Danno da nascita indesiderata e danno da perdita della vita

22
| estratto DANNO DA NASCITA E DANNO DA MORTE: DUE SENTENZE A CONFRONTO di Francesco Paolo Patti ISSN 0391-187X

Transcript of Danno da nascita indesiderata e danno da perdita della vita

| estratto

D A N N O D A N A S C I T A E D A N N O D A M O R T E : D U E S E N T E N Z E AC O N F R O N T O

di Francesco Paolo Patti

ISSN

039

1-18

7X

81 DANNO DA NASCITA E DANNO DA MORTE: DUE SENTENZE

A CONFRONTO

di Francesco Paolo Patti – Dottorando in diritto privato europeo

Due revirements della Suprema Corte in tema di « nascita malformata » e « perdita della vita » hannodi recente ampliato l’area del danno risarcibile. Il confronto tra le pronunce che affrontano situa-zioni speculari si profila particolarmente interessante con riguardo alle questioni del numero deisoggetti danneggiati (la vittima e i suoi congiunti) e della funzione del risarcimento del danno nonpatrimoniale, la quale nei due casi non sembra coincidere.

Two revirements of the Supreme Court relating to « wrongful birth » and « loss of life » have recently expanded the

scope of recoverable damages. The comparison between the decisions who face specular situations is particularly

interesting with regard to the issues concerning the number of injured people (the victim and his relatives) and the

function of non-pecuniary damages, which does not seem coincident in the two cases.

Sommario 1. Due sentenze che ampliano l’area del danno risarcibile. — 2. Le soluzioni delle SezioniUnite e gli elementi costitutivi dell’illecito. — 3. Il danno da « nascita malformata ». — 4. Il danno da« perdita della vita ». — 5. Gli altri soggetti danneggiati. — 6. Sulla natura « punitiva » delle fattispecierisarcitorie.

1. DUE SENTENZE CHE AMPLIANO L’AREA DEL DANNO RISAR-CIBILELo scopo di questo scritto è mettere a confronto due recenti interventi della Suprema Cortein materia di danno da nascita indesiderata e di danno da perdita della vita con consolidatiorientamenti della giurisprudenza di legittimità e, in particolare, con quello posto dalleSezioni Unite del 2008 che, nell’affrontare diverse questioni di fondo riguardanti il risarci-mento del danno non patrimoniale, costituisce il principale referente per valutare in puntodi diritto la tenuta argomentativa delle due innovative decisioni (1).

Il decisum delle due dibattute sentenze, che altresì esaminano in modo approfonditodiverse questioni connesse al risarcimento del danno non patrimoniale, può essere sinte-tizzato, per ciò che qui interessa, nei termini che seguono: Cass. n. 16754/2012 ha ricono-sciuto al nato il diritto al risarcimento del danno da nascita «malformata», originatosi nelmomento del concepimento, a causa dell’omessa o errata diagnosi prenatale (2); Cass. n.1361/2014 ha affermato la risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita della vita,quale danno altro e diverso dal danno alla salute, specificando che il diritto al ristoro si

(1) Sez. Un. civ, 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it., 2009, I, 120 ss.(2) Cass. civ., 2 ottobre 2012, n. 16754, in questa Rivista, 2013, 124, con nota di GORGONI; in Foro it., 2013, I, 181 ss.

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 6 4 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

acquisisce istantaneamente al momento della lesione mortale e il relativo diritto è trasmis-sibile iure hereditatis (3).

Entrambe le sentenze segnano significativi revirements rispetto alla giurisprudenzaprecedente e, riconoscendo tutela risarcitoria in situazioni che fino a questo momento neerano prive, si inseriscono nel quadro di un indirizzo volto a estendere progressivamentel’area del danno risarcibile (4). La scelta di trattare insieme alcuni profili delle due decisioniriposa sull’interesse dato dal confronto di due situazioni speculari, l’inizio della vita e la suaperdita, considerate come danni non patrimoniali da risarcire. Inoltre, entrambe le pro-nunce sollevano interrogativi simili in merito al rapporto tra il risarcimento del dannosubito dal soggetto leso e quello subito dai suoi congiunti, nonché più in generale sullafunzione svolta dal risarcimento nei casi in esame, spesso ritenuta punitiva o simbolica.

Il riconoscimento della tutela risarcitoria in fattispecie indubbiamente eccentriche ri-spetto a quelle normalmente poste all’attenzione degli interpreti richiede necessariamenteun «adattamento», se non un «superamento», di alcune soluzioni alle quali è pervenuta lagiurisprudenza. Infatti, in merito alle questioni in esame, è sufficiente constatare, in via diprima approssimazione, che, nel caso della nascita «malformata», la condotta lesiva risalea un momento in cui il soggetto non è ancora nato, in quello della perdita della vitaconsiderata quale evento di danno, il soggetto «danneggiato», essendo deceduto, non puòavvertire le «conseguenze» dannose.

La delicatezza delle problematiche affrontate emerge dalle motivazioni, in cui gli esten-sori attraverso un mirabile sforzo ricostruttivo, ricorrendo ai principi che regolano la ma-teria, pervengono alla soluzione ritenuta più giusta e maggiormente confacente al sentiresociale, la quale innegabilmente, mettendo da parte alcuni ostacoli di ordine dogmatico,favorisce il danneggiato e i suoi congiunti. Le sentenze, rispettivamente lunghe settantaseie centodieci pagine di dattiloscritto, si connotano tuttavia per uno stile argomentativo moltodiverso. La prima, quella sul danno da nascita indesiderata, contiene talvolta disquisizionidi ordine filosofico o riconducibili alla teoria generale e si caratterizza per un linguaggio«dottorale» (5); la seconda, quella sul danno da perdita della vita, attraverso il richiamo a unenorme numero di precedenti giurisprudenziali, offre un quadro esaustivo degli orienta-

(3) Cass. civ., 23 gennaio 2014, n. 1361, in questa Rivista, 2014, 493, con nota d BIANCA, La tutela risarcitoria deldiritto alla vita: una parola nuova della Cassazione attesa da tempo; in Foro it., 2014, I, 719 ss.

(4) Il problema della c.d. nascita indesiderata, in virtù del progresso scientifico, solo di recente si è postoall’attenzione della giurisprudenza e il revirement operato da Cass. civ. n. 16754/2012 modifica un indirizzorisalente al 2009. Cass. civ. n. 1361/2014 affronta invece un problema «antico», modificando un orientamentogiurisprudenziale che, sebbene rinvigorito in tempi recenti da un intervento della Corte costituzionale del 1994,nella sua prima applicazione, a quanto consta, risale al 1925. La questione del danno da morte, alla luce delcontrasto giurisprudenziale sollevato, è stata rimessa alle Sezioni Unite da Cass. civ., 4 marzo 2014, n. 5056 (ord.),in questa Rivista, 2014, 490; in Foro it., 2014, I, 719 ss. L’affermazione dei due nuovi fatti produttivi di dannorisarcibile sembra fare perno, nel primo caso, sul progresso scientifico che ha dato vita a nuove occasioni di danno,nel secondo, su un mutamento del sentire sociale. In merito alla progressiva estensione dell’area del dannorisarcibile sono ancora attuali le riflessioni di RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, rist.1967, 16 ss.

(5) Sul punto, cfr. BUSNELLI, Verso una giurisprudenza che si fa dottrina. Considerazioni in margine alrevirement della Cassazione sul danno da c.d. « nascita malformata », in Riv. dir. civ., 2013, 1519 ss., spec. 1528,il quale indipendentemente dalle soluzioni giuridiche adottate, reputa la sentenza sulla nascita indesiderata«troppo “dotta” per un semplice esercizio di interpretazione e applicazione del diritto positivo; troppo impegnatanel salvaguardare la purezza del “tempo della costruzione (e della finzione) giuridica” per consentirsi di lasciarespazio a “una specifica visione e dimensione etica delle vicende umane”, eventualmente — perché no? — “per-

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 6 5 ⎪

menti giurisprudenziali in tema di danno non patrimoniale e dà conto, con riguardo all’og-getto specifico della controversia, delle principali opinioni dottrinali esistenti in materia (6).

Le dense motivazioni confermano che la materia del risarcimento del danno non patri-moniale si profila plasmata in modo crescente dalla giurisprudenza e non è possibilericostruirne la disciplina senza tenere conto del «diritto vivente» posto dagli indirizziemersi negli ultimi anni, soprattutto ad opera delle Sezioni Unite (7). Le sentenze sui dannida nascita «malformata» e da «perdita della vita» non possono quindi che essere esami-nate alla luce degli orientamenti giurisprudenziali in tema di danno non patrimoniale.

2. LE SOLUZIONI DELLE SEZIONI UNITE E GLI ELEMENTI CO-STITUTIVI DELL’ILLECITOCon l’intervento del 2008 la Sezioni Unite hanno affermato che l’art. 2059 c.c. «non delineauna distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente lariparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presup-posto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, che siricavano dall’art. 2043 c.c.», i quali secondo la ricostruzione della Suprema Corte sono lacondotta, il nesso causale tra condotta ed evento dannoso (connotato quest’ultimo dall’in-giustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela) e ildanno che ne consegue (il c.d. danno-conseguenza).

L’elemento discretivo tra il risarcimento del danno non patrimoniale e quello patrimo-niale concerne l’evento dannoso, ossia la lesione dell’interesse protetto, in quanto il secon-do è connotato da atipicità, mentre il primo da tipicità, perché tale danno, ancora secondol’interpretazione accolta dalle Sezioni Unite, è risarcibile solo nei casi determinati dallalegge e ove siano lesi diritti inviolabili della persona.

Ne consegue che la risarcibilità del danno non patrimoniale «postula, sul piano dell’in-giustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno». Tale«selezione» avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in viadi interpretazione da parte del giudice, chiamato a individuare la sussistenza, alla streguadella Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona «necessariamente pre-sidiato dalla minima tutela risarcitoria».

Tra gli esempi addotti dalle Sezioni Unite di diritti individuali la cui lesione determinal’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale, si segnalano la violazione del diritto allasalute (art. 32 Cost.) e dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.). La Corte precisa che la

corsa da aneliti giusnaturalistici”» (riprendendo testualmente tra virgolette alcune delle espressioni utilizzatenella motivazione); ID., Azioni risarcitorie e “principi giurisprudenziali”, in Contratto impr., 2014, 8 ss.

(6) Sulla struttura della sentenza, sul numero dei precedenti da essa richiamati e sul numero di principi da essaaffermati, cfr. le considerazioni di PARDOLESI, in Foro it., 2014, I, 759 s., il quale, tenuto conto dell’orientamentoprecedente che per circa novanta anni ha negato la risarcibilità del danno da morte e la volontà dell’estensore dicompiere un «censimento» della giurisprudenza, reputa il revirement una impresa eroica.

(7) Si può ricordare l’autorevole insegnamento di MENGONI, Il « diritto vivente » come categoria ermeneutica,in ID., Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, 151: «negli ordinamenti di civil law il precedentecostituito dalla giurisprudenza consolidata non ha la qualità di fonte del diritto, ma nemmeno una mera autorità difatto (o morale). In quanto si è formato sulla base di una valutazione intersoggettiva, che ne ha riconosciuto lacoerenza col sistema giuridico e quindi l’universalizzabilità, esso ottiene un’autorità istituzionale che lo introducenei processi di concretizzazione del diritto come argomento ab auctoritate di grande peso ancorché non vinco-lante».

d o t t r i n a

8 1 D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 6 6 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciutidalla Costituzione nel presente momento storico, ma in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost. aun processo evolutivo, deve ritenersi consentito al giudice di rinvenire nel sistema costitu-zionale «indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà socialesiano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenen-do a posizioni inviolabili della persona umana».

Venendo all’esame delle sentenze, occorre osservare che le Sezioni Unite non indicanouna soluzione per i due casi. Non è presente nessun riferimento alle problematiche riguar-danti il danno da nascita indesiderata; mentre per quanto riguarda il danno da perdita dellavita, rilevata l’inesistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, i giudici si limitanoa fare il punto in merito all’orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimi-tà (8).

I precedenti del 2008 sono tuttavia presi in considerazione dalle pronunce in commento:da un lato, Cass. n. 16754/2012 si propone espressamente di analizzare «tutti gli elementidella fattispecie concreta onde inferirne la legittima riconducibilità alla fattispecie astrattadell’illecito aquiliano in tutti i suoi elementi di struttura così come descritti dall’art. 2043c.c.»; dall’altro lato, Cass. n. 1361/2014, posto che i residui elementi dell’illecito non presen-tano risvolti problematici, si sofferma soprattutto sul binomio «danno evento»/«dannoconseguenza» e sull’affermazione delle Sezioni Unite, secondo cui solamente il dannoconseguenza è risarcibile e non anche il danno evento.

Le ragioni di interesse legate a Cass. n. 16754/2012 attengono a ogni elemento dell’ille-cito: le argomentazioni relative alla condotta lesiva, al nesso di causalità e al danno ingiustonella lettura della Suprema Corte denotano tratti di originalità. In questa sede, ci si occu-perà precipuamente del danno ingiusto, ma per esigenze di completezza devono ricordarsi,sia pure brevemente, gli elementi della condotta lesiva e del nesso di causalità individuatidalla sentenza da ultimo citata, i quali invece non meritano approfondimento con riguardoalla fattispecie decisa da Cass. n. 1361/2014, in cui la condotta lesiva e il nesso di causalità siinseriscono nella diffusa fattispecie del sinistro stradale causalmente collegato a una con-dotta colposa.

Nel caso del danno da nascita «malformata», la condotta colposa del medico, che haomesso di informare correttamente la paziente, si manifesta «sotto il duplice profilo dellanon sufficiente attendibilità del test in presenza di una esplicita richiesta di informazionifinalizzate, se del caso, all’interruzione della gravidanza da parte della gestante, e dal difettodi informazioni circa la gamma complessiva delle possibili indagini e dei rischi ad essacorrelati». In altri termini, il medico non ha informato in modo esaustivo la gestante suglistrumenti per verificare se il concepito fosse portatore di patologie e ha omesso di disporrela diagnosi necessaria.

L’aspetto innovativo attiene alla circostanza che il danneggiato, non essendo ancoraconsiderato «soggetto di diritto», bensì mero «oggetto di tutela», da un punto di vistagiuridico, non è un centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive nel momento incui il medico pone in essere la condotta lesiva. Il problema è risolto ascrivendo la fattispecie

(8) Diversamente, POLETTI, La dualità del sistema risarcitorio e l’unicità della categoria dei danni nonpatrimoniali, in questa Rivista, 2009, 92, la quale ritiene che la risposta delle Sezioni Unite, con riguardo allaconfigurabilità del risarcimento del danno da perdita della vita, sia stata « implicitamente» negativa.

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 6 7 ⎪

risarcitoria alla c.d. categoria dei danni futuri, definiti, in modo difforme rispetto alla no-zione diffusamente accolta (9), come i danni «che al tempo della consumazione della con-dotta illecita non si sono ancora (o non si sono del tutto) prodotti pur in presenza di elementipresuntivi idonei a ritenere che il pregiudizio si produrrà». Il danno si verificherà soltantoal momento della nascita, anche se la condotta lesiva, consistente nell’omessa diagnosi, èavvenuta in un momento precedente (10). In questo modo, la sentenza supera sul punto ilprecedente giurisprudenziale che aveva riconosciuto la soggettività giuridica del nascitu-ro (11): la scelta dei giudici, in contrasto con il noto dettato normativo della l. n. 40/2004, nonè peraltro andata esente da vivaci critiche (12).

La soluzione della Suprema Corte, che può ritenersi soddisfacente a prescindere dalproblema della soggettività dell’embrione, era stata seguita, in un caso di danno da procre-azione da una risalente sentenza del Tribunale federale tedesco, in cui si è affermato chenon rileva la mancanza di una persona fisica (danneggiata) al momento dell’illecito, inquanto oggetto della controversia non è il danno di un feto o di un non concepito, ma è ildanno sofferto per essere nato malato (13).

Anche la questione del nesso di causalità offre notevoli spunti di riflessione. La nascita«malformata», intesa come evento di danno nei termini che verranno descritti nel prossimo

(9) Per danni futuri si intendono generalmente «quei danni di cui si prevede con ragionevole certezza ilverificarsi in un tempo successivo alla domanda di risarcimento»: così BIANCA, Diritto civile, 5, La responsabilità2,Milano, 2012, 178. Nello stesso senso, già R. SCOGNAMIGLIO, voce Risarcimento del danno, in Noviss. Dig. it., XVI,1969, 17. Pertanto, la definizione comunemente accolta non riguarda i danni verificatisi in un momento successivorispetto alla consumazione della condotta. A ben vedere, tutti i danni si producono dopo la consumazione dellacondotta. Il dato rilevante, nel caso di specie, è che, nel momento in cui il danneggiante pone in essere la condottaillecita, al danneggiato non possono (ancora) essere imputate situazioni giuridiche soggettive.

(10) La sentenza richiama Cass. civ., 3 maggio 2011, n. 9700, in Danno resp., 2011, 1168 ss., con nota di GALATI,Uccisione del padre e danno al nascituro; in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 1270 ss., con nota di PALMERINI, Ilconcepito e il danno non patrimoniale; in Corr. giur., 2012, 382 ss., con nota di SUPPA, Risarcimento del dannoanche al concepito nato dopo la morte del padre nell’incidente stradale, secondo cui anche il soggetto nato dopola morte del padre naturale, verificatasi per fatto illecito di un terzo durante la gestazione, ha diritto nei confrontidel responsabile al risarcimento del danno per la perdita del relativo rapporto e per i pregiudizi di natura nonpatrimoniale e patrimoniale che gli siano derivati.

(11) Cfr. Cass. civ., 11 maggio 2009, n. 10741, in Foro it., 2010, I, 141 ss., con nota di BITETTO, Fecondazioneassistita, malformazioni fetali e ristoro del bebé prejudice; in Danno resp., 2010, 144 ss., con nota di DI CIOMMO,Giurisprudenza normativa e « diritto a non nascere se non sano ». La Corte di cassazione in vena di revirement;in questa Rivista, 2009, 2075 ss., con nota di GORGONI, Nascituro e responsabilità sanitaria; in Nuova giur. civ.comm., 2009, I, 1268 ss., con nota di CRICENTI, Il concepito soggetto di diritto ed i limiti dell’interpretazione; in Dir.fam., 2009, 118 ss., con nota di BALLARANI, La Cassazione riconosce la soggettività giuridica del concepito: indaginesui precedenti dottrinali per una lettura « integrata » dell’art. 1 c.c., secondo cui, stanti la soggettività giuridica —entro determinati limiti — del concepito e il suo diritto a nascere, nei confronti di questo e dei suoi genitoririspondono per i danni, patrimoniali e non, connessi a rilevanti patologie del feto, i sanitari che abbiano mancatodi informare la madre (il cui rapporto con i medici produce effetti protettivi nei confronti del nascituro) deiprobabili rischi connessi all’assunzione di farmaci per facilitare il concepimento, quando tali sostanze abbianodeterminato l’insorgenza di gravi malformazioni del nascituro.

(12) Cfr. BUSNELLI, Verso una giurisprudenza che si fa dottrina. cit., 1524: « la trasformazione di quello che illegislatore ha qualificato come “soggetto” in quello che la giurisprudenza definisce espressamente “oggetto”assume aspetti davvero inquietanti di “creatività” giurisprudenziale». Tra i lavori monografici in argomento, siapure con riguardo alla situazione antecedente all’intervento del 2012, cfr., da ultimo, VALONGO, Il concepito comesoggetto dell’ordinamento. Tra procreazione naturale e procreazione assistita, Perugia, 2011, passim.

(13) Cfr. BGH, 20 dicembre 1952, in JZ, 1953, 307 ss., da cui muove il noto saggio di RESCIGNO, Il danno daprocreazione, in Riv. dir. civ., 1956, 614 ss. Nella specie, la patologia del nato era stata causata dalla condottanegligente di un dipendente dell’ospedale nel praticare una trasfusione di sangue alla madre.

d o t t r i n a

8 1 D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 6 8 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

paragrafo, appare alla Suprema Corte «senz’altro riconducibile, secondo un giudizio pro-gnostico ex post, all’omissione, una volta che una condotta diligente e incolpevole avrebbeconsentito alla donna di esercitare il suo diritto all’aborto». Si afferma così una «equipara-zione quoad effecta» tra la fattispecie dell’errore medico che non abbia evitato l’handicapevitabile ovvero che tale handicap abbia cagionato e l’errore medico che non abbia evitatola nascita «malformata» (14). Sotto il profilo probatorio, in presenza della malformazione, ildescritto nesso eziologico è presumibile in virtù della richiesta di accertamento diagnosticoavanzata dalla madre nei confronti del medico, dalla quale può inferirsi che la conoscenzadelle anomalie del feto avrebbe indotto quest’ultima a interrompere la gravidanza, mentredeve dirsi esistente ove ricorra una espressa e inequivoca dichiarazione, da parte dellamadre, della volontà di interrompere la gravidanza nel caso in cui dalla diagnosi risulti unamalattia del feto (15).

3. IL DANNO DA «NASCITA MALFORMATA»Cass. n. 16754/2012 afferma che il danno subito dal nato è costituito «dalla individuazionedi sintesi della “nascita malformata”, intesa come condizione dinamica dell’esistenza rife-rita ad un soggetto di diritto attualmente esistente». Nonostante il tentativo di ancorare ilrisarcimento a un evento di danno descritto in modo analitico e presentato come un pre-giudizio diverso sia dalla nascita sia dall’handicap in sé considerati, tenuto conto chel’evento di danno nell’immaginario comune costituisce un accadimento che avviene in unmomento conseguente alla condotta illecita (nella specie, come si è detto, il difetto diinformazione e l’omessa diagnosi), si ha l’impressione che nel caso di specie l’«evento didanno» possa soltanto essere rinvenuto nella nascita (16).

Aderendo all’impostazione delle sentenze di «San Martino», per configurare una fatti-specie di danno non patrimoniale risarcibile, tale evento dovrebbe integrare la violazione diun diritto della persona di rango costituzionale. Pur apparendo paradossale, per i motiviche verranno esposti, porre la questione nei termini che seguono, Cass. n. 16754/2012omette di indicare quale è il diritto leso dalla nascita, mentre sebbene — a rigore —l’elemento non figuri tra quelli individuati dalle Sezioni Unite, concentra l’esame sulladiversa questione relativa alle norme costituzionali su cui trova «il suo fondamento» ladomanda risarcitoria avanzata dal bambino disabile.

(14) Afferma che «la malformazione non è conseguenza dell’omissione, bensì di un presupposto di naturagenetica, rispetto al quale la condotta del sanitario è muta sul piano della rilevanza eziologica naturalistica»,MONATERI, Il danno al nascituro e la lesione della maternità cosciente e responsabile, in Corr. giur., 2013, 63. Insenso critico, v. PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile: il ripensamento della cassazione, in Nuovagiur. civ. comm., 2013, 204, la quale manifesta « l’impressione che sia accantonato, con un salto logico che non cisi cura di dissimulare, l’elemento della causalità giuridica».

(15) Sulla prova del nesso eziologico nei casi di nascita « indesiderata», anche in merito agli sviluppi giurispru-denziali successivi a Cass. civ. n. 16754/2012, v. PUCELLA, Legittimazione all’interruzione di gravidanza, nascita« indesiderata » e prova del danno (alcune considerazioni in merito a Cass. civ., 22.3.2013, n. 7269), in Nuovagiur. civ. comm., 2013, II, 653 ss.; TRECCANI, Richiesta di accertamento diagnostico e onere della prova: i primi puntifermi della Corte di cassazione, in Danno resp., 2013, 1076 ss.

(16) Quanto alla descrizione dell’evento di danno, se posti a confronto con l’articolata formulazione di Cass. civ.n. 16754/2012, sorprendono per la semplicità gli esempi addotti da GORLA, Sulla cosiddetta causalità giuridica:« fatto dannoso e conseguenze », in Riv. dir. comm., 1951, I, 413, il quale menziona eventi naturalistici agevolmenteidentificabili, come la ferita, la morte, ecc.

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 6 9 ⎪

Nella parte della sentenza intitolata «[l]’interesse tutelato» la Suprema Corte manifestail convincimento che la domanda risarcitoria del bambino sia fondata sugli artt. 2, 3, 29, 30,31 e 32 della Costituzione. Il pregiudizio alla salute del minore risiederebbe non nella«malformazione in sé considerata» o nell’«infermità intesa in senso naturalistico», bensìnella «condizione evolutiva della vita handicappata intesa come proiezione dinamica del-l’esistenza che non è semplice somma algebrica della vita e dell’handicap, ma sintesi di vitaed handicap, sintesi generatrice di una vita handicappata» (17). Successivamente si descri-vono nel dettaglio le ragioni per cui si assumono violate le altre norme costituzionali: l’art.2, alla luce della limitazione del minore allo svolgimento della propria personalità sia comesingolo, sia nelle formazioni sociali; l’art. 3, poiché «si renderà sempre più evidente lalimitazione al pieno sviluppo della persona»; gli artt. 29, 30 e 31 poiché la dimensionefamiliare «alterata» dal nuovo arrivo impedisce o rende più ardua la concreta e costanteattuazione dei diritti e dei doveri.

A molti commentatori non è sembrata condivisibile la scelta di trattare la nascita allastregua di un evento di danno. Affinché vi sia un danno è necessaria una «diminuzione» o«una perdita», ossia un fatto che determini un peggioramento nella condizione del sogget-to (18). Nel caso di specie, anche senza ricorrere alla controversa figura del diritto «a nonnascere se non sani», salvo considerare la condizione della persona mai nata migliore diquella nata malformata, la condotta omissiva del medico non ha determinato nocumento albambino, purtroppo già portatore della sindrome di Down. La situazione è molto diversarispetto a quella decisa dal noto precedente del 2009, dove la gestante non era stata infor-mata sui probabili rischi connessi all’assunzione di farmaci per facilitare il concepimento,ed effettivamente le sostanze assunte, a seguito della condotta negligente dei sanitari,avevano determinato l’insorgenza di gravi malformazioni del nascituro (19), o l’ulterioreipotizzabile evenienza che la patologia del nascituro, correttamente diagnosticata, potesseessere alleviata o guarita. Al di là della scelta di considerare il nascituro «soggetto di diritti»od «oggetto di tutela», anche se la madre fosse stata correttamente informata sul ventagliodi diagnosi prenatali disponibili, la condizione cromosomica del nascituro non sarebbestata modificata (20). In definitiva, pur volendo ascrivere la fattispecie alla categoria deidanni futuri (con il significato individuato nella sentenza), ammettendo la possibilità che

(17) Nel senso che, in caso di omessa diagnosi di malformazioni, l’unica via percorribile per riconoscere ilrisarcimento del danno al nato è ipotizzare un danno «esistenziale» subito da quest’ultimo, collegato al mancatoesercizio del diritto di autodeterminazione della madre, v. già DI MAJO, Mezzi e risultato nelle prestazioni mediche:una storia infinita, in Corr. giur., 2005, 41, secondo cui tuttavia il danno «non troverebbe supporto neppure negliinteressi costituzionalmente protetti».

(18) Cfr. la definizione di danno, inteso come «fatto fisico», di DE CUPIS, voce Danno (dir. vig.), in Enc. dir., XI,Milano, 1962, 622: «Danno significa nocumento o pregiudizio, vale a dire annientamento o alterazione di una cosafavorevole; le forze naturali come l’opera dell’uomo, come possono creare o incrementare una situazione favore-vole, così possono distruggerla o menomarla».

(19) Cass. civ., 11 maggio 2009, n. 10741, cit.(20) Dalla motivazione della sentenza n. 16754/2012 traspare in modo evidente che il Collegio è consapevole

degli indicati problemi ricostruttivi. La Suprema Corte ritiene tuttavia di risolverli attraverso la descrizionedell’evento di danno nei termini della suddetta «condizione evolutiva della vita handicappata», che sarebbediversa dalla mera nascita e dal mero handicap, i quali considerati singolarmente non sarebbero danni. Come sivedrà a breve, gli «elementi sintomatici» della «sintesi dinamica» che, secondo i giudici di legittimità, costitui-scono l’evento di danno sembrano fatti della vita di un soggetto portatore di handicap, comunque non riconducibilialla condotta omissiva del medico.

d o t t r i n a

8 1 D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 7 0 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

l’evento dannoso si manifesti in un momento successivo alla condotta, allorché il danneg-giato diviene «soggetto di diritti», non è sembrato che la condotta del medico abbia causatoal bambino un danno ingiusto (21).

In questa prospettiva, i fatti che secondo la Suprema Corte integrerebbero violazioni deiprincipi costituzionali non sono eventi di danno, bensì, per dirla con le parole di RonaldLaing, «fatti della vita», che spesso, purtroppo, caratterizzano l’esistenza del soggettomalformato. Fatti della vita — nel caso di specie, non prodotti da un danno ingiusto — cheovviamente non riguardano soltanto il bambino affetto da sindrome di Down, la cui altera-zione cromosomica non sia stata accertata a causa di un comportamento negligente delmedico, ma con minore o maggiore intensità possono coinvolgere ogni persona disabile (22).

Secondo una diversa lettura della sentenza il danno risarcibile «non è costituito dalladifferenza che in ipotesi passa tra il nascere malato ed il non nascere affatto», ma soltantodalla «malattia» del nato (23). Posto che la «malattia» da un punto di vista naturalistico nonè stata causata dalla condotta del medico, si ritiene che «ciò che conta in questi giudizi dicausalità» sarebbe «il nesso giuridico che lega, a prescindere dal dato biologico, la condottacolpevole del medico al pregiudizio risentito dal minore, ossia l’omessa diagnosi con la

(21) Cfr. CARUSI, Revirement in alto mare: il « danno da procreazione » si « propaga » al procreato?, in Giur. it.,2013, 809, secondo cui l’illecito del medico «non ha mutato le prospettive del concepito dal nascer sano al nascer“malformato” (o dal nascere in un ambiente familiare sereno al nascere in un ambiente familiare turbato), ma haconcorso nella catena di eventi che ha portato il bambino a nascere “malformato” (e in un ambiente scosso)piuttosto che a non nascere; e l’interesse a non venire in vita rimane enigmatico, inesperibile, incommensurabile:un interesse la cui prospettazione, prima ancora d’ogni disquisizione in termini di ingiustizia, mette “in scacco” ilconcetto di danno». Nel senso che il predicato del «danno ingiusto» costituisce il punctum dolens della motiva-zione, v. PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile: il ripensamento della Cassazione, cit., 202 ss.Afferma che «quand’anche si renda colui che nasce “un soggetto senza passato”, il danno che si vuole ristorare nonemerge da una comparazione di una vita normale [...] con una vita da disabile, bensì tra quest’ultima e lanon-vita», MUCCIOLI, Diagnosi prenatale inesatta e responsabilità del medico, in Contratti, 2013, 585. Nel sensoche la condizione dell’«essere» e quella del «non essere» sono incomparabili, CACACE, Il giudice “rottamatore” el’enfant préjudice, in Danno resp., 2013, 160; MASTRORILLI, To be or not to be: comparare l’incomparabile, ivi, 493.

Cass. civ., 11 maggio 2009, n. 10741, cit.(22) Nella specie, anche la circostanza che «il bambino, venuto ad esistenza, non ha trovato, o non ha potuto

trovare, un ambiente familiare e sociale, ed in particolare una madre, in condizioni di accudirlo come sarebbe statonel caso la sua nascita fosse stata la conseguenza di una scelta ponderata» (identificata come danno risarcibile daDI CIOMMO, Giurisprudenza normativa, cit., 151 ss., e, sia pure non esattamente negli stessi termini, dalla sentenzain esame, nonché da MUCCIOLI, Diagnosi prenatale inesatta e responsabilità del medico, cit., 592 s.) sembradifficilmente configurabile alla stregua di un danno ingiusto in capo al nato, in quanto corrisponde ad una meraeventualità, sotto il piano causale ardua da accertare, il fatto che la mancata ponderazione determini un «ambientefamiliare e sociale» peggiore rispetto a quello in cui il bambino si troverebbe ove la malformazione fosse cono-sciuta e la nascita frutto di una scelta ponderata. Non può esservi alcuna certezza in ordine alla reazione dellamadre che ha conosciuto la patologia del nascituro: ad esempio, non è escluso che la conoscenza, pur noninducendo la donna ad abortire, a causa di un pressante sentimento di rimorso, determini una situazione addirit-tura peggiore rispetto a quella della nascita a seguito di omessa diagnosi. E, allo stesso tempo, nulla esclude che,pur al cospetto di una scelta ponderata da parte della madre, l’esperienza ignota della nascita del soggettomalformato determini nel nucleo familiare una situazione di disagio identica a quella scaturente dalla omessadiagnosi.

(23) Così CRICENTI, Il concepito ed il diritto di non nascere, in Giur. it., 2013, 818, secondo cui « l’azione delminore non è la richiesta di una risposta ad una questione di ontologia radicale: è meglio nascere malato che nonnascere affatto. È un’azione di responsabilità civile che mira al risarcimento dell’unico danno possibile, quelloconsistente nel fatto di essere nato malato, e dunque della malattia. È un’azione di risarcimento del danno allasalute, piuttosto che una recriminazione per il fatto di essere nati».

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 7 1 ⎪

malattia del bambino» (24). Ammettendo che il danno da prendere in considerazione è lamera malattia e accogliendo l’idea dell’esistenza di una dimensione giuridica della causa-lità, il giudizio controfattuale potrebbe essere compiuto in questi termini: il medico è causadella malattia poiché un suo diligente operato avrebbe evitato il danno (la malattia), sia pureattraverso l’aborto (25).

Ad avviso di chi scrive, la malattia non può essere trattata come un evento di danno. Loschema della causalità omissiva, ben noto al fautore della tesi appena descritta (26), postulal’esistenza di un obbligo di agire idoneo a evitare l’evento o quantomeno il rischio specificoche questo si verifichi. La corretta diagnosi del feto avrebbe sì contribuito alla scelta diabortire, ma non avrebbe potuto eliminare la malattia, e, come è spiegato nell’altra sentenzain commento, la salute è cosa ben diversa rispetto alla vita. Anche ricorrendo all’artificio del«nesso giuridico», affermare che l’aborto avrebbe evitato la malattia costituisce un saltologico: nella sequenza causale l’aborto ha l’effetto di evitare la nascita, ma non la malattiache preesiste ad essa. In altri termini, l’omissione è causa del mancato aborto e non dellamalattia, la quale non costituisce un evento imputabile al medico (27). Del resto la stessasentenza, pur rimarcando la condizione di infermità del nato, non manca di considerare lanascita nell’individuare l’evento di danno.

Giova a questo punto riportare il pensiero dell’estensore della sentenza, manifestato inuno scritto sul tema del nesso di causa, in cui, mettendo in luce lo spirito che ha guidato laSuprema Corte nel decidere il caso, si afferma che sebbene i passaggi della motivazione«non sempre conseguono l’intento di offrire alla delicatissima questione una risposta de-finitiva e coerente, un dato, peraltro, ne emerge con chiarezza cristallina. I giudici dilegittimità hanno scelto di adottare una ipotesi di causalità. Ancor prima che una regola oun criterio» (28).

Posto che il riconoscimento del risarcimento del danno al nato costituisce una vera epropria scelta «politica» dei giudici di legittimità, destinata a favorire il soggetto portatore dihandicap, potrebbe non avere molto senso discutere sulla «tenuta argomentativa» deipassaggi salienti della motivazione poiché è evidente — e, come visto, sembra confermato

(24) CRICENTI, Il concepito ed il diritto di non nascere, cit., 819.(25) CRICENTI, op. loc. cit. Sembra proprio questa la strada percorsa da un obiter dictum di Cass. civ., 3 maggio

2011, n. 9700, cit., secondo cui il figlio «si duole in realtà non della nascita ma del proprio stato di infermità (chesarebbe mancato se egli non fosse nato)».

(26) Cfr. CRICENTI, Il problema della colpa omissiva, Padova, 2002, 86 ss.(27) La malattia, precedendo temporalmente la nascita, non può essere considerata un effetto di quest’ultima.

La tesi sembra confondere la sequenza Grund-Folge (fondamento-conseguenza) con quella Ursache-Wirkung(causa-effetto). La prima presenta carattere atemporale ed è una sequenza corretta soltanto da un punto di vistalogico-analitico, la seconda costituisce una relazione effettivamente reale. «Se x non fosse nato, allora x nonsarebbe malato»; «se il dottore non avesse fatto nascere x, allora x non sarebbe malato»; «se il dottore non avessefatto nascere x, allora x non avrebbe subito il “danno” di essere malato». Queste implicazioni sembrano formal-mente corrette (da un punto di vista logico), ma un esame più rigoroso rivela la presenza di un sofisma. Infatti, lacondizione di possibilità della vita (la nascita di x o l’omesso aborto di x) non può in alcun modo esser posta afondamento della malattia (in quanto danno subito) come sua condizione sufficiente (basti pensare che moltepatologie del feto, ma non quella del caso di specie, possono essere eliminate prima della nascita). In ogni caso, ildiritto si cura soltanto della sequenza «causa-effetto» e non di quella «fondamento-conseguenza».

(28) TRAVAGLINO, La questione dei nessi di causa, Milano, 2012, 87, 127, il quale discorre di una «dimensionepolitica» della causalità «che potrebbe più utilmente attivare i circuiti mentali della consapevolezza, piuttosto chealimentare assai ingenue inquietudini delle tante tricoteuses domestiche dell’interpretazione» (72 s.).

d o t t r i n a

8 1 D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 7 2 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

dalle parole dell’estensore della sentenza — che il risultato da raggiungere ha determinatoalcune forzature nella ricostruzione dogmatica della fattispecie.

Sotto questo profilo, per individuare la questione di fondo sottesa alla pronuncia, unavolta ricordate alcune incongruenze della sentenza sotto il profilo dogmatico, possonorichiamarsi le parole di un commentatore, il quale, rilevato che il principio di solidarietà «èil grande assente nella motivazione della decisione», pone l’interrogativo se l’esigenza diassicurare una condizione di vita meno disagevole debba essere riconosciuta dal diritto«soltanto per i nati “malformati” sopravvissuti alla mancata interruzione della gravidanza,o anche per tutti quelli che tali comunque entrano nel mondo con gli stessi problemi» (29).Emerge allora — ancora, nella prospettiva del contributo ricordato — il problema di garan-tire il rispetto del principio di eguaglianza sostanziale venendo incontro a tutti i portatori dihandicap e, sullo sfondo, l’impressione che la soluzione a detto problema non possa essereofferta dall’istituto della responsabilità civile, ma richieda un intervento pubblico di solida-rietà sociale (30).

4. IL DANNO DA «PERDITA DELLA VITA»Cass. n. 1361/2014 afferma che il danno da perdita della vita costituisce un danno nonpatrimoniale risarcibile, «quale bene supremo dell’individuo, oggetto di diritto assoluto einviolabile garantito in via primaria da parte dell’ordinamento, anche sul piano della tutelacivilistica». Alla luce del bene leso, diversamente dalla sentenza sulla nascita, non sussi-stono dubbi in ordine alla presenza di una lesione di un diritto inviolabile.

Nel caso del danno da morte, il problema del riconoscimento della tutela risarcitoria, datempo affrontato in dottrina, attiene alla difficoltà di configurare l’esistenza di un diritto, ilcredito risarcitorio derivante dalla morte, in capo a una persona che al momento dell’ac-quisto cessa di essere in vita (31).

Secondo la tesi contraria all’ammissibilità di siffatto risarcimento del danno, fatta pro-pria dalla Corte costituzionale con un noto arresto, oggetto di risarcimento può esseresoltanto la perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva, mentre lamorte non può essere considerata una perdita a carico della persona offesa, poiché que-st’ultima non è più in vita (32). Il risarcimento del danno è configurabile esclusivamente nel

(29) Cfr. BUSNELLI, Verso una giurisprudenza che si fa dottrina, cit., 1525.(30) Così, in termini interrogativi, ancora BUSNELLI, Verso una giurisprudenza che si fa dottrina, cit., 1525 s.(31) A favore della configurabilità del risarcimento del danno da morte « immediata», POLACCO, Sulla massima

« momentum mortis vitae tribuitur», in Studi in onore di Brugi, Palermo, 1910, 171 ss.; MONTEL, La legittimazioneattiva nell’azione di risarcimento per la morte di una persona, in Temi emil., 1930, II, 105 ss.; ID., Ancora in temadi legittimazione attiva nell’azione di risarcimento per uccisione, in Riv. dir. priv., 1931, II, 271 ss.; CARIOTA

FERRARA, Il momento della morte è fuori dalla vita?, in Riv. dir. civ., 1961, I, 134 ss., spec. 137 s., il quale tuttaviaritiene che la morte non faccia parte della vita. Più di recente, in senso contrario rispetto alla risarcibilità del dannoda uccisione, BONILINI, Il danno non patrimoniale, Milano, 1983, 457 ss., secondo cui « l’evento morte, quando nonsia la conseguenza di un semplice accadimento naturalistico, è rimirato dal diritto nella predominante dimensionedi iscrizione ad altri di responsabilità che trovano la loro sede nell’ambito della pretesa punitiva dello Stato»;NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, 127 ss., la quale ritiene « impossibile» ildanno biologico da morte, in quanto il danno alla salute implica necessariamente l’esistenza della vittima.

(32) Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 372, in Foro it., 1994, I, 3297 ss., con nota di PONZANELLI, La Corte costitu-zionale e il danno da morte, la quale ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionaledell’art. 2043 c.c., sollevata in riferimento agli artt. 2 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non consente ilrisarcimento iure hereditario del «danno biologico da morte». La sentenza rinviene un limite strutturale della

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 7 3 ⎪

caso in cui tra la condotta lesiva e il momento della morte intercorra un lasso di temposufficiente affinché il diritto al risarcimento del danno «entri nel patrimonio dell’offeso». Ildanno non patrimoniale risarcito non coincide tuttavia con «la morte», ma con il diversopregiudizio di natura fisica o psichica che il soggetto subisce prima di morire.

Il descritto indirizzo riprende un orientamento dottrinale e giurisprudenziale maturatoin epoca risalente, relativamente al «danno patrimoniale» derivante da morte. Il quesitoaffrontato atteneva alla natura iure proprio o iure hereditatis del diritto fatto valere daisuperstiti. Si osservava che pur ammettendo nel caso di morte c.d. immediata l’esistenza diun intervallo fra due momenti, la lesione e la morte, la vittima non potrebbe trasferire iurehereditatis altro diritto «se non il reddito perduto durante l’intervallo» (33).

Attraverso gli indirizzi della Suprema Corte che, nel riconoscere la lesione non patri-moniale subita nell’«apprezzabile lasso di tempo» tra il momento della lesione e la morte,hanno contribuito a elaborare le controverse figure del danno biologico terminale, deldanno morale terminale, del danno da perdita della salute da agonia consapevole e deldanno catastrofale, la soluzione accolta in campo patrimoniale venne trasmessa a quellonon patrimoniale e tuttora costituisce l’orientamento dominante (34).

Un recente incontro di studio promosso presso la Corte di cassazione, al quale hannopartecipato giudici e autorevoli studiosi, ha costituito un’occasione per discutere nuova-

responsabilità civile, in cui sia l’oggetto che la liquidazione del danno devono riferirsi non alla lesione di per sestessa, ma alle conseguenti perdite a carico della persona offesa. La Corte costituzionale ha ripreso la soluzione diun risalente precedente della Corte di cassazione (Cass. del Regno, Sez. Un., 22 dicembre 1925, n. 3475, in Foro it.,1926, I, 328 ss.). Sulla sentenza, cfr. anche, in senso critico, ALPA, Lesione del diritto alla vita e « danno biologico damorte », in Nuova giur. civ. comm., 1995, II, 153.

(33) Cfr. GENTILE, voce Danno alla persona, in Enc. dir., XI, 1962, 670 s.: «se la morte sopravvenga dopo un certotempo dalla lesione, il danno afferente a questo periodo, si trasferisce bensì agli eredi (e questa volta iurehereditatis) ma il danno consiste solo in quello che si è verificato nel tratto fra la lesione e la morte, e cioè per uncapitale corrispondente al mancato reddito lavorativo di quel periodo». In senso contrario, si era espresso MONTEL,Problemi della responsabilità e del danno, Torino, 1952, il quale ammetteva la legittimazione iure hereditarioosservando che il diritto al risarcimento «non sorge quando la vittima è già morta bensì al momento stesso in cuiessa viene colpita e tra questi due momenti deve pur sempre intercedere un intervallo di tempo che, per quantobreve fino all’attimo, è sufficiente a che durante il suo corso il leso acquisti il diritto ai danni derivanti dalla lesione»(citato da Gentile). L’impostazione del problema è la stessa della citata Cass. del Regno, Sez. Un., 22 dicembre 1925,n. 3475, cit., secondo cui « intanto è possibile l’esperimento iure haereditatis di un’azione di danni dipendenti dallamorte di una persona, in quanto il diritto al risarcimento fosse acquisito già a costei, nel momento del decesso. Mase tali danni, in quanto derivanti dalla morte, non possono logicamente non essere a questa successivi, è eviden-temente assurda la concezione, rispetto ad essi, di un soggetto originario di diritto che più non esisteva quando imedesimi si verificarono [...]. Onde, in rapporto alla persona del lesionato, come subbietto dell’azione di danni,questi restano senz’altro confinati nell’ambito dei danni verificatisi dal momento della lesione a quello della morte,ed è soltanto rispetto ad essi che gli eredi possono agire iure haereditatis ». Suscita stupore a parere di CASO, Il benedella vita e la struttura della responsabilità civile, in Foro it., 2014, I, 769, la circostanza che nonostante la«rivoluzione copernicana del danno alla salute» il problema in esame venga dalla giurisprudenza ancora risolto inbase ad una decisione degli anni venti.

(34) Per una dettagliata ricostruzione degli orientamenti della Suprema Corte relativamente ai c.d. «danniterminali», cfr. GUIDI, Storia e vicissitudini del danno da morte, in Danno resp., 2013, 1207 ss. Dopo la pronunciadella Corte costituzionale del 1994, la quale, come è stato ricordato, ha negato la risarcibilità del danno da morteche segua «immediatamente» l’evento lesivo, la giurisprudenza di legittimità è stata indotta a elaborare lefattispecie risarcitorie menzionate nel testo, che ai fini risarcitori postulano la sussistenza di un determinato lassodi tempo tra la lesione e la morte. Per alcune considerazioni critiche in merito agli indicati indirizzi giurispruden-ziali, v. già PUCELLA, Danni da morte e tutela dei congiunti, in Responsabilità civile. Danno non patrimoniale,diretto da Patti, a cura di DELLE MONACHE, Torino, 2010, 643 ss.

d o t t r i n a

8 1 D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 7 4 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

mente del problema (35). Sono stati messi in luce alcuni aspetti critici dell’indirizzo, come adesempio, la difficoltà di concretizzare il suddetto parametro dell’«apprezzabile lasso ditempo», l’insufficienza del risarcimento del danno in molti casi liquidato dai giudici delmerito, l’irrazionalità, a fronte della gerarchia dei diritti fondamentali — in cui la vitainnegabilmente figura al primo posto —, di non riconoscere una tutela risarcitoria per laperdita della vita (36). La sentenza in esame nella parte finale della motivazione recepiscealcune delle indicazioni provenienti dalla dottrina, espresse sia nel corso del ricordatoseminario che in recenti contributi dottrinali, e perviene, svolgendo un’argomentazioneautonoma, a riconoscere la risarcibilità del danno in caso di morte che consegua immedia-tamente alla lesione.

Anzitutto, sotto il profilo metodologico, la sentenza accoglie il suggerimento secondo cuiè errato in riferimento a problemi nuovi, «dietro ai quali pulsano contrasti in chiave assio-logica», «pretendere di giustificare le soluzioni in funzione di categorie classificatoriepreconfezionate», osservandosi che nel caso di specie il limite risulta ancora più parados-sale perché le categorie derivano dalla giurisprudenza. Nell’affrontare un problema occor-re prendere atto che le categorie «non sono trovate dall’operatore giuridico, ma sono da lui(consapevolmente o inconsapevolmente) costruite in vista del caso pratico che si tratta dirisolvere» (37). Ora, la questione del danno da perdita della vita non può propriamentedefinirsi come «nuova», essendo oggetto di approfondimenti in dottrina da oltre un secolo,ma è evidente che le categorie messe a punto negli anni non si addicono in pieno alle suecaratteristiche e, soprattutto, volendo utilizzare le parole della sentenza in esame, induco-no, allo stato, a raggiungere un risultato ermeneutico che «appare non del tutto rispondenteall’effettivo sentire sociale dell’attuale momento storico».

Assieme a diversi argomenti della dottrina volti a contrastare l’indirizzo contrario allarisarcibilità del danno da morte, come ad esempio quello in base al quale tra fatto e dirittoesiste una relazione «logica» e non già «temporale», per cui sarebbe possibile affermareche, nel determinare la scomparsa della persona, la morte comporta altresì l’insorgenzadella pretesa risarcitoria e la trasmissione di questa agli eredi (38), la Suprema Corte riporta

(35) Si tratta del seminario svoltosi il 17 ottobre 2012, dal titolo « Perdita della vita e risarcimento del danno »,nel quale sotto la direzione del presidente Preden, sono intervenuti i professori Cesare Massimo Bianca, NicolòLipari, Pietro Rescigno e il giudice costituzionale Mario Rosario Morelli.

(36) Sono queste le principali «criticità» rilevate dal presidente Preden in riferimento al suddetto indirizzo. Inmerito al problema dell’ampiezza dell’intervallo temporale, cfr. DINI, Risvolti risarcitori della fine di una vita.Danni da uccisione e integralità del risarcimento, in questa Rivista, 2012, 1586, la quale, sulla scorta di un esamedei precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte, rileva che la valutazione del tempo minimo di sopravviven-za necessario ai fini della risarcibilità del danno compete al giudice di merito ed è insindacabile in sede dilegittimità. La conseguenza dell’orientamento, ad avviso dell’Autrice, è la « totale discrezionalità del giudice, ilquale, senza il punto di riferimento nomofilattico, si trova a navigare a vista».

(37) Gli svolgimenti riportati sono di LIPARI, Danno tanatologico e categorie giuridiche, in Riv. crit. dir. priv.,2012, 531 s. (e in Le categorie del diritto civile, Milano, 2013, 212 s.), il quale, con riguardo alla soluzione offertadalla giurisprudenza prima del revirement al caso del danno tanatologico, osserva che gli schemi ricostruttiviadottati non sono gli unici possibili e pone in risalto che «la vita, riconducibile alla sfera dei diritti e alla loro relativatutela finché appartiene al suo titolare, debba essere intesa nell’ottica dei beni nel momento in cui viene distrutta,risultando quindi non più riconducibile ad un titolare, ma non per questo, nella sua oggettività, immeritevole ditutela nell’interesse dell’intera collettività». La tesi del c.d. danno collettivo, pur ritenuta suggestiva, non vieneaccolta dalla sentenza, la quale tuttavia ritiene imprescindibile l’impostazione secondo cui le categorie dogmatichecreate e poste dagli interpreti non possono divenire delle «gabbie argomentative».

(38) Così MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 1998, 509 ss.

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 7 5 ⎪

la posizione dottrinale che rileva come la circostanza per cui la prestazione risarcitoria nonè percepita dal danneggiato ma dagli eredi non incida sul titolo dell’obbligazione, né estin-gua la sua funzione risarcitoria, poiché la vittima trae vantaggio dall’acquisizione del rela-tivo credito per via ereditaria, il quale accresce l’eredità lasciata ai propri congiunti (39).

Una volta esposti gli orientamenti giurisprudenziali (40) e quelli dottrinali, ormai semprepiù propensi ad ammettere il risarcimento del danno, l’ultimo scoglio è rappresentato dalprincipio posto dalle Sezioni Unite nel 2008, «quale assioma o postulato», secondo cui so-lamente il danno conseguenza è risarcibile e non anche il danno evento (41). Il problema —che, evidentemente non sussiste ammettendo l’idea che l’interprete non debba restare adogni costo vincolato dalle categorie coniate per mano della giurisprudenza per casi innega-bilmentediversidaquellodispecie—,comeègiàstatomessoinluce,èchelavittimaessendodeceduta non può subire le conseguenze dannose derivanti dall’illecito. La sentenza inesame, pur mostrando una certa insofferenza nei confronti del principio, ritiene, in virtù delbreve tempo trascorso dalle pronunce delle Sezioni Unite, di non poterne prescindere. Ilsuperamentodelprincipiominerebbe le fondamentadellaricostruzionesistematicaattuatadalle Sezioni Unite, ponendosi in contrasto con basilari esigenze di certezza del diritto, chesi sostanziano nella conoscibilità della regola e nella prevedibilità della sua applicazione.

La Suprema Corte tenta di aggirare l’ostacolo argomentando dalla «logica interna» deldescritto principio. La perdita della vita, per antonomasia, non può avere conseguenze intervivos per il danneggiato, ma il relativo danno, posta l’importanza del bene leso, devedeterminare conseguenze risarcitorie. In quest’ottica il ristoro del danno da perdita dellavita costituisce «ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità deisoli danni-conseguenza», in quanto la morte ha per conseguenza «la perdita non già solo diqualcosa bensì di tutto. Non solo di uno dei molteplici beni, ma del bene supremo, la vita,che tutto il resto racchiude. Non già di qualche effetto o conseguenza, bensì di tutti gli effetti

(39) Cfr. BIANCA, Il danno da perdita della vita, in Vita not., 2012, 1500 ss.; ID., La tutela risarcitoria del dirittoalla vita, cit., 501 s. In definitiva, la trasmissione ereditaria è considerata una forma di «utilizzo» del diritto alrisarcimento, in quanto la trasmissione del credito risarcitorio agli eredi è il momento di realizzazione del vantag-gio patrimoniale.

(40) L’unico precedente giurisprudenziale di legittimità che si è espresso, sia pure in un obiter dictum, in sensofavorevole alla risarcibilità del danno da morte immediatamente conseguente all’evento lesivo, ha affermato chenon rileva la distinzione tra evento di morte mediata o immediata, in quanto la morte cerebrale «non è maiimmediata, con due eccezioni: la decapitazione o lo spappolamento del cervello»: Cass. civ., 12 luglio 2006, n.15760, in questa Rivista, 2006, 2400; in Corr. giur., 2006, 1379, con nota di PONZANELLI, Pacs, obiter, miopiagiornalistica e controllo della Cassazione sulla quantificazione del danno, secondo cui al di fuori di queste ipotesiil risarcimento del danno non patrimoniale sarebbe risarcibile. La constatazione non è tuttavia sufficiente asuperare l’indirizzo che nega il risarcimento del danno da morte, in quanto in applicazione del risalente principioal quale ha aderito la Corte costituzionale, pur ammettendo un intervallo fra i due momenti (lesione e morte), « lavittima non potrebbe conseguire altro diritto che quello derivante dalla lesione, non quello derivante dalla morte»:GENTILE, voce Danno alla persona, cit., 671.

In questo quadro anche il danno da morte, come danno ingiusto da illecito, è trasferibile mortis causa, facendoparte del credito del defunto verso il danneggiante ed i suoi solidali.

(41) L’affermazione è presente altresì nelle importanti sentenze in tema di causalità: cfr. Sez. Un. civ., 11gennaio 2008, n. 581 (in questa Rivista, 2008, 841, con nota di GRECO): « [s]e sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi èun danno-conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria».

d o t t r i n a

8 1 D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 7 6 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

e conseguenze» (42). La perdita della vita, secondo la Suprema Corte, deve essere valutata exante rispetto all’evento che la determina, in un momento in cui il soggetto è certamenteinteressato a proseguire la propria esistenza, e non ex post, allorquando la vita stessa nonha più valore per chi l’ha perduta (43). Si precisa che la fattispecie non integra un danno inre ipsa, il danno da perdita della vita alla stregua degli altri danni non patrimoniali deveessere sempre allegato e provato, anche mediante il ricorso a presunzioni.

Si perviene così all’enfatica affermazione secondo cui «[n]egare alla vittima il ristoroper la perdita della vita significa determinare una situazione effettuale che in realtà rimordealla coscienza sociale».

5. GLI ALTRI SOGGETTI DANNEGGIATIUn problema comune alle due fattispecie di illecito esaminate potrebbe concernere l’esi-genza di «bilanciare» il risarcimento accordato per la nascita malformata e la perdita dellavita, da un lato, e il risarcimento spettante a vario titolo ai congiunti, dall’altro lato. Tenutoconto delle ragioni che hanno indotto la Suprema Corte a rendere l’innovativa pronuncia,non sembra che nel caso del danno derivante dal comportamento negligente del medico, ilrevirement possa comportare una diminuzione delle poste risarcitorie spettanti agli altrifamiliari coinvolti che, pur scaturendo dalla medesima condotta lesiva del medico, trovanotitolo in una fattispecie di illecito «contrattuale» diversa rispetto a quella «extracontrattua-le» dalla quale trae origine il risarcimento del nato. Diversamente, nel caso del danno daperdita della vita appare prevedibile un maggiore contenimento del ristoro liquidato dallagiurisprudenza ai congiunti poiché sembra che l’attribuzione — iure proprio — ai familiaridel defunto del risarcimento di danni non patrimoniali, comprensivi non solo delle soffe-renze fisiche (danni biologici) o psichiche (danni morali o soggettivi), ma anche dei c.d.danni esistenziali consistenti nell’alterazione degli assetti affettivi e relazionali all’internodella famiglia abbia avuto, tra gli altri obiettivi, quello di mitigare la sensazione di ingiustiziaderivante dal non ammettere il risarcimento del danno da perdita della vita iure heredita-rio.

Rispetto ai precedenti casi di nascita indesiderata, anche prescindendo dalla novitàrelativa al riconoscimento della legittimazione in capo al nato, la sentenza in esame ampliala platea dei soggetti legittimati ad ottenere il risarcimento del danno da omessa diagnosi.

(42) Nel senso che l’argomentazione della Suprema Corte costituisce una «sottigliezza non meno apodittica»di quella su cui si fonda l’orientamento che nega la risarcibilità del danno da perdita della vita, v. PALMIERI-PARDOLESI, Di bianco o di nero: la « querelle» sul danno da morte, in Foro it., 2014, I, 764.

(43) Ritiene che la Suprema Corte abbia orientato la valutazione del bene della vita in una fase ex ante «nellaquale il soggetto non è affatto indifferente all’opzione fra sopravvivere o morire e, anzi, il permanere in vita ha, perlui, un valore inestimabile», MEDICI, Danno da morte, responsabilità civile e ingegneria sociale, in Foro it., 2014, I,772.

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 7 7 ⎪

Oltre alla moglie, non soltanto il marito della gestante, come già avvenuto in precedenza (44),ma anche i fratelli e le sorelle del bambino malformato hanno diritto al risarcimento (45).

Alla luce del significativo numero dei soggetti coinvolti nella vicenda risarcitoria puòporsi l’interrogativo se sia davvero necessario creare, con l’ausilio delle ricordate argomen-tazioni, una fattispecie di illecito extracontrattuale ad hoc per il nato, configurando a suofavore il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. Sul punto, la Suprema Corte inmodo esplicito rileva come, nel riformare l’indirizzo giurisprudenziale precedente, non sia«del tutto appagante [...] l’evocazione di quella sensazione di sotterfugio cui ricorrerebbe lagiurisprudenza per riconoscere il risarcimento in via indiretta all’handicappato, né la pursuggestiva considerazione volta a rilevare la contraddizione logica del riconoscere il risar-cimento del danno ai genitori e non riconoscerlo al minore nato con la malattia», tuttavianon nega che il risarcimento del danno da «nascita malformata» mira ad attribuire «diret-tamente al soggetto che di tale condizione di disagio è personalmente portatore il dovutoimporto risarcitorio, senza mediazioni di terzi, quand’anche fossero i genitori, ipotetica-mente liberi di utilizzare il risarcimento a loro riconosciuto ai più disparati fini». In defini-tiva, il risarcimento del danno liquidato direttamente al nato costituisce la strada più sicuraper garantire l’utilizzo del denaro a miglioramento della «qualità» di vita del soggettoDown; tuttavia anche in tale ipotesi in realtà nulla esclude che i genitori, rappresentantilegali del minore incapace, adoperino le risorse per fini che esulano da quanto strettamentenecessario al mantenimento del soggetto disabile. Inoltre, con riguardo al risarcimento deldanno subito dal nato, si segnala il rischio che la soluzione «inneschi duplicazioni risarci-torie rispetto a quanto è già stato risarcito a favore dei genitori al fine di compensare le spesenecessarie per l’assistenza del figlio» (46).

Nel caso del danno da morte, la sentenza n. 1361/2014 rileva che la soluzione dellagiurisprudenza precedente nel riconoscere una pluralità di voci di danno in capo ai con-giunti «pone il rischio di confusioni concettuali ovvero di avallare l’idea dell’uso strumen-tale di determinati istituti per sopperire al mancato riconoscimento di altri». Come è statoaffermato in uno dei commenti alla decisione, l’indirizzo che negava il risarcimento deldanno da morte immediatamente conseguente alla lesione, per rimediare alla lacuna, hadato vita a «traiettorie alternative», in primo luogo — si è già ricordato — attraversol’elaborazione di nuove figure di danno non patrimoniale subito dalla vittima nel lasso ditempo intercorrente tra la lesione e la morte, in secondo luogo, accordando con una certa

(44) Cfr. Cass. civ., 4 gennaio 2010, n. 13, in questa Rivista, 2010, 1027; in Giur. it., 2011, 76 ss., la quale accordail risarcimento del danno al padre argomentando dagli effetti protettivi scaturenti dal contratto di prestazione diopera professionale. Nel senso che il padre deve considerarsi tra i soggetti «protetti» dal contratto stipulato con ilginecologo e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempi-mento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, poiché gli effetti negativi del comportamentodel ginecologo si ripercuotono anche sulla sua sfera personale, v. già Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20320, in Foroit., 2006, I, 2097 ss., con nota di BITETTO; Cass. civ., 10 maggio 2002, n. 6735, ivi, 2002, I, 3115 ss., con note di PALMIERI

e SIMONE.(45) Per ciò che concerne il risarcimento dei fratelli e delle sorelle del soggetto affetto da sindrome di Down, cfr.

CARUSI, Revirement in alto mare, cit., 812, il quale solleva il dubbio che «un’eccessiva larghezza nella ricognizionedei danni riflessi, oltre a metter capo ad illogiche duplicazioni dei risarcimenti, venga a tradire un discutibileatteggiamento psicologico e culturale (di tutt’altro che sicura conformità al disegno costituzionale) nei confrontidella “disabilità”». Nel senso che la posizione dei fratelli e delle sorelle sarebbe troppo remota per consentire diincluderli «nell’orbita protettiva del contratto», PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile, cit., 201.

(46) PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile, cit., 204.

d o t t r i n a

8 1 D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 7 8 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

facilità tutela risarcitoria ai parenti del defunto (47). Sotto quest’ultimo profilo, la sentenza inesame potrebbe determinare uno stravolgimento del sistema risarcitorio dei danni daperdita della vita, che risulterebbe focalizzato non tanto sulla posizione dei superstiti,quanto su quella del defunto, ossia del vero soggetto danneggiato. Da un punto di vistapratico, ne deriverebbe una semplificazione della disciplina poiché ai diritti al risarcimentodel danno dei congiunti si sostituirebbe il diritto iure hereditario al risarcimento del dannoda perdita della vita. Appare dunque esatta l’osservazione secondo cui occorre valutare sel’innovativo indirizzo, come avvenuto con il danno biologico, in grado di riassorbire tutti isegmenti della lesione psico-fisica, «non si candidi a razionalizzare il sistema dei rimediindiretti rappresentati dalla gemmazione di poste di danno elaborate pretoriamente afronte della irrisarcibilità del bene vita» (48).

In proposito, non si nega che il cambiamento avrebbe degli effetti radicali, in virtùdell’ovvia considerazione che, a differenza del diritto al risarcimento iure proprio, il risar-cimento del danno iure hereditario spetta soltanto agli eredi o ai soggetti a favore dei qualiil de cuius ha disposto in via testamentaria. Inoltre, contribuendo a formare il patrimoniodel defunto, il risarcimento ripagherebbe eventuali debiti ereditari (49). In quest’ottica, postoche non sembra sostenibile un sistema risarcitorio che, a fronte della morte, assicuri ilristoro sia iure hereditario che iure proprio nelle forme elaborate dalla giurisprudenza,

(47) In questo senso, PALMIERI-PARDOLESI, Di bianco o di nero: la « querelle» sul danno da morte, cit., 763, i qualidiscorrono di una «inconfessata, ma anche ipocrita, compensazione — del ristoro accordato a congiunti (e din-torni) della vittima per il danno morale da essi sofferto a seguito della scomparsa del loro caro». Riguardo allarisarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale si è di recente affermato che il giudice di merito deveaccertare, con onere della prova a carico dei familiari della persona deceduta, se, a seguito del fatto lesivo, si siadeterminato nei superstiti uno sconvolgimento delle normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmentediverse: cfr. Cass. civ., 22 agosto 2013, n. 19402, in Mass. Foro it., 614; Cass. civ., 13 maggio 2011, n. 10527, in Foroit., 2011, I, 2709, con nota di richiami, dove, pur ammettendo la possibilità di far ricorso a presunzioni semplici, siè ritenuta inidonea, ai fini del ristoro di tale pregiudizio, la deduzione di fatti inerenti alla perdita di abitudini e ritipropri della quotidianità della vita. Relativamente al danno da perdita del rapporto parentale richiesto dai con-giunti non appartenenti alla famiglia nucleare del de cuius, nel senso che il risarcimento non può prescindere dalladimostrazione della convivenza, v. Cass. civ., 16 marzo 2012, n. 4253, in Corr. giur., 2012, 1062, con nota di NOBILE,Risarcibilità del danno non patrimoniale per morte del parente non convivente; in disaccordo con siffattalimitazione, Cass. pen., 4 giugno 2013, n. 29735, in Foro it., 2014, II, 86; e, nella giurisprudenza di merito, Trib.Roma, 9 aprile 2013, ivi, 2013, I, 2316. Inoltre, la perdita di una persona cara è stata riconosciuta quale fonte di unaspecifica voce di danno non patrimoniale risarcibile anche dove manchi un rapporto di parentela da Cass. civ., 7giugno 2011, n. 12278, in Rep. Foro it., 2011, voce Danni civili, n. 254; Trib. Milano, 12 settembre 2011, in questaRivista, 2012, 1648, con nota di POTÈ, Lesione del rapporto famigliare e convivenza tra persone dello stesso sesso;in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 207 ss., con nota di LORENZETTI, Anche al convivente same-sex spetta ilrisarcimento del danno per la morte del compagno, dove si è evidenziata l’insufficienza della prova di unarelazione amorosa, per quanto caratterizzata da serietà di impegno e regolarità di frequentazione nel tempo,dovendosi dimostrare l’esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti con vicendevole assistenzamateriale e morale.

(48) Così SIMONE, Il danno per la perdita della vita: « die hard» 2.0., in Foro it., 2014, I, 768. Anche la pronunciaCass. civ., 24 marzo 2011, n. 6754, in Foro it., 2011, I, 1035, contraria alla risarcibilità iure hereditario del danno damorte ha affermato che il nuovo indirizzo «si risolverebbe in breve, come l’esperienza insegna, in una diminuzionedi quanto riconosciuto iure proprio ai congiunti, che percepiscono somme comunque connesse ad un’onnicom-prensiva valutazione equitativa».

(49) La suddetta notazione, in tempi passati, è stata utilizzata quale argomento contrario alla configurabilità diun diritto al risarcimento del danno iure hereditario, da GENTILE, voce Danno alla persona, cit., 671, il quale,affermando che il diritto al risarcimento spetta ai superstiti iure proprio, osserva che «i creditori del de cuius nonpotrebbero far valere i propri diritti creditori nei confronti degli aventi diritto sulla somma ad essi dovuta qualerisarcimento del danno».

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 7 9 ⎪

risulta più arduo, tenuto conto degli interessi dei congiunti, stabilire quale, tra quelli indi-cati, sia il modello preferibile (50).

Il problema principale risulta mitigato dalla circostanza che molto spesso le persone allequali spetterebbe il risarcimento iure proprio, in seguito alla morte del congiunto, corri-spondono agli eredi. Pertanto, l’abbandono degli indirizzi relativi al risarcimento dei pre-giudizi esistenziali subiti dai congiunti determinerebbe una situazione insoddisfacentesoltanto per coloro che non godono di diritti successori, in particolare i conviventi dellepersone defunte. Sebbene l’argomento meriterebbe di essere approfondito, ad avviso di chiscrive, in questi casi, la tutela del convivente non dovrebbe discendere dall’applicazionedell’istituto della responsabilità civile, ampliando il numero dei soggetti legittimati a otte-nere iure proprio un ristoro, bensì riconoscendo diritti successori in capo allo stesso con-vivente. In definitiva, la tutela del convivente costituisce una questione di carattere gene-rale, la quale trascende il campo dell’illecito extracontrattuale (51). A ciò si aggiunga che,come è stato osservato, il mero riconoscimento di forme di risarcimento iure propriodetermina situazioni di profonda ingiustizia nelle ipotesi in cui la vittima non annovericongiunti che lamentino un danno, poiché il danneggiante non sarebbe tenuto ad alcunrisarcimento (52).

In ogni caso, le ragioni individuate dalla sentenza n. 1361/2014 sembrano superarequalsiasi dubbio: in virtù della natura dell’interesse leso, affinché il sistema si presenticoerente e rispettoso dei principi costituzionali, alla morte cagionata con dolo o colpa deveconseguire una tutela di tipo risarcitorio che si parametri al pregiudizio subito dalla personanon più in vita.

Ad un risultato analogo, nel senso di una semplificazione o razionalizzazione delladisciplina, potrebbe addivenirsi altresì con riguardo al risarcimento del danno non patri-moniale riconosciuto nel lasso di tempo intercorrente tra la lesione e la morte. La nettadistinzione tra «danno alla salute» e «danno da morte», tratteggiata dalla sentenza, induceperò a maggiore cautela poiché la diversità tra gli interessi tutelati si profila marcata, vistoche la morte costituisce un pregiudizio diverso rispetto ai nocumenti di vario genere che ildanneggiato subisce prima del trapasso. Tenuto conto delle incertezze di ordine applicativoe delle potenziali diseguaglianze si ritiene che l’orientamento possa essere abbandonato,

(50) È proprio su questo profilo che si incentra la motivazione di Cass. civ., 24 marzo 2011, n. 6754, cit.:« [p]retendere che [la tutela] sia data “anche” al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo difar conseguire più denaro ai congiunti, non essendo sostenuto da alcuno che sarebbe in linea col comune sentireo col principio di solidarietà che il risarcimento da perdita della vita fosse erogato agli eredi “anziché” ai congiunti(se, in ipotesi, diversi) o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato». Peraltro, sebbene non si ritenga cheil risarcimento del danno in tal caso svolgerebbe una funzione punitiva, che lo Stato esperisca un’azione risarci-toria iure hereditario dopo aver accertato la mancanza di successibili, appare un’evenienza remota.

(51) In proposito, come è noto, la ormai risalente Corte cost., 26 maggio 1989, n. 310, in Foro it., 1991, I, 446, haaffermato che è infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 582 c.c., nella parte in cui nonequiparano — ai fini della successione legittima — il convivente more uxorio al coniuge, in riferimento agli artt. 2e 3 Cost.

(52) In questo senso, in termini provocatori, con riferimento al danno da morte immediatamente conseguentealla lesione, PALMIERI-PARDOLESI, Di bianco o di nero: la « querelle» sul danno da morte, cit., 764: «che dire, allora,dell’autore dell’illecito che, quando tronca la vita di colpo, risponde solo se la vittima annovera familiari chepossano piangerlo?». Mettendo particolarmente in luce gli interessi delle persone superstiti, ritiene invece sod-disfacente l’indirizzo inaugurato dalle sentenze gemelle del 2003, FRANZONI, L’illecito2, in Trattato della respon-sabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2010, 939.

d o t t r i n a

8 1 D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 8 0 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

quantomeno nei casi in cui il periodo di vita tra la lesione e la morte sia molto breve e, nellaprospettiva dell’indirizzo in esame, abbia rappresentato soprattutto una base argomenta-tiva per affermare che il danneggiato acquista il diritto al risarcimento prima di morire.

6. SULLA NATURA «PUNITIVA» DELLE FATTISPECIE RISARCI-TORIELa riflessione finale investe la funzione svolta dal danno non patrimoniale nei due casidecisi dalla Suprema Corte. Com’è noto, i giudici di legittimità mediante alcuni celebriarresti hanno affermato che «alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo direstaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, anche mediantel’attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenzedel danno subìto mentre rimane estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzionedel responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta» (53).

Ebbene, all’indomani della sentenza sul danno da nascita «malformata» non si è man-cato di rilevare il carattere sanzionatorio o punitivo assunto dalla condanna al risarcimentoin favore del figlio e i rischi di over-deterrence derivanti dal ricorso alla c.d. medicinadifensiva (54). Analogamente, con riguardo alla decisione sul danno da perdita della vita, siè affermato che, nella specie, la funzione del risarcimento del danno potrebbe esserequalificata come «simbolica, nel senso che la condanna risarcitoria intende in questo casoripristinare, sia pure con il mezzo inadeguato dell’attribuzione di una somma di denaro, ilvalore della persona, che l’evento lesivo con effetti letali aveva azzerato» (55). In effetti, unodei principali argomenti contrari al risarcimento del danno da perdita della vita attenevaalla problematica relativa alla funzione del risarcimento. Uno dei precedenti, ad esempio,movendo dalla funzione della tutela risarcitoria, preordinata a mantenere il danneggiatoindenne dalle conseguenze negative che dalla lesione del diritto derivano, mediante ilripristino del bene perduto, ha affermato che «è logicamente inconfigurabile» tale funzione

(53) La pronuncia principale è Cass. civ., 19 gennaio 2007, n. 1183, in questa Rivista, 2007, 1890; in Foro it.,2007, I, 1460, con nota di PONZANELLI, Danni punitivi: no, grazie, la quale ha sancito la contrarietà all’ordinepubblico interno dei danni punitivi. In tempi più recenti la Suprema Corte ha altresì affermato che va cassata lapronuncia con cui sono stati dichiarati il riconoscimento e l’efficacia in Italia di una sentenza statunitense che «purnon contenendo un esplicito rinvio all’istituto dei danni punitivi», aveva condannato il convenuto al pagamento diun ingente importo a titolo di risarcimento del danno, senza dar conto della ragionevolezza e proporzionalità di talesomma in rapporto ai criteri risarcitori interni (Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1781, in Danno resp., 2012, 609, connota di PONZANELLI, La Cassazione bloccata dalla paura di un risarcimento non riparatorio). Inoltre, si rinvengonodecisioni in cui i giudici di legittimità affermano che la liquidazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c. postula, in ognicaso, l’accertamento di un danno, altrimenti ne risulterebbe snaturata la funzione del risarcimento, e si darebbevita ad una pena privata per un comportamento lesivo: Cass. civ., 19 agosto 2011, n. 17427, in questa Rivista, 2012,112, con nota di ZIVIZ, Le immissioni intollerabili al vaglio dei principi delle Sezioni Unite.

(54) Cfr. PALMERINI, Nascite indesiderate e responsabilità civile, cit., 204; CACACE, Il giudice « rottamatore » el’enfant préjudice, cit., 139 ss. Sul problema della «medicina difensiva», v. anche MUCCIOLI, Diagnosi prenataleinesatta e responsabilità del medico, cit., 593.

(55) C. SCOGNAMIGLIO, Il problema del danno da morte: il danno non patrimoniale torna alle Sezioni Unite, inGiustizia civile.com, Editoriale del 20 marzo 2014, 3. Per un’ulteriore esplicazione della funzione simbolica, v. ID.,Dignità dell’uomo e tutela della personalità, in Giust. civ., 2014, 91, ove si legge, riprendendo una intuizione diCRICENTI, Persona e risarcimento, Padova, 2006, 190 s., che il risarcimento costituirebbe un «riconoscimentosimbolico del valore attribuito alla persona e di riconoscimento, sul piano sociale della ingiustizia della suavalutazione».

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 8 1 ⎪

quando il soggetto non è più in vita (56). Come si vedrà più avanti, anche in considerazionedell’orientamento maturato nella Suprema Corte, secondo cui il diritto al risarcimento deldanno non patrimoniale può essere oggetto di cessione (57), il citato argomento si profiladebole, in quanto «dà per scontata la coincidenza tra il punto soggettivo di incidenza deldanno e il titolare dell’azione risarcitoria» (58).

Prima di valutare nel dettaglio i due casi in esame, è necessario svolgere una premessadi ordine generale relativamente alla funzione attualmente assegnata al risarcimento deldanno non patrimoniale. Allo stato, le posizioni della giurisprudenza e di gran parte delladottrina sembrano convergere sulla tesi della natura riparatoria del risarcimento del dannonon patrimoniale. Negli studi più recenti è emerso che il concetto di riparazione nonimplica necessariamente un’equivalenza tra il danno e il risarcimento, per cui non puòaffermarsi la natura sanzionatoria dell’istituto per il solo fatto che il pregiudizio non èsuscettibile di valutazione economica (59). Un dato ormai acquisito, fatto proprio anche daalcuni sostenitori della tesi secondo la quale il risarcimento del danno non patrimonialeavrebbe una funzione satisfattiva, è quello che il risarcimento, orientato a svolgere unafunzione riparatoria, non si quantifica avendo riguardo alla condotta del danneggiante maal pregiudizio subito dal soggetto leso. In questo quadro, sembra che possa scorgersi unafunzione sanzionatoria o punitiva del risarcimento soltanto nei casi in cui la quantificazionedel risarcimento determini l’obbligo di corrispondere un ammontare che, secondo le tec-niche liquidatorie comunemente adottate, debba ritenersi eccessivo.

Impostato il problema nei termini che precedono, nel caso deciso da Cass. n. 16754/2012non sembra possibile negare la funzione punitiva del risarcimento del danno non patrimo-niale accordato al nato. Indipendentemente dal rischio di duplicazione delle poste risarci-torie dei familiari, se si accogliesse la tesi secondo cui non è configurabile un pregiudizio incapo al nato (supra, n. 3), il risarcimento non potrebbe logicamente essere destinato ariparare un danno, ma costituirebbe soltanto una reazione alla condotta illecita del medico.Non rileverebbe la circostanza che il risarcimento mira ad alleviare il dolore del soggettodisabile, poiché in assenza dell’indicato presupposto, cardine del sistema della responsa-bilità, il risarcimento costituirebbe una vera e propria pena privata. La sentenza si sofferma

(56) Cfr. Cass. civ., 24 marzo 2011, n. 6754, cit.: «non solo non è giuridicamente concepibile che sia acquisito dalsoggetto che muore, e che così si estingue, un diritto che deriva dal fatto stesso della sua morte (chi non è più nonpuò acquistare un diritto che gli deriverebbe dal non essere più), ma è logicamente inconfigurabile la stessafunzione del risarcimento che, in campo civile, non è nel nostro ordinamento sanzionatoria (funzione garantitainvece dal diritto penale), ma riparatoria o consolatoria. E in caso di morte, esclusa ovviamente la funzioneriparatoria, neppure la tutela con funzione consolatoria può, per la forza delle cose, essere attuata a favore deldefunto». Nello stesso senso, Cass. civ., 17 luglio 2012, n. 12236, in Arch. circ.., 2012, 1096 ss.

(57) Nel senso che il diritto di credito relativo al risarcimento del danno non patrimoniale, così come risultatrasmissibile iure hereditatis, può anche formare oggetto di cessione per atto inter vivos, non presentandocarattere strettamente personale, v. Cass. civ., 3 ottobre 2013, n. 22601, in Foro it., 2014, I, 876 ss.

(58) Così LIPARI, Danno tanatologico e categorie giuridiche, cit., 530.(59) È questo il risultato al quale perviene dopo un’articolata ricostruzione del pensiero dei giuristi italiani in

merito al problema della funzione del risarcimento del danno non patrimoniale, compiuta esaminando l’antica tesidella «pecunia doloris », le teorie satisfattive e quelle che rinvengono nel risarcimento una pena privata, D’ADDA,La funzione del risarcimento del danno non patrimoniale, in Responsabilità civile. Danno non patrimoniale, cit.,115 ss., spec. 136 ss. Nel senso che le decisioni delle Sezioni Unite del 2008 hanno determinato l’abbandono di unaqualsiasi finalità punitiva del risarcimento del danno non patrimoniale, v. BARBIERATO, Risarcimento del danno efunzione deterrente, in questa Rivista, 2009, 1182, alla quale si rinvia per i riferimenti dottrinali.

d o t t r i n a

8 1 D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E

⎪ P. 7 8 2 r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4

sul problema della funzione dell’istituto soltanto con riguardo alla fattispecie contrattualecon effetti protettivi (che riguarda i familiari del bambino disabile), affermando che laresponsabilità del medico è «predicabile non soltanto per la circostanza dell’omessa dia-gnosi in sé considerata (ciò che caratterizzerebbe il risarcimento per un inammissibileprofilo sanzionatorio/punitivo, in patente contrasto con la funzione propria della respon-sabilità civile), ma per la violazione del diritto di autodeterminazione della donna nellaprospettiva dell’insorgere, sul piano della causalità ipotetica, di una malattia fisica o psichi-ca». Le parole della Suprema Corte sembrano confermare la tesi della natura punitiva delrisarcimento, poiché, con riguardo alla posizione del minore, sussiste soltanto l’elementodell’omessa diagnosi, ossia della condotta lesiva.

Non svolge invece una funzione punitiva o sanzionatoria il risarcimento del danno daperdita della vita. Sebbene non siano ancora chiare le modalità con le quali il risarcimentodel danno verrà quantificato, esso si porrà in linea con gli standard utilizzati per la quan-tificazione degli altri danni non patrimoniali. In definitiva, si tratterà di elaborare una nuovacasella delle tabelle adoperate dalla giurisprudenza, che costituisca una base di partenzaper il computo del risarcimento. Si ribadisce che nessun pregio sembra avere l’affermazio-ne, talvolta presente nella giurisprudenza, secondo cui il risarcimento del danno da morteavrebbe una funzione punitiva poiché sarebbe destinato a soggetti diversi rispetto allavittima, non potendo per essa svolgere una funzione «consolatoria». Come risulta dallasentenza n. 1361/2014 e negli scritti di autorevoli studiosi, l’ordinamento non tollera risar-cimenti aventi natura punitiva nell’ammontare, ma ammette che non vi sia identità tra ilsoggetto leso e quello che fa valere il credito risarcitorio. Anche nei confronti della persona,titolare di un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, deceduta dopo l’evento didanno ma prima della liquidazione giudiziale del danno (conseguenza), il risarcimentospesso non potrà svolgere una funzione «riparatoria o consolatoria» se non nel senso,sopra ricordato, del vantaggio discendente dall’acquisizione del relativo credito per viaereditaria e lo stesso, a ben vedere, accade nel caso del danno da morte che conseguaimmediatamente alla lesione. Infatti, il mero credito risarcitorio, né liquido né esigibile, oveil danneggiato non abbia la possibilità di disporne non allevia il suo dolore se non in virtùdel miglioramento per la posizione degli eredi (60). Affinché possa ritenersi svolta la funzio-ne «riparatoria o consolatoria», nel senso che appare presupposto da alcuni precedentigiurisprudenziali (61), non sarebbe allora sufficiente il sorgere del credito, ma sarebbenecessaria la sua realizzazione o la possibilità di disporne. Aderendo all’interpretazioneprivilegiata dalle ricordate sentenze si perverrebbe all’insoddisfacente risultato di doverammettere l’esistenza un risarcimento con connotati sanzionatori tutte le volte in cui nonsia il danneggiato a ottenere il denaro o a disporre del credito.

(60) È sufficiente pensare alle fattispecie in cui la giurisprudenza riconosce il risarcimento del danno subitonell’«apprezzabile lasso di tempo» intercorrente tra la lesione e la morte. Come può affermarsi che in questeipotesi il risarcimento svolge per il danneggiato una funzione consolatoria o riparatoria? Sotto il profilo funzionale,quale differenza intercorre «nella sostanza» rispetto all’ipotesi di morte immediatamente conseguente all’eventolesivo?

(61) Cfr., tra le ultime, Cass. civ., 28 gennaio 2013, n. 1871, in Foro it., 2013, I, 834, la quale ha escluso larisarcibilità del danno non patrimoniale iure hereditatis in favore dei parenti delle vittime del disastro aereo diUstica del 27 giugno 1980; Cass. civ., 17 luglio 2012, n. 12236, cit.; Cass. civ., 24 marzo 2011, n. 6754, cit.

d o t t r i n a

D A N N O N O N P A T R I M O N I A L E 8 1

r e s p o n s a b i l i t à c i v i l e e p r e v i d e n z a – n . 3 – 2 0 1 4 P. 7 8 3 ⎪