C.E.N.
BULLETIN
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VOLUME 50 N° 2 MAI – AOÛT 2013
BCEN vol. 50 no 2, 2013 145
Ermanno Arslan ‒ Astri e potere nel mondo romano
L’impulso a tentare una lettura iconolo-gica1
[1] di un tipo monetario gallienico, cui è stato fino ad oggi dato un signi-ficato iconografico del tutto sviante, con una rappresentazione del segno zodia-cale del Sagittario interpretata come Centauro, mi deriva da due occasioni. La prima è rappresentata dalle belle le-zioni di Archeoastronomia di un colle-ga astronomo, Elio Antonello (operante presso l’Osservatorio Astronomico di Brera e Presidente della Società Italiana di Archeoastronomia2
[2]). Questi mi ha convinto della necessità, per una cor-retta ricerca storica, di guardare il cielo non con gli occhi di oggi, di norma in-differenti ((((quando non sono di un col-lega astronomo o archeoastronomo)))), ma con gli occhi di quanti ci hanno prece-__________ [1] Una prima versione di questo piccolo contributo è stata letta nel 2010 al IX Convegno della Società Italiana di Archeoastronomia, 14-
16/9/2009, riunito presso l’Osservatorio Astro-nomico di Arcetri (Firenze). [2] L’Osservatorio Astronomico di Brera, è uno storico osservatorio costituito nella seconda metà del Settecento nel palazzo di Brera, a Mi-lano. Agli inizi degli anni venti del Novecento la sezione osservativa մե distaccata a Merate, in Brianza. Le due sedi condividono a tutt’oggi l’amministrazione e la direzione, e talvolta la designazione.
duti nel passato, quando si aveva la cer-tezza incrollabile che negli astri si deter-minasse il destino di ciascuno e si go-vernasse il destino del mondo tutto.
La seconda è rappresentata dall’incarico avuto dalla collega Laura Simone, della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Milano, che ringrazio, di schedare e stu-diare un ripostiglio di monete recupe-rato nel 2008 a Corneliano di Truccaz-zano (MI)3
[3].
__________ [3] Una prima segnalazione in Arslan 2011. Il complesso è stato edito in CD in Arslan &
Simone Zopfi 2011. Il prodotto, realizzato con la necessità di rispettare scadenze immediate, presenta numerose manchevolezze redazionali ed omissioni per l’affrettata preparazione del CD, anche se il materiale è riprodotto inte-gralmente. Tale aspetto del prodotto viene segnalato in Crisafulli 2012, p. 261, che, senza prendere in considerazione il saggio in-troduttivo, si rifiuta di allineare il ripostiglio agli altri 27 ripostigli italiani (molti dei quali ben più inaffidabili relativamente alla compo-sizione e alla schedatura analitica dei mate-riali), che pone alla base delle sua ricostru-zione delle scelte di emissione di Aureliano e del significato della sua riforma. Considerando la fondatezza delle osservazioni della collega, è in corso una riedizione del CD, con l’emenda-mento della schedatura. Inalterata rimane l’in-tegrale riproduzione delle monete e il saggio di commento, che propone un tentativo di analisi dei progetti di comunicazione di Gal-lieno e Claudio Gotico tramite i tipi monetari, considerati in termini statistici, con la percen-tualizzazione delle presenze.
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Premetto che un ripostiglio (meglio de-finibile come un complesso associato di monete) è un nucleo di monete (o di monete e di altri oggetti o di altre classi documentarie) smarrito o occultato in un momento preciso, che non sia stato successivamente manomesso, fino al re-cupero in età moderna. Un ripostiglio monetale, che può avere infinite moda-lità di formazione (cioè di accumulo delle monete e degli altri oggetti che lo costituiscono), che non è il caso di trat-tare in questa sede, quando si sia forma-to in tempi brevi e ci giunga integro4
[4], ci propone un’immagine fedele della circolazione monetaria dalla quale è sta-to ritirato, cioè della massa monetaria disponibile per l’utenza nel luogo di for-mazione al momento della sigillatura. Naturalmente in relazione al mercato nel quale quelle specifiche monete cir-colavano, che era quasi sempre diffe-renziato per metallo e con caratteri tal-volta diversi nei vari luoghi.
I ripostigli ci forniscono quindi infor-mazioni preziose su molti aspetti del-l’economia antica, per i quali le fonti spesso tacciono completamente, e si propongono come uno strumento in-dispensabile per la ricerca storica, spe-cie di storia economica.
Nel nostro caso si trattava di un com-plesso comprendente un denario sube-rato5
[5] di Faustina I, moglie dell’impe-ratore Antonino Pio, divinizzata dopo __________ [4] Nelle condizioni in cui era al momento del-la scoperta, senza aver subito manomissioni, selezioni o dispersioni. [5] I Denari suberati erano monete in metallo vile (di norma rame) ricoperte con una sottile lamina in argento. Se riconosciuti venivano di norma gettati via o omologati a nominali di valore inferiore. Sul tema si ha abbondante bibliografia, sia tecnica che storico-numis-matica. Cfr. ancora Crawford 1968, per l’ipo-tesi che fossero prodotti da falsari, e Serafin
1988, per l’ipotesi di emissioni speculative nelle zecche ufficiali.
la morte, la moneta più antica6
[6], e 1.012 antoniniani in argento povero7
[7] (fig. 1), dispersi nel terreno dopo la rottura (o il disfacimento) di un contenitore perdu-to (in terracotta o materiale organico), che vennero recuperati con il cerca-me-talli. Il complesso, ritrovato sulle rive dell’Adda a Corneliano di Truccazzano (MI) nel corso di scavi regolari, va co-munque considerato sostanzialmente integro ed affidabile.
Fig. 1
Gli Antoniniani del ripostiglio di Truc-cazzano si distribuiscono, come data di emissione, dal 255-256 al 272 ca. al massimo, con rappresentati gli impera-tori romani dell’epoca : Valeriano (253-
260), Gallieno (253-268), Salonina, mo-glie di Gallieno (254-268), Claudio Go-tico, in vita (268-270) e divinizzato (post 270), Quintillo (270), fratello di Claudio, Aureliano (270-275). Nel Ri-postiglio erano presenti anche monete degli usurpatori gallici, Postumo (260-
269) e i due Tetrici, padre e figlio (271-
post 274 e 273-274).
La data di occultamento è definita dalle monete più recenti, di Aureliano, pre-cedenti alla riforma da lui attuata.
Le ragioni dell’occultamento possono essere diverse : si può ipotizzare che il
__________ [6] Con al Rovescio Cerere, del 141 d.C. e ss.; ric iii, p. 71, n. 358. [7] Moneta in argento povero, definita anche come “radiato”, per la corona a raggi sul capo dell’Imperatore sul Diritto, indicativa di no-minale doppio rispetto all’unità, emessa per la prima volta da Caracalla nel 214 d.C. Quindi nominale da due Denari.
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gruzzolo sia stato nascosto nel 271, quando Aureliano venne duramente battuto dagli Alamanni a Piacenza ; ma si può anche pensare alla minaccia, l’anno successivo, dopo la vittoria8
[8] di Aureliano a Pavia, sempre sui medesimi Alamanni, di qualche gruppo germa-nico sbandato, che poteva essere ancora presente intorno a Milano. Ma è possi-bile anche pensare alla paura di briganti o di contadini insorti9
[9]. Oppure alla vo-lontà di nascondere monete che Aure-liano voleva venissero ritirate, perché non ostacolassero la collocazione sul mercato delle proprie emissioni rifor-mate, di maggior valore intrinseco, cal-colato come metallo a peso10
[10].
__________ [8] Gli Alamanni erano un gruppo barbarico germanico che venne affrontato in Italia da Gallieno, Claudio II e Aureliano. Dagli Ala-manni si sviluppò, culturalmente e linguisti-camente, l’attuale Svizzera tedesca. [9] Cfr. il simile complesso recuperato a Gru-mello e Uniti (CR) (Grumello 1985) con 10 kg di monete, ora ridotte a 3.413, da Treboniano Gallo a Aureliano, quest’ultimo con 84 esem-plari, il 2,46% dell’intero nucleo conservato, quasi tutti di Mediolanum. Le monete di Aureliano sono tutte precedenti la riforma e quindi sono indicative per la data di occul-tamento. Aureliano è presente a Truccazzano con una bassissima percentuale di monete, l’1,08%, che può quindi indicare una sincronia per la data di occultamento, che potrebbe essere riferita ad eventi simili e concomitanti. [10] Per la legge monetaria che portava al ritiro dal mercato, da parte dei privati, e alla tesau-rizzazione della moneta « buona », e al mante-nimento in circolazione della moneta « catti-va » cfr. Legge di Gresham 2006, con contributi di autori vari. L’imperatore Aureliano affrontò nel 272 la crisi economica e monetaria ere-ditata da Gallieno e da Claudio II, reprimendo nel sangue la rivolta del personale della zecca di Roma, che aveva intrapreso l’emissione di cattiva moneta in proprio, chiudendo le zecche che emettevano moneta nelle province orientali, decentrando la produzione di una moneta con tipi ovunque identici in alcune poche zecche collocate nell’immenso territorio dell’Impero e imponendo un nuovo tipo di Antoniniano, argentato, con la sua immagine
In questa sede, premettendo come la moneta, unico multiplo disponibile nel mondo antico, assumesse un’enorme importanza nei programmi di comuni-cazione del potere imperiale, mi riferirò solo ad alcune emissioni di Gallieno, databili genericamente tra 260 e 268, presenti nel ripostiglio di Truccazzano, per le quali si hanno strumenti per la classificazione molto imprecisi11
[11].
Si tratta degli Antoniniani con al Rove-scio una figura di Centauro, che viene sempre descritto come tale, senza ulte-riore specificazione. In realtà si hanno due immagini con attributi ben distinti, che impongono una valutazione in ter-mini storici molto differenziata.
Alcune emissioni, in una prima fase del regno (258-259)12
[12], propongono il Cen-tauro (fig. 2), a destra o a sinistra, con la clava, eloquente simbolo di forza mili-tare, e con talvolta il globo, simbolo del potere universale. La leggenda è illumi-nante e suona come LEG[IO] II PART [HICA] V (o VI, o VII) P[IA] V (o VI, o VII) F[IDELIS], che è possibile tra-durre con « legione seconda partica cin-que (o sei, o sette) volte pia e fedele », con i due cognomina attribuitile da Gal-lieno tra 257 e 259. __________
sempre radiata, ma con peso e contenuto me-tallico più alti e programmaticamente stabili. E’ molto probabile che abbia imposto il ritiro coatto di tutta la moneta circolante da sosti-tuire. Per la riforma di Aureliano si ha un di-battito tuttora aperto, per il quale si rimanda al recentissimo Crisafulli 2012, da utilizzare con prudenza ma con ottima bibliografia. [11] ric v, i è ormai strumento catalogico molto invecchiato. Si utilizzano di norma Cu-netio 1983, Normanby 1988 e Giard 1995, quest’ultimo meno facile da usare per la man-canza di indici. Su aspetti specifici delle emis-sioni gallieniche si hanno numerosi e ottimi contributi, non essenziali in questa sede. Pra-ticamente inutilizzabile, per la mancanza di un apparato valido di indici, è Giard 1995. [12] Cohen 5, p. 388-389, nn. 478-486 ; ric v,
i, p. 94, nn. 332-338.
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Fig. 2
Il tipo rientra nelle « serie legionarie » di Antoniniani gallienici, con tipi desti-nati a sollecitare il lealismo dei corpi militari13
[13], nella logica di una strategia di comunicazione molto trasparente. La legione secunda parthica era stata creata da Settimio Severo nel 197, era stata stanziata a lungo ad Albano, unica legione sul territorio italiano, a garanzia della sicurezza dell’Imperatore, ed era stata di grande importanza nel com-plesso e sfortunato periodo del regno congiunto di Valeriano e Gallieno.
Il Centauro era il simbolo della Legione e non sembra avere avuto riferimenti zodiacali14
[14] : comparve anche più tardi sulle emissioni dell’usurpatore Carausio (286-293), in Britannia, dove la legione era stanziata, in emissioni della zecca di Londra15
[15], con attributi vari, clava, glo-bo, lira, timone, scettro, trofeo, mai ar-co e frecce. Il tipo venne emesso anche a Camulodunum, sempre in Britannia, sia per la parthica secunda16
[16], che per la quarta flavia17
[17].
Le monete di Gallieno con il Centauro in onore della legio secunda parthica e ad essa probabilmente destinate, sono proposte come emesse a Milano18
[18], ma __________ [13] Per le emissioni in onore delle Legioni, ric v, i, p. 34. [14] Comunque l’eventuale riferimento astrale, cioè alla costellazione omonima e ai miti rela-tivi, poteva riguardare la Legione e non la per-sona dell’Imperatore. [15] ric v, ii, p. 468, n. 61 ss. [16] ric v, ii, p. 487, nn. 269-271. [17] ric v, ii, p. 480, n. 187. [18] Cfr. nota 11.
non sono rappresentate nel nostro ri-postiglio, con monete raccolte certa-mente nel territorio milanese, dove finora non sono attestate nei ritrova-menti in scavo (purtroppo scarsi). Sono invece discretamente presenti a Cune-tio, in Britannia19
[19], in un complesso con circa il doppio di monete gal-lieniche rispetto a quelle presenti nel-l’intero ripostiglio di Truccazzano. Ciò può forse significare una errata attri-buzione delle emissioni alla zecca di Milano, oppure può essere riferito ad una circolazione circoscritta all’ambito militare : la moneta era quindi più pre-sente là dove era stanziata la Legione. Va però ricordato come le monete precedenti al 260 siano rare nel nostro ripostiglio,
Fortemente rappresentata nel nostro ripostiglio è invece un’altra serie di emissioni, più tarda (260-268), pure con al rovescio il Centauro (fig. 3), a destra, ma con arco e freccia20
[20], oppure, a des-tra o a sinistra, con il globo nella destra e il timone sulla spalla21
[21] (fig. 4).
Fig. 3
Fig. 4
__________ [19] Cunetio 1983, nn. 1452-1457, 1494-1495. [20] Cohen 5, p. 354, nn. 72-73 ; ric v, i, p. 145, n. 163. [21] ric v, i, p. 145, n. 164, emesse a Roma ; a Siscia viene emesso un tipo con il Centauro a sinistra, al galoppo, che tende l’arco a d. ric v,
i, p. 180, n. 558.
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La leggenda – APOLLINI CONS[ER-VATORI]AUG[VSTI] – si riferisce ad Apollo, il dio arciere, che raggiunge l’avversario da lontano con le frecce e che preserva e protegge l’imperatore. Diodoro Siculo22
[22], in una versione ben nota del mito, ci indica come Apollo fosse padre del Centauro, che dal dio derivava evidentemente la qualifica di « arciere », con i corrispondenti attribu-ti, l’arco e le frecce. Il Centauro-Sagitta-rio trasmette, esercitando il suo influsso astrale, all’imperatore il Globo, simbolo del potere universale, e custodisce il Ti-mone, simbolo della protezione e della guida divina.
La corretta interpretazione del tipo, già presente nella letteratura cinquecentes-ca23
[23], è quindi quella che vede nel Cen-tauro del tipo monetale con la leggenda riferita ad Apollo il segno zodiacale del Sagittario, con un riferimento astrale all’omonima costellazione, ben diversa dalla costellazione del Centauro (fig. 5), che non corrisponde ad alcun segno zo-diacale. Il Centauro dell’omonima co-stellazione sarebbe invece quello pre-sente con la clava sulle monete per la Legio Partica Secunda.
Fig. 5
La distinzione tra le due immagini si è perduta nella manualistica numismatica __________ [22] Diodoro Siculo, iv, 69. Cfr. Carradice
1983, p. 192. [23] In Agustin 1592 : dialogo v, p. 98.
corrente24
[24] e non viene più citata, sot-traendoci quindi un prezioso strumento per l’interpretazione del programma di comunicazione che Gallieno sviluppava con la scelta e l’elaborazione dei tipi collocati sulla moneta, unico multiplo dell’antichità, con diffusione universale e controllata.
La scelta gallienica quindi con il tipo del Sagittario si inquadrava in una strategia che non riguardava più solo la volontà di lusingare un corpo militare, al quale forse erano destinate quelle emissioni, ma desiderava segnalare alla totalità dei sudditi, e non solo ad un gruppo limi-tato di interlocutori, gli influssi astrali che qualificavano colui che rivestiva la carica di imperatore. Influssi che egli deteneva per volontà divina, apollinea, dall’istante del concepimento, quando era stato collocato « nel segno del Sagit-tario », con una evidente predestina-zione alla dignità imperiale.
Il segno infatti si riferiva non alla data di nascita di Gallieno, ma a quella del concepimento, come è stato interpreta-to per le rappresentazioni del Capricor-no nelle monete (fig. 6) e nei cammei di Augusto (fig. 7), concepito sotto l’in-flusso di questo segno zodiacale25
[25].
__________ [24] Il riferimento a due costellazioni diverse sմեggì anche al Carradice 1983, p. 192, che segnalava solo come il Centauro fosse più fre-quentemente (« more usually ») associato a Dio-niso, mentre in questo caso era raffigurato co-me « cacciatore ». [25] Svetonio (De vita caesarum, ii.94), indica come Augusto fosse nato sotto il segno del Ca-pricorno. Ciò contrasta con la sua effettiva data di nascita, indicata come il 22-23 settem-bre 63 a.C., sotto il segno zodiacale quindi – allora – del Leone, come certo ci viene ricor-dato dalla stessa denominazione di un mese dell’anno come « agosto ». L’indicazione quindi di Svetonio si riferisce al momento del concepimento, nove mesi prima, sotto il segno appunto del Capricorno. Una diversa tradi-zione astrologica vuole che gli influssi astrali
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Tanto importante era l’influsso del segno zodiacale al momento del conce-pimento, tale da predestinare la vita successiva di ogni essere umano, che il Capricorno ritornò successivamente nei tipi delle monete anche di altri impera-tori tutte le volte che ci si ricollegava alla figura di Augusto, come modello politico ed ideologico. Ciò anche con Gallieno26
[26] (fig. 8).
Fig. 6
Fig. 7
__________
agissero al momento del parto. Si veda, per la nascita di Alessandro, che Nectenabo ritarda fino alla constatazione di una ottimale colloca-zione delle orbite celesti degli astri (Il Roman-zo di Alessandro 2007, i, pp. 143-144. [26] Serie legionarie del regno congiunto con Valeriano : ric v, i, p. 92, nn. 314, 318, 328 ; p. 96, nn. 361-364 ; p. 97, nn. 366-367. Il tipo p. 152, nn. 244-246, con leggenda NEPTV-NOCONSAVG, sembra proporre l’Ippocam-po e non il Capricorno.
Fig. 8
E’ da ricordare come gli imperatori ro-mani non ottenessero il potere per di-ritto divino, o ereditariamente, come in altre realtà politiche o, successivamen-te, nella tarda antichità. Essi conquista-vano, già con Augusto, il titolo sul cam-po, in termini oggi di difficile compren-sione, acquisendo e sommando tutte le cariche civili e militari repubblicane che lo giustificavano (compresa quella di « Imperatore »).
In realtà erano tutti « signori della guerra », che venivano nominati (e an-che eliminati) dai loro eserciti. Era quin-di essenziale che curassero con grande impegno il « consenso » dei sudditi tutti e in particolare delle strutture militari, che di norma li avevano chiamati al po-tere. In un mondo che attribuiva im-portanza decisiva agli influssi astrali, di-mostravano la loro predisposizione al comando supremo, civile e militare, come determinata dal loro « oroscopo » al momento del concepimento, più im-portante di quello della nascita.
Gallieno si proponeva così come conce-pito sotto un segno fortemente positivo, il Sagittario, ed era predisposto e desti-nato, ancor prima di nascere, per volere di Apollo, ad essere buon amministra-tore della giustizia, dispensatore di be-nessere o di punizioni agli uomini, con gli attributi naturali della potenza e del-l’autorità.
Con tali attitudini quali ancor oggi si leggono nell’elenco delle prerogative del segno zodiacale del Sagittario, era quin-di degno e capace di guidare l’Impero. Egli indicava ciò ai sudditi con la mo-neta, onnipresente a tutti i livelli sociali,
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rappresentando il Centauro-Sagittario, figlio e « strumento astrale » del dio, con gli attributi del globo, il potere universale, e del timone, strumento per la guida nella navigazione, metafora del buon governo e attributo costante della personificazione della Fortuna, di nor-ma appoggiato sul globo27
[27] (fig. 9).
Fig. 9
Qualche anno più tardi, in una dimen-sione ideologica che ormai prescindeva dalla ricerca del consenso, nelle monete di Aureliano, il globo veniva consegna-to all’imperatore da Giove in persona28
[28] o dal Sole, in quel momento divinità orientale di primo piano29
[28]. Tipi che si articolano in una sequenza program-matica già molto diversa di comunica-zione, che non pare il caso di analizzare in questa sede.
Nei manuali del passato il timone, sulla spalla del Centauro, non veniva ricono-sciuto e veniva indicato come « tro-feo »30
[29]. Solo nella bibliografia più re-cente viene descritto correttamente31
[30].
__________ [27] ric v, i, p. 134, nn. 42-43 : Aurei con la Fortuna stante con cornucopia e timone sul globo. [28] ric v, i, p. 289, n. 225 e passim, con leg-genda IOVICONSER[VATORI]. Appare signi-ficativo come il globo, da intendere rappresen-tazione della terra come elemento centrale nella concezione astronomica di quell’epoca, venisse proposto correttamente di forma sfe-rica. [29] ric v, i, p. 297, n. 283 e passim, con leg-genda SOLICONSERVATORI. [30] ric v, i, p. 145, n. 164 e passim. [31] Giard 1995, nn. 4262-4391.
Il Sagittario nei tipi monetali sembra apparire con Gallieno e nessuno degli altri imperatori del suo secolo lo pro-pose, ad eccezione degli usurpatori del-l’Impero Gallico. Il tipo, con il Centau-ro a d. o a s. e con la leggenda APOLLI-NICO[NSERVATORI], riappare infatti in emissioni irregolari con Tetrico I32
[31] e con Tetrico II, queste ultime con la leg-genda SOLICONSER[VATORI] e il Centauro con l’arco33
[32]. Il riferimento apollineo è sicuro, come pure il rico-noscimento del Sagittario nell’immagi-ne erroneamente attribuita al Centauro. Improbabile invece sembrerebbe invece un riferimento ad influssi astrali in tipi che appaiono a carattere imitativo dalle emissioni gallieniche ufficiali.
Nelle emissioni del secolo successivo il tipo è assente. Esso si riferisce quindi – a mio avviso – proprio al giorno del concepimento di Gallieno, evento squi-sitamente personale, fortemente signifi-cativo in una dimensione culturale di totale fiducia negli influssi astrali.
La sottovalutazione nella bibliografia di supporto alla catalogazione di tale scelta tipologica per i tipi monetari indica come nel tempo si sia perduta non solo la sensibilità per la մեnzione fondamen-tale della moneta nella formazione del « consenso », che abbiamo visto modifi-carsi già con Aureliano, con la proposta di tipi մեnzionali a definire in senso po-sitivo l’immagine del potere, ma anche la coscienza dell’importanza decisiva data nel mondo romano agli influssi astrali al momento del concepimento.
Sensibilità ancora viva nell’alto medioe-vo, se troviamo, nel ix secolo, le imma-gini di Centauro e Sagittario ben dis-tinte nella decorazione nello schienale della Cattedra di San Pietro a Roma, con
__________ [32] ric v, ii, p. 412, n. 151. [33] ric v, ii, p. 425, n. 292
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evidenti ricadute simboliche relative al potere della Chiesa, ma ormai spenta nel xix secolo, con una lettura della mo-neta – ad esempio nel Cohen – arida-mente iconografica e quasi mai iconolo-gica. Le monete non sono più documenti per la storia ma esemplari più o meno rari da allineare in una collezione.
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Weingel 1990 = R.D. Weingel, Gallie-nus’ “animal series” coins and roman religion, Numismatic Chronicle, 1990, p. 135-143.
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Philip TORDEUR * ‒ Le quinaire de Jules César du type Crawford 452/3 (48 av. J.-C.) Parmi les monnaies les plus rares émises par César figure le quinaire d’ar-gent « au trophée » que M. Crawford catalogue sous la référence 452/3 [1]. Cette petite dénomination, valant la moitié du denier, n’avait plus été émise depuis les alentours de 85 av. J.-C. [2]
Fig. 1 – Paris, BnF AF 2807 (cat. no 1)
Le quinaire de César, frappé dans un atelier itinérant, se décrit de la manière suivante (fig. 1) :
a Buste féminin drapé et voilé à dr. (Vesta ?). Derrière, au dessus d’un simpulum (anse à dr.), le numéral II à lire de haut en bas.
r Trophée d’armes constitué d’une cuirasse placée sur une hampe ver-ticale ornée de deux globules laté-raux. Il supporte à g., un bouclier macédonien rond orné de globules
__________ * Nous remercions pour leur précieuse colla-boration Jean-Marc Doyen (umr 8164, halma-
ipel, Université de Lille 3), le Prof. Michael Crawford, M. Dominique Hollard, conserva-teur à la Bibliothèque nationale de France ainsi que M. Ian Leins, conservateur des mon-naies romaines au British Museum à Londres. Nicolas Tasset a révisé les données historiques et Vincent Geneviève à revu le texte, ce dont je les remercie. [1] M. Crawford, Roman Republican Coin-age, Cambridge, 1974, p. 467 et pl. liii. [2] H.A. Grueber, Coins of the Roman Republic in the British Museum, London, 1910, vol. 1, p. 507, note 1.
et à dr., une épée. Il est surmonté d’un casque hémisphérique orné d’un bouton et muni de deux larges paragnatides. Dans le champ à g., une couronne de laurier ; à dr., un ancile. De part et d’autre, la légende CAE/SAR.
Fig. 2 – Le quinaire de César dessiné par Dardel dans l’ouvrage de Cohen (1857)
Le type est connu de longue date et ca-talogué dans les recueils anciens : Cohen (fig. 2) [3], Babelon [4], Grueber [5], Syden-ham [6], Seaby [7]. Il figure également dans les collections du Musée Kestner à Hanovre [8].
L’atelier à l’origine de ce quinaire a été localisé à Apollonia d’Illyrie, mais la frappe est attribuée par M. Crawford à une officine militaire itinérante voya-geant avec César et son armée [9]. __________ [3] H. Cohen, Description générale des mon-naies de la République romaine, communément appelées médailles consulaires, Paris, 1857, no 16 et pl. xx, no 14. [4] E. Babelon, Description historique et chro-nologique des monnaies de la République ro-maine vulgairement monnaies consulaires, Paris { London, 1885-1886, t. ii, p. 18-19, Julia 29. [5] Grueber, op. cit., p. 507, no 3961 et pl. xlix, no 16. [6] E.A. Sydenham, e coinage of the Roman Republic, London, 1952, p. 168, no 1012. [7] H.A. Seaby, Roman silver coins. Revised by D.R. Sear & R. Loosley, London, 1978, p. 108, no 16. [8] F. Berger, Die Münzen der Römischen Re-publik im Kestner-Museum Hannover, Hanno-ver, 1989, p. 480-481, no 3560. [9] Crawford, loc. cit. : “Mint – moving with Caesar”.
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Fig. 3 – Les mouvements de César en Grèce en 48 av. J.-C. (dao Ph. Tordeur)
Nous pensons pouvoir le localiser à par-tir des donnés historiques en détermi-nant où séjournait César en 48 av. J.-C. lors de son séjour en Grèce.
Ainsi, les faits historiques se chargent de faire parler la monnaie et dans ce cas précis, de retrouver peut-être l’atelier à l’origine de ce quinaire.
Alors que l’ensemble des monnaies « iti-nérantes » frappées par César en Grèce sont attribuées à l’atelier d’Apollonie dont les ruines sont situées dans l’actuel Albanie, près de la ville de Pojani, il sem-ble utile de suivre les mouvements du proconsul lors des activités militaires menées en Grèce cette année-là (fig. 3).
Après avoir traversé la mer Adriatique, César parvient en Grèce en janvier 48 av. J.-C. [10] Pendant une période de six mois, César et Pompée sont restés à
__________ [10] Caes. Commentarii de Bello Civili, 3.2-19,
23-31, 39-7 ; J. Carcopino, Histoire romaine. Tome II, César, Paris, 1950, p. 896. Internet/ livius/UNRV.com 2003.
Dyrrhachium (Durrës moderne) où ils ont construit de grandes forteresses se faisant face (fig. 4).
Fig. 4 – Les campements de César à
Dyrrhachium (d’après Jona Lendering2[11]) __________ [11] Dans Livius.Org, 2005, revision : 26 May 2008.
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Après un assaut des troupes de Pompée le 7 juillet, César et son armée մեrent contraints de marcher vers l’intérieur du pays. Cependant, ils passèrent d’a-bord par Apollonia car il ne restait plus d’argent pour payer les troupes. C’est en effet à Apollonia que César a pu se pro-curer les fonds nécessaires, en imposant une nouvelle contribution de guerre à cette riche cité3[12].
Les monnaies émises pendant cette période mentionnent toutes II (52), soit l’âge de César4[13]. Comme le 52ème anniversaire de César eut lieu le 13 juillet de l’an 48 av. J.-C., on estime depuis longtemps que les monnaies qui mentionnent II ont été frappées après son anniversaire, donc à Apollonie, ou juste après, lors de la traversée des monts Pinde (Pindos) vers Pharsale5[14].
César voulait pouvoir combattre Pom-pée dans un endroit approprié. Le choix s’est porté finalement sur Pharsale où, le 9 août, ses soldats expérimentés ont vaincu l'armée de son rival. Comme à l’issue de la bataille Pompée s’était échappé en Égypte, César a quitté la Grèce à sa poursuite. Le proconsul arriva à Alexandrie le 30 septembre de l’an 48 av. J.-C., deux jours après l’as-sassinat de Pompée par le jeune roi d’Égypte, Ptolémée XIII, le frère de Cléopâtre. L’émission des quinaires se place certainement avant cette date.
Mis à part ses déplacements rapides avant et après les batailles en Grèce, César a séjourné la plupart du temps à Dyrrhachium, et plus précisément de janvier à juillet. C’est à cet endroit que le campement principal a pu abriter l’atelier de frappe destiné au paiement de la solde des légionnaires.
__________ [12] G. Walter, César, Verviers, 1964, p. 321. [13] K. Christ, Caesar, München, 1994, p. 35. [14] Caes. B.C. iii, 3.89.
Le quinaire, qui mentionne au droit l’âge de César II et au revers la victoire [sur Pompée] à dû être frappé après la bataille de Pharsale, donc après le 9 août de l’an 48 av. J.- C., sans doute non loin de cette ville.
Le quinaire a fait office de monnaie commémorative après Pharsale. Le re-vers montre en effet un trophée avec un bouclier macédonien à gauche, une couronne de laurier placée en-dessous ainsi qu’un bouclier romain à droite.
Les monnaies frappées en Grèce à cette époque sont de quatre types (fig. 5-8).
Fig. 5 – Denier Crawford 452/2 (H.D. Rauch, Auktion 85, 26/xi/2009, no 316). Masse théorique : 3,96 g ; titre : 950‰ ; taille 1/82e de livre ; valeur : 16 asses
Fig. 6 – Quinaire Crawford 452/3 (BnF AF 2807). Masse théorique : 1,98 g ; titre 950‰ ; taille : 1/164e de livre ; valeur : 8 asses
Fig. 7 – Denier Crawford 452/4 (Numismatica Ars Classica 70, no 157). Masse théorique : 3,96 g ; titre : 950‰ ;
taille 1/82e de livre
156 BCEN vol. 50 no 2, 2013
Fig. 8 – Denier Crawford 452/5. Masse théorique : 3,96 g ; titre : 950‰ ; taille
1/82e de livre
Le denier d’argent du type Cr. 452/2 (fig. 5) est le plus courant de cette pé-riode ; il a servi pour le paiement de la solde des légionnaires. M. Crawford estime son nombre de coins à 63 pour le droit et 70 pour le revers. En revanche, on constate que le quinaire, du type Crawford 452/3, est beaucoup plus rare. Pour ce dernier, M. Crawford estime le nombre de coins de droit à moins de 10 et celui des revers à moins de 11. Il s’a-git de statistiques se fondant sur un nombre d’exemplaires limité, tenant compte du nombre de combinaisons observées entre les matrices. Ces mon-naies militaires ont souvent été frappées de manière décentrée, ce qui rend plus difficile la comparaison des coins.
À partir de notre propre documenta-tion et en pratiquant les statistiques6[15] à partir du nombre d’exemplaires retrou-vés (23 pièces) et le nombre de liaisons de coins observé (10 coins de droit et 12 coins de revers) nous estimons le nom-bre de coins de droits entre un mini-mum de 10 et maximum de 23, et celui de coins de revers entre 12 et 23.
Pour cette brève série, nous pouvons estimer une production globale de 23#30.000 pièces (valeur moyenne des monnaies produites à partir d’une paire de coins)7
[16] soit 690.000 quinaires d’une
__________ [15] Ch. Carcassonne, Méthodes Statistiques en Numismatique, Louvain-la Neuve, 1987. [16] La littérature à ce sujet est beaucoup trop vaste pour être évoquée ici.
masse théorique de 1,98 g, pour une masse globale de 1.366 kg d’argent.
On peut envisager une distribution de ce quinaire après Pharsale, sur la base de 50 exemplaires par soldat.
Ce quinaire rare, connu par 25 exem-plaires seulement (dont 23 illustrés), doit certainement être présent dans d’autres collections privées. Nous espé-rons pouvoir recevoir d’autres photos et les données techniques d’exemplaires non répertoriés afin de compléter notre étude.
Métrologie
Fig. 9 – Histogramme des masses du quinaire Crawford 452/3
La masse théorique du quinaire s’établit à 1,98 g. La masse observée pour notre série est nettement plus faible, à savoir 1,78 g pour 20 exemplaires dont les don-nées pondérales ont été relevées (fig. 9). Cette masse, anormalement légère, est en quelque sorte due à la rareté. En effet, la valeur commerciale de ces peti-tes monnaies fait qu’elles sont archivées quel que soit leur état de conservation. Or, beaucoup sont très usées, voire légè-rement ébréchées, ce qui fait tomber la moyenne pondérale de 10%.
0
1
2
3
4
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Catalogue
a₁|r₁ q BnF AF 2807 : 1,72 g ; 0. a₁|r₂ w BM 2002, 0102.4 : 1,92 g ; !. a₂|r₃ e Bank Leu ag – Münzen und Me-
daillen ag, Sammlung Walter Nig-geler. 2. Teil, Basel, 11-12/x/ 1966, no 922 : 1,84 g ; ..
r Baldwin’s 42, 2005, no 94. Non pesé.
t Kestner Museum (Hannover), no 3560 : 1,97 g ; ..
y BnF d’Ailly 10909 : 1,72 g ; 6. u Andrew McCabe coll. : 1,6 g. a₃|r₄ i Triton ix, 10-11/i/2006, no 1330 :
1,88 g ; # = Nummorum Auctiones 10, 24-25/iii/1998, no 659.
o Numismatica Ars Classica 40, 16/ v/2007, no 541 : 1,88 g = Sternberg xxxii, 28-29/x/1996, no 498.
a Numismatica Ars Classica 63, 17/ v/2012, no 356 = Coin Galleries iv, 1985, no 246 : 1,86 g.
a₃|r₅ s Adolph E. Cahn, Auktion 75, 30/v/ 1932, no 765. Non pesé.
a₄|r₆ d BnF d’Ailly 10908 : 1,81 g ; 2. f BM 1843, 0116.715 : 1,89 g ; . =
Sotheby’s 30/v/1842. a₅|r₆ g Sammlung Leo Benz. Lanz, Auk-
tion 88, 23/xi/1998, no 755 : 1,79 g = Schweizerische Kreditanstalt, Auktion 3, avril 1985, no 449 = Numismatic Fine Arts vi, 27-28/ii/ 1979, no 530.
h Sammlung Haeberlin. A.E. Cahn & A. Hess, 17/vii/1933, no 2691 : 1,80 g.
a₆|r₆ j Ars Classica (Genève), 27-29/vi/ 1928, no 1008 : 1,60 g.
a₇|r₆ k Giessener Münzhandlung 79, 14/x/ 1979, no 509 : 1,82 g.
a₇|r₇ l Coll. Ph. Tordeur : 1,65 g ; . = cng 302, 8/v/2013, no 330.
a₇|r₈ ; cng 75, 23/v/2007, no 908 : 1,89 g ; . = Lanz 78, 25/xi/1996, no 468.
a₈|r₉ 2) Numismatica Ars Classica, Auction M, 20/iii/2002, no 2518 : 1,64 g.
a₈|r₁₀ 2! Sammlung Haeberlin, A.E. Cahn & A. Hess, 17/vii/1933, no 2690 : 1,94 g.
a₉|r₁₁ 2@ cgb - Monnaies 45, 2010, no 257 : 1,39 g ; 2.
a₁₀|r₁₂ 2# E. Bourgey, 4/xi/1913, no 677. Non pesé.
a????|r???? 2$-2% Ars Classica (Genève), 27-29/vi/ 1928, no 1009 : lot de deux ex. non illustrés et non pesés.
Rudi SMITS – Un sesterce inédit de Julia Domna (Rome, 212 apr. J.-C.) Plusieurs monnaies de Julia Domna émises à Rome portent au revers la re-présentation de Cérès. Nous avons re-levé les légendes et les types suivants :
CERES S/C
▪ as (ric [1] 870 [Cérès debout] ; Hill [2] 346 : 198 ad) ▪ sesterce (ric 848 ; Hill 348 : 198 ad) ▪ sesterce (ric 849 [Cérès assise] ; Hill
1023 : 209 ad) ▪ médaillon de bronze (Gnecchi [3], ii/
76/1 ; Toynbee [4], pl. xliv, 2 ; Banti [5] 2 : Cérès debout, fig. 1).
Fig. 1
__________ [1] H. Mattingly & E.A. Sydenham, e Ro-man Imperial Coinage. Vol. IV. Part I. Perti-nax to Geta, London, 1936. [2] P.V. Hill, e coinage of Septimius Severus and his family of the Mint of Rome ad 193-217, London, 1977. [3] F. Gnecchi, I medaglioni romani, Milano, 1912. [4] J.M.C. Toynbee, Roman medallions. With and introduction to the reprint edition by William E. Metcalf, New York, 1986. [5] A. Banti, I grandi bronzi imperiali, IV/1, Firenze, 1986.
160 BCEN vol. 50 no 2, 2013
CERERI FRVGIF
▪ denier (ric 546 ; Hill 424 [Cérès assi-se] : 200 ad).
CEREREM S/C
▪ dupondius (ric Caracalla 596 ; Hill 1319 [Cérès tenant sceptre] : 212 ad) ▪ dupondius (ric – ; Hill 1320 [Cérès tenant torche] : 212 ad) ▪ as (ric 596 ; Hill 1322 : 212 ad). On connaît également d’assez nom-breuses représentations de Cérès dans le monnayage impérial émis en Orient, avec des légendes fort variées. On relève à Emèse CERE FRVG, CERERE AVG, CERERE AVGVS [6] ; à Laodicée ad Mare : CERERI FRVGIF [7].
Un sesterce inédit de style romain est apparut récemment dans le commerce numismatique [8].
Description
IVLIAPIA/FELIXAVG Buste drapé à dr. CEREREM S/C Cérès debout à g., tendant deux épis au-dessus d’un modius et tenant un sceptre vertical. Sesterce: 26,99 g – Ì – 30 mm (fig. 2).
De part sa titulature, typique de l’épo-que du règne seul de Caracalla (212-
217), la nouvelle monnaie ne pose au-cun problème de classement. Elle vient s’ajouter au deux dupondii et à l’as déjà connus. L’ensemble est attribué par Ph. V. Hill à une émission monétaire spéci-fique, celle célébrant la 7ème libéralité impériale (denier au revers LIBERALI-TAS AVG VII [9]). __________ [6] ric 616a-618. [7] ric 636. [8] JHE Auctions 3/2013. [9] Hill 1313.
Fig. 2
Cédric WOLKOW ‒ Une variante inédite d’un antoninien de Gallien frappé à Milan (265 apr. J.-C.)
Il nous paraît utile de publier ici une monnaie (fig. 1) apparemment non ré-pertoriée10
[1]. Il s’agit d’un antoninien de Gallien frappé à Milan en 265 apr. J-C.
Fig. 1
Fig. 2
IMPGALLIENVSAVG
Tête radiée à dr., un pan de draperie (visible à l’avant et à l’arrière) sur l’é–paule g. Un ruban passe sur le cou.
PA/X AVG –/S/–
Pax courant à g., tenant un rameau et un sceptre oblique.
Antoninien: masse non relevée – Ì.
__________ [1] Coll. H. Ex coll. C. Wolkow.
BCEN vol. 50 no 2, 2013 161
Robert Göbl11
[2] a recensé, dans sa cin-quième émission de l’atelier de Milan, cinq types d’antoniniens portant les mêmes titulature de droit et légende de revers que l’exemplaire décrit ci-dessus. Il s’agit des variétés suivantes :
▪ sans marque d’officine (1226c) ▪ avec marque d’officine P à l’exergue (1227e)
▪ avec marque d’officine S à gauche (1228e)
▪ avec marque d’officine S à l’exergue (1229d et 1229e)
Cependant, une interrogation subsistait pour la monnaie mir 1226c sur laquelle apparaît, à droite, la trace probable d’une marque d’officine illisible (fig. 2). Il semble dès lors que la monnaie que nous publions aujourd’hui corresponde à celle-ci.
Notons que d’après les travaux de Jean-Marc Doyen, qui s’appuyent sur l’étude des coins et sur l’activité des graveurs pour proposer un classement plus pré-cis12
[3], notre exemplaire appartiendrait à la 9ème série, phase II, groupe D (antoni-niens marqués P et S), datée d’août 265
‒ second semestre 265.
Avec cette légende et ce buste, nous trou-vons chez J.-M. Doyen le numéro d797 (S/– : 9 ex., 7 coins de droit, 7 coins de revers), le d798a et d798b (avec –/–/S ; d798a : 24 ex. de 19 coins de droit et 16 coins de revers ; d798b : 3 ex. issus de 3 paires de coins différents).
__________ [2] R. Göbl, Die Münzprägung der Kaiser Vale-rianus I./Gallienvs/Saloninus (253/268), Rega-lianus (260) und Macrianus/Quietus (260/262), Wien, 2000 (mir 36, 43, 44). [3] J.-M. Doyen, L’atelier de Milan (258-268). Recherches sur la chronologie et la politique monétaire des empereurs Valérien et Gallien (253-268), thèse de doctorat, Louvain-la Neu-ve, 1989, 7 vol. Abrégé ci-après en d.
Notre monnaie pourrait donc être inté-grée sous le no d797(b) de ce catalogue. Il reste donc à retrouver la monnaie sans marque d’officine décrite par R. Göbl sous son no 1226c, pour autant qu’elle existe. Michel THYS ‒ Le type AEQVITAS dans le monnayage de Marius (269 apr. J.-C.)
armi les antoniniens frappés par l’usurpateur gallo-romain Mar-cus Aurelius Marius (269), ceux
au revers de l’Aequitas sont de loin les plus rares. En fait, le dossier est particu-lièrement mince puisqu’il ne comporte que trois exemplaires bien avérés.
La description de cet antoninien est la suivante :
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
a IMP C M AVR MARIVS AVG Buste radié et cuirassé à dr., vu de trois-quarts en avant.
r AEQVITAS AVG Aequitas debout à g., tenant une balance dans la main dr. et une corne d’abondance dans la main g.
P
162 BCEN vol. 50 no 2, 2013
Cohen 213
[1], ric 1514
[2], Elmer 64115
[3], agk 1016
[4].
Ce revers est courant dans le monnay-age de Victorin (269-271)17
[5], successeur de Marius, qui le frappe abondamment dans l’atelier de Cologne lors de son avènement. La question est de savoir si ce type est un hybride dans le monnay-age de Marius, associant un droit de ce dernier empereur à un revers propre à Victorin, ou si Marius est le vrai initia-teur de ce revers qui sera ensuite repris par Victorin.
Les trois exemplaires connus de Marius sont les suivants, tels que signalés dans l’agk18
[6] :
1. Collection Walla (Wien), cité par G. Elmer ( fig. 1).
2. Collection Allote de la Fuye (vente Flo-range & Ciani du 4 mars 1925, no 452) ( fig. 2).
3. Collection J.-M. Kruchten (citée par agk sous la mention « collection pri-vée ») (fig. 3) : 2,38 g – Í – 18,3#20,9 mm. Cet exemplaire a été acquis au dé-but des années 1980 auprès du marchand parisien S. Boutin. Il pourrait s’agir de l’exemplaire de la coll. Le Comte cité par __________ [1] H. Cohen, Description historique des mon-naies frappées sous l’Empire romain, 2e édition, Paris, 1886. [2] ric : P.H. Webb, e Roman Imperial Coin-age, vol. v, part 2, London, 1933. [3] G. Elmer, Die Münzprägung der galli-schen Kaiser in Köln, Trier { Mailand, Bonner Jahrbücher 146, 1941. [4] agk : H.J. Schulski, Die Antoninian-prägung der gallischen Kaiser von Postumus bis Tetricus, Bonn, 1996. [5] Voir agk 1a à 1e. [6] Nous avons écarté du catalogue la monnaie décrite par Cohen sous le no 1, d’après Tanini et d’Ennery. La légende d’avers IMP C M AVR MARIVS PF AVG est propre à l’autre atelier de Marius. Il s’agit sans doute d’une mauvaise lecture du droit.
Cohen. Dans le cas contraire, le nombre d’exemplaires serait porté à quatre.
G. Elmer considère que cette monnaie appartient pleinement au monnayage de Marius qui est l’initiateur de ce type. En effet, le numismate viennois a systé-matiquement écarté de son corpus les exemplaires qu’il considérait comme des hybrides19
[7].
Au contraire, Schulski le considère com-me un hybride dans l’agk, un avers de Marius étant associé à un revers propre à Victorin20
[8]. Dans sa critique minu-tieuse de l’agk, Weder n’aborde pas ce point, se ralliant implicitement à l’opi-nion de Schulski21
[9].
Pour notre part, nous considérons que c’est bien Marius l’inventeur de ce re-vers repris ensuite tel quel par Victorin. Nos arguments reposent sur les élé-ments suivants : 1. Les exemplaires connus provien-nent de trois paires de coins différentes. Une telle variété pour les trois exem-plaires existants suffit à rejeter l’hypo-thèse de monnaies hybrides. La rareté de ces antoniniens s’expliquant par le fait que l’émission a rapidement été in-terrompue par la mort de Marius. 2. Pour le même atelier, un cas simi-laire existe entre Lélien et Marius, où ce dernier reprit le dernier type de son prédécesseur (VICTORIA AVG) pour sa première émission d’avènement22
[10]. __________ [7] À titre d’exemple, Elmer a écarté de son corpus l’antoninien de Postume au revers HERCVLI INVICTO réhabilité par Bastien dans son article, Les travaux d’Hercule dans le monnayage de Postume, rn, 1958, p. 60-78. [8] agk 10. [9] M. Weder, Münzen und Münzstätten der gallisch-römischen Kaiser, Teil I, Revue suisse de Numismatique, 76 (1997), p. 103-133. [10] H. Gilljam, Laelianus. Ergängzungen zur Materialsammlung, Verwendung seiner Revers-stempel unter Marius, Köln, 1986.
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Le cas qui nous occupe a donc un anté-cédent bien avéré venant encore renfor-cer notre interprétation.
Remarquons enfin que la reprise de ce revers lors de la première émission de Victorin sur des antoniniens où le nom du nouvel empereur est associé à des portraits de son prédécesseur montre combien l’atelier secondaire a été livré à lui-même au début du règne de Vic-torin. Manifestement, cette période de transition aura été relativement longue (quelques semaines ?), vu le nombre d’exemplaires qui nous sont parvenus. Ceci prouve aussi que Victorin devait se trouver assez éloigné de Cologne lors de sa prise de pouvoir, son portrait ayant mis quelque temps à parvenir auprès de la Moneta Coloniensis. Livré à lui-mê-me, l’atelier a simplement repris le type de la dernière émission monétaire de Marius dans l’attente d’instruction pro-venant du nouvel imperator. L’urgence de faire connaître auprès des troupes du limes le nom de ce dernier ayant éga-lement entraîné une frappe d’aurei aux mêmes caractéristiques23
[11]. Sergio Boffa* ‒ La Sententia de cambio et imaginibus denariorum du 30 avril 1231 a-t-elle influencé l’administration de la frappe de la monnaie dans le duché de Brabant au xiii siècle ????
Le document
De la fin avril au début mai 1231, Henri (VII) de Souabe (1211-1242) se trouve à Worms. Fils aîné de l’empereur Frédé-ric II de Hohenstaufen (1220-1250), il a été intronisé roi des Romains en 1220 et c’est à ce titre qu’il interfère dans les affaires de l’Empire. Il sera déposé en __________ [11] Kölner Münzkabinett 42, 10/xi/1986, no 475
(denier frappé avec des coins d’aureus).
1235 pour cause d’insoumission24
[1]. Pen-dant ce séjour, il scelle plusieurs actes dont deux règlements sur le change et la frappe des monnaies. Le premier d’en-tre eux, connu parfois sous les noms de Sententia de cambio et imaginibus dena-riorum ou de Sententia de cambiis et denariis civitatum, est l’objet de notre petite étude25
[2].
Le contenu du document se résume en quatre dispositions :
1) Henri accorde aux villes d’Empire possédant une monnaie propre le droit d’exiger que toutes les transactions effec-tuées au marché soient acquittées en deniers locaux.
2) Il ordonne que les ateliers monétaires identifient le produit de la frappe par un emblème caractéristique qui puisse faciliter la différenciation des différents monnayages.
3) Le change ne pourra s’opérer que par le monétaire du lieu ou par un officier muni d’une autorisation spéciale de la part du seigneur.
4) Les personnes trouvées en possession de fausses monnaies seront punies selon la loi sauf si la somme en leur possession n’excède pas les neuf deniers. __________
* Avant toute chose, j’aimerais remercier MM. Raymond Horbach et David Guilardian pour leurs aides, conseils et suggestions. [1] Chr. Hillen, W. Stürner & P. Thorau, Der Staufer Heinrich (VII.). Ein König im Schatten seines kaiserlichen Vaters, Göppingen, 2001 (Schrien zur staufischen Geschichte und Kunst, 20). [2] L’acte est édité dans G.H. Pertz, Monumen-ta Germaniae Historica, Legum, II, Hanovre, 1837, p. 281 et dans L. Weiland, Monumenta Germaniae Historica, Constitutiones et acta pu-blica imperatorum et regum, Tomus II. Inde ab a. mcxcviii. usque ad a. mcclxxii, Hanovre, 1896, p. 415-416, no 301. Voir aussi S. Boffa, Liste provisoire des sources éditées de l’his-toire monétaire brabançonne jusqu’en 1430, rbn, cxlvi, 2000, p. 31-137, pp. 40, no 37.
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La problématique
Malgré le nombre important d’histo-riens et de numismates qui se réfèrent à notre document26
[3], son importance, du point de vue de l’histoire monétaire bra-bançonne, reste toujours à démontrer. En effet, rien ne prouve que l’acte fût d’application dans le duché de Brabant.
À notre connaissance, Jean Baerten est le premier historien à avoir douté de son intérêt. Malheureusement son rai-sonnement n’est pas basé sur une étude de l’acte même. Il est purement circons-tanciel. Il pense simplement qu’ « après avoir montré que le monnayage dit local est également ducal27
[4] et qu’il débute non pas au xiiième mais au xiième siècle, il n’est nullement besoin de réմեter longuement la thèse de De Witte selon laquelle ce numéraire devait son origine à la sententia de cambio et imaginibus denariorum qui date de 1231 »28
[5].
Nous partageons les conclusions de Jean Baerten. Nous pensons néanmoins que le caractère particulier de la frappe de la monnaie au xiiième siècle est tel, qu’une simple comparaison avec la situa-tion au xiième ou au xivème siècle ne suf-fit pas pour prouver que l’édit de 1231 ne մեt pas appliqué en Brabant.
La position de nos prédécesseurs
Avant de nous attaquer à la sententia de cambio et imaginibus denariorum, il nous __________ [3] Voir ci-dessous. [4] Selon Alphonse De Witte, il existait un double monnayage : l’un ducal, qui circulait dans tout le Brabant, et l’autre local qui avait un cours limité à une zone restreinte (A. De
Witte, Histoire monétaire des comtes de Lou-vain, ducs de Brabant et marquis du Saint Em-pire Romain, I, Anvers, 1894, p. 36-37). [5] J. Baerten, Villes et monnaie dans le du-ché de Brabant (xiie et xive siècles), Bulletin de la Société d’histoire et d’archéologie de Louvain, 1965, p. 7-22, pp. 20.
semble utile de présenter succincte-ment l’opinion de quelques-uns de nos illustres prédécesseurs.
Alphonse De Witte, dans son remar-quable travail sur les monnaies braban-çonnes, divise le monnayage d’Henri II (1235-1248) et de ses successeurs en monnayage « ducal » et « local ». Il n’ex-plique malheureusement pas les éléments qui l’ont motivé à établir une telle dis-tinction. Notre document a certaine-ment joué un rôle déterminant dans l’élaboration de sa théorie, bien qu’Al-phonse De Witte semble n’y voir qu’une confirmation de l’existence du double monnayage :
« Peut-être faut-il chercher l’origine de ce second monnayage [c’est-à-dire le monnayage local] dans une charte im-périale, donnée à Worms, le 30 avril 123529
[6] (...) Or, chose digne de remar-que, la promulgation du décret impérial coïncide avec l’apparition du monnay-age local… »30
[7].
Alphonse De Witte, sans clairement l’ad-mettre, pense donc que l’édit de 1231, puisqu’il մեt d’application en Brabant, est la cause de la multiplication des ate-liers monétaires et du type particulier qu’auront les petits deniers à la croix brabançonne31
[8].
__________ [6] Alphonse De Witte date par erreur notre document de 1235 au lieu de 1231. [7] A. De Witte, op. cit. [n. 4], I, p. 36. [8] En Brabant, les deniers ducaux se recon-naîtraient au cavalier et à l’écu au lion, tandis que les deniers locaux seraient identifiables grâce au donjon crénelé flanqué de deux tou-relles (Anvers) ; à la projection horizontale d’un pont (Bruxelles) ; à l’aigle bicéphale (peut-être Halen) ; au lion rampant (Louvain) ; au buste de lion (pas d’attribution) ; à l’agneau pascal (peut-être Tirlemont) ; à la porte de ville (Vil-vorde) et à l’aigle monocéphale (pas d’attribu-tion) (A. De Witte, op. cit., [n. 4], I, p. 38-65, 372-375).
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Victor Tourneur, une autre grande fi-gure de la numismatique belge, semble ne pas avoir eu un avis définitif sur la question. Il adopte tout d’abord la théo-rie d’Alphonse de Witte32
[9]. Ensuite, ce-pendant, il ne pense plus que « la charte de Worms ait eu la moindre influence sur le monnayage brabançon »33
[10]. Avant de changer à nouveau d’avis puis-qu’il affirme qu’un denier d’Anvers մեt frappé « en exécution d’une charte don-née par Henri de Souabe à Worms »34
[11].
Jean-René De Mey a soigneusement étudié le revers des petits deniers bra-bançons. Il présente une nouvelle classi-fication basée non par sur le droit des monnaies, mais plutôt sur les différents types de croix brabançonnes. En fonc-tion de celles-ci, il attribue les deniers aux villes d’Anvers, de Louvain, de Bru-xelles, de Tirlemont et de Vilvorde. Jean-René De Mey justifie ce nombre réduit d’ateliers monétaires par l’acte de 123135
[12]. Il est piquant de lire que le re-gretté Mark Blackburn36
[13] utilise le mê-__________ [9] V. Tourneur, De la nature du monnayage dénarial au nom et aux armoiries des villes de Flandre au xiiième siècle, Congrès international de Numismatique, Bruxelles, 1910, Bruxelles, 1910, p. 301-311, pp. 307. [10] V. Tourneur, Le monnayage dans les vil-les de Flandre et de Brabant au xiième siècle et au xiiième, Bulletin de l’Académie royale de Bel-gique, Classe des Lettres, 5e série, 26, 1940, p. 34-48, pp. 47. [11] V. Tourneur, L’atelier monétaire d’Anvers des temps mérovingiens au xiième siècle, in H. Ingholt (éd.), Centennial Publication of the ans, New York, 1958, p. 683-690, pp. 690. [12] J.-R. De Mey, Les petits deniers à la croix brabançonne, Bruxelles, 1982, p. 14. L’auteur n’avait pas défendu cette théorie dans son pre-mier travail sur les monnaies des ducs de Bra-bant (Id., Les monnaies des ducs de Brabant (1106-1467), Watermael, 1966, p. 14-26). [13] M. Blackburn, Mint attributions of the “petits deniers à la croix brabançonne”, Actes du xie congrès international de numismatique, Bruxelles, 8-13 septembre 1991, III, Louvain-la-Neuve, 1993, p. 105-111, pp. 110.
me acte pour contrer les idées de Jean-René De Mey.
Joseph Ghyssens, qui s’est aussi beau-coup intéressé aux petits deniers braban-çons, ne semble pas s’être occupé de notre document. À notre connaissance, aucun de ses nombreux articles n’y fait référence37
[14]. Il n’en fait pas mention dans son choix de textes relatifs aux monnaies des Pays-Bas méridionaux, ce qui semble montrer le peu d’intérêt qu’il y portait38
[15].
À l’exception de Joseph Ghyssens, nom-breux sont les numismates, influencés par l’opinion d’Alphonse De Witte, qui utilisent l’édit de 1231. Et cela, même lorsqu’il s’agit de défendre des théories contradictoires.
Remarque générale sur la sententia de cambio et imaginibus denariorum39
[16]
Les éditeurs des Monumenta germaniae historica ont choisi d’intituler notre do-cument Sententia de cambio et imagini-bus denariorum ou Sententia de cambiis et denariis civitatum. Pour eux, il s’agit donc d’une sentence, c’est-à-dire un acte produit après un jugement40
[17].
__________ [14] Par ex., J. Ghyssens, Essai de classement chronologique des monnaies de Brabant depuis Godefroid Ier jusqu’à la duchesse Jeanne (1096-1406), bcen, 20, 1983, p. 55-59 ; J. Ghyssens, Le denier de Brabant des xiie et xiiie siècles. Première partie: les données, bcen, 13, 1976, p. 9-13 ; J. Ghyssens, Le denier de Brabant des xiie et xiiie siècles. Deuxième partie : la vé-rification, bcen, 13, 1976, p. 32-37. [15] J. Ghyssens, Choix de textes antérieurs à 1400 relatifs aux monnaies des Pays-Bas du sud, Louvain-la-Neuve, 1997. [16] Avant de poursuivre la lecture de ce tra-vail, nous conseillons aux lecteurs de parcou-rir l’édition de l’acte de 1231 qui se trouve en annexe 1 ou sa traduction en annexe 2. [17] Le terme « sentence » apparaît bien dans le document.
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Pourtant, la charte suivante, avec exacte-ment la même teneur, mais qui s’adresse exclusivement à la Saxe, est nommée Mandatum de cambiis et denariis in Sa-xonia ou Mandatum regis ad Saxo-nes41
[18]. Il concerne uniquement les lieux où la monnaie de Magdebourg avait cours. Pourquoi les éditeurs de ces deux actes pratiquement identiques ont-ils qualifié le second de mandement? Sans doute parce que dans le second des documents, un passage supplémentaire donne le pouvoir de faire exécuter ses décisions par Hermann, comte de Herz-berg, et par Gozelon, son dapifer42
[19].
La relation qui existe entre ces deux do-cuments reste à éclaircir, d’autant plus qu’ils ont été scellés le même jour. Le premier, sans précision de lieu, a peut-être servi de modèle au second. C’est ce que pourrait laisser supposer le passage mentionnant la monnaie du prince « … in omnibus locis in quibus moneta prin-cipis frequentatur et habetur » qui est corrigé ainsi « … in omnibus locis, in quibus moneta Magdeburgensis frequen-tatur et habetur ».
Quoiqu’il en soit, nous pouvons déjà nous interroger. Si les dispositions de la Sententia de cambio et imaginibus dena-riorum avaient été appliquées en Bra-bant, n’aurions-nous pas dû retrouver un mandement semblable à celui qui existe pour la Saxe ?
Analyses des articles présents dans l’édit du 30 avril 1231
Il est temps de se pencher sur les dispo-sitions de l’acte. L’article premier insiste sur le fait que le document est d’appli-__________ [18] L’acte est édité dans G.H. Pertz, op. cit. [n. 2], II, p. 281-282 ; L. Weiland, op. cit. [n. 2], p. 416-417, no 302. [19] “Damus etiam potestatem nobili viro Her-manno comiti de Hartesberg, et fideli nostro Gunzelino dapifero...” (G.H. Pertz, op. cit. [n. 2], II, p. 282).
cation dans « les cités et autres lieux où un droit de monnayage propre et correct existe habituellement ». Il est intéressant de noter que l’on ne parle pas explicite-ment de principauté ou de seigneurie, mais seulement de « cités » et d’« autres lieux ».
Relevons tout d’abord que cette formu-lation, qui n’est sûrement pas innocente, convient mal à la situation qui régnait en Brabant. Le duc jouissait de l’exer-cice du droit régalien de frapper mon-naies. Il pouvait battre librement mon-naies n’importe où dans ses possessions. Il n’existait donc pas, a priori, dans la principauté de lieux où un droit de mon-nayage existait « habituellement ».
Ensuite, les places où l’on avait déjà frappé monnaies en Brabant, du moins avant le début du xiiième siècle, sont limitées. Seules Anvers, Bruxelles, Lou-vain et Maastricht semblent être concer-nées43
[20]. Bien entendu, notre connais-sance des monnayages des comtes de Louvain et des premiers ducs de Bra-bant est encore fragmentaire. Il est pos-sible que d’autres localités brabançonnes aient accueilli un atelier monétaire, mais le nombre de ceux-ci devait être réduit et ne pouvait en aucun cas correspon-dre à la petite dizaine de localité où les petits deniers brabançons seront frap-pés dans le courant du xiiième siècle44
[21]. __________ [20] Nivelles et Gembloux ne font évidemment pas partie de cette liste puisque ce sont les auto-rités religieuses qui détenaient le droit de frap-per monnaies dans ces localités (J.-J. Hoe-
banx, Nivelles est-elle brabançonne au Moyen Âge, rbph, 41, 1963, p. 361-396 ; J. Ghyssens, Trésor de deniers de Nivelles du xiiie siècle, bcen, 18, 1981, p. 58-67 ; P. Lucas, Monnaies seigneuriales mosanes, Walcourt, 1982, 12.1-12.3). [21] S. Boffa, Les petits deniers brabançons, États de la question, réflexions et pistes de re-cherche (c. 1210-c. 1295), Jaarboek voor mid-deleeuwse geschiedenis, 10, 2007, p. 141-177, pp. 155-158.
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L’ouverture de ces ateliers ne serait pas, si l’on se fie aux termes de notre docu-ment, une conséquence de l’application de ce règlement puisque l’on n’avait pas l’« habitude » d’y frapper monnaies avant 1231.
Le même article stipule encore que «per-sonne ne doit accomplir la moindre transaction au moyen d’argent, sinon avec les deniers de son propre mon-nayage ». Si nous rencontrons fréquem-ment des mentions précisant l’origine de la monnaie à utiliser (monnaies de Bruxelles, de Louvain ou d’Anvers)45
[22], nous n’avons rencontré aucun docu-ment local interdisant l’utilisation des monnaies étrangères au duché ou à une ville en particulier. Cela aurait sûre-ment été le cas si cette disposition avait été d’application.
Le second article traite du change ou Wehsel46[23]. Aucun marchand ne sera au-torisé à le pratiquer sauf le monnayeur du lieu et toute personne ayant reçu la permission expresse du seigneur. Nous sommes encore mal renseignés sur les opérations de change en Brabant47
[24]. Si l’acte de 1231 nous apprend qu’elles pou-vaient être accomplies par le monétaire, cette pratique n’a rien d’exceptionnel puisqu’au xiiième siècle, elle est attestée tant en France qu’en Angleterre48
[26].
__________ [22] Voir les différents documents référencés dans S. Boffa, op. cit., [n. 2], passim. [23] Pas très différent du Wechsel actuel. [24] G. Bigwood, Le régime juridique et écono-mique du commerce de l’argent dans la Belgique du Moyen Âge, I, Bruxelles, 1920, p. 389-437 ; R. Van Uytven, Geldhandelaars en wisselaars in het middeleeuwse Brabant, in H.F.J.M. van
den Eerenbeemt (éd.), Bankieren in Brabant in de loop der eeuwen, Tilburg, 1987 (Bijdra-gen tot de geschiedenis van het zuiden van Ne-derland, lxxiii), p. 1-20. [25] M. Bompaire & Fr. Dumas, Numismatique médiévale, Turnhout, 2000 (L’atelier du médié-viste, 7), p. 426 ; M. Allen, Mints and Money
Nous n’avons malheureusement pas con-servé de documents administratifs ou comptables sur la gestion des ateliers brabançons. Il n’est donc pas possible de savoir si le change y était effective-ment pratiqué. Si c’était le cas, il faudrait probablement y voir un usage généralisé à l’époque et non l’exécution de l’article présent dans notre document.
Il est probable qu’un changeur ait été en activité dès 1182 à Nivelles, puisqu’un privilège de Frédéric confirme au cha-pitre de cette ville différents droits dont le change (cum moneta et mensis con-cambiorum)49
[26]. Dans le duché, un ou plusieurs changeurs sont présents à Léau en 125350
[27]. À Bruxelles, nous ren-controns à partir des années 1250 une famille ayant pour patronyme Cambi-tor, Campsor ou Wisselere. Deux de ses membres étaient échevins de la ville, mais agissaient aussi comme financiers. Nul doute qu’ils aient pratiqué le chan-ge51
[28]. Un certain Gilbert s’occupait de ce commerce à Maastricht en 126052
[29]. __________
in Medieval England, Cambridge, 2012, p. 238-294. [26] A. Wauters, De l’origine des libertés com-munales en Belgique, Preuve, Bruxelles, 1862, p. 40-42 ; G. Bigwood, op. cit. [n. 24], p. 406. [27] H. Pirenne, Le livre de l’abbé Guillaume de Ryckel (1249-1272), Polyptyque et comptes de l’abbaye de Saint-Trond au milieu du xiiie siècle, Bruxelles, 1896, p. 12, 14, 17, 23, 25, 84 ;
C. Tihon, Aperçus sur l’établissement des lom-bards dans les Pays-Bas aux xiiie et xive siècles, rbph, 39, 1961, p. 334-364, pp. 339-340. [28] A. Wauters, Les plus anciens échevins de la ville de Bruxelles. Essai d’une liste complète de ces magistrats pour les temps antérieurs à l’année 1339, asra, 8, 1894, p. 315-331, 426-441 ; 9, 1895, p. 59-76 ; P. Bonenfant, Cartu-laire de l’hôpital Saint-Jean de Bruxelles (actes des xiie 2 xiiie siècles), Bruxelles, 1953, p. 278, n. 4. [29] J.H. Hennes, Urkundenbuch des Deutschen Ordens, II, Mainz, 1861 (Codex diplomaticus ordinis Sanctae Mariae eutonicorum), p. 137, no 149.
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Nous ne savons pas à quel titre offici-aient ces différents personnages et com-ment ils avaient obtenu le droit de pra-tiquer le change. Sûrement suite à une autorisation accordée par le duc de Bra-bant, peut-être dès avant 128453
[30].
Malheureusement, ce n’est qu’au début du xivème siècle que les premiers docu-ments concernant un arrangement entre princes et financiers ont été retrouvés. À Malines, c’est en 1301, que les autori-tés communales autorisent tous les bour-geois de la ville, membre de la gilde, à l’exception des foulons et des orfèvres, à pratiquer le change54
[31]. À Anvers, il faut attendre 1306 pour qu’un privilège ducal reconnaisse le droit pour tout bourgeois d’y tenir publiquement une table de change55
[32].
L’image de l’office de changeur que nous offrent les archives est encore très nébuleuse. Les premières mentions font leur apparition dans la seconde moitié du xiiième siècle. Les autorisations prin-cières ou communales sont encore plus récentes puisqu’elles datent du début du xivème siècle. Dans les deux cas, nous nous trouvons plusieurs décennies après 1231. Cela ne signifie évidemment pas qu’il n’y avait pas de changeurs en acti-vité au début du xiiième siècle. Le con-traire est même vraisemblable. Mais, rien n’indique que leurs activités et leur statut aient été établis en fonction de
__________ [30] C. Tihon, op. cit. [n. 27], p. 349 ; M. Mar-
tens, Actes relatifs à l’administration des reve-nus domaniaux du duc de Brabant (1271-1408), Bruxelles, 1943, p. 21-23, no 1. [31] G. Bigwood, op. cit. [n. 24], p. 405 ; J. Lae-
nen, Les Lombards à Malines, 1295-1457, Bul-letin du Cercle archéologique, littéraire et artis-tique de Malines, 15, 1905, p. 23-47, pp. 26-27. [32] Fr. Verachter, Inventaire des anciens char-tes et privilèges et autres documents conservés aux Archives de la ville d’Anvers, 1193-1856, Anvers, 1860, p. 24, no lxxx ; G. Bigwood, op. cit. [n. 24], p. 401.
cette sentence, et il est probable que ce n’est pas le cas.
Selon le troisième article, les deniers devaient porter des images distinctives les rendant prima facie reconnaissables. Dans un précédent travail, nous avions montré que plusieurs motifs (l’aigle bicé-phale, l’écu au lion, le lion rampant et la plante ou arbrisseau pour les nommer) se trouvent déjà sur des monnaies frap-pées au tournant du xiiième siècle (proto petits deniers, c. 1190-c. 1210) ou durant les deux décennies qui suivirent (petits deniers anciens, c. 1210-c. 1235)56
[33]. La présence de motifs semblables au droit de monnaies frappées entre la fin du xiième et la fin du xiiième siècle montre clairement une continuité dans le type de certains petits deniers, une conti-nuité qui n’a visiblement pas été pertur-bée à partir de 1231.
L’article sur les «signes» et les « images» que l’on devait apposer sur les deniers pour que l’on puisse facilement les dif-férencier soulève une autre remarque. Comment Jean-René De Mey peut-il utiliser notre document pour justifier la mise en œuvre d’une classification des petits deniers basée non sur le droit, mais sur le revers et les variantes de la croix brabançonne. Ce système d’une extrême complexité est en totale contra-diction avec la troisième disposition de l’acte.
L’article quatre concerne la possession de fausse monnaie. Ce passage nous laisse perplexes. Pourquoi la détention d’une somme de moins de dix deniers n’est-elle pas immédiatement condam-nable? Pourquoi devient-elle punissable à la troisième offense? Il est surprenant d’apprendre que la fausse monnaie n’est pas confisquée dès la première infraction et que le contrevenant n’est pas immé-diatement poursuivi. Répondre à ces __________ [33] S. Boffa, op. cit. [n. 21].
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questions sort du cadre de notre en-quête. Nous ne nous y attarderons donc pas57
[34].
Enfin, nous savons que le duc de Bra-bant connaissait l’existence de l’acte de 1231 puisqu’il était présent lorsqu’Henri (VII) scella le document. Henri Ier (1190-1235) est d’ailleurs nommément cité dans la liste des témoins (Heinricus Brabancie)58
[35].
Cela non plus ne suffit pas pour affirmer que la teneur de l’acte était d’application dans le duché. Le rôle des témoins n’est pas anodin. La présence de grands per-sonnages lors des discussions, de la pri-se de décision et de sa mise par écrit ren-dent les décisions du roi des Romains incontestables. Elle permet à l’acte d’a-voir une valeur juridique. C’est pour-quoi, le duc est aussi témoin de plu-sieurs autres documents donnés entre le 29 avril et le 1er mai et n’intéressant en rien le Brabant : un diplôme du 29 avril pour l’évêque de Spire, notre document sur le change et la frappe des monnaies ainsi que l’acte semblable adressé aux Saxons donnés le 30 avril et une consti-tution en faveur des princes datée du 1er
__________ [34] Nous sommes encore mal renseignés sur la répression de la fabrication de la fausse mon-naie au xiiième siècle et sur les peines encou-rues par les faux monnayeurs. Signalons néan-moins qu’en 1279, l’archevêque de Cologne, le duc de Brabant, et les comtes de Gueldre et de Clèves avaient conclu une convention par la-quelle ils s’engagèrent à poursuivre les faux monnayeurs (.J. Lacomblet, Urkundenbuch für die Geschichte des Niederrheins, II, Düssel-dorf, 1846, p. 427-428, no 728). Pour les siècles suivants, voir G. Cumont, Faux monnayeurs en Brabant (fin du 14ème et commencement du 15ème siècle) : III. Supplice de deux faux mon-nayeurs à Haelen en 1404, asrab, 15, 1901, p. 319-324 ; P. Cnops, Valsmunters in Steenok-kerzeel, Eigen Schoon en De Brabander, 90,
2007, p. 23-26. [35] G. Smets, Henri I, duc de Brabant, 1190-1235, Bruxelles, 1908.
mai59
[36]. Sa présence au bas de l’acte de 1231 prouve seulement que le duc de Brabant était à Worms en compagnie d’Henri (VII) et de la cour royale.
La présence de l’acte dans les archives brabançonnes
L’original de la sententia de cambio et imaginibus denariorum n’a pas été re-trouvé. Les éditeurs de la Monumenta germaniae historica ont découvert le do-cument dans une ancienne publication du tout début du xixème siècle60
[37]. Préci-sons qu’ils ne doutent pas de son authen-ticité.
La sentence ne se retrouve ni dans le chartrier, ni dans les cartulaires des ducs de Brabant61
[38]. Elle semble aussi absente des fonds d’archives des autres princes de nos régions62
[39]. L’absence, en original ou en copie, de cet acte tant dans le duché de Brabant que dans les prin-cipautés voisines est un autre indice significatif.
Par ailleurs, Jean Baerten a déjà relevé que les principaux documents adminis-tratifs qui jalonnent l’histoire monétaire
__________ [36] G.H. Pertz, op. cit., [n. 2], II, p. 280-283 ; G. Smets, op. cit. [n. 35], p. 207. [37] P. Oesterreicher, Inhalt einiger noch nicht bekannten Gesetze des ehemaligen teutschen Reiches, Erlangen, 1809, p. 20-22, no ii. [38] A. Verkooren, Inventaire des chartes et car-tulaires des duchés de Brabant et de Limbourg et des pays d’Outre-Meuse, Première partie, Char-tes originales et vidimées, I, Bruxelles, 1910 ; Id., Inventaire des chartes et cartulaires des duchés de Brabant et de Limbourg et des pays d’Outre-Meuse, Deuxième partie, Cartulaires, I, Bruxelles, 1961. [39] Le document est présent dans la version électronique du esaurus Diplomaticus, mais il n’y est fait mention d’aucun original ou d’aucune copie (Ph. De Monty, esaurus Diplomaticus, Version préparatoire de la Com-mission royale d’histoire pour les années 1200-1250).
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du Brabant ignorent totalement notre acte63
[40]. Qu’il s’agisse des documents organisant le serment des monnayeurs (juillet 1291 et 22 juillet 1298)64
[41], de la charte wallonne (12 juillet 1314)65
[42], de la Joyeuse Entrée de Jeanne de Brabant et de Wenceslas de Bohème (3 janvier 1356 (n.st.))66
[43] ou de l’acte du 1er octo-bre 1396 par lequel la duchesse cède aux villes pour une durée de dix ans son droit régalien de frapper monnaies67
[44].
Nous savons que les villes brabançonnes ont toujours défendu leurs privilèges de la manière la plus virulente, qu’elles n’ont jamais hésité à s’opposer au prince lorsque leurs intérêts le dictaient et qu’elles s’intéressaient de très près aux affaires de la monnaie68
[45]. Nous pou-vons être sûrs que si les dispositions de la sentence de 1231 avaient été mises en œuvre dans certaines villes ou franchi-ses du Brabant et si elles avaient offert un quelconque bénéfice à l’une de ces localités, ce fait aurait été rappelé à la mémoire du duc. Le silence des archi-ves urbaines est tout aussi révélateur. __________ [40] J. Baerten, op. cit. [n. 5], p. 9-11. [41] A. Anselmo, Placcaeten ende ordonnantien van de hertogen van Brabandt, princen van dese Nederlanden, I, Anvers, 1648, p. 246-249 ; Ch. Piot, Ancienne administration monétaire de la Belgique, rbn, 1, 1845, p. 26-76, pp. 44-47, no 4 ; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 47, nos 63, 65. [42] É. Lousse, Les deux chartes romanes bra-bançonnes du 12 juillet 1314, bcrh, 96, 1932, p. 1-47 ; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 50, no 77. [43] R. Van Bragt, De Blijde Inkomst van de hertogen van Brabant Johanna en Wenceslas, Een inleidende studie en tekstuitgave, Louvain, 1956, pp. 99-100; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 61, no 116. [44] H. Laurent, La loi de Gresham au Moyen Âge, Essai sur la circulation monétaire entre la Flandre et le Brabant à la fin du xive siècle, Bruxelles, 1933, p. 197-208, no 38 ; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 89, no 204. [45] A. Uyttebrouck, Le gouvernement du du-ché de Brabant au bas Moyen Âge, 2 vol., Bru-xelles, 1975, I, p. 538-544.
Conclusions
À première vue, les circonstances de la frappe des petits deniers pourraient pa-raître résulter de l’application de l’acte de 1231. En effet, si nous comparons la situation de la fin du xiième avec celle de la fin du xiiième siècle, nous remarquons effectivement le rôle important joué par les villes, l’apparition de signes distinc-tifs sur le droit des monnaies et un nombre croissant de changeurs dans la principauté. Nous savons aussi que la frappe des petits deniers subit une im-portante réforme vers 1235, une période très proche de la date à laquelle la sen-tence royale մեt donnée69
[46].
Pourtant, une analyse approfondie de chacune des dispositions du document montre clairement que la situation qui régnait en Brabant n’a jamais été façon-née par l’une d’entre elles. Nous remar-quons que les changements qui auront lieu dans le courant du xiiième siècle, sont déjà en germe bien avant 1231 ; certains remontant même à la fin du xiième siècle.
Un regard plus appuyé montre que la conjoncture du duché n’était guère dif-férente, toute proportion gardée évi-demment, de ce qui se déroulait dans les principautés ou les royaumes voisins. Plusieurs de ces territoires étaient situés en dehors de la juridiction de l’empe-reur ou du roi des Romains ; donc hors de la zone d’exercice de la sentence de 1231. La situation que nous rencontrons en Brabant, loin d’avoir été générée par notre document, est la simple consé-quence de la révolution monétaire qui s’est déroulée en Europe occidentale tout au long du xiiième siècle70
[47].
__________ [46] S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 149-151. [47] P. Spufford, Money and its Use in Medie-val Europe, Cambridge, 1988, p. 240-263 ; Ph. Contamine, M. Bompaire, St. Lebecq &
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Enfin, l’absence de toute référence à cet acte dans les textes et les archives bra-bançonnes, qu’elles soient ducales ou urbaines, ne fait que renforcer l’idée qu’il n’eût aucun impact sur la politique ou l’administration monétaire du duché au xiiième siècle.
Annexe 1 – L’acte du 30 avril 1231
H. Dei gracia Romanorum rex et semper augustus nobilibus, ministerialibus, civita-tibus, oppidis, castris, villis, et universis im-perii fidelibus graciam suam et omne bo-num. Sepius coram domino et patre nostro serenissimo Romanorum imperatore et nobis sentencialiter diffinitum est, quod
[1] in civitatibus et aliis locis, ubi propria et iusta moneta esse conswevit, nemo mer-catum aliquod facere debeat cum argento, sed cum denariis proprie sue monete.
[2] Cambium quod vulgo dicitur wehsel neque institor neque alius quivis mercato-rum, sed ipse monetarius exercere debebit vel is cui dominus permiserit ex indulgen-cia speciali.
[3] Denarii preterea unius monete ita ma-nifestis signis et ymaginum dissimilitudi-nibus distingwi debent a denariis alterius monete, ut statim prima facie et sine diffi-cultate aliqua ipsorum ad invicem discre-cio et differencia possit haberi.
[4] Ad hec, si aliquis cum falsis denariis մեerit deprehensus, penam falsarii sustine-bit; nec proderit ei, si dicat, se eos in pu-blico et communi foro recepisse, nisi sum-ma adeo modica մեerit ut novem denarios non excedat. Hic si eciam tercio cum pre-dicta summa vel citra inventus մեerit, tunc poterit quasi falsarius sine predicta excep-cione vel excusacione iudicari.
Hec igitur sicut iuste et rationaliter diffini-ta sunt, sub optentu gracie nostre inviola-
__________
J.-L. Sarrazin, L’économie médiévale, 3e éd., Paris, 2004, p. 251-267.
biliter observari precipimus in omnibus lo-cis in quibus moneta principis frequentatur et habetur.
Ad perpetuam denique firmitatem hanc nostre diffinicionis sive sentencie et protes-tacionis paginam sigilli nostri appensione fecimus communiri.
Huius rei testes sunt: eodericus Treueren-sis, Heinricus Coloniensis, Sifridus Magun-tinus, Albertus Magdeburgensis archiepis-copi; Hermannus Herbipolensis, Bertoldus Argentinensis, Heinricus Wormaciensis, Si-fridus Ratisponensis et imperialis aule can-cellarius, [...] Spirensis, Siboto Augustensis, Bertoldus Curiensis, Bonifacius Lausanen-sis episcopi; Sancti Galli, Cono de Wizen-burg abbates; laici vero: Otto Meranie, Heinricus Brabancie, [...] Lutharingie, Hein-ricus de Limpurg duces; Poppo de Hen-nenberc, Hermannus de Hartsburg, Gun-therus de Keuernberg, Albertus de Wie, idericus de Honstein, Fridericus de Biche-lingen, Heinricus de Swarzburg comites; Gunzelinus dapifer, Cunradus pincerna, Everhardus de Walpurg, Cunradus de Winterstete pincerna, et alii quam plures.
Data Wormacie, II. Kalen. Maii, indictio-ne quarta.
Annexe 2 – Traduction partielle de l’annexe 1
Condamnation relative au change et aux effigies des deniers
[…]
Assez souvent il a été arrêté par jugement en faveur de notre seigneur et père, le séré-nissime empereur des Romains, et en notre faveur que,
[1] dans les cités et autres lieux où un droit de monnayage propre et correct existe habituellement, personne ne doit accom-plir la moindre transaction au moyen d’ar-gent, sinon avec les deniers de son propre monnayage.
[2] Le change, qu’on appelle partout « Wehsel », aucun négociant ni aucun autre marchand ne devra le faire, si ce
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n’est le monnayeur même ou celui à qui le seigneur l’aura permis par une autorisa-tion spéciale.
[3] Surtout, les deniers d’un monnayage particulier doivent se distinguer des de-niers d’un autre monnayage par des signes et des images avec des différences si évi-dentes que d’emblée, au premier regard et sans la moindre difficulté, il puisse exister distinction et différenciation réciproques.
[4] Ajoutons à cela que, si quelqu’un est pris en possession de faux deniers, il subira le châtiment du faussaire, et il ne lui sera d’aucun secours, le cas échéant, d’affirmer qu’il les aurait reçus dans un marché public et commun, à moins que la somme ne soit à ce point modique qu’elle n’excède pas neuf deniers. Si, de surcroît, cet hom-me est découvert une troisième fois en pos-session de la somme ci-dessus mentionnée ou plus ou moins de même valeur, dès lors il pourra être jugé comme un faussaire, sans aucune des exceptions ni excuses men-tionnées précédemment.
Ainsi donc, attendu que ces dispositions ont été ordonnées justement et raisonnable-ment, nous enjoignons, en raison de notre pouvoir discrétionnaire, qu’elles soient in-violablement observées dans tous les lieux dans lesquels le monnayage du prince existe habituellement.
Enfin, pour assurer l’éternelle validité de notre injonction ou, si l’on veut, de notre condamnation et déclaration solennelle, nous avons fait renforcer (l’autorité de) cette page par l’apposition de notre sceau...
Abréviations
asrab : Annales de la Société royale d’ar-chéologie de Bruxelles – bcen : Bulletin du Cercle d’Études numismatiques – bcrh : Bulletin de la Commission royale d’histoire – rbn : Revue belge de numismatique – rbph : Revue belge de philologie et d’his-toire.
RECENSIONS
K.-P. JOHNE (éd.), avec la collaboration de U. HARTMANN & . GERHARDT, Die Zeit der Soldatenkaiser. Krise und Transfor-mation des Römischen Reiches im 3. Jahr-hundert n. Chr. (235-284), Berlin, Akade-mie Verlag, 2 vol. in-8°, 1.400 p., 1 carte, 7 pl., cartonnés dans boîtier. isbn 978-3-
05-004529-0. Prix : 178.
l pouvait sembler superflu d’éditer
une telle somme – 1.400 pages ! – trois ans à peine après la sortie du monumental volume collectif intitulé e Crisis of the Empire, ad 193-337 de la Cambridge An-cient History71*. Toutefois, cette période dite de l’anarchie militaire et son histoire extrêmement troublée, est en pleine effer-vescence depuis de nombreuses années. De plus, les mêmes faits historiques ob-servés par des historiens latins, germani-ques ou anglo-saxons reçoivent des éclai-rages souvent fort différents. Et finale-ment, les deux forts volumes édités par P.-K. Johne et ses collaborateurs (U. Hart-mann et . Gerhardt) couvrent des as-pects fort différents de l’Ancien Monde au iiième s. de notre ère, puisque des cha-pitres importants sont consacrés aux peu-ples et états extérieurs à l’Empire romain. Ce sont eux, qui finalement, ont en quel-que sorte modelé la politique impériale au cours de la crise du iiième siècle même si les causes profondes doivent en être recher-chées à l’intérieur même des frontières.
I. Sources et historiographie
L’ouvrage fait tout d’abord le point sur nos sources. Elles sont soit littéraires : orien-tales (Sassanides) ou occidentales, avec en tête Hérodien et l’Histoire Auguste et sa problématique si spécifique, mais égale-ment bien d’autres sources primaires (épi-graphie, papyrologie, numismatique). On notera une remarquable et très détaillée biographie de quarante-trois auteurs occi-dentaux, écrivant en grec ou en latin,
__________ * Cambridge University Press, 2005, réimpr. 2009.
I
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ayant vécu entre le iiième et le xiième s., mais encore ceux (p. 89-107) qui nous sont conservés dans d’autres langues comme le syriaque (9 attestations), le « moyen per-se » (3), le « nouveau perse » (3), l’arabe (13), l’hébreu (5) et finalement l’arménien ou le géorgien (7).
Le chapitre historiographique (p. 125-
157) nous détaille les apports des siècles précédents, d’où émergent, comme on s’en doute, les noms des grands historiens clas-siques, de Le Nain de Tillemont (1637-
1698) à X. Loriot et D. Nony, en passant par E. Gibbons, M. Rostovtzeff, A. Alföldi et F. Altheim.
II. Les événements et l’histoire de l’Em-pire
Le 2ème chapitre de l’ouvrage (p. 161-423) constitue une monographie à elle seule. Elle compte sept articles différents, traitant successivement des règnes de Maximin le race à Émilien (V. Huttner), Valérien et Gallien puis Claude II et Aurélien (U. Hartmann), l’Empire gaulois (A. Luther), l’Empire palmyrénien (U. Hartmann), Tacite (K.-P. Johne) et finalement Probus et Carus (G. Kreucher). Le chapitre le plus développé est celui consacré aux règnes de Valérien et Gallien (253-268). L’a., d’une grande érudition, y fait preuve de sa parfaite connaissance des sources littéraires, épigraphiques mais également numismatiques. On est toutefois surpris de voir le peu de place laissée à la recher-che française, italienne ou espagnole.
III. Les peuples du nord-ouest de l’Empire
Le 3ème chapitre (p. 424-580) s’intéresse aux peuples et états situés au-delà des fron-tières de l’Empire. À côté de populations bien connues comme celles occupant les régions rhénanes ou du moyen et du bas Danube jusqu’à la Mer Noire (A. Goltz), nous trouvons des chapitres très détaillés concernant les Maures (A. Gutsfeld) et les royaumes du Caucase – Arménie, Ibérie (Géorgie orientale), Colchide, Albanie et petites principautés méconnues – la plu-part documentées essentiellement par les inscriptions sassanides. Viennent ensuite
la Mésopotamie septentrionale (A. Luther), avec le grand centre que մեt Hatra, la Cha-racène et les Juifs de Babylone (M. Schuol), ces derniers constituant le groupe issu de la Diaspora le plus important au-dehors des frontières de l’Empire. Les Arabes sont étudiés par U. Hartmann, et les Sas-sanides, principaux concurrents de Rome à l’Est, par J. Wiesehöfer. Quelques pages sont consacrées aux zones infiniment moins documentées que sont le royaume méroïtique, sur le Nil, et les nomades con-nus sous le nom de Blemmyes.
IV. L’État romain
L’importante partie relative à l’État ro-main couvre les p. 583 à 712. K.-P. Johne s’intéresse à l’origine sociale des empe-reurs qui ont accédé au pouvoir entre 235 et 285. Il relève que jusqu’à l’époque sévé-rienne, les princes sont issus de l’ordo senatorius. L’a. examine les modifications qui apparaissent par la suite. Il décrit le rôle des impératrices, la représentation que l’empereur veut offrir de lui-même au travers des titulatures impériales et des titres militaires dont il se pare à plus ou moins bon escient. Vient se greffer sur ce canevas l’importance croissante du culte solaire, qu’on finit par retrouver dans les titulatures impériales à partir du règne d’Aurélien qui se proclame dominus et deus. L’origine géographique des lieux de proclamation des différents empereurs est elle même lourde de sens. Ainsi, de 235 à 285, seize acclamations ont lieu sur le Rhin, dix sur le Danube, quatre dans l’hinterland frontalier (Italie du Nord), neuf sur la frontière euphratique, trois en Afrique, trois en Égypte et finalement six à Rome. Encore faut-il noter que les éphé-mères Balbin et Pupien, suivis de Gordien III, comptent pour la moitié de ces prises de pouvoir dans l’Urbs.
K.-P. Johne décrit ensuite la famille impé-riale, par exemple les postes occupés par les frères des empereurs. La situation est complexe par exemple dans le cas du cadet de Gallien, dont le rôle est plutôt effacé. Elle est plus claire en ce qui concerne C. Iulius Priscus, le frère de Philippe I, qui occupe d’importantes fonctions en Orient.
174 BCEN vol. 50 no 2, 2013
Mais certains puinés succèdent à leurs aînés à la tête de l’Empire ; c’est le cas pour Quintille, frère de Claude II, ou de Flo-rien, frère (ou plutôt demi frère ?) de Ta-cite. Le rôle des femmes semble considé-rable : Salonine, Zénobie, Sévérine sont à mentionner, mais également Sulpicia Dryantilla, épouse de l’éphémère Régalien qui se proclama à Carnuntum en 260, ou encore Magna Urbica (épouse de Carus), à la fin de la période couverte par l’ouvrage.
Un intéressant paragraphe est consacré aux titres portés par les différents empe-reurs, par exemple ceux de caesar, de pius, de pontifex maximus, de pater patriae, de mentions de consulat ou de cognomina ex virtute, tels Persicus, Carpicus, Germani-cus Maximus ou Gothicus Maximus.
M. Schuol examine pour sa part le droit romain au iiième s. Il relève, dans le Codex Iustianianus, pas moins de 500 « constitu-tions » émises au cours des règnes des « Soldatenkaiser », contre 800 sous les Sévères, et plus de 1.200 sous Dioclétien. La répartition est parfois très anormale : on connaît 100 rescrits datés de 223, sous Sévère Alexandre, contre un seul, en 235, à l’extrême fin du même règne. Gordien III est responsable de 271 documents légaux, Philippe de 78 ; Valérien/Gallien de 89, dont 22 en 260, avant un trou de plusieurs années. L’a. insiste sur le fait qu’il est clair que tous les rescrits n’ont pas été conservés. Il est par exemple peu vraisemblable que Probus n’en ait pro-mulgué que quatre au cours de ses sept années de règne.
La gestion des provinces est un domaine complexe. Nous trouvons ainsi (p. 642 puis p. 669) une liste des provinces avec les titres et grades des gouverneurs, legati Augusti pro praetore de rang consulaire ou prétorien, proconsules des mêmes caté-gories, praefecti, procuratores, praeses ou autres correctores.
L’armée fait l’objet d’une courte notice du grand spécialiste qu’est Michael P. Speidel (p. 673-690). Vu l’importance du sujet, nous nous serions attendu à un travail
beaucoup plus développé et nous restons en quelque sorte sur notre faim.
La gestion des villes et l’évergétisme sont traités par . Gerhardt. C’est à ce niveau qu’intervient pour le première fois la numismatique et plus précisément le pro-blème des contremarques faisant passer la grande pièce de bronze (à légende grec-que) de quatre assaria (4 as = 1 sesterce) à 5 assaria sous Philippe puis, à partir de la fin des années 250, à 6, 7, 8, 9, 11 et finale-ment 12 assaria. Mais il faut relever que la situation diffère d’une ville à une autre.
V. La société romaine
Le 2ème volume débute par une étude de la société romaine au iiième s. Le rôle décli-nant du Sénat est particulièrement remar-quable. Il fait l’objet d’une synthèse de M. Heil, qui s’appuie sur les travaux d’A. Chastagnol et ceux, plus anciens, de nos compatriotes P. Lambrechts (1937) et S.J. De Laet (1941), ou plus récents com-me le livre de M. Christol (1986). L’empe-reur retire aux sénateurs la plupart de leurs prérogatives antérieures. Dès le milieu du iiième s., nous ne trouvons plus aucun légat de légion, ni d’ailleurs de tri-bun militaire, appartenant à l’ordre séna-torial, mais certains personnages de haut rang émergent encore, tel L. Petronius Taurus Volusianus, qui après une brillante carrière dans la cavalerie, est accueilli dans le Sénat sous Gallien, avant d’atteindre le consulat ordinaire en 261 puis occuper la préfecture urbaine. Au contraire, le iiième s. est la grande époque de l’equester ordo comme le souligne M. Heil. Les chevaliers occupent de très nombreux postes, mais il convient de se souvenir de la différence quantitative entre les 600 sénateurs face aux quelques 20.000 membres de l’ordre équestre.
. Gerhard aborde ensuite la probléma-tique des couches sociales inférieures et des conflits sociaux. L’a. montre l’impor-tance des ivvenes, une mention que l’on retrouve dans la numismatique de Gal-lien, de Claude II ou de Tacite par exem-ple. Il insiste particulièrement sur l’im-portance quantitative des esclaves, qui re-
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présentent près de 6 millions d’individus, soit 10% de la population totale de l’Em-pire. Les mouvements sociaux les plus connus sont les Bagaudes, qui se dévelop-pent dans les années 285/286, mais d’au-tres rébellions sont attestées ailleurs et à d’autres moments par les sources littérai-res. Ainsi deux chapitres (F. Herklotz) concernent deux régions spécifiques, l’Isaurie et l’Égypte, qui ont connu au mi-lieu du siècle d’importants troubles.
VI. L’économie et la monnaie
La recherche moderne, depuis les travaux de Rostovtzeff, eux-mêmes influencés par l’œuvre de Gibbons, a largement discuté du caractère de la crise économique du iiième s., opposant cette période à un « Âge d’Or » qu’aurait constitué l’époque anto-nine. K. Ruffing (p. 817-820) montre l’im-portance du contexte social dans lequel les historiens modernes vont développer leur point de vue sur cette « crise ». Cet aspect historiographique de la recherche est fort intéressant : il montre que chacun en a recherché les causes en fonction de son acquis personnel. L’a., pour sa part, réduit la problématique à trois facteurs : l’inflation, la démographie, les impôts et le budget de l’État. Rappelons que sous Caracalla, le budget annuel de l’Empire avoisine 1,5 milliard de sesterces !
K. Ruffing ne croit pas trop à la crise et il nous fournit de nombreux exemples de prospérité économique au cours des an-nées 235-284. Ceux-ci sont variés ; citons parmi bien d’autres : l’exportation de l’huile d’olive d’Espagne, le développement topo-graphique des agglomérations secondai-res de Gaule septentrionale, la fondation de villes nouvelles en race et en Mésie Inférieure, l’aisance des cités du nord de l’Asie Mineure grâce au commerce à tra-vers la Mer Noire. À cette époque d’ailleurs, nous notons le développement maximum des émissions monétaires de villes de Bithynie, sous les Sévères, sous Gordien III et finalement sous Valérien/ Gallien.
La supposée crise ne touche pas non plus le commerce international. Ainsi, l’absen-ce de monnaie de cette époque en Inde
est interprétée par le fait que l’argent monnayé a toujours constitué, pour ces régions, une marchandise comme une autre. L’a. relativise finalement deux ar-guments clefs en faveur d’une crise éco-nomique généralisée au iiième s., à savoir que l’avilissement de la monnaie implique automatiquement de l’inflation, et d’autre part, que nous assistons à une régression démographique généralisée.
La monnaie fait l’objet d’un court mais fort dense chapitre de K. Ehling (p. 843-
860). L’a. distingue d’abord les émissions impériales des frappes des cités grecques, qui arrivent à leur terme sous Gallien, même si quelques émissions municipales se prolongent sous Claude II (Cyzique), Aurélien (Sidé) et même Tacite (Pergé). K. Ehling reprend brièvement les données traditionnelles relatives au fonctionnement de l’atelier monétaire de Rome quant à l’organisation des officines. Il se fonde, comme toujours, sur les mêmes inscrip-tions connues depuis bien longtemps (cil vi, 44 et 239). Mais les sources complé-mentaires sont finalement rares : sur les 18 procuratores monetae attestés entre les règnes de Trajan et de Valentinien I, seu-lement 4 sont attribuables au iiième s.
À côté de la production officielle de la ca-pitale, on relève de très nombreux ateliers répartis dans les provinces. On notera à ce sujet que l’a. situe à Cologne l’atelier ger-manique de Gallien, et non à Trèves com-me c’est actuellement la mode.
Les conditions de la création par Cara-calla, en 215, de l’antoninianus, sont dé-sormais bien connues. On retrouve dans l’ouvrage le classique diagramme mon-trant la chute du pourcentage d’argent au sein de cette monnaie surévaluée dès le départ. Mais là aussi, l’a. s’insurge contre la vision – une metallistischer Irrtum esti-me-t-il –, que la diminution du pourcen-tage d’argent fin dans la monnaie est auto-matiquement un élément forcément né-gatif, que le procédé entraîne ipso facto une hausse des prix et qu’il entretient fina-lement l’inflation. La valeur de la mon-naie, selon le droit romain (Dig., 18, 1, 1)
176 BCEN vol. 50 no 2, 2013
n’est pas fondée sur la substantia (« Stoff-wert »), sa valeur métallique, mais bien sur la quantitas (« Nennwert ») qui dérive de la forma publica, c’est-à-dire la valeur nominale garantie par l’État.
L’a. évoque ensuite le problème du mon-nayage au type du DIVO CLAVDIO / CONSECRATIO, série à laquelle les sour-ces de l’époque utilisent les termes élo-quents de vitiare et de corrodere. Au sujet de leur fabrication par des employés indé-licats de l’atelier romain, K. Ehling re-prend les termes de R. Göbl, à savoir que c’est l’œuvre d’une « véritable Maffia »...
La réforme d’Aurélien est décrite avec mi-nutie. Alors qu’une certaine unanimité émerge actuellement en faveur de l’inter-prétation de la marque XXI comme une indication de la composition métallique de la monnaie (1/20ème d’argent fin), l’a. considère qu’il s’agit en réalité du taux de reprise des anciens antoniniens : 20 mau-vaises pièces antérieures à la réforme (Gallien, Claude II, empire gaulois) con-tre un seul « antoninien réformé », ce dernier surévalué de 150%. On notera que n’apparaît nulle part le néologisme d’aurelianus pour désigner ces monnaies réformées, essentiellement utilisé par les numismates français ; Ehling préfère le terme d’aurelianische Reformantoninian. L’émission de cette nouvelle monnaie au-rait cette fois des conséquences politiques négatives car elle semble favoriser l’infla-tion. La preuve en serait le retour rapide à un taux de change diminué de moitié : la marque XI, utilisée sous Tacite et Carus dans certaines zones limitées de l’Empire, est ici interprétée comme l’indication d’un nouveau taux de change de 10 anciennes monnaies contre une nouvelle, issue de la réforme. Ces hypothèses, résumées ici en quelques lignes, sont soigneusement ar-gumentées à partir de sources anciennes. Elles méritent en tout état de cause une lecture extrêmement attentive.
VII. L’enseignement et les sciences
L’enseignement (au sens large) est étudié par K. Pietzner. Les sources antiques ne manquent pas. On apprend par exemple
la création d’une nouvelle bibliothèque située près du Panthéon, à Rome, sous Sévère Alexandre. Elle est l’œuvre de Sex-tus Iulius Africanus, un chrétien. Elle s’a-joute aux deux autres bibliothèques déjà présentes dans les thermes de Caracalla.
Les œuvres littéraires à caractère histori-ques sont un domaine particulièrement travaillé par la recherche moderne, sans doute à cause de l’indigence des sources contemporaines des faits. Les chapitres postérieurs à Sévère Alexandre de l’ou-vrage d’Hérodien, mort au milieu du siècle, sont perdus. Il se composait à l’ori-gine de huit livres, publiés sous Philippe ou Trajan Dèce. L’autre grand historien de l’époque, l’Athénien P. Herennius De-xippus, dont la chronique allait jusqu’à la mort de Claude II en 270, n’est connu que par des fragments. Cette partie consacrée aux sources historiques complète en quel-que sorte le chapitre I de l’ouvrage.
Quelques pages sont ensuite consacrées aux philosophes de l’époque, Longin et surtout Plotin, dont Gallien մեt un ardent défenseur.
VIII. Les religions
Nous n’entrerons pas dans le détail des aspects religieux, qui traitent successive-ment du paganisme, du judaïsme, du christianisme, du manichéisme et surtout du culte impérial (F. Herklotz). Cette der-nière contribution est peut-être un peu brève à notre goût : 12 p. seulement pour traiter des rites spécifiquement liés à la personne de l’empereur, aux cérémonies et anniversaires (decennalia par ex.), au culte des divi et surtout à l’assimilation progressive du Prince à Sol invictus.
IX. Crise en transformation de l’Empire au iii s.
Cette remarquable encyclopédie de l’Em-pire entre 235 et 284 s’achève par un texte synthétique (p. 1025-1053) coécrit par K.-P. Johne et U. Hartmann, résumant les informations évoquées ci-dessus, en les replaçant dans leur contexte.
BCEN vol. 50 no 2, 2013 177
L’ouvrage se clôture par des fasti du plus haut intérêt car extrêmement détaillés (empereurs, consuls, préfets urbains, pré-fets du prétoire, gouverneurs, évêques, monarques orientaux et finalement prin-ces barbares), couvrant pas moins de 142 pages, et par une bibliographie de 160 p., totalisant environ 5.300 titres !
La longueur inusitée de cette recension montre l’importance que nous attribuons à cette œuvre magistrale. Les nombreux numismates et historiens travaillant sur les prémices de l’Antiquité tardive pour-ront difficilement se passer de recourir à ce monument de l’érudition allemande.
Jean-Marc Doyen
L. TRAVAINI, Philip Grierson, Irish Bulls and Numismatics, Roma, Edizioni Quasar di Severino Tognon, 2011, 12, 120 p., 18
’est avec plaisir que nous ferons mention ici du petit ouvrage édité
par notre ancienne lauréate du Prix Quin-quennal de Numismatique, Mme Lucia Travaini. Il s’agit d’un hommage à Philip Grierson (1910-2006), spécialiste mon-dialement reconnu de la numismatique médiévale. Mais Mme Travaini, au lieu d’un traditionnel volume biographique, édite quelques textes « mineurs » du prof. Grierson dont une étonnante étude (Irish Bulls, 1938) tendant à prouver que « Every-one knows that an Irish bull possesses some rare ethereal quality denied to bulls of other nations », et s’achevant par le monumental apophtegme de Sir Boyle (+ 1807) « that it was hereditary in his family to have no children ».
Plus sérieusement, l’ouvrage est complété par une bibliographie de Philip Grierson, totalisant 277 entrées.
Jean-Marc Doyen
Larissa BARATOVA, Nikolaus SCHINDEL & Edvard RTVELADZE : Sylloge Nummo-rum Sasanidarum Usbekistan, Wien, Verlag der Österreich. Akad. der Wissenschaen (Veröff. der numismatischen Kommission, Bd. 51), 2012, a4, 199 p., 47 pl., 647 n.
our un numismate intéressé par la période sassanide, la parution d’un
nouveau volume dans la série des Sylloge Nummorum Sasanidarum est toujours un événement.
En effet, cette série avait pour but initial de combler un vide abyssal dans ce do-maine oublié de la numismatique : publier quelques grandes collections publiques (Paris, Berlin, Vienne) sous forme de Syl-loge et, par la même occasion, proposer une nouvelle définition, bien plus com-plète que celle proposée par Göbl, des dif-férents types utilisés et une identification des ateliers en activité aux différentes époques.
Les trois premiers volumes se sont donc penchés sur la publication de ces collec-tions jusqu’au règne de Kawad I (488-531
ad). Il reste encore à publier les monnaies des derniers règnes, certes bien plus nom-breuses que celles des règnes précédents mais avec moins de types monétaires et une frappe bien plus structurée et centra-lisée.
Entretemps, le projet s’est élargi, incluant d’autres collections nationales (SNS Israël et le présent volume) et une importante collection privée sera également publiée très prochainement.
Le volume Sylloge Nummorun Sasanida-rum – Usbekistan est en fait très différent des précédents. En effet, il regroupe les monnaies de type sassanide (sassanides, imitations de type sassanide et arabo-sas-sanides) se trouvant dans différentes insti-tutions d’Uzbekistan. De plus, la plupart du matériel publié provient de trouvailles locales bien répertoriées. Il ne s’agit donc pas d’une collection unique essayant de donner une image relativement complète du monnayage sassanide mais plutôt d’un groupe de monnaies illustrant assez clai-
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rement la circulation monétaire dans ce pays aux périodes sassanide et post-sassa-nide.
Un total de 647 monnaies nous est pré-senté dont seulement 383 sont sassanides (incluant déjà certaines imitations sous le règne de Wahram V et de nombreuses drachmes contremarquées localement). Le reste se compose de 3 drachmes arabo-sassanides, 4 hémidrachmes du Tabaris-tan, 50 drachmes des Bukharkudat (imi-tant le type sassanides de Wahram V), 105 drachmes des Huns hephtalites (la plupart imitant les drachmes sassanides de Peroz I) et enfin, 102 drachmes du royaume Chaganian, imitations basées sur le mon-nayage sassanide de Khusro I.
La répartition des monnaies sassanides est la suivante : Ardashir I–Ohrmazd II (224-309 ad) 19 Shapur II (309-379 ad) 17 Shapur III-Yazdgerd I (382-420 ad) 3 Wahram V (420-438 ad) 39 Yazdgerd II (438-457 ad) 3 Peroz (457-484 ad) 184 Kawad I (488-531 ad) 30 Khusro I (531-578 ad) 34 Ohrmazd IV (578-590 ad) 10 Khusro II (591-628 ad) 44
Comme déjà mentionné, le contenu de la collection est loin de nous offrir une dis-tribution du monnayage sassanide tel que nous la trouvons dans les musées occiden-taux ; certains rois sont absents et d’autres sont sur-représentés suite aux circons-tances historiques. Ce sont bien entendu les types de ces derniers empereurs que l’on retrouve dans les imitations locales.
Parmi les drachmes sassanides de Wa-hram V, certaines, qui sont attribuées à l’atelier de Marw (nos 43-45), pourraient déjà être considérées comme des imita-tions, vu leurs légendes généralement illi-sibles et courtes. Quant aux monnaies du même atelier décrites comme imitations, elles présentent des légendes longues, nor-
males pour ce règne, et la plupart du temps bien lisibles. Plusieurs drachmes de ce dernier groupe pourraient, en fait, être le prototype purement sassanide de la série (voir, par exemple, la monnaie no 71 avec un style remarquable et une calligra-phie soignée du sigle monétaire).
Une drachme de Peroz, décrite comme provenant de l’atelier de AT pourrait, à notre avis, être attribuée à l’atelier de GWM, non décrit jusqu’à présent (géné-ralement attribué erronément à l’atelier AM ou AT). La monnaie représentée ci-dessous (fig. 1) illustre un exemplaire sans ambiguïté aucune concernant la lecture de l’atelier. Une autre drachme est décrite comme étant de l’atelier de GWL, nous pensons qu’il faut probablement lire GWD comme sur l’exemplaire de la figure 2.
Fig. 1 Fig. 2
Nous nous retrouvons donc, sous le règne de Peroz avec au moins trois sigles moné-taires commençant par GW : GW (no 181), GWD (no 183) et GWM (no 109). Les trois pourraient peut-être représenter l’atelier GWDMY trouvé, écrit en entier et par-tiellement (GW), sur certaines émissions de Yazdgerd I et attribué à la ville de Qum par Rika Gyselen72
[1]. Mais rien n’est sûr à ce niveau et il est difficile d’accepter cette latitude dans l’écriture de l’abréviation d’un atelier à un moment où la frappe était très contrôlée et systématisée. Faut-il attribuer le sigle GW à la ville de Gurgan, comme par le passé, GWD à Qum et GWM à un autre atelier ? Des recherches plus poussées sont ici nécessaires mais il est néanmoins curieux de trouver dans cette
__________ [1] R. Gyselen, De quelques ateliers monétai-res sassanides. I. Un prétendu atelier de Gur-gan, Studia Iranica 12/2 (1983), p. 235-238.
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partie de l’Asie des drachmes avec les sigles GWM et GWD, relativement rares pour ce règne.
Une des grandes richesses de ce volume réside certainement dans les quelques tré-sors d’imitations de monnaies sassanides qui seront très utiles pour des recherches մեtures.
En résumé, il s’agit d’un excellent ouvrage de référence pour les numismates spécia-lisés dans la numismatique de cette région à cette époque. On peut juste regretter l’absence d’un résumé en anglais.
François Gurnet
omni, revue scientifique de numisma-tique, éditée par l’association omni
Comité Scientifique : Carlos Alajarín
Cascales, Eduardo Dargent Chamot, Georges Depeyrot, Jean-Albert Chevil-
lon, Jean-Marc Doyen, David Frances
Vaó, Ginés Gomariz Cerezo, Serge Le
Gall, Cédric Lopez, Jean-Louis Mir-
mand, María Paz García-Bellido Gar-
cia de Diego, Pere Pau Ripollès, Ra-món Rodríguez Pérez, Pablo Rueda Ro-
dríguez-Vila.
Soutenue par l’association omni (Objets et Monnaies Non Identifiés) fondée en 2005 par Cédric Lopez (docteur en scien-ces, Université de Montpellier 2) et comp-tant aujourd’hui plus de 7.000 membres, la revue scientifique omni a été créée en 2009 dans le but de satisfaire une commu-nauté souhaitant enrichir la numismati-que par des liens historiques et archéolo-giques. Ce projet est mené par un comité scientifique international qui compte au-jourd’hui 14 membres bénévoles (dont 5 professeurs d’université) représentant cha-cun sa spécialité à travers différents pays tels l’Espagne, la France, la Belgique, et le Pérou. Ainsi, dans omni, archéologues,
numismates et historiens sont au rendez-vous pour assurer une cohésion de ces domaines jusqu’alors cloisonnés.
La revue omni est semestrielle. Elle con-naît une diffusion internationale, princi-palement dans les pays francophones et hispanophones (incluant donc la majorité des pays d’Amérique du Sud). Sa diffusion au format papier et numérique permet de compter sur le soutien de plus de 12.000 lecteurs dans 97 pays. Depuis le premier numéro, plus de 60 auteurs ont contribué à ce projet.
Les thèmes couverts par omni sont très variés puisque la revue publie des travaux de numismatique à la seule condition qu’ils soient validés scientifiquement par le comité, avec une attention particulière aux travaux portant sur les périodes anti-ques et féodales, domaines dans lesquels les recherches demeurent rares et doivent être encouragées. omni met un point d’honneur aux publications de nouvelles idées, théories, ou de monnaies inédites. En fait, omni se veut être une revue in-novante dans le domaine de la numisma-tique, quelle que soit l’époque concernée.
Concernant les prochains numéros (pu-blication du no 6 en avril 2013), nous pou-vons d’ores et déjà annoncer la partici-pation de Pere Pau Ripollès (Professeur d’archéologie à l’université de Valencia en Espagne), Georges Depeyrot (Directeur de recherche au cnrs), Jean-Albert Che-
villon (chercheur indépendant), Jean-Claude Richard Ralite (directeur de recherche honoraire au cnrs), Eduardo Dargent Chamot (Professeur à l’Uni-versité de San Martín de Porres au Pé-rou), parmi tant d’autres.
Revues en PDF disponibles sur http://
www.identification-numismatique.com/h1-
revueomni
Contact : [email protected]
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Mise en ligne de la collection des billets de nécessité de la Première Guerre mon-diale du Musée de la Banque nationale de Belgique (communiqué de presse)
Le Musée de la Banque nationale de Bel-gique possède une grande collection de monnaie de nécessité datant de la Pre-mière Guerre mondiale. Ces moyens de paiement sont apparus à cause de la pénu-rie accrue de monnaie dans la cohue de la guerre 1914-18. Plusieurs conseils com-munaux, comités locaux d’aide et autres entreprises ont émis leurs propres billets et, en moindre quantité, leurs propres pièces. L’argent de nécessité constitue une
source intéressante pour les recherches sur la Première Guerre mondiale. À l’ap-proche du centième anniversaire de la Grande Guerre en 2014, le Musée a dévoilé sa collection. Sur le site nbbmuseum.be, sous la rubrique Catalogue, on peut cli-quer et parcourir cette base de données. En outre, on trouve une brève introduc-tion avec une bibliographie complémen-taire pour mettre les chercheurs et histo-riens locaux sur la voie.
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