Attualismo, pluralismo ontologico e meinonghismo
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Michele Paolini Paoletti (Università degli Studi di Macerata) – [email protected]
Rivista di Estetica, 59 (2/2015), 151-164
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Attualismo, pluralismo ontologico e meinonghismo
Il pluralismo ontologico è una teoria metaontologica recentemente esposta e difesa da Jason Turner
(v. Turner 2010, 2012) e Kris McDaniel (v. McDaniel 2009, 2010a, 2010b), per la quale vi sono
differenti modi di essere (o di esistere) e tali modi di essere (o di esistere), che sono espressi da
quantificatori esistenziali ristretti, sono più fondamentali dell’essere in generale, espresso da un
quantificatore esistenziale non-ristretto.
Il pluralismo ontologico può essere contrapposto sia al monismo ontologico, per il quale vi è un solo
modo di essere (o di esistere) – posto che in questa sede l’espressione “monismo ontologico” non
indica né il monismo delle sostanze, né il monismo della priorità difeso da Jonathan Schaffer (v., ad
esempio, Schaffer 2010) –, sia al nichilismo ontologico, per il quale non esiste propriamente nulla
né vi è alcun modo di essere (o di esistere) (nichilismo ontologico forte) (v. Turner 2011) o, anche
se esiste qualcosa, è vero che ogni cosa sarebbe potuta non esistere (nichilismo ontologico debole)
(v., ad esempio, van Inwagen 1996 e Lowe 2013).
In questo articolo, esaminerò anzitutto la received view in materia di modi di essere, che coniuga
monismo ontologico e attualismo, e valuterò alcuni problemi associati a tale teoria. In secondo
luogo, definirò le tesi caratterizzanti del pluralismo ontologico e analizzerò i vantaggi di questo
approccio. In seguito, tuttavia, introdurrò alcuni problemi che affliggono il pluralismo ontologico e,
nell’ultima parte, spiegherò sinteticamente come un approccio diverso – parzialmente ispirato al
meinonghismo – possa risolvere tali problemi.
1. Attualismo e monismo.
L’accettazione della tesi
(MO) vi è un solo modo di essere (o di esistere)
non implica per se stessa l’accettazione della tesi
(attualismo) non vi sono entità che non esistono.
Si può ritenere, allo stesso tempo, che (MO) sia vera e che, tra tutte le entità, alcune non siano
dotate dell’unico modo di essere (o di esistere), cioè che, più semplicemente, alcune entità esistano
e alcune entità non esistano. Nondimeno, la received view in materia di esistenza e modi di essere
sembra connotata dall’accettazione congiunta di (MO) e (attualismo), cioè della tesi
(MOA) vi è un solo modo di essere (o di esistere) e non vi sono entità che non hanno quel modo di
essere (o di esistere).
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Come è noto (v., ad esempio, Sainsbury 2010, Berto, 2010, 2013), una teoria fondata su
(attualismo) non è priva di difficoltà, benché la verità di questa tesi sia postulata da numerosi
filosofi analitici, da Russell 1905 fino a van Inwagen 2009, passando ovviamente per Quine 1948.
In questa sede, si tratterà di vedere se i problemi associati a (attualismo) possano essere risolti non
già negando (attualismo), ma la tesi (MOA), cioè se sia più plausibile ritenere che
(POA) vi è più di un modo di essere (o di esistere), l’essere in generale è meno fondamentale di
ciascun modo di essere e non vi sono entità che non hanno almeno un modo di essere (o di esistere).
In altri termini, occorrerà vedere se l’attualismo possa essere “curato” negando il monismo
ontologico.
Uno dei problemi associati a (attualismo) è che la sua accettazione sembra implicare gli stessi
problemi che esso intende risolvere. In altri termini, l’accettazione di (attualismo) è presentata come
la soluzione a alcuni problemi che sorgono solo e soltanto se accettiamo questa tesi. Si consideri ad
esempio il celebre paradosso della non-esistenza. Se è vero che
(1) Sherlock Holmes non esiste,
e se questo enunciato concerne Sherlock Holmes e è reso vero da qualcosa che riguarda l’entità
Sherlock Holmes, allora – argomentano gli attualisti – è anche vero che
(1b) esiste un’entità, tale che quell’entità è identica a Sherlock Holmes e quell’entità non esiste,
sicché Sherlock Holmes esiste e non esiste. Assurdo! Il problema, per l’attualista, consiste nel
presupporre la verità del seguente condizionale: se è vero (1) e (1) concerne Sherlock Holmes (e è
reso vero da qualcosa che riguarda l’entità Sherlock Holmes), allora è vero che (1b). Di
conseguenza, Sherlock Holmes è un’entità esistente, pur non esistendo. D’altro canto, però, cosa
spinge a accettare la verità di questo condizionale, se non l’accettazione di (attualismo) stesso? Il
non-attualista, dunque, potrà negare la verità di questo condizionale e della sua conclusione (1b) e,
con buona pace dell’attualista, potrà accettare che (1) sia vero e riguardi Sherlock Holmes.
Tipicamente, l’attualista, negando che (1) riguardi Sherlock Holmes e che Sherlock Holmes sia
pertanto un’entità inesistente, argomenta che (1) esprime una proposizione vera priva di termini che
si riferiscano a Sherlock Holmes (e rivelata mediante opportuna parafrasi) o che (1) esprime una
proposizione come [Sherlock Holmes non esiste]1 e che questa proposizione è resa vera da qualcosa
che non riguarda l’entità Sherlock Holmes e/o la sua inesistenza. Si può insistere sulle difficoltà
interne di ciascuna strategia attualista ma, anche in questo caso, bisognerà anzitutto riflettere
1 Utilizzo qui le parentesi quadre [ ] per distinguere le proposizioni dagli enunciati.
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sull’accettazione di (attualismo), che motiva la costruzione di tali strategie: perché dovremmo
accettare (attualismo)?
Da un lato, si può considerare (attualismo) una tesi primitivamente vera. Nondimeno, il fatto stesso
che si possano ipotizzare oggetti (almeno apparentemente) inesistenti dovrebbe spingere i
sostenitori di (attualismo) a dubitare di tale posizione: non è così evidente che (attualismo) sia vera
e occorre almeno fare i conti con alcune pratiche linguistiche che sembrano negare la sua verità,
quali, ad esempio, l’accettazione della verità di enunciati come
(3) Sherlock Holmes è un personaggio fittizio,
(4) il personaggio fittizio Sherlock Holmes è diverso da Emma Bovary e da Lord Gladstone,
che sembrano implicare, letteralmente, che Sherlock Holmes sia un’entità – definita nelle proprie
condizioni di identità – inesistente. L’attualista è obbligato a spiegare in modo non-letterale tali
pratiche. Nondimeno, se l’attualista intende motivare la sua predilezione per una spiegazione non-
letterale di tali pratiche rispetto a una letterale, egli deve almeno argomentare in favore di
(attualismo). E quali argomenti abbiamo in favore di (attualismo), se non si tratta di una tesi
primitivamente vera? Si può ritenere, con Quine 1948, che le entità presuntivamente inesistenti
(come l’uomo grasso meramente possibile sulla soglia della porta) non siano dotate di condizioni di
identità e che, pertanto, esse non siano entità. Nondimeno, questo argomento può essere rigettato
criticando, in generale, la rilevanza ontologica delle condizioni di identità (v., ad esempio, Strawson
2000), mostrando che anche alcune entità esistenti (come le foreste) non sono dotate di condizioni
di identità definite o che, comunque, si possono fornire condizioni di identità anche per alcuni tipi
di entità inesistenti (come gli oggetti fittizi) (v. Routley 1979: 411-426).
Nondimeno, i due problemi che caratterizzano (attualismo) e (MOA) e che sono qui maggiormente
rilevanti per una discussione del pluralismo ontologico sono il problema della mera disgiunzione
(PMD) e il problema dell’informatività (PI). A mio avviso, questi problemi connotano le teorie
attualiste in quanto tali. Tuttavia, ai fini di questa indagine, vedremo in primo luogo che essi
caratterizzano le teorie che accettano (MOA).
Il (PMD) può essere esposto come segue. Si consideri un’ontologia che accetta due categorie
fondamentali di entità: ad esempio, gli oggetti e le proprietà. Se vi è più di una categoria
fondamentale di entità, cosa significa “esistere” per le entità appartenenti a categorie fondamentali
diverse tra loro? Dato che si accetta (MOA), non vi sono modi di esistere diversi per oggetti e
proprietà. Vi è dunque un solo modo di esistere per oggetti e proprietà, espresso da un
quantificatore non-ristretto ∃* che ha nel proprio dominio tutte le entità (tutti gli oggetti e tutte le
proprietà). Il passo successivo consiste nell’introdurre una proprietà E*, che è istanziata da tutte le
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entità nel dominio di quel quantificatore non-ristretto ∃*: se è vero (MOA), non c’è alcuna entità
che non abbia E*. In terzo luogo, tuttavia, occorre chiedersi quale somiglianza E* esprima tra tutte
le entità: poiché, per ogni entità, quell’entità ha E* se e solo se quell’entità è un oggetto o (aut) una
proprietà, allora l’istanziazione di E* è equivalente all’istanziazione di una proprietà meramente
disgiuntiva (la proprietà di essere un oggetto o (aut)2 una proprietà) o E* è identica a quella
proprietà meramente disgiuntiva. La proprietà di essere un oggetto o (aut) una proprietà non sembra
fondare alcuna somiglianza tra entità. Pertanto, neppure E* fonda una somiglianza tra entità – anche
se i sostenitori di (MOA) potranno negare questa conclusione, come vedremo in seguito. Ad ogni
modo, una teoria dell’esistenza che attribuisca qualche somiglianza alle entità esistenti fondata sulla
loro esistenza sembra preferibile a una teoria dell’esistenza che non ammetta alcuna somiglianza tra
esse. Sicché, una teoria dell’esistenza diversa da (MOA) e capace di rendere ragione della
somiglianza tra entità esistenti fondata sulla loro esistenza è preferibile a (MOA).
I sostenitori di (MOA) possono replicare che la loro teoria non è affatto impegnata ad ammettere
che vi sia una proprietà come E*. Nondimeno, secondo (MOA), vi è un solo modo di esistere e, nel
quadro di un’ontologia comprendente due categorie fondamentali di entità (oggetti e proprietà),
quel modo di esistere è E* (benché E* possa essere considerata una proprietà non-naturale, cioè una
proprietà che non fonda una somiglianza oggettiva tra entità, che non conferisce a esse poteri
causali e che non stabilisce distinzioni fondamentali tra entità3). In alternativa, si può rispondere che
E* fonda una somiglianza tra entità, benché la sua istanziazione sia anche (ma non soltanto)
equivalente all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva. L’istanziazione di E*, ad
esempio, è equivalente all’istanziazione della proprietà di essere identico a se stesso, che fonda una
somiglianza tra entità (tutti gli oggetti sono identici a se stessi, così come lo sono tutte le proprietà).
Benché non vi siano entità non-identiche a se stesse – ché altrimenti non si tratterebbe di entità –,
nulla sembra motivare l’idea che la somiglianza fondata da E* non sia una somiglianza oggettiva.
Nondimeno, si può argomentare che, se vi è una proprietà come E*, quella proprietà non è parte
delle condizioni di verità di enunciati come
(1) Sherlock Holmes non esiste;
(2) Obama esiste.
In effetti, l’attualista può ritenere che vi sia un certa interpretazione di (1) e (2) per cui (1) e (2)
sono enunciati veri o esprimono proposizioni vere, pur non impegnandosi alla tesi per cui vi sono
2 L’utilizzo della disgiunzione forte aut è motivato dal fatto che, nel quadro che ho descritto, le categorie di oggetti e
proprietà sono categorie ontologiche fondamentali e esclusive: nessun oggetto può essere una proprietà e nessuna
proprietà può essere un oggetto. Per questo motivo, l’utilizzo della disgiunzione debole vel non avrebbe espresso
pienamente cosa significhi essere un’entità in quanto oggetto o proprietà. 3 Cfr., ad esempio, Lewis 1983.
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entità che non hanno E*. In tal caso, però, E* non è parte delle condizioni di verità di (1) e (2).
Infatti, si può ritenere che (1) e (2) (o le proposizioni da essi espresse) siano rispettivamente resi
veri dal fatto che la proprietà di essere identico a Sherlock Holmes non è istanziata e la proprietà di
essere identico a Obama è istanziata, o dal fatto che alcune proprietà (quelle di Sherlock Holmes)
non sono istanziate congiuntamente e altre proprietà (quelle di Obama) sono istanziate
congiuntamente, o dal fatto che Sherlock Holmes, pur esistendo in quanto entità fittizia, non è parte
di un qualche genere naturale (quello degli uomini, ad esempio), mentre Obama esiste e è parte di
quel genere naturale (v. van Inwagen 1977), o dal fatto che il nome proprio “Sherlock Holmes” è
privo di riferimento, mentre “Obama” ha un riferimento, etc. Ad ogni modo, l’istanziazione o la
non-istanziazione di E* non fonda la verità di (2) e (1). Se, accettando (MOA), vi è un solo modo di
esistere e quel modo di esistere è E*, allora è vero che (1) e (2) non in virtù di E*, ma in virtù di
qualcos’altro. Nondimeno, sembra che sia vero che (1) e (2) in virtù di qualcosa che riguarda
l’esistenza di Obama e la non-esistenza di Sherlock Holmes. In caso contrario, occorrerebbe
ritenere che (1) (o comunque la proposizione espressa da (1)) sia semplicemente falso – poiché ogni
entità esiste – o, almeno, che il predicato grammaticale “esiste” sia equivoco: da un lato, esso si
riferirebbe a E*, dall’altro si riferirebbe a un’altra proprietà (ad es., la proprietà di essere istanziata,
che sarebbe istanziata dalla proprietà di essere identico a Obama). Vi sono buone ragioni per
ammettere questa ipotesi, esclusa la (presunta) verità di (attualismo)?
Accettando (MOA), comunque, E* non renderebbe ragione dell’informatività di (1) e (2), cioè del
fatto che (1) e (2) sembrano fornirci nuove informazioni sul mondo, e in ciò consiste il problema
dell’informatività (PI).
2. Il pluralismo ontologico…
In senso lato, un pluralista ontologico ammette che vi sono più quantificatori ristretti che spaziano
su domini differenti di entità e che non vi è un quantificatore non-ristretto (cioè un quantificatore
che spazia sul dominio di tutte le entità) o che, se vi è un quantificatore non-ristretto, quel
quantificatore esprime qualcosa di meno fondamentale di ciò che è espresso dai quantificatori
ristretti. La minore fondamentalità del quantificatore non-ristretto accettato dai sostenitori di
(MOA) può essere intesa affermando, appunto, che l’istanziazione di E* è equivalente soltanto
all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva o E* è identica a una proprietà meramente
disgiuntiva e che ogni proprietà meramente disgiuntiva (o ogni proprietà la cui istanziazione è
equivalente soltanto all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva) è meno fondamentale
di una proprietà non-meramente disgiuntiva (o di ogni proprietà la cui istanziazione non è
equivalente soltanto all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva).
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In tal senso, alcuni pluralisti ontologici affermano che i quantificatori ristretti spaziano su domini di
entità relativi a particolari regioni spazio-temporali (tipicamente, quando affermo che non c’è birra,
non affermo che non c’è birra nel mondo, ma soltanto che non c’è birra in qualche regione del
mondo, ad esempio nel mio frigo) (cfr. Lewis 1986) o relativi a un particolare mondo possibile, ad
esempio il mondo attuale (è vero che non ci sono unicorni se e solo se è vero che, nel mondo
attuale, non ci sono unicorni, non che in nessun mondo possibile ci sono unicorni) o, ancora,
relativi ai particolari schemi concettuali o linguistici di coloro che si esprimono utilizzando quei
quantificatori (cfr., ad esempio, Hirsch 2011)4.
In senso stretto, tuttavia, i pluralisti ontologici che ammettono che ci sono diversi modi di esistere
(come appunto Turner e McDaniel) ritengono che ogni quantificatore ristretto spazi solo e soltanto
su entità caratterizzate da un certo modo di esistere. Ad esempio, si può pensare che vi siano due
quantificatori ∃O e ∃P e che ∃O spazi soltanto sulle entità caratterizzate dal modo di esistere tipico
degli oggetti (esistere in quanto oggetto), mentre ∃P spazi soltanto sulle entità caratterizzate dal
modo di esistere tipico delle proprietà (esistere in quanto proprietà). In aggiunta, il quantificatore
non-ristretto che esprime l’essere in generale (∃*) sarebbe meno fondamentale di ∃O e ∃P, in quanto
non esprimerebbe altro che esistere in quanto oggetto o (aut) esistere in quanto proprietà e il suo
dominio non sarebbe altro che l’unione dei domini di ∃O e ∃P (posto che vi siano soltanto due
quantificatori ristretti): poiché le entità di uno dei due domini non hanno alcuna somiglianza con le
entità dell’altro dominio quanto al loro modo di esistere, ∃* sarebbe meno fondamentale di ∃O e ∃P.
È pur vero che McDaniel 2010b difende la possibilità che “essere” si predichi in modo analogo (e
non semplicemente equivoco) di entità caratterizzate da diversi modi di esistere (ad esempio, delle
entità esistenti temporalmente e di quelle che non esistono temporalmente), ma resta da dimostrare
la validità di questa tesi per tutti i modi di esistere.
I pluralisti ontologici di quest’ultimo gruppo possono risolvere piuttosto agevolmente, almeno da un
certo punto di vista, il problema della mera disgiunzione (PMD) e il problema dell’informatività
(PI). In effetti, essi possono sostenere che ciò che caratterizza gli esistenti di un certo tipo non è
semplicemente una proprietà meramente disgiuntiva, ma qualcosa che fonda una somiglianza tra
tutti e soltanto gli esistenti di quel tipo: l’esistere in quanto oggetti è diverso dall’esistere in quanto
proprietà e tutti gli oggetti, esistendo come oggetti (e non come proprietà), si somigliano in virtù del
loro modo di esistere.
Il problema dell’informatività (PI) può essere risolto introducendo un raffinato apparato di modi di
esistere e sostenendo che, nel dominio di un qualche quantificatore ristretto (ad esempio, ∃OC, che
spazia soltanto sugli oggetti concreti), non c’è un’entità identica a Sherlock Holmes:
4 Per un’analisi dettagliata delle forme di pluralismo ontologico (in senso lato), cfr. Eklund 2006.
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(1OP) ~∃OCx(x = Sherlock Holmes)
Se il pluralista ontologico accetta (attualismo), inoltre, egli potrà asserire che, nel dominio di un
altro quantificatore ristretto (ad esempio, ∃OA, che spazia soltanto sugli oggetti astratti), c’è
un’entità identica a Sherlock Holmes. Pertanto, se il pluralista ontologico sostiene che
(POA) vi è più di un modo di essere (o di esistere), l’essere in generale è meno fondamentale di
ciascun modo di essere e non vi sono entità che non hanno almeno un modo di essere (o di esistere),
l’interpretazione più appropriata delle condizioni di verità di (1) sarà:
(1OPA) ~∃OCx(x = Sherlock Holmes) & ∃OAx(x = Sherlock Holmes)
Si potrà tradurre certamente qualsiasi soluzione attualista al problema delle condizioni di verità di
(1) nei termini del pluralismo ontologico. Si potrà parlare, ad esempio, del modo di esistere delle
proprietà istanziate, diverso dal modo di esistere delle proprietà non-istanziate, o del modo di
esistere degli oggetti appartenenti a qualche genere naturale, diverso dal modo di esistere degli
oggetti non appartenenti ad alcun genere naturale, etc.
3. … e i suoi problemi.
Il pluralista ontologico è, in genere, un attualista: egli non ritiene che vi siano entità che non
esistono, in un modo o nell’altro. A proprio vantaggio, egli può asserire che il pluralismo
ontologico consente di risolvere il problema della mera disgiunzione (PMD). Tuttavia, come
abbiamo già notato, il monista ontologico attualista può rispondere che, dal suo punto di vista, ciò
che è espresso dal quantificatore non-ristretto è proprio il fatto che tutte le entità su cui spazia quel
quantificatore sono dotate di condizioni di identità, sicché il problema della mera disgiunzione
(PMD) può essere risolto senza accettare il pluralismo ontologico. Occorre capire, tuttavia, come
questo possa contribuire a una buona teoria dell’esistenza: esistere significa semplicemente essere
dotati di condizioni di identità? Come può accadere, allora, che enunciati come (1) non siano resi
veri esclusivamente dall’essere sprovvisto di condizioni di identità da parte di Sherlock Holmes –
come ammettono molti quineani, van Inwagen in primis? D’altronde, se essi sono resi veri dalla
mancanza di condizioni di identità per Sherlock Holmes, cosa fonda la verità di enunciati come (4)?
Da un lato, dunque, il monista ontologico attualista può ribattere che l’esistenza in generale non è
una proprietà meramente disgiuntiva. Dall’altro, il pluralista ontologico attualista – supportato dai
teorici non-attualisti – può replicare a propria volta che l’esistenza in generale – intesa, ad esempio,
come l’essere dotati di condizioni di identità – ha poco a che fare con l’esistenza di Obama e con la
non-esistenza di Sherlock Holmes, così come è espressa da (1) e (2). Stallo.
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In secondo luogo, il pluralista ontologico attualista utilizza una strategia fondata sullo “scambio” di
modi di essere per rendere ragione degli esistenziali negativi (ad es., Sherlock Holmes non ha il
modo di esistere degli oggetti concreti, ma ha quello degli oggetti astratti). La stessa strategia, però,
può essere espressa nel linguaggio del monista ontologico attualista, senza utilizzare quantificatori
ristretti né i corrispettivi modi di esistere (Sherlock Holmes non è un oggetto concreto, ma è un
oggetto astratto). Più in generale, ogni particolare soluzione al problema dei fattori di verità per gli
esistenziali negativi deve essere difesa indipendentemente dal fatto che sia espressa nel linguaggio
del monista ontologico attualista o in quello del pluralista ontologico attualista. Qual è il vantaggio
dei sostenitori di (POA)?
In aggiunta, ritengo che il pluralismo ontologico attualista sia afflitto da alcuni problemi più
specifici: il problema della ridondanza (PR), il problema determinato-determinabile (PDD), il
problema dell’overlap (PO), quello dell’economia (PE), il problema della restrizione (PRZ) e, da
ultimo, quello della quantificazione sui modi di essere (PQM).
Il problema della ridondanza (PR) è strettamente connesso alle osservazioni riportate
precedentemente. Se il linguaggio del monista ontologico attualista è sufficiente a esprimere cosa
significa esistere in quanto oggetto o esistere in quanto proprietà (affermando, ad esempio, che ogni
proprietà dipende per la propria esistenza dalla sua istanziazione da parte di qualche oggetto) e se
tale linguaggio può esprimersi a tal scopo senza ricorrere ai modi di esistere (affermando
semplicemente, ad esempio, che ogni proprietà dipende per la propria esistenza da qualche oggetto
che la istanzia), a cosa serve introdurre i modi di esistere? Quale nuova informazione sul mondo
può essere introdotta parlando del modo di esistere in quanto proprietà, che non possa già essere
introdotta senza parlare di quel modo di esistere?
In secondo luogo, sembra che alcuni modi di esistere possano situarsi tra loro in un rapporto
determinato-determinabile. Ad esempio, esistere in quanto oggetto astratto e esistere in quanto
oggetto concreto, se vi sono solo oggetti astratti e concreti, sono determinati del determinabile
esistere in quanto oggetto. In tal caso, vi sono tre modi di esistere o soltanto due (PDD)? McDaniel
2010b risponde che i modi di esistere stanno tra loro in rapporti di analogia, e non di determinato-
determinabile. Resta da dimostrare, tuttavia, che ciò valga per tutti i modi di esistere.
In terzo luogo, nella formulazione di McDaniel, alcune entità sembrano avere più di un modo di
esistere. In altri termini, i domini di differenti quantificatori ristretti sembrano sovrapporsi – sia pure
parzialmente. Ad esempio, le sostanze godono di un modo di esistere “assoluto”, mentre gli attributi
godono di un modo di esistere inerente a sostanze. In aggiunta, vi sono sostanze che godono del
modo di esistere temporale e sostanze che godono del modo di esistere non-temporale. Ora, ogni
sostanza può dunque godere di due modi di esistere (assoluto e temporale o assoluto e non-
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temporale) oppure può godere di un solo modo di esistere (assoluto-temporale o assoluto-non-
temporale)? Più in generale, come si può stabilire quali domini dei quantificatori ristretti si
sovrappongono – sia pure parzialmente – e quali non si sovrappongono?
Il problema dell’overlap è parte di un problema più vasto: quello dell’individuazione dei modi di
esistere e dell’economia nella loro individuazione (PE). Quali caratteristiche di un’entità sono
sufficienti a implicare la sua appartenenza a un certo modo di esistere e quali, invece, non implicano
tale appartenenza? Consideriamo l’esistenza temporale. Perché è necessario asserire che alcune
entità esistono temporalmente e altre esistono atemporalmente, sicché vi sono due modi di esistere
distinti tra loro? Non si potrebbe affermare, al contrario, che, tra tutte le entità che esistono, alcune
sono collocate in certi istanti temporali (e non in altri) e altre non sono collocate in alcun istante
temporale o sono collocate in tutti gli istanti temporali? Perché dovremmo rigettare quest’ultima
interpretazione deflazionista rispetto ai modi di esistere e asserire che la differenza tra i due tipi di
identità è una differenza nella loro esistenza?
I problemi rimanenti possono essere sinteticamente esposti a partire da un esempio. Immaginiamo
un pluralista O.P.1 che ritiene che vi siano soltanto due modi di esistere, rispettivamente E1 e E2. Se
O.P.1 non è un superpluralista ontologico (cioè un sostenitore della tesi per cui vi sono diversi
modi, egualmente legittimi, di essere un pluralista ontologico – v. Caplan 2011), egli vorrà asserire
che è vero che
(5) E1 e E2 sono i soli modi di esistere.
Per far questo, egli sarà anzitutto costretto a quantificare su modi di esistere (contra McDaniel, che
ritiene che i modi di esistere non siano entità) e a introdurre un modo di esistere dei modi di
esistere. Vi è un solo modo di esistere dei modi di esistere o più di uno – dato che alcuni modi di
esistere sembrano somigliarsi – problema della quantificazione sui modi di essere (PQM)? E il
modo di esistere dei modi di esistere ha a propria volta un modo di esistere differente da se stesso?
Non lo sappiamo. Del resto, sembra necessario quantificare su modi di esistere, dal momento che la
tesi (POA) asserisce proprio che vi è più di un modo di esistere, etc.
Seguendo Turner 2010, O.P.1 può esprimere logicamente la propria tesi come segue:
(5a) ∀1x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x)) & ∀2x((∃1y(y = x) V ∃2y(y = x))
(laddove ∀1, ∀2 e i corrispondenti quantificatori esistenziali spaziano solo e soltanto,
rispettivamente, sulle entità che hanno E1 e sulle entità che hanno E2). Sfortunatamente, un altro
pluralista ontologico O.P.2 può ritenere che vi sia anche un terzo modo di esistere E3 e che sia vero
che
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(6) E1 e E2 e E3 sono i soli modi di esistere,
espresso logicamente da:
(6a) ∀1x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x) V ∃3y(y = x)) & ∀2x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x) V ∃3y(y = x)) &
∀3x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x) V ∃3y(y = x))
(5a) non implica da sé la falsità di (6a). O.P.1, dunque, dovrà dire qualcosa in più per asserire nel
proprio linguaggio che è falso che (6a): dal suo punto di vista, infatti, vi sono solo E1 e E2. Affinché
uno dei congiunti di (6a) risulti falso (l’ultimo), occorre almeno affermare che non c’è alcuna entità
su cui spazia il quantificatore associato a E3 o che ci sono entità (quelle su cui spazia E3), che non
hanno alcun modo di esistere, poiché non vi è alcun modo di esistere come E3. Nel primo caso,
tuttavia, il linguaggio utilizzato da O.P.2 (contenente il quantificatore associato a E3) risulterà più
espressivo del linguaggio utilizzato da O.P.1 e risulterà più espressivo proprio per rendere in forma
logica la tesi di O.P.1. Nel secondo caso, invece, O.P.1 dovrà accettare una contraddizione o
utilizzare un quantificatore sospettosamente meinonghiano, negando la tesi (OPA), per la quale non
ci sono entità che non hanno alcun modo di esistere. Si noti che O.P.1 non potrà esprimere la
propria tesi ricorrendo al quantificatore non-ristretto: in tal caso, infatti, il quantificatore non-
ristretto dovrebbe essere utilizzato per esprimere qualcosa di metafisicamente fondamentale, contra
il pluralismo ontologico. Questo è il primo aspetto del problema della restrizione (PRZ).
O.P.1 – che immaginiamo essere un fervente attualista – potrà concedere di dover utilizzare il
quantificatore ristretto associato a E3 e definire la propria tesi congiungendo (5a) e
(non-6a) ∀3x(E1x V E2x)
La tesi (5), allora, dovrà essere resa logicamente da
(5b) ∀1x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x)) & ∀2x((∃1y(y = x) V ∃2y(y = x)) & ∀3x(E1x V E2x)
O.P.1, tuttavia, potrà incontrare un terzo pluralista ontologico O.P.3 per il quale è falso che (6) e è
falso che (5). Secondo O.P.3, infatti, vi sono solo tre modi di esistere, ma essi sono E1, E2 e E4. Per
difendere la propria tesi, allora, O.P.1 dovrà introdurre un ulteriore congiunto, asserendo che, per
ogni entità su cui spazia il quantificatore associato a E4, quell’entità ha in realtà il modo di esistere
E1 o (aut) il modo di esistere E2. Dato che non vi è un criterio per stabilire di quanti modi di esistere
si possa parlare, il discorso potrebbe proseguire all’infinito e O.P.1 non sarebbe mai in grado di
esprimere adeguatamente la propria tesi. Questo è il secondo aspetto del problema della restrizione
(PRZ).
4. Un pizzico di Meinong.
Michele Paolini Paoletti (Università degli Studi di Macerata) – [email protected]
Rivista di Estetica, 59 (2/2015), 151-164
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In queste osservazioni conclusive, desidero anzitutto evidenziare brevemente i vantaggi di un
approccio che nega la verità di
(attualismo) non vi sono entità che non esistono.
La negazione di (attualismo) è tipicamente associata a filosofie di ispirazione meinonghiana o neo-
meinonghiana, anche se non è certamente necessario accettare tutte le tesi di Meinong o dei neo-
meinonghiani per negare la verità di (attualismo). In primo luogo, si potrà ritenere che il
quantificatore non-ristretto esprima una somiglianza oggettiva tra entità – ad esempio, il fatto che
ogni entità è dotata di condizioni di identità –, ma che tale somiglianza non implichi alcunché
rispetto all’esistenza o al modo di esistere di quelle entità. Non vi è, in sintesi, un’esistenza in
generale, identica a una proprietà meramente disgiuntiva o la cui istanziazione è equivalente
soltanto all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva. D’altro canto, ciò che è espresso
dal quantificatore non è una proprietà meramente disgiuntiva o non è una proprietà la cui
istanziazione è equivalente soltanto all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva. Il
problema della mera disgiunzione (PMD), dunque, può essere risolto affermando semplicemente
che: ciò che è espresso dal quantificatore non-ristretto non è una mera disgiunzione, né, se si tratta
di una proprietà, la sua istanziazione è equivalente soltanto all’istanziazione di una proprietà
meramente disgiuntiva. Tuttavia, ciò che è espresso dal quantificatore non-ristretto non è l’esistenza
delle entità su cui spazia quel quantificatore.
In aggiunta, in questo approccio meinonghiano (o semi-meinonghiano), il problema
dell’informatività (PI) può essere risolto aggiungendo che, tra tutte le entità, alcune, ma non tutte le
entità istanziano la proprietà di esistere. Nei confronti del problema della mera disgiunzione (PMD)
e del problema dell’informatività (PI), dunque, l’approccio meinonghiano (o semi-meinonghiano)
sembra preferibile rispetto all’approccio attualista. Questa è la prima conclusione che mi sembra di
poter trarre dalla nostra discussione.
Occorre notare, poi, che l’approccio meinonghiano (o semi-meinonghiano) può essere declinato sia
per rendere ragione del monismo ontologico, che per rendere ragione del pluralismo ontologico: si
può pensare, infatti, che vi sia un solo modo di esistere (una sola proprietà di esistere) che
caratterizza alcune, ma non tutte le entità, o che vi siano più modi di esistere (differenti proprietà di
esistere) che caratterizzano differenti tipi di entità. In ogni caso, non è necessario affermare che
tutte le entità godono di un qualche modo di esistere.
Il pluralista ontologico meinonghiano, poi, potrà affermare che i vari modi di esistere sono più
fondamentali di ciò che è espresso dal quantificatore non-ristretto, almeno sotto certi rispetti (ad
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esempio, per rendere ragione dell’esistenza di un’entità, del fatto che un’entità possa istanziare o
meno proprietà existence-entailing, etc.).
Consideriamo ora il problema della quantificazione sui modi di esistere (PQM). Non sarà necessario
ritenere che i modi di esistere godano di un qualche modo di esistere solo per il fatto che
quantifichiamo su essi. Il quantificatore non-ristretto, infatti, potrà spaziare sui modi di esistere,
senza implicare alcunché sulla loro esistenza o sul loro modo di esistere. Il problema della
restrizione (PRZ) potrà essere risolto a sua volta utilizzando il quantificatore non-ristretto e
quantificando sui modi di esistere: il nostro O.P.1, quando sposerà il pluralismo ontologico
meinonghiano, potrà semplicemente ritenere che, per ogni entità su cui spazia il quantificatore non-
ristretto, se quell’entità è un modo di esistere, allora essa è identica a E1 o (aut) è identica a E2.
O.P.2 potrà negare questa tesi, affermando che, per ogni entità su cui spazia il quantificatore non-
ristretto, se quell’entità è un modo di esistere, allora essa è identica a E1 o (aut) è identica a E2 o
(aut) è identica a E3. O.P.3 potrà compiere una mossa simile per esprimere la propria tesi. D’altro
canto, il pluralista ontologico attualista non può utilizzare il quantificatore non-ristretto in questo
senso: la sua esistenza in generale, espressa da quel quantificatore, non può essere invocata per
esprimere qualcosa di fondamentale, come il fatto che vi siano soltanto due modi di esistere, pena la
negazione del pluralismo ontologico.
La seconda conclusione di questo articolo, dunque, è che un pluralismo ontologico meinonghiano è
preferibile a un pluralismo ontologico attualista, giacché il primo può far fronte al problema della
quantificazione sui modi di esistere (PQM) e al problema della mera restrizione (PRZ), a differenza
del secondo.
Restano da indagare gli altri problemi: quello della ridondanza (PR), quello del determinato-
determinabile (PDD), quello dell’overlap (PO) e il problema dell’economia (PE). Questi problemi
sorgono dalla difficoltà di individuare i modi di essere e di stabilire le loro relazioni. Il pluralista
ontologico meinonghiano non sembra avere alcun vantaggio sul collega attualista. Certamente, egli
può asserire che, dal suo punto di vista, non vi è alcun bisogno di “fare economia” su ciò che ha
condizioni di identità, mentre vi è il bisogno di “fare economia” su ciò che esiste. Poiché i modi di
esistere non hanno alcun modo di esistere, si potrà abbondare – almeno in qualche misura – nel
definire il loro numero. Non credo, tuttavia, che questa soluzione possa costituire una risposta
adeguata ai problemi menzionati: numerosi modi di esistere possono essere individuati, ma non è
affatto chiaro il “lavoro” ontologico che essi sono chiamati a svolgere in aggiunta a quello già
svolto da entità che non sono modi di esistere.
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La terza conclusione di questo articolo, dunque, è che il pluralismo ontologico meinonghiano deve
fronteggiare alcuni problemi che connotano il pluralismo ontologico in quanto tale e che il monismo
ontologico meinonghiano non presenta.
In sintesi, ritengo che il pluralismo ontologico meinonghiano sia più plausibile del pluralismo
ontologico attualista – anche se occorre concedere che il quantificatore non-ristretto esprime una
comunanza tra entità, sia pure non connessa alla loro esistenza. Nondimeno, il monismo ontologico
meinonghiano mi sembra preferibile rispetto al pluralismo ontologico meinonghiano, in virtù di
alcuni problemi che connotano il pluralismo ontologico in quanto tale. Infine, richiamando il
problema della mera disgiunzione (PMD) e il problema dell’informatività (PI), credo che il
monismo ontologico meinonghiano presenti maggiori vantaggi del monismo ontologico attualista.
Delle quattro posizioni esaminate in questo articolo, pertanto, e rispetto ai problemi qui indagati, il
monismo ontologico meinonghiano è presumibilmente la posizione migliore.
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