Attualismo, pluralismo ontologico e meinonghismo

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Michele Paolini Paoletti (Università degli Studi di Macerata) [email protected] Rivista di Estetica, 59 (2/2015), 151-164 1 Attualismo, pluralismo ontologico e meinonghismo Il pluralismo ontologico è una teoria metaontologica recentemente esposta e difesa da Jason Turner (v. Turner 2010, 2012) e Kris McDaniel (v. McDaniel 2009, 2010a, 2010b), per la quale vi sono differenti modi di essere (o di esistere) e tali modi di essere (o di esistere), che sono espressi da quantificatori esistenziali ristretti, sono più fondamentali dell’essere in generale, espresso da un quantificatore esistenziale non-ristretto. Il pluralismo ontologico può essere contrapposto sia al monismo ontologico, per il quale vi è un solo modo di essere (o di esistere) posto che in questa sede l’espressione “monismo ontologico” non indica né il monismo delle sostanze, né il monismo della priorità difeso da Jonathan Schaffer (v., ad esempio, Schaffer 2010) , sia al nichilismo ontologico, per il quale non esiste propriamente nulla né vi è alcun modo di essere (o di esistere) (nichilismo ontologico forte) (v. Turner 2011) o, anche se esiste qualcosa, è vero che ogni cosa sarebbe potuta non esistere (nichilismo ontologico debole) (v., ad esempio, van Inwagen 1996 e Lowe 2013). In questo articolo, esaminerò anzitutto la received view in materia di modi di essere, che coniuga monismo ontologico e attualismo, e valuterò alcuni problemi associati a tale teoria. In secondo luogo, definirò le tesi caratterizzanti del pluralismo ontologico e analizzerò i vantaggi di questo approccio. In seguito, tuttavia, introdurrò alcuni problemi che affliggono il pluralismo ontologico e, nell’ultima parte, spiegherò sinteticamente come un approccio diverso – parzialmente ispirato al meinonghismo possa risolvere tali problemi. 1. Attualismo e monismo. L’accettazione della tesi (MO) vi è un solo modo di essere (o di esistere) non implica per se stessa l’accettazione della tesi (attualismo) non vi sono entità che non esistono. Si può ritenere, allo stesso tempo, che (MO) sia vera e che, tra tutte le entità, alcune non siano dotate dell’unico modo di essere (o di esistere), cioè che, più semplicemente, alcune entità esistano e alcune entità non esistano. Nondimeno, la received view in materia di esistenza e modi di essere sembra connotata dall’accettazione congiunta di (MO) e (attualismo), cioè della tesi (MOA) vi è un solo modo di essere (o di esistere) e non vi sono entità che non hanno quel modo di essere (o di esistere).

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Rivista di Estetica, 59 (2/2015), 151-164

1

Attualismo, pluralismo ontologico e meinonghismo

Il pluralismo ontologico è una teoria metaontologica recentemente esposta e difesa da Jason Turner

(v. Turner 2010, 2012) e Kris McDaniel (v. McDaniel 2009, 2010a, 2010b), per la quale vi sono

differenti modi di essere (o di esistere) e tali modi di essere (o di esistere), che sono espressi da

quantificatori esistenziali ristretti, sono più fondamentali dell’essere in generale, espresso da un

quantificatore esistenziale non-ristretto.

Il pluralismo ontologico può essere contrapposto sia al monismo ontologico, per il quale vi è un solo

modo di essere (o di esistere) – posto che in questa sede l’espressione “monismo ontologico” non

indica né il monismo delle sostanze, né il monismo della priorità difeso da Jonathan Schaffer (v., ad

esempio, Schaffer 2010) –, sia al nichilismo ontologico, per il quale non esiste propriamente nulla

né vi è alcun modo di essere (o di esistere) (nichilismo ontologico forte) (v. Turner 2011) o, anche

se esiste qualcosa, è vero che ogni cosa sarebbe potuta non esistere (nichilismo ontologico debole)

(v., ad esempio, van Inwagen 1996 e Lowe 2013).

In questo articolo, esaminerò anzitutto la received view in materia di modi di essere, che coniuga

monismo ontologico e attualismo, e valuterò alcuni problemi associati a tale teoria. In secondo

luogo, definirò le tesi caratterizzanti del pluralismo ontologico e analizzerò i vantaggi di questo

approccio. In seguito, tuttavia, introdurrò alcuni problemi che affliggono il pluralismo ontologico e,

nell’ultima parte, spiegherò sinteticamente come un approccio diverso – parzialmente ispirato al

meinonghismo – possa risolvere tali problemi.

1. Attualismo e monismo.

L’accettazione della tesi

(MO) vi è un solo modo di essere (o di esistere)

non implica per se stessa l’accettazione della tesi

(attualismo) non vi sono entità che non esistono.

Si può ritenere, allo stesso tempo, che (MO) sia vera e che, tra tutte le entità, alcune non siano

dotate dell’unico modo di essere (o di esistere), cioè che, più semplicemente, alcune entità esistano

e alcune entità non esistano. Nondimeno, la received view in materia di esistenza e modi di essere

sembra connotata dall’accettazione congiunta di (MO) e (attualismo), cioè della tesi

(MOA) vi è un solo modo di essere (o di esistere) e non vi sono entità che non hanno quel modo di

essere (o di esistere).

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Come è noto (v., ad esempio, Sainsbury 2010, Berto, 2010, 2013), una teoria fondata su

(attualismo) non è priva di difficoltà, benché la verità di questa tesi sia postulata da numerosi

filosofi analitici, da Russell 1905 fino a van Inwagen 2009, passando ovviamente per Quine 1948.

In questa sede, si tratterà di vedere se i problemi associati a (attualismo) possano essere risolti non

già negando (attualismo), ma la tesi (MOA), cioè se sia più plausibile ritenere che

(POA) vi è più di un modo di essere (o di esistere), l’essere in generale è meno fondamentale di

ciascun modo di essere e non vi sono entità che non hanno almeno un modo di essere (o di esistere).

In altri termini, occorrerà vedere se l’attualismo possa essere “curato” negando il monismo

ontologico.

Uno dei problemi associati a (attualismo) è che la sua accettazione sembra implicare gli stessi

problemi che esso intende risolvere. In altri termini, l’accettazione di (attualismo) è presentata come

la soluzione a alcuni problemi che sorgono solo e soltanto se accettiamo questa tesi. Si consideri ad

esempio il celebre paradosso della non-esistenza. Se è vero che

(1) Sherlock Holmes non esiste,

e se questo enunciato concerne Sherlock Holmes e è reso vero da qualcosa che riguarda l’entità

Sherlock Holmes, allora – argomentano gli attualisti – è anche vero che

(1b) esiste un’entità, tale che quell’entità è identica a Sherlock Holmes e quell’entità non esiste,

sicché Sherlock Holmes esiste e non esiste. Assurdo! Il problema, per l’attualista, consiste nel

presupporre la verità del seguente condizionale: se è vero (1) e (1) concerne Sherlock Holmes (e è

reso vero da qualcosa che riguarda l’entità Sherlock Holmes), allora è vero che (1b). Di

conseguenza, Sherlock Holmes è un’entità esistente, pur non esistendo. D’altro canto, però, cosa

spinge a accettare la verità di questo condizionale, se non l’accettazione di (attualismo) stesso? Il

non-attualista, dunque, potrà negare la verità di questo condizionale e della sua conclusione (1b) e,

con buona pace dell’attualista, potrà accettare che (1) sia vero e riguardi Sherlock Holmes.

Tipicamente, l’attualista, negando che (1) riguardi Sherlock Holmes e che Sherlock Holmes sia

pertanto un’entità inesistente, argomenta che (1) esprime una proposizione vera priva di termini che

si riferiscano a Sherlock Holmes (e rivelata mediante opportuna parafrasi) o che (1) esprime una

proposizione come [Sherlock Holmes non esiste]1 e che questa proposizione è resa vera da qualcosa

che non riguarda l’entità Sherlock Holmes e/o la sua inesistenza. Si può insistere sulle difficoltà

interne di ciascuna strategia attualista ma, anche in questo caso, bisognerà anzitutto riflettere

1 Utilizzo qui le parentesi quadre [ ] per distinguere le proposizioni dagli enunciati.

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sull’accettazione di (attualismo), che motiva la costruzione di tali strategie: perché dovremmo

accettare (attualismo)?

Da un lato, si può considerare (attualismo) una tesi primitivamente vera. Nondimeno, il fatto stesso

che si possano ipotizzare oggetti (almeno apparentemente) inesistenti dovrebbe spingere i

sostenitori di (attualismo) a dubitare di tale posizione: non è così evidente che (attualismo) sia vera

e occorre almeno fare i conti con alcune pratiche linguistiche che sembrano negare la sua verità,

quali, ad esempio, l’accettazione della verità di enunciati come

(3) Sherlock Holmes è un personaggio fittizio,

(4) il personaggio fittizio Sherlock Holmes è diverso da Emma Bovary e da Lord Gladstone,

che sembrano implicare, letteralmente, che Sherlock Holmes sia un’entità – definita nelle proprie

condizioni di identità – inesistente. L’attualista è obbligato a spiegare in modo non-letterale tali

pratiche. Nondimeno, se l’attualista intende motivare la sua predilezione per una spiegazione non-

letterale di tali pratiche rispetto a una letterale, egli deve almeno argomentare in favore di

(attualismo). E quali argomenti abbiamo in favore di (attualismo), se non si tratta di una tesi

primitivamente vera? Si può ritenere, con Quine 1948, che le entità presuntivamente inesistenti

(come l’uomo grasso meramente possibile sulla soglia della porta) non siano dotate di condizioni di

identità e che, pertanto, esse non siano entità. Nondimeno, questo argomento può essere rigettato

criticando, in generale, la rilevanza ontologica delle condizioni di identità (v., ad esempio, Strawson

2000), mostrando che anche alcune entità esistenti (come le foreste) non sono dotate di condizioni

di identità definite o che, comunque, si possono fornire condizioni di identità anche per alcuni tipi

di entità inesistenti (come gli oggetti fittizi) (v. Routley 1979: 411-426).

Nondimeno, i due problemi che caratterizzano (attualismo) e (MOA) e che sono qui maggiormente

rilevanti per una discussione del pluralismo ontologico sono il problema della mera disgiunzione

(PMD) e il problema dell’informatività (PI). A mio avviso, questi problemi connotano le teorie

attualiste in quanto tali. Tuttavia, ai fini di questa indagine, vedremo in primo luogo che essi

caratterizzano le teorie che accettano (MOA).

Il (PMD) può essere esposto come segue. Si consideri un’ontologia che accetta due categorie

fondamentali di entità: ad esempio, gli oggetti e le proprietà. Se vi è più di una categoria

fondamentale di entità, cosa significa “esistere” per le entità appartenenti a categorie fondamentali

diverse tra loro? Dato che si accetta (MOA), non vi sono modi di esistere diversi per oggetti e

proprietà. Vi è dunque un solo modo di esistere per oggetti e proprietà, espresso da un

quantificatore non-ristretto ∃* che ha nel proprio dominio tutte le entità (tutti gli oggetti e tutte le

proprietà). Il passo successivo consiste nell’introdurre una proprietà E*, che è istanziata da tutte le

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entità nel dominio di quel quantificatore non-ristretto ∃*: se è vero (MOA), non c’è alcuna entità

che non abbia E*. In terzo luogo, tuttavia, occorre chiedersi quale somiglianza E* esprima tra tutte

le entità: poiché, per ogni entità, quell’entità ha E* se e solo se quell’entità è un oggetto o (aut) una

proprietà, allora l’istanziazione di E* è equivalente all’istanziazione di una proprietà meramente

disgiuntiva (la proprietà di essere un oggetto o (aut)2 una proprietà) o E* è identica a quella

proprietà meramente disgiuntiva. La proprietà di essere un oggetto o (aut) una proprietà non sembra

fondare alcuna somiglianza tra entità. Pertanto, neppure E* fonda una somiglianza tra entità – anche

se i sostenitori di (MOA) potranno negare questa conclusione, come vedremo in seguito. Ad ogni

modo, una teoria dell’esistenza che attribuisca qualche somiglianza alle entità esistenti fondata sulla

loro esistenza sembra preferibile a una teoria dell’esistenza che non ammetta alcuna somiglianza tra

esse. Sicché, una teoria dell’esistenza diversa da (MOA) e capace di rendere ragione della

somiglianza tra entità esistenti fondata sulla loro esistenza è preferibile a (MOA).

I sostenitori di (MOA) possono replicare che la loro teoria non è affatto impegnata ad ammettere

che vi sia una proprietà come E*. Nondimeno, secondo (MOA), vi è un solo modo di esistere e, nel

quadro di un’ontologia comprendente due categorie fondamentali di entità (oggetti e proprietà),

quel modo di esistere è E* (benché E* possa essere considerata una proprietà non-naturale, cioè una

proprietà che non fonda una somiglianza oggettiva tra entità, che non conferisce a esse poteri

causali e che non stabilisce distinzioni fondamentali tra entità3). In alternativa, si può rispondere che

E* fonda una somiglianza tra entità, benché la sua istanziazione sia anche (ma non soltanto)

equivalente all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva. L’istanziazione di E*, ad

esempio, è equivalente all’istanziazione della proprietà di essere identico a se stesso, che fonda una

somiglianza tra entità (tutti gli oggetti sono identici a se stessi, così come lo sono tutte le proprietà).

Benché non vi siano entità non-identiche a se stesse – ché altrimenti non si tratterebbe di entità –,

nulla sembra motivare l’idea che la somiglianza fondata da E* non sia una somiglianza oggettiva.

Nondimeno, si può argomentare che, se vi è una proprietà come E*, quella proprietà non è parte

delle condizioni di verità di enunciati come

(1) Sherlock Holmes non esiste;

(2) Obama esiste.

In effetti, l’attualista può ritenere che vi sia un certa interpretazione di (1) e (2) per cui (1) e (2)

sono enunciati veri o esprimono proposizioni vere, pur non impegnandosi alla tesi per cui vi sono

2 L’utilizzo della disgiunzione forte aut è motivato dal fatto che, nel quadro che ho descritto, le categorie di oggetti e

proprietà sono categorie ontologiche fondamentali e esclusive: nessun oggetto può essere una proprietà e nessuna

proprietà può essere un oggetto. Per questo motivo, l’utilizzo della disgiunzione debole vel non avrebbe espresso

pienamente cosa significhi essere un’entità in quanto oggetto o proprietà. 3 Cfr., ad esempio, Lewis 1983.

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entità che non hanno E*. In tal caso, però, E* non è parte delle condizioni di verità di (1) e (2).

Infatti, si può ritenere che (1) e (2) (o le proposizioni da essi espresse) siano rispettivamente resi

veri dal fatto che la proprietà di essere identico a Sherlock Holmes non è istanziata e la proprietà di

essere identico a Obama è istanziata, o dal fatto che alcune proprietà (quelle di Sherlock Holmes)

non sono istanziate congiuntamente e altre proprietà (quelle di Obama) sono istanziate

congiuntamente, o dal fatto che Sherlock Holmes, pur esistendo in quanto entità fittizia, non è parte

di un qualche genere naturale (quello degli uomini, ad esempio), mentre Obama esiste e è parte di

quel genere naturale (v. van Inwagen 1977), o dal fatto che il nome proprio “Sherlock Holmes” è

privo di riferimento, mentre “Obama” ha un riferimento, etc. Ad ogni modo, l’istanziazione o la

non-istanziazione di E* non fonda la verità di (2) e (1). Se, accettando (MOA), vi è un solo modo di

esistere e quel modo di esistere è E*, allora è vero che (1) e (2) non in virtù di E*, ma in virtù di

qualcos’altro. Nondimeno, sembra che sia vero che (1) e (2) in virtù di qualcosa che riguarda

l’esistenza di Obama e la non-esistenza di Sherlock Holmes. In caso contrario, occorrerebbe

ritenere che (1) (o comunque la proposizione espressa da (1)) sia semplicemente falso – poiché ogni

entità esiste – o, almeno, che il predicato grammaticale “esiste” sia equivoco: da un lato, esso si

riferirebbe a E*, dall’altro si riferirebbe a un’altra proprietà (ad es., la proprietà di essere istanziata,

che sarebbe istanziata dalla proprietà di essere identico a Obama). Vi sono buone ragioni per

ammettere questa ipotesi, esclusa la (presunta) verità di (attualismo)?

Accettando (MOA), comunque, E* non renderebbe ragione dell’informatività di (1) e (2), cioè del

fatto che (1) e (2) sembrano fornirci nuove informazioni sul mondo, e in ciò consiste il problema

dell’informatività (PI).

2. Il pluralismo ontologico…

In senso lato, un pluralista ontologico ammette che vi sono più quantificatori ristretti che spaziano

su domini differenti di entità e che non vi è un quantificatore non-ristretto (cioè un quantificatore

che spazia sul dominio di tutte le entità) o che, se vi è un quantificatore non-ristretto, quel

quantificatore esprime qualcosa di meno fondamentale di ciò che è espresso dai quantificatori

ristretti. La minore fondamentalità del quantificatore non-ristretto accettato dai sostenitori di

(MOA) può essere intesa affermando, appunto, che l’istanziazione di E* è equivalente soltanto

all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva o E* è identica a una proprietà meramente

disgiuntiva e che ogni proprietà meramente disgiuntiva (o ogni proprietà la cui istanziazione è

equivalente soltanto all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva) è meno fondamentale

di una proprietà non-meramente disgiuntiva (o di ogni proprietà la cui istanziazione non è

equivalente soltanto all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva).

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In tal senso, alcuni pluralisti ontologici affermano che i quantificatori ristretti spaziano su domini di

entità relativi a particolari regioni spazio-temporali (tipicamente, quando affermo che non c’è birra,

non affermo che non c’è birra nel mondo, ma soltanto che non c’è birra in qualche regione del

mondo, ad esempio nel mio frigo) (cfr. Lewis 1986) o relativi a un particolare mondo possibile, ad

esempio il mondo attuale (è vero che non ci sono unicorni se e solo se è vero che, nel mondo

attuale, non ci sono unicorni, non che in nessun mondo possibile ci sono unicorni) o, ancora,

relativi ai particolari schemi concettuali o linguistici di coloro che si esprimono utilizzando quei

quantificatori (cfr., ad esempio, Hirsch 2011)4.

In senso stretto, tuttavia, i pluralisti ontologici che ammettono che ci sono diversi modi di esistere

(come appunto Turner e McDaniel) ritengono che ogni quantificatore ristretto spazi solo e soltanto

su entità caratterizzate da un certo modo di esistere. Ad esempio, si può pensare che vi siano due

quantificatori ∃O e ∃P e che ∃O spazi soltanto sulle entità caratterizzate dal modo di esistere tipico

degli oggetti (esistere in quanto oggetto), mentre ∃P spazi soltanto sulle entità caratterizzate dal

modo di esistere tipico delle proprietà (esistere in quanto proprietà). In aggiunta, il quantificatore

non-ristretto che esprime l’essere in generale (∃*) sarebbe meno fondamentale di ∃O e ∃P, in quanto

non esprimerebbe altro che esistere in quanto oggetto o (aut) esistere in quanto proprietà e il suo

dominio non sarebbe altro che l’unione dei domini di ∃O e ∃P (posto che vi siano soltanto due

quantificatori ristretti): poiché le entità di uno dei due domini non hanno alcuna somiglianza con le

entità dell’altro dominio quanto al loro modo di esistere, ∃* sarebbe meno fondamentale di ∃O e ∃P.

È pur vero che McDaniel 2010b difende la possibilità che “essere” si predichi in modo analogo (e

non semplicemente equivoco) di entità caratterizzate da diversi modi di esistere (ad esempio, delle

entità esistenti temporalmente e di quelle che non esistono temporalmente), ma resta da dimostrare

la validità di questa tesi per tutti i modi di esistere.

I pluralisti ontologici di quest’ultimo gruppo possono risolvere piuttosto agevolmente, almeno da un

certo punto di vista, il problema della mera disgiunzione (PMD) e il problema dell’informatività

(PI). In effetti, essi possono sostenere che ciò che caratterizza gli esistenti di un certo tipo non è

semplicemente una proprietà meramente disgiuntiva, ma qualcosa che fonda una somiglianza tra

tutti e soltanto gli esistenti di quel tipo: l’esistere in quanto oggetti è diverso dall’esistere in quanto

proprietà e tutti gli oggetti, esistendo come oggetti (e non come proprietà), si somigliano in virtù del

loro modo di esistere.

Il problema dell’informatività (PI) può essere risolto introducendo un raffinato apparato di modi di

esistere e sostenendo che, nel dominio di un qualche quantificatore ristretto (ad esempio, ∃OC, che

spazia soltanto sugli oggetti concreti), non c’è un’entità identica a Sherlock Holmes:

4 Per un’analisi dettagliata delle forme di pluralismo ontologico (in senso lato), cfr. Eklund 2006.

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(1OP) ~∃OCx(x = Sherlock Holmes)

Se il pluralista ontologico accetta (attualismo), inoltre, egli potrà asserire che, nel dominio di un

altro quantificatore ristretto (ad esempio, ∃OA, che spazia soltanto sugli oggetti astratti), c’è

un’entità identica a Sherlock Holmes. Pertanto, se il pluralista ontologico sostiene che

(POA) vi è più di un modo di essere (o di esistere), l’essere in generale è meno fondamentale di

ciascun modo di essere e non vi sono entità che non hanno almeno un modo di essere (o di esistere),

l’interpretazione più appropriata delle condizioni di verità di (1) sarà:

(1OPA) ~∃OCx(x = Sherlock Holmes) & ∃OAx(x = Sherlock Holmes)

Si potrà tradurre certamente qualsiasi soluzione attualista al problema delle condizioni di verità di

(1) nei termini del pluralismo ontologico. Si potrà parlare, ad esempio, del modo di esistere delle

proprietà istanziate, diverso dal modo di esistere delle proprietà non-istanziate, o del modo di

esistere degli oggetti appartenenti a qualche genere naturale, diverso dal modo di esistere degli

oggetti non appartenenti ad alcun genere naturale, etc.

3. … e i suoi problemi.

Il pluralista ontologico è, in genere, un attualista: egli non ritiene che vi siano entità che non

esistono, in un modo o nell’altro. A proprio vantaggio, egli può asserire che il pluralismo

ontologico consente di risolvere il problema della mera disgiunzione (PMD). Tuttavia, come

abbiamo già notato, il monista ontologico attualista può rispondere che, dal suo punto di vista, ciò

che è espresso dal quantificatore non-ristretto è proprio il fatto che tutte le entità su cui spazia quel

quantificatore sono dotate di condizioni di identità, sicché il problema della mera disgiunzione

(PMD) può essere risolto senza accettare il pluralismo ontologico. Occorre capire, tuttavia, come

questo possa contribuire a una buona teoria dell’esistenza: esistere significa semplicemente essere

dotati di condizioni di identità? Come può accadere, allora, che enunciati come (1) non siano resi

veri esclusivamente dall’essere sprovvisto di condizioni di identità da parte di Sherlock Holmes –

come ammettono molti quineani, van Inwagen in primis? D’altronde, se essi sono resi veri dalla

mancanza di condizioni di identità per Sherlock Holmes, cosa fonda la verità di enunciati come (4)?

Da un lato, dunque, il monista ontologico attualista può ribattere che l’esistenza in generale non è

una proprietà meramente disgiuntiva. Dall’altro, il pluralista ontologico attualista – supportato dai

teorici non-attualisti – può replicare a propria volta che l’esistenza in generale – intesa, ad esempio,

come l’essere dotati di condizioni di identità – ha poco a che fare con l’esistenza di Obama e con la

non-esistenza di Sherlock Holmes, così come è espressa da (1) e (2). Stallo.

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In secondo luogo, il pluralista ontologico attualista utilizza una strategia fondata sullo “scambio” di

modi di essere per rendere ragione degli esistenziali negativi (ad es., Sherlock Holmes non ha il

modo di esistere degli oggetti concreti, ma ha quello degli oggetti astratti). La stessa strategia, però,

può essere espressa nel linguaggio del monista ontologico attualista, senza utilizzare quantificatori

ristretti né i corrispettivi modi di esistere (Sherlock Holmes non è un oggetto concreto, ma è un

oggetto astratto). Più in generale, ogni particolare soluzione al problema dei fattori di verità per gli

esistenziali negativi deve essere difesa indipendentemente dal fatto che sia espressa nel linguaggio

del monista ontologico attualista o in quello del pluralista ontologico attualista. Qual è il vantaggio

dei sostenitori di (POA)?

In aggiunta, ritengo che il pluralismo ontologico attualista sia afflitto da alcuni problemi più

specifici: il problema della ridondanza (PR), il problema determinato-determinabile (PDD), il

problema dell’overlap (PO), quello dell’economia (PE), il problema della restrizione (PRZ) e, da

ultimo, quello della quantificazione sui modi di essere (PQM).

Il problema della ridondanza (PR) è strettamente connesso alle osservazioni riportate

precedentemente. Se il linguaggio del monista ontologico attualista è sufficiente a esprimere cosa

significa esistere in quanto oggetto o esistere in quanto proprietà (affermando, ad esempio, che ogni

proprietà dipende per la propria esistenza dalla sua istanziazione da parte di qualche oggetto) e se

tale linguaggio può esprimersi a tal scopo senza ricorrere ai modi di esistere (affermando

semplicemente, ad esempio, che ogni proprietà dipende per la propria esistenza da qualche oggetto

che la istanzia), a cosa serve introdurre i modi di esistere? Quale nuova informazione sul mondo

può essere introdotta parlando del modo di esistere in quanto proprietà, che non possa già essere

introdotta senza parlare di quel modo di esistere?

In secondo luogo, sembra che alcuni modi di esistere possano situarsi tra loro in un rapporto

determinato-determinabile. Ad esempio, esistere in quanto oggetto astratto e esistere in quanto

oggetto concreto, se vi sono solo oggetti astratti e concreti, sono determinati del determinabile

esistere in quanto oggetto. In tal caso, vi sono tre modi di esistere o soltanto due (PDD)? McDaniel

2010b risponde che i modi di esistere stanno tra loro in rapporti di analogia, e non di determinato-

determinabile. Resta da dimostrare, tuttavia, che ciò valga per tutti i modi di esistere.

In terzo luogo, nella formulazione di McDaniel, alcune entità sembrano avere più di un modo di

esistere. In altri termini, i domini di differenti quantificatori ristretti sembrano sovrapporsi – sia pure

parzialmente. Ad esempio, le sostanze godono di un modo di esistere “assoluto”, mentre gli attributi

godono di un modo di esistere inerente a sostanze. In aggiunta, vi sono sostanze che godono del

modo di esistere temporale e sostanze che godono del modo di esistere non-temporale. Ora, ogni

sostanza può dunque godere di due modi di esistere (assoluto e temporale o assoluto e non-

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temporale) oppure può godere di un solo modo di esistere (assoluto-temporale o assoluto-non-

temporale)? Più in generale, come si può stabilire quali domini dei quantificatori ristretti si

sovrappongono – sia pure parzialmente – e quali non si sovrappongono?

Il problema dell’overlap è parte di un problema più vasto: quello dell’individuazione dei modi di

esistere e dell’economia nella loro individuazione (PE). Quali caratteristiche di un’entità sono

sufficienti a implicare la sua appartenenza a un certo modo di esistere e quali, invece, non implicano

tale appartenenza? Consideriamo l’esistenza temporale. Perché è necessario asserire che alcune

entità esistono temporalmente e altre esistono atemporalmente, sicché vi sono due modi di esistere

distinti tra loro? Non si potrebbe affermare, al contrario, che, tra tutte le entità che esistono, alcune

sono collocate in certi istanti temporali (e non in altri) e altre non sono collocate in alcun istante

temporale o sono collocate in tutti gli istanti temporali? Perché dovremmo rigettare quest’ultima

interpretazione deflazionista rispetto ai modi di esistere e asserire che la differenza tra i due tipi di

identità è una differenza nella loro esistenza?

I problemi rimanenti possono essere sinteticamente esposti a partire da un esempio. Immaginiamo

un pluralista O.P.1 che ritiene che vi siano soltanto due modi di esistere, rispettivamente E1 e E2. Se

O.P.1 non è un superpluralista ontologico (cioè un sostenitore della tesi per cui vi sono diversi

modi, egualmente legittimi, di essere un pluralista ontologico – v. Caplan 2011), egli vorrà asserire

che è vero che

(5) E1 e E2 sono i soli modi di esistere.

Per far questo, egli sarà anzitutto costretto a quantificare su modi di esistere (contra McDaniel, che

ritiene che i modi di esistere non siano entità) e a introdurre un modo di esistere dei modi di

esistere. Vi è un solo modo di esistere dei modi di esistere o più di uno – dato che alcuni modi di

esistere sembrano somigliarsi – problema della quantificazione sui modi di essere (PQM)? E il

modo di esistere dei modi di esistere ha a propria volta un modo di esistere differente da se stesso?

Non lo sappiamo. Del resto, sembra necessario quantificare su modi di esistere, dal momento che la

tesi (POA) asserisce proprio che vi è più di un modo di esistere, etc.

Seguendo Turner 2010, O.P.1 può esprimere logicamente la propria tesi come segue:

(5a) ∀1x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x)) & ∀2x((∃1y(y = x) V ∃2y(y = x))

(laddove ∀1, ∀2 e i corrispondenti quantificatori esistenziali spaziano solo e soltanto,

rispettivamente, sulle entità che hanno E1 e sulle entità che hanno E2). Sfortunatamente, un altro

pluralista ontologico O.P.2 può ritenere che vi sia anche un terzo modo di esistere E3 e che sia vero

che

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(6) E1 e E2 e E3 sono i soli modi di esistere,

espresso logicamente da:

(6a) ∀1x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x) V ∃3y(y = x)) & ∀2x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x) V ∃3y(y = x)) &

∀3x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x) V ∃3y(y = x))

(5a) non implica da sé la falsità di (6a). O.P.1, dunque, dovrà dire qualcosa in più per asserire nel

proprio linguaggio che è falso che (6a): dal suo punto di vista, infatti, vi sono solo E1 e E2. Affinché

uno dei congiunti di (6a) risulti falso (l’ultimo), occorre almeno affermare che non c’è alcuna entità

su cui spazia il quantificatore associato a E3 o che ci sono entità (quelle su cui spazia E3), che non

hanno alcun modo di esistere, poiché non vi è alcun modo di esistere come E3. Nel primo caso,

tuttavia, il linguaggio utilizzato da O.P.2 (contenente il quantificatore associato a E3) risulterà più

espressivo del linguaggio utilizzato da O.P.1 e risulterà più espressivo proprio per rendere in forma

logica la tesi di O.P.1. Nel secondo caso, invece, O.P.1 dovrà accettare una contraddizione o

utilizzare un quantificatore sospettosamente meinonghiano, negando la tesi (OPA), per la quale non

ci sono entità che non hanno alcun modo di esistere. Si noti che O.P.1 non potrà esprimere la

propria tesi ricorrendo al quantificatore non-ristretto: in tal caso, infatti, il quantificatore non-

ristretto dovrebbe essere utilizzato per esprimere qualcosa di metafisicamente fondamentale, contra

il pluralismo ontologico. Questo è il primo aspetto del problema della restrizione (PRZ).

O.P.1 – che immaginiamo essere un fervente attualista – potrà concedere di dover utilizzare il

quantificatore ristretto associato a E3 e definire la propria tesi congiungendo (5a) e

(non-6a) ∀3x(E1x V E2x)

La tesi (5), allora, dovrà essere resa logicamente da

(5b) ∀1x(∃1y(y = x) V ∃2y(y = x)) & ∀2x((∃1y(y = x) V ∃2y(y = x)) & ∀3x(E1x V E2x)

O.P.1, tuttavia, potrà incontrare un terzo pluralista ontologico O.P.3 per il quale è falso che (6) e è

falso che (5). Secondo O.P.3, infatti, vi sono solo tre modi di esistere, ma essi sono E1, E2 e E4. Per

difendere la propria tesi, allora, O.P.1 dovrà introdurre un ulteriore congiunto, asserendo che, per

ogni entità su cui spazia il quantificatore associato a E4, quell’entità ha in realtà il modo di esistere

E1 o (aut) il modo di esistere E2. Dato che non vi è un criterio per stabilire di quanti modi di esistere

si possa parlare, il discorso potrebbe proseguire all’infinito e O.P.1 non sarebbe mai in grado di

esprimere adeguatamente la propria tesi. Questo è il secondo aspetto del problema della restrizione

(PRZ).

4. Un pizzico di Meinong.

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In queste osservazioni conclusive, desidero anzitutto evidenziare brevemente i vantaggi di un

approccio che nega la verità di

(attualismo) non vi sono entità che non esistono.

La negazione di (attualismo) è tipicamente associata a filosofie di ispirazione meinonghiana o neo-

meinonghiana, anche se non è certamente necessario accettare tutte le tesi di Meinong o dei neo-

meinonghiani per negare la verità di (attualismo). In primo luogo, si potrà ritenere che il

quantificatore non-ristretto esprima una somiglianza oggettiva tra entità – ad esempio, il fatto che

ogni entità è dotata di condizioni di identità –, ma che tale somiglianza non implichi alcunché

rispetto all’esistenza o al modo di esistere di quelle entità. Non vi è, in sintesi, un’esistenza in

generale, identica a una proprietà meramente disgiuntiva o la cui istanziazione è equivalente

soltanto all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva. D’altro canto, ciò che è espresso

dal quantificatore non è una proprietà meramente disgiuntiva o non è una proprietà la cui

istanziazione è equivalente soltanto all’istanziazione di una proprietà meramente disgiuntiva. Il

problema della mera disgiunzione (PMD), dunque, può essere risolto affermando semplicemente

che: ciò che è espresso dal quantificatore non-ristretto non è una mera disgiunzione, né, se si tratta

di una proprietà, la sua istanziazione è equivalente soltanto all’istanziazione di una proprietà

meramente disgiuntiva. Tuttavia, ciò che è espresso dal quantificatore non-ristretto non è l’esistenza

delle entità su cui spazia quel quantificatore.

In aggiunta, in questo approccio meinonghiano (o semi-meinonghiano), il problema

dell’informatività (PI) può essere risolto aggiungendo che, tra tutte le entità, alcune, ma non tutte le

entità istanziano la proprietà di esistere. Nei confronti del problema della mera disgiunzione (PMD)

e del problema dell’informatività (PI), dunque, l’approccio meinonghiano (o semi-meinonghiano)

sembra preferibile rispetto all’approccio attualista. Questa è la prima conclusione che mi sembra di

poter trarre dalla nostra discussione.

Occorre notare, poi, che l’approccio meinonghiano (o semi-meinonghiano) può essere declinato sia

per rendere ragione del monismo ontologico, che per rendere ragione del pluralismo ontologico: si

può pensare, infatti, che vi sia un solo modo di esistere (una sola proprietà di esistere) che

caratterizza alcune, ma non tutte le entità, o che vi siano più modi di esistere (differenti proprietà di

esistere) che caratterizzano differenti tipi di entità. In ogni caso, non è necessario affermare che

tutte le entità godono di un qualche modo di esistere.

Il pluralista ontologico meinonghiano, poi, potrà affermare che i vari modi di esistere sono più

fondamentali di ciò che è espresso dal quantificatore non-ristretto, almeno sotto certi rispetti (ad

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esempio, per rendere ragione dell’esistenza di un’entità, del fatto che un’entità possa istanziare o

meno proprietà existence-entailing, etc.).

Consideriamo ora il problema della quantificazione sui modi di esistere (PQM). Non sarà necessario

ritenere che i modi di esistere godano di un qualche modo di esistere solo per il fatto che

quantifichiamo su essi. Il quantificatore non-ristretto, infatti, potrà spaziare sui modi di esistere,

senza implicare alcunché sulla loro esistenza o sul loro modo di esistere. Il problema della

restrizione (PRZ) potrà essere risolto a sua volta utilizzando il quantificatore non-ristretto e

quantificando sui modi di esistere: il nostro O.P.1, quando sposerà il pluralismo ontologico

meinonghiano, potrà semplicemente ritenere che, per ogni entità su cui spazia il quantificatore non-

ristretto, se quell’entità è un modo di esistere, allora essa è identica a E1 o (aut) è identica a E2.

O.P.2 potrà negare questa tesi, affermando che, per ogni entità su cui spazia il quantificatore non-

ristretto, se quell’entità è un modo di esistere, allora essa è identica a E1 o (aut) è identica a E2 o

(aut) è identica a E3. O.P.3 potrà compiere una mossa simile per esprimere la propria tesi. D’altro

canto, il pluralista ontologico attualista non può utilizzare il quantificatore non-ristretto in questo

senso: la sua esistenza in generale, espressa da quel quantificatore, non può essere invocata per

esprimere qualcosa di fondamentale, come il fatto che vi siano soltanto due modi di esistere, pena la

negazione del pluralismo ontologico.

La seconda conclusione di questo articolo, dunque, è che un pluralismo ontologico meinonghiano è

preferibile a un pluralismo ontologico attualista, giacché il primo può far fronte al problema della

quantificazione sui modi di esistere (PQM) e al problema della mera restrizione (PRZ), a differenza

del secondo.

Restano da indagare gli altri problemi: quello della ridondanza (PR), quello del determinato-

determinabile (PDD), quello dell’overlap (PO) e il problema dell’economia (PE). Questi problemi

sorgono dalla difficoltà di individuare i modi di essere e di stabilire le loro relazioni. Il pluralista

ontologico meinonghiano non sembra avere alcun vantaggio sul collega attualista. Certamente, egli

può asserire che, dal suo punto di vista, non vi è alcun bisogno di “fare economia” su ciò che ha

condizioni di identità, mentre vi è il bisogno di “fare economia” su ciò che esiste. Poiché i modi di

esistere non hanno alcun modo di esistere, si potrà abbondare – almeno in qualche misura – nel

definire il loro numero. Non credo, tuttavia, che questa soluzione possa costituire una risposta

adeguata ai problemi menzionati: numerosi modi di esistere possono essere individuati, ma non è

affatto chiaro il “lavoro” ontologico che essi sono chiamati a svolgere in aggiunta a quello già

svolto da entità che non sono modi di esistere.

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La terza conclusione di questo articolo, dunque, è che il pluralismo ontologico meinonghiano deve

fronteggiare alcuni problemi che connotano il pluralismo ontologico in quanto tale e che il monismo

ontologico meinonghiano non presenta.

In sintesi, ritengo che il pluralismo ontologico meinonghiano sia più plausibile del pluralismo

ontologico attualista – anche se occorre concedere che il quantificatore non-ristretto esprime una

comunanza tra entità, sia pure non connessa alla loro esistenza. Nondimeno, il monismo ontologico

meinonghiano mi sembra preferibile rispetto al pluralismo ontologico meinonghiano, in virtù di

alcuni problemi che connotano il pluralismo ontologico in quanto tale. Infine, richiamando il

problema della mera disgiunzione (PMD) e il problema dell’informatività (PI), credo che il

monismo ontologico meinonghiano presenti maggiori vantaggi del monismo ontologico attualista.

Delle quattro posizioni esaminate in questo articolo, pertanto, e rispetto ai problemi qui indagati, il

monismo ontologico meinonghiano è presumibilmente la posizione migliore.

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