Daniele Andreozzi, L'organizzazione degli interessi a Trieste (1719 -1914), Trieste , 2003

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onomica diTrieste DANIELE ANDREOZZI L’organizzazione degli interessi a Trieste (1719-1914) estratto da: Storia economica e sociale di Trieste volume 11, LINT, Trieste, 2003 L I I T

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onomicadiTrieste

DANIELE ANDREOZZI

L’organizzazione degli interessia Trieste (1719-1914)

estratto da: Storia economica e sociale di Triestevolume 11, LINT, Trieste, 2003

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L’organizzazione degli interessia Trieste (1719 1914)1

di Daniele Andreozzi

Nella vecchia Austria i fiammiferi non erano monopolio di stato, né la loro venditaal pubblico veniva in alcun modo tassata o controllata. [...] Ora avvenne che unafabbrica austriaca, per riuscire a sbrecciare la posizione fino ad allora egemonicadelle fabbriche svedesi, escogitò l’accorgimento di accordare alla società culturaletedesca, la «Stidmark», un premio annuo progressivo, in proporzione al numerodelle scatole vendute. [...] Sulla scatola era stampato il contrassegno della società.La «Lega nazionale», che era sorta sulla falsa riga della «Sùdmark», non tardò adintrodurre anch’essa i fiammiferi della «Lega». E sulle scatole era impressa da unaparte una figura allegorica di donna, l’Italia, con davanti l’ara fumante e sotto lascritta: «Date aiuto all’opera civile della Lega Nazionale». [...j Intorno aI 1902anche i socialisti vollero seguire l’esempio; conclusero un contratto con una fabbrica e ben presto si poterono acquistare i fiammiferi de Il Lavoratore, recantisulla scatola una bandiera rossa con la scritta: «Proletari di tutti i paesi unitevi».Nello sfondo un bel sole dell’avvenire giallo-oro riempiva il rettangolo coi suoiraggi infuocati. [...j I compagni sloveni fecero naturalmente altrettanto, mettendoin vendita i fiammiferi del Rdei Prapor, con la scritta simile a quella de 11 Lavoratore, soltanto in lingua slovena. Né si creda che i nazionalisti sloveni si tenesseroappartati: anch’essi avevano i loro bravi fiammiferi della società «Cirillo e Metodio»

con la bandiera bianco-rosso-blu e la scritta: Vziga1je Druzbe Sv. Cirila inMetodia — Mal poloi dar durnu tia altar; il che vuol dire: «Fiammiferi della SocietàSS. Cirillo e Metodio — Deponi un piccolo obolo sull’altare della Patria». Di fiammiferi della «Stidmark» ne venivano consumati pochissimi a Trieste. Li compravano tutt’al più i soci del Turneverein Eintracht, la società ginnastica, centro delmovimento pangermanista. Ma i funzionari dello Stato, in quanto buoni austricanti

[...j rimanevano fedeli alla vecchia marca originale svedese [...]. La guerra deifiammiferi insomma. Non mancavano anche allora gli opportunisti che tenevanoin tasca due o più scatole di marca differente, e tiravano fuori l’una o l’altra, aseconda delle circostanze [...]. La marca svedese era inoltre preferita da coloroche politicamente volevano essere del tutto neutrali [...j2

i) Ti SETFE E OTTOCENTO

1.1 Il settecentoAll’inizio del ‘700, la decisione dell’Imperatore Carlo VI di istituire ilportofranco a Trieste pose la corona asburgica di fronte a una sfida non solamente economica — imprimere alla città gli “urti necessari” atti a favorirnecrescita e sviluppo — ma anche politica. Bisognava, infatti, creare strutture

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politiche e istituzionali, avviare canali di mediazione, individuare interlocutorilocali su cui fondare l’azione di governo, istituire strumenti di controllo ed’intervento capaci di fornire la “cornice”, necessaria e imprescindibile, perconsentire quella crescita e quello sviluppo.3

Se proprio l’assenza di un forte patriziato, e quindi la mancanza di radicatiinteressi locali capaci di ostacolare l’azione sovrana, sembra essere stato unodegli elementi che avevano favorito la scelta di Trieste quale sede del portofranco,proprio questa assenza, come ha scritto Carlo Gatti nel precedente volume diquesta storia, rendeva tale sfida particolarmente impegnativa di fronte al rischio che la realtà politica locale cadesse “in una sorta di anornia”.4Inoltre,l’asprezza della sfida era ulteriormente acuita pure dalle dinamiche politico-istituzionali proprie dell’Impero. Molti storici hanno sottolineato come taleentità statuale sia stata a lungo caratterizzata dal permanere delle strutture diAntico regime e dall’esaurirsi, con Perry Anderson, “delle capacità di adattamento e di evoluzione” da parte dell’assolutismo austroungarico, al punto cheil fallimento nel raccordare la crescita e la modernizzazione che si verificarononelle strutture economiche con una pari evoluzione delle strutture politico istituzionali sarebbe stato uno degli aspetti principali del fallimento dell’Impero.

La nobiltà magiara rappresentò l’ala militante e incontrastata della reazione aristocratica, giungendo a dominare sempre più nella stessa Vienna il personale el’indirizzo politico dell’apparato assolutistico [...j Lo Stato austriaco si muoveva

verso l’Est, dato il crescente peso dell’Ungheria e il predominio, tenace finoall’ultimo, dei suoi grandi proprietari fondiari. Giustamente, l’ultimo acquisto della dinastia fu anche il territorio più arretrato di tutto l’impero — le provinciebalcaniche di Bosnia e Erzegovina, annesse nel 1909, dove il servaggio tradizionale dei contadini kmet del luogo non fu mai modificato seriamente.5

A Trieste, però, la mancanza di un patriziato, di un’aristocrazia locale, omogenea politicamente, socialmente e culturalmente ai ceti che dominavano l’areaimperiale, impose alla burocrazia asburgica scelte diverse, per molti versi eccezionali rispetto alle pratiche politiche attuate nel resto dell’Impero. Un’eccezionalità che per altro rischia di offuscare la nostra analisi ditali scelte, esaltandone la “modernità” quando, per lo meno per tutto il ‘700 e gli inizi delsecolo successivo, queste paiono trovare fondamento nelle pratiche politicheproprie dell’Antico regime. Nel suo caso particolare, anche Trieste pare essereun tassello del generale sforzo degli assolutismi europei che nel corso delXVIII secolo tentano non tanto di governare “sciolti” dalle pretese e dallerichieste della “società” — cosa che per altro non hanno mai voluto fare — madi raggiungere nuovi equilibri con questa, di individuare più adatti canali dimediazione, di attuare diverse ipotesi di raccordo e di organizzazione e rappresentazione delle pretese del “basso”.6

Nell’immediatezza della concessione del portofranco, Vienna scelse comestrumento della governabilità di Trieste, e motore del suo sviluppo, l’istitutodella compagnia commerciale privilegiata. Alla Imperiale privilegiata compagnia orientale, fondata per l’occasione, vennero infatti affidati poteri e com

piti, quasi monopolistici, di controllo e rappresentazione della nuova realtà

economica che si voleva creare. A fianco, e come bilanciamento, di questa,

inoltre, si avviò la creazione di una ancora debole burocrazia periferica, con

compiti di raccordo anche con le forze cittadine preesistenti al decreto del1717, guidata da ufficiali scelti tra il patriziato locale. La scelta, però, ricadde

su personaggi che non dovevano il loro prestigio solamente a una supremazia

esercitata nell’agone locale, ma alla loro capacità di partecipare ai circuiti

imperiali del potere; al fatto, quindi, che il loro status era riconosciuto fuori

Trieste e che l’omogeneità politica e sociale tra essi e le élites dello stato

asburgico trovava concretezza proprio al di fuori della città.7Il fallimento della Compagnia, e con essa dei progetti di crescita basati su

tale modello, decretò l’insuccesso di questi canali di mediazione tra il centro ela realtà locale, mentre l’afflusso continuo e rilevante di uomini e donne —

mercanti, imprenditori, avventurieri, artigiani, marinai — di diversa provenienza,di diversa lingua, di diversa religione e di diversi costumi — ma tutti accomu

nati dal miraggio delle nuove opportunità che prometteva l”America del

l’Adriatico” 8— se rendeva particolarmente impegnativa la sfida che le autori

tà imperiali si trovavano ad affrontare, forniva nuove possibili soluzioni.In questo contesto, per governare lo sviluppo — economico, demografico,

sociale e istituzionale — di Trieste e stringere nuovi legami con la città, Viennasembrò basarsi su tre ipotesi che tutte ancora rimandano, appunto, alla realtàpolitica dell’Antico regime e che a lungo appaiono sussistere l’una accantoall’altra, non escludendosi mai completamente e non venendo mai abbando

nate definitivamente nelle pratiche amministrative dei governi imperiali: lacittadinanza, le “nazioni”, cioè le comunità etnico-religiose, e i ceti.

Tra queste, la cittadinanza — i diritti che derivano dall’essere cittadini diTrieste e gli istituti di governo e di rappresentanza degli interessi che da tali

diritti scaturivano — appare essere lo strumento meno funzionale e meno adatto

per organizzare le forze che si muovevano sullo scenario urbano. Furono ladebolezza del patriziato cittadino che su di essa basava la propria legittimazione,l’immigrazione che modellò la crescita demografica di Trieste e lo scarso pesoche i legami espressi con l’idioma della cittadinanza avevano nel determinare

le fortune economiche, individuali e complessive, a decretarne, nel corso di unlungo e lento processo, “l’accantonamento” — ma, come vedremo, non a cancellarne il ricordo — al punto che “non ci si curò più neanche di tenere aggiornato il registro dei cittadini”.9Per altro, accanto alla cittadinanza, la burocra

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zia imperiale utilizzò altre categorie basate sulla “residenza”, ma più flessibilie più adatte alla caotica situazione triestina. La divisione del centro urbano indue diverse e separate giurisdizioni — la Città vecchia e il Borgo teresiano, poiriuniti in un’unica entità tra il 1749 e il 1752 — o la nomina di capicasa ecapicontrada con compiti di controllo sulle strade, sulla vita notturna, sul pagamento delle imposte, ma soprattutto — problema che appare centrale nellacittà del ‘700 — sull’afflusso di immigrati più o meno temporanei e sulla mobilità della persone testimoniano i tentativi degli officiali degli Asburgo.’° Tuttavia, anche tali categorie non divennero il perno delle pratiche di governo inTrieste.

Invece, “nazione” e “ceto” costituirono gli elementi centrali deldisciplinamento della realtà locale e nel contempo fornirono gli idiomi con cuiquesta si organizzò e rappresentò i propri interessi.

Ancora una volta — appunto — l’azione del governo imperiale, e le pratiche mercantilistiche da essa attuate, avevano fondamento nelle politiche economiche e sociali dell’Antico regime. Come non è difficile trovare somiglianza tra il formarsi e lo stabilirsi in Trieste delle comunità di diversa provenienzae religione — con i privilegi e le libertà che Vienna concesse loro per favorire lasviluppo commerciale del porto — e le comunità di mercanti che per secolisono state ospitate nelle città lungo le catene di traffici che univano tra lorole diverse aree d’Europa e queste con l’Oriente, così non appare certo unanovità la scelta di riproporre una società cetuale. Tuttavia, proprio le caratteristiche strutturali del contesto in cui le politiche della burocrazia asburgicasi concretizzarono sembrano determinarne gli esiti eccezionali e“modernizzanti”. Da un lato, quindi, il “ritardo” con cui, rispetto alle altrecittà commerciali europee, si tentò di favorire l’insediamento dei mercantistranieri, utilizzando strumenti nati in un mondo economico e sociale ormaiin rapida trasformazione. Dall’altro il vuoto in cui questi provvedimenti presero corpo: la debolezza dei ceti cittadini preesistenti alla nascita del portofrancoche lasciò campo libero all’egemonia dei nuovi arrivati, la mancanza di altristrumenti — consolidati, tradizionali e omogenei con le categorie politiche eculturali dell’area imperiale — di rappresentazione della società e di organizzazione degli interessi e, nel dinamismo della situazione triestina, le grandidifficoltà nello stabilire precisi criteri di classificazione cetuale. Infatti, mentre il ceto era proposto quale elemento cardine dell’organizzazione della vitadella città, la sua definizione era senz’altro ardua, non essendo utilizzabili atal fine le categorie “locali” della cittadinanza e del patriziato, né quelle aristocratiche imperiali. Inoltre, nei tumultuosi e avventurosi decenni in cui Trieste iniziò e consolidò la sua crescita, proprio per la debolezza stessa dellapiazza “ancora bambina” e la conseguente qualità degli operatori economici

che in essa si stabilirono, anche i criteri fondati sulla ricchezza e sull’onorabilità

non erano di facile e certo utilizzo.12Per altro, se i ritardi, i vuoti, la mancanza e la debolezza delle categorie

tradizionali e le difficoltà di definizioni cetuali furono tra i principali elemen

ti che contribuirono a determinare la modernità e l’eccezionalità della strada

in cui anche a Trieste, come in molte aree d’Europa, tra ‘700 e ‘800 si costituì

la “classe proprietaria”, pure l’egemonia di “nazioni” e “ceto” non furono

frutto immediato e diretto solo delle politiche governative.’3Fu la capacità di

porre le condizioni sociali per l’appropriazione delle risorse e di fungere “da

cornice alla cooperazione degli individui e dei gruppi” a garantire loro il pre

dominio.14 Fu quindi la capacità di essere il contesto in cui i nuovi immigrati

iscrivevano la propria vita quotidiana, cercavano protezione, stringevano le

gami e alleanze, ipotizzavano carriere e rappresentavano i propri interessi, ma

anche, e forse nella realtà di Trieste soprattutto, la capacità di rispondere ai

bisogni di capitalizzazione dei commercianti e degli imprenditori, fornendo

gli idiomi necessari a rinsaldare i legami e garantire la fiducia.”

In questo, nella loro aspirazione all’egemonia delle forme di organizza

zione della società e degli idiomi necessari alla sua rappresentazione, ceto e

nazioni erano senz’altro complementari, ma anche potenzialmente conflit

tuali.Si veda, ad esempio, l’intricato problema rappresentato dalle norme con

cernenti la cittadinanza. Se i regolamenti contenuti negli statuti triestini pre

cedenti la concessione del portofranco erano formalmente ancora in vigore,

non erano però più funzionali e la burocrazia imperiale non poteva basare la

propria azione su di essi. Questo senza che, almeno da quanto sembrano sug

gerire le fonti che abbiamo esaminato, fosse stata elaborata una precisa nor

mativa alternativa e chiaramente definito un nuovo diritto di cittadinanza e i

requisiti necessari per ottenerlo. Così ai capi nazione veniva assegnato il com

pito di decidere di volta in volta se accettare o meno nel centro urbano i

nuovi arrivati e, contemporaneamente, l’obbligo di mantenere quanti, appar

tenenti alla loro comunità, fossero accolti in città e poi si trovassero senza

mezzi di sostentamento. Poteva così capitare che la comunità greca fosse co

stretta a pagare le spese necessarie per espellere un “vagabondo e molesto

alla nazione” e che i capi della “nazione” ebrea dovessero decidere della sorte

di molti loro correligionari, in controversie che vedevano contrapporsi gli in

teressi di quanti erano già stabiliti in Trieste a quelli di quanti premevano da

fuori per entrarvi. Se le proteste, avanzate dai capi contro legami matrimonia

li e professionali che potevano consentire a ebrei non in grado di mantenersi

di accedere alla residenza, ottennero dalla Direzione di polizia l’assicurazione

che né un’eventuale occupazione, né un eventuale matrimonio potessero dare

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tale diritto senza l’autorizzazione dei capi della comunità, nella pratica, lasorveglianza esercitata si scontrava con l’azione dei diversi soggetti economiciche agivano in città, i quali, per interessi propri, potevano favorire l’immigrazione. Per la “nazione”, tenuta a soccorrere i suoi membri in difficoltà, il pericolo era che un accesso incontrollato di manodopera ad opera di commercianti e imprenditori si rivelasse, in un periodo di crisi economica, un caricotroppo pesante da sopportare. Da qui l’attenta vigilanza operata e le controversie, specie nei momenti in cui le congiunture economiche o politiche deglistati confinanti facevano correre il rischio di “esser innondati” da persone“che ogni picciola malattia lì può rendere mendici, poiché tosto che lavorarnon possano, hanno bisogno di carità”. In una simile congiuntura sfavorevole,Sara Udine, “donna miserabile” e divorziata cercò di stabilirsi a Trieste con lasua “creatura”, incontrando la ferma opposizione dei capi della “nazione”ebrea che ne chiesero l’immediato allontanamento per le sue condizioni diindigenza. La Direzione di polizia accolse la richiesta sostenendo che, al di làdei suoi dubbi costumi e della sua povertà, essa doveva essere considerata“per estera” poiché era figlia di un “estero” che aveva sì dimorato a Trieste, masolo per poco tempo essendo stato a sua volta cacciato. L’espulsione, però,non venne attuata, poiché la donna trovò l’appoggio di Giacomo Balletti,uno dei principali mercanti imprenditori di Trieste, forse bisognoso di forzalavoro per la sua ditta di rosolio e per l’impagliatura dei fiaschetti. Il peso diBalletti non poteva essere ignorato e così al barone Pittoni, capo della polizia, non rimase altro che comunicare immediatamente “brevi manu” ai capidella “nazione” ebrea il permesso di residenza concesso.16

Il contrasto che oppose Balletti alla “nazione” esemplifica i possibili scontri che i due principi di organizzazione — della società locale e dei suoi interessi — avrebbero potuto innescare all’interno della città. Se questo sostanzialmente non avvenne, se ceto e “nazione” trovarono un punto di coesione euna forma di gerarchizzazione e se l’idioma della “nazione” non portò all’elaborazione di forme di rappresentanza di interessi esclusivi favorendo così l’instaurarsi di un clima cosmopolita e di facile convivenza tra diverse etnie ereligioni ancora una volta sembra dipendere, in buona parte, dai modelli dicapitalizzazione propri della piazza triestina. Questa fu caratterizzata da unacostante insufficienza finanziaria, tanto che proprio i limiti di capitalizzazionedegli imprenditori locali portarono nel corso del XIX secolo alla sconfitta delcapitalismo triestino ad opera dei più forti capitalismi radicati nelle altre areeimperiali)7 Così, né i legami familiari, nè quelli etnici, nè quelli religiosi —

tutti comunque importantissimi nel funzionamento dei meccanismi finanziari, commerciali e imprenditoriali triestini per mobilitare risorse e costruirecatene di fiducia — da soli non potevano mobilitare risorse sufficienti. Furono,

invece, i legami cetuali a consentire di mobilitare a servizio dell’economia di

Trieste tutti i capitali disponili.La loro egemonia nell’organizzazione della società e nella rappresentanza

degli interessi venne formalizzata nel 1755 con la costituzione della Borsa

triestina, che il potere centrale promosse “come rappresentanza «organica»

del «Corpo mercantile»” e “come interlocutore privilegiato rispetto alle scel

te di politica commerciale”. Ad essa, nel corso del tempo, vennero via viaassegnati compiti sempre più complessivi e ancora nel 1855 era definita come

“associazione per la tutela degli interessi del ceto mercantile e per la rappre

sentanza degli stessi nei confronti del governo”.18Non seguiremo qui le vicende istituzionali e politiche vissute dalla Borsa

— di cui altri si sono occupati sia in questo volume della Storia di Trieste, che

nel precedente — limitandoci a sottolineare due aspetti centrali ai fini del

nostro discorso.’9Da un lato la costituzione della Borsa ribadiva le difficoltà

presenti a Trieste nel formulare, nel momento in cui queste diventavano il

perno della governabilità della città, categorie cetuali chiare e tali da rispec

chiare la realtà imperiale: a Trieste il ceto di riferimento non poteva che esse

re quello mercantile, con la sola esclusione dei venditori a dettaglio. Per far

parte della Borsa bastava essere commercianti all’ingrosso, avere una condot

ta “proba e onesta” e possedere il non eccezionale patrimonio di 20.000 fiorini.

Dall’altro, la sua importanza, quale momento di raccordo tra autorità centrali

e realtà locale e strumento di rappresenta di interessi, non è paragonabile a

quella di altre Borse europee, in quanto a Trieste essa fu non soltanto

l’interlocutore privilegiato del governo centrale, ma quasi l’unico.

Così, come poteva accadere che gli emissari della Borsa, soli, si presentas

sero all’Imperatore per portargli gli omaggi della città,2° tale istituto assunse

compiti di rappresentanza complessiva del centro urbano, facendo coincidere

i propri interessi con quelli della collettività degli abitanti. Naturalmente si

trattava di una lettura “ideologica” della realtà; a Trieste esistevano interessi

“altri” che non coincidevano con quelli delle sue élites mercantili e imprendi

toriali. Si trattava di interessi residui della situazione economica precedenti

all’emanazione del portofranco, come quelli dell’antico patriziato o dei pro

prietari delle saline, ma anche interessi frutto delle novità settecentesche, come

quelle dei “miserabili” che si recavano a Trieste in cerca di fortuna, o quelli di

migliaia di braccianti che, provenienti dal Friuli e dall’Istria, erano occupati

nell’edilizia pubblica e privata o, ancora, quelli degli artigiani e dei piccoli e

medi negozianti al dettaglio che, rivendicando l’importanza del proprio ruolo

per la vita della città, nel 1780 si rivolgevano alla burocrazia asburgica per

ottenere l’estensione delle esenzioni fiscali di cui godevano solo i membri

della Borsa.2’Si trattava di interessi che però non riuscivano a trovare forme

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di espressione organizzate e continue, rimanendo confinati nella protesta individuale, nella devianza. in pratiche di resistenza, come l’abbandono dellacittà e il ritorno a casa che i braccianti mettevano in atto quando le condizioni di lavoro si facevano troppo dure o i salari diventavano troppo bassi, o alpiù nella supplica presentata alle autorità.22

Comunque fosse, al di là della conflittualità pure esistente, lungo il XVIIIsecolo — nelle fasi di formazione del consolidarsi dell’emporio e anche per leridotte dimensioni e la ancora limitata articolazione sociale ed economicadella piazza — gli interessi della élite mercantile, intesa anche nelle sue declinazioni finanziarie e manifatturiere, erano effettivamente in larga misura coincidenti con quelli complessivi del centro urbano e in questo risiedeva la suacapacità di proporsi quale classe dirigente, la sua legittimazione e la consapevolezza del proprio ruolo.

Una consapevolezza che trova conferma anche nell’egemonia che il cetomercantile esercitava pure sulla vita conviviale della città, tramite il CasinoNobile o di 5. Pietro, formalmente istituito nel 1763 e che per molti anni ebbesede proprio nell’edificio della Borsa. Ad esso potevano accedere i nobilidell’Impero e degli Stati esteri, gli ufficiali asburgici e membri della burocrazia di grado elevato, i negozianti all’ingrosso, gli avvocati, i medici e i professori di scienze e lettere. Se il Casino offrì alle élites triestine il luogo in “cuirispecchiarsi e riconoscersi, segnalare la propria qualità civile all’esterno e dareforma alle proprie relazioni reciproche”, si presentò anche come luogo informale di organizzazione e promozione degli interessi.23

Questo, non solo per la possibilità di rinsaldare i rapporti orizzontali tra imembri del ceto mercantile stesso, ma, in particolar modo, per la presenza deifunzionari appartenenti alla burocrazia statale. Fornire un “ambiente” in cuicostoro potessero socializzare, stringere legami d’amicizia e magari alleviare ildispiacere per essere stati allontanati da centri allora più mondani e spensierati significava favorire l’allacciarsi di relazioni fondamentali per la promozione dei propri interessi, in un’epoca in cui a tal fine i legami individualierano un elemento centrale. A Trieste, inoltre, così strettamente dipendentedalle politiche statali e dai flussi di denaro proveniente dal centro, il raccordocon i mediatori locali del potere centrale era un punto nevralgico che purepoteva consentire di risalire le catene di fedeltà personali e clientelari cheraggiungevano Vienna e la corte dell’imperatore. Se fare luce su queste pratiche è senz’altro arduo ed è quindi difficile ricostruire i possibili intrecci diinteressi in un contesto in cui la differenza tra pubblico e privato non eraancora ben definita e largo era la spazio occupato da sprechi e malversazioni,è però facile ipotizzarne la diffusione.24 Si veda, ed esempio, l’operato dellivornese Pasquale Ricci, uno dei principali rappresentanti della burocrazia

asburgica nella Trieste settecentesca, negli anni in cui, dal 1763 al 1776, fu

presidente della Commissione delle manifatture e delle fabbriche del Litora

le, Commissione istituita su suo consiglio. Il livornese, uomo di ampie letture

e vasta cultura, aveva stretto legami di interesse con il già citato Giacomo

Balletti di cui divenne genero e risulta evidente, esaminando gli atti della

Commissione, come Ricci mettesse al servizio dei progetti del ceto mercantile

la sua penna, le sue conoscenze e anche la sua carica.25 In effetti, nella

“pionieristica” situazione esistente, i rappresentanti della burocrazia, ora scel

ti nel ceto dei funzionari che servono l’Imperatore in tutti i suoi domini e

privi di raccordi preesistenti con Trieste, appaiono giocare una partita com

plessa, in cui gli interessi propri, quelli dello Stato, quelli dei loro protettori e

referenti e quelli locali si contrappongono e si compongono in difficili e mu

tevoli equilibri. In questo contesto, va inserita anche la nascita della prima

loggia massonica avviata a Trieste attorno agli anni ‘70 del Settecento.26

1.2 La Restaurazione

Col XIX secolo, dopo gli anni difficili del periodo francese, il ceto mercantile

si impegnò in una profonda revisione dei fondamenti della propria

legittimazione quale classe dirigente e degli strumenti di organizzazione della

società. Il compito di teorizzare questa nuova immagine di sé fu svolto dal

l’intellettuale triestino Domenico Rossetti che fuse in un unico “mito fonda

tore” la antica tradizione patrizia precedente il portofranco e di Trieste quale

“libera città” — prima comune e poi immediatamente soggetta all’Impero — e

la nuova tradizione nata con la formazione del nuovo ceto cosmopolita, rivi

talizzando, dopo avergli dato nuova formulazione, proprio il criterio della

“cittadinanza”.27Al di là della mancata attuazione pratica del progetto, su

questa visione di Rossetti e sulla sua attività storico-culturale — tra l’altro

“pubblicò l’Archeografo triestino, una delle prime riviste storiche del Risorgi

mento” e “fondò la «Minerva», l’associazione tipica della borghesia intellettua

le triestina”28 — si basa quella che Giulio Cervani ha definito la “«mitologia»

della mercantilità” operante, come strumento di lettura di Trieste e della sua

realtà, non soltanto nella “pubblicistica storica”,29 ma pure — e qui è quello che

ci preme — fin da subito come discorso legittimante di pratiche e interessi.

Già in passato singoli membri del ceto mercantile avevano cercato di rin

saldare il loro status ricorrendo a fonti alternative, come ai titoli nobiliari

dell’Impero o anche all’inserimento nelle file del patriziato originale, ma adesso

tale operazione coinvolgeva l’intero ceto dominante ed era resa possibile dal

la definitiva scomparsa dalla scena politica proprio dello stesso patriziato tn

estino, scomparsa sancita dall’abolizione del Consiglio dei patrizi ad opera

L’organizzazione degli interessi a Trieste 201200 Daniele Andreozzi

dei francesi nel 1809. Questo, infatti, rendeva disponibili per i commerciantiidiomi precedentemente appannaggio dei membri del patriziato. Non era,però, soltanto la volontà di sfruttare tale occasione a spingere il ceto mercantile a questo passo, ma anche una duplice pressione, dall’esterno e dall’interno di Trieste, che rendeva incerto il loro ruolo dirigente.

Da un lato, infatti, si trattava, al momento della restaurazione del dominio dagli Asburgo, di rinegoziare i rapporti tra la città e l’Impero, sia sotto ilprofilo economico, sia sotto il profilo politico, mirando alla riconferma deiprecedenti privilegi, franchigie e sussidi e della precedente autonomia e anche, in un momento di primo consolidamento della piazza e di acuirsi dellaconcorrenza esistente tra le diverse aree economiche imperiali, di porre i primi rudimentali sbarramenti di accesso, come, ad esempio, “il diniego all’arrivodi compagnie assicurative straniere”.3°Dall’altro di rinsaldare il predominiosu un centro urbano in cui la sola impetuosa crescita economica, sociale edemografica — per altro unita al processo di modernizzazione che possiamosimboleggiare negli sviluppi dell’industria meccanica e della cantieristica chea partire dagli anni Venti del secolo cominciarono a caratterizzare il panorama industriale della città — portava al moltiplicarsi e al contrapporsi degliinteressi. Nel censimento della popolazione e delle attività economiche triestine del 1809, ad opera dei francesi, possiamo leggere che

li abitanti di Trieste possono agevolmente dividersi nelle seguenti classi, cioè inpossidenti, in negozianti, in capitalisti, in artigiani, in pescatori ed in quelli chevivono dell’industria e del giornaliero guadagno. [...] Li negozianti in vista delcommercio sono li più benestanti, molti hanno case e campagne. Li medesimidanno da vivere a più migliaia di persone e fanno vantaggiosi affari [...] Li capitalisti sono pochi, e questi vivono dell’interesse dei loro capitali [...] Li artigianiesercitano senza una privativa la loro arte. Certi hanno case di poca rilevanza equalc’uno ha la sua vigna. La maggior parte di questa classe ritira il suo sostentamento dal lavoro che il commercio e la navigazione loro fornisce [...j La classedell’industria è di quelli che vivono del giornaliero guadagno. Si annumerano lisensali, li facchini, li lavoranti manuali e quelli che sono impegnati nella costruzione dei bastimenti.31

I sintomi del complicarsi del gioco politico e dei modi di rappresentazione degli interessi erano molteplici. Nel campo della sociabilità il Casino deiNobili — rilanciato nel 1815 proprio ad opera di Rossetti col nuovo nome diCasino vecchio, ma dal 1828 non più situato nella sede della Borsa 32

— si trovòad affrontare una concorrenza assai agguerrita, come quella, organizzata neglianni Venti su basi “nazionali”, del Casino greco e del Casino tedesco o quelladel già ricordato gabinetto di Minerva o della “Società filarmonico - drammatica, di orientamento massonico”.33Analoghi fermenti si ritrovano sul terreno editoriale e della pubblicistica dove per importanza spicca la fondazione

della “Favilla”.34 Pure, gli interessi più svelatamente economici trovarono al

tre forme di aggregazione più dirette e capaci anche di esprimere posizioni

settoriali. Così a “Le stanze di Adunanza dei Signori Commercianti Associa

ti”, che si riuniva presso la Borsa ed era l’associazione più numerosa, si affian

cò nel 1831 lo “Stabilimento centrale delle unite compagnie di sicurtà, una

specie di servizio di informazioni e orientamento non [...j solamente per gli

assicuratori, ma anche per «negozianti» e armatori”.35 Nel 1834, poi, si costi

tuì, prima associazione di categoria a Trieste, “la fratellanza fra cappellai, asso

ciazione a scopo mutualistico”, seguita nel 1842, dall’Istituto di mutuo soccor

so dei Commercianti. Va notato, tuttavia, come anche nel campo dell’assi

stenza, le comunità “nazionali” non abdicarono ai loro compiti tradizionali,

continuando ad rappresentare anche in questo gli interessi dei propri mem

bri. Ad esempio, alcuni anni prima — nel 1829 — era stata fondata “la fratellan

za israelitica di mutuo soccorso Maschil E! Dal”.36Comunque, in quegli anni, il ceto mercantile riuscì a superare la doppia

sfida posta dalla maggiore articolazione della società locale e dall’evoluzione

dei rapporti con lo Stato. Dopo aver ottenuto la riconferma dei precedenti

privilegi e autonomie, vide nuovamente ribadita da Vienna la sua funzione

dirigente con l’istituzione, nel 1838, del “Consiglio ferdinandeo”. Il definitivo

tramonto del ceto patrizio preesistente al portofranco, infatti, consentì alla

burocrazia imperiale di affidare compiti di governo, di mediazione con la

società locale e di rappresentanza degli interessi a un nuovo organismo alme

no formalmente più omogeneo con i criteri vigenti nei domini asburgici. Sul

lo sfondo della ricostruzione storico-ideologica operata da Rossetti, veniva

parzialmente recuperato il concetto di cittadinanza e le categorie di ceto ve

nivano ora fissate con criteri più stabili e “tradizionali”; proprietà immobilia

re, ricchezza e cultura ne erano il fondamento. Pur ancora riconoscendo il

ruolo rivestito a Trieste dalle attività mercantili, finanziarie e manifatturiere,

sostanzialmente si affidava la rappresentanza della città alla “classe dei pro

prietari” e non pare certo un’ipotesi irragionevole supporre che questa opera

zione venisse favorita dall’importanza dell’investimento immobiliare per quan

ti, allora, impegnavano molte delle loro energie e dei loro capitali nel ramo

assicurativo.La composizione del Consiglio — i quaranta membri che lo componevano

furono eletti dal Governatore asburgico, ma al termine di una procedura che

prevedeva l’influente intervento della realtà locale — confermò quindi il pre

dominio del ceto mercantile. Se per decenni tale ceto aveva potuto esercitare

la sua egemonia attraverso la Borsa, ora tale istituto veniva affiancato da un

organismo formalmente competente sulla vita complessiva della città. Ga

rantendosi il controllo di entrambi, i mercanti triestini perpetuavano la loro

202 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 203

supremazia su Trieste, però, come spesso accade, i ritocchi istituzionali alleforme di governo rimandano a cambiamenti che coinvolgono l’intera societàe che non sempre in tali riforme trovano una compiuta espressione.

2) TRA OErO E NOVECENTO

2.1 111848

Nel 1848 all’interno dei domini asburgici scoppiarono cinque insurrezioni distinte,ma in rapporto tra loro: quella tedesca (a Vienna), la ceca a (Praga), la magiara (aBudapest) quella croata (ad Agram, l’odierna Zagabria) e quella italiana (a Milano e Venezia). Il cancelliere Metternich fu costretto a rassegnare le dimissioni, lacorte dovette abbandonare Vienna e la monarchia sembrò sul punto di sfaldarsi.Ma l’esercito imperiale condotto dal maresciallo Radetzky e dal principe Windisch- Graetz ben presto travolse le forze dei rivoltosi a Praga, Vienna, Budapest e inItalia.38

Questi fatti stimolarono la società triestina, fungendo da cartina tornasole delle tensioni e delle forze che la animavano. Non vi è dubbio che, rispettoa quanto accaduto nelle altre aree dell’Impero e di fronte a episodi ditaleportata, gli avvenimenti che interessarono Trieste furono poca cosa e che, comeha scritto Elio Apih, “la collocazione di Trieste in Europa e il contenuto dellacostruzione austriaca [...J [furonoj i reali oggetti della competizione politicadi questo anno”, mentre il problema centrale rimase quello dell’autonomia edella “libertà” della città.39 Tuttavia quello che ci preme sottolineare è l’improvviso animarsi della vita politica triestina.

Un veloce e incompleto sommario elenca un tentativo di avviare un motorepubblicano, un’attività pubblicistica di stampo risorgimentale, il costituirsidi un movimento filogermanico — maggioritario nel centro urbano — che siorganizzò nella Giunta triestina, la fondazione della Società dei Triestini distampo autonomistico, le elezioni per la nomina dei rappresentanti alla Costituente tedesca e per la formazione di un Consiglio municipale — elezioniduramente contestate, tanto che la minoranza fece mancare il numero legalenecessario per il funzionamento del Consiglio stesso — l’apparire sulla scena di“un ceto medio di orientamento italiano” e pure di un “primo manifestarsi diun risveglio slavo. Dalle file della società mercantile si costituì infatti unasocietà slava, forte di trecento membri” — del 1849 è l’uscita del primo giornale slavo di Trieste — e poi ricordiamo gli “scioperi e gli «assembramenti» difacchini e lavoranti esasperati per la crisi economica”.’1°

Se il ceto mercantile, generalmente raccolto nella Giunta, mantenne lasua egemonia, improvvisamente la città si divise in posizioni apertamenteconflittuali, portatrici di idee sul destino della città futura contrapposte epunti di riferimento di interessi non più omogenei. Come ha scritto Marina

Cattaruzza, il 1848 ebbe “l’effetto di un catalizzatore rispetto alla formazione

di correnti politiche, alla nascita di un giornalismo di opposizione, all’organizzazione di prime campagne elettorali e alla mobilitazione dell’opinione pub

blica”.41 In tal modo, il 1848 aveva rivelato le tensioni che si erano accumulate

a Trieste nei decenni precedenti all’ombra del trionfo del ceto mercantile eche il diversificarsi dei centri della sociabilità e la ripresa delle categorie “na

zionali” quali strumenti di organizzazione sociale avevano annunciato.Come abbiamo già detto, molte di queste tensioni erano frutto diretto

della crescita della città stessa: l’aumento demografico e la maggiore com

plessità economica e sociale avevano significato la moltiplicazione dei settori

economici attivi in Trieste e l’accresciuta importanza, per numero degli addet

ti e influenza sulle sorti del centro urbano, di molti di essi, provocando così un

aumento quantitativo e qualitativo degli interessi presenti. Inoltre, le dinami

che della crescita avevano avuto conseguenze importanti sui rapporti esisten

ti tra i diversi interessi, mutandone la gerarchia e le interazioni. Riguardo a

ciò, due elementi ci sembrano particolarmente significativi.A partire dagli anni ‘30 e ‘40, in seguito ai profondi mutamenti che inte

ressarono i traffici internazionali a causa dell’ammodernamento dei mezzi di

trasporto e delle pratiche commerciali, si avviò la progressiva trasformazione,durata decenni, di Trieste da emporio a porto di transito. Se i contemporanei,con ragione, addossarono pure a fatti congiunturali la responsabilità dei diffi

cili momenti vissuti dal commercio — nel corso degli anni ‘40 la profondità

della crisi trovò espressione in un decremento degli abitanti della città — non

vi è dubbio che la lenta transizione verso il porto di transito impose muta

menti strutturali, nella misura in cui il traffico intermediario era una forma di

commercio con minori ricadute, in termini di ricchezza, per la città ed esaltava

il ruolo delle case di spedizione piuttosto che delle grandi case commerciali.

Come scrive Nereo Salvi, “interessa meno i capitali, la capacità degli operato

ri economici e lascia un guadagno relativamente scarso”.42 Così, se questo

impose al ceto mercantile di ridefinire la propria posizione e i propri investi

menti, nello stesso modo lo costrinse a ripensare anche al proprio ruolo diri

gente, sia perché nel momento in cui il commercio bastava sempre meno a

sostenere l’economia cittadina bisognava formulare una nuova idea credibile

per una città futura, sia perché rischiava di aumentare lo scollamento tra gliinteressi dei grandi commercianti e quelli degli altri settori della società trie

stina.43 Nel frattempo, lo sviluppo delle industrie, e soprattutto di quella mec-

204 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 205

canica e della cantieristica, si avviava a caratterizzare il panorama economicoe sociale di Trieste, acquistando un ruolo di primo piano anche nella stessaforma del centro urbano e sui modi dell’insediamento. Dalla metà del secolole grandi concentrazioni operaie dei cantieri e delle principali manifatture, e iloro interessi, erano diventate una presenza ineludibile della realtà cittadina.

Inoltre la pluralità di interessi frutto della crescita trovò espressione in unsistema politico che si avviava a connotarsi in “senso moderno”, con “lo smantellamento delle strutture di coesione corporativa”, “la crescita delle funzionie la dilatazione dei territori di intervento dello Stato”, “la progressivapredominanza delle strutture di associazione libera sul terreno, della rappresentanza formale degli interessi sociali”, “l’emersione piena della società civile a matrice individualisticoborghese’.W

Tuttavia, a Trieste nella seconda metà dell’800 — e anche oltre — “la stradadella modernizzazione delle istituzioni e della liberalizzazione politica”45 fucaratterizzata dalla parziale continuità degli idiomi usati per esprimere e organizzare gli interessi. Una continuità che risiede nel modo in cui, anche inseguito alle dinamiche economiche, sociali e politiche che caratterizzarono lastoria dell’Europa di quegli anni, gli idiomi precedentemente utilizzati e i cuicontrasti e interazioni avevano modellato la realtà triestina — “nazione” e“ceto” — vennero adattati alle nuove condizioni; trasformati nelle nuove declinazioni di “nazionalismi” e “classi”, ma in parte sempre basati sui “miti”precedenti, continuarono ad essere gli strumenti principali per l’organizzazione e la rappresentazione degli interessi.

Da un lato, infatti, durante i processi di nazionalizzazione ottocentesca,nell’accrescersi dei compiti dello Stato e nell’approfondirsi dei fenomeni didemocratizzazione, lo Stato nazionale assunse “il paradigma della convergenza e identificazione tra territorialità e etnicità (genealogica e culturale)”, elaborando e imponendo “specifici criteri di affiliazione”, tra i quali spiccava lalingua, mentre si poneva quale attore di primo piano della politica internazionale e della concorrenza tra Stati. Dall’altro, sempre nello stesso contestoeconomico e sociale e sotto la spinta dilagante dell’industrializzazione, il proletariato emergeva quale uno dei principali protagonisti della vita politica.46Tutto ciò favorì il diffondersi di nuove rappresentazioni, di nuovi modi diorganizzare e di esprimere gli interessi il cui influsso si fece predominante inTrieste non solo in seguito alle dinamiche interne, ma anche a causa degliinfiniti raccordi — economici, politici, sociali, amministrativi e culturali — esistenti tra questa e la situazione dell’Europa e dell’Impero asburgico. Inparticolar modo, i tempi e i modi della lotta politica e della concorrenza economica innescatasi all’interno dell’Impero — e tra le diverse entità che lo componevano e gli interessi che in esse erano radicati — nonché la traiettoria vis

suta dalle strutture politiche e istituzionali dello Stato asburgico e le dinami

che della competizione tra questo e gli altri potentati europei appaiono aver

avuto riflessi importanti sulle vicende triestine. Fu in tale contesto che nuovi

idiomi per rappresentare e organizzare gli interessi trovarono un comodo ve

icolo nella pubblicistica dell’epoca — nei libri, nei giornali, nelle stampe — ma

anche nell’intensa mobilità degli uomini che avvolgeva Trieste in un reticolo

di relazioni che andava ben oltre i suoi confini fisici e politici.

2.2 I nuovi interessi. Le élites

Durante la seconda metà dell’800 e, col nuovo secolo, fino allo scoppio della

prima Guerra mondiale, nella crescente integrazione tra le diverse aree eco

nomiche dell’Impero e nella crescente concorrenza tra i diversi capitalismi

che su di esse si incentravano, il capitalismo triestino appariva incapace di

reggere l’urto di avversari più agguerriti e più forti, e cioè dei poteri economi

ci radicati a Vienna e a Praga.47A Trieste, infatti, se la crisi dell’emporio imponeva ai capitali non più

impiegati nei commerci di cercare altre strade, gli impieghi alternativi nei

settori industriali e finanziari non sempre erano coronati dal successo. Anzi,

man mano che si ci avvicinava alla fine del XIX secolo, il capitale triestino, a

parte la sua tenuta nel ramo assicurativo, fu costretto “a rifluire verso i settori

più marginali”,48mentre il decadere del ruolo di Trieste quale piazza finanzia

ria si accompagnò alla penetrazione delle banche viennesi. Furono queste a

finanziare non solo lo sviluppo industriale, specie nella cantieristica, ma an

che i programmi di costruzioni pubbliche volti all’ammodernamento delle

infrastrutture necessarie alle attività commerciali. Tale rifluire, inoltre, si

concretizzò anche in un processo di trasferimento di importanti centri deci

sionali e di direzione economica da Trieste in altre aree — ad esempio, “dopo il

1891 il presidente del Lloyd viene designato per decreto imperiale e nel 1906

la sede della società è trasferita a Vienna” — e nella perdita del controllo degli

istituti bancari che erano stati roccaforte della ricchezza locale; la Banca Com

merciale Triestina passò sotto il controllo del Wieber Bank Verein, mentre nel

1911 venne liquidata la Banca Popolare.49Tutto questo, unitamente a un processo di forte concentrazione verifica-

tosi nel settore assicurativo — delle quattordici compagnie attive nel 1870, nel

1885 ne erano rimaste sei, ridottesi poi dopo pochi anni a due5°— e a fronte

dell’aumento demografico, provocò un restringersi delle possibilità disponi

bili per le carriere personali dei membri, e dei discendenti, della ormai vec

chia classe dirigente di origine mercantile e un declassamento e una perdita di

status per molti. Se per alcuni, dotati di maggiori ricchezze e maggiori capaci-

206 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 207

tà di capitalizzazione oppure di elevate qualità personali, fu possibile elaborare strategie di carriera incentrate sull’inserimento nei circuiti imprenditoriali e finanziari imperiali, questa soluzione non fu praticabile dalla élite triestina in quanto ceto. Proprio tale incapacità ad elaborare non solo strategiepraticabili da tutti i suoi membri per affrontare l’inevitabile crisi diriconversione e le tensioni economiche frutto della competizione scatenatasinell’area asburgica, ma anche un’idea del futuro della città credibile econdivisibile da strati più ampi, segnò la fine dell’egemonia esercitata dalceto fino allora dirigente.5’

Sotto la spinta del declassamento e dell’accentuarsi pure della concorrenza interna, il moltiplicarsi delle proposte e delle pratiche attuate, rifletteva ilfrazionarsi e il divaricarsi degli interessi all’interno della élite e il moltiplicarsidegli idiomi elaborati per rappresentarli e degli istituti creati per sostenerli.La frattura più ampia divideva proprio quanti riuscirono a mantenere unruolo all’interno dell’area economica imperiale e quanti furono costretti adarroccarsi nell’agone locale. Per questi la principale posta in gioco divennequella della gestione del centro urbano e della sua municipalizzazione. Comeabbiamo visto, non si trattava degli investimenti strategici necessari allamodernizzazione infrastrutturale — lasciati alla mano pubblica a alle grandibanche viennesi — quanto della gestione della vita cittadina e delle occasioniposte dalla sua crescita: la questione del piano regolatore, la riqualificazionedelle aree degradate, gli investimenti immobiliari necessari per affrontare inuovi bisogni abitativi, la costruzione dei quartieri popolari e di nuove periferie, l’acquedotto, i trasporti, la fornitura del gas. Per altro, proprio su questopiano — forse anche per l’importanza che l’investimento immobiliare e quindila “tenuta” e la crescita urbanistica della città rivestivano per il compartoassicurativo — i diversi spezzoni in cui ormai si articolava l’élite triestina ritrovavano un’unità di fondo, in un intreccio di interessi non sempre chiaro elimpido e spesso anche a scapito dei bisogni complessivi della città stessa.52

2.3 I nuovi strumenti. Le élites

Fu soprattutto nel campo dell’associazionismo e della rappresentanza politica che le tensioni di quei decenni ebbero più chiara manifestazione. È tuttavia senz’altro difficile, per lo spazio disponibile, dare qui un resoconto completo e particolareggiato della pluralità di iniziative, degli schieramenti che siconfrontarono, delle diverse aggregazioni di interessi e dei modi di rappresentazione che in quei decenni animarono questi aspetti della vita cittadina.Sono, questi, aspetti in gran parte noti soprattutto grazie alle ricerche di Marina Cattaruzza e Anna Millo e di cui ci limiteremo quindi a delineare quegli

elementi che ci sembrano essere centrali per la comprensione delle dinamichetriestine.53

Testimonianza dell’evolversi degli interessi presenti all’interno delle éliteè, ad esempio, data dall’evoluzione stessa della Camera di Commercio che,subentrata alla Borsa nel 1850 raccogliendone ruolo e funzioni, presto mutò ilnome in Camera di Commercio e industria di Trieste. La Camera continuò —

“con funzioni di tipo consultivo, informativo e propositivo”54 anche nella

seconda metà dell’Ottocento a rappresentare gli interessi del mondo econo

mico triestino elaborando strategie, individuando settori d’intervento e, soprattutto, contrattando colle autorità i modi di intervento e i flussi di aiuti,sussidi e agevolazioni. Questo, però, in un contesto, appunto, reso molto piùcomplesso dal divaricarsi delle posizioni dei suoi stessi membri, dall’appariredi un sempre maggior numero di istituti ed associazioni concorrenti e di av

versari che si fecero sempre più forti e organizzati. L’attenzione ora prestataal comparto secondario e alle possibilità che esso apriva ai capitali triestini e

i dibattiti che per decenni ne accompagnarono lo sviluppo erano di per séprova di questa nuova complessità. Si pensi “alla fondazione di una Lega deidatori di Lavoro, divisa secondo rami commerciali e industriali”, che fu istituita, anche su pressione della stessa Camera, con lo specifico obiettivo di af

frontare il nascente movimento operaio, superando così la pratica seguita fino

ad allora di frazionare la contrattazione nelle singole aziende, magari conl’appoggio della forza pubblica.55 Analogamente, altra testimonianza ditaleevoluzione è fornita dalla nascita di istituti di rappresentanza di un ceto diprofessionisti e dirigenti d’azienda che nelle opportunità offerte dallamodernizzazione di Trieste e dalla crescita del suo apparato produttivo intravedeva la possibilità di elaborare nuove strategie volte alla difesa dello statusattraverso “il sapere tecnico”. Nel 1878 nacque la Società d’ingegneri ed ar

chitetti di Trieste, come “luogo d’incontro e di libera discussione sui principaliproblemi tecnici e professionali”, ma anche con l’obiettivo della “difesa mo

rale e materiale” della categoria. A questa associazione parteciparono per lo

più ingegneri civili “con specializzazione nell’edilizia” e in effetti suo terrenoprivilegiato d’intervento furono “i temi legati alla costruzione di infrastrutture e alle opere di urbanizzazione” e, nel 1910, fu affiancata dalla Camera degliingegneri e degli architetti autorizzati, “in tutta analoga negli scopi e nellefinalità”, ma formata da quei professionisti che nel campo delle costruzioniedilizie “erano più direttamente esposti sia nei confronti del comune, sia nei

confronti della committenza privata”.56Tuttavia, ci sembra che tali organismi “orizzontali”, nel senso che organiz

zavano gli interessi tagliando orizzontalmente la gerarchia sociale, non fosse

ro ormai più il perno centrale delle strategie della élite locale. Questo anche

208 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 209

per quanto concerne gli spazi della sociabilità. Senz’altro in città vi eranoluoghi in cui il momento associativo e ricreativo consentiva il rafforzamentodi interessi e la costruzione di identità cetuali come l’Associazione dei commercianti, che nel 1891 raccoglieva 1796 soci — “probabilmente la quasi totalità dei commercianti locali che difficilmente possono fare a meno dei serviziche essa offre” — oppure gli spazi che “l’élite del denaro”, al di là di qualsiasidivisione, riservava a se stessa grazie agli alti costi d’entrata, come il Circolodell’Unione, il Casino vecchio, il Lawn Tennis Club, la società ippica e la società di scherma. Tuttavia sostanzialmente essi non solo non monopolizzavanopiù la scena cittadina, ma neppure erano in grado di esercitare una precisaegemonia.58

Infatti, nel momento in cui l’arena locale e le risorse, anche e soprattuttoeconomiche, che in essa erano in gioco erano diventate elemento fondamentale per la riproduzione della stessa élite e per la soddisfazione di molti degliinteressi che questa esprimeva e il controllo delle istituzioni amministrativelocali assumeva sempre maggiore rilevanza ai fini dell’appropriazione di quellerisorse, la crescente perdita di egemonia e di legittimazione in quanto classedirigente e la minaccia della forte concorrenza di interessi “altri” — compresiquelli dello Stato e delle diverse forze economiche che agivano nell’area imperiale — ne mettevano sempre più in discussione il ruolo e la capacità dicontrollo proprio su tali istituzioni e quindi su tali risorse. La necessità dielaborare nuovi idiomi legittimanti capaci di rinsaldare l’egemonia della élite,per altro, era ulteriormente accresciuta dalla evoluzione, in senso democratico, delle strutture politiche imperiali, evoluzione che nel 1907 portò al suffragio universale con profonde ripercussioni sulla vita politica locale. Tale evoluzione, infatti, impose all’élite triestina, nelle sue diverse articolazioni, di farsiriconoscere quale classe dirigente da strati della popolazione sempre più vasti.

In questo contesto, però — ripetiamo — la élite triestina si dimostrò incapace di elaborare strategie e proposte “economiche” capaci di rappresentarel’intera città.59 Non è che mancarono tentativi in tal senso. Oltre alle funzioniche, come abbiamo visto, la Camera continuò a svolgere, progetti di ampiaportata furono elaborati nella cerchia di quei triestini che erano riusciti arimanere protagonisti del sistema economico imperiale, come il barone Pasquale Revoltella e Giuseppe Morpurgo e i loro ampi disegni incentrati sulpossibile sviluppo dei traffici seguente alla costruzione del canale di Suez.6°Addirittura, nel 1865, su iniziativa di “alcuni tra i più noti e qualificati ingegneri e progettisti urbani allora attivi a Trieste” venne fondata l’Associazionetriestina per le arti e l’industria col progetto di sostenere “l’unione tra capitalisti, ingegneri e operai alla quale affidare il compito di promuovere l’innovazione nel contesto dell’economia triestina” e “indicando l’industrializzazione

come via d’uscita dalla crisi del porto”. Nell’ottica dei fondatori lamodernizzazione, da perseguirsi tramite questa via, era quindi un processoche poteva “essere razionalmente guidato, integrando le classi lavoratrici nellavoro attraverso un’opera di educazione e di qualificazione, ottenendo nellostesso tempo una nuova legittimazione per le classi dirigenti”. A guida diquesto processo i tecnici, forti del loro sapere, in un progetto che non si chiudeva nei luoghi di lavoro, ma abbracciava, verticalmente, “anche la societàintera”. Per tali fini, e per l’importanza che in questi assumeva l’educazionedegli strati inferiori della popolazione, l’Associazione, che pubblicò anche unperiodico — L’amico dell’artiere — si affidava a “mutualismo, auto-previdenza,casse di risparmio, biblioteche popolari, scuole di arti e mestieri”.6’

Tuttavia tali tentativi ebbero al più solo un successo parziale, bloccati dalla limitatezza delle risorse disponibili che ne impediva l’attuazione e dalladinamica dei rapporti con i poteri statali e dal contesto internazionale, realtàsu cui la città giuliana riusciva sempre meno ad incidere. Né potevano esseresufficienti a legittimare un ceto dirigente i tentativi di rappresentare gli interessi locali operati a livello personale da quei triestini ancora interni ai circuitiimperiali del potere, né la pur intensa attività filantropica e assistenziale pubblica e privata gestita delle élites.62 In effetti si trattava di strumenti troppolimitati per conquistare l’egemonia, anche perché, mentre proprio la debolezza economica e i limiti delle capacità di capitalizzazione della piazza nel corsodella seconda metà dell’800 avevano decretato la subordinazione del capitaletriestino alle grandi banche viennesi, queste avevano assunto molti dei poteridecisionali e delle capacità di contrattazione con lo stato centrale che primaerano stati appannaggio del ceto mercantile di Trieste, portando una graveminaccia — che via via si concretizzò verso il passaggio tra i due secoli — allastessa autonomia politica della città. Una città che, inoltre — come sembravano aver capito i membri dell’Associazione triestina per le arti e l’industria —

stava affrontando l’immane compito — e questa è forse un’altra analogia congli Stati Uniti — di amalgamare, in un processo rapidissimo, genti delle piùdiverse provenienze e culture non solo per formare un nuovo cittadino, maanche una nuova forza lavoro.

Così, di fronte a tali sfide e alla sempre crescente debolezza degli idiomimodellati su categorie cetuali ed “economiche”, le élites triestine ricorsero, aifini della promozione dei propri interessi e per ottenere la legittimazionenecessaria quale classe dirigente, agli idiomi delle “nazionalità”.

L’adozione ditali idiomi fu senz’altro facilitata dal fatto che essi — anchese oramai qualitativamente diversi in seguito ai modi dell’evoluzione del sistema degli Stati europei — erano, come abbiamo visto, da sempre presentiquali possibile principio ordinatore della società cittadina. Non erano estra

210 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 211

nei alla vita e alle tradizioni della popolazione e, anzi, erano un elementoimportante della vita quotidiana di tutti. Tuttavia molti altri fattori concorsero a tale esito. Innanzitutto furono le vicende politiche interne all’Impero acontribuire con forza a porre in primo piano la questione delle nazionalità.L’essere il costituzionalismo asburgico realizzato soprattutto sul piano dei diritti nazionali, il contenuto del compromesso del 1867 che salvaguardava leesigenze dei gruppi etnici più forti (in particolare tedeschi e ungheresi), ledifficoltà poste da una struttura istituzionale fondata su basi territoriali storiche in una situazione di diffuso groviglio etnico, il vacillare “con la tendenzialemobilizzazione della società [...] [delle] tradizionali linee di demarcazionetra i gruppi nazionali”,63la concessione del “diritto inalienabile di conservaree sviluppare la propria nazionalità e la propria lingua”TM furono elementi determinanti nel rendere l’idioma forgiato sulle identità nazionali un mezzoprivilegiato per esprimere i conflitti e la lotta politica dell’epoca e nel contempostrumento di organizzazione della vita sociale. Inoltre, ebbero notevole importanza pure i modi della concorrenza scatenatasi tra i diversi centri di potere economico presenti in area imperiale — Vienna, Praga e Trieste — che sicollegarono direttamente a contenuti etnici e linguistici. Poi gli esiti di questastessa competizione — che vedeva Trieste perdente — se provocarono risentimenti nella città giuliana, soprattutto restrinsero le possibilità di carriere esoddisfacimento degli interessi, rendendo acuta la competizione tra queglistrati che non riuscirono a entrare nei circuiti delle élites imperiali e che eranominacciati dalla perdita di status e dal declassamento economico. In tal modo,l’importanza dei proventi economici derivanti dal controllo della municipalità, ma anche di quegli sbocchi professionali in cui il problema della linguad’uso poteva diventare elemento determinante — le carriere, direttive e non,nelle banche, nelle imprese o nella burocrazia, la professione forense, l’insegnamento — a sua volta favorì il diffondersi dell’identità “nazionale”. Infine,bisogna ricordare il ruolo giocato dall’italofonia di Trieste che, come ha scritto Roberto Finzi, rendeva permeabile la città agli influssi della cultura italiana e quindi anche agli ideali “modernizzanti” del Risorgimento.65

In questo contesto l’adozione degli idiomi della “nazionalità” da partedelle élite locali pare da un lato essere inizialmente soprattutto uno strumento da spendersi nella difesa dell’autonomia triestina dalle sempre maggioriinvadenze dello stato e dei propri interessi minacciati dai capitalismi rivali,dall’altro una via per riacquistare un proprio ruolo dirigente riuscendo a governare il tumultuoso processo di formazione della “nuova” forza lavoro e del“nuovo” cittadino di Trieste. Anche per questi motivi “l’opzione a favore della nazionalità era aperta anche agli «stranieri» e veniva considerata nei termini di una scelta culturale’ e un’importanza fondamentale venne affidata ai

progetti “di educazione di massa”, capaci di offrire “un modello e uno stile divita tali” da favorire l’assimilazione al “gruppo socialmente e nazionalmentedominante”.67 Così, nel corso della seconda metà dell’Ottocento, l’afferma

zione dell’identità italiana e “libera” di Trieste divenne il fondamento delle

pratiche attuate dal ceto dominante per la rappresentazione dei propri inte

ressi e per la creazione degli istituti preposti a ciò, conquistando lo spazio

cerimoniale e associativo, lasciando a quanti ritenevano conveniente percor

rere altre strade, magari di minor contrapposizione con il potere asburgico,

una visibilità minoritaria.Perno di questa strategia fu il controllo dell’apparato amministrativo

comunale, con la conseguente necessità di primeggiare nelle contese eletto

rali cittadine. Il Partito liberal-nazionale fondato nel 1868 fu il partito

maggioritario dal 1882 al 1914 e comunque, dal momento della sua nascita,

riuscì, grazie al sostanziale accordo esistente tra le diverse articolazioni del

ceto dominante locale, a far sì che il predominio sulla macchina ammini

strativa rimanesse saldamente nelle mani delle élites.68 Questo consentì dicostruire una fitta e solida rete clientelare che, nel momento in cui diventa

va il sostegno dell’egemonia del ceto dominante e quindi strumento della

promozione dei suoi interessi collettivi, diventava pure lo strumento per la

rappresentazione degli interessi individuali dei suoi membri e dei clienti

appartenenti ad altri strati sociali. A sostegno ditale rete fu edificato un

sistema di associazioni in grado di avvolgere l’intera società. Si trattava di

“poche unità associative (scolastiche, teatrali, ginniche, ricreative,escursionistiche) a dimensione cittadina e con un numero di iscritti

corrispondentemente elevato”.69 Ad esempio, in un veloce e non esaustivo

elenco, la Pro Patria, poi Lega nazionale, impegnata nella promozione delle

scuole italiane e dello “studio della cultura italiana”, la ancora attiva Socie

tà di Minerva, la Società per la lettura popolare, fondata nel 1869, che si

proponeva “di diffondere, mediante la lettura, l’educazione e l’istruzione

del popolo”, le Biblioteche popolari circolanti, la Società di ginnastica (poi

Unione ginnastica) che, partendo dalla pratica sportiva, si pose l’obiettivo

dell’organizzazione del tempo libero, conquistando un posto importante

nello spazio cerimoniale cittadino, l’Università Popolare, istituita nel 1899,

la Società triestina di patronato femminile, per l’educazione delle donne

appartenenti alle classi meno agiate e “il reperimento di domestiche di lin

gua italiana”, la Lega contro la tratta delle bianche, contro la prostituzio

ne.70 Vi erano poi altri istituti, pubblici e privati, che, proprio in una stretta

e non sempre limpida connessione tra l’aspetto pubblico e quello privato, aifini del consolidamento dell’egemonia delle élites e delle sue reti clientelari, si occupavano delle gestione di interessi più “materiali”: nel campo della

212 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 213

beneficenza e dell’assistenza — come l’istituto dei poveri, i ricreatori, allavigilia della Prima Guerra mondiale, la Società degli amici dell’infanzia,l’Ufficio della protezione dell’Infanzia, la Carità e lavoro, la Poliambulanza,la Lega contro l’alcolismo, La Società contro la tubercolosi — sul fronte deipressanti bisogni abitativi dei triestini — come la Società costruttrice di edifici popolari e l’Istituto comunale per le abitazioni minime — oppure sulterreno finanziario con la Banca popolare di Trieste, fallita nel 1910, che alungo rappresentò uno degli strumenti delle politiche del partito liberai-nazionale “di aggregazione del consenso nei confronti di quella piccola emedia impresa e di quell’artigianato che dell’attività edilizia [...j [erano] laspina dorsale”.7’A questo insieme di associazioni, circoli e istituti si accompagnava un’intensa attività giornalistica e pubblicistica. Infine, a capo diquesto sistema, il partito liberal-nazionale e gli interessi che rappresentavatrovavano un momento finale di ricomposizione e reciproco riconoscimento all’interno delle file della massoneria.72

2.41 nuovi interessi. Gli slavi

In modo forse un po’ troppo teleologico — ma in questo forse siamo parzialmente giustificati dallo spazio limitato — abbiamo incentrato la nostra attenzione sulle élites triestine e sulla identità “nazionale” che, nel corso delle vicende sette-ottocentesche e su quelle basi materiali che con precisione haidentificato Roberto Finzi, emerse a Trieste come maggioritaria.73Senz’altronon era l’unica identità presente nel centro urbano. Anzi, proprio gli stessiprocessi che portarono al rafforzamento di quella italiana, furono responsabili del parallelo affermarsi delle altre identità “nazionali”.74Oramai, nell’ultimo decennio del XIX secolo e nel primo del XX, “per ogni possibile tipo diattività ogni gruppo nazionale ha formato le proprie [associazioni]”. Eccosolo alcuni esempi: la società ginnica dei tedeschi Turnverein Eintratch, ilDeutscher Schulverein e il Deutscher Sprachverein per la diffusione dellalingua e della cultura, il circolo Schiller- Verein dei tedeschi fedeli alla monarchia, il circolo dei magiari Trieszki Magyàr Kòr, quello dalmato DalmatinskiSkup, la Società serba Kolesarski Klub Sokol, il circolo tirolese Andreas Hofer,la società alpina Deutscher und Oesterreichischen Alpenverein, la società diginnastica Maccabi, “frequentata da ebrei sionisti”, e infine le associazionifedeli alla monarchia come la Società triestina Austria.75Fu, però, soprattuttola componente slovena, in un rapporto per noi non ancora definitivamentechiarito con il complesso del mondo slavo, a porsi quale concorrente dell’identità italiana, elaborando interessi propri e autonomi istituti di rappre

sentanza capaci di porsi quale effettivo avversario dell’egemonia delle élitesmaggioritarie.76

L’incapacità dimostrata da queste ultime nell’elaborare strategie condivise per la promozione degli interessi complessivi della città, il restringersi dellepossibilità di successo delle carriere personali e l’acuirsi della concorrenza perla conquista delle più scarse risorse economiche e relazionali disponibili dovettero contribuire a far sì che la pratica dell’assimilazione spontanea al gruppo dominante apparisse, soprattutto per gli strati intermedi, una via sempremeno proficua ai fini dell”integrazione urbana”, della ascesa sociale e dellasoddisfazione degli interessi individuali.77Parallelamente, il “risveglio” della“nazione” slava e il crescere della forza — e della capacità di espansione nellediverse aree dell’Impero — dei potentati economici ad essa collegati offrivanonuovi idiomi e nuove strategie utili per l’organizzazione e la promozione degli interessi.

Così, sotto la spinta di un consistente nucleo borghese, la minoranza slovenadivenne protagonista dell’agone politico locale, elaborando interessi propri epropri ed autonomi istituti di rappresentanza forgiati attraverso gli idiomidella nazionalità. Dopo i primi fermenti manifestatisi, come abbiamo visto,nell’immediatezza del 1848, entro il “1914 vennero fondate a Trieste più diottanta associazioni slovene”, molte di carattere contadino e strettamentelegate alla chiesa cattolica e alle sue gerarchie, ma anche urbane e laiche; sitrattava di cori e gruppi musicali e teatrali, confraternite religiose, societàginniche, associazioni educative e ricreative, cooperative e società di mutuosoccorso.78 A queste si affiancò un nutrito gruppo di giornali. Ad esempio, nel1861 venne fondata la società di lettura Slavanska italnica, nel 1885 la Cirilloe Metodio, volta alla promozione delle scuole e della cultura slovene, poi lasocietà ginnica Traki Sokol e quella di mutuo soccorso Slavjansko delavskopodporno drutvo; dal 1874 venne edito l’Edinost, diventato quotidiano nel1898. A capo ditale rete di associazioni ed elemento centrale della promozione degli interessi sloveni, anche sul terreno elettorale, era la società politicaEdinost e nel 1904 tutto ciò trovò espressione “fisica” e simbolica all’internodi Trieste con la costruzione del Narodni dom (Casa nazionale), un edificiopolifunzionale che ospitava tra l’altro spazi ricreativi e culturali, associazionie giornali.79

Per altro, questa rete si sostanziava e trovava sostegno nel rapporto con leautorità centrali e con la Chiesa, ma soprattutto con quegli interessi economici che, esclusi dalle élites maggioritarie dalle risorse municipali, ad essa facevano riferimento, anche per elaborare strategie di crescita, e con essa eranostrettamente intrecciati. Ci sembra indubbio, infatti, che a rendere particolarmente rilevante nello spazio urbano la questione “nazionale” siovena sia sta-

214 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 215

ta — in un momento in cui le risorse si facevano più scarse, specie per gli stratiintermedi — la forza espansiva degli interessi economici ad essa collegati e cheessa utilizzavano come strumento di promozione, anche teorizzando “un’economia organizzata su base etnica”. Questo, nel corso degli anni Ottanta delXIX secolo, portò alla costituzione di un coeso sistema di “cooperative, associazioni di categorie, casse di risparmio, di mutui e prestiti”.8°Soprattutto, ful’introduzione delle banche slave, slovene e croate, impegnate anche nel sostegno delle imprese “nazionali”, sulla piazza triestina a fornire lo strumentoprincipale per elaborare politiche e strategie di promozione degli interessi.“Nel 1901 e, rispettivamente, nel 1905, vennero fondate la Ljubljanska Banka— con la partecipazione della yvnostenskà Banka di Praga — e la JadranskaBanka, con l’apporto di capitale croato”.81 Nel 1913, quando oramai le banche locali che facevano riferimento alle élites maggioritarie avevano vissutola loro crisi, operavano in città “9 istituti bancari sloveni, croati e boemi”.82

2.5 Gli interessi “altri”. Il movimento operaio

Come già abbiamo detto, la continua crescita dell’industria triestina e la suaaffermazione quale elemento fondamentale nel contesto dell’economia cittadina portò, naturalmente, al parallelo apparire nell’agone urbano di quelleclassi sociali che di essa erano il necessario corollario e dei loro interessi. Soprattutto, nel giro di pochi decenni si formò un proletariato moderno. Glioccupati nel settore secondario presto rappresentarono la parte più consistente della forza lavoro impiegata in città, le imprese attive nei compartidella meccanica, della cantieristica e dell’edilizia impiegavano molte migliaiadi operai e vi erano stabilimenti in cui erano concentrati dapprima centinaiae poi migliaia di lavoratori. Se essi furono a lungo tenuti ai margini dellacompetizione elettorale in quanto privi del diritto di voto, questo non significa che non abbiano elaborato altri canali per la promozione dei loro interessie che le élite triestine - nel cercare di porsi quale classe dirigente — non dovessero porsi il compito del loro controllo e del loro disciplinamento e anche del,almeno parziale, riconoscimento delle loro pretese. La formazione e il governo di una forza lavoro — con la sua composita provenienza etnica, linguistica,religiosa, con la sua diversa maturazione culturale e con le sue diverse capacità e conoscenze — necessaria allo sviluppo della città appariva essere uno deicompiti centrali che i ceti dominanti si trovavano ad affrontare.83Per questo,pure su tale terreno, i due principi fondamentali utilizzati in Trieste per organizzare gli interessi e costruire l’identità — quello verticale della “nazione” equello orizzontale del ceto e della classe — si confrontarono in uno scontro

che appare decisivo per l’affermazione dello strumento e dell’idioma dominante.

Primo momento di organizzazione “orizzontale” dei lavoratori triestinifurono le società di mutuo soccorso, finalizzate principalmente a svolgere funzioni assicurative previdenziali a favore degli affiliati. Come abbiamo visto,nel 1834 fu istituita la Fratellanza dei cappellai, nel 1842 l’Istituto di mutuosoccorso dei commercianti e poi, nel 1850, la Società di mutuo soccorso deilavoranti bottai. Se questi organismi già si prefiggevano compiti che in parteesulavano dall’aspetto meramente assistenziale — ad esempio, gli obiettivi dellaFratellanza dei cappellai in materia di collocamento dei disoccupati non possono non essere visti anche come un tentativo di esercitare un qualche controllo sul mercato del lavoro — fu su questo terreno che fin da subito si manifestò la concorrenza degli altri strumenti “verticali”. Sempre in quegli anni,infatti, sorsero istituzioni che si ponevano analoghi scopi assistenziali ma organizzate su base nazionale o religiosa (la fratellanza israelitica Maschil EIDal nel 1829, lo Società elvetica di soccorso pei poveri nazionali svizzeri nel1853, la Società cattolica). Inoltre, in tale campo, altre proposte di organizzazione verticale degli interessi furono avanzate dai membri della élite dominante attraverso istituti a carattere prevalentemente filantropico — come laSocietà di mutuo soccorso per ammalati che, aperta a tutti “senza distinzionedi religione, di stato e di sesso” vedeva tra i principali benefattori il baronePasquale Revoltella — oppure dalle stesse imprese maggiori, come fu il casodel Lloyd che avviò rudimentali forme di previdenza sociale interna — cassacontro le malattie e gli infortuni, fondo pensioni, case popolari, scuole professionali.

A partire da questa base, dagli anni ‘60 dell’800 — sia per l’evoluzione insenso liberale della legislazione austriaca in materia di associazionismo, siaper l’evoluzione delle strutture economiche e cittadine, sia per la diffusionedelle idee provenienti dall’Europa e dall’Italia — si ebbe una rapida crescita —

per numero, dimensioni e qualità — degli istituti volti alla promozione degliinteressi dei lavoratori. Innanzitutto si moltiplicarono i “sodalizi a protezionedi singole categorie professionali”, mentre ai compiti mutualistici sempre piùsi affiancavano “funzioni sindacali”.85

Inoltre si manifestò pure la tendenza a dare vita ad organismi capaci diorganizzare gli interessi dell’intero mondo del lavoro, al di là di qualsiasi divisione anche professionale. Se nel 1863 l’Istituto di mutuo soccorso dei commercianti mutò il nome in Associazione triestina di mutuo provvedimento,aprendo le proprie porte a lavoratori di qualsiasi comparto, fu la Società operaia triestina con mutuo soccorso cooperatrice, fondata nel 1869 e di ispirazione mazziniana e garibaldina, a proporsi quale principale istituto rappresenta-

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tivo. La società — che dopo un mese dalla sua creazione aveva raccolto 1200soci, che “appartenevano a ogni tipo di categoria professionale, ma che inprevalenza erano commessi, calderai, meccanici, carpentieri, fabbri, falegnami” — prevedeva nei suoi statuti, oltre alle solite funzioni mutualistiche, “l’esercizio cooperativo della produzione e del consumo” e “la risoluzione di unaserie di problemi interessanti la classe operaia che, essendo rivolti al miglioramento delle condizioni economiche e normative del lavoro, evidenziavanouna funzione pre-sindacale”.86

Si giunse all’istituzione della Società operaia in un momento in cui ilmondo del lavoro era scosso da profonde tensioni. Infatti, proprio nel 1869, lacittà fu teatro di numerosi scioperi spontanei; nell’estate i bottai diedero vitaa uno sciopero duramente represso dalla polizia, in novembre incrociarono lebraccia gli operai dello Stabilimento tecnico triestino, dell’officina Holt,dell’Usina comunale del gas, dell’Arsenal del Lloyd e del cantiere San Marco — gli scioperanti furono altre 2.500 con 150 arresti — mentre entrarono inagitazione i commessi dei negozi di manifatture, i lavoranti falegnami, sarti,sellai, carrozzieri, verniciatori, liquoristi e pasticcieri. Le richieste avanzateconcernevano principalmente la riduzione dell’orario di lavoro — che allorapoteva in alcuni casi superare le 15 ore giornaliere — e l’aumento dei salari. Intale contesto, la Società cercò “di offrirsi come mediatrice tra imprenditori eoperai alla ricerca delle vie di componimento delle vertenze di lavoro, in unclima improntato non alla lotta di classe ma ad una prospettiva di collaborazione delle diverse forze produttive”, cercando di proporsi quale rappresentante complessivo degli interessi del mondo del lavoro. Così, in settembre,organizzò

al teatro Mauroner una riunione generale di operai, primo grande comizio operaio a svolgersi in città, con all’ordine del giorno le condizioni di lavoro e lerivendicazioni delle singole categorie, lo sciopero e le sue conseguenze, la speculazione sugli appalti di lavori pubblici, la tutela legislativa dell’orario di lavoro e deldiritto di coalizione.87

Sostanzialmente, però, la Società operaia fallì nei suoi tentativi di mediazione tra proprietà e lavoratori e, se gli scioperanti furono sconfitti, essa nonriuscì ad estendere la sua egemonia sull’intero mondo del lavoro triestino.Anzi, nel corso degli anni, si avvicinò sempre più alle posizione dei nazionalisti italiani.

In effetti l’italofonia di Trieste, gli influssi culturali provenienti dall’Italia,la diffusione degli ideali democratici del Risorgimento, il ruolo delle ideemazziniane e garibaldine nei primi momenti di avvio dell’organizzazione degli interessi dei lavoratori, la conflittualità verso il potere centrale che potevafacilmente trasformarsi in una ostilità verso l’Austria — che poteva essere così

intesa come un nemico “straniero” — erano tutti fattori che concorrevano aimporre l’egemonia dell’elemento culturale italiano sul nascente movimentooperaio.88 Se inizialmente la Società operaia non si muoveva nell’ottica “dialcun esclusivismo di tipo nazionale”,89 comunque contribuiva anch’essa alrafforzamento del predominio culturale italiano. Un predominio cui, nell’ambiente operaio e piccolo borghese triestino, contribuiva anche “la propagandainternazionalista, che intorno al 1871 filtrava a Trieste prevalentemente dall’Italia”. Essa, infatti, “si giovava, oltre che della diffusione di libri e di giornali, della presenza di attivisti in maggioranza emiliani, romagnoli e marchigiani,giunti nel Litorale austriaco sull’onda dell’emigrazione regnicola di forza-lavoro o per sottrarsi a procedimenti giudiziari e di polizia nel proprio paese”.In un accavallarsi di iniziative, spesso effimere e di breve durata — come i fogliIl Cannocchiale, Il Gazzettino Rosso, il Vessillo Rosso o la società segretachiamata Circolo socialista rivoluzionario per Trieste ed Istria, nata nel 1883su iniziativa di Goffredo Bellotti, da Pontelagoscuro in provincia di Ferrara,“occupato nel capoluogo giuliano come scaricatore portuale, con un passatod’internazionalista e già condannato in Italia per reati politici” — la propaganda di internazionalisti, socialisti rivoluzionari, anarchici e libertari provenienti dal Regno d’Italia — di Bologna, di Ferrara, di Fusignano, di Ravenna, diRimini, ma anche da Napoli e Ancona — volta alla promozione degli interessidelle classi popolari, si intrecciava con la tradizione garibaldina, democraticae irredentista. Questo anche operativamente, come quando, “al tempo dell’insurrezione della Bosnia e dell’Erzegovina contro il dominio turco tra il1875 ed il 1876, Trieste diventava centro di raccolta d’armi e di convergenzadei volontari garibaldini ed internazionalisti diretti, via mare, a Ragusa”.9°

Tutto ciò, nelle dinamiche complessive della società triestina ed europea,assumeva una rilevanza diversa e sempre maggiore; oramai, nei decenni conclusivi dell’800, i significati connessi alla lingua d’uso e all’accettazione di unaegemonia culturale erano molto diversi da quelli che erano stati all’inizio epure alla metà del secolo. Così, l’affermazione di un’identità nazionale slovenanon poteva non passare attraverso la creazione di istituti alternativi pure perla rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Nel 1877 fu fondata la societàmutualistica Trako podporno drutvo, che per altro era aperta ad elementidi qualsiasi nazionalità ed ebbe uno sviluppo limitato, e nel 1879 la Delavskopodporno drutvo che, forte del dichiarato lealismo verso l’Austria, si ponevasia i tipici obiettivi assistenziali, sia obiettivi educativi, tramite biblioteche e“manifestazioni culturali e ricreative”, sia compiti di intervento sul mercatodel lavoro.91 Altra associazione sorta in concorrenza con la Società operaiapur su basi non nazionali fu, nel 1881, l’Unione operaia triestina, “dall’orientamento politico manifestamente austrofilo”, che superò i 1000 membri e

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poteva contare sull’appoggio delle autorità e delle direzioni di alcune dellemaggiori imprese industriali. Infine, in quegli anni agirono in Trieste anchealcuni emissari della socialdemocrazia austriaca. In seguito a tale attività dipropaganda fu istituita anche la Associazione operaia di risparmio e mutuosoccorso, che ebbe però una vita breve e stentata e comunque, in tale periodo,queste influenze sembrano essere sostanzialmente minoritarie rispetto alleiniziative che come riferimento diretto avevano il Regno d’Italia.92

In questo contesto, nel corso degli anni ‘80, non cessarono scioperi e agitazioni indetti autonomamente dai lavoratori di singole imprese e categorie, nési interruppe la tendenza alla creazione di associazioni volte alla tutela deglispecifici interessi dei lavoratori di specifici comparti, associazioni che anzitendevano ad assumere aspetti sempre più sindacali. In effetti, tra il 1887 e il1888, due leggi austriache sancirono l’assicurazione obbligatoria contro gliinfortuni sul lavoro e l’assicurazione obbligatoria degli operai contro le malattie, portando all’istituzione dell’Istituto d’assicurazione per gli infortunisul lavoro e della Cassa distrettuale per ammalati. Se così si apriva un nuovofronte di intervento per le élite triestine che trovavano un nuovo strumentoutile alla promozione dei propri interessi nel controllo della gestione ditaliistituti, il ruolo delle società di mutuo soccorso era definitivamente compromesso e questo apriva lo spazio per nuove forme di organizzazione operaia.93

Le nuove esigenze di rappresentanza e le esperienze maturate nei decenniprecedenti trovarono concretizzazione nel 1888, quando si formò un comitato, composto in prevalenza da sarti e tipografi, che propose ai diversi organismi esistenti in città per la difesa degli interessi dei lavoratori la costruzionedi una Confederazione operaia internazionale. Al comizio indetto per l’occasione parteciparono effettivamente i delegati di molte delle associazionipreesistenti, sia di matrice italiana — compresa la Società operaia — che slovena,e furono “sollevate e dibattute le principali rivendicazioni di classe: suffragiouniversale, libertà di riunione, libertà di stampa, riforma del sistema fiscale,previdenza pubblica, laicità della scuola, riposo domenicale”.94Questa primaadesione, però, fu subito seguita da una rottura. Quando, circa tre mesi dopo,la Confederazione venne effettivamente costituita risultò essere la prima “organizzazione operaia legata in modo organico al movimento socialista inAustria”95 e l’ostilità delle associazioni concorrenti era oramai palese. A portare a tale esito furono “i lavoranti di lingua tedesca di passaggio per Trieste”,l’azione dell’ “operaio tipografo triestino Antonio Gerin, che aveva lavoratoparecchi anni a Vienna, dove si era coltivato nelle dottrine marxiste”, l’evoluzione politica vissuta da molti che avevano militato nelle file dell’irredentismoe del mazzinianesimo e avevano partecipato attivamente all’esperienza dellaSocietà operaia — non casualmente principale dirigente della Confederazione

fu Carlo Ucekar, proveniente dalle fila dei mazziniani — e gli stimoli fruttodella diffusa conflittualità presente tra i lavoratori della città giuliana.96

In effetti la Confederazione operaia, abbandonando ogni prospettivamutualistica, non solo si faceva rappresentante degli interessi operai nell’ambito del mondo del lavoro, ma, elaborando un programma che spaziava dalladifesa degli interessi culturali, ai problemi posti dalla gestione del centro urbano, ai diritti politici, si poneva quale punto di riferimento degli interessicomplessivi dei lavoratori, proponendo un’identità basata unicamente sull’idioma di classe. Aperta a tutti i lavoratori di qualsiasi lingua e nazionalità esuddivisa per motivi organizzativi in tre sottosezioni nazionali — italiana, tedesca e slovena — si poneva con forza in contrasto con il “nazionalismo intransigente” e a sua volta diventava bersaglio di chi si opponeva alla nascita diuna “Confederazione italo-slovena-germanica”. Il contrasto tra i due principiordinatori della società e della rappresentanza degli interessi — quello orizzontale per classi e quello verticale per “nazioni” — era diventato così un conflitto lucidamente avvertito e apertamente espresso dagli attori di quella contesa; un conflitto, inoltre, che si presentava quale elemento determinate per laconquista dell’egemonia all’interno del teatro politico e sociale triestino.

Dopo tre anni caratterizzati dal permanere della conflittualità operaia,come provano i molti scioperi e agitazioni che coinvolsero diverse categorieprofessionali e dalle lotte per la celebrazione della festa dei lavoratori, il primo maggio, nel 1891 la Confederazione venne sciolta dalle autorità per averedirettamente appoggiato un candidato della sinistra liberale nella contesaelettorale e aver così oltrepassato i limiti che la legge prevedeva per i circolieducativi, quale formalmente essa era.97 Lo scioglimento se da un lato portòal frazionamento su basi nazionali — furono organizzate una associazione inlingua tedesca (Deutscher Leseverein) e una slovena (Obno delavskoizobraevalno, pravovarstveno in podporno drutvo za Primorsko) che però,pur non avendo preclusioni nazionali, non riuscirono a coinvolgere l’elemento italiano e comunque cessarono l’attività entro pochi anni — dall’altro nonprovocò l’interruzione dell’attività di quei soggetti che prima e durante l’esperienza della Confederazione avevano animato la vita del movimento operaio.Così, nel 1894, su iniziativa di Carlo Ucekar, venne fondata la Lega socialdemocratica.

La nascita della Lega, che si propose quale “erede legittima della Confederazione operaia” e referente triestino del Partito socialdemocratico austriaco, segnò “un ulteriore passo in direzione di un’organizzazione socialista dicarattere partitico”. Questa evoluzione proseguì nel 1897 con l’istituzione delPartito sociale — democratico del Litorale e della Dalmazia e poi, nel 1902,Partito operaio socialista in Austria, Sezione italiana — adriatica.98 Inoltre, tale

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evoluzione organizzativa si riflesse nella realtà di Trieste in una crescita dellasocialdemocrazia cittadina, come appare evidente dalle prime prove elettora

li affrontate e dal rafforzarsi dei legami tra questa e il mondo del lavoro,come, ad esempio, testimoniato dallo sciopero spontaneo scoppiato nel 1897in seguito all’arresto di un dirigente del partito. D’altro canto, naturalmente,l’attività principale della Lega era indirizzata “a consolidare l’organizzazionesindacale attraverso la promozione di nuove associazioni professionali [...] e

di una unione locale di più categorie, la Federazione dei lavoratori e dellelavoratrici che nasceva nel 1897”.

Tuttavia questa crescita fu sostanzialmente limitata e, in talescorcio temporale, la socialdemocrazia non riuscì ad assumere l’egemonia nella promozione degli interessi dei lavoratori. Da un lato, infatti, essa doveva affrontareun duro confronto con una nutrita schiera di organizzazioni concorrenti. Nel

1896 almeno 31 associazioni si dividevano la rappresentanza del mondo del

lavoro triestino; tra queste la Società operaia triestina, organizzazioni slovene,tedesche, di derivazione mazziniana, società di mutuo soccorso e istituti volti

alla difesa di singole categorie e, se la socialdemocrazia ne controllava molte,altre facevano riferimento alle posizioni liberali o a gruppi nazionali. Dall’altro, inoltre, se i legami tra la socialdemocrazia e i luoghi di lavoro erano stretti,non erano però organici e stabili e spesso alla prima era riservato il compito digestire le trattative, mentre obiettivi, tempi e modalità delle lotte erano spessogestiti autonomamente dai lavoratori, a volte anche contro le indicazioni stessedel partito e con una certa qualche influenza dei gruppi anarchici.’°°

In ogni caso, nel continuare di agitazioni e scioperi — gli obiettivi perseguiti, per altro spesso senza successo, concernevano ancora l’orario, le condizionidi lavoro e il salario — il movimento operaio manifestava una sempre crescen

te consapevolezza, consapevolezza che si manifestava anche nei tentativi operati, nel corso dei cortei che caratterizzavano le vertenze o in occasioni qualile celebrazioni del primo maggio, di occupare gli spazi simbolici del centrourbano ed elaborare strumenti per la costruzione di una propria definita identitàdi classe.101

I fatti del febbraio 1902 sembrano essere una definitiva presa d’atto ditale presenza. Il 12 di quel mese, un mercoledì, circa 300 fuochisti imbarcatisui piroscafi della compagnia di navigazione Lloyd Austriaco entrarono insciopero, bloccando le navi nel porto. Il giorno seguente i lavoratori dellagrande e piccola industria, con l’appoggio dei socialisti, proclamarono unosciopero generale di solidarietà con i fuochisti. “L’astensione del lavoro eratotale. Verso sera la città presentava un aspetto di desolazione. I primi adincrociare le braccia erano stati gli operai dell’officina macchine dell’Arsenale del Lloyd [...] Via via seguirono gli altri”. Il venerdì e il sabato furono

funestati da violenti scontri tra i cortei dei dimostranti che percorrevano ilcentro e l’esercito — ai soldati di stanza a Trieste si erano aggiunti rinforziprovenienti dai centri vicini, mentre alcune navi militari erano in rada. Ilbilancio finale degli scontri fu di 14 morti — tra cui un operaio, un fabbro,due falegnami, tre braccianti, un tipografo, un pittore, un sarto, un calzolaioe uno studente di 13 anni, un panettiere e una donna di 63 anni — e di unacinquantina di feriti. Nel frattempo, nella serata di sabato, la vertenza fuconclusa con un accordo, mentre le autorità proclamavano lo stato d’assedio a Trieste.102

Di fronte alla violenza degli scontri i socialdemocratici presero in parte ledistanze dal comportamento di parte dei dimostranti — “teppa” datasi ad attidi devastazione — e motivarono tutto questo con la partecipazione alla protesta di strati di sottoproletari — “l’infimo strato sociale che si avanza sulla tragica scena a gridare: ‘son qui davanti al fuoco, pronto a farmi fucilare, perchénon ho nulla da perdere” — “sbucati, quasi per incanto, dai più miseri abituri,colle stimmate della miseria in fronte”. Si era trattato di una “protesta barbara, rivoltosa della folla incosciente”.’03Tuttavia, fu proprio tale partecipazionea sancire la capacità del movimento operaio di porsi quale forza politica ingrado di rappresentare gli interessi complessivi della città e a dimostrare cheampi strati cittadini vedevano nelle organizzazioni socialiste strumentiutilizzabili per la difesa dei propri interessi. I fatti del febbraio 1902, ancheper la forza con cui la violenza e le tragedie colpiscono la memoria e l’immaginazione degli uomini, resero la presenza del partito e del sindacato socialista ineludibile e centrale all’interno dell’agone politico cittadino. “Nei successivi mesi del 1902, l’organizzazione operaia socialista, articolandosi su unaquadruplice base e precisamente politica, sociale economica e culturale (valea dire partito, sindacati, Cooperative operaie e Circolo di studi sociali) conosceva un impulso che in pochi anni le imprimeva uno sviluppo e le facevaacquistare una solidità invidiabili”.104

Così come le altre organizzazioni politiche triestine, infatti, anche i socialisti si posero il compito di creare un uomo — e un cittadino — nuovo. Obiettivieducativi furono affidati al Circolo di studi sociali, fondato nel 1899 con compiti “di diffusione critica della cultura italiana”, che concretizzò la sua attivitàin un servizio di biblioteche, in lezioni e conferenze, rappresentazioni teatralie in campagne su temi sociali come l’alcolismo.’°5Ad esso si affiancavano Illavoratore e gli altri fogli di area socialista. Poi, l’anno successivo, trovò attuazione un progetto da tempo accarezzato dalla classe dirigente socialista: la“cooperazione tra poveri” come strumento di difesa degli interessi dei lavoratori, sia per quanto concerneva il progresso sociale, sia per quanto concernevala qualità della vita. Sotto la spinta di numerose influenze ed esempi — la

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tradizione mutualistica, il tentativo, fallito dopo pochi anni, della Societàoperaia di avviare, nel 1890, un Banco operaio di mutui prestiti, forse l’esempio del cooperativismo agrario friulano, gli stimoli provenienti dall’Italia edall’Europa e in particolare il modello delle cooperative socialiste beighe —

nell’ottobre del 1903 furono fondate le Cooperative operaie di Trieste, “unesercizio cooperativo interessato al consumo”. Partite con 127 iscritti, a dicembre aprirono il primo spaccio di generi alimentari nel quartiere di S. Giacomo. Sviluppatesi rapidamente

potevano contare, avanti la prima Guerra mondiale, su una rete distributiva dotata di 34 spacci di generi alimentari, di 7 macellerie (sei a Trieste e una a Muggia) e,nel capoluogo, di un magazzino vestiario; inoltre dal 1910 provvedevano alla produzione in proprio del pane, il cui quantitativo superava già neI 1912 gli undiciquintali giornalieri, mentre nel 1914 installavano a Farra d’Isonzo un impianto dilatteria, distrutto un anno dopo dalle operazioni militari)°

Nel frattempo, soprattutto dopo l’introduzione del suffragio universale, ilPartito socialista divenne una forza politica di primo piano — nel 1907, l’annodella sua maggiore affermazione, riuscì “a conquistare tutti e quattro i mandati della città per il Reichsrat”107 — in grado di competere con successo con ilPartito liberai-nazionale e di diventare il possibile fondamento delle politiche statali volte “ad attenuare le tensioni nazionali”.108Tuttavia, se ampi straticittadini guardavano ai socialisti come strumento principale per la difesa deiloro interessi, proprio la questione nazionale e la concorrenza delle organizzazione “verticali” che sugli idiomi “nazionali” basavano la loro azione furono ostacoli che continuarono a rallentare l’azione del partito socialista, ancheall’interno dello stesso mondo del lavoro.

A Trieste il partito socialista fu sempre internazionalista, seguendo la linea ufficiale della socialdemocrazia austriaca — il “programma delle nazionalità di Brunn”, basato sul principio “della riorganizzazione dello stato sullabase di territori il più possibile omogenei dal punto di vista nazionale, cheavrebbero dovuto godere piena autonomia e i cui organi legislativi sarebberostati costituiti da «camere nazionali»” 109

— e inoltre favorì l’affiliazione dellelocali associazioni professionali alle grandi associazioni di categoria con sedea Vienna”.11°Tali posizioni lo portarono a scontrarsi non solo con le tradizioni“nazionali” presenti a Trieste, ma anche, in parte, con quelle autonomiste. Ladifficoltà con cui queste scelte erano vissute pure all’interno del partito, siadai suoi quadri — che, in molti casi, provenivano dalle stesse filedell’irredentismo — sia dalla base, è testimoniata dalle scissioni che ne caratterizzarono l’esistenza e, a un livello forse più banale ma senz’altro più autentico, dalle fatiche della propaganda politica quotidiana come nel caso dellalingua da usare nel corso di un comizio.

I conflitti interni alla dirigenza, le espulsioni e le scissioni non possono,infatti, essere imputate solo agli inevitabili personalismi, ma testimonianoanche l’insufficienza, di fronte all’evoluzione sociale ed economica dell’Impero, della posizione socialdemocratica per affrontare una posizione complessa quale quella triestina. Ad esempio, nel 1909, in seguito all’inserimentonelle liste elettorali socialiste di due candidati sloveni e alla successiva sconfitta, Silvio Pagnini ed altri socialisti dissidenti formarono il Gruppo autonomo di Trieste del Partito socialista internazionale e nel 1910, in associazionecon i mazziniani, fondarono la Camera del lavoro, cui aderirono alcune associazioni professionali tra le quali le più importanti erano la Lega per gli impiegati civili, la Lega degli insegnanti, L’Unione protettrice fra addetti allavendita al dettaglio, la Lega degli impiegati subalterni al comune e la Lega framacchinisti navali della marina libera.11’

Analogamente, l’essere il partito socialista internazionalista, ma di fattocaratterizzato dall’egemonia culturale e linguistica italiana, rendeva non sempre facili i rapporti con l’elemento sloveno, parte importante del proletariatotriestino. Se in un quadro di una sostanziale collaborazione non mancaronoincomprensioni e contrasti tra i quadri triestini di lingua italiana e quelli dilingua slovena, fu soprattutto nei suoi tentativi di organizzare i lavoratorisloveni che la socialdemocrazia incontrò gli ostacoli maggiori. Se alcune categorie a maggioranza slovena erano in parte nell’orbita dei sindacati socialisti— i ferrovieri, gli scalpellini di Aurisina, i fornai, gli edili e i bottai — non sistrinse un nesso forte e duraturo tra tali associazioni e la massa del proletariato sloveno, che anzi fu in buona misura attratto dal sindacalismo nazionalista.Nel 1907 fu fondata la Narodna Delavska Organizazija che, radicata soprattutto tra i ferrovieri, gli edili e i portuali, se ebbe una crescita organizzativalimitata, era in grado di mobilitare un numero considerevole di persone. Nel1913 Il lavoratore, foglio socialista, descriveva così la situazione: 2.500 membriper le organizzazioni del lavoro nazionali italiane, 250 per quelle slovene, 1.360per le associazioni neutrali. In quella data gli iscritti alle organizzazioni socialiste erano circa 6.700.112

Comunque, al di là ditali cifre, è probabile che ampi strati della popolazione non dessero la loro adesione in maniera definitiva all’ uno o all’altrodegli schieramenti in competizione, ma elaborassero strategie in cui la possibilità di scelta era un elemento da utilizzarsi ai fini della promozione deipropri interessi. Così, nel 1910, l’utilizzo dell’idioma nazionale da parte deibraccianti del porto per riservare il monopolio delle attività ai pertinenti alcomune o nel 1901, nella cantieristica, lo sciopero dei ribattitori contro l’utilizzo della manodopera genovese — per fare solo due esempi — svelano chiaramente la volontà dei lavoratori di utilizzare tutti gli strumenti disponibili —

224 Daniele Andreozzi

che purtroppo nelle loro conseguenze non sono, però, neutri — alfine delcontrollo del mercato del lavoro.’13

In questo contesto, nell’evolversi della situazione politica europea, maanche, sotto la spinta dell’intensificarsi delle lotte nazionali, nello sfilacciarsidella posizione internazionalista della socialdemocrazia austriaca che in alcune delle sue sezioni subiva l’influenza del nazionalismo, il partito socialistatriestino fu costretto a ripensare un’idea del futuro della città capace di esserecredibile e di rappresentare gli interessi complessivi non solo dei lavoratori,ma dell’intero centro urbano. Chi in maniera più consapevole e lucida si assunse questo compito fu Angelo Vivante, che individuò il destino e la fortunadi Trieste nell’essere il principale sbocco dell’Austria verso il mare, tramitenaturale tra il levante e il retroterra statale austriaco. Nello stesso momentoanche i liberali nazionali erano impegnati a costruire una nuova immaginedella città, del suo destino economico, e lo scorsero nella sua funzioneimperialista, nella sua capacità, unita all’Italia, di proiettarsi verso oriente,verso i Balcani.”4

Fu la prima guerra mondiale, con il suo verdetto finale, a stabilire anchel’esito di questo conflitto.

Note

i Tale lavoro è, come fin da subito progettato, sostanzialmente basato sulla letteratura giàesistente in materia. Come sarà evidente per ogni lettore questo non sarebbe stato possibilesenza poter fare affidamento sui saggi contenuti nel primo volume di questa storia (ROBERTOFINZI e GIOVANNI PANJEK (a cura di) Storia economica e sociale di Trieste, vol. I, La città deigruppi 1719 - 1918, Trieste 2001) e nel volume di Einaudi Il Friuli - Venezia Giulia, a cura diROBERTO FINZI, CLAUDIO MAGRIS e GIOVANNI MIcc0LI, 2 voI., Torino 2002 e in generale sullericerche di MARINA CATrARUZZA, ANNA MILLO, e GIORGIO NEGRELLI. Se, ovviamente, la responsabilità di quanto scritto è mia, devo, però, ringraziare Roberto Finzi e Loredana Panariti perla pazienza con cui hanno a lungo discusso con me ditali argomenti.

2 GIUSEPPE PIEMONTESE, Il movimento operaio a Trieste dalle origini alla fine della prima guerramondiale, Udine 1961, pp. 146 — 147.

3 Per gli “urti necessari” ANTONIO DE GIULIANI, Riflessioni politiche sopra ilprospetto attuale dellacittà di Trieste,Vienna 1835, che citiamo dall’edizione curata da GIANI STUPARICH, Trieste 1950,p. 98.

4 CARLO GArn, Uomini e politiche nella Trieste del Settecento, in Storia economica e sociale di Trieste,vol. I, La città dei gruppi. 1719- 1918, a cura di ROBERTO FINzI e GIOVANNI PANJEK,Trieste 2001,p. 376.

5 PERRY ANDERSON, Lo Stato assoluto (tr.it di Lineages of the Absolutist State, London, 1974),Milano 1980, pp. 290-295, Su questo vedi DAVID F. GooD, The Economic Rise of the HabsburgEmpire, 1759 - 1914, Berkeley — Los Angeles — London 1984; Good afferma (p. 256) che “thedismemberment of the Empire may not have been inevitable, but apparently its political

L’organizzazione degli interessi a Trieste 225

institutions had tremendous difficulties adapting to the pressure imposed by modem economicgrowth”.

6 NICHOLAS HENSHALL, Il mito dell’Assolutismo (tr. it. di The Myth of Absolutism: Change &Continuity in Early Modem European Monarchy, 1992), Genova 2000. Per il permanere dellestrutture d’Antico Regime ARNO J. MAYER, Il potere dell’Ancien Régime fino alla prima guerramondiale (tr. it. di The Persistence of the Old Regime. Europe to the Great War, New York 1981)Roma - Bari, 1999.

7 LOREDANA PANARITI, Il “dannato commercio “. Trieste nel XVIII secolo, in “Metodi e ricerche”,n.s., XVII, 2 (1998), pp. 111-117; Id., Privilegi, commerci, assicurazioni e credito a Trieste traSettecento e primo Ottocento, WP, Trieste 2000, pp. 4-il; GIOVANNI BussOuN, Della imperialeprivilegiata compagnia orientale nel secolo scorso e del Lloyd austro-ungarico nel secolo presente. Studio storico, Trieste 1882, pp. 29-164; FULVIo BABUDIERI, Le vicende della compagnia diOstenda nell’Europa delprimo Settecento, Bologna 1977 e Id., L’espansione mercantile austriacanei territori d’oltremare nel XVIII secolo e i suoi riflessi politici ed economici, Milano 1978; C.GATrI, Uomini ..., cit., pp. 368-370.

8 Su questo ROBERTO FINzI, Trieste perché, in Storia economica e sociale di Trieste, vol. I, La città deigruppi. 1719 - 1918, a cura di ROBERTO FINZI e GIOVANNI PANJEK, Trieste 2001, p. 53. Leanalogie tra Trieste e l’America erano state sottolineate già dall’inizio dell’800. Nel 1807,infatti, il conte Charles-Albert de Moré, in una lettera inviata al fratello, scriveva che Triesteera la “Filadelfia d’Europa, la città tipica dei pionieri del nostro vecchio continente, il porto incui i naufraghi trovano ricetto e una nuova promettente vita [...j Consolatrix afflictorum et

refugium peccatorum: questa è per gli emigrati Trieste” (OSCAR DE INCONTRERA, Trieste el’America (1782 - 1830 e oltre), Trieste 1960, p. 101).

9 MARINA CATrARUZZA, Il primato dell’economia: l’egemonia politica del ceto mercantile (1814 -

60), in Storia d’Italia. Le regioni. Il Friuli - Venezia Giulia, a cura di ROBERTO FINZI, CLAUDIO

MAGRIS e GIOVANNI MICCOLI, vol. I, Torino 2002, p. 158.

10 Sulle norme che nel 1779 assegnano ai capicontrada il compito di “non tollerare” nella zona diloro competenza “gente” oziosa, vagabondi, criminali, pitocchi o persone comunque sospette,

ASTr, Giornale di polizia del 5 luglio 1779.

il Sulle “nazioni” triestine GIORGIO NEGRELLI,AI di qua del mito. Diritto storico e difesa nazionalenell’autonomismo della Trieste asburgica, Udine 1978, pp. 44-45; LAURA DE ANTONELLIS MARTINI,Portofranco e Comunità etnico-religiose nella Trieste settecentesca, Milano 1968; e naturalmenteil primo volume della Storia economica e sociale di Trieste ..., cit., in particolare pp. 441-611.

12 Per la definizione di “piazza bambina” L. PANARITI, Privilegi..., cit., e il suo contributo in questovolume.

13 Ci limitiamo a rimandare a CARLO CAPRA, Nobili, notabili, élites: dal «modello» francese al casoitaliano, in “Quaderni storici”, 37 (1978), pp. 12-24 e alla bibliografia ivi contenuta.

14 MAURICE GODELIER, Antropologia e marxismo (tr. it. di Horizon, tralets marxistes en anthropologie,Paris 1973) Roma 1977, pp. 11 e 15.

15 DAVID 5. LANDES, Banchieri e pascià. Finanza internazionale e imperialismo economico, (tr. it. diBankers and Pashas. International Finance and Economic Imperialism in Egypt, Cambridge1958) Torino 1990, pp. 34-44. Per capire il tipo di risorse che tali legami rendevano disponibilesi può anche ricorrere al concetto di “capitale sociale”, su questo ARNALDO BAGNASCO, FORTU

NATA PISELLI, ALESSANDRO PizzoaNo, CARLO TRIGILIA, Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso,Bologna 2001.

16 ASTr, Cesareo Regio Governo, 101, Giornale di polizia, luglio - ottobre 1778. Per quanto

concerne Balletti si veda in questo volume il mio contributo “Gli urti necessari”. Dalla manifattura all’industria (1718 -1914). Per quanto concerne le “nazioni” anche GIoRGIo NEGRELLI, Aldi qua del mito..., cit., pp. 54-55. Negrelli scrive come (p. 55), nel 1778, la “nazione” ebrea istituì

226 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 227

“una commissione permanente con il compito di esaminare la condotta e la sufficienza dei benimateriali di tutti i correligionari che intendessero stabilirsi a Trieste”.

17 Su questo DANIELE ANDREOZZI e LOREDANA PANARITI, L’economia in una regione dalla politicain Storia d’lalia. Le regioni. Il Friuli - Venezia Giulia, a cura di ROBERTO FINZI, CLAUDIO MAGRISe GIOVANNI MICCOLI, voi. Il, pp. 829 - 835. Per quanto concerne i limiti di capitalizzazione dellapiazza triestina si veda il contributo di LOREDANA PANARITI nel presente volume.

18 MARINA CATrARUZZA, Cittadinanza e ceto mercantile a Trieste. 1749-1 850, in Trieste, Austria,Italia tra Settecento e Novecento. Studi in onore di Elio Apih, a cura di MARINA CArrARUZZA,Udine 1996, pp.66 e 68. Riguardo alla rappresentanza degli interessi triestini notevole importanza ebbero gli esperti e le commissioni che, all’interno della Borsa, su richiesta delle autoritàstatali venivano incaricati di raccogliere informazioni e trasmettere pareri sui più svariatiproblemi. Su questi, però, manca a tutt’oggi uno studio complessivo.

19 Nel precedente volume della Storia di Trieste si veda il saggio di ANNA MILL0 e in questo quellodi ALESSIO FORNASIN.

20 M. CATrARUZZA, Cittadinanza ..., cit., pp. 71-72.

21 ASTr, Cesareo Regio Governo, 102, 1 novembre 1780.

22 ASVe, Savi, 186,5 luglio 1752. Sulla conflittualità presente nella società triestina del ‘700 vediELIO Apiu, La società triestina nel secolo XVIII, Torino 1957, pp. 69-118.

23 MARINA CATrARUZZA, Tra logica cetuale e società borghese: il «Casino vecchio» di Trieste (1815- 1867), in “Quaderni storici”, 2 (1991) p. 421, ma più in generale pp. 419-450 (ora anche in Id.,Trieste nell’Ottocento. Le trasformazioni di una società civile, Udine 1995, pp. 11-58).

24 Riguardo ciò si veda il mio contributo sulle manifatture e le industrie triestine nel presentevolume.

25 Su questo DANIELE ANDREOZZI, “Gli urti necessari”. Manifattura ed artigianato nella Triestesettecentesca, W.P. 77, Università degli studi di Trieste, Dipartimento di Scienze economiche estatistiche, Trieste, 2000, pp. 51-70.

26 Sulla massoneria a Trieste, e sul ruolo che in essa ebbero i ceti mercantili e i membri dellaburocrazia austriaca, GIULIO GRATrON, Trieste segreta, Bologna 1948.

27 Per i criteri che secondo Rossetti, si sarebbero dovuti utilizzare per definire cittadinanza epatriziato, M. CArrARUZZA, Cittadinanza ..., cit., pp. 73 - 77. Su Rossetti anche G. NEGRELLI, Aldi qua ... cit., pp. 62 - 69 e GIULIO CERVANI, La borghesia triestina nell’età del Risorgimento.Figure e problemi, Udine 1969, p. 11.

28 CARLO SCHIFFRER, Le origini dell’irredentismo triestino (1813 -1860), Udine 1978, pp. 55-56.

29 GIULIO CERVANI, Stato e società a Trieste nel secolo XIX. Problemi e documenti, Udine 1983, pp.14-17. Su questo anche GIORGIO NEGRELLI, Trieste nel mito, in Storia d’Italia. Le regioni. Il Friuli- Venezia Giulia, a cura di ROBERTO FINzI, CLAUDIO MAGEIS e GIOVANNI MICCOLI, voi. II,Torino2002, pp. 1341-1343.

30 ANNA MIIIO, La formazione delle élites dirigenti, in Storia economica e sociale di Trieste, voi. I,La città dei gruppi. 1719 -1918, a cura di ROBERTO FINzI e GIOVANNI PANJEK, Trieste 2001, p.390.

31 Biblioteca civica di Trieste, 1/1 a 17, 12 luglio 1809.

32 Purtroppo non sappiamo se il pregiudizio antiebraico che, pur non formalmente stabilito neglistatuti, caratterizza la vita del casino vecchio nel corso dell’800, sia una eredità del secoloprecedente, oppure una novità che, con il cambiamento della sede, indichi un cambiamento di“pelle” dell’istituto Su questo M.CATrARUZZA, Tra logica cetuale . . ., cit., pp. 435-438; Cattaruzza

scrive che “di fatto, chiudendosi alla componente israelitica deil’élite urbana, il Casino Vecchioveniva meno alla propria pretesa di rispecchiamento della società civile”.

34 GoIo NEGRELLI (a cura di), La Favilla (1836 -1846). Pagine scelte della rivista, Udine 1985.

35 M. CATrARUZZA, Il primato ..., cit., p. 163. Per l’evoluzione delle associazioni istituite a diretta

tutela degli interessi delle compagnie assicuratrici si rimanda, in questo volume, al contributo

di Loredana Panariti. Si veda anche G. NEGRELLI, Al di qua del mito.. .,cit., pp. 100 -101.

36 GIUSEPPE PIEMONTESE, Il movimento operaio a Trieste, Roma 1974, pp. 27-31.

37 Anche per questo si veda il contributo di Loredana Panariti nel presente volume.

38 JOHN W. MASON, Il tramonto dell’impero asburgico (tr. it di The dissolution of the Austro -

Hungarian Empire 1867- 1918, London 1997), Bologna 2000, p. 13.

39 ELIO APIH, La storia politica e sociale, in Id. ( a cura di), Trieste, Roma- Bari 1988, p. 37.

40 M. CATrARUZZA, Il primato ..., cit., pp. 173 - 174; Marta Verginella, Sloveni a Trieste tra Sette e

Ottocento, in Storia economica e sociale di Trieste, voi. I, La città dei gruppi. 1719-1918, a cura di

ROBERTO FINZI e GIOVANNI PANJEK, Trieste 2001, pp. 456-457; E. APIH, La storia ..., cit., p. 40.

41 M. CATI’ARUZZA, Il primato ..., cit., p. 169.

42 NEREO SALVI, La crisi di trasformazione dell’emporio di Trieste in porto di transito (1 856-1865),

in La crisi dell’Impero austriaco dopo Villafranca, Istituto per la storia del Risorgimento italia

no, Comitati di Trieste e Gorizia,Trieste 1961, pp. 207-210. Vedi pure FULVIO BABUDIERI, Iporti

di Trieste e della regione Giulia dal 1815 al 1918, in “Archivio economico dell’unificazione

italiana”, XV (1967), fase. 2.

43 Per un confronto, si veda quando accaduto a Livorno, l’altro grande portofranco della penisola

italiana, dove il processo di riconversione portò alla “progrediente disgregazione dei gruppi

sociali che avevano vissuto, ed in parecchi casi anche prosperato, sull’economia del portofranco

e il cui malessere e disagio crescenti fecero di Livorno una delle città più agitate dell’Italia

post-unitaria”, teatro di un diffuso ribellismo e di una violentissima lotta politica (GIORGIo

MoRI, Dall’unità alla guerra. Aggregazione e disgregazione di un’area regionale, in ID.(a cura di),

Storia d’italia. Le regioni dall’unità ad oggi. La Toscana, Torino, 1986, pp. 143-146 e LANDO

BORTOLOTrI, Livorno dal 1748 al 1958, Firenze 1970, pp. 186-187.

44 MARCO MERIGGI,Associazionismo borghese tra ‘700 e ‘800. Sonderweg e caso francese. “Quader

ni storici”, 71(1989), p. 603. Per quanto riguarda le borghesie ottocentesche ci limitiamo a

rimandare a JÙRGEN KOCKA - ALBERTO MARIA BANTI (a cura di), Borghesie europee dell’800,

Venezia 1989; MARCO MERIGGI - PIERANGELO SCHIERA, Dalle città alla nazione. Borghesie

ottocentesche in Italia e in Germania, Bologna 1993.

45 ANNA MILLO, Unportofra centro eperiferia (1861 -1 918) in Storia d’italia. Le regioni. il Friuli -

Venezia Giulia, a cura di ROBERTO FINZI, CLAUDIO MAGRIS e GIOVANNI MICc0LI, vol. I, Torino

2002, p. 181.

46 Nazionalismo e mutamento sociale in Europa centro-orientale, numero monografico di “Quaderni storici”, 84(1993), pp. 651-653; ERNEST GELLNER, Nazioni e nazionalismo (tr.it. di Nations

and nationalism, Oxford 1983), Roma 1985; BENEDICT ANDERSON, Comunità immaginate. Ori

gini e diffusione dei nazionalismi (tr. it di Immagined Communities, 1983), Roma 1996; ERIC J.

HOBSBAWN, Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà (tr. it di Nations and

Nationalism since 1780,1990) Torino 1991; ID. L ‘età degli imperi 1875-1914 (tr. it di The age of

Empire 1875 - 1914, 1987) Roma- Bari 1987.

47 D. ANDREOZZI - L. PANARITI, L’economia ..., cit., pp. 829 - 835.

48 ANNA MILLO, Storia di una borghesia. La famiglia Vivante a Trieste dall’emporio alla guerra

mondiale, Gorizia 1998, p. 118.

49 E. APIH, Storia ..., cit., p. 69; sul sistema bancario triestino di quegli anni BERNARD MICHEL,

Banques & banquieres en Autriche du 20° siécle, Paris 1976, in particolare pp. 70-77 e GIULIO

SAPELLI, il profilo del «destino economico», in E. APIH ( a cura di), Trieste ..., cit., p. 211.

33 M. CArrARUZZA, Il primato ..., cit., p. 168 e ID., Tra logica ..., cit., p. 423. 50 A. MILLO, Storia ..., cit., pp. 84 - 85.

228 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 229

51 Per la perdita di status vissuta da molte delle famiglie delle élites triestine nel corso dell’Ottocento si veda A. MILLO, Storia.... cit., in particolare pp. 75-213.

52 Per le condizioni di vita a Trieste DIANA De ROSA, Salute, fabbrica e territorio nella secondametà dell’Ottocento e inizio del Novecento a Trieste, Trieste 1981 e MARINA CAFrARUZZA. Laformazione del proletariato urbano. Immigrati, operai di mestiere, donne a Trieste dalla primametà del secolo XIX alla prima guerra mondiale, Torino 1979.

53 Naturalmente, facciamo riferimento alle ricerche indicate nelle diverse note di questo lavoro.54 A. MILLO, Un porto .... cit.. p. 193.55 Relazione della Camera di Commercio e d’industria di Trieste, 1907, Trieste 1908, p. 40. Per

avere un’idea — impressionistica e parziale, ma comunque indicativa — della attività e degliinteressi rappresentati dalla Camera si può ricorrere all’elenco delle commissioni e dei delegati nominati in quell’anno (pp. 16-19). Erano infatti state elette le commissioni: Usi di piazza etariffe daziarie, Industriale, Ai trasporti ferroviari e marittimi, Marittima, Pèl commercio aldettaglio e la piccola industria, Ai telefoni, All’Esportazione, Per lo studio delle condizioni delporto, Del Veritas, Per il promovimento del concorso dei forestieri. Poi vi erano i delegati alConsiglio industriale, al Consiglio ferroviario, al Consiglio doganale, al Museo commerciale aVienna, alla Commissione per lo studio delle cause del rincaro dei viveri, al Curatorio delMuseo commerciale, all’Istituto per il promovimento delle piccole industrie, alla Direzionedella cassa di Risparmio triestina, al Consiglio superiore della Cassa di risparmio triestina, allaCommissione per la valutazione del pane, al Curatorio della scuola superiore di commercioRevoltella, alla Giunta di sorveglianza presso la Scuola industriale dello Stato, all’Accademiadi Commercio e Nautica — sia alla sezione commerciale che a quella nautica — alla Cassadistrettuale per ammalati, alla Commissione per la riorganizzazione del Veritas. Inoltre rappresentanti della Camera partecipavano alla Commissione provinciale per l’imposta generalesull’industria e alla Commissione per l’amministrazione del fondo pensioni.

56 A. MILLO, Storia di una borghesia ..., cit., pp. 100, 103-104 e 107-108.57 ANNA MILLO, L’élite del potere a Trieste. Una biografia collettiva 1891-1 938, Milano 1989, pp.

164-165.

58 MARINA CATrARUZZA, Sloveni e italiani a Trieste: la formazione dell’identità nazionale, in “Clio”,1, (1989), p. 29 (ora anche in Id., Trieste .... cit.. pp. 119 -165).

59 ANGELO PICHIERRI, Stato e identità economiche locali in PAOLO PERULLI (a cura di),Neoregionalismo. L’economia-arcipelago, Torino 1998. Pichierri, tra l’altro, scrive che “l’identità consta di più proprietà, e della loro combinazione. Questa definizione dell’identità comerappresentazione complessa implica che diversi attori possono puntare su diverse proprietà esul loro peso relativo. Le caratteristiche economiche di una regione sono un aspetto normalmente importante, ma non necessariamente fondante l’identità. Possiamo supporre che rappresentazioni fondate sull’etnia, o sulla religione, o sull’economia, e diverse combinazioni diqueste proprietà comportino strategie diverse per gli attori che le condividono. E ritengo chesi possa documentare empiricamente che alla debolezza delle proprietà economiche corrisponda abbastanza regolarmente un’ipertrofia di quelle «etniche» e «culturali»”.

60 Su Revoltella ANNA MILLO, Pasquale Revoltella. Una biografia tra Trieste e oltre, in PasqualeRevoltella (1795 - 1896). Sogno e consapevolezza del cosmopolitismo triestino, a cura di M.MASAU DAN, Trieste 1996, pp. 29 -52.

61 A. MILL0, Storia..., cit., pp. 108 -113.

62 A. MILLO, L’élite..., cit., pp. 207-220.63 MARINA CATrARUZZA, I conflitti nazionali a Trieste nell’ambito della questione nazionale nell’im

pero asburgico: 1850-1 914, in “Quaderni giuliani di Storia”, 1 (1989), pp. 132-133.64 C. A. MAcARTNEY, L’impero degli Asburgo 1790-1 918 (tr. it. di The Habsburg Enipire, 1790 -

1918, 1969), Milano 19812, p. 632.

65 ROBERTO FINZI, La base materiale dell’italofonia di Trieste, in Storia economica e sociale diTrieste, vol. I, La città dei gruppi. 1719-1 918, a cura di ROBERTO FINzI e GIovANNI PANJEK,

Trieste 2001, pp. 324-329.

66 M. CATrARUZZA, Sloveni ..., cit., p. 55.

67 A. MILL0, Un porto ..., cit., pp. 204-205.

68 A proposito, scrive Anna Millo che “la quotidiana pratica di mediazione tra le due forze

politiche maggioritarie nel consiglio, assimilabili in questo ad un’unica consorteria conservatri

ce, lascia intendere come esse non rappresentino in realtà interessi qualitativamente divergenti dal punto di vista sociale” (A. MILLO, Un porto ..., cit., p. 206).

69 M. CATrARUZZA, Sloveni ..., cit., p. 55.

70 A. MILL0, L’élite ..., cit., p. 214; CRISTiANA COLUMNI, Ideologia, cultura e consenso nella Triestedel secondo ottocento: un sondaggio nell’ambito associazionistico, in “Qualestoria”, 3, 1981, pp.

3 - 37 (le citazioni a pp. 12 e 18-19). Si veda anche Livio ISAAK SIR0vICH, L’alpinismo triestinodall’irredentismo alla guerra partigiana, in “Qualestoria”, 2 (2001), pp. 143 - 153.

71 A. MILLO, Storia ..., cit., p. 136.

72 ANNA MILLO, L’élite del potere a Trieste: dall’irredentismo al fascismo, in “Società e storia”, 36

(1987), pp.342 - 343. Per quanto riguarda i giornali di Trieste si veda SILvANA MONTI OREL, Igiornali triestini dal 1863 al 1902: società e cultura di Trieste attraverso 576 quotidiani e periodicianalizzati e descitti nel loro contesto storico, Trieste 1976.

73 R. FINZI, La base materiale ..., cit., pp. 317-331.

74 Per un’interessante comparazione vedi GIOVANNI D’ALESSIO, Élites nazionali e divisione etnica

a Pisino (Istria) a cavallo tra XIX e XX secolo, in “Quaderni storici”, 94 (1997), pp. 155-182.

75 A. MILLO, L’élite ..., cit., pp. 157- 159, 165, 167, 174

76 M. CATrARUZZA, I conflitti nazionali ..., cit., pp. 131 -148; Id., Le “questioni nazionali” a Triestee nelle regioni del confine orientalefra ‘800 e ‘900: incontri, incroci e scontrL Sviluppo demografico,sviluppo economico e conflitti nazionali a Trieste tra ‘800 e ‘900, in “Quale storia”, 1 (1985), pp.5-18.

77 Un confronto “concettuale” con MAURIZIO GRIBAUDI, Mondo operaio e mito operaio. Spazi epercorsi sociali a Torino nel primo Novecento, Torino 1987.

78 M. CAFrARUZZA, Sloveni ..., cit., pp. 44 - 45; R0BI STURMAN, Le associazioni e i giornali sloveni

a Trieste dal 1848 al 1890, Trieste 1996.

79 M. VERGINE LLA, Sloveni ..., cit., pp. 470 - 471. Sul Narodni Dom anche Milan Pahor, Istituti dicredito sloveni a Trieste,Trieste 1990, pp. 41-49.

80 M. VERGINELLA, Sloveni ..., cit., pp. 463 e M. Pahor, Istituti ..., cit., in particolare pp. 66-110, ai

quali rimandiamo per un più completa descrizione ditale sistema. Per il rapporto tra gli istituti

sloveni e la Chiesa vedi G1AMPAOLO VALDEVIT, Chiesa e lotte naziO,Iali il caso di Trieste (1850-1919), Udine 1979.

81 M. CArrARUZZA, Sloveni ..., cit., p. 39.

82 M. VERGINELLA. Sloveni ..., cit., p. 470; M. PAH0R, Istituti ..., cit., pp. 111-146.

83 Per evitare inutili ripetizioni anche in questo caso rimando al mio contributo sull’industrializ

zazione di Trieste, sempre in questo volume.

84 ENNI0 MAsERATI,Il movimento operaio a Trieste dalle origini alla prima guerra mondiale, Milano

1973, pp. 26 - 31; MARINA CATTARUZZA, Socialismo adriatico. La socialdemocrazia di linguaitaliana nei territori costieri della Monarchia asburgica: 1888-1915, Manduria - Bari - Roma

1998, pp. 16-17.

85 E. MASERAT1, Il movimento ..., cit., pp. 34 e 52. Ad esempio, nel 1868 fu fondata la Società

tipografica di mutuo soccorso per ammalati, nel 1872 la Società di mutuo soccorso degli agenti

230 Daniele Andreozzi L’organizzazione degli interessi a Trieste 231

dei negozianti in manifatture e nel 1873 l’Associazione di mutuo soccorso cooperatrice peragenti di commercio e scritturali.

86 E. MASERATI, Il movimento . . ., cit., pp.52 -53; M. CATARUZZA, Socialismo . .., cit. pp. 19-25; GIuLIoCESARI, Sessant’anni di vita italiana. Memorie della Società operaia triestina 1869- 1929,Trieste1929, pp. 15-195.

87 E. MASERATI, li movimento ..., cit., pp. 55-56; alla riunione furono presentate le rivendicazionidi calderai, bandai, fabbri, fonditori, meccanici, modellisti, braccianti, falegnami, scalpellini,offellieri e carpentieri; G. PIEMONTESE, Il movimento ..., cit., pp. 19-27; MARINA CATrARUZZA,«Conflitto organizzato» e «azione diretta»: gli scioperi nei cantieri navali di Amburgo e Trieste(1890 - 1914), in In., Trieste ..., cit., p. 98; G. NEGRIELLI, Al di qua ..., cit., pp. 136-147.

88 ELIo Apm, L’esperienza liberale di Giuseppina Martinuzzi, e Valentino Pittonifra Austria e Italiain Id., Il socialismo italiano in Austria. Saggi, Udine l99l,pp.7 -27 e 35-38. ENNI0 MASERATI,Gli anarchici a Trieste durante il dominio Asburgico, Milano 1977, p. 3. -

89 M. CATrARUZZA, Socialismo ..., cit., p. 21.90 E. MASERATI, Gli anarchici ... cit., pp. 14-32 (le citazioni a pp. 14-15, 24 e 27).91 E. MASERATI, Il movimento ..., cit., pp. 34 e 62-46.92 E. MASERATI, Gli anarchici ..., cit., pp. 13-16 e ID., Il movimento ..., cit., pp. 65-6693 E. MASERATI. Il movimento cit.. pp. 44-47 e 127-130. Ad esempio, nel 1893 ci furono scioperi

nel Cantiere San Rocco e tra i facchini della dogana; nel 1885 dei fuochisti che nel 1887formarono una propria associazione; ci furono anche agitazioni ad opera degli operai tipografi:le questioni sollevate erano sempre quelle dell’orario e delle condizioni di lavoro e del salario(O. PIEMONTESE, Il movimento operaio ..., cit., pp. 37 - 39). HERBERT MATIS, La rivoluzioneindustriale: l’intervento dello Stato nei conflitti d’interesse, in La dinamica statale austriaca nelXVIII e XIXsecolo. Strutture e tendenze di storia costituzionale prima e dopo Maria Teresa a curadi PIERANGELO SCHIERA, Bologna 1981, pp. 293-302.

94 E. MASERATI, Il movimento cit.. p. 95; G. PIEMONTESE. Il movimento ..., cit., pp. 37-45.95 M. CATrARUZZA, Socialismo .... cit., p. 31.96 M. CATrARUZZA, Socialismo ..., cit., p.33 e 35; G. PIEMONTESE, Il movimento ..., cit., pp. 39-45.97 G. PIEMONTESE, Il movimento

...,pp. 46-61; E. MASERATI, Il movimento ..., cit., pp. 100-108; M.

CATrARUZZA, Socialismo ..., cit., p39.

98 M. CATrARUZZA, Socialismo .... cit., pp. 42-43, 51 e 57. Per una comparazione con le vicendeitaliane ci limitiamo a segnalare R. ZANGHERI, Storia del socialismo italiano. 2 volI., Torino1993 e 1997.

99 E. MASERATI, Il movimento ..., cit., p. 135.100 M. CATEARUZZA, Conflitto organizzato ..., cit., pp. 93-106; ID., La formazione ..., cit., pp. 109 -

121; E. MASERATI, Gli anarchici ..., cit., pp. 33-57.101 DIANA DE ROSA, Sviluppo delle città e movimento operaio tra la fine dell’Ottocento e il principio

del Novecento a Trieste,Trieste 1979, pp. 45-66; M. CATrARUZZA, Conflitto organizzato ..., cit.,pp. 96-102; E. MASERATI, Il movimento ..., cit., pp. 141-142 e 161.

102 G. PIEMONTESE, Il movimento .... cit.. pp. 109-124; C.G.I.L. Friuli -Venezia Giulia (a cura di),1902/1 982. La lotta dei fuochisti,Trieste s.d., pp. 19-43.

103 Si tratta dei giudizi apparsi sul “Il lavoratore”, il foglio ufficiale dell’organizzazione socialdemocratica ed espressi da alcuni dei principali dirigenti del tempo, Lajos Domokos e Giuseppina Martinuzzi (E. MASERATI, Gli anarchici ..., cit., pp 63 - 66; M. CATrARUZZA, Socialismocit., pp. 132-135).

104 E. MASERATI, Il movimento ..., cit., p. 178.

culturali socialdemocratici italiani e sloveni nella Trieste asburgica (1899-1914), in “Qualestoria”2 (2001), pp. 99 -121.

106 E. MASERATI, Il movimento ..., cit., pp. 190-195; ELIO APIH, Le Cooperative Operaie di Trieste,

Istria e Friuli, Trieste 1976, pp. 18-65.

107 M. CATFARUZZA, Socialismo ..., cit., p. 159.

108 E. MASERATI, Il movimento..., cit., p. 219.

109 M.CATrARUZZA, Socialismo cit., p. 81.

110 E. MASERATI, Il movimento ..., cit., pp. 184-185.

111 ENNI0 MASERATI, Il sindacalismo autonomista degli anni 1 904-1914, Udine 1965, pp. 25-42.

112 M. CATrARUZZA, Socialismo..., cit., pp. 75-78; E. MASERATI, Il sindacalismo ..., cit. pp. 44-45.

113 MARINA CATrARUZZA, ltaliani e sloveno nell’ultimo scorcio della Trieste asburgica, in “Bollettino

dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione del Friuli - Venezia Giulia”,

2 (1978), pp. 8-11; MARINA CATrARUZZA - GIOVANNI ZAMBONI, Trieste nella ‘Spàtgriinderzeit”.

Il controllo sulla forza lavoro nella fase del decollo economico, in “Bollettino dell’Istituto

regionale per la storia del movimento di liberazione del Friuli -Venezia Giulia”, 3 (1975), pp.

7-10; SILVANO BENVENUTI, Proletariato sloveno e capitale triestino: 1890-1914, in “Bollettino

dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione del Friuli -Venezia Giulia”,

2 (1974), pp. 17 - 18; E. MASERATI,11 movimento . . ., cit., pp.243 -270; Io., Il sindacalismo cit.,

pp. 46 -47.

114 ANGELO VIVANTE, Irrendetismo adriatico, Triestel9845(1 ed. 1912); E. APIH, Il socialismo

cit., pp. 101-161; M. CArrARUZZA, Il socialismo italiano in Austria, in ID., Trieste ..., cit. pp. 203

- 211; M. CArrARUZZA, Socialismo..., cit., pp. 163-173; G. NEGRELLI, Trieste ..., cit., pp. 1354-

1360; MARIO ALBERTI, Trieste e la sua fisiologia economica (1915), Roma 1916; GiULIO SAPELLI,

Trieste italiana. Mito e destino economico, Milano 1990.

105 E. MASERATI, Il movimento, pp.l’78 - 183; SABINE RUTAR, Istruzione ed emancipazione: i circoli