Bulletin du Cercle d'Etudes Numismatiques, vol. 50/2 (2013)

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C.E.N. BULLETIN « EUROPEAN CENTRE FOR NUMISMATIC STUDIE S » « CENTRE EUROPÉEN D’ÉTUDE S NUMISMATIQUE S » VOLUME 50 N° 2 MAI – AOÛT 2013 BCEN vol. 50 no 2, 2013 145 Ermanno Arslan ‒ Astri e potere nel mondo romano L’impulso a tentare una lettura iconolo- gica1 [1] di un tipo monetario gallienico, cui Ăš stato ïŹno ad oggi dato un signi- ïŹcato iconograïŹco del tutto sviante, con una rappresentazione del segno zodia- cale del Sagittario interpretata come Centauro, mi deriva da due occasioni. La prima Ăš rappresentata dalle belle le- zioni di Archeoastronomia di un colle- ga astronomo, Elio Antonello (operante presso l’Osservatorio Astronomico di Brera e Presidente della SocietĂ  Italiana di Archeoastronomia2 [2] ). Questi mi ha convinto della necessitĂ , per una cor- retta ricerca storica, di guardare il cielo non con gli occhi di oggi, di norma in- diïŹ€erenti (quando non sono di un col- lega astronomo o archeoastronomo), ma con gli occhi di quanti ci hanno prece- __________ [1] Una prima versione di questo piccolo contributo Ăš stata letta nel 2010 al IX Convegno della SocietĂ  Italiana di Archeoastronomia, 14- 16/9/2009, riunito presso l’Osservatorio Astro- nomico di Arcetri (Firenze). [2] L’Osservatorio Astronomico di Brera, Ăš uno storico osservatorio costituito nella seconda metĂ  del Settecento nel palazzo di Brera, a Mi- lano. Agli inizi degli anni venti del Novecento la sezione osservativa ïŹ” distaccata a Merate, in Brianza. Le due sedi condividono a tutt’oggi l’amministrazione e la direzione, e talvolta la designazione. duti nel passato, quando si aveva la cer- tezza incrollabile che negli astri si deter- minasse il destino di ciascuno e si go- vernasse il destino del mondo tutto. La seconda Ăš rappresentata dall’incarico avuto dalla collega Laura Simone, della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Milano, che ringrazio, di schedare e stu- diare un ripostiglio di monete recupe- rato nel 2008 a Corneliano di Truccaz- zano (MI)3 [3] . __________ [3] Una prima segnalazione in Arslan 2011. Il complesso Ăš stato edito in CD in Arslan & Simone Zopfi 2011. Il prodotto, realizzato con la necessitĂ  di rispettare scadenze immediate, presenta numerose manchevolezze redazionali ed omissioni per l’aïŹ€rettata preparazione del CD, anche se il materiale Ăš riprodotto inte- gralmente. Tale aspetto del prodotto viene segnalato in Crisafulli 2012, p. 261, che, senza prendere in considerazione il saggio in- troduttivo, si riïŹuta di allineare il ripostiglio agli altri 27 ripostigli italiani (molti dei quali ben piĂč inaïŹƒdabili relativamente alla compo- sizione e alla schedatura analitica dei mate- riali), che pone alla base delle sua ricostru- zione delle scelte di emissione di Aureliano e del signiïŹcato della sua riforma. Considerando la fondatezza delle osservazioni della collega, Ăš in corso una riedizione del CD, con l’emenda- mento della schedatura. Inalterata rimane l’in- tegrale riproduzione delle monete e il saggio di commento, che propone un tentativo di analisi dei progetti di comunicazione di Gal- lieno e Claudio Gotico tramite i tipi monetari, considerati in termini statistici, con la percen- tualizzazione delle presenze.

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C.E.N.

BULLETIN

« EUROPEAN CENTRE FOR NUMISMATIC STUDIE S » Â« CENTRE EUROPÉEN D’ÉTUDE S NUMISMATIQUE S »

VOLUME 50 N° 2 MAI – AOÛT 2013

BCEN vol. 50 no 2, 2013  145

Ermanno Arslan â€’ Astri e potere nel mondo romano 

L’impulso a tentare una lettura iconolo-gica1

[1]  di  un  tipo monetario  gallienico, cui  Ăš  stato  fino  ad  oggi  dato  un  signi-ficato iconografico del tutto sviante, con una  rappresentazione  del  segno  zodia-cale  del  Sagittario  interpretata  come Centauro,  mi  deriva  da  due  occasioni. La prima Ăš  rappresentata dalle belle  le-zioni di Archeoastronomia di un colle-ga astronomo, Elio Antonello (operante presso  l’Osservatorio  Astronomico  di Brera e Presidente della SocietĂ  Italiana di  Archeoastronomia2

[2]).  Questi  mi  ha convinto  della  necessitĂ ,  per  una  cor-retta ricerca storica, di guardare il cielo non con gli occhi di oggi, di norma in-differenti  ((((quando non  sono di un col-lega astronomo o archeoastronomo)))), ma con gli occhi di quanti ci hanno prece-__________ [1] Una  prima  versione  di  questo  piccolo contributo Ăš stata letta nel 2010 al IX Convegno della SocietĂ  Italiana di Archeoastronomia, 14-

16/9/2009, riunito presso l’Osservatorio Astro-nomico di Arcetri (Firenze). [2]  L’Osservatorio Astronomico di Brera, Ăš uno storico  osservatorio  costituito  nella  seconda metĂ  del Settecento nel palazzo di Brera, a Mi-lano. Agli inizi degli anni venti del Novecento la  sezione  osservativa  ŐŽŐ„  distaccata  a Merate, in Brianza. Le due sedi condividono a tutt’oggi l’amministrazione  e  la  direzione,  e  talvolta  la designazione. 

duti nel passato, quando si aveva la cer-tezza incrollabile che negli astri si deter-minasse  il  destino  di  ciascuno  e  si  go-vernasse il destino del mondo tutto. 

La seconda Ăš rappresentata dall’incarico avuto dalla collega Laura Simone, della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Milano, che ringrazio, di schedare e stu-diare  un  ripostiglio  di monete  recupe-rato nel 2008  a Corneliano di Truccaz-zano (MI)3

[3]. 

__________ [3]  Una prima segnalazione in Arslan 2011. Il complesso  Ăš  stato  edito  in  CD  in  Arslan  & 

Simone Zopfi 2011. Il prodotto, realizzato con la necessitĂ  di  rispettare  scadenze  immediate, presenta numerose manchevolezze redazionali ed  omissioni  per  l’affrettata  preparazione  del CD,  anche  se  il  materiale  Ăš  riprodotto  inte-gralmente.  Tale  aspetto  del  prodotto  viene segnalato  in  Crisafulli  2012,  p.  261,  che, senza prendere in considerazione il saggio in-troduttivo,  si  rifiuta  di  allineare  il  ripostiglio agli  altri  27  ripostigli  italiani  (molti  dei  quali ben piĂč  inaffidabili  relativamente  alla  compo-sizione  e  alla  schedatura  analitica  dei  mate-riali),  che  pone  alla  base  delle  sua  ricostru-zione delle  scelte di  emissione di Aureliano  e del significato della sua riforma. Considerando la fondatezza delle osservazioni della collega, Ăš in corso una riedizione del CD, con l’emenda-mento della schedatura. Inalterata rimane l’in-tegrale  riproduzione  delle monete  e  il  saggio di  commento,  che  propone  un  tentativo  di analisi  dei  progetti  di  comunicazione  di  Gal-lieno e Claudio Gotico tramite i tipi monetari, considerati in termini statistici, con la percen-tualizzazione delle presenze. 

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Premetto che un ripostiglio (meglio de-finibile  come un  complesso associato di monete)  Ăš  un  nucleo  di  monete  (o  di monete e di altri oggetti o di altre classi documentarie)  smarrito  o  occultato  in un momento preciso, che non sia  stato successivamente manomesso, fino al re-cupero  in  etĂ   moderna.  Un  ripostiglio monetale, che puĂČ avere infinite moda-litĂ   di  formazione  (cioĂš  di  accumulo delle monete e degli altri oggetti che  lo costituiscono), che non Ăš il caso di trat-tare in questa sede, quando si sia forma-to in tempi brevi e ci giunga integro4

[4], ci  propone  un’immagine  fedele  della circolazione monetaria dalla quale Ăš sta-to  ritirato,  cioĂš  della  massa  monetaria disponibile per l’utenza nel luogo di for-mazione  al  momento  della  sigillatura. Naturalmente  in  relazione  al  mercato nel  quale  quelle  specifiche monete  cir-colavano,  che  era  quasi  sempre  diffe-renziato per metallo e con caratteri tal-volta diversi nei vari luoghi. 

I  ripostigli  ci  forniscono  quindi  infor-mazioni  preziose  su  molti  aspetti  del-l’economia  antica,  per  i  quali  le  fonti spesso  tacciono  completamente,  e  si propongono  come  uno  strumento  in-dispensabile  per  la  ricerca  storica,  spe-cie di storia economica. 

Nel  nostro  caso  si  trattava  di  un  com-plesso  comprendente  un  denario  sube-rato5

[5]  di  Faustina  I, moglie  dell’impe-ratore  Antonino  Pio,  divinizzata  dopo __________ [4]  Nelle condizioni in cui era al momento del-la  scoperta,  senza  aver  subito  manomissioni, selezioni o dispersioni. [5]  I Denari  suberati  erano monete  in metallo vile (di norma rame) ricoperte con una sottile lamina in argento. Se riconosciuti venivano di norma  gettati  via  o  omologati  a  nominali  di valore  inferiore.  Sul  tema  si  ha  abbondante bibliografia,  sia  tecnica  che  storico-numis-matica. Cfr. ancora Crawford 1968, per l’ipo-tesi  che  fossero prodotti  da  falsari,  e Serafin 

1988,  per  l’ipotesi  di  emissioni  speculative nelle zecche ufficiali. 

la morte, la moneta piĂč antica6

[6], e 1.012 antoniniani in argento povero7

[7] (fig. 1), dispersi nel terreno dopo la rottura (o il disfacimento) di un contenitore perdu-to  (in  terracotta  o materiale  organico), che vennero recuperati con il cerca-me-talli.  Il  complesso,  ritrovato  sulle  rive dell’Adda a Corneliano di Truccazzano (MI) nel  corso  di  scavi  regolari,  va  co-munque  considerato  sostanzialmente integro ed affidabile. 

    Fig. 1 

Gli Antoniniani del ripostiglio di Truc-cazzano si distribuiscono, come data di emissione,  dal  255-256  al  272  ca.  al massimo, con rappresentati gli  impera-tori romani dell’epoca : Valeriano (253-

260), Gallieno (253-268), Salonina, mo-glie di Gallieno (254-268), Claudio Go-tico,  in  vita  (268-270)  e  divinizzato (post  270),  Quintillo  (270),  fratello  di Claudio,  Aureliano  (270-275).  Nel  Ri-postiglio  erano  presenti  anche  monete degli  usurpatori gallici, Postumo  (260-

269) e i due Tetrici, padre e figlio (271-

post 274 e 273-274). 

La data di occultamento Ăš definita dalle monete  piĂč  recenti,  di  Aureliano,  pre-cedenti alla riforma da lui attuata. 

Le  ragioni  dell’occultamento  possono essere  diverse :  si  puĂČ  ipotizzare  che  il 

__________ [6]  Con al Rovescio Cerere, del 141 d.C. e ss.; ric iii, p. 71, n. 358. [7]  Moneta  in  argento  povero,  definita  anche come â€œradiato”, per la corona a raggi sul capo dell’Imperatore  sul  Diritto,  indicativa  di  no-minale doppio rispetto all’unitĂ , emessa per la prima  volta  da Caracalla  nel 214  d.C. Quindi nominale da due Denari. 

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gruzzolo  sia  stato  nascosto  nel  271, quando  Aureliano  venne  duramente battuto dagli Alamanni a Piacenza ; ma si  puĂČ  anche  pensare  alla  minaccia, l’anno  successivo,  dopo  la  vittoria8

[8]  di Aureliano a Pavia, sempre sui medesimi Alamanni,  di  qualche  gruppo  germa-nico sbandato, che poteva essere ancora presente  intorno a Milano. Ma Ăš possi-bile anche pensare alla paura di briganti o di contadini insorti9

[9]. Oppure alla vo-lontĂ   di  nascondere monete  che Aure-liano  voleva  venissero  ritirate,  perchĂ© non  ostacolassero  la  collocazione  sul mercato  delle  proprie  emissioni  rifor-mate, di maggior valore intrinseco, cal-colato come metallo a peso10

[10]. 

__________ [8]  Gli  Alamanni  erano  un  gruppo  barbarico germanico  che  venne  affrontato  in  Italia  da Gallieno,  Claudio  II  e  Aureliano.  Dagli  Ala-manni  si  sviluppĂČ,  culturalmente  e  linguisti-camente, l’attuale Svizzera tedesca. [9]  Cfr.  il  simile complesso  recuperato a Gru-mello e Uniti (CR) (Grumello 1985) con 10 kg di monete, ora ridotte a 3.413, da Treboniano Gallo  a Aureliano, quest’ultimo con 84  esem-plari,  il  2,46%  dell’intero  nucleo  conservato, quasi  tutti  di  Mediolanum.  Le  monete  di Aureliano  sono  tutte  precedenti  la  riforma  e quindi  sono  indicative  per  la  data  di  occul-tamento. Aureliano  Ăš presente  a Truccazzano con  una  bassissima  percentuale  di  monete, l’1,08%, che puĂČ quindi indicare una sincronia per  la  data  di  occultamento,  che  potrebbe essere riferita ad eventi simili e concomitanti. [10] Per la  legge monetaria che portava al ritiro dal mercato, da parte dei privati, e alla  tesau-rizzazione della moneta Â« buona Â», e al mante-nimento  in  circolazione  della  moneta  « catti-va Â» cfr. Legge di Gresham 2006, con contributi di autori vari. L’imperatore Aureliano affrontĂČ nel  272  la  crisi  economica  e  monetaria  ere-ditata da Gallieno e da Claudio II, reprimendo nel  sangue  la  rivolta del personale della zecca di  Roma,  che  aveva  intrapreso  l’emissione  di cattiva  moneta  in  proprio,  chiudendo  le zecche che emettevano moneta nelle province orientali,  decentrando  la  produzione  di  una moneta  con  tipi  ovunque  identici  in  alcune poche zecche collocate nell’immenso territorio dell’Impero  e  imponendo  un  nuovo  tipo  di Antoniniano,  argentato,  con  la  sua  immagine 

In  questa  sede,  premettendo  come  la moneta, unico multiplo disponibile nel mondo  antico,  assumesse  un’enorme importanza nei programmi di  comuni-cazione del potere imperiale, mi riferirĂČ solo  ad  alcune  emissioni  di  Gallieno, databili  genericamente  tra  260  e  268, presenti nel ripostiglio di Truccazzano, per  le  quali  si  hanno  strumenti  per  la classificazione molto imprecisi11

[11]. 

Si tratta degli Antoniniani con al Rove-scio  una  figura  di  Centauro,  che  viene sempre descritto  come  tale,  senza ulte-riore  specificazione.  In  realtĂ   si  hanno due immagini con attributi ben distinti, che  impongono una valutazione  in  ter-mini storici molto differenziata. 

Alcune emissioni, in una prima fase del regno (258-259)12

[12], propongono il Cen-tauro (fig. 2), a destra o a sinistra, con la clava,  eloquente  simbolo  di  forza mili-tare, e con talvolta il globo, simbolo del potere universale. La leggenda Ăš illumi-nante e suona come LEG[IO] II PART [HICA] V (o VI, o VII) P[IA] V (o VI, o  VII)  F[IDELIS],  che  Ăš  possibile  tra-durre con Â« legione seconda partica cin-que  (o  sei,  o  sette)  volte  pia  e  fedele Â», con i due cognomina attribuitile da Gal-lieno tra 257 e 259. __________

sempre radiata, ma con peso e contenuto me-tallico  piĂč  alti  e  programmaticamente  stabili. E’ molto probabile  che  abbia  imposto  il  ritiro coatto  di  tutta  la  moneta  circolante  da  sosti-tuire. Per  la riforma di Aureliano si ha un di-battito tuttora aperto, per il quale si rimanda al recentissimo  Crisafulli  2012,  da  utilizzare con prudenza ma con ottima bibliografia. [11]  ric  v,  i  Ăš  ormai  strumento  catalogico molto  invecchiato. Si utilizzano di norma Cu-netio  1983,  Normanby  1988  e  Giard  1995, quest’ultimo meno facile da usare per la man-canza di indici. Su aspetti specifici delle emis-sioni  gallieniche  si  hanno  numerosi  e  ottimi contributi, non essenziali  in questa  sede. Pra-ticamente  inutilizzabile,  per  la  mancanza  di un apparato valido di indici, Ăš Giard 1995. [12]  Cohen 5, p. 388-389, nn. 478-486 ; ric v, 

i, p. 94, nn. 332-338. 

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Fig. 2 

Il  tipo  rientra  nelle  « serie  legionarie Â» di Antoniniani gallienici, con tipi desti-nati  a  sollecitare  il  lealismo  dei  corpi militari13

[13], nella  logica di una strategia di comunicazione molto trasparente. La legione secunda parthica era stata creata da  Settimio  Severo  nel  197,  era  stata stanziata  a  lungo  ad  Albano,  unica legione sul territorio italiano, a garanzia della  sicurezza  dell’Imperatore,  ed  era stata  di  grande  importanza  nel  com-plesso  e  sfortunato  periodo  del  regno congiunto di Valeriano e Gallieno. 

Il Centauro era il simbolo della Legione e  non  sembra  avere  avuto  riferimenti zodiacali14

[14]  : comparve anche piĂč tardi sulle emissioni dell’usurpatore Carausio (286-293), in Britannia, dove la legione era stanziata, in emissioni della zecca di Londra15

[15], con attributi vari, clava, glo-bo, lira, timone, scettro, trofeo, mai ar-co e frecce. Il tipo venne emesso anche a Camulodunum, sempre in Britannia, sia per  la  parthica  secunda16

[16],  che  per  la quarta flavia17

[17]. 

Le monete di Gallieno  con  il Centauro in  onore  della  legio  secunda  parthica  e ad  essa  probabilmente  destinate,  sono proposte come emesse a Milano18

[18], ma __________ [13]  Per le emissioni in onore delle Legioni, ric v, i, p. 34. [14]  Comunque  l’eventuale  riferimento  astrale, cioĂš alla costellazione omonima e ai miti rela-tivi, poteva riguardare la Legione e non la per-sona dell’Imperatore. [15]  ric v, ii, p. 468, n. 61 ss. [16]  ric v, ii, p. 487, nn. 269-271. [17]  ric v, ii, p. 480, n. 187. [18]  Cfr. nota 11. 

non  sono  rappresentate  nel  nostro  ri-postiglio,  con  monete  raccolte  certa-mente  nel  territorio  milanese,  dove finora  non  sono  attestate  nei  ritrova-menti in scavo (purtroppo scarsi). Sono invece  discretamente  presenti  a  Cune-tio,  in  Britannia19

[19],  in  un  complesso con  circa  il  doppio  di  monete  gal-lieniche  rispetto  a  quelle  presenti  nel-l’intero  ripostiglio di Truccazzano. CiĂČ puĂČ  forse  significare  una  errata  attri-buzione  delle  emissioni  alla  zecca  di Milano,  oppure  puĂČ  essere  riferito  ad una  circolazione  circoscritta  all’ambito militare :  la moneta era quindi piĂč pre-sente  lĂ   dove  era  stanziata  la  Legione. Va  perĂČ  ricordato  come  le  monete precedenti  al 260  siano  rare nel  nostro ripostiglio, 

Fortemente  rappresentata  nel  nostro ripostiglio  Ăš  invece  un’altra  serie  di emissioni, piĂč tarda (260-268), pure con al rovescio il Centauro (fig. 3), a destra, ma con arco e freccia20

[20], oppure, a des-tra o a sinistra, con il globo nella destra e il timone sulla spalla21

[21] (fig. 4). 

Fig. 3 

   Fig. 4 

__________ [19]  Cunetio 1983, nn. 1452-1457, 1494-1495. [20] Cohen  5,  p.  354,  nn.  72-73 ;  ric  v,  i, p. 145, n. 163. [21] ric v, i, p. 145, n. 164, emesse a Roma ; a Siscia viene emesso un  tipo con  il Centauro a sinistra, al galoppo, che tende l’arco a d. ric v, 

i, p. 180, n. 558. 

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La  leggenda  –  APOLLINI CONS[ER-VATORI]AUG[VSTI] â€“  si  riferisce  ad Apollo,  il  dio  arciere,  che  raggiunge l’avversario  da  lontano  con  le  frecce  e che  preserva  e  protegge  l’imperatore. Diodoro Siculo22

[22],  in una versione ben nota  del  mito,  ci  indica  come  Apollo fosse  padre  del  Centauro,  che  dal  dio derivava  evidentemente  la  qualifica  di Â« arciere Â», con i corrispondenti attribu-ti, l’arco e le frecce. Il Centauro-Sagitta-rio trasmette, esercitando il suo influsso astrale, all’imperatore il Globo, simbolo del potere universale, e custodisce il Ti-mone,  simbolo della  protezione  e  della guida divina. 

La corretta interpretazione del tipo, giĂ  presente nella  letteratura cinquecentes-ca23

[23], Ăš quindi quella che vede nel Cen-tauro del tipo monetale con la leggenda riferita ad Apollo il segno zodiacale del Sagittario,  con  un  riferimento  astrale all’omonima  costellazione,  ben  diversa dalla costellazione del Centauro (fig. 5), che non corrisponde ad alcun segno zo-diacale.  Il  Centauro  dell’omonima  co-stellazione  sarebbe  invece  quello  pre-sente  con  la  clava  sulle  monete  per  la Legio Partica Secunda. 

Fig. 5 

La distinzione  tra  le due  immagini  si  Ăš perduta nella manualistica numismatica __________ [22] Diodoro  Siculo,  iv,  69.  Cfr.  Carradice 

1983, p. 192. [23]  In Agustin 1592 : dialogo v, p. 98. 

corrente24

[24]  e non viene piĂč  citata,  sot-traendoci quindi un prezioso strumento per  l’interpretazione del programma di comunicazione che Gallieno sviluppava con  la  scelta  e  l’elaborazione  dei  tipi collocati  sulla  moneta,  unico  multiplo dell’antichitĂ ,  con diffusione universale e controllata. 

La scelta gallienica quindi con il tipo del Sagittario si inquadrava in una strategia che  non  riguardava  piĂč  solo  la  volontĂ  di  lusingare un corpo militare, al quale forse  erano  destinate  quelle  emissioni, ma desiderava segnalare alla totalitĂ  dei sudditi,  e non  solo  ad un gruppo  limi-tato  di  interlocutori,  gli  influssi  astrali che  qualificavano  colui  che  rivestiva  la carica  di  imperatore.  Influssi  che  egli deteneva  per  volontĂ   divina,  apollinea, dall’istante  del  concepimento,  quando era stato collocato Â« nel segno del Sagit-tario Â»,  con  una  evidente  predestina-zione alla dignitĂ  imperiale. 

Il  segno  infatti  si  riferiva  non  alla  data di  nascita  di  Gallieno, ma  a  quella  del concepimento, come Ăš stato interpreta-to per le rappresentazioni del Capricor-no nelle monete (fig. 6) e nei cammei di Augusto  (fig.  7),  concepito  sotto  l’in-flusso  di  questo  segno  zodiacale25

[25]. 

__________ [24] Il  riferimento  a  due  costellazioni  diverse sŐŽŐ„ggĂŹ  anche  al Carradice  1983,  p.  192,  che segnalava solo come il Centauro fosse piĂč fre-quentemente (« more usually Â») associato a Dio-niso, mentre in questo caso era raffigurato co-me Â« cacciatore Â». [25] Svetonio  (De  vita  caesarum,  ii.94),  indica come Augusto fosse nato sotto il segno del Ca-pricorno.  CiĂČ  contrasta  con  la  sua  effettiva data di nascita, indicata come il 22-23 settem-bre  63  a.C.,  sotto  il  segno  zodiacale  quindi  – allora â€“ del Leone,  come certo ci viene  ricor-dato  dalla  stessa  denominazione  di  un  mese dell’anno  come  « agosto Â».  L’indicazione quindi di Svetonio si riferisce al momento del concepimento, nove mesi prima, sotto il segno appunto  del  Capricorno.  Una  diversa  tradi-zione  astrologica  vuole  che  gli  influssi  astrali 

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Tanto  importante  era  l’influsso  del segno zodiacale al momento del conce-pimento,  tale  da  predestinare  la  vita successiva di ogni essere umano, che  il Capricorno ritornĂČ successivamente nei tipi delle monete anche di altri impera-tori  tutte  le  volte  che  ci  si  ricollegava alla  figura  di  Augusto,  come  modello politico  ed  ideologico.  CiĂČ  anche  con Gallieno26

[26] (fig. 8). 

 Fig. 6 

 

Fig. 7 

__________

agissero al momento del parto. Si veda, per la nascita  di  Alessandro,  che  Nectenabo  ritarda fino alla constatazione di una ottimale colloca-zione delle orbite celesti degli astri (Il Roman-zo di Alessandro 2007, i, pp. 143-144. [26] Serie  legionarie  del  regno  congiunto  con Valeriano : ric v,  i,  p. 92,  nn.  314,  318,  328 ; p. 96, nn. 361-364 ; p. 97, nn. 366-367. Il tipo p. 152,  nn.  244-246,  con  leggenda  NEPTV-NOCONSAVG,  sembra  proporre  l’Ippocam-po e non il Capricorno. 

 Fig. 8 

E’ da ricordare come gli  imperatori ro-mani  non  ottenessero  il  potere  per  di-ritto divino, o ereditariamente, come in altre  realtĂ   politiche  o,  successivamen-te, nella tarda antichitĂ . Essi conquista-vano, giĂ  con Augusto, il titolo sul cam-po, in termini oggi di difficile compren-sione, acquisendo e  sommando  tutte  le cariche civili e militari repubblicane che lo  giustificavano  (compresa  quella  di Â« Imperatore Â»). 

In  realtĂ   erano  tutti  « signori  della guerra Â»,  che venivano nominati  (e  an-che eliminati) dai loro eserciti. Era quin-di  essenziale  che  curassero  con grande impegno il Â« consenso Â» dei sudditi tutti e  in  particolare  delle  strutture militari, che di norma li avevano chiamati al po-tere.  In  un  mondo  che  attribuiva  im-portanza decisiva agli influssi astrali, di-mostravano  la  loro  predisposizione  al comando  supremo,  civile  e  militare, come determinata dal loro Â« oroscopo Â» al momento del concepimento, piĂč im-portante di quello della nascita. 

Gallieno si proponeva cosĂŹ come conce-pito sotto un segno fortemente positivo, il Sagittario, ed era predisposto e desti-nato, ancor prima di nascere, per volere di  Apollo,  ad  essere  buon  amministra-tore della giustizia,  dispensatore di be-nessere o di punizioni agli uomini, con gli attributi naturali della potenza e del-l’autoritĂ . 

Con  tali  attitudini  quali  ancor  oggi  si leggono nell’elenco delle prerogative del segno zodiacale del Sagittario, era quin-di degno e  capace di guidare  l’Impero. Egli  indicava  ciĂČ  ai  sudditi  con  la mo-neta, onnipresente a tutti i livelli sociali, 

BCEN vol. 50 no 2, 2013  151

rappresentando  il  Centauro-Sagittario, figlio  e  « strumento  astrale »  del  dio, con  gli  attributi  del  globo,  il  potere universale, e del timone, strumento per la guida nella navigazione, metafora del buon governo e attributo costante della personificazione  della  Fortuna,  di  nor-ma appoggiato sul globo27

[27] (fig. 9). 

Fig. 9 

Qualche anno piĂč tardi,  in una dimen-sione  ideologica che ormai prescindeva dalla ricerca del consenso, nelle monete di Aureliano, il globo veniva consegna-to all’imperatore da Giove in persona28

[28] o  dal  Sole,  in  quel  momento  divinitĂ  orientale di primo piano29

[28]. Tipi che si articolano  in  una  sequenza  program-matica  giĂ  molto  diversa  di  comunica-zione, che non pare il caso di analizzare in questa sede. 

Nei manuali del passato il timone, sulla spalla del Centauro, non veniva ricono-sciuto  e  veniva  indicato  come  « tro-feo Â»30

[29].  Solo  nella  bibliografia  piĂč  re-cente viene descritto correttamente31

[30]. 

__________ [27] ric  v,  i,  p.  134,  nn.  42-43 :  Aurei  con  la Fortuna  stante  con  cornucopia  e  timone  sul globo. [28] ric v,  i,  p.  289,  n.  225  e passim,  con  leg-genda IOVICONSER[VATORI]. Appare signi-ficativo come il globo, da intendere rappresen-tazione  della  terra  come  elemento  centrale nella  concezione  astronomica  di  quell’epoca, venisse  proposto  correttamente  di  forma  sfe-rica. [29] ric v,  i,  p.  297,  n.  283  e  passim,  con  leg-genda SOLICONSERVATORI. [30] ric v, i, p. 145, n. 164 e passim. [31] Giard 1995, nn. 4262-4391. 

Il  Sagittario  nei  tipi  monetali  sembra apparire  con  Gallieno  e  nessuno  degli altri  imperatori  del  suo  secolo  lo  pro-pose, ad eccezione degli usurpatori del-l’Impero Gallico. Il tipo, con il Centau-ro a d. o a s. e con la leggenda APOLLI-NICO[NSERVATORI], riappare infatti in emissioni irregolari con Tetrico I32

[31] e con Tetrico II, queste ultime con la leg-genda  SOLICONSER[VATORI]  e  il Centauro  con  l’arco33

[32].  Il  riferimento apollineo  Ăš  sicuro,  come  pure  il  rico-noscimento  del  Sagittario  nell’immagi-ne erroneamente attribuita al Centauro. Improbabile invece sembrerebbe invece un riferimento ad  influssi astrali  in  tipi che appaiono a carattere imitativo dalle emissioni gallieniche ufficiali. 

Nelle  emissioni  del  secolo  successivo  il tipo Ăš assente. Esso si riferisce quindi â€“ a  mio  avviso  –  proprio  al  giorno  del concepimento di Gallieno, evento squi-sitamente personale, fortemente signifi-cativo  in  una  dimensione  culturale  di totale fiducia negli influssi astrali. 

La sottovalutazione nella bibliografia di supporto alla catalogazione di tale scelta tipologica  per  i  tipi  monetari  indica come nel tempo si sia perduta non solo la sensibilitĂ  per la ŐŽŐ„nzione fondamen-tale  della  moneta  nella  formazione  del Â« consenso Â», che abbiamo visto modifi-carsi giĂ  con Aureliano, con la proposta di tipi ŐŽŐ„nzionali a definire in senso po-sitivo  l’immagine del potere, ma anche la  coscienza  dell’importanza  decisiva data  nel  mondo  romano  agli  influssi astrali al momento del concepimento. 

SensibilitĂ  ancora viva nell’alto medioe-vo, se troviamo, nel ix secolo, le imma-gini  di  Centauro  e  Sagittario  ben  dis-tinte  nella  decorazione  nello  schienale della Cattedra di San Pietro a Roma, con 

__________ [32] ric v, ii, p. 412, n. 151. [33] ric v, ii, p. 425, n. 292 

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evidenti  ricadute  simboliche  relative  al potere  della  Chiesa,  ma  ormai  spenta nel xix secolo, con una lettura della mo-neta  –  ad  esempio  nel  Cohen  –  arida-mente iconografica e quasi mai iconolo-gica. Le monete non sono piĂč documenti per  la  storia ma  esemplari  piĂč  o meno rari da allineare in una collezione. 

bibliografia 

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BCEN vol. 50 no 2, 2013  153

Philip TORDEUR * â€’ Le quinaire de Jules  CĂ©sar  du  type  Crawford  452/3 (48 av. J.-C.)  Parmi  les  monnaies  les  plus  rares Ă©mises par CĂ©sar figure le quinaire d’ar-gent  « au  trophĂ©e Â»  que  M.  Crawford catalogue  sous  la  rĂ©fĂ©rence  452/3  [1]. Cette  petite  dĂ©nomination,  valant  la moitiĂ© du denier, n’avait plus Ă©tĂ© Ă©mise depuis les alentours de 85 av. J.-C. [2] 

     Fig. 1 â€“ Paris, BnF AF 2807 (cat. no 1) 

Le  quinaire  de  CĂ©sar,  frappĂ©  dans  un atelier itinĂ©rant, se dĂ©crit de la maniĂšre suivante (fig. 1) : 

a  Buste  fĂ©minin  drapĂ©  et  voilĂ©  Ă   dr. (Vesta  ?).  DerriĂšre,  au  dessus  d’un simpulum (anse Ă  dr.), le numĂ©ral II Ă  lire de haut en bas. 

r  TrophĂ©e  d’armes  constituĂ©  d’une cuirasse  placĂ©e  sur  une  hampe  ver-ticale  ornĂ©e  de  deux  globules  latĂ©-raux.  Il  supporte  Ă   g.,  un  bouclier macĂ©donien  rond  ornĂ©  de  globules 

__________   *  Nous remercions pour leur prĂ©cieuse colla-boration Jean-Marc Doyen (umr 8164, halma-

ipel,  UniversitĂ©  de  Lille  3),  le  Prof.  Michael Crawford, M.  Dominique  Hollard,  conserva-teur  Ă   la  BibliothĂšque  nationale  de  France ainsi que M. Ian Leins, conservateur des mon-naies  romaines  au British Museum  Ă  Londres. Nicolas Tasset a rĂ©visĂ© les donnĂ©es historiques et Vincent GeneviĂšve Ă  revu le texte, ce dont je les remercie. [1] M.  Crawford,  Roman  Republican  Coin-age, Cambridge, 1974, p. 467 et pl. liii. [2]  H.A. Grueber, Coins of the Roman Republic in  the  British Museum,  London,  1910,  vol. 1, p. 507, note 1. 

et  Ă   dr.,  une  Ă©pĂ©e.  Il  est  surmontĂ© d’un  casque  hĂ©misphĂ©rique  ornĂ© d’un bouton et muni de deux larges paragnatides.  Dans  le  champ  Ă   g., une  couronne  de  laurier  ;  Ă   dr.,  un ancile. De part et d’autre,  la  lĂ©gende CAE/SAR. 

Fig. 2 â€“ Le quinaire de CĂ©sar dessinĂ© par Dardel dans l’ouvrage de Cohen (1857) 

Le type est connu de longue date et ca-taloguĂ© dans les recueils anciens : Cohen (fig. 2) [3], Babelon [4], Grueber [5], Syden-ham  [6],  Seaby  [7].  Il  figure  Ă©galement dans les collections du MusĂ©e Kestner Ă  Hanovre [8]. 

L’atelier Ă   l’origine de ce quinaire a Ă©tĂ© localisĂ©  Ă   Apollonia  d’Illyrie,  mais  la frappe est  attribuĂ©e par M. Crawford Ă  une  officine  militaire  itinĂ©rante  voya-geant avec CĂ©sar et son armĂ©e [9]. __________ [3]  H.  Cohen,  Description  gĂ©nĂ©rale  des  mon-naies de la RĂ©publique romaine, communĂ©ment appelĂ©es  mĂ©dailles  consulaires,  Paris,  1857, no 16 et pl. xx, no 14. [4]  E. Babelon, Description historique et chro-nologique  des  monnaies  de  la  RĂ©publique  ro-maine vulgairement monnaies consulaires, Paris { London, 1885-1886, t. ii, p. 18-19, Julia 29. [5]  Grueber,  op.  cit.,  p.  507,  no  3961  et pl. xlix, no 16. [6]  E.A. Sydenham, e coinage of the Roman Republic, London, 1952, p. 168, no 1012. [7]  H.A. Seaby, Roman silver coins. Revised by D.R. Sear & R. Loosley, London, 1978, p. 108, no 16.  [8]  F. Berger, Die MĂŒnzen der Römischen Re-publik im Kestner-Museum Hannover, Hanno-ver, 1989, p. 480-481, no 3560. [9]  Crawford,  loc. cit.  : â€œMint â€“ moving with Caesar”. 

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 Fig. 3 â€“ Les mouvements de CĂ©sar en GrĂšce en 48 av. J.-C. (dao Ph. Tordeur) 

 

Nous pensons pouvoir le localiser Ă  par-tir  des  donnĂ©s  historiques  en  dĂ©termi-nant oĂč sĂ©journait CĂ©sar en 48 av. J.-C. lors de son sĂ©jour en GrĂšce.    

Ainsi,  les  faits  historiques  se  chargent de faire parler la monnaie et dans ce cas prĂ©cis, de retrouver peut-ĂȘtre l’atelier Ă  l’origine de ce quinaire. 

Alors que l’ensemble des monnaies Â« iti-nĂ©rantes Â»  frappĂ©es par CĂ©sar en GrĂšce sont  attribuĂ©es  Ă   l’atelier  d’Apollonie dont les ruines sont situĂ©es dans l’actuel Albanie, prĂšs de la ville de Pojani, il sem-ble  utile  de  suivre  les  mouvements  du proconsul  lors  des  activitĂ©s  militaires menĂ©es en GrĂšce cette annĂ©e-lĂ  (fig. 3). 

AprĂšs avoir  traversĂ© la mer Adriatique, CĂ©sar  parvient  en  GrĂšce  en  janvier  48 av. J.-C. [10] Pendant une pĂ©riode de six mois,  CĂ©sar  et  PompĂ©e  sont  restĂ©s  Ă  

__________ [10] Caes.  Commentarii  de  Bello  Civili,  3.2-19, 

23-31, 39-7 ; J. Carcopino, Histoire romaine. Tome  II,  CĂ©sar,  Paris,  1950,  p.  896.  Internet/ livius/UNRV.com 2003. 

Dyrrhachium  (DurrĂ«s  moderne)  oĂč  ils ont  construit  de  grandes  forteresses  se faisant face (fig. 4). 

 Fig. 4 â€“ Les campements de CĂ©sar Ă  

Dyrrhachium (d’aprĂšs Jona Lendering2[11]) __________ [11]  Dans  Livius.Org,  2005,  revision  :  26  May 2008. 

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AprĂšs un assaut des troupes de PompĂ©e le  7  juillet,  CĂ©sar  et  son  armĂ©e  ŐŽŐ„rent contraints  de  marcher  vers  l’intĂ©rieur du  pays.  Cependant,  ils  passĂšrent  d’a-bord par Apollonia car il ne restait plus d’argent pour payer les troupes. C’est en effet Ă  Apollonia que CĂ©sar a pu se pro-curer les fonds nĂ©cessaires, en imposant une  nouvelle  contribution  de  guerre  Ă  cette riche citĂ©3[12]. 

Les  monnaies  Ă©mises  pendant  cette pĂ©riode  mentionnent  toutes  II  (52), soit  l’ñge  de CĂ©sar4[13].  Comme  le  52Ăšme anniversaire  de  CĂ©sar  eut  lieu  le  13 juillet  de  l’an  48  av.  J.-C.,  on  estime depuis longtemps que les monnaies qui mentionnent II  ont  Ă©tĂ©  frappĂ©es  aprĂšs son  anniversaire,  donc  Ă  Apollonie,  ou juste  aprĂšs,  lors  de  la  traversĂ©e  des monts Pinde (Pindos) vers Pharsale5[14]. 

CĂ©sar  voulait  pouvoir  combattre  Pom-pĂ©e dans un endroit appropriĂ©. Le choix s’est  portĂ©  finalement  sur  Pharsale  oĂč, le 9  aoĂ»t,  ses  soldats  expĂ©rimentĂ©s  ont vaincu  l'armĂ©e  de  son  rival.  Comme Ă   l’issue  de  la  bataille  PompĂ©e  s’était Ă©chappĂ©  en  Égypte,  CĂ©sar  a  quittĂ©  la GrĂšce  Ă   sa  poursuite.  Le  proconsul arriva  Ă  Alexandrie  le 30  septembre de l’an  48  av.  J.-C.,  deux  jours  aprĂšs  l’as-sassinat  de  PompĂ©e  par  le  jeune  roi d’Égypte,  PtolĂ©mĂ©e  XIII,  le  frĂšre  de ClĂ©opĂątre.  L’émission  des  quinaires  se place certainement avant cette date. 

Mis  Ă   part  ses  dĂ©placements  rapides avant  et  aprĂšs  les  batailles  en  GrĂšce, CĂ©sar a  sĂ©journĂ©  la plupart du  temps Ă  Dyrrhachium,  et  plus  prĂ©cisĂ©ment  de janvier  Ă   juillet. C’est Ă   cet endroit que le  campement  principal  a  pu  abriter l’atelier  de  frappe  destinĂ©  au  paiement de la solde des lĂ©gionnaires. 

__________ [12]  G. Walter, CĂ©sar, Verviers, 1964, p. 321. [13]  K. Christ, Caesar, MĂŒnchen, 1994, p. 35. [14] Caes. B.C. iii, 3.89. 

Le  quinaire,  qui  mentionne  au  droit l’ñge de CĂ©sar II et au revers la victoire [sur  PompĂ©e]  Ă   dĂ»  ĂȘtre  frappĂ©  aprĂšs  la bataille  de  Pharsale,  donc  aprĂšs  le  9 aoĂ»t de l’an 48 av. J.- C., sans doute non loin de cette ville. 

Le  quinaire  a  fait  office  de  monnaie commĂ©morative  aprĂšs  Pharsale.  Le  re-vers montre en effet un trophĂ©e avec un bouclier  macĂ©donien  Ă   gauche,  une couronne  de  laurier  placĂ©e  en-dessous ainsi qu’un bouclier romain Ă  droite. 

Les monnaies frappĂ©es en GrĂšce Ă  cette Ă©poque sont de quatre types (fig. 5-8). 

     Fig. 5 â€“ Denier Crawford 452/2 (H.D. Rauch, Auktion 85, 26/xi/2009, no 316). Masse thĂ©orique : 3,96 g ; titre : 950‰ ; taille 1/82e de livre ; valeur : 16 asses 

     

Fig. 6 â€“ Quinaire Crawford 452/3 (BnF AF 2807). Masse thĂ©orique : 1,98 g ; titre 950‰ ; taille : 1/164e de livre ; valeur : 8 asses 

     

Fig. 7 â€“ Denier Crawford 452/4 (Numismatica Ars Classica 70, no 157). Masse thĂ©orique : 3,96 g ; titre : 950‰ ; 

taille 1/82e de livre 

156  BCEN vol. 50 no 2, 2013

     Fig. 8 â€“ Denier Crawford 452/5. Masse thĂ©orique : 3,96 g ; titre : 950‰ ; taille 

1/82e de livre 

Le  denier  d’argent  du  type  Cr.  452/2 (fig.  5)  est  le  plus  courant  de  cette  pĂ©-riode  ;  il a servi pour le paiement de  la solde  des  lĂ©gionnaires.  M.  Crawford estime son nombre de coins Ă  63 pour le droit et 70 pour le revers. En revanche, on  constate  que  le  quinaire,  du  type Crawford 452/3, est beaucoup plus rare. Pour ce dernier, M. Crawford estime le nombre de coins de droit Ă  moins de 10 et celui des revers Ă  moins de 11. Il s’a-git  de  statistiques  se  fondant  sur  un nombre  d’exemplaires  limitĂ©,  tenant compte  du  nombre  de  combinaisons observĂ©es  entre  les matrices. Ces mon-naies militaires ont souvent Ă©tĂ© frappĂ©es de maniĂšre dĂ©centrĂ©e, ce qui rend plus difficile la comparaison des coins. 

À  partir  de  notre  propre  documenta-tion et en pratiquant les statistiques6[15] Ă  partir du nombre d’exemplaires retrou-vĂ©s (23 piĂšces) et  le nombre de  liaisons de coins observĂ© (10 coins de droit et 12 coins de revers) nous estimons le nom-bre  de  coins  de  droits  entre  un  mini-mum de 10 et maximum de 23, et celui de coins de revers entre 12 et 23. 

Pour  cette  brĂšve  sĂ©rie,  nous  pouvons estimer  une  production  globale  de 23#30.000  piĂšces  (valeur moyenne des monnaies produites Ă  partir d’une paire de coins)7

[16] soit 690.000 quinaires d’une 

__________ [15] Ch.  Carcassonne,  MĂ©thodes  Statistiques en Numismatique, Louvain-la Neuve, 1987. [16] La  littĂ©rature  Ă   ce  sujet  est  beaucoup  trop vaste pour ĂȘtre Ă©voquĂ©e ici. 

masse  thĂ©orique  de  1,98  g,  pour  une masse globale de 1.366 kg d’argent. 

On  peut  envisager  une  distribution  de ce quinaire aprĂšs Pharsale, sur la base de 50 exemplaires par soldat. 

Ce  quinaire  rare,  connu  par  25  exem-plaires  seulement  (dont  23  illustrĂ©s), doit  certainement  ĂȘtre  prĂ©sent  dans d’autres collections privĂ©es. Nous espĂ©-rons pouvoir recevoir d’autres photos et les  donnĂ©es  techniques  d’exemplaires non rĂ©pertoriĂ©s afin de complĂ©ter notre Ă©tude. 

MĂ©trologie 

                 

Fig. 9 â€“ Histogramme des masses du quinaire Crawford 452/3 

La masse thĂ©orique du quinaire s’établit Ă  1,98 g. La masse observĂ©e pour notre sĂ©rie est nettement plus  faible, Ă   savoir 1,78 g pour 20 exemplaires dont les don-nĂ©es pondĂ©rales ont Ă©tĂ© relevĂ©es (fig. 9). Cette  masse,  anormalement  lĂ©gĂšre,  est en  quelque  sorte  due  Ă   la  raretĂ©.  En effet, la valeur commerciale de ces peti-tes monnaies fait qu’elles sont archivĂ©es quel que  soit  leur Ă©tat de  conservation. Or, beaucoup sont trĂšs usĂ©es, voire lĂ©gĂš-rement Ă©brĂ©chĂ©es, ce qui  fait  tomber  la moyenne pondĂ©rale de 10%. 

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1

2

3

4

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[1,85 Ă  1

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[1,90 Ă  1

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>=1,9

5

BCEN vol. 50 no 2, 2013  157

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158  BCEN vol. 50 no 2, 2013

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r₁₂

BCEN vol. 50 no 2, 2013  159

Catalogue 

a₁|r₁ q BnF AF 2807 : 1,72 g ; 0. a₁|r₂ w BM 2002, 0102.4 : 1,92 g ; !. a₂|r₃ e Bank Leu ag  – MĂŒnzen und Me-

daillen ag, Sammlung Walter Nig-geler. 2. Teil, Basel, 11-12/x/ 1966, no 922 : 1,84 g ; .. 

  r Baldwin’s  42,  2005,  no  94.  Non pesĂ©. 

  t Kestner  Museum  (Hannover),  no 3560 : 1,97 g ; .. 

  y BnF d’Ailly 10909 : 1,72 g ; 6.   u Andrew McCabe coll. : 1,6 g. a₃|r₄ i Triton  ix,  10-11/i/2006,  no  1330  : 

1,88 g ; # = Nummorum Auctiones 10, 24-25/iii/1998, no 659. 

  o Numismatica Ars  Classica  40,  16/ v/2007, no 541 : 1,88 g = Sternberg xxxii, 28-29/x/1996, no 498. 

  a Numismatica Ars Classica 63,  17/ v/2012, no 356 = Coin Galleries iv, 1985, no 246 : 1,86 g. 

a₃|r₅ s Adolph E. Cahn, Auktion 75, 30/v/ 1932, no 765. Non pesĂ©. 

a₄|r₆ d BnF d’Ailly 10908 : 1,81 g ; 2.   f BM 1843,  0116.715  :  1,89  g  ; . = 

Sotheby’s 30/v/1842. a₅|r₆ g Sammlung  Leo  Benz.  Lanz, Auk-

tion 88, 23/xi/1998, no 755 : 1,79 g =  Schweizerische  Kreditanstalt, Auktion  3,  avril  1985,  no  449  = Numismatic Fine Arts vi, 27-28/ii/ 1979, no 530. 

  h Sammlung  Haeberlin.  A.E.  Cahn & A. Hess,  17/vii/1933,  no  2691  : 1,80 g. 

a₆|r₆ j Ars  Classica  (GenĂšve),  27-29/vi/ 1928, no 1008 : 1,60 g. 

a₇|r₆ k Giessener MĂŒnzhandlung 79, 14/x/ 1979, no 509 : 1,82 g. 

a₇|r₇ l Coll.  Ph.  Tordeur  :  1,65  g  ; .  = cng 302, 8/v/2013, no 330. 

a₇|r₈ ; cng 75, 23/v/2007, no 908 : 1,89 g ; . = Lanz 78, 25/xi/1996, no 468. 

a₈|r₉  2) Numismatica Ars Classica, Auction M, 20/iii/2002, no 2518 : 1,64 g. 

a₈|r₁₀ 2! Sammlung Haeberlin, A.E. Cahn & A. Hess, 17/vii/1933, no 2690 : 1,94 g. 

a₉|r₁₁  2@ cgb  - Monnaies 45, 2010, no  257  : 1,39 g ; 2. 

a₁₀|r₁₂ 2# E. Bourgey, 4/xi/1913, no 677. Non pesĂ©. 

a????|r???? 2$-2% Ars Classica (GenĂšve), 27-29/vi/ 1928, no 1009 : lot de deux ex. non illustrĂ©s et non pesĂ©s. 

  

Rudi SMITS â€“ Un sesterce inĂ©dit de Julia Domna (Rome, 212 apr. J.-C.)  Plusieurs  monnaies  de  Julia  Domna Ă©mises Ă  Rome portent au revers  la  re-prĂ©sentation  de  CĂ©rĂšs.  Nous  avons  re-levĂ© les lĂ©gendes et les types suivants : 

CERES S/C

â–Ș as (ric [1] 870 [CĂ©rĂšs debout] ; Hill [2] 346 : 198 ad) â–Ș sesterce (ric 848 ; Hill 348 : 198 ad) â–Ș sesterce  (ric 849  [CĂ©rĂšs assise]  ; Hill 

1023 : 209 ad) â–Ș mĂ©daillon  de  bronze  (Gnecchi  [3],  ii/ 

76/1 ; Toynbee [4], pl. xliv, 2 ; Banti [5] 2 : CĂ©rĂšs debout, fig. 1). 

 

  

          Fig. 1

__________ [1]  H. Mattingly & E.A. Sydenham, e Ro-man  Imperial  Coinage.  Vol.  IV.  Part  I.  Perti-nax to Geta, London, 1936. [2]  P.V. Hill, e coinage of Septimius Severus and  his  family  of  the Mint  of  Rome  ad  193-217, London, 1977. [3]  F. Gnecchi,  I medaglioni  romani, Milano, 1912. [4]  J.M.C. Toynbee, Roman medallions. With and  introduction  to  the  reprint  edition  by William E. Metcalf, New York, 1986. [5]  A.  Banti,  I  grandi  bronzi  imperiali,  IV/1, Firenze, 1986. 

160  BCEN vol. 50 no 2, 2013

CERERI FRVGIF

â–Ș denier (ric 546 ; Hill 424 [CĂ©rĂšs assi-se] : 200 ad). 

CEREREM S/C

â–Ș dupondius  (ric  Caracalla  596  ;  Hill 1319 [CĂ©rĂšs tenant sceptre] : 212 ad) â–Ș dupondius  (ric  –  ;  Hill  1320  [CĂ©rĂšs tenant torche] : 212 ad) â–Ș as (ric 596 ; Hill 1322 : 212 ad).  On  connaĂźt  Ă©galement  d’assez  nom-breuses  reprĂ©sentations  de  CĂ©rĂšs  dans le monnayage  impĂ©rial Ă©mis en Orient, avec des lĂ©gendes fort variĂ©es. On relĂšve Ă  EmĂšse CERE FRVG, CERERE AVG, CERERE AVGVS  [6] ;  Ă   LaodicĂ©e  ad Mare : CERERI FRVGIF [7]. 

Un  sesterce  inĂ©dit  de  style  romain  est apparut  rĂ©cemment  dans  le  commerce numismatique [8]. 

Description 

IVLIAPIA/FELIXAVG Buste drapĂ© Ă  dr. CEREREM    S/C CĂ©rĂšs  debout  Ă   g.,  tendant  deux  Ă©pis au-dessus  d’un  modius  et  tenant  un sceptre vertical. Sesterce: 26,99 g â€“ ĂŒ â€“ 30 mm (fig. 2). 

De  part  sa  titulature,  typique  de  l’épo-que  du  rĂšgne  seul  de  Caracalla  (212-

217),  la  nouvelle monnaie  ne  pose  au-cun problĂšme de classement. Elle vient s’ajouter au deux dupondii et Ă  l’as dĂ©jĂ  connus. L’ensemble est attribuĂ© par Ph. V. Hill Ă  une Ă©mission monĂ©taire spĂ©ci-fique,  celle  cĂ©lĂ©brant  la  7Ăšme  libĂ©ralitĂ© impĂ©riale (denier au revers LIBERALI-TAS AVG VII [9]). __________ [6]  ric 616a-618. [7]  ric 636. [8]  JHE Auctions 3/2013. [9]  Hill 1313. 

 Fig. 2 

CĂ©dric WOLKOW â€’ Une variante inĂ©dite d’un  antoninien  de  Gallien  frappĂ©  Ă  Milan (265 apr. J.-C.) 

Il  nous  paraĂźt  utile  de  publier  ici  une monnaie  (fig. 1)  apparemment non  rĂ©-pertoriĂ©e10

[1]. Il s’agit d’un antoninien de Gallien frappĂ© Ă  Milan en 265 apr. J-C.  

      Fig. 1 

 

    Fig. 2 

 IMPGALLIENVSAVG

TĂȘte  radiĂ©e  Ă   dr.,  un  pan  de  draperie (visible  Ă   l’avant  et  Ă   l’arriĂšre)  sur  l’é–paule g. Un ruban passe sur le cou. 

PA/X AVG   â€“/S/– 

Pax  courant  Ă   g.,  tenant  un  rameau  et un sceptre oblique. 

Antoninien: masse non relevĂ©e â€“ ĂŒ. 

__________ [1]  Coll. H. Ex coll. C. Wolkow. 

BCEN vol. 50 no 2, 2013  161

Robert  Göbl11

[2]  a  recensĂ©,  dans  sa  cin-quiĂšme  Ă©mission  de  l’atelier  de Milan, cinq  types  d’antoniniens  portant  les mĂȘmes titulature de droit et lĂ©gende de revers que l’exemplaire dĂ©crit ci-dessus. Il s’agit des variĂ©tĂ©s suivantes : 

â–Ș  sans marque d’officine (1226c) â–Ș  avec  marque  d’officine  P  Ă   l’exergue (1227e) 

â–Ș  avec  marque  d’officine  S  Ă   gauche (1228e) 

â–Ș  avec  marque  d’officine  S  Ă   l’exergue (1229d et 1229e) 

 Cependant, une interrogation subsistait pour la monnaie mir 1226c sur laquelle apparaĂźt,  Ă   droite,  la  trace  probable d’une marque d’officine illisible (fig. 2). Il  semble  dĂšs  lors  que  la monnaie  que nous publions aujourd’hui corresponde Ă  celle-ci. 

Notons que d’aprĂšs les travaux de Jean-Marc Doyen, qui s’appuyent sur l’étude des  coins  et  sur  l’activitĂ©  des  graveurs pour  proposer  un  classement  plus  prĂ©-cis12

[3], notre exemplaire appartiendrait Ă  la 9Ăšme sĂ©rie, phase II, groupe D (antoni-niens marquĂ©s P et S), datĂ©e d’aoĂ»t 265 

‒ second semestre 265. 

Avec cette lĂ©gende et ce buste, nous trou-vons chez J.-M. Doyen le numĂ©ro d797 (S/– : 9 ex., 7 coins de droit, 7 coins de revers), le d798a et d798b (avec â€“/–/S ; d798a  :  24  ex.  de  19  coins  de  droit  et 16 coins  de  revers ;  d798b  :  3  ex.  issus de 3 paires de coins diffĂ©rents). 

__________ [2]  R. Göbl,    Die MĂŒnzprĂ€gung der Kaiser Vale-rianus  I./Gallienvs/Saloninus  (253/268),  Rega-lianus (260) und Macrianus/Quietus (260/262), Wien, 2000 (mir 36, 43, 44). [3] J.-M. Doyen, L’atelier de Milan  (258-268). Recherches  sur  la  chronologie  et  la  politique monĂ©taire  des  empereurs  ValĂ©rien  et  Gallien (253-268),  thĂšse de doctorat, Louvain-la Neu-ve, 1989, 7 vol. AbrĂ©gĂ© ci-aprĂšs en d.

Notre monnaie pourrait donc ĂȘtre intĂ©-grĂ©e sous le no d797(b) de ce catalogue. Il reste donc Ă  retrouver la monnaie sans marque  d’officine  dĂ©crite  par  R.  Göbl sous  son  no  1226c,  pour  autant  qu’elle existe.    Michel THYS â€’ Le type AEQVITAS dans le monnayage de Marius (269 apr. J.-C.) 

armi  les  antoniniens  frappĂ©s par l’usurpateur gallo-romain Mar-cus  Aurelius  Marius  (269),  ceux 

au  revers  de  l’Aequitas  sont  de  loin  les plus rares. En fait, le dossier est particu-liĂšrement mince  puisqu’il  ne  comporte que trois exemplaires bien avĂ©rĂ©s. 

La  description  de  cet  antoninien  est  la suivante : 

Fig. 1  

Fig. 2  

Fig. 3  

a IMP C M AVR MARIVS AVG Buste  radiĂ©  et  cuirassĂ©  Ă   dr.,  vu  de trois-quarts en avant. 

r AEQVITAS AVG Aequitas  debout  Ă   g.,  tenant  une balance  dans  la  main  dr.  et  une corne d’abondance dans la main g. 

P

162  BCEN vol. 50 no 2, 2013

Cohen  213

[1],  ric  1514

[2],  Elmer  64115

[3], agk 1016

[4]. 

Ce  revers  est  courant  dans  le monnay-age de Victorin (269-271)17

[5], successeur de Marius, qui le frappe abondamment dans  l’atelier  de  Cologne  lors  de  son avĂšnement. La question est de  savoir  si ce type est un hybride dans le monnay-age de Marius, associant un droit de ce dernier  empereur  Ă   un  revers  propre  Ă  Victorin, ou si Marius est le vrai initia-teur de ce revers qui sera ensuite repris par Victorin. 

Les trois exemplaires connus de Marius sont  les  suivants,  tels que signalĂ©s dans l’agk18

[6] : 

1.  Collection  Walla  (Wien),  citĂ©  par G. Elmer  ( fig. 1). 

2. Collection Allote de la Fuye (vente Flo-range & Ciani  du 4 mars 1925,  no 452) ( fig. 2). 

3.  Collection  J.-M. Kruchten  (citĂ©e  par agk  sous  la  mention  « collection  pri-vĂ©e Â»)  (fig. 3) : 2,38 g â€“ Ă â€“  18,3#20,9 mm. Cet exemplaire a Ă©tĂ© acquis au dĂ©-but des annĂ©es 1980 auprĂšs du marchand parisien  S. Boutin.  Il  pourrait  s’agir  de l’exemplaire de la coll. Le Comte citĂ© par __________ [1] H. Cohen, Description historique des mon-naies frappĂ©es sous l’Empire romain, 2e Ă©dition, Paris, 1886. [2] ric : P.H. Webb, e Roman Imperial Coin-age, vol. v, part 2, London, 1933. [3] G.  Elmer,  Die  MĂŒnzprĂ€gung  der  galli-schen Kaiser in Köln, Trier { Mailand, Bonner JahrbĂŒcher 146, 1941. [4] agk :  H.J.  Schulski,  Die  Antoninian-prĂ€gung der gallischen Kaiser von Postumus bis Tetricus, Bonn, 1996. [5] Voir agk 1a Ă  1e. [6] Nous avons Ă©cartĂ© du catalogue la monnaie dĂ©crite par Cohen sous  le no 1, d’aprĂšs Tanini et d’Ennery. La lĂ©gende d’avers IMP C M AVR MARIVS PF AVG  est  propre  Ă   l’autre  atelier de Marius. Il s’agit sans doute d’une mauvaise lecture du droit. 

Cohen. Dans le cas contraire, le nombre d’exemplaires serait portĂ© Ă  quatre. 

G.  Elmer  considĂšre  que  cette monnaie appartient  pleinement  au  monnayage de Marius qui est l’initiateur de ce type. En effet, le numismate viennois a systĂ©-matiquement  Ă©cartĂ©  de  son  corpus  les exemplaires  qu’il  considĂ©rait  comme des hybrides19

[7]. 

Au contraire, Schulski le considĂšre com-me un hybride dans  l’agk, un avers de Marius Ă©tant associĂ© Ă  un revers propre Ă   Victorin20

[8].  Dans  sa  critique  minu-tieuse de  l’agk, Weder n’aborde pas ce point,  se  ralliant  implicitement  Ă   l’opi-nion de Schulski21

[9]. 

Pour  notre  part,  nous  considĂ©rons  que c’est  bien Marius  l’inventeur  de  ce  re-vers repris ensuite tel quel par Victorin. Nos  arguments  reposent  sur  les  Ă©lĂ©-ments suivants : 1. Les  exemplaires  connus  provien-nent de trois paires de coins diffĂ©rentes. Une  telle  variĂ©tĂ©  pour  les  trois  exem-plaires  existants  suffit  Ă   rejeter  l’hypo-thĂšse  de  monnaies  hybrides.  La  raretĂ© de  ces  antoniniens  s’expliquant  par  le fait que l’émission a rapidement Ă©tĂ© in-terrompue par la mort de Marius. 2. Pour  le mĂȘme  atelier,  un  cas  simi-laire existe entre LĂ©lien et Marius, oĂč ce dernier  reprit  le  dernier  type  de  son prĂ©dĂ©cesseur  (VICTORIA AVG) pour sa premiĂšre Ă©mission d’avĂšnement22

[10]. __________ [7] À  titre  d’exemple,  Elmer  a  Ă©cartĂ©  de  son corpus  l’antoninien  de  Postume  au  revers HERCVLI INVICTO  rĂ©habilitĂ©  par  Bastien dans son article, Les travaux d’Hercule dans le monnayage de Postume, rn, 1958, p. 60-78. [8] agk 10. [9] M. Weder, MĂŒnzen und MĂŒnzstĂ€tten der gallisch-römischen Kaiser, Teil  I, Revue suisse de Numismatique, 76 (1997), p. 103-133. [10] H.  Gilljam,  Laelianus.  ErgĂ€ngzungen  zur Materialsammlung, Verwendung seiner Revers-stempel unter Marius, Köln, 1986.

BCEN vol. 50 no 2, 2013  163

Le cas qui nous occupe a donc un antĂ©-cĂ©dent bien avĂ©rĂ© venant encore renfor-cer notre interprĂ©tation. 

Remarquons  enfin que  la  reprise de  ce revers  lors  de  la  premiĂšre  Ă©mission  de Victorin sur des antoniniens oĂč le nom du  nouvel  empereur  est  associĂ©  Ă   des portraits  de  son  prĂ©dĂ©cesseur  montre combien l’atelier secondaire a Ă©tĂ© livrĂ© Ă  lui-mĂȘme  au  dĂ©but  du  rĂšgne  de  Vic-torin. Manifestement,  cette  pĂ©riode  de transition  aura  Ă©tĂ©  relativement  longue (quelques  semaines ?),  vu  le  nombre d’exemplaires  qui  nous  sont  parvenus. Ceci prouve aussi que Victorin devait se trouver assez Ă©loignĂ© de Cologne lors de sa  prise  de  pouvoir,  son  portrait  ayant mis quelque temps Ă  parvenir auprĂšs de la Moneta  Coloniensis.  LivrĂ©  Ă   lui-mĂȘ-me, l’atelier a simplement repris le type de  la  derniĂšre  Ă©mission  monĂ©taire  de Marius dans l’attente d’instruction pro-venant  du  nouvel  imperator.  L’urgence de faire connaĂźtre auprĂšs des troupes du limes  le  nom  de  ce  dernier  ayant  Ă©ga-lement entraĂźnĂ© une frappe d’aurei aux mĂȘmes caractĂ©ristiques23

[11].    Sergio Boffa* â€’ La Sententia de cambio et  imaginibus  denariorum du 30 avril 1231  a-t-elle  influencĂ©  l’administration de la frappe de la monnaie dans le duchĂ© de Brabant au xiii siĂšcle ????     

Le document 

De la fin avril au dĂ©but mai 1231, Henri (VII) de Souabe (1211-1242) se trouve Ă  Worms.  Fils  aĂźnĂ©  de  l’empereur FrĂ©dĂ©-ric II de Hohenstaufen (1220-1250), il a Ă©tĂ© intronisĂ© roi des Romains en 1220 et c’est  Ă   ce  titre  qu’il  interfĂšre  dans  les affaires  de  l’Empire.  Il  sera  dĂ©posĂ©  en __________ [11] Kölner MĂŒnzkabinett 42, 10/xi/1986, no 475

(denier frappĂ© avec des coins d’aureus).

1235 pour cause d’insoumission24

[1]. Pen-dant  ce  sĂ©jour,  il  scelle  plusieurs  actes dont deux rĂšglements sur le change et la frappe des monnaies. Le  premier d’en-tre eux, connu parfois sous les noms de Sententia de cambio et imaginibus dena-riorum  ou  de  Sententia  de  cambiis  et denariis  civitatum,  est  l’objet  de  notre petite Ă©tude25

[2]. 

Le contenu du document se rĂ©sume en quatre dispositions : 

1) Henri  accorde  aux  villes  d’Empire possĂ©dant une monnaie propre  le droit d’exiger que toutes les transactions effec-tuĂ©es  au  marchĂ©  soient  acquittĂ©es  en deniers locaux. 

2) Il ordonne que les ateliers monĂ©taires identifient  le  produit  de  la  frappe  par un  emblĂšme  caractĂ©ristique  qui  puisse faciliter  la diffĂ©renciation des diffĂ©rents monnayages. 

3) Le change ne pourra s’opĂ©rer que par le monĂ©taire  du  lieu  ou  par  un  officier muni  d’une  autorisation  spĂ©ciale  de  la part du seigneur. 

4) Les personnes trouvĂ©es en possession de fausses monnaies seront punies selon la loi sauf si la somme en leur possession n’excĂšde pas les neuf deniers. __________

* Avant toute chose, j’aimerais remercier MM. Raymond Horbach  et David Guilardian  pour leurs aides, conseils et suggestions. [1]  Chr. Hillen, W. StĂŒrner & P. Thorau, Der Staufer Heinrich  (VII.).  Ein König  im  Schatten seines  kaiserlichen  Vaters,  Göppingen,  2001 (Schrien  zur  staufischen  Geschichte  und Kunst, 20). [2]  L’acte est Ă©ditĂ© dans G.H. Pertz, Monumen-ta  Germaniae  Historica,  Legum,  II,  Hanovre, 1837, p. 281 et dans L. Weiland, Monumenta Germaniae Historica, Constitutiones et acta pu-blica imperatorum et regum, Tomus II. Inde ab a. mcxcviii.  usque  ad  a. mcclxxii,  Hanovre, 1896,  p. 415-416,  no 301.  Voir  aussi  S. Boffa, Liste  provisoire  des  sources  Ă©ditĂ©es  de  l’his-toire  monĂ©taire  brabançonne  jusqu’en  1430, rbn, cxlvi, 2000, p. 31-137, pp. 40, no 37. 

164  BCEN vol. 50 no 2, 2013

La problĂ©matique 

MalgrĂ©  le  nombre  important  d’histo-riens et de numismates qui se rĂ©fĂšrent Ă  notre document26

[3],  son  importance, du point de vue de l’histoire monĂ©taire bra-bançonne,  reste  toujours  Ă   dĂ©montrer. En  effet,  rien  ne  prouve  que  l’acte  fĂ»t d’application dans le duchĂ© de Brabant. 

À notre  connaissance,  Jean Baerten est le  premier  historien  Ă   avoir  doutĂ©  de son  intĂ©rĂȘt.  Malheureusement  son  rai-sonnement n’est pas basĂ© sur une Ă©tude de l’acte mĂȘme. Il est purement circons-tanciel. Il pense simplement qu’ Â« aprĂšs avoir montrĂ© que le monnayage dit local est  Ă©galement  ducal27

[4]  et  qu’il  dĂ©bute non pas au xiiiĂšme mais au xiiĂšme siĂšcle, il  n’est  nullement  besoin  de  rĂ©ŐŽŐ„ter longuement  la  thĂšse de De Witte  selon laquelle ce numĂ©raire devait son origine Ă   la  sententia  de  cambio  et  imaginibus denariorum qui date de 1231 Â»28

[5]. 

Nous  partageons  les  conclusions  de Jean Baerten. Nous pensons nĂ©anmoins que le caractĂšre particulier de la frappe de  la  monnaie  au  xiiiĂšme  siĂšcle  est  tel, qu’une simple comparaison avec la situa-tion au xiiĂšme ou au xivĂšme siĂšcle ne suf-fit  pas  pour  prouver  que  l’édit  de 1231 ne ŐŽŐ„t pas appliquĂ© en Brabant. 

La position de nos prĂ©dĂ©cesseurs 

Avant de nous attaquer Ă  la sententia de cambio et imaginibus denariorum, il nous __________ [3]  Voir ci-dessous. [4]  Selon  Alphonse  De  Witte,  il  existait  un double  monnayage :  l’un  ducal,  qui  circulait dans  tout  le  Brabant,  et  l’autre  local  qui  avait un  cours  limitĂ©  Ă   une  zone  restreinte  (A. De 

Witte, Histoire monĂ©taire des comtes de Lou-vain, ducs de Brabant et marquis du Saint Em-pire Romain, I, Anvers, 1894, p. 36-37). [5]  J. Baerten, Villes  et monnaie  dans  le  du-chĂ© de Brabant (xiie et xive siĂšcles), Bulletin de la SociĂ©tĂ© d’histoire et d’archĂ©ologie de Louvain, 1965, p. 7-22, pp. 20. 

semble  utile  de  prĂ©senter  succincte-ment  l’opinion de quelques-uns de nos illustres prĂ©dĂ©cesseurs. 

Alphonse  De  Witte,  dans  son  remar-quable travail sur les monnaies braban-çonnes, divise  le monnayage d’Henri II (1235-1248)  et  de  ses  successeurs  en monnayage Â« ducal Â» et Â« local Â». Il n’ex-plique malheureusement pas les Ă©lĂ©ments qui  l’ont motivĂ©  Ă   Ă©tablir  une  telle  dis-tinction.  Notre  document  a  certaine-ment  jouĂ©  un  rĂŽle  dĂ©terminant  dans l’élaboration  de  sa  thĂ©orie,  bien  qu’Al-phonse De Witte semble n’y voir qu’une confirmation  de  l’existence  du  double monnayage : 

« Peut-ĂȘtre  faut-il  chercher  l’origine de ce  second  monnayage  [c’est-Ă -dire  le monnayage  local]  dans  une  charte  im-pĂ©riale,  donnĂ©e  Ă   Worms,  le  30  avril 123529

[6]  (...) Or,  chose  digne  de  remar-que, la promulgation du dĂ©cret impĂ©rial coĂŻncide  avec  l’apparition  du monnay-age local
 Â»30

[7]. 

Alphonse De Witte, sans clairement l’ad-mettre,  pense  donc  que  l’édit  de 1231, puisqu’il  ŐŽŐ„t  d’application  en  Brabant, est la cause de la multiplication des ate-liers  monĂ©taires  et  du  type  particulier qu’auront  les  petits  deniers  Ă   la  croix brabançonne31

[8]. 

__________ [6]  Alphonse  De  Witte  date  par  erreur  notre document de 1235 au lieu de 1231. [7]  A. De Witte, op. cit. [n. 4], I, p. 36. [8]  En  Brabant,  les  deniers  ducaux  se  recon-naĂźtraient au cavalier et Ă   l’écu au lion, tandis que  les  deniers  locaux  seraient  identifiables grĂące au donjon crĂ©nelĂ© flanquĂ© de deux tou-relles (Anvers) ; Ă  la projection horizontale d’un pont (Bruxelles) ; Ă  l’aigle bicĂ©phale (peut-ĂȘtre Halen) ;  au  lion  rampant  (Louvain) ;  au buste de  lion  (pas  d’attribution) ;  Ă   l’agneau  pascal (peut-ĂȘtre Tirlemont) ; Ă  la porte de ville (Vil-vorde) et Ă  l’aigle monocĂ©phale (pas d’attribu-tion) (A. De Witte, op. cit., [n. 4], I, p. 38-65, 372-375). 

BCEN vol. 50 no 2, 2013  165

Victor  Tourneur,  une  autre  grande  fi-gure de  la numismatique belge,  semble ne  pas  avoir  eu  un  avis  dĂ©finitif  sur  la question. Il adopte tout d’abord la thĂ©o-rie d’Alphonse de Witte32

[9]. Ensuite, ce-pendant, il ne pense plus que Â« la charte de Worms  ait  eu  la moindre  influence sur  le  monnayage  brabançon Â»33

[10]. Avant de changer Ă  nouveau d’avis puis-qu’il  affirme  qu’un  denier  d’Anvers ŐŽŐ„t frappĂ© Â« en exĂ©cution d’une charte don-nĂ©e par Henri de Souabe Ă  Worms Â»34

[11]. 

Jean-RenĂ©  De  Mey  a  soigneusement Ă©tudiĂ©  le  revers  des  petits  deniers  bra-bançons. Il prĂ©sente une nouvelle classi-fication  basĂ©e  non  par  sur  le  droit  des monnaies, mais plutĂŽt sur les diffĂ©rents types  de  croix  brabançonnes.  En  fonc-tion  de  celles-ci,  il  attribue  les  deniers aux villes d’Anvers, de Louvain, de Bru-xelles,  de  Tirlemont  et  de  Vilvorde. Jean-RenĂ©  De  Mey  justifie  ce  nombre rĂ©duit d’ateliers monĂ©taires par l’acte de 123135

[12]. Il est piquant de lire que le re-grettĂ© Mark Blackburn36

[13] utilise le mĂȘ-__________ [9]  V. Tourneur, De la nature du monnayage dĂ©narial au nom et aux armoiries des villes de Flandre au xiiiĂšme siĂšcle, CongrĂšs  international de  Numismatique,  Bruxelles,  1910,  Bruxelles, 1910, p. 301-311, pp. 307. [10]  V. Tourneur,  Le monnayage dans  les  vil-les de Flandre et de Brabant au xiiĂšme siĂšcle et au xiiiĂšme, Bulletin de l’AcadĂ©mie royale de Bel-gique,  Classe  des  Lettres,  5e  sĂ©rie,  26,  1940, p. 34-48, pp. 47. [11]  V. Tourneur,  L’atelier monĂ©taire d’Anvers des  temps  mĂ©rovingiens  au  xiiĂšme  siĂšcle,  in   H.  Ingholt  (Ă©d.),  Centennial  Publication  of the ans, New York, 1958, p. 683-690, pp. 690. [12]  J.-R. De Mey, Les petits deniers Ă   la  croix brabançonne,  Bruxelles,  1982,  p.  14.  L’auteur n’avait pas dĂ©fendu cette thĂ©orie dans son pre-mier travail sur les monnaies des ducs de Bra-bant  (Id.,  Les  monnaies  des  ducs  de  Brabant (1106-1467), Watermael, 1966, p. 14-26). [13]  M.  Blackburn,  Mint  attributions  of  the â€œpetits deniers  Ă   la  croix brabançonne”, Actes du xie congrĂšs  international de numismatique, Bruxelles,  8-13  septembre  1991,  III,  Louvain-la-Neuve, 1993, p. 105-111, pp. 110. 

me acte pour contrer  les  idĂ©es de Jean-RenĂ© De Mey. 

Joseph  Ghyssens,  qui  s’est  aussi  beau-coup intĂ©ressĂ© aux petits deniers braban-çons,  ne  semble  pas  s’ĂȘtre  occupĂ©  de notre document. Ă€ notre connaissance, aucun de ses nombreux articles n’y  fait rĂ©fĂ©rence37

[14].  Il  n’en  fait  pas  mention dans  son  choix  de  textes  relatifs  aux monnaies des Pays-Bas mĂ©ridionaux, ce qui semble montrer le peu d’intĂ©rĂȘt qu’il y portait38

[15]. 

À l’exception de Joseph Ghyssens, nom-breux  sont  les  numismates,  influencĂ©s par  l’opinion d’Alphonse De Witte, qui utilisent  l’édit  de  1231.  Et  cela,  mĂȘme lorsqu’il  s’agit de dĂ©fendre des  thĂ©ories contradictoires. 

Remarque gĂ©nĂ©rale sur la sententia de cambio et imaginibus denariorum39

[16] 

Les Ă©diteurs des Monumenta germaniae historica ont choisi d’intituler notre do-cument Sententia de cambio et imagini-bus denariorum ou Sententia de cambiis et denariis civitatum. Pour eux, il s’agit donc d’une sentence, c’est-Ă -dire un acte produit aprĂšs un jugement40

[17]. 

__________ [14]  Par  ex.,  J. Ghyssens,  Essai  de  classement chronologique des monnaies de Brabant depuis Godefroid Ier jusqu’à la duchesse Jeanne (1096-1406), bcen, 20, 1983, p. 55-59 ; J. Ghyssens, Le  denier  de  Brabant  des  xiie  et  xiiie  siĂšcles. PremiĂšre partie:  les  donnĂ©es, bcen, 13, 1976,  p.  9-13 ;  J.  Ghyssens,  Le  denier  de  Brabant des xiie et xiiie siĂšcles. DeuxiĂšme partie : la vĂ©-rification, bcen, 13, 1976, p. 32-37. [15]  J.  Ghyssens, Choix  de  textes  antĂ©rieurs  Ă  1400  relatifs  aux  monnaies  des  Pays-Bas  du sud, Louvain-la-Neuve, 1997. [16]  Avant  de  poursuivre  la  lecture  de  ce  tra-vail, nous conseillons aux  lecteurs de parcou-rir  l’édition de  l’acte de 1231 qui se  trouve en annexe 1 ou sa traduction en annexe 2. [17]  Le terme Â« sentence Â» apparaĂźt bien dans le document. 

166  BCEN vol. 50 no 2, 2013

Pourtant, la charte suivante, avec exacte-ment la mĂȘme teneur, mais qui s’adresse exclusivement  Ă   la  Saxe,  est  nommĂ©e Mandatum de cambiis et denariis in Sa-xonia  ou  Mandatum  regis  ad  Saxo-nes41

[18]. Il concerne uniquement les lieux oĂč  la  monnaie  de  Magdebourg  avait cours. Pourquoi les Ă©diteurs de ces deux actes  pratiquement  identiques  ont-ils qualifiĂ©  le  second de mandement? Sans doute  parce  que  dans  le  second  des documents,  un passage  supplĂ©mentaire donne  le  pouvoir  de  faire  exĂ©cuter  ses dĂ©cisions par Hermann, comte de Herz-berg, et par Gozelon, son dapifer42

[19]. 

La relation qui existe entre ces deux do-cuments  reste  Ă   Ă©claircir,  d’autant  plus qu’ils  ont  Ă©tĂ©  scellĂ©s  le  mĂȘme  jour.  Le premier, sans prĂ©cision de  lieu, a peut-ĂȘtre servi de modĂšle au second. C’est ce que pourrait laisser supposer le passage mentionnant la monnaie du prince Â« â€Š in omnibus locis in quibus moneta prin-cipis  frequentatur  et  habetur Â»  qui  est corrigĂ©  ainsi  « â€Š  in  omnibus  locis,  in quibus moneta Magdeburgensis frequen-tatur et habetur Â». 

Quoiqu’il  en  soit,  nous  pouvons  dĂ©jĂ  nous interroger. Si les dispositions de la Sententia de cambio et imaginibus dena-riorum  avaient  Ă©tĂ©  appliquĂ©es  en  Bra-bant,  n’aurions-nous  pas  dĂ»  retrouver un  mandement  semblable  Ă   celui  qui existe pour la Saxe ? 

Analyses  des  articles  prĂ©sents  dans l’édit du 30 avril 1231 

Il est temps de se pencher sur les dispo-sitions de l’acte. L’article premier insiste sur  le  fait que  le document  est d’appli-__________ [18]  L’acte est Ă©ditĂ© dans G.H. Pertz, op. cit. [n. 2], II, p. 281-282 ; L. Weiland, op. cit. [n. 2], p. 416-417, no 302. [19]  “Damus  etiam  potestatem  nobili  viro  Her-manno  comiti  de  Hartesberg,  et  fideli  nostro Gunzelino  dapifero...”  (G.H.  Pertz,  op.  cit. [n. 2], II, p. 282). 

cation dans Â« les citĂ©s et autres lieux oĂč un droit de monnayage propre et correct existe habituellement Â». Il est intĂ©ressant de noter que l’on ne parle pas explicite-ment  de  principautĂ©  ou  de  seigneurie, mais seulement de Â« citĂ©s Â» et d’« autres lieux Â». 

Relevons tout d’abord que cette formu-lation, qui n’est sĂ»rement pas innocente, convient mal  Ă   la  situation  qui  rĂ©gnait en  Brabant.  Le  duc  jouissait  de  l’exer-cice du droit  rĂ©galien de  frapper mon-naies.  Il pouvait battre  librement mon-naies n’importe oĂč dans ses possessions. Il  n’existait  donc  pas,  a  priori,  dans  la principautĂ© de lieux oĂč un droit de mon-nayage existait Â« habituellement Â». 

Ensuite,  les  places  oĂč  l’on  avait  dĂ©jĂ  frappĂ© monnaies en Brabant, du moins avant  le  dĂ©but  du  xiiiĂšme  siĂšcle,  sont limitĂ©es. Seules Anvers, Bruxelles, Lou-vain et Maastricht semblent ĂȘtre concer-nĂ©es43

[20].  Bien  entendu,  notre  connais-sance  des  monnayages  des  comtes  de Louvain  et  des  premiers  ducs  de  Bra-bant est encore fragmentaire. Il est pos-sible que d’autres localitĂ©s brabançonnes aient accueilli un atelier monĂ©taire, mais le nombre de ceux-ci devait ĂȘtre rĂ©duit et  ne  pouvait  en  aucun  cas  correspon-dre Ă   la petite dizaine de localitĂ© oĂč  les petits  deniers  brabançons  seront  frap-pĂ©s dans le courant du xiiiĂšme  siĂšcle44

[21]. __________ [20] Nivelles et Gembloux ne font Ă©videmment pas partie de cette liste puisque ce sont les auto-ritĂ©s religieuses qui dĂ©tenaient le droit de frap-per  monnaies  dans  ces  localitĂ©s  (J.-J.  Hoe-

banx, Nivelles est-elle brabançonne au Moyen Ă‚ge, rbph, 41, 1963, p. 361-396 ; J. Ghyssens, TrĂ©sor  de  deniers  de  Nivelles  du  xiiie  siĂšcle, bcen, 18, 1981, p. 58-67 ; P. Lucas, Monnaies seigneuriales  mosanes,  Walcourt,  1982,  12.1-12.3). [21]  S.  Boffa,  Les  petits  deniers  brabançons, Ă‰tats de la question, rĂ©flexions et pistes de re-cherche  (c. 1210-c. 1295),  Jaarboek voor mid-deleeuwse  geschiedenis,  10,  2007,  p.  141-177, pp. 155-158. 

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L’ouverture de ces ateliers ne serait pas, si  l’on se fie aux termes de notre docu-ment, une consĂ©quence de l’application de ce rĂšglement puisque l’on n’avait pas l’« habitude Â»  d’y  frapper  monnaies avant 1231. 

Le mĂȘme article stipule encore que Â«per-sonne  ne  doit  accomplir  la  moindre transaction  au  moyen  d’argent,  sinon avec  les  deniers  de  son  propre  mon-nayage Â». Si nous rencontrons frĂ©quem-ment  des  mentions  prĂ©cisant  l’origine de  la  monnaie  Ă   utiliser  (monnaies  de Bruxelles,  de  Louvain  ou  d’Anvers)45

[22], nous  n’avons  rencontrĂ©  aucun  docu-ment  local  interdisant  l’utilisation  des monnaies Ă©trangĂšres au duchĂ© ou Ă  une ville  en  particulier.  Cela  aurait  sĂ»re-ment Ă©tĂ© le cas si cette disposition avait Ă©tĂ© d’application. 

Le  second  article  traite  du  change  ou Wehsel46[23]. Aucun marchand ne sera au-torisĂ© Ă   le pratiquer  sauf  le monnayeur du  lieu et  toute personne ayant  reçu  la permission expresse du seigneur. Nous sommes  encore  mal  renseignĂ©s  sur  les opĂ©rations de  change  en Brabant47

[24].  Si l’acte de 1231 nous apprend qu’elles pou-vaient ĂȘtre accomplies par le monĂ©taire, cette  pratique  n’a  rien  d’exceptionnel puisqu’au xiiiĂšme  siĂšcle,  elle  est  attestĂ©e tant  en  France  qu’en  Angleterre48

[26]. 

__________ [22] Voir  les  diffĂ©rents  documents  rĂ©fĂ©rencĂ©s dans S. Boffa, op. cit., [n. 2], passim. [23]  Pas trĂšs diffĂ©rent du Wechsel actuel. [24] G. Bigwood, Le rĂ©gime juridique et Ă©cono-mique du commerce de l’argent dans la Belgique du Moyen Ă‚ge, I, Bruxelles, 1920, p. 389-437 ; R. Van Uytven, Geldhandelaars en wisselaars in het middeleeuwse Brabant, in H.F.J.M. van 

den Eerenbeemt  (Ă©d.), Bankieren  in Brabant in  de  loop der  eeuwen,  Tilburg, 1987  (Bijdra-gen tot de geschiedenis van het zuiden van Ne-derland, lxxiii), p. 1-20. [25] M. Bompaire & Fr. Dumas, Numismatique mĂ©diĂ©vale, Turnhout, 2000 (L’atelier du mĂ©diĂ©-viste, 7), p. 426 ; M. Allen, Mints and Money 

Nous n’avons malheureusement pas con-servĂ©  de  documents  administratifs  ou comptables  sur  la  gestion  des  ateliers brabançons.  Il  n’est  donc  pas  possible de  savoir  si  le  change  y  Ă©tait  effective-ment pratiquĂ©. Si c’était le cas, il faudrait probablement y voir un usage gĂ©nĂ©ralisĂ© Ă  l’époque et non l’exĂ©cution de l’article prĂ©sent dans notre document. 

Il est probable qu’un changeur ait Ă©tĂ© en activitĂ©  dĂšs  1182  Ă   Nivelles,  puisqu’un privilĂšge  de  FrĂ©dĂ©ric  confirme  au  cha-pitre de cette ville diffĂ©rents droits dont le  change  (cum moneta  et mensis  con-cambiorum)49

[26].  Dans  le  duchĂ©,  un  ou plusieurs  changeurs  sont  prĂ©sents  Ă  LĂ©au en 125350

[27]. Ă€ Bruxelles, nous ren-controns  Ă   partir  des  annĂ©es  1250  une famille  ayant  pour  patronyme  Cambi-tor, Campsor ou Wisselere. Deux de  ses membres  Ă©taient  Ă©chevins  de  la  ville, mais agissaient aussi comme financiers. Nul doute qu’ils aient pratiquĂ© le chan-ge51

[28].  Un  certain Gilbert  s’occupait  de ce  commerce  Ă  Maastricht  en  126052

[29]. __________

in Medieval England, Cambridge, 2012, p. 238-294. [26] A. Wauters, De  l’origine des  libertĂ©s com-munales  en Belgique,  Preuve,  Bruxelles, 1862, p. 40-42 ; G. Bigwood, op. cit. [n. 24], p. 406. [27] H.  Pirenne,  Le  livre  de  l’abbĂ©  Guillaume de  Ryckel  (1249-1272),  Polyptyque  et  comptes de  l’abbaye de Saint-Trond au milieu du xiiie siĂšcle, Bruxelles, 1896, p. 12, 14, 17, 23, 25, 84 ; 

C. Tihon, Aperçus sur l’établissement des lom-bards dans les Pays-Bas aux xiiie et xive siĂšcles, rbph, 39, 1961, p. 334-364, pp. 339-340. [28] A. Wauters, Les plus anciens Ă©chevins de la ville de Bruxelles. Essai d’une liste complĂšte de  ces magistrats pour  les  temps  antĂ©rieurs  Ă  l’annĂ©e 1339, asra, 8, 1894,  p. 315-331, 426-441 ; 9, 1895, p. 59-76 ; P. Bonenfant, Cartu-laire de  l’hĂŽpital Saint-Jean de Bruxelles (actes des xiie 2 xiiie siĂšcles), Bruxelles, 1953, p. 278, n. 4. [29]  J.H. Hennes, Urkundenbuch des Deutschen Ordens,  II,  Mainz,  1861  (Codex  diplomaticus ordinis Sanctae Mariae eutonicorum), p. 137, no 149. 

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Nous  ne  savons  pas  Ă   quel  titre  offici-aient ces diffĂ©rents personnages et com-ment ils avaient obtenu le droit de pra-tiquer  le  change.  SĂ»rement  suite  Ă   une autorisation accordĂ©e par le duc de Bra-bant, peut-ĂȘtre dĂšs avant 128453

[30]. 

Malheureusement, ce n’est qu’au dĂ©but du xivĂšme  siĂšcle que  les premiers docu-ments concernant un arrangement entre princes  et  financiers  ont  Ă©tĂ©  retrouvĂ©s. Ă€ Malines, c’est en 1301, que les autori-tĂ©s communales autorisent tous les bour-geois  de  la  ville,  membre  de  la  gilde, Ă  l’exception des foulons et des orfĂšvres, Ă   pratiquer  le  change54

[31].  À  Anvers,  il faut attendre 1306 pour qu’un privilĂšge ducal  reconnaisse  le  droit  pour  tout bourgeois  d’y  tenir  publiquement  une table de change55

[32]. 

L’image de l’office de changeur que nous offrent  les  archives  est  encore  trĂšs nĂ©buleuse. Les premiĂšres mentions font leur  apparition  dans  la  seconde moitiĂ© du xiiiĂšme siĂšcle. Les autorisations prin-ciĂšres ou communales sont encore plus rĂ©centes puisqu’elles datent du dĂ©but du xivĂšme  siĂšcle.  Dans  les  deux  cas,  nous nous trouvons plusieurs dĂ©cennies aprĂšs 1231.  Cela  ne  signifie  Ă©videmment  pas qu’il n’y avait pas de changeurs en acti-vitĂ©  au dĂ©but  du xiiiĂšme  siĂšcle.  Le  con-traire  est  mĂȘme  vraisemblable.  Mais, rien n’indique que leurs activitĂ©s et leur statut  aient  Ă©tĂ©  Ă©tablis  en  fonction  de 

__________ [30] C. Tihon, op. cit. [n. 27], p. 349 ; M. Mar-

tens, Actes relatifs Ă  l’administration des reve-nus domaniaux du duc de Brabant (1271-1408), Bruxelles, 1943, p. 21-23, no 1. [31]  G. Bigwood, op. cit. [n. 24], p. 405 ; J. Lae-

nen, Les Lombards Ă  Malines, 1295-1457, Bul-letin du Cercle archĂ©ologique, littĂ©raire et artis-tique de Malines, 15, 1905, p. 23-47, pp. 26-27. [32]  Fr. Verachter, Inventaire des anciens char-tes  et  privilĂšges  et  autres  documents  conservĂ©s aux  Archives  de  la  ville  d’Anvers,  1193-1856, Anvers, 1860, p. 24, no lxxx ; G. Bigwood, op. cit. [n. 24], p. 401. 

cette sentence, et  il est probable que ce n’est pas le cas. 

Selon  le  troisiĂšme  article,  les  deniers devaient  porter  des  images  distinctives les rendant prima facie reconnaissables. Dans un prĂ©cĂ©dent  travail, nous avions montrĂ© que plusieurs motifs (l’aigle bicĂ©-phale, l’écu au lion, le lion rampant et la plante ou arbrisseau pour  les nommer) se trouvent dĂ©jĂ  sur des monnaies frap-pĂ©es au tournant du xiiiĂšme siĂšcle (proto petits deniers, c. 1190-c. 1210) ou durant les deux dĂ©cennies qui  suivirent  (petits deniers  anciens,  c. 1210-c. 1235)56

[33].  La prĂ©sence de motifs  semblables  au droit de  monnaies  frappĂ©es  entre  la  fin  du xiiĂšme  et  la  fin  du xiiiĂšme  siĂšcle montre clairement  une  continuitĂ©  dans  le  type de  certains  petits  deniers,  une  conti-nuitĂ© qui n’a visiblement pas Ă©tĂ© pertur-bĂ©e Ă  partir de 1231. 

L’article sur les Â«signes» et les Â« images» que  l’on  devait  apposer  sur  les  deniers pour que  l’on puisse  facilement  les dif-fĂ©rencier  soulĂšve  une  autre  remarque. Comment  Jean-RenĂ©  De  Mey  peut-il utiliser notre document pour justifier la mise  en Ć“uvre  d’une  classification  des petits  deniers  basĂ©e  non  sur  le  droit, mais  sur  le  revers  et  les  variantes de  la croix  brabançonne.  Ce  systĂšme  d’une extrĂȘme complexitĂ© est en totale contra-diction avec  la  troisiĂšme disposition de l’acte. 

L’article  quatre  concerne  la  possession de  fausse  monnaie.  Ce  passage  nous laisse  perplexes.  Pourquoi  la  dĂ©tention d’une  somme  de moins  de  dix  deniers n’est-elle  pas  immĂ©diatement  condam-nable? Pourquoi devient-elle punissable Ă  la  troisiĂšme offense? Il est surprenant d’apprendre que la fausse monnaie n’est pas confisquĂ©e dĂšs la premiĂšre infraction et que  le  contrevenant n’est pas  immĂ©-diatement  poursuivi.  RĂ©pondre  Ă   ces __________ [33]  S. Boffa, op. cit. [n. 21]. 

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questions  sort  du  cadre  de  notre  en-quĂȘte. Nous ne nous y attarderons donc pas57

[34]. 

Enfin,  nous  savons  que  le  duc  de  Bra-bant connaissait  l’existence de  l’acte de 1231 puisqu’il Ă©tait prĂ©sent lorsqu’Henri (VII)  scella  le  document.  Henri  Ier (1190-1235)  est  d’ailleurs  nommĂ©ment citĂ© dans la liste des tĂ©moins (Heinricus Brabancie)58

[35]. 

Cela non plus ne suffit pas pour affirmer que la teneur de l’acte Ă©tait d’application dans le duchĂ©. Le rĂŽle des tĂ©moins n’est pas anodin. La prĂ©sence de grands per-sonnages lors des discussions, de la pri-se de dĂ©cision et de sa mise par Ă©crit ren-dent  les  dĂ©cisions  du  roi  des  Romains incontestables. Elle  permet  Ă   l’acte d’a-voir  une  valeur  juridique.  C’est  pour-quoi,  le  duc  est  aussi  tĂ©moin  de  plu-sieurs autres documents donnĂ©s entre le 29 avril  et  le 1er mai et n’intĂ©ressant en rien le Brabant : un diplĂŽme du 29 avril pour l’évĂȘque de Spire, notre document sur le change et la frappe des monnaies ainsi  que  l’acte  semblable  adressĂ©  aux Saxons donnĂ©s le 30 avril et une consti-tution en faveur des princes datĂ©e du 1er 

__________ [34] Nous sommes encore mal renseignĂ©s sur la rĂ©pression de  la  fabrication de  la  fausse mon-naie  au xiiiĂšme  siĂšcle  et  sur  les  peines  encou-rues par les faux monnayeurs. Signalons nĂ©an-moins qu’en 1279, l’archevĂȘque de Cologne, le duc de Brabant, et les comtes de Gueldre et de ClĂšves  avaient  conclu  une  convention  par  la-quelle  ils  s’engagĂšrent  Ă   poursuivre  les  faux monnayeurs (.J. Lacomblet, Urkundenbuch fĂŒr die Geschichte des Niederrheins, II, DĂŒssel-dorf, 1846, p. 427-428, no 728). Pour les siĂšcles suivants,  voir  G.  Cumont,  Faux  monnayeurs en Brabant (fin du 14Ăšme et commencement du 15Ăšme siĂšcle) : III. Supplice de deux faux mon-nayeurs Ă  Haelen en 1404, asrab, 15, 1901, p. 319-324 ;  P.  Cnops,  Valsmunters  in  Steenok-kerzeel, Eigen  Schoon  en  De  Brabander,  90, 

2007, p. 23-26. [35] G.  Smets, Henri  I,  duc  de  Brabant,  1190-1235, Bruxelles, 1908. 

mai59

[36].  Sa  prĂ©sence au  bas de  l’acte de 1231  prouve  seulement  que  le  duc  de Brabant  Ă©tait  Ă   Worms  en  compagnie d’Henri (VII) et de la cour royale. 

La prĂ©sence de l’acte dans les archives brabançonnes 

L’original  de  la  sententia  de  cambio  et imaginibus  denariorum  n’a  pas  Ă©tĂ©  re-trouvĂ©.  Les  Ă©diteurs  de  la Monumenta germaniae historica ont dĂ©couvert le do-cument  dans  une  ancienne publication du tout dĂ©but du xixĂšme siĂšcle60

[37]. PrĂ©ci-sons qu’ils ne doutent pas de son authen-ticitĂ©. 

La  sentence  ne  se  retrouve  ni  dans  le chartrier, ni dans les cartulaires des ducs de Brabant61

[38]. Elle semble aussi absente des  fonds d’archives des  autres  princes de nos rĂ©gions62

[39]. L’absence, en original ou  en  copie,  de  cet  acte  tant  dans  le duchĂ©  de  Brabant  que  dans  les  prin-cipautĂ©s  voisines  est  un  autre  indice significatif. 

Par  ailleurs,  Jean Baerten  a  dĂ©jĂ   relevĂ© que les principaux documents adminis-tratifs qui jalonnent l’histoire monĂ©taire 

__________ [36] G.H. Pertz, op. cit., [n. 2], II, p. 280-283 ; G. Smets, op. cit. [n. 35], p. 207. [37] P. Oesterreicher, Inhalt einiger noch nicht bekannten  Gesetze  des  ehemaligen  teutschen Reiches, Erlangen, 1809, p. 20-22, no ii. [38] A. Verkooren, Inventaire des chartes et car-tulaires des duchĂ©s de Brabant et de Limbourg et des pays d’Outre-Meuse, PremiĂšre partie, Char-tes  originales  et  vidimĂ©es,  I,  Bruxelles,  1910 ; Id.,  Inventaire  des  chartes  et  cartulaires  des duchĂ©s de Brabant et de Limbourg et des pays d’Outre-Meuse, DeuxiĂšme partie, Cartulaires, I, Bruxelles, 1961. [39]  Le  document  est  prĂ©sent  dans  la  version Ă©lectronique du esaurus Diplomaticus, mais il  n’y  est  fait  mention  d’aucun  original  ou d’aucune  copie  (Ph.  De  Monty,  esaurus Diplomaticus, Version prĂ©paratoire de la Com-mission royale d’histoire pour les annĂ©es 1200-1250). 

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du  Brabant  ignorent  totalement  notre acte63

[40].  Qu’il  s’agisse  des  documents organisant  le  serment  des monnayeurs (juillet 1291 et 22  juillet 1298)64

[41], de  la charte wallonne  (12  juillet 1314)65

[42], de la Joyeuse EntrĂ©e de Jeanne de Brabant et  de Wenceslas  de  BohĂšme  (3  janvier 1356 (n.st.))66

[43] ou de l’acte du 1er octo-bre  1396  par  lequel  la  duchesse  cĂšde aux villes pour une durĂ©e de dix ans son droit rĂ©galien de frapper monnaies67

[44]. 

Nous savons que les villes brabançonnes ont  toujours  dĂ©fendu  leurs  privilĂšges  de la maniĂšre  la plus virulente, qu’elles n’ont jamais hĂ©sitĂ© Ă  s’opposer au prince lorsque  leurs  intĂ©rĂȘts  le  dictaient  et qu’elles  s’intĂ©ressaient  de  trĂšs  prĂšs  aux affaires  de  la  monnaie68

[45].  Nous  pou-vons ĂȘtre sĂ»rs que si  les dispositions de la sentence de 1231 avaient Ă©tĂ© mises en Ć“uvre dans  certaines  villes ou  franchi-ses  du Brabant  et  si  elles  avaient  offert un  quelconque  bĂ©nĂ©fice  Ă   l’une  de  ces localitĂ©s,  ce  fait  aurait  Ă©tĂ©  rappelĂ©  Ă   la mĂ©moire  du  duc.  Le  silence  des  archi-ves urbaines est tout aussi rĂ©vĂ©lateur. __________ [40]  J. Baerten, op. cit. [n. 5], p. 9-11. [41]  A. Anselmo, Placcaeten ende ordonnantien van de hertogen van Brabandt, princen van dese Nederlanden, I, Anvers, 1648, p. 246-249 ; Ch. Piot,  Ancienne  administration  monĂ©taire  de la Belgique, rbn, 1, 1845, p. 26-76, pp. 44-47, no 4 ; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 47, nos 63, 65. [42] Ă‰. Lousse,  Les deux  chartes  romanes bra-bançonnes du 12  juillet 1314, bcrh, 96, 1932, p. 1-47 ; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 50, no 77. [43] R. Van  Bragt,  De  Blijde  Inkomst  van  de hertogen  van  Brabant  Johanna  en  Wenceslas, Een inleidende studie en tekstuitgave, Louvain, 1956, pp. 99-100; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 61, no 116. [44] H. Laurent, La loi de Gresham au Moyen Ă‚ge, Essai sur la circulation monĂ©taire entre la Flandre  et  le  Brabant  Ă   la  fin  du  xive  siĂšcle, Bruxelles,  1933,  p.  197-208,  no  38 ;  S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 89, no 204. [45] A. Uyttebrouck, Le gouvernement du du-chĂ© de Brabant au bas Moyen Ă‚ge, 2 vol., Bru-xelles, 1975, I, p. 538-544. 

Conclusions 

À premiĂšre vue, les circonstances de la frappe des petits deniers pourraient pa-raĂźtre  rĂ©sulter  de  l’application  de  l’acte de 1231. En effet, si nous comparons la situation de la fin du xiiĂšme avec celle de la fin du xiiiĂšme siĂšcle, nous remarquons effectivement le rĂŽle important jouĂ© par les villes,  l’apparition de signes distinc-tifs  sur  le  droit  des  monnaies  et  un nombre croissant de changeurs dans  la principautĂ©.  Nous  savons  aussi  que  la frappe des  petits  deniers  subit  une  im-portante rĂ©forme vers 1235, une pĂ©riode trĂšs proche de la date Ă  laquelle la sen-tence royale ŐŽŐ„t donnĂ©e69

[46]. 

Pourtant,  une  analyse  approfondie  de chacune  des  dispositions  du  document montre  clairement  que  la  situation  qui rĂ©gnait en Brabant n’a jamais Ă©tĂ© façon-nĂ©e par l’une d’entre elles. Nous remar-quons  que  les  changements  qui  auront lieu  dans  le  courant  du  xiiiĂšme  siĂšcle, sont  dĂ©jĂ   en  germe  bien  avant  1231  ; certains  remontant  mĂȘme  Ă   la  fin  du xiiĂšme siĂšcle. 

Un  regard  plus  appuyĂ©  montre  que  la conjoncture du duchĂ© n’était guĂšre dif-fĂ©rente,  toute  proportion  gardĂ©e  Ă©vi-demment,  de  ce  qui  se  dĂ©roulait  dans les principautĂ©s ou les royaumes voisins. Plusieurs de ces territoires Ă©taient situĂ©s en  dehors  de  la  juridiction  de  l’empe-reur ou du roi des Romains ; donc hors de  la  zone d’exercice de  la  sentence de 1231. La situation que nous rencontrons en Brabant, loin d’avoir Ă©tĂ© gĂ©nĂ©rĂ©e par notre  document,  est  la  simple  consĂ©-quence  de  la  rĂ©volution monĂ©taire  qui s’est  dĂ©roulĂ©e  en  Europe  occidentale tout au long du xiiiĂšme siĂšcle70

[47]. 

__________ [46]  S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 149-151. [47] P. Spufford, Money and its Use in Medie-val  Europe,  Cambridge,  1988,  p.  240-263 ;   Ph. Contamine, M. Bompaire,  St. Lebecq  & 

BCEN vol. 50 no 2, 2013  171

Enfin, l’absence de toute rĂ©fĂ©rence Ă  cet acte dans  les  textes  et  les  archives  bra-bançonnes,  qu’elles  soient  ducales  ou urbaines,  ne  fait  que  renforcer  l’idĂ©e qu’il n’eĂ»t aucun impact sur la politique ou l’administration monĂ©taire du duchĂ© au xiiiĂšme siĂšcle. 

                                       

Annexe 1 â€“ L’acte du 30 avril 1231 

H. Dei  gracia  Romanorum  rex  et  semper augustus nobilibus, ministerialibus, civita-tibus, oppidis, castris, villis, et universis im-perii  fidelibus  graciam  suam  et  omne bo-num. Sepius coram domino et patre nostro serenissimo  Romanorum  imperatore  et nobis sentencialiter diffinitum est, quod 

[1]  in civitatibus et aliis locis, ubi propria et iusta moneta esse conswevit, nemo mer-catum aliquod facere debeat cum argento, sed cum denariis proprie sue monete. 

[2]  Cambium  quod  vulgo  dicitur  wehsel neque institor neque alius quivis mercato-rum, sed  ipse monetarius exercere debebit vel is cui dominus permiserit ex indulgen-cia speciali. 

[3]  Denarii preterea unius monete ita ma-nifestis  signis  et  ymaginum  dissimilitudi-nibus  distingwi  debent  a  denariis  alterius monete, ut statim prima facie et sine diffi-cultate aliqua  ipsorum ad  invicem discre-cio et differencia possit haberi. 

[4]  Ad  hec,  si  aliquis  cum  falsis  denariis ŐŽŐ„erit deprehensus, penam falsarii sustine-bit; nec proderit ei,  si dicat,  se eos  in pu-blico et communi foro recepisse, nisi sum-ma adeo modica ŐŽŐ„erit ut novem denarios non excedat. Hic si eciam tercio cum pre-dicta summa vel citra inventus ŐŽŐ„erit, tunc poterit quasi falsarius sine predicta excep-cione vel excusacione iudicari. 

Hec igitur sicut iuste et rationaliter diffini-ta sunt, sub optentu gracie nostre  inviola-

__________

J.-L.  Sarrazin,  L’économie mĂ©diĂ©vale,  3e  Ă©d., Paris, 2004, p. 251-267. 

biliter observari precipimus in omnibus lo-cis in quibus moneta principis frequentatur et habetur. 

Ad  perpetuam  denique  firmitatem  hanc nostre diffinicionis sive sentencie et protes-tacionis  paginam  sigilli  nostri  appensione fecimus communiri. 

Huius rei testes sunt: eodericus Treueren-sis, Heinricus Coloniensis, Sifridus Magun-tinus,  Albertus Magdeburgensis  archiepis-copi; Hermannus Herbipolensis, Bertoldus Argentinensis, Heinricus Wormaciensis, Si-fridus Ratisponensis et imperialis aule can-cellarius, [...] Spirensis, Siboto Augustensis, Bertoldus Curiensis, Bonifacius Lausanen-sis episcopi; Sancti Galli, Cono de Wizen-burg  abbates;  laici  vero:  Otto  Meranie, Heinricus Brabancie, [...] Lutharingie, Hein-ricus  de  Limpurg  duces;  Poppo  de  Hen-nenberc, Hermannus  de Hartsburg,  Gun-therus  de  Keuernberg,  Albertus  de  Wie, idericus de Honstein, Fridericus de Biche-lingen,  Heinricus  de  Swarzburg  comites; Gunzelinus  dapifer,  Cunradus  pincerna, Everhardus  de  Walpurg,  Cunradus  de Winterstete pincerna, et alii quam plures. 

Data Wormacie, II. Kalen. Maii, indictio-ne quarta. 

Annexe 2 â€“ Traduction partielle de l’annexe 1 

Condamnation  relative  au  change  et  aux effigies des deniers 

[
] 

Assez souvent  il a Ă©tĂ© arrĂȘtĂ© par  jugement en faveur de notre seigneur et pĂšre, le sĂ©rĂ©-nissime empereur des Romains, et en notre faveur que, 

[1]  dans  les  citĂ©s  et  autres  lieux  oĂč  un droit de monnayage propre et correct existe habituellement,  personne  ne  doit  accom-plir la moindre transaction au moyen d’ar-gent,  sinon avec  les deniers de  son propre monnayage. 

[2]  Le  change,  qu’on  appelle  partout Â« Wehsel Â»,  aucun  nĂ©gociant  ni  aucun autre  marchand  ne  devra  le  faire,  si  ce 

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n’est le monnayeur mĂȘme ou celui Ă  qui le seigneur  l’aura  permis  par  une  autorisa-tion spĂ©ciale. 

[3]  Surtout,  les  deniers  d’un  monnayage particulier  doivent  se  distinguer  des  de-niers d’un autre monnayage par des signes et  des  images  avec  des  diffĂ©rences  si  Ă©vi-dentes que d’emblĂ©e, au premier regard et sans  la moindre difficultĂ©,  il puisse exister distinction et diffĂ©renciation rĂ©ciproques. 

[4]  Ajoutons  Ă   cela  que,  si  quelqu’un  est pris en possession de faux deniers, il subira le chĂątiment du faussaire, et il ne lui sera d’aucun secours, le cas Ă©chĂ©ant, d’affirmer qu’il  les  aurait  reçus  dans  un  marchĂ© public et commun, Ă  moins que la somme ne soit Ă  ce point modique qu’elle n’excĂšde pas neuf deniers. Si, de surcroĂźt,  cet hom-me est dĂ©couvert une troisiĂšme fois en pos-session de  la  somme ci-dessus mentionnĂ©e ou plus ou moins de mĂȘme valeur, dĂšs lors il  pourra  ĂȘtre  jugĂ©  comme  un  faussaire, sans aucune des exceptions ni excuses men-tionnĂ©es prĂ©cĂ©demment. 

Ainsi  donc,  attendu  que  ces  dispositions ont Ă©tĂ© ordonnĂ©es justement et raisonnable-ment, nous enjoignons, en raison de notre pouvoir  discrĂ©tionnaire,  qu’elles  soient  in-violablement observĂ©es dans  tous  les  lieux dans  lesquels  le  monnayage  du  prince existe habituellement. 

Enfin,  pour  assurer  l’éternelle  validitĂ©  de notre  injonction  ou,  si  l’on veut, de notre condamnation  et  dĂ©claration  solennelle, nous  avons  fait  renforcer  (l’autoritĂ©  de) cette page par l’apposition de notre sceau... 

 

AbrĂ©viations 

asrab : Annales de  la SociĂ©tĂ©  royale d’ar-chĂ©ologie de Bruxelles â€“ bcen : Bulletin du Cercle  d’Études  numismatiques  –  bcrh : Bulletin de la Commission royale d’histoire â€“  rbn :  Revue  belge  de  numismatique  – rbph :  Revue  belge  de  philologie  et  d’his-toire.  

RECENSIONS 

K.-P. JOHNE (Ă©d.), avec la collaboration de U.  HARTMANN  &  .  GERHARDT,  Die Zeit der Soldatenkaiser. Krise und Transfor-mation des Römischen Reiches  im 3.  Jahr-hundert n. Chr. (235-284), Berlin, Akade-mie Verlag, 2 vol. in-8°, 1.400 p., 1 carte, 7 pl.,  cartonnĂ©s dans boĂźtier.  isbn  978-3-

05-004529-0. Prix : 178. 

l pouvait sembler superflu d’éditer 

une telle somme â€“ 1.400 pages  ! â€“ trois ans Ă  peine aprĂšs la sortie du monumental volume  collectif  intitulĂ© e Crisis  of  the Empire, ad 193-337 de  la Cambridge An-cient  History71*.  Toutefois,  cette  pĂ©riode dite de  l’anarchie militaire et son histoire extrĂȘmement troublĂ©e, est en pleine effer-vescence  depuis  de  nombreuses  annĂ©es. De  plus,  les  mĂȘmes  faits  historiques  ob-servĂ©s par  des historiens  latins,  germani-ques ou anglo-saxons reçoivent des Ă©clai-rages  souvent  fort  diffĂ©rents.  Et  finale-ment,  les  deux  forts  volumes  Ă©ditĂ©s  par P.-K. Johne et ses collaborateurs (U. Hart-mann  et .  Gerhardt)  couvrent  des  as-pects fort diffĂ©rents de l’Ancien Monde au iiiĂšme  s.  de  notre  Ăšre,  puisque  des  cha-pitres importants sont consacrĂ©s aux peu-ples et Ă©tats extĂ©rieurs Ă  l’Empire romain. Ce sont eux, qui finalement, ont en quel-que sorte modelĂ© la politique impĂ©riale au cours de la crise du iiiĂšme siĂšcle mĂȘme si les causes  profondes  doivent  en  ĂȘtre  recher-chĂ©es Ă  l’intĂ©rieur mĂȘme des frontiĂšres. 

I. Sources et historiographie 

L’ouvrage fait tout d’abord le point sur nos sources.  Elles  sont  soit  littĂ©raires  :  orien-tales (Sassanides) ou occidentales, avec en tĂȘte HĂ©rodien  et  l’Histoire Auguste  et  sa problĂ©matique  si  spĂ©cifique,  mais  Ă©gale-ment bien d’autres sources primaires (Ă©pi-graphie, papyrologie, numismatique). On notera  une  remarquable  et  trĂšs  dĂ©taillĂ©e biographie de quarante-trois auteurs occi-dentaux,  Ă©crivant  en  grec  ou  en  latin, 

__________  *  Cambridge University Press, 2005, rĂ©impr. 2009. 

I

BCEN vol. 50 no 2, 2013  173

ayant  vĂ©cu  entre  le  iiiĂšme  et  le  xiiĂšme  s., mais encore ceux (p. 89-107) qui nous sont conservĂ©s dans d’autres langues comme le syriaque  (9  attestations),  le  « moyen  per-se Â»  (3),  le  « nouveau  perse Â»  (3),  l’arabe (13), l’hĂ©breu (5) et finalement l’armĂ©nien ou le gĂ©orgien (7). 

Le  chapitre  historiographique  (p.  125-

157)  nous  dĂ©taille  les  apports  des  siĂšcles prĂ©cĂ©dents, d’oĂč Ă©mergent, comme on s’en doute, les noms des grands historiens clas-siques,  de  Le  Nain  de  Tillemont  (1637-

1698)  Ă  X. Loriot  et D. Nony,  en passant par E. Gibbons, M. Rostovtzeff, A. Alföldi et F. Altheim. 

II.  Les  Ă©vĂ©nements  et  l’histoire  de  l’Em-pire 

Le 2Ăšme chapitre de l’ouvrage (p. 161-423) constitue  une  monographie  Ă   elle  seule. Elle compte sept articles diffĂ©rents, traitant successivement des rĂšgnes de Maximin le race Ă  Ă‰milien (V. Huttner), ValĂ©rien et Gallien  puis  Claude  II  et  AurĂ©lien  (U.  Hartmann), l’Empire gaulois (A. Luther), l’Empire  palmyrĂ©nien  (U.  Hartmann), Tacite (K.-P. Johne) et finalement Probus et  Carus  (G.  Kreucher).  Le  chapitre  le plus  dĂ©veloppĂ©  est  celui  consacrĂ©  aux rĂšgnes  de  ValĂ©rien  et  Gallien  (253-268). L’a., d’une grande Ă©rudition, y fait preuve de  sa  parfaite  connaissance  des  sources littĂ©raires,  Ă©pigraphiques mais  Ă©galement numismatiques.  On  est  toutefois  surpris de voir le peu de place laissĂ©e Ă  la recher-che française, italienne ou espagnole. 

III. Les peuples du nord-ouest de l’Empire 

Le  3Ăšme  chapitre  (p.  424-580)  s’intĂ©resse aux peuples et Ă©tats situĂ©s au-delĂ  des fron-tiĂšres de  l’Empire. Ă€ cĂŽtĂ© de populations bien  connues  comme  celles  occupant  les rĂ©gions  rhĂ©nanes ou du moyen et du bas Danube  jusqu’à  la Mer Noire  (A. Goltz), nous  trouvons des  chapitres  trĂšs dĂ©taillĂ©s concernant les Maures (A. Gutsfeld) et les royaumes  du  Caucase  –  ArmĂ©nie,  IbĂ©rie (GĂ©orgie  orientale), Colchide, Albanie  et petites  principautĂ©s mĂ©connues  –  la  plu-part documentĂ©es  essentiellement par  les inscriptions  sassanides.  Viennent  ensuite 

la MĂ©sopotamie septentrionale (A. Luther), avec le grand centre que ŐŽŐ„t Hatra, la Cha-racĂšne et les Juifs de Babylone (M. Schuol), ces derniers  constituant  le groupe  issu de la  Diaspora  le  plus  important  au-dehors des  frontiĂšres  de  l’Empire.  Les  Arabes sont Ă©tudiĂ©s par U. Hartmann, et  les Sas-sanides, principaux concurrents de Rome Ă  l’Est, par J. Wiesehöfer. Quelques pages sont  consacrĂ©es  aux  zones  infiniment moins documentĂ©es que  sont  le  royaume mĂ©roĂŻtique, sur le Nil, et les nomades con-nus sous le nom de Blemmyes. 

IV. L’État romain 

L’importante  partie  relative  Ă   l’État  ro-main couvre les p. 583 Ă  712. K.-P. Johne s’intĂ©resse  Ă   l’origine  sociale  des  empe-reurs qui ont accĂ©dĂ© au pouvoir entre 235 et 285. Il relĂšve que jusqu’à l’époque sĂ©vĂ©-rienne,  les  princes  sont  issus  de  l’ordo senatorius. L’a.  examine  les modifications qui  apparaissent  par  la  suite.  Il  dĂ©crit  le rĂŽle  des  impĂ©ratrices,  la  reprĂ©sentation que l’empereur veut offrir de lui-mĂȘme au travers  des  titulatures  impĂ©riales  et  des titres militaires  dont  il  se  pare  Ă   plus  ou moins bon escient. Vient se greffer sur ce canevas  l’importance  croissante  du  culte solaire, qu’on finit par  retrouver dans  les titulatures  impĂ©riales  Ă   partir  du  rĂšgne d’AurĂ©lien  qui  se  proclame  dominus  et deus. L’origine gĂ©ographique des lieux de proclamation des diffĂ©rents empereurs est elle mĂȘme lourde de sens. Ainsi, de 235 Ă  285,  seize  acclamations  ont  lieu  sur  le Rhin,  dix  sur  le  Danube,  quatre  dans l’hinterland  frontalier  (Italie  du  Nord), neuf sur la frontiĂšre euphratique, trois en Afrique, trois en Ă‰gypte et finalement six Ă  Rome. Encore faut-il noter que les Ă©phĂ©-mĂšres Balbin et Pupien, suivis de Gordien III, comptent pour la moitiĂ© de ces prises de pouvoir dans l’Urbs. 

K.-P. Johne dĂ©crit ensuite la famille impĂ©-riale,  par  exemple  les  postes  occupĂ©s par les  frĂšres  des  empereurs.  La  situation  est complexe par exemple dans le cas du cadet de Gallien,  dont  le  rĂŽle  est  plutĂŽt  effacĂ©. Elle  est plus  claire  en ce qui  concerne C. Iulius  Priscus,  le  frĂšre  de  Philippe  I,  qui occupe d’importantes fonctions en Orient. 

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Mais  certains  puinĂ©s  succĂšdent  Ă   leurs aĂźnĂ©s Ă  la tĂȘte de l’Empire ; c’est le cas pour Quintille,  frĂšre  de  Claude  II,  ou  de  Flo-rien, frĂšre (ou plutĂŽt demi frĂšre ?) de Ta-cite. Le  rĂŽle des  femmes  semble considĂ©-rable  :  Salonine,  ZĂ©nobie,  SĂ©vĂ©rine  sont    Ă   mentionner,  mais  Ă©galement  Sulpicia Dryantilla, Ă©pouse de l’éphĂ©mĂšre RĂ©galien qui se proclama Ă  Carnuntum en 260, ou encore Magna Urbica (Ă©pouse de Carus), Ă  la fin de la pĂ©riode couverte par l’ouvrage. 

Un  intĂ©ressant  paragraphe  est  consacrĂ© aux  titres  portĂ©s  par  les  diffĂ©rents  empe-reurs, par exemple ceux de caesar, de pius, de pontifex maximus, de pater patriae, de mentions de consulat ou de cognomina ex virtute,  tels  Persicus,  Carpicus,  Germani-cus Maximus ou Gothicus Maximus. 

M.  Schuol  examine  pour  sa  part  le  droit romain au iiiĂšme s. Il relĂšve, dans le Codex Iustianianus, pas moins de 500 Â« constitu-tions Â»  Ă©mises  au  cours  des  rĂšgnes  des Â« Soldatenkaiser Â»,  contre  800  sous  les SĂ©vĂšres,  et plus de 1.200  sous DioclĂ©tien. La  rĂ©partition  est  parfois  trĂšs  anormale  : on connaĂźt 100 rescrits datĂ©s de 223, sous SĂ©vĂšre Alexandre, contre un seul, en 235, Ă   l’extrĂȘme  fin  du mĂȘme  rĂšgne. Gordien III  est  responsable  de  271  documents lĂ©gaux,  Philippe  de  78  ;  ValĂ©rien/Gallien de  89,  dont  22  en  260,  avant  un  trou  de plusieurs  annĂ©es.  L’a.  insiste  sur  le  fait qu’il  est  clair  que  tous  les  rescrits  n’ont pas  Ă©tĂ©  conservĂ©s.  Il  est  par  exemple peu vraisemblable  que  Probus  n’en  ait  pro-mulguĂ©  que  quatre  au  cours  de  ses  sept annĂ©es de rĂšgne. 

La  gestion  des  provinces  est  un  domaine complexe.  Nous  trouvons  ainsi  (p.  642 puis  p.  669)  une  liste  des  provinces  avec les titres et grades des gouverneurs, legati Augusti  pro  praetore  de  rang  consulaire ou prĂ©torien, proconsules des mĂȘmes catĂ©-gories,  praefecti,  procuratores,  praeses  ou autres correctores. 

L’armĂ©e fait l’objet d’une courte notice du grand spĂ©cialiste qu’est Michael P. Speidel (p.  673-690).  Vu  l’importance  du  sujet, nous  nous  serions  attendu  Ă   un  travail 

beaucoup plus dĂ©veloppĂ©  et nous  restons en quelque sorte sur notre faim. 

La gestion des villes  et  l’évergĂ©tisme  sont traitĂ©s par . Gerhardt. C’est Ă  ce niveau qu’intervient  pour  le  premiĂšre  fois  la numismatique et plus prĂ©cisĂ©ment le pro-blĂšme des contremarques faisant passer la grande  piĂšce  de  bronze  (Ă   lĂ©gende  grec-que) de quatre assaria (4 as = 1 sesterce) Ă  5 assaria sous Philippe puis, Ă  partir de la fin des annĂ©es 250, Ă  6, 7, 8, 9, 11 et finale-ment 12 assaria. Mais il faut relever que la situation diffĂšre d’une ville Ă  une autre. 

V. La sociĂ©tĂ© romaine 

Le 2Ăšme volume dĂ©bute par une Ă©tude de la sociĂ©tĂ©  romaine  au  iiiĂšme  s.  Le  rĂŽle dĂ©cli-nant du SĂ©nat est particuliĂšrement remar-quable.  Il  fait  l’objet  d’une  synthĂšse  de   M.  Heil,  qui  s’appuie  sur  les  travaux     d’A. Chastagnol et ceux, plus anciens, de nos compatriotes P. Lambrechts (1937) et S.J. De Laet  (1941), ou plus rĂ©cents com-me le livre de M. Christol (1986). L’empe-reur  retire  aux  sĂ©nateurs  la  plupart  de leurs  prĂ©rogatives  antĂ©rieures.  DĂšs  le milieu du  iiiĂšme s., nous ne  trouvons plus aucun lĂ©gat de lĂ©gion, ni d’ailleurs de tri-bun militaire, appartenant Ă   l’ordre sĂ©na-torial, mais  certains personnages de haut rang  Ă©mergent  encore,  tel  L.  Petronius Taurus Volusianus, qui aprĂšs une brillante carriĂšre dans la cavalerie, est accueilli dans le SĂ©nat sous Gallien, avant d’atteindre  le consulat ordinaire en 261 puis occuper la prĂ©fecture urbaine. Au contraire,  le iiiĂšme s.  est  la grande Ă©poque de  l’equester ordo comme le souligne M. Heil. Les chevaliers occupent de trĂšs nombreux postes, mais il convient  de  se  souvenir  de  la  diffĂ©rence quantitative  entre  les  600  sĂ©nateurs  face aux  quelques  20.000 membres  de  l’ordre Ă©questre. 

. Gerhard aborde ensuite  la problĂ©ma-tique  des  couches  sociales  infĂ©rieures  et des  conflits  sociaux. L’a. montre  l’impor-tance  des  ivvenes,  une  mention  que  l’on retrouve  dans  la  numismatique  de  Gal-lien, de Claude II ou de Tacite par exem-ple.  Il  insiste  particuliĂšrement  sur  l’im-portance quantitative des esclaves, qui re-

BCEN vol. 50 no 2, 2013  175

prĂ©sentent prĂšs de 6 millions d’individus, soit 10%  de  la  population  totale de  l’Em-pire.  Les  mouvements  sociaux  les  plus connus sont les Bagaudes, qui se dĂ©velop-pent dans  les  annĂ©es 285/286, mais d’au-tres  rĂ©bellions  sont  attestĂ©es  ailleurs  et  Ă  d’autres moments par  les sources  littĂ©rai-res.  Ainsi  deux  chapitres  (F.  Herklotz) concernent  deux  rĂ©gions  spĂ©cifiques, l’Isaurie et l’Égypte, qui ont connu au mi-lieu du siĂšcle d’importants troubles. 

VI. L’économie et la monnaie 

La recherche moderne, depuis les travaux de Rostovtzeff, eux-mĂȘmes influencĂ©s par l’Ɠuvre  de  Gibbons,  a  largement  discutĂ© du  caractĂšre  de  la  crise  Ă©conomique  du iiiĂšme s., opposant cette pĂ©riode Ă  un Â« Ă‚ge d’Or Â»  qu’aurait  constituĂ©  l’époque  anto-nine. K. Ruffing (p. 817-820) montre l’im-portance  du  contexte  social  dans  lequel les  historiens  modernes  vont  dĂ©velopper leur  point  de  vue  sur  cette  « crise Â».  Cet aspect  historiographique  de  la  recherche est fort intĂ©ressant : il montre que chacun en  a  recherchĂ©  les  causes  en  fonction  de son  acquis  personnel.  L’a.,  pour  sa  part, rĂ©duit  la  problĂ©matique  Ă   trois  facteurs  : l’inflation,  la  dĂ©mographie,  les  impĂŽts  et le  budget  de  l’État.  Rappelons  que  sous Caracalla,  le  budget  annuel  de  l’Empire avoisine 1,5 milliard de sesterces ! 

K. Ruffing ne croit pas trop Ă  la crise et il nous  fournit  de  nombreux  exemples  de prospĂ©ritĂ©  Ă©conomique  au  cours  des  an-nĂ©es 235-284. Ceux-ci sont variĂ©s ; citons parmi bien d’autres : l’exportation de l’huile d’olive d’Espagne, le dĂ©veloppement topo-graphique  des  agglomĂ©rations  secondai-res  de Gaule  septentrionale,  la  fondation de villes nouvelles  en race et  en MĂ©sie InfĂ©rieure,  l’aisance des  citĂ©s du nord de l’Asie Mineure grĂące au commerce Ă   tra-vers la Mer Noire. Ă€ cette Ă©poque d’ailleurs, nous notons le dĂ©veloppement maximum des  Ă©missions  monĂ©taires  de  villes  de Bithynie,  sous  les  SĂ©vĂšres,  sous  Gordien III et finalement sous ValĂ©rien/ Gallien. 

La supposĂ©e crise ne touche pas non plus le commerce international. Ainsi, l’absen-ce  de  monnaie  de  cette  Ă©poque  en  Inde 

est  interprĂ©tĂ©e  par  le  fait  que  l’argent monnayĂ©  a  toujours  constituĂ©,  pour  ces rĂ©gions,  une  marchandise  comme  une autre.  L’a.  relativise  finalement  deux  ar-guments  clefs  en  faveur  d’une  crise  Ă©co-nomique  gĂ©nĂ©ralisĂ©e  au  iiiĂšme  s.,  Ă   savoir que l’avilissement de la monnaie implique automatiquement de l’inflation, et d’autre part, que nous assistons Ă  une  rĂ©gression dĂ©mographique gĂ©nĂ©ralisĂ©e. 

La  monnaie  fait  l’objet  d’un  court  mais fort dense chapitre de K. Ehling  (p. 843-

860).  L’a.  distingue d’abord  les  Ă©missions impĂ©riales des frappes des citĂ©s grecques, qui  arrivent  Ă   leur  terme  sous  Gallien, mĂȘme  si  quelques  Ă©missions municipales se  prolongent  sous  Claude  II  (Cyzique), AurĂ©lien  (SidĂ©)  et  mĂȘme  Tacite  (PergĂ©). K. Ehling reprend briĂšvement les donnĂ©es traditionnelles relatives au fonctionnement de  l’atelier  monĂ©taire  de  Rome  quant  Ă  l’organisation  des  officines.  Il  se  fonde, comme  toujours,  sur  les  mĂȘmes  inscrip-tions connues depuis bien longtemps (cil vi,  44  et  239).  Mais  les  sources  complĂ©-mentaires  sont  finalement  rares  :  sur  les 18 procuratores monetae  attestĂ©s entre  les rĂšgnes de Trajan et de Valentinien I, seu-lement 4 sont attribuables au iiiĂšme s. 

À cĂŽtĂ© de la production officielle de la ca-pitale, on relĂšve de trĂšs nombreux ateliers rĂ©partis dans les provinces. On notera Ă  ce sujet que l’a. situe Ă  Cologne l’atelier ger-manique de Gallien, et non Ă  TrĂšves com-me c’est actuellement la mode. 

Les  conditions  de  la  crĂ©ation  par  Cara-calla,  en  215,  de  l’antoninianus,  sont  dĂ©-sormais  bien  connues.  On  retrouve  dans l’ouvrage  le  classique  diagramme  mon-trant la chute du pourcentage d’argent au sein  de  cette  monnaie  surĂ©valuĂ©e  dĂšs  le dĂ©part. Mais  lĂ  aussi,  l’a.  s’insurge contre la vision â€“ une metallistischer Irrtum esti-me-t-il â€“, que la diminution du pourcen-tage d’argent fin dans la monnaie est auto-matiquement  un  Ă©lĂ©ment  forcĂ©ment  nĂ©-gatif,  que  le  procĂ©dĂ©  entraĂźne  ipso  facto une hausse des prix et qu’il entretient fina-lement  l’inflation.  La  valeur  de  la  mon-naie, selon le droit romain (Dig., 18, 1, 1) 

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n’est pas fondĂ©e sur  la substantia  (« Stoff-wert Â»),  sa  valeur  mĂ©tallique,  mais  bien sur la quantitas (« Nennwert Â») qui dĂ©rive de  la  forma publica,  c’est-Ă -dire  la  valeur nominale garantie par l’État. 

L’a.  Ă©voque ensuite  le problĂšme du mon-nayage  au  type  du  DIVO  CLAVDIO  / CONSECRATIO, sĂ©rie Ă  laquelle les sour-ces  de  l’époque  utilisent  les  termes  Ă©lo-quents de vitiare et de corrodere. Au sujet de leur fabrication par des employĂ©s indĂ©-licats  de  l’atelier  romain,  K.  Ehling  re-prend les termes de R. Göbl, Ă  savoir que c’est l’Ɠuvre d’une Â« vĂ©ritable Maffia Â»... 

La rĂ©forme d’AurĂ©lien est dĂ©crite avec mi-nutie.  Alors  qu’une  certaine  unanimitĂ© Ă©merge actuellement en faveur de  l’inter-prĂ©tation  de  la marque  XXI  comme  une indication  de  la  composition  mĂ©tallique de  la  monnaie  (1/20Ăšme  d’argent  fin),  l’a. considĂšre qu’il s’agit en rĂ©alitĂ© du taux de reprise des anciens antoniniens : 20 mau-vaises  piĂšces  antĂ©rieures  Ă   la  rĂ©forme (Gallien, Claude  II,  empire gaulois)  con-tre  un  seul  « antoninien  rĂ©formĂ© Â»,  ce dernier surĂ©valuĂ© de 150%. On notera que n’apparaĂźt  nulle  part  le  nĂ©ologisme d’aurelianus  pour  dĂ©signer  ces monnaies rĂ©formĂ©es,  essentiellement  utilisĂ©  par  les numismates  français  ;  Ehling  prĂ©fĂšre  le terme  d’aurelianische  Reformantoninian. L’émission de cette nouvelle monnaie au-rait cette fois des consĂ©quences politiques nĂ©gatives  car  elle  semble  favoriser  l’infla-tion. La preuve en serait le retour rapide Ă  un taux de change diminuĂ© de moitiĂ© :  la marque  XI,  utilisĂ©e  sous  Tacite  et  Carus dans certaines zones limitĂ©es de l’Empire, est ici interprĂ©tĂ©e comme l’indication d’un nouveau  taux de change de 10  anciennes monnaies contre une nouvelle, issue de la rĂ©forme. Ces hypothĂšses, rĂ©sumĂ©es ici en quelques  lignes,  sont  soigneusement  ar-gumentĂ©es  Ă  partir de sources anciennes. Elles  mĂ©ritent  en  tout  Ă©tat  de  cause  une lecture extrĂȘmement attentive. 

VII. L’enseignement et les sciences 

L’enseignement  (au  sens  large)  est  Ă©tudiĂ© par  K.  Pietzner.  Les  sources  antiques  ne manquent  pas. On  apprend  par  exemple 

la  crĂ©ation  d’une  nouvelle  bibliothĂšque situĂ©e  prĂšs  du  PanthĂ©on,  Ă   Rome,  sous SĂ©vĂšre Alexandre. Elle est l’Ɠuvre de Sex-tus Iulius Africanus, un chrĂ©tien. Elle s’a-joute  aux  deux  autres  bibliothĂšques  dĂ©jĂ  prĂ©sentes dans les thermes de Caracalla. 

Les Ć“uvres  littĂ©raires  Ă   caractĂšre  histori-ques  sont  un  domaine  particuliĂšrement travaillĂ©  par  la  recherche  moderne,  sans doute  Ă   cause  de  l’indigence  des  sources contemporaines  des  faits.  Les  chapitres postĂ©rieurs  Ă   SĂ©vĂšre  Alexandre  de  l’ou-vrage  d’HĂ©rodien,  mort  au  milieu  du siĂšcle, sont perdus. Il se composait Ă  l’ori-gine  de  huit  livres,  publiĂ©s  sous  Philippe ou  Trajan  DĂšce.  L’autre  grand  historien de  l’époque,  l’AthĂ©nien P. Herennius De-xippus, dont la chronique allait jusqu’à la mort de Claude II en 270, n’est connu que par des fragments. Cette partie consacrĂ©e aux sources historiques complĂšte en quel-que sorte le chapitre I de l’ouvrage. 

Quelques  pages  sont  ensuite  consacrĂ©es aux  philosophes  de  l’époque,  Longin  et surtout Plotin, dont Gallien ŐŽŐ„t un ardent dĂ©fenseur. 

VIII. Les religions 

Nous  n’entrerons  pas  dans  le  dĂ©tail  des aspects  religieux,  qui  traitent  successive-ment  du  paganisme,  du  judaĂŻsme,  du christianisme, du manichĂ©isme et surtout du culte impĂ©rial (F. Herklotz). Cette der-niĂšre  contribution  est  peut-ĂȘtre  un  peu brĂšve Ă  notre goĂ»t  : 12 p. seulement pour traiter  des  rites  spĂ©cifiquement  liĂ©s  Ă   la personne  de  l’empereur,  aux  cĂ©rĂ©monies et  anniversaires  (decennalia  par  ex.),  au culte  des  divi  et  surtout  Ă   l’assimilation progressive du Prince Ă  Sol invictus. 

IX.  Crise  en  transformation  de  l’Empire au iii s. 

Cette remarquable encyclopĂ©die de  l’Em-pire entre 235 et 284 s’achĂšve par un texte synthĂ©tique (p. 1025-1053) coĂ©crit par K.-P.  Johne  et  U.  Hartmann,  rĂ©sumant  les informations  Ă©voquĂ©es  ci-dessus,  en  les replaçant dans leur contexte. 

BCEN vol. 50 no 2, 2013  177

L’ouvrage  se  clĂŽture par des  fasti du plus haut  intĂ©rĂȘt  car  extrĂȘmement  dĂ©taillĂ©s (empereurs, consuls, prĂ©fets urbains, prĂ©-fets  du  prĂ©toire,  gouverneurs,  Ă©vĂȘques, monarques  orientaux  et  finalement  prin-ces barbares), couvrant pas moins de 142 pages, et par une bibliographie de 160 p., totalisant environ 5.300 titres ! 

La  longueur  inusitĂ©e  de  cette  recension montre  l’importance que nous attribuons Ă   cette  Ɠuvre  magistrale.  Les  nombreux numismates  et  historiens  travaillant  sur les  prĂ©mices  de  l’AntiquitĂ©  tardive  pour-ront  difficilement  se  passer  de  recourir  Ă  ce monument de l’érudition allemande. 

Jean-Marc Doyen 

 

L. TRAVAINI, Philip Grierson,  Irish Bulls and Numismatics, Roma, Edizioni Quasar di Severino Tognon, 2011, 12, 120 p., 18 

’est  avec  plaisir  que  nous  ferons mention  ici  du  petit  ouvrage  Ă©ditĂ© 

par notre ancienne laurĂ©ate du Prix Quin-quennal  de  Numismatique,  Mme  Lucia Travaini.  Il  s’agit d’un hommage Ă  Philip Grierson  (1910-2006),  spĂ©cialiste  mon-dialement  reconnu  de  la  numismatique mĂ©diĂ©vale.  Mais  Mme  Travaini,  au  lieu d’un  traditionnel  volume  biographique, Ă©dite quelques textes Â« mineurs Â» du prof. Grierson dont une Ă©tonnante Ă©tude (Irish Bulls, 1938) tendant Ă  prouver que Â« Every-one  knows  that  an  Irish  bull  possesses some  rare  ethereal  quality denied  to bulls of  other  nations Â»,  et  s’achevant  par  le monumental apophtegme de Sir Boyle  (+ 1807) Â« that it was hereditary in his family to have no children Â». 

Plus sĂ©rieusement, l’ouvrage est complĂ©tĂ© par une bibliographie de Philip Grierson, totalisant 277 entrĂ©es.  

Jean-Marc Doyen 

 

Larissa  BARATOVA, Nikolaus  SCHINDEL &  Edvard  RTVELADZE :  Sylloge  Nummo-rum Sasanidarum Usbekistan, Wien, Verlag der Ă–sterreich.  Akad.  der Wissenschaen (Veröff. der numismatischen Kommission, Bd. 51), 2012, a4, 199 p., 47 pl., 647 n. 

our un numismate intĂ©ressĂ© par la pĂ©riode  sassanide,  la  parution  d’un 

nouveau  volume dans  la  sĂ©rie des Sylloge Nummorum Sasanidarum est toujours un Ă©vĂ©nement. 

En  effet,  cette  sĂ©rie  avait  pour  but  initial de  combler  un  vide  abyssal  dans  ce  do-maine oubliĂ© de la numismatique : publier quelques  grandes  collections  publiques (Paris, Berlin, Vienne) sous forme de Syl-loge  et,  par  la  mĂȘme  occasion,  proposer une  nouvelle  dĂ©finition,  bien  plus  com-plĂšte que celle proposĂ©e par Göbl, des dif-fĂ©rents  types utilisĂ©s  et une  identification des  ateliers  en  activitĂ©  aux  diffĂ©rentes Ă©poques. 

Les  trois  premiers  volumes  se  sont  donc penchĂ©s  sur  la  publication  de  ces  collec-tions jusqu’au rĂšgne de Kawad I (488-531 

ad). Il reste encore Ă  publier les monnaies des derniers rĂšgnes, certes bien plus nom-breuses  que  celles  des  rĂšgnes  prĂ©cĂ©dents mais  avec  moins  de  types  monĂ©taires  et une frappe bien plus structurĂ©e et centra-lisĂ©e. 

Entretemps, le projet s’est Ă©largi, incluant d’autres collections nationales (SNS IsraĂ«l et  le  prĂ©sent  volume)  et  une  importante collection  privĂ©e  sera  Ă©galement  publiĂ©e trĂšs prochainement. 

Le  volume  Sylloge  Nummorun  Sasanida-rum â€“ Usbekistan est en fait trĂšs diffĂ©rent des  prĂ©cĂ©dents.  En  effet,  il  regroupe  les monnaies  de  type  sassanide  (sassanides, imitations de  type sassanide et arabo-sas-sanides) se trouvant dans diffĂ©rentes insti-tutions  d’Uzbekistan. De  plus,  la  plupart du matĂ©riel publiĂ© provient de trouvailles locales bien rĂ©pertoriĂ©es. Il ne s’agit donc pas  d’une  collection  unique  essayant  de donner une  image  relativement complĂšte du monnayage sassanide mais plutĂŽt d’un groupe  de monnaies  illustrant  assez  clai-

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rement  la  circulation  monĂ©taire  dans  ce pays aux pĂ©riodes sassanide et post-sassa-nide. 

Un  total  de  647  monnaies  nous  est  prĂ©-sentĂ© dont  seulement 383  sont  sassanides (incluant dĂ©jĂ  certaines imitations sous le rĂšgne  de  Wahram  V  et  de  nombreuses drachmes  contremarquĂ©es  localement). Le reste se compose de 3 drachmes arabo-sassanides,  4  hĂ©midrachmes  du  Tabaris-tan, 50  drachmes des Bukharkudat  (imi-tant le type sassanides de Wahram V), 105 drachmes des Huns hephtalites (la plupart imitant  les drachmes sassanides de Peroz I)  et  enfin,  102  drachmes  du  royaume Chaganian, imitations basĂ©es sur le mon-nayage sassanide de Khusro I. 

La rĂ©partition des monnaies sassanides est la suivante : Ardashir I–Ohrmazd II (224-309 ad)  19 Shapur II (309-379 ad)  17 Shapur III-Yazdgerd I (382-420 ad)  3 Wahram V (420-438 ad)  39 Yazdgerd II (438-457 ad)  3 Peroz (457-484 ad)  184 Kawad I (488-531 ad)  30 Khusro I (531-578 ad)  34 Ohrmazd IV (578-590 ad)  10 Khusro II (591-628 ad)  44 

Comme dĂ©jĂ  mentionnĂ©, le contenu de la collection est  loin de nous offrir une dis-tribution du monnayage sassanide tel que nous la trouvons dans les musĂ©es occiden-taux ; certains rois sont absents et d’autres sont  sur-reprĂ©sentĂ©s  suite  aux  circons-tances  historiques. Ce  sont  bien  entendu les  types  de  ces  derniers  empereurs  que l’on retrouve dans les imitations locales. 

Parmi  les  drachmes  sassanides  de  Wa-hram  V,  certaines,  qui  sont  attribuĂ©es  Ă  l’atelier  de Marw  (nos 43-45),  pourraient dĂ©jĂ   ĂȘtre  considĂ©rĂ©es  comme  des  imita-tions, vu leurs lĂ©gendes gĂ©nĂ©ralement illi-sibles et courtes. Quant aux monnaies du mĂȘme  atelier dĂ©crites  comme  imitations, elles prĂ©sentent des lĂ©gendes longues, nor-

males  pour  ce  rĂšgne,  et  la  plupart  du temps bien lisibles. Plusieurs drachmes de ce dernier groupe pourraient, en fait, ĂȘtre le  prototype  purement  sassanide  de  la sĂ©rie (voir, par exemple, la monnaie no 71 avec un style remarquable et une calligra-phie soignĂ©e du sigle monĂ©taire). 

Une  drachme  de  Peroz,  dĂ©crite  comme provenant  de  l’atelier  de  AT  pourrait,  Ă  notre  avis,  ĂȘtre  attribuĂ©e  Ă   l’atelier  de GWM, non dĂ©crit  jusqu’à prĂ©sent  (gĂ©nĂ©-ralement  attribuĂ©  erronĂ©ment  Ă   l’atelier AM  ou  AT).  La monnaie  reprĂ©sentĂ©e  ci-dessous (fig. 1) illustre un exemplaire sans ambiguĂŻtĂ©  aucune  concernant  la  lecture de l’atelier. Une autre drachme est dĂ©crite comme  Ă©tant  de  l’atelier  de  GWL,  nous pensons qu’il faut probablement lire GWD comme sur l’exemplaire de la figure 2. 

   Fig. 1  Fig. 2 

Nous nous retrouvons donc, sous le rĂšgne de Peroz avec au moins trois sigles monĂ©-taires commençant par GW : GW (no 181), GWD (no 183) et GWM (no 109). Les trois pourraient  peut-ĂȘtre  reprĂ©senter  l’atelier GWDMY  trouvĂ©,  Ă©crit  en  entier  et  par-tiellement  (GW),  sur  certaines  Ă©missions de Yazdgerd I et attribuĂ© Ă  la ville de Qum par Rika Gyselen72

[1]. Mais rien n’est  sĂ»r Ă  ce niveau et il est difficile d’accepter cette latitude  dans  l’écriture  de  l’abrĂ©viation d’un  atelier  Ă   un  moment  oĂč  la  frappe Ă©tait trĂšs contrĂŽlĂ©e et systĂ©matisĂ©e. Faut-il attribuer le sigle GW Ă  la ville de Gurgan, comme par le passĂ©, GWD Ă  Qum et GWM Ă   un  autre  atelier  ?  Des  recherches  plus poussĂ©es  sont  ici  nĂ©cessaires  mais  il  est nĂ©anmoins curieux de  trouver dans cette 

__________ [1] R. Gyselen, De quelques ateliers monĂ©tai-res sassanides.  I. Un prĂ©tendu atelier de Gur-gan, Studia Iranica 12/2 (1983), p. 235-238. 

BCEN vol. 50 no 2, 2013  179

partie  de  l’Asie  des  drachmes  avec  les sigles GWM et GWD,  relativement  rares pour ce rĂšgne. 

Une  des  grandes  richesses  de  ce  volume rĂ©side certainement dans les quelques trĂ©-sors  d’imitations  de monnaies  sassanides qui seront trĂšs utiles pour des recherches ŐŽŐ„tures. 

En rĂ©sumĂ©, il s’agit d’un excellent ouvrage de rĂ©fĂ©rence pour  les numismates spĂ©cia-lisĂ©s dans la numismatique de cette rĂ©gion Ă   cette  Ă©poque.  On  peut  juste  regretter l’absence d’un rĂ©sumĂ© en anglais. 

François Gurnet 

 

 

 

omni,  revue  scientifique  de  numisma-tique, Ă©ditĂ©e par l’association omni 

ComitĂ©  Scientifique :  Carlos  AlajarĂ­n 

Cascales,  Eduardo  Dargent  Chamot, Georges Depeyrot,  Jean-Albert Chevil-

lon,  Jean-Marc  Doyen,  David  Frances 

VaĂł, GinĂ©s Gomariz Cerezo, Serge Le 

Gall,  CĂ©dric  Lopez,  Jean-Louis  Mir-

mand, MarĂ­a Paz GarcĂ­a-Bellido Gar-

cia  de  Diego,  Pere  Pau  RipollĂšs,  Ra-mĂłn RodrĂ­guez PĂ©rez, Pablo Rueda Ro-

drĂ­guez-Vila. 

Soutenue  par  l’association  omni  (Objets et  Monnaies  Non  IdentifiĂ©s)  fondĂ©e  en 2005 par CĂ©dric Lopez (docteur en scien-ces, UniversitĂ© de Montpellier 2) et comp-tant  aujourd’hui  plus  de 7.000 membres, la  revue  scientifique omni  a  Ă©tĂ©  crĂ©Ă©e  en 2009 dans le but de satisfaire une commu-nautĂ©  souhaitant  enrichir  la  numismati-que par des  liens historiques et archĂ©olo-giques. Ce projet est menĂ© par un comitĂ© scientifique  international  qui  compte  au-jourd’hui  14  membres  bĂ©nĂ©voles  (dont  5 professeurs d’universitĂ©) reprĂ©sentant cha-cun  sa  spĂ©cialitĂ©  Ă   travers  diffĂ©rents  pays tels l’Espagne, la France, la Belgique, et le PĂ©rou.  Ainsi,  dans  omni,  archĂ©ologues,   

numismates et historiens sont au rendez-vous  pour  assurer  une  cohĂ©sion  de  ces domaines jusqu’alors cloisonnĂ©s. 

La  revue omni  est  semestrielle.  Elle  con-naĂźt  une  diffusion  internationale,  princi-palement  dans  les  pays  francophones  et hispanophones (incluant donc la majoritĂ© des pays d’AmĂ©rique du Sud). Sa diffusion au format papier et numĂ©rique permet de compter  sur  le  soutien de plus de 12.000 lecteurs  dans  97  pays. Depuis  le  premier numĂ©ro, plus de 60 auteurs ont contribuĂ© Ă  ce projet. 

Les  thĂšmes  couverts  par  omni  sont  trĂšs variĂ©s puisque la revue publie des travaux de  numismatique  Ă   la  seule  condition qu’ils  soient  validĂ©s  scientifiquement  par le  comitĂ©,  avec une attention particuliĂšre aux travaux portant sur les pĂ©riodes anti-ques  et  fĂ©odales,  domaines  dans  lesquels les recherches demeurent rares et doivent ĂȘtre  encouragĂ©es.  omni  met  un  point d’honneur  aux  publications  de  nouvelles idĂ©es,  thĂ©ories,  ou  de monnaies  inĂ©dites. En  fait,  omni  se  veut  ĂȘtre  une  revue  in-novante dans le domaine de la numisma-tique, quelle que soit l’époque concernĂ©e. 

Concernant  les  prochains  numĂ©ros  (pu-blication du no 6 en avril 2013), nous pou-vons  d’ores  et  dĂ©jĂ   annoncer  la  partici-pation de Pere Pau RipollĂšs  (Professeur d’archĂ©ologie Ă  l’universitĂ© de Valencia en Espagne),  Georges  Depeyrot  (Directeur de recherche au cnrs),  Jean-Albert Che-

villon  (chercheur  indĂ©pendant),  Jean-Claude  Richard  Ralite  (directeur  de recherche  honoraire  au  cnrs),  Eduardo Dargent  Chamot  (Professeur  Ă   l’Uni-versitĂ©  de  San  MartĂ­n  de  Porres  au  PĂ©-rou), parmi tant d’autres. 

Revues  en  PDF  disponibles  sur  http://

www.identification-numismatique.com/h1-

revueomni 

Contact : [email protected]

 

 

BCEN vol. 50 no 2, 2013  180

 

Mise  en  ligne  de  la  collection  des  billets de  nĂ©cessitĂ©  de  la  PremiĂšre Guerre mon-diale du MusĂ©e de la Banque nationale de Belgique (communiquĂ© de presse) 

Le MusĂ©e de  la Banque nationale de Bel-gique  possĂšde  une  grande  collection  de monnaie  de  nĂ©cessitĂ©  datant  de  la  Pre-miĂšre  Guerre  mondiale.  Ces  moyens  de paiement sont apparus Ă  cause de la pĂ©nu-rie accrue de monnaie dans la cohue de la guerre  1914-18.  Plusieurs  conseils  com-munaux,  comitĂ©s  locaux  d’aide  et  autres entreprises  ont  Ă©mis  leurs  propres  billets et,  en  moindre  quantitĂ©,  leurs  propres piĂšces. L’argent de nĂ©cessitĂ© constitue une 

source  intĂ©ressante  pour  les  recherches sur  la PremiĂšre Guerre mondiale. Ă€  l’ap-proche  du  centiĂšme  anniversaire  de  la Grande Guerre en 2014, le MusĂ©e a dĂ©voilĂ© sa  collection.  Sur  le  site  nbbmuseum.be, sous  la  rubrique  Catalogue,  on  peut  cli-quer  et  parcourir  cette  base  de  donnĂ©es. En  outre,  on  trouve  une  brĂšve  introduc-tion  avec  une  bibliographie  complĂ©men-taire pour mettre  les chercheurs et histo-riens locaux sur la voie.