenuti, celebri quelli di età tardo-
repubblicana che in alcuni casi ricoprivano per chilometri i lati della via consolare, e la
conservazione di molte testimonianze si deve ad un caso fortuito, in seguito al riutilizzo
tardoantico di stele e lapidi in una diga di sbarramento (il cosiddetto “Muro del Reno”)
predisposto in appoggio all’antico ponte romano sul fiume.
L'arresto delle costruzioni, nel III secolo d. C, e il continuo reimpiego spesso degenerativo di
quelle preesistenti, denotano un periodo di crisi in ambito urbanistico, con il progressivo
abbandono e degrado di vaste aree dell'abitato.
Bibliografia
1) G. Sassatelli, A. Donati 2005, pp. 515-533.
2) J. Ortalli, Bologna, pp. 439-449.
70
3.4.1 I testi epigrafici
1)Regio antiqua:AemRegio nostrae aetatis:IUrbs antiqua:BononiaUrbs nostrae aetatis:BolognaLocus inventionis: chiesa di Santa Margherita.Locus adservationis:Rerum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisMensurae: alt.: 0.475 m lat.: 0,423 m crass./diam: 0,285 m Scriptura: scalproLingua: Latina Religio: paganaVersus:Titulorum distributio:Virorum distributio:Editiones: CIL, XI, 715
Testo:in] / memoriam / P(ubli) Corneli / Saturnini / magistralis / Cornelia Prima uxor / ex indulgentia colleg(ii) / signum Liberi / basim caulas d(onum) d(edit)
Commento:
L'iscrizione è incisa su un cippo in marmo bianco, successivamente riutilizzato per la
realizzazione di un putto.
La liberta Cornelia Prima pose questa epigrafe in memoria del marito, probabilmente un
colliberto, Publio Cornelius Saturninus, magister di una ignota associazione, su permesso del
collegio, che autorizzò anche la dedica di una statua del dio Libero e la costruzione di un recinto.
Il termine magistralis, con accezione di magister, è raro
nell'universo epigrafico: è possibile che il protagonista
dell'iscrizione si sia esercitato nel collegio menzionato
(forse i fullones), associato al culto del dio Libero.
Bibliografia
G. Susini 1960, nr. 47, p. 57.
71
3.5 MUTINA
La Citta di Mutina, fondata in concomitanza con Parma ad opera dei triumviri Marco
Emilio Lepido, Tito Ebuzio Parro e Lucio Quinzio Crispino nel 183 a.C, sorse su di una piana
alluvionale, dove distese palustri erano attestate già da epoca tardo-repubblicana187
La città costituisce un’ ulteriore tappa del processo di penetrazione ed occupazione della
Cispadana da parte dei Romani, a seguito della definitiva sconfitta dei Galli Boi e la costruzione
della via consolare Aemilia.
La colonia venne fondata, secondo Livio188, attorno al 183 a.C e, seppur i resti preromani siano
scarsi, è stata accertata la presenza di un precedente nucleo indigeno circostanziale alla nuova
città.
Trovandosi in un’ ottima posizione strategica, all’incrocio di importantissimi assi di
comunicazione in senso est-ovest (via Emilia) e in senso sud-nord (i transiti appenninici e la rete
viaria verso Mantova, Verona e l’area transalpina), la città mantenne a lungo il ruolo di area
militare di grande importanza, diventando teatro di numerose vicende belliche, soprattutto
nell’ultimo periodo della repubblica: ad esempio il saccheggio, successivo alla fondazione (177
a.C.)189, ad opera dei Liguri; l’assedio di Pompeo contro l’avversario Giunio Bruto nel 78 a.C.190;
la sconfitta di Cassio Longino ad opera dello schiavo rivoltoso Spartaco nel 72 a.C.191 e la guerra
di Modena fra Antonio e Decimo Bruto, asserragliato in città (43 a.C.)192. Nel 69 d.C., in età
imperiale, fu coinvolta nel conflitto fra Otone e Vitellio193.
Gli ultimi riferimenti alla città riguardano la tarda età imperiale: nel 312 d.C Modena è sotto il
controllo delle truppe di Massenzio lasciate come guarnigione. La resa, dopo un breve assedio,
all'esercito di Costantino gli permetterà di ottenerne i favori194.
La ricostruzione della disposizione dell'impianto urbano repubblicano non dispone di molte
evidenze archeologiche. Si presume che l'abitato avesse una pianta quadrangolare, proiettata
verso oriente rispetto al centro attuale (l'odierna piazza Garibaldi) e fosse racchiusa da una cinta
muraria, testimoniata dalle fonti di episodi militari e dagli scavi eseguiti in via Albinelli e di
recente in via Roma.
187 App., Bell. civ. 3, 9, 66; Cic., Fam. 10, 30.188 Liv. XXXIX, 55, 7-8.189 Liv. XLI, 14, 1-3.190 Plut., Vit. Par., Pom., 16.191 Plut., Vit. Par., Crass., 8.9.192 Cic., Phil., V 24-26; VI 3-6; VII 15, 21-22; VIII 5, 20-21.193 Tac., Hist, II 54,52.194 Naz. Pan., X 27.
72
La via Emilia aveva funzione di decumano maximus, mentre rua Pioppa viene identificata come
cardo maximus. Nella zona fra il cardine e viale dei Martiri era probabilmente ubicata l’area
amministrativa del Foro.
Probabilmente anche Modena, come la maggior parte delle città romane lungo la via Aemilia,
raggiunse un assetto definitivo con l'intervento augusteo: dal confronto dei reperti si è compreso
un aumento dell'estensione dell'abitato da 40 a 42 ettari complessivi.
In età claudio-neroniana ebbe inizio un programma di bonifica e riqualificazione delle zone
marginali dell'abitato, rese disponibili all'edificazione.
I dati per l'identificazione degli edifici e dei monumenti principali si basano su fonti scritte e
pochi manufatti archeologici: se è stato possibile delimitare un’ area pubblica lastricata di marmo
con quattro basi onorarie, delle quali tre scritte, con dediche agli imperatori Adriano, Numeriano
e Flavio Valerio Costanzo, certa è la testimonianza riferita alle terme pubbliche rinvenuta durante
gli scavi del Palazzo della Provincia di metà ottocento, con tracce di impianti di riscaldamento e
altri locali.
La presenza di un anfiteatro cittadino sembrerebbe tutt'ora visibile dall'anomala curvatura delle
vie Canalino e Mondatora, che pare ripercorrano uno spazio ellittico. Inoltre nelle immediate
vicinanze venne alla luce, alla fine del XIX secolo, un muro di grandi dimensioni con elementi
architettonici modanati, lungo il supposto perimetro esterno. Testimonianze letterarie195 ed
archeologiche (tessera di un abbonato, maschere di terracotta) sembrano confermare questa
ipotesi.
Per quanto riguarda l'edilizia privata, l’aspetto di un’ abitazione di lusso dell’avanzato I sec. a.C.
ci viene restituito da alcuni disegni della domus di via Università, fatti durante gli scavi di
costruzione del cinema Capitol: il complesso, che si sviluppa lungo la via Aemilia, presenta
diversi spazi abitativi sviluppatisi regolarmente attorno ad un cortile centrale. I resti in bronzo
riconducibili all'arredo di un triclinium (due letti, un tavolino, un portalucerne) e gli ornamenti
pregiati di una fontana descrivono il comfort e la raffinatezza raggiunti dai patrizi locali.
Numerose attestazioni appartengono al contesto funerario: le necropoli si disponevano
radialmente lungo i percorsi in uscita dalla città, specialmente ai due estremi della via Emilia e in
corrispondenza della direttrice verso Verona. A partire dall’età augustea ha inizio la
monumentalizzazione delle aree cimiteriali con recinti funerari, stele, monumenti a dado, a
edicola o a tamburo, e infine grandi sarcofagi del tipo ravennate. Questo grande varietà di
195 Mart., III, 59.
73
monumenti ha permesso di ricostruire lo status sociale raggiunto da Mutina: comuni i riferimenti
a cariche militari e a professioni di ambito commerciale, soprattutto nella compra-vendita e
lavorazione della lana ovina, per la quale Modena era celebre.
A partire dal III secolo d.C. si registra un lento abbandono delle zone residenziali lungo il limite
occidentale della città: gli studi condotti in via Albinelli lo dimostrano.
Dalle evidenze archeologiche si può dedurre come l'area urbana sia profondamente mutata:
all'insieme compatto e regolare definito da cardini e decumani, si è passati a nuclei insediativi
sparsi affiancati da grandi spazi aperti e la stessa cosa accadde anche all'area rurale.
Tuttavia Mutina continuerà a mantenere un ruolo predominante nella zona, conoscendo una
nuova ripresa economica, anche se breve, in età costantiniana, con la presenza di militari e alti
funzionari della corte imperiale.
Bibliografia
1) N. Giordani 2000, pp. 423-43.
74
3.5.2 I testi epigrafici
1)
Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: MutinaUrbs nostrae aetatis: ModenaLocus inventionis: Modena, «nelli fondamenti della nuovafortezza» (a. 1635), attuale area di via F.M. Molza (?)Locus adservationis: ignoratur, periitRerum inscriptarum distributio: ara, sepulcrumRei materia: marmorMensurae: alt: 230.00 lat.: 0.00 Crass./Diam.: 0.00 litt.alt.: ?Status tituli: tit. integerScriptura: scalproLingua: latinaReligio: Versus: Titulorum distributio: sepulcralisVirorum distributio:ord. mun.; offic. priv.; ignoraturEditiones: CIL 11, 00862
Testo:
D(is) M(anibus) / Q(uinto) Alfidio / Q(uinti) l(iberto) Hylae / VV IV vir(o) Foro Sem= / 5 proni, /colleg(i) harena= / riorum Romae, negot= / ianti lanario, / Alfidia Severa pat= / [ri] pientissimo〈:in latere intuentibus sinistro 〉 / ((:patera)) / 〈:in latere intuentibus dextro 〉 /((:urceus))
Commento:Epigrafe decorata ai lati con una patera (tazza rituale) e un urceus (contenitore per i liquidi),
trovata assieme a CIL XI, 859. L'iscrizione esordisce con una dedica agli Dei Mani e si riferisce
al commerciante di lane (negotians lanarius) Quintus Alfidius Hyla,
liberto di Quinto, seviro a Forum Sempronii (l'odierna città di
Fossombrone), membro del collegio degli harenarii di Roma. La
dedicante è la figlia Alfidia Severa, per il padre, definito piissimo.
Il termine negotians si trova frequentemente ad indicare associazioni
di commercianti riunite per scopi precisi, tuttavia sono comuni le
attestazioni di singoli negotiantes, con riferimenti alla merce che
trattavano, in questo caso la lana.
Considerando lo status sociale del defunto, difficilmente si può
intendere harenarius come sinonimo di venator o di gladiatore,
ovvero di minister amphiteatri, l'addetto con l'umilissimo compito di
75
mantenere pulita la sabbia dell'arena e rimuovere i corpi dei gladiatori morti o feriti durante i
giochi. Sembra invece più probabile che sia una carica più onoraria, forse legata
all'organizzazione dei giochi negli anfiteatri, oppure un’ attività riguardante il prelevamento e\o
vendita della sabbia, indispensabile per l'edilizia pubblica e privata.
Bibliografia
1) E. de Ruggiero 1895, p. 657.
2) L. Malnati 1983, p. 328.
3) Sabattini Tumolesi 1980, pp. 150-151.
4) E. Forcellini 1965, pp. 376-377.
5) L. Parisini 2011, pp. 37-42.
76
3.6 REGIUM LEPIDI
Le testimonianze preromane nel centro della città sono rare ed incerte tanto che si è
dubitato dell’esistenza di un insediamento preesistente al sito romano, la cui fondazione viene
solitamente riferita al secondo consolato di M. Emilio Lepido nel 175 a.C.
Quindi è probabile che l'istituzione dell'abitato sia stata opera diretta dello stesso console
(riscontrabile nella denominazione stessa della città), che diede vita ad un progetto di
riorganizzazione del sistema di popolamento della zona.
Solo nella prima parte del I sec. a.C. la documentazione archeologica rivela un’occupazione
stabile ed organizzata, con edifici in pietra che andarono a sostituire le costruzioni precedenti (i
quali scarti sono stati poi rinvenuti all'interno di alcune fosse ai margini dell'abitato).
Tale rinnovamento urbanistico può essere collegato all'estensione della cittadinanza, romana e
latina, avvenuta in occasione della guerra sociale del 91-88 a.C.
Tale ricostruzione sembra ricollegarsi anche al terremoto del 91 a.C. che devastò il centro
abitato, anche se le fonti a questo proposito restano dubbie e facili a fraintendimenti.
Nel territorio emiliano Regium Lepidi non ebbe un ruolo dominante, la città non raggiunse il
rilievo della vicina Modena o Parma: solo in rare occasioni divenne scenario di episodi storici
significativi, come l’uccisione di M. Giunio Bruto, oppositore di Silla, da parte di sicari di
Pompeo nel 77 a.C. o l’acquartieramento di Decimo Bruto agli inizi della Guerra di Modena
contro Antonio (43 a.C.)196.
Sempre a partire dall’età augustea, la città divenne il fulcro di un più ampio progetto di
riqualificazione urbana: dall’insediamento iniziale di età repubblicana, piuttosto limitato, si passa
quindi ad un agglomerato abbastanza esteso, con la via Emilia come decumanus maximus e Via
Roma come cardo. L'area amministrativa del Foro è stata individuata ad ovest del cardo e a sud
del decumano, grazie agli scavi condotti sotto la Curia e nei pressi della basilica di S. Prospero.
L'intero perimetro urbano era circondato da una cinta muraria in mattoni, testimoniata da alcuni
tratti rinvenuti nell’isolato di S. Rocco.
Gli scavi al di sotto della sede del Credito Emiliano hanno riportato alla luce i resti di due grandi
edifici: la basilica civile e un edificio di culto, i cui resti dimostrano una certa evoluzione nel
tempo.
Dallo scavo è emersa anche una testimonianza epigrafica, ricondotta all'imperatore Claudio,
ricordato benignamente dalla popolazione in altre iscrizioni, con la nomina a patronus
dell'imperatore e la dedica di una statua presso il ponte sul fiume Crostolo197.
196 Cic., Ad familiares, XI, 9. 197 CIL XI, 981.
77
Realizzato, sempre nella prima età imperiale, l'acquedotto proveniva dalla zona sud-orientale,
ricca di sorgenti: anche se si tratta di un opera dalla portata limitata, probabilmente era affiancato
da altre fonti idriche, ed è probabile che il suo uso fosse limitato ai soli bisogni pubblici.
Le numerose testimonianze dell’edilizia privata consentono di ricostruire un quadro
sufficientemente completo del tessuto residenziale urbano, dove le tipiche domus ad atrio
centrale aperto hanno restituito pavimenti in cocciopesto, spesso decorati con tessere o
frammenti di marmo, e mosaici in bianco\nero o policromi, talora di grandi dimensioni, come
nell’ abitazione scoperta fra le vie San Rocco ed Emilia Santo Stefano.
Parallelamente al periodo di massimo sviluppo della città, fra il 50. a.C. e la metà del I sec. d.C.,
anche le necropoli mostrano esempi di monumentalizzazione, soprattutto nel tratto orientale
della via Emilia, diretto verso Roma. Massimi esempi sono monumenti in pietra importata
lavorati secondo stili decorativi ed usi epigrafici consueti alla tradizione.
Difficile seguire la storia del centro in età medio e tarda imperiale: seppur centro ancora vivace
ed attivo, è riscontrabile un lento declino, visibile con il restringimento della zona residenziale e
la costruzione di una nuova cinta muraria ristretta, testimoniata dagli scavi in piazza Scapinelli.
Un ultimo episodio di ripresa urbana coincide con la nomina della città a sede episcopale nel IV
sec. d.C., con una serie di nuove costruzione legate al culto cristiano, di cui rimangono a
testimonianza i mosaici pavimentali.
Bibliografia
1) E. Lippolis, 2000, pp. 413-420.
78
3.6.1 i testi epigrafici1)
Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: Regium LepidiUrbs nostrae aetatis: Reggio dell'EmiliaLocus inventionis: Locus adservationis:Rerum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord.munEditiones: CIL XI, 970
Testo:
Imp(eratore) Caes(are) M(arco) Aurelio / [[[Commodo]]] Antonino Aug(usto) Pio / Felice VIM(arco) Petronio Septimi/ano co(n)s(ulibus) / X Kal(endas) April(es) in templo collegi(i) fabrum/ et centonariorum Regiensium / quod referentib(us) P(ublio) Saenio Marcellino et C(aio)Aufidio / Dialogo quaestoribus v(erba) f(ecerunt) / Tutilium Iulianum virum et vita et modestiaet / ingentia verecunda ornatum et liberalem / oportere collegi(i) nostri patronum cooptari ut /sit ceteris exemplo iudici(i) nostri testimonium / qu(id) f(ieri) p(laceret) d(e) e(a) r(e) i(ta)c(ensuerunt) / salubri consilio tam honesta(m) relatione(m) a quaestorib(us) / et magistriscollegi(i) nostri factam et singuli et uni/versi sentimus et ideo excusandam potius honesto viro /Iuliano huius tardae cogitationis nostrae necessitat(em) / petendumq(ue) ab eo libenter suscipiatcollegi(i) n(ostri) patronal(em) / honorem tabulamq(ue) aeream cum inscriptione huius decre/[tii]n domo eius poni censuerunt.
Commento:L'epigrafe si apre con l'indicazione temporale: durante il consolato dell'imperatore Cesare Marco
Aurelio Commodo (questo elemento onomastico è stato eraso dalla pietra in seguito alla
damnatio memoriae deliberata contro l’imperatore) Antonino Augusto Pio, Felice per la sesta
volta e di Marco Petronio Settimiano il decimo giorno delle Kalendas Apriles, quindi il dieci di
Aprile.
Nell'iscrizione si attesta che nel tempio del collegio dei fabri e dei dendrofori di Reggio Emilia i
questori Publio Saenio Marcellino e Caio Aufidio Dialogo rivolsero un elogio all'onorato: Tutilio
Iuliano.
In quanto persona che ha condotto una vita con modestia et ingentia verecunda ornatum et
liberalem, viene designato per l'elezione a patrono del collegio perché possa essere ricordato
come d'esempio agli altri giudici.
79
Ciò fu deciso in seguito ad un consiglio “utile”, con una relazione onorevole fatta da parte dei
questori e dai magistri del collegio che dovettero poi, singuli et universi, scusarsi con l'honesto
Iuliano per la nomina tardiva, sperando che questo la accolga volentieri.
Il tutto termina con la concessione all'onorato di poter collocare una tavola bronzea con questa
iscrizione nella propria dimora.
Bibliografia
1) F. Lenzi 2006, pp. 405.
80
3.7 PARMA
Con la fondazione delle colonie gemelle di Mutina e Parma nel 183 a.C., terminò il
progetto di M. Emilio Lepido della costruzione della celebre via. Tutto questo sistema di nuovi
centri cittadini si avvaleva però di una rete preesistente di origini etrusca o filogreca.
Parma, tuttavia, rappresenta un caso davvero singolare: nonostante non sia stato possibile
confermare un’origine etrusca (seppur sia visibile un orientamento rituale dell'impianto urbano e
anche una radice etrusca del nome derivante da un idronimo, mentre i rinvenimenti della fase
boica sono molto scarsi, la città presenta tracce significative di un insediamento di terramara
della tarda età del bronzo posta nel settore orientale del centro storico.
L'area, paludosa, fu soggetta a una costante opera di bonifica, già a partire dall'età repubblicana,
come dimostrano i rinvenimenti di anfore sotto la chiesa di San Sepolcro.
Partendo da un primo acquartieramento trincerato, furono stanziati duemila cittadini romani, con
le relative famiglie, per permettere la nascita e l'espansione della neonata colonia parmense.
L'area del centro cittadino fu sempre interessata da lavori e scavi per il contenimento della rete
idrografica minore che continuerà a scorrere, per secoli, in una fitta serie di canali ricordati da
Strabone198 ad opera di M. Emilio Scauro, che sovrintese alla bonifica del territorio tra la città e il
Po.
Tale opera venne continuata anche in età imperiale, con altre opere di risanamento, da parte di C.
Praeconius Ventilius Magnus.
La costruzione della città necessitò dell'edificazione di diversi rialzi artificiali: ne sono esempi lo
stesso Cardo massimo e le fondamenta del grande edificio sorto sul lato sud-occidentale di
piazza Garibaldi.
Distrutta durante la guerra tra Ottaviano e Antonio, Parma conobbe la rinascita quando Augusto,
conquistato il potere, attuò una completa ricostruzione stanziandovi una colonia di veterani:
nacque così la nuova colonia Julia Augusta Parmensis.
L’età augustea e il periodo successivo, fino a tutto il II secolo, rappresentarono per Parma il
periodo di maggior splendore e crescita. Un impianto urbano regolare, basato sul tracciato della
via Emilia (vie Mazzini-Repubblica) che fungeva come sempre da decumano massimo e si
intersecava con il cardo massimo rappresentato da via Farini-Cavour, accoglieva al suo centro lo
spazio forense, più o meno corrispondente all’attuale piazza Garibaldi.
Il lato corto occidentale del Foro è contraddistinto, in corrispondenza della chiesa di S. Pietro,
dalla presenza di un edificio sacro su podio esistente sin dalle prime fasi della colonizzazione,
198 Strab., V, I, II.
81
nel quale viene forse riconosciuto il Capitolium, il tempio dedicato a Giove.
Sul lato lungo settentrionale del Foro, invece, era sistemata la basilica, alla quale sembra
appartenere una statua di togato mutila e acefala trovata all’angolo tra Piazza Garibaldi e via
Cavour, forse appartenente ad un grande ciclo statuario.
In età giulio-claudia la città si dotò di un teatro, che venne eretto nell’area suburbana meridionale
e di un ingresso monumentale del quale faceva parte anche l'elegante clipeo marmoreo utilizzato
in reimpiego in via Farini.
Nello stesso periodo venne edificato un anfiteatro nella zona orientale della città, fra l’attuale
collegio Maria Luigia e Palazzo Poldi Pezzoli, in funzione del quale un tratto suburbano della via
Emilia viene poi lastricato e munito di marciapiedi.
Un complesso termale è stato identificato, in prossimità del Foro, grazie alla massiccia
fondazione e i pavimenti musivi rinvenuti sotto Palazzo Sanvitale. Una conferma di tale ipotesi
potrebbe venire da una statua in marmo pario che nell'iconografia potrebbe rientrare nella
rappresentazione del dio Nettuno.
Il progetto urbano, seppur sviluppato su un modello non costante, subì nel tempo continue
modifiche: l'alto numero di corsi d'acqua non risparmiò la città da diverse inondazioni causando,
addirittura, la cancellazione di un tratto decumano originario all'altezza di borgo Santa Brigida e
via Dante.
L’edilizia privata è nota solo in modo frammentario: i reperti portati alla luce (Palazzo S. Vitale,
Teatro Regio, ex convento di S. Rocco) come strutture murarie, pavimenti in cocciopesto e a
mosaico e le pitture murali sembrano individuare il modello di domus monofamiliare tipica della
tradizione italica.
Agli opposti estremi della città, ad est e ad ovest verso il torrente Parma, si estendevano le zone
di necropoli; di esse quella occidentale riuniva le tombe più monumentali: numerose quelle ad
impostazione architettonica, come quella conservata unicamente nell'elemento mediano
simulante un tempietto di prima età imperiale, oppure il più recente basamento con thiasos
marino e fiere in assalto. Nelle epoche successive comuni saranno le stele a ritratti o più modeste
lastre con sola iscrizione, come quella del tonsor e del purpuriarius. Particolari poi le epigrafi
con il simbolo religioso o apotropaico dell'ascia, che distingue l'officina parmense.
In età tardoantica il tessuto urbano si ridusse progressivamente, il teatro fu demolito per fornire
materiale edilizio alla nuova cinta muraria e alla barriera di contenimento del torrente.
Gli interventi di restauro, peraltro limitati, delle strutture pubbliche promossi dalla politica
teodoriciana e culminati nella metà del VI se. d.C., non arrestarono il processo di continuo
82
abbandono della città, dove gli spazi lasciati liberi vennero principalmente riutilizzati come aree
cimiteriali.
Bibliografia
1) M. Marini Calvani 2000, pp. 394-403.
83
3.7.1 I testi epigrafici
1)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: ParmaUrbs nostrae aetatis: ParmaLocus inventionis: Parma, davanti alla Cattedrale Locus adservationis: Parma, Museo ArcheologicoNazionaleRerum inscriptarum distributio: basisRei materia: marmorMensurae: alt.: 113.00 lat.: 98.00 Crass./Diam.: 92.00litt. alt.: 5 - 3Status tituli: tit. mutilusScriptura: scalproLingua: latinaReligio: PaganaVersus:Titulorum distributio: honorarius
Virorum distributio: offic. magg., Augg., mun.; ord. eq.Editiones: CIL 11, 01059
Testo:] / praef(ecto) leg(ionis) XX Valer(iae) / Victr(icis) primo p(ilo) leg(ionis) / X Geminae PiaeFidel(is) / cent(urioni) legion(um) IIII Scy/thic(ae) XI Claud(iae) XIIII Gemin(ae) / VIIGemin(ae) / patr(ono) col(oniae) Iul(iae) Aug(ustae) Parm(ensis) / patr(ono) municipiorum /Forodruent(inorum) et Foro/novanor(um) patr(ono) col/legior(um) fabr(um) et cent(onariorum)et / dendrophor(orum) Parmens(ium) / colleg(ium) cent(onariorum) merenti / [
Commento:
Basamento in marmo, mancante della parte
superiore (probabilmente destinata a supportare la
statua dell'onorato).
L'epigrafe, mutila nella parte iniziale e finale, tratta
di un ignoto personaggio con un’eccellente carriera
militare: prefetto della legione XX Valeriae
Victricis, primipilo nella legione X Geminae Piae
Fidelis e centurione della IIII Scythicae, XI
Claudiae, XIIII Geminae e VII Geminae.
Probabilmente per i suoi meriti, venne proclamato
patronus della colonia Iuliae Augustae Parmensis
(unica testimonianza epigrafica della
84
denominazione della città come colonia ancora in età imperiale), patrono dei municipia dei
Forumdruentinorum e dei Foronovarum (di dubbia identificazione) e dei collegi dei fabri,
centonari e dendrophori di Parma. A porre la stele, il collegio dei centonari.
Bibliografia
1) Panciera 1993, pp. 128-129.
85
2)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: ParmaUrbs nostrae aetatis: ParmaLocus inventionis: ParmaLocus adservationis: ignoratur, periitRerum inscriptarum distributio: stela(?)
Rei materia: ignoraturStatus tituli: tit. integerScriptura: ignoraturLingua: LatinaReligio:Versus:Titulorum distributio: sepulcralisVirorum distributio: cet.
Editiones: CIL 11, 01096
Testo:D(is) M(anibus) / Munatiae Piae/tati C(aius) Iulius / Zenon sodali/ae bene meren/ti
Commento:
Dedica posta da C. Iulius Zenon in onore della sodalia Munatia Pietas.
La dedica dell'uomo rimanda al sistema libertino sia per
il gentilizio (Iulius), di probabile retaggio primo
imperiale, che per il cognomen di radice greca,
Zenon, diffuso tra gli schiavi affrancati.
La donna apparteneva alla gens Munatia, ben
documentata a Parma (CIL XI, 1062, 1092, 1093,
1095, 1098). Il cognome Pietas, seppur usato
diverse volte in altre città, si rivela l'unica
attestazione parmense. Secondo Hatt questo nome ha origini religiose e assumerebbe particolare
valenza in quanto associato al termine sodalia in riferimento alla donna.
Si data al II sec. d.C.
Bibliografia
1) M.G. Arrigoni Bertini 2006, p. 146.
86
3.8 BRIXELLUM
La città di Brixellum (o Brixillum) di chiare origini celtiche - difatti il nome della città
sembra derivare dalla matrice Brixia\Brescia- ricoprì per lungo tempo un ruolo fondamentale per
il commercio lungo il Po, grazie alla sua strategica posizione nei pressi dell'antica foce del fiume
Enza.
Da civitas foederata, abitata da popolazioni di stirpe cenomane, la città acquisì lo status di
colonia latina grazie alla lex Pompeia de Transpadanis dell’ 89 a.C.
Inserita da Plinio199 tra le comunità autonome della Regio VIII, Brixellum presenta un articolato
impianto urbano, indicatore delle successive aggregazioni al centro originario, avvenute senza
pianificazione precisa.
L'andamento non rettilineo del decumano indica la sua evoluzione partendo da due nuclei, non
organici, mentre il cardo maximus riprende l'orientamento del quartiere occidentale, come
prolungamento di una direttrice proveniente dal Po.
Il Foro, l'attuale piazza Maggiore, fungeva da punto d’ incontro tra le due vie principali e, diviso
in due zone dal decumano, probabilmente ospitava, come consuetudine, i maggiori edifici
pubblici e religiosi, richiamando uno schema urbano simile a quello della vicina Brescia.
La presenza di tracce di un pavimento musivo e di un fulguritum200, dimostrano la probabile
presenza di un altro edificio sacro, lungo il prolungamento del cardo maggiore in direzione del
Po.
Grazie ai numerosi ritrovamenti fatti all'interno e all'esterno del perimetro della città è stato
possibile comprendere la presenza di un centro cittadino ricco e vivace: lo scapo dell'erma del
liberto Felix, i resti dei pavimenti della domus del Prato della Fiera e della domus di via
Venturini, in cocciopesto, tessere musive e resti di lastre di marmo.
Vanno poi ricordati il fastoso monumento dei Concordii, il togato rinvenuto in località Tre Ponti,
la figura con lacerna (mantello con cappuccio tipico di età romana), il monumento del ricco
liberto (insignito della toga e dello ius anuli aurei) e il navicularius, raffigurato in abiti
quotidiani, unico esempio in Italia.
Inoltre è stata dimostrata la presenza di terme urbane alimentate da un lungo acquedotto, di circa
15 km, proveniente dal lago Gruma.
Ricche e complete le informazioni ricavate dallo studio delle necropoli che, oltre a ribadire la
vivacità del centro, ci permettono di conoscere una comunità formata principalmente da liberti,
arricchitisi a tal punto da poter aspirare ad alcune delle cariche civili più alte, tra le quali il
199 Nat. Hist., III, 130.200 CIL XI, 1024.
87
sevirato.
Sono presenti diverse associazioni professionali: il collegium centonariorum201 e un sodalizio di
lanarium carminatorum202, ulteriore testimonianza di uno dei prodotti di maggior pregio e
produzione della regione in età antica.
Bibliografia1) M. Marini Calvani, Brescello, pp. 409-410.
201 CIL XI, 1027.202 CIL XI, 1031.
88
3.8.1 I testi epigrafici1)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: BrixellumUrbs nostrae aetatis: BrescelloLocus inventionis: presso lo scavodel forte estense San FerdinandoLocus adservationis: museoarcheologico di BrescelloRerum inscriptarum distributio:Rei materia: lapisScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord.munEditiones: CIL 11, 1027
Testo:
D(is) M(anibus) / T(iti) Iegi Iucundi / VIvir(i) Aug(ustalis) / et Decimiae Thal/liae eius / Filetuslibertus / his epule debentur / a collegio centona/riorum Brixellano/rum
Commento:Il testo esordisce con l’ invocazione agli dei Mani; il monumento è posto dal liberto Filetus.
In esso viene coinvolto il collegio dei centonari di Brescello coll’obbligo di organizzare
banchetti funerari in onore del seviro augustale Titi Iegi Iucundi, e della moglie Decimia.
La carica di sevir Augustalis, della quale conosciamo sei riferimenti a Brixellum, comportava
l’appartenenza a un collegio sacro dedito al culto dell'imperatore. I membri provenivano
prevalentemente dalla fascia dei liberti, inserita tra plebe ed aristocrazia, ma sembra che T. Iegus
Iucundus sia l'unico ad aver avuto la condizione di uomo libero (ingenuus) fin dalla nascita.
Sono documentati molteplici e numerosi rapporti tra seviri e collegi professionali locali, tanto da
far pensare che le fonti di guadagno del singolo siano fortemente correlate a quelle
dell'associazione.
Bibliografia
1) I. Chiesi 2014, pp. 61-62.
2) Inscriptiones Latinae Selectae, 6671.
89
2)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: BrixellumUrbs nostrae aetatis: Brescello Locus inventionis: Locus adservationis:Rerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: lapisScriptura: scalproLingua: latinaReligio: paganaVersus:Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord.munEditiones: CIL XI, 1031
Testo:
D(is) M(anibus) / haec loca sunt / Lanariorum / carminator(um) / sodalici / quae fac{c}iunt / inagro p(edes) C / ad viam p(edes) LV
Commento:Titulus pedaturae che delimitava l'area funeraria riservata ai membri dei sodalici Lanariorum e
Carminatorum di Brixellum,
Questo genere di iscrizione era incisa su cippi terminali che,
realizzati anche in duplice o quadruplice copia, venivano
murati negli spigoli esterni degli edifici tombali o
posizionati ai margini dell'area sepolcrale come avvisi.
Di seguito alla rituale invocazione agli dei mani e
all'indicazione dei realizzatori dell'iscrizione che ne sono
anche i destinatari, vengono indicate le misure del recinto:
in agro (profondità verso la campagna) e ad viam
(lunghezza lungo la strada), corrispondenti ad uno spazio di
100X60 piedi romani (un’area di circa 30X20 metri).
Bibliografia
1) I. Chiesi 2014, pp. 69-70.
90
3.9 FIDENTIA
Fidentia, come altre città della regione, si sviluppa da un agglomerato spontaneo sulla
via Emilia, in prossimità del vicino guado del torrente Stirone nella seconda metà del II a.C. e
ricevendo un nome di buon augurio, secondo una consuetudine romana comune di quel periodo,
diffuso anche in altre zone della regione.
Nell' 82 a.C., Fidentia è teatro della vittoria delle truppe Sillane di Marco Lucullo su quelle
Mariane di Gneo Papirio Carbone203.
All'età augustea risale, sicuramente, la nomina a municipium, come ricordato da Plinio il
Vecchio204.
Sempre in età augustea viene attuato quel periodo di rinnovamento dell'impianto urbano con la
costruzione del Foro cittadino (corrispondente all'attuale piazza Garibaldi), diviso dalla via
Emilia in due settori differenti e visibile tutt'oggi nella continuità del centro storico. Se il
decumano massimo, la via consolare, manterrà sempre un profilo preponderante, pressoché
indistinti rimangono i cardini.
In uscita dalla città, un ponte in pietra, di cui sono stati ritrovati alcuni elementi strutturali,
consentiva alla via di superare il corso d’acqua.
La città conobbe il massimo splendore nella prima età imperiale: nelle varie stratificazioni
urbane sono riemersi reperti sia di produzione coroplastica e bronzistica locale sia di
importazione, come la ceramica di Arretium, ai vetri di Ennione e alle tipiche tazze di Sarius.
Tuttavia, Già dagli inizio del II sec. d.C., la città subì un lento declino dell'abitato, molti reperti
vengono rinvenuti semilavorati ed incompleti, la stessa tabula alimentaria traianea di Veleia
arriva a ritenerla declassata a semplice vicus di Parma, condizione rimarcata anche
nell'Itinerarim Antonini nel secolo successivo.
La spietata concorrenza delle province colpì pesantemente l'Italia del nord, causando quella crisi
visibile a partire dalla media età imperiale: per Fidenza, oltre ai mutati assetti territoriali di
pertinenza, la nascita del municipium di Forum Novum (alle spalle di Parma) e l'affermazione del
municipium di Veleia furono un colpo fatale, dalla quale la città non si riprenderà.
Tuttavia nella tavola bronzea dedicata al fidentino Virio Valente, patrono di una corporazione di
artigiani, la città viene menzionata come Flavia Fidentia, testimoniando come, nella tarda
antichità, Fidenza fosse ancora un municipium.
Il recupero di tale condizione nel IV sec. d.C., non solamente dal punto di vista economico
(legato al commercio del sale), è causato, probabilmente, allo spostamento della capitale
203 Vel. Pat., Hist. Rom., II, 28.1.204 Plin., Nat. Hist., III,116.
91
imperiale a Milano.
Successivamente, nella tradizione medievale, Fidenza scompare facendo posto ad un piccolo
borgo: il Castrum Burgi Sancti Domnini nel cui nome si commemora il funzionario
dell’imperatore Massimiano Erculeo che proprio nei pressi dello Stirone venne martirizzato. Dal
luogo di sepoltura ha origine, molti anni dopo, un santuario divenuto elemento generatore di un
nuovo centro abitato che manterrà nella denominazione il forte legame con la figura del santo,
sino a quando nei primi decenni del Novecento tornerà all’antico appellativo romano.
Bibliografia
1) M. Marini Calvani, Fidenza, pp. 390-393.
92
3.9.1 i testi epigrafici1)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: FidentiaUrbs nostrae aetatis: Fidenza (Parma)Locus inventionis: Salsomaggiore (Parma),Campore.Locus adservationis: Ignoratur.Rerum inscriptarum distributio: tabula, patronatusRei materia: aesMensurae: alt: 793 cm; lat: 519 cm ; Crass./Diam:4 cm m; litt. Alt.: 3-1 cm Scriptura: caeloLingua: latinaReligio: paganaVersus: Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. sen.; ord. mun.Editiones: AE 1991, 713
Testo:M(arco) Nummio Albino L(ucio) Fulvio Aemiliano / co(n)s(ulibus) / Kal(endis) Apr(ilibus)Flavia Fidentia in templo Minervae collegi / fabrum quod referentib(us) G(aio) AntonioPrimitivo et Q(uinto) Sertorio Fe/licissimo curatorib(us) verba facta sunt esse perpetuamconsuetudin(em) / augendis collegi n(ostri) virib(us) si optimos quosq(ue) viros et amantissi/mossingulor(um) universorumq(ue) pro defensione tutela n(ostra) patronos / olim cooptatos tabulispatrocinalib(us) prosequamur q(uid) f(ieri) p(laceret) d(e) e(a) r(e) i(ta) c(ensuerunt) / et ideocum sit Virius Valens patronus colleg(ii) n(ostri) vir eximiae indolis / praeditus municipiquoq(ue) n(ostri) decurio et omnib(us) hon(oribus) perfunct(us) sit / et collegi(i)dendrophor(um) patron(us) ad cuius tam larga et ultro semper / obferentia cumulor(um) eiusinnumerabilia beneficia remuneran/da placuit universis tabulam aeneam patrocinal(em) ei /poni in parte domus eius qua permiserit quo plenius voluptas / n(ostra) erga eum eluceat cuiustitulus scripturae perpetuitate gloriam n(ostri) consensus declaret / adfuere universi.
Commento:Lastra bronzea fastigiata superiormente e provvista di una larga fascia decorata con elementi
vegetali.
L'epigrafe esordisce con l'indicazione temporale: durante il consolato di Marco Nummio Albino e
Lucio Fulvio Aemiliano, alle Kalendis Aprilibus, quindi il 1 di aprile del 206 d.C.
Nell'iscrizione viene documentato come, a Flavia Fidentia (fare nota), nel tempio di Minerva
sacro al collegio dei fabri, con referenti i curatores Gaio Antonio Primitivo e Quinto Sertorio,
venne fatto un discorso con l'intento di onorare con le tavole del patronato Virius Valens, patrono
del collegio dei fabri e dei dendrophori, definito vir eximiae indolis, che, seguendo tutto il
cursus, ricopriva la carica di decurione del municipio cittadino.
93
Nell'epigrafe viene indicato come questo onore venisse concesso, come era per perpetuam
consuetudinem, a quegli uomini optimos, amatissimi dal singolo e dalla collettività, che difesero
il collegio e tutelarono i patroni cooptati (neoeletti del collegio). Proprio per questo, allo scopo di
ripagare le tanto abbondanti, quanto generose donazioni e gli innumerevoli suoi benefici, venne
concesso all'onorato, all’unanimità, la possibilità di collocare una tavola bronzea di patronato
nella propria dimora, affinché fosse visibile la devozione del collegio nei suoi confronti, a
memoria dell'eterna gloria e della concorde testimonianza.
Adfuere universi… Erano presenti tutti.
Bibliografia
1) A. Donati 1991, p. 128.
94
3.10 PLACENTIA
Dopo l’avamposto di Rimini, sorto nel 268 a.C., le colonie gemelle di Piacenza
e Cremona, fondate entrambe nel 218 a.C. a guardia del guado sul Po, rappresentano la testa di
ponte del progetto di penetrazione romana nel cuore della pianura padana e insieme il presidio
strategico su cui più tardi convergeranno la via Emilia e la via Postumia.
Occupando un ampio perimetro, non lontano dalla confluenza fra Po e Trebbia, la città è frutto di
un unica pianificazione urbanistica che prevedeva l’istantaneo insediamento di circa seimila
famiglie, corrispondenti a poco meno di venticinquemila abitanti.
In origine l'insediamento si dispone con il carattere di presidio militare in un territorio ancora
instabile: se la tribù gallica degli Anari insediata nell’area piacentina era stata in parte domata, la
collina e la montagna prospicienti la città rimanevano saldamente nelle mani dei bellicosi Liguri.
La viabilità, in assenza di una sicurezza terrestre, era comunque garantita per via fluviale: era
possibile, infatti, raggiungere l'Adriatico con solo due giorni di navigazione.
La calata di Annibale in Italia interrompe in modo brusco il processo di evoluzione della colonia
che si vede fortemente coinvolta negli avvenimenti della seconda guerra punica. Dopo la
battaglia della Trebbia (218 a.C.) offrì rifugio ai resti dello sconfitto esercito romano e pochi anni
dopo (217 a.C.) si oppose all'esercito di Asdrubale che, valicate le Alpi, avanzava verso sud in
soccorso del fratello.
Soltanto dopo la definitiva sconfitta dei Galli Boi nel 191 a.C. e la rifondazione della colonia,
fortemente danneggiata per il susseguirsi degli episodi di guerra, che il programma di
urbanizzazione potrà riprendere, favorito dalla nuova organizzazione stradale rappresentata dalla
Via Emilia.
Il Foro, come consuetudine, è formato dall'incrocio tra decumano (in perfetto asse con la via
Emilia ) e cardine massimo, definito dall'attuale viale Risorgimento.
La presenza delle chiese di San Pietro e San Martino, di eredità alto medievale, dette entrambe
“in foro” conferma l'antico assetto urbano romano: la prima, inoltre, sembra sorgere sul sito del
Capitolium, il più antico tempio della colonia, eretto o ricostruito in età augustea.
All'edificio di culto potrebbero appartenere una serie di elementi decorativi (antefisse), scoperte
in via delle Benedettine, con raffigurazioni richiamanti il culto frigio, certamente risalenti ad età
repubblicana e riferibili ad un grande edificio con strutture lignee e rivestimenti del tetto in
terracotta.
Grazie alla caratteristica di crocevia derivatole dall’ubicazione strategica, Piacenza vide
accrescere in modo esponenziale la sua prosperità, raggiungendo l'apice quando, dopo le guerre
95
civili, Augusto promosse una nuova deduzione coloniaria, rinnovando il tessuto sociale cittadino:
ciò è visibile con l'aggiunta dell’appellativo al nome della città di Augusta e la testimonianza di
un monumento funerario ritrovato nei pressi di Casteggio.
Ulteriore prova del progressivo decollo economico e sociale può essere il frammento di statua
(prima metà I sec. a.C.) in marmo greco firmata dallo scultore Kleomenes, apprezzato a Roma
dalle grandi famiglie patrizie.
la colonizzazione militare riversa, in tutta la pianura, gruppi sempre più ampi di italici, portatori
di linguaggi architettonici e figurativi di chiara derivazione ellenistica. Esempi i monumenti
funerari della nuova aristocrazia locale che si era venuta così a formare: peculiare il complesso
monumento formato, probabilmente, da pezzi di reimpiego, scoperto in via Taverna, tratto
suburbano della via Postumia. Dallo stesso sito sono riemersi diversi blocchi (uno angolare) di
cornice ionica, uno dei quali sulla faccia opposta presenta un fregio ionico, bassorilievi con
panoplie, un acrotero angolare in figura di sfinge. Nel caso non debba considerarsi un elemento
di riutilizzo, l'ipotesi più plausibile è che il fregio dorico indichi una camera sepolcrale (che
secondo i canoni greci andrebbe posto all'interno) e di conseguenza una appartenenza, del
monumento, alle tipologie microasiatiche.
Altro esempio è la mutila figura togata seduta, in sella curulis, antica insegna magistratuale, che
probabilmente indica uno dei vari liberti insigniti della carica di seviro Augustale.
All’età repubblicana, probabilmente in concomitanza con la rifondazione della colonia, risale la
prima possente cinta muraria, spessa oltre due metri, realizzata in mattoni sesquipedali. Soltanto
in età tardoantica, verrà eretta una nuova cerchia di mura quando le pressioni delle popolazioni
barbariche, basta ricordare che nel 271 Alamanni e Iutungi sconfissero l’esercito imperiale,
renderanno necessario un rafforzamento delle opere difensive.
Queste ultime verranno poi nuovamente rimpiazzate durante la guerra greco-gotica.
Il Porto, già citato da Strabone e meglio definito come porto-canale, si situa a nord-est del centro,
al Malcantone all'originale sbocco della Fodesta, l'antica fossa Augusta alimentata dalle acque
del Trebbia, ed è testimoniato dalle opere di sbarramento formate da anfore da trasporto
abbandonate presso lo scalo.
Sulla sponda desta dell'acceso del porto al Po sono state rinvenute resti di un insediamento e di
una estesa necropoli che testimoniano il forte legame marittimo della città e la presenza di un
agglomerato urbano di non indigeni: l'ara funeraria di C. Birrius Primigenius, liberto che ricoprì
cariche parallele a Piacenza ed Aquileia, lo conferma.
96
Sono comunque presenti iscrizioni che testimoniano culti legati alle divinità romane e non: si
sono scoperti, ai margini della città , luoghi riservati a culti di tipo preromana, come quello delle
Matrone, divinità di matrice celtica, testimoniato dall'ara dedicata da Platius Acutus. Esistono
inoltre altre testimonianze di antichi riti, poi assimilati ed integrati nell'insieme delle credenze
romane: sono esempio le immagini di culto, coppe e altri vasi gettati come offerta nei fiumi e
santuari all'aperto sorti presso le valli e le confluenze dei fiumi.
Fra le strutture pubbliche non manca l’anfiteatro in mattoni e terrapieno, andato distrutto nel 69
d.C. durante gli scontri tra Otone e Vitellio eretto, secondo Tacito205, fra le mura cittadine e il Po.
Mancano i resti di qualsivoglia centro termale, seppur tra le città italiane sia una delle tipologie
di edifici più comuni e ricorrenti.
Un’ampia varietà di mosaici, soprattutto bianchi e neri, resti di sectilia pavimentali e frammenti
di intonaci dipinti sottolineano l'ottimo livello economico raggiunto dalla città, come in gran
parte degli insediamenti dell'Italia settentrionale: la domus scoperta nel cortile della Scuola
Mazzini ha riportato alla luce un atrio tessellato nero a motivi cruciformi bianchi in serie
parallele mentre, nello stesso isolato, è stato rinvenuto un triclinio, seppur lacunoso, con motivi a
mosaico a grata integrati con elementi naturalistici stilizzati, organizzati attorno ad un tappeto
centrale.
La città venne precocemente dotata di un sistema fognario, conservando anche tracce di
condutture e impianti di riscaldamento.
Le necropoli sono sempre poste lungo le vie principali: la zona della via Postumia e del suburbio
occidentale è riservato ai personaggi facoltosi, il tratto della via Emilia, quello più popoloso, e
occupato per lo più da liberti.
Una sostanziale continuità lega la Piacenza romana a quella di età tardoantica; pur con inevitabili
mutamenti all’interno del tessuto urbano, la città gode di una relativa tranquillità, ma sarà ancora
teatro di importanti avvenimenti come l’uccisione di Oreste o la presa per fame della città da
parte del re ostrogoto Totila nel 546 d.C206.
Bibliografia
1) M. Marini Calvani, Piacenza, pp. 378-387.
205 Hist., II, 21.206 De bello goth., III, 13, 15, 16.
97
3.10.1 i testi epigrafici1)Regio antiqua: AemRegio nostrae aetatis: IUrbs antiqua: PlacentiaUrbs nostrae aetatis: PiacenzaLocus inventionis: Piacenza, ignoraturLocus adservationis: ignoratur, periitRerum inscriptarum distributio: tabulaRei materia: ignoraturStatus tituli: tit. integerScriptura: ignoraturLingua: latinaReligio: PaganaVersus: Titulorum distributio: honorariusVirorum distributio: ord. eq.; ord. mun.; collegia,flamenEditiones: CIL 11, 01230
Testo:Q(uinto) Albinio / Ouf(entina) / Secundino / Q(uinti) f(ilio) Q(uinti) nep(oti) Q(uinti) pron(epoti)/ Mestrio Aebutio / Tulliano eq(uiti) R(omano) eq(uo) p(ublico) / accens(o) Ve[l(eiatium?)]flam(ini) / divi Magn(i) Anton(ini) / IIvir(o) i(ure) d(icundo) m(unicipii) P(lacentini) cur(atori)r(ei) p(ublicae) / Parmens(ium) repunctori / splendid(orum) collegiorum / fabrum etcent(umvirorum) c(oloniae) A(ureliae?) F(elicis) M(ediolaniensis) / collegia s(upra) s(cripta)patrono
Commento:Epigrafe dedicata a Quinto Albinio Oufentina Secundino Mestrio Aebutio Tulliano, figlio di
Quinto, nipote di Quinto e pronipote di Quinto.
Oltre allo status di equiti Romano equo publico ricoprì cariche di accensus velatus e in seguito di
flamen divi Magni Antonini (Caracalla). Inoltre rivestì la carica di duoviro iure dicundo a
Piacenza e curator rei publicae a Parma e repunctori (forse da intendersi come revisore del
patrimonio collegiale) del collegio dei fabri e centonari della colonia Aureliae Felicis
Mediolaniensum.
Il dedicante: il patrono dei collegi sopra citati, i fabri e centonari.
Bibliografia
1) Di Stefano Manzella, 1994 p. 264.
99
CONCLUSIONI
La via Aemilia ebbe, sia in epoca romana sia in quelle successive, un’importanza fondamentale per
il territorio emiliano-romagnolo.
Il suo potenziale economico e sociale si può dire illimitato: se nacque, come altre strade consolari,
con funzioni militari diventando poi un limes, come afferma G. Brizzi in un suo studio207, un
confine invalicabile di un’area rimasta per lungo tempo bellicosa ed insidiosa per i Romani, ben
presto, cessate le ostilità, grazie alla sua dislocazione strategica divenne un vettore fondamentale
per i commerci tra le coste dell'Adriatico, l'Etruria, il Lazio e i valichi alpini.
La ricchezza e la fertilità della pianura padana alla base dell’intensa attività commerciale, permise
sia l'arricchimento di una sempre maggiore fascia della popolazione, sia la nascita di grandi e
potenti collegi professionali che, nonostante le fonti, sono stati ancora poco studiati e ancora meno
classificati.
Si viene così a sottolineare, ulteriormente, la disparità con quei commercianti operanti
singolarmente, che hanno invece lasciato un enorme numero di epigrafi e resti archeologici.
Ragioniamo, dunque, sui numeri: le iscrizioni che ho raccolto rappresentano la maggioranza delle
testimonianze lasciate -e a noi pervenute- dei collegi nelle grandi città della via Emilia. Il lavoro di
ricerca di un epigrafista è, tuttavia, ulteriormente reso difficoltoso dall'ambiguità con la quale queste
associazioni venivano definite: si veda, ad esempio, il caso incerto di una donna parmenese che
nell’iscrizione sepolcrale viene definita sodalia208, ma per la quale non è stata ancora fornita una
fisionomia certa e condivisa.
Durante la stesura di questo elaborato è apparsa subito visibile la grande disparità tra il numero di
attestazioni delle associazioni professionali e quello delle singole figure di persone impegnate in
diversi ambiti lavorativi: si prenda in esame il caso di Bononia, città che come poche in Italia ha
restituito un grande numero di iscrizioni relative ad artigiani e lavoratori. La motivazione specifica
di questa abbondanza sta nella fortunata coincidenza del riutilizzo delle epigrafi di una porzione
della necropoli occidentale della città per la costruzione del “muro del Reno”, risarcimento del
tracciato della via Emilia in età tardoantica209.
Dall'analisi di tali epigrafi è emerso un grande numero di persone di status libertino, spesso di
matrice straniera, indicanti talvolta anche il mestiere esercitato dal singolo; peculiare, quindi, a
fronte della menzione di un gran numero di “professionisti”, il quasi nullo riferimento alle
associazioni collegiali.
207 Brizzi 1987, pp. 27-72.208 CIL XI, 1096.209 G. Susini, Il lapidario greco e romano di Bologna, Bologna,1960, pp. 111-113.
100
Mancherebbero da analizzare le città di Ravenna e Sassina (Sarsina) che per mantenere organicità
all'elaborato ho preferito tralasciare ma delle quali faccio un breve accenno: la prima reca numerose
iscrizioni utili alla comprensione dell'organizzazione gerarchica dei collegia, come quella di M.
Caesius Eutyches, decurione della XVII decuria del collegio dei centonari del municipio di
Ravenna210. Sarsina, invece, conserva un consistente numero di iscrizioni riferite ai collegia,
soprattutto se confrontate con i centri della regio VIII, ed in particolare riferite ai centonari211.
Dalle epigrafi raccolte, seppur conservatesi in numero esiguo, notiamo che i collegi più comuni
rimangono quelli dei fabri (con 11 riferimenti) e dei centonari (10), seguiti da dendrophori (5) e da
associazioni specifiche, come il collegio harenariorum nell'epigrafe dei negotiantes lanarii di
Mutina212, e il sodalicium lanariorum carminator di Brixillum213; sono poi presenti due riferimenti a
collegi non meglio identificati: è il caso di Ariminum214 e Bologna215.
Quello dei collegi è un argomento ancora poco studiato e sviluppato da parte degli studiosi che
preferiscono analizzare, proprio per la vastità dell'argomento, singoli aspetti di queste associazioni,
ricostruendo magari la storia politica o le disposizioni giuridiche, privilegiando la componente
sociale o religiosa oppure concentrandosi su una zona precisa o un insieme di città particolari.
Proprio quest'ultimo è stato il criterio da me scelto per questa breve trattazione, nei limiti delle
conoscenze da me accumulate, per creare una linea guida sulla quale poter basare un lavoro ben più
completo ed organico.
210 CIL XI, 125.211 CIL XI, 6515, 6520, 6523, 6525-6527, 6529, 6533, 6534.212 CIL XI, 862.213 CIL XI, 1031.214 CIL XI 381.215 CIL XI 715.
101
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Abbreviazioni Bibliografiche
AE: L'Année Epigraphique.
ANRW: Auftieg und Niedergang der römischen Welt.
Bcom: Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma.
BGU: Aegypthisce Urkunden aus den staatlichen Museen zu Berlin.
CIL: Corpus Iscriptionum Latinarum.
IGR: Inscriptiones Graecae ad Res Romanas Pertinentes.
IK: Inschriften griechicher Städte aus Kleinasien.
Plond: Greek Papyri in the British Museum.
Pmich: Michigan Papyri.
Poxy: Oxyrhynchus Papyri.
TAM: Tituli Asiae Minoris.
Sitografia
Imagnesia 144 = http://epigraphy.packhum.org/inscriptions/main?url =oi%3Fikey%3D260555%26region%3D8
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