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1585-1586: il cambio della politica delle immagini tra il pontificato gregoriano e quello sistino di Stefano Pierguidi

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1585-1586: il cambio della politica delle immagini tra il pontificato gregoriano e quello sistino

di Stefano Pierguidi

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AbstractLo studio, attraverso la vicenda del licenziamento del pittore Tommaso Laureti dal cantiere della Sala di Costantino nel Palazzo Apostolico Vaticano narrata da Giovanni Baglione, analizza il radicale cambiamento della politica artistica tra i pontificati di Gregorio XIII e Sisto V. Con il sistematico allontanamento dalle maggiori imprese pontificie dei pittori che avevano lavorato in Vaticano per Ugo Boncompagni, da Girolamo Muziano a Nicolò Circignani, da Federico Zuccari allo stesso Laureti, Felice Peretti fece piazza pulita di quella stagione di sperimentalismo tecnico–artistico che aveva caratterizzato l’età gregoriana, affidando alle immagini, spesso di carattere emblematico, un ruolo di pura propaganda politica.

1585-1586: the change of image between the papacies of Pope Gregory and Pope SixtusAs the result of the dismissal of the painter Tommaso Laureti from the work site of the Hall of Constantine in the Vatican Apostolic Palace, as told by Giovanni Baglione, this study analyses the radical change of artistic policy between the papacies of Gregory XIII and Sixtus V.With the systematic dismissal from the most important papal sites of the painters who had worked in the Vatican for Ugo Boncompagni, ranging from Girolamo Muziano to Nicolò Circignani, Federico Zuccari and Tommaso Laureti, Felice Peretti made a cleaning–up of that period of technical-artistic experimentalism which had characterised the papacy of Gregory XIII, instead entrusting the images – often of an emblematic nature – with a role of pure political propaganda.

Nel 1981 Luigi Spezzaferro, attraverso il famoso episodio della disgrazia del lento e scru-poloso Tommaso Laureti – che terminata solo al tempo di Sisto V la decorazione della volta della Sala di Costantino in Vaticano (fig. 1) non sarebbe stato ricompensato dal nuovo pon-tefice, il quale lo avrebbe invece rovinato – stigmatizzò il contrasto tra la stagione artistica gregoriana e quella sistina1. In seguito, la critica ha smussato questa interpretazione dei fatti, sottolineando al contrario gli elementi di continuità, a partire dal nuovo tipo di organizza-zione del lavoro dei frescanti, inaugurato da Girolamo Muziano e Cesare Nebbia nel cantiere della Galleria delle Carte geografiche sempre in Vaticano, per conto di Gregorio XIII, e sostanzialmente ripreso in tutte le imprese sistine da parte di Giovanni Guerra e dello stesso Nebbia, che sarebbe passato indenne attraverso il cambio di establishment politico e cultura-le2. Anche il mancato allontanamento di Laureti dal cantiere della Sala di Costantino, all’in-domani della sua elezione, dimostrerebbe la volontà, da parte di Sisto V, di non operare una vera e propria rottura con la politica artistica del pontificato precedente3. L’aperto contrasto tra Gregorio XIII e Sisto V in realtà si risolse, sul piano culturale, in un radicale cambio della politica artistica, e nella completa sostituzione degli artisti ufficiali, da Nicolò Circignani allo stesso Muziano. Paradigmatica di questa svolta fu proprio la vicenda di Laureti, che alla morte di Gregorio XIII non aveva terminato i suoi affreschi sulla volta della Sala di Costantino in Vaticano: colpevole non solo di lavorare troppo lentamente, ma anche di continuare a raffi-gurare l’odiato drago dell’ormai scomparso pontefice, il pittore venne bruscamente licenziato.

Parte della critica recente ha cercato di glissare su quanto riportato da Giovanni Baglio-ne, dal manoscritto anonimo Memoria sulle pitture et fabriche Boncompagni, e dai documen-ti d’archivio. Il primo, nella vita di Laureti, scriveva:

Talché dapoi succedendo Sisto V che amava le cose preste; fecegli fretta, ond’egli fu forzato di abbreviare alcune cose che andavano secondo il suo genio con maggiore studio condotte, e per dir vero, nel lavoro egli era un poco lungo, e se finiva l’opera a tempo di Papa Gregorio non solo saria stato honorevolmente pagato, ma dalla magnificenza di quel buon Pontefice, massime havendolo egli fatto venire a Roma, grandemente rega-lato; ma tra che diedesi in tempo di altro Papa lontano da quei pensieri, e tra che egli

1 Spezzaferro 1981, pp. 200–207. 2 Bevilacqua 1993, pp. 41–42; Tosini 2008, pp. 233–234 e 279–280.3 Zuccari, 2004, pp. 56–57, nota 67; Zuccari 2005, p. 3.

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in alcune opere sotto Sisto V. fatte, vi pose l’impresa di Gregorio XIII. non solo non fu pagato come sperava, ma gli furono minutamente messe in conto tutte le provvisioni, e le parti, e fin la biada del cavallo, talché il povero nulla avanzò dal carico di tanta fatica4.

Quello narrato da Baglione non era un semplice aneddoto. Il contrasto fra le imprese di Gregorio XIII e Sisto V, come già detto, era una questione seria, e le altre fonti documenta-rie, insieme all’analisi stessa degli affreschi di Laureti in Vaticano, confermano la veridicità dell’episodio. Il 2 ottobre 1585,

Il pittore [Laureti] che doveva horamai dopo tanti anni finir la sala di Costantino è stato licenziato dal Papa perche voleva dinari nel modo che era pagato da Gregorio, cioè in tan-to al mese, et sodisfatta di più la sua opera da S.S.tà la quale ha fatto dipingere su gl’angoli di detta sala 4 imprese una d’un lione ardito in campo turchino col motto che dice Justus ut leo confidens l’altra d’un S. Pietro che naviga un christo in poppa verso un scoglio, con le parole Duc in altum, la 3a un s. Francesco che alza le mani verso alcuni raggi che escono dal cielo con Ripara domum meam quae labitur et la 4a di di 3 monti et una stella col sopra scritto Mons. in qui bene placitum est Deo5.

Subito dopo aver licenziato Laureti, quindi, Sisto V fece dipingere le sue imprese (tra le quali, naturalmente, il leone rampante) agli angoli della cornice continua che chiude in basso la volta della sala, decorata anch’essa da un fregio di coppie di leoni affrontati con trimonzi sor-montati da stelle e interrotto solo dalla raffigurazione delle due colonne di Traiano e di Marco Aurelio e di due obelischi (ovvero, quattro delle opere realizzate all’inizio del pontificato sisti-no). Al momento del suo allontanamento dal cantiere Laureti doveva aver sostanzialmente terminato gli affreschi al di sopra di quella cornice, non prima, però, che si fosse consumata una prima brusca rottura con il nuovo “committente”, insediatosi nell’aprile di quell’anno.

Su questa rottura siamo bene informati grazie alla già citata Memoria sulle pitture et fabriche che si chiude proprio con una lunga descrizione degli affreschi della volta della Sala di Costantino6. Questa è così dettagliata, e occupa uno spazio così eccentrico rispetto a tutte le altre impre-se gregoriane (la Galleria delle Carte geografiche, la Cappella Gregoriana, le Logge ecc.), che sono semplicemente menzionate all’inizio, da averne suggerito l’attribuzione a Laureti stesso, e da identificare forse con l’autore di tutta la Memoria7. Qui, in merito al riquadro centrale della volta, si legge:

Nel mezzo della volta [Laureti] pensò di dipinger quella degna attion di Costantin, quan-do commandò che per tutte le parti del suo impero si gettassero a terra gli idoli e s’adoras-

se Christo nostro redentore, ma essendo piacciuto al signor di tirar a se quell’anima bene-detta [Gregorio XIII] il nominato Tomaso non la possete far adornar di figure, come desi-derava, per non esserli stato concesso dal successore d’essa fel. mem., ma nondimeno fece in quel luogo una prospettiva di un tempio, in mezzo al quale un altare con un crocifisso, e per terra una statua di Mercurio fracassata, che significano la medesima intentione8.

È stato scritto che quello di Sisto V sarebbe l’unico caso documentato di un preciso intervento, da parte di un pontefice, diretto a cambiare il soggetto di un affresco in Vati-cano9. Di più, il passaggio dal tema di Costantino fa distruggere gli idoli a quello del Trionfo della Religione sul paganesimo dimostrerebbe la volontà di sostituire una scena di distruzione con una trionfale, di cristallina chiarezza, ed esemplificherebbe anche l’atteggiamento del nuovo pontefice verso l’uso delle immagini sacre (in questo caso, il Crocifisso), tollerato e

4 Baglione 1642 (1995), I, p. 72.5 Quednau 1979, pp. 928–929.6 von Pastor 1955, p. 919–922.7 Pinelli 1994, I, p. 71. Grazie alla descrizione della Memoria è possibile ricostruire dettagliatamente il

programma iconografico della volta, cfr. Giorgi Rossi, in Madonna 1993, pp. 91–92.

Fig. 1. tommaso laureti, Veduta della volta

con il Trionfo della Religione, Palazzo apostolico, Sala di costantino

8 Von Pastor 1955, p. 918.9 Wohl 1992, p. 125; Wohl 1999, p. 72.

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anzi incoraggiato dalla Chiesa10. Da una lettura attenta della Memoria Boncompagni, in realtà, si evince ben altro: Sisto V non aveva nessuna intenzione di continuare a pagare Laureti affinché questi terminasse un affresco commissionato da Gregorio XIII, e impedì al pittore di realizzare l’episodio di storia che era stato previsto in logica continuazione del ciclo affrescato dagli allievi di Raffaello sulle pareti della sala. Il nuovo pontefice, cioè, non richiese affatto la sostituzione di un soggetto con un altro: egli voleva solo che Laureti si limitasse a terminare il suo lavoro il prima possibile, con una semplice decorazione, magari anche di carattere prospettico, purché fosse completamente priva di figure (e quindi più veloce da eseguire). Il pittore, ingegnosamente, aggirò il divieto del pontefice, e fece in modo di raffigurare lo stesso episodio senza ricorrere a nessuna figura: «L’effetto singolarmente metafisico» dell’affresco fu quindi il risultato della silen-ziosa protesta del pittore al divieto imposto da Sisto V, qui nelle vesti di committente suo malgrado11. Del tutto fuorviante è anche l’ipotesi di attribuire al pontefice, e alla sua predilezione per immagini chiare e leggibili, la scelta di ornare il centro della volta con una prospettiva sostanzialmente non illusionistica12. Laureti, è vero, non realizzò davvero uno sfondato, come sarebbe stato logico a quella data, e come egli stesso aveva fatto in precedenza nella volta di una sala in palazzo Vizzani a Bologna13, preferendo invece dipingere una pro-spettiva sopra un finto baldacchino, di cui si vedono pendere nella sala, illusionisticamente, le nappe ai bordi (che proiettano persino le ombre sulla volta). Ma si trattava di una citazione da Raffaello, che nella vicina Stanza di Eliodoro aveva per primo sperimentato l’invenzione del finto arazzo per la decorazione di una volta, e che su finti arazzi aveva anche impostato la decorazione delle pareti di quella stessa Sala di Costantino. Tutti gli affreschi di Laureti, in re-altà, sono dipinti su finti arazzi: all’imposta della volta, infatti, una serie di putti ne sollevano i bordi. Il medesimo stratagemma del finto arazzo collocato al centro di una volta, utile per non dover sottoporre a scorci troppo violenti le figure degli episodi narrativi14, era stato adottato da Raffaello anche nella Loggia di Amore e Psiche alla Farnesina (fig. 2), ed era proprio a quel precedente che Laureti si richiamò esplicitamente. Nei pennacchi della volta di quella log-gia Raffaello e la sua scuola avevano raffigurato, secondo le parole di Giorgio Vasari, «molti putti che scortano, bellissimi, i quali volando portano tutti gli strumenti degli Dei: di Giove il fulmine e le saette, di Marte gli elmi, le spade e le targhe, di Vulcano i martelli… pittura e poesia veramente bellissima»15.

Solo quei putti con le insegne degli dèi, quindi, erano stati dipinti in scorcio, e allo stesso modo anche Laureti raffigurò in scorcio, in appositi oculi tra peduccio e peduccio, i putti che nella volta della Sala di Costantino recano le insegne del potere imperiale, così come specificava la Memoria Boncompagni:

Nelle lunette della volta vi sono depinti alcuni puttini in scorcio con arte di prospettiva, che tengono alcun’ornamento imperiale come il regno, la mitra, la corona, lo scettro, le vesti purpuree…che dimostrano la dignità e facoltà lasciata da Costantino a S. Silvestro e suoi successori16.

Inoltre, il putto visto in potente scorcio dal basso verso l’alto nell’unghia corrisponden-te a una delle due finestre è una citazione precisa da quello con il caduceo di Mercurio alla Farnesina. Alla luce di queste considerazioni, appare evidente come anche i gruppi di figure allegoriche collocati nei pennacchi della volta richiamino, sebbene più genericamente, quelli analoghi, con divinità mitologiche, della Loggia di Amore e Psiche. Non a caso, nel successivo ciclo con episodi di storia romana affrescato nella Sala dei Capitani in Palazzo dei Conservatori sul Campidoglio, Laureti citò esplicitamente, nella Giustizia di Bruto, la Scuola di Atene di Raffaello17. Non ci sono dubbi, insomma, che tanto l’elaborazione icono-grafica del soggetto, il Trionfo della Religione sul paganesimo, quanto la scelta di raffigurarlo in un sorprendente “quadro riportato” in prospettiva, siano da ricondurre a Laureti, che non accettò di liquidare sbrigativamente quella che doveva rimanere l’opera più importante della sua carriera. Fu forse proprio l’avversione del pontefice e, verosimilmente, della sua cerchia, a pesare sulla cattiva accoglienza che, secondo quanto riportato da Giulio Mancini (1620 circa), ebbero gli affreschi una volta terminati:

Poi, chiamato a Roma da Gregorio XIII per far le pitture nella volta della Sala di Costan-tino, le condusse al suo solito e secondo il suo talento assai bene, ma, in comparation di quelle di Raffaello ivi sotto, per la comparazione appaiono molto brutte, onde n’hebbe qualche rossore o, per dir meglio, qualche composition satirica18.

10 Wohl 1992, p. 129; Hall 1998, p. 43.11 Zuccari 2005, p. 2. I due disegni preparatori di Laureti dello Statens Konstmuseer di Stoccolma pub-

blicati da Zuccari risalgono entrambi, con ogni probabilità, al momento in cui l’artista era stato costretto ad abbandonare il progetto di realizzare un Costantino fa distruggere gli idoli e aveva deciso di impostare tutta la composizione su una raffinata e attentamente calibrata prospettiva.

12 Wohl 1992, pp. 124–125.13 Wohl 1992, pp. 124–125.14 Quell’invenzione sarebbe stata in seguito criticata da Marco Boschini (1660 [1996], pp. 161–162) e

difesa da Luigi Scaramuccia (1674, pp. 93–94).15 Vasari 1550–1568 (1996–1997), p. 202.

16 Pastor 1955, p. 921.17 Il confronto con Raffaello, nell’opera di Laureti (un allievo di Sebastiano del Piombo cresciuto nella

Bologna di Pellegrino Tibaldi), si intreccia continuamente con quello con Michelangelo: nella volta della Sala di Costantino, le figure allegoriche positive che trionfano su quelle negative, dai volti simili a quelli dei dannati del Giudizio della Sistina, sono un motivo tipicamente michelangiolesco, cfr. Pierguidi 2008b, pp. 74–75.

18 Mancini, 1620 circa (1956–1957), I, p. 232. Sulle composizioni satiriche rivolte contro le opere d’arte nel Cinquecento cfr. Spagnolo 2006, pp. 321–354. Il prestigio di Laureti, come peraltro ricordava lo stesso Mancini, non venne offuscato da quei componimenti. Della reputazione di cui avrebbe con-tinuato a godere il pittore parlano chiaramente la sua nomina a principe dell’Accademia di San Luca nel 1595, subito dopo il principato di Federico Zuccari (Alberti 1604, p. 77) e la citazione, nell’Ercole al bivio di Annibale Carracci, eseguito in quegli stessi anni (1596–1597 circa; Napoli, Gallerie di Ca-podimonte) della figura di spalle a destra nella Giustizia di Bruto in Campidoglio, cfr. Spezzaferro 1991, p. 17. È quindi ragionevole credere che la cattiva accoglienza degli affreschi in Vaticano fosse pilotata dall’entourage di Sisto V.

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Laureti avrebbe poi dovuto attendere il gennaio del 1586 per ricevere il saldo relativo agli affreschi eseguiti in Vaticano19. E non può che essere letta in opposizione al pontefice la scelta, da parte dei Conservatori, di affidare proprio a Laureti, nell’agosto di quello stesso 1586, l’importante ciclo della Sala dei Capitani in Campidoglio20.

Il documento dell’ottobre 1585 sopra riportato descriveva precisamente le imprese di Sisto V affrescate negli angoli della cornice della sala. Ma doveva essere un’altra l’arme, a cui accennava Baglione, che aveva portato al definitivo licenziamento di Laureti. Sempre nella Memoria Boncompagni si legge: «Nelli mezzi tondi grandi ha fatto li 3 corpi del mon-do con le sue iscrittioni cioè l’Europa, l’Asia e l’Africa»21.

In prima battuta si potrebbe rimanere sorpresi di fronte a questa strana scelta di raf-figurare, nelle quattro grandi lunette, solo tre delle quattro parti del mondo, ma tutto il programma iconografico della volta, che per la forte connotazione “geografica” tradisce la mano del matematico e cartografo perugino Egnazio Danti22, era stato pensato per inca-strarsi con quello dei sottostanti affreschi con storie di Costantino:

Fig. 2. raffello e scuola, Storie di Amore e Psiche (particolare), roma, villa farnesina, loggia

19 Quednau 1979, p. 930.20 Spezzaferro 1991, p. 17. Bevilacqua 1993, p. 42 ha ricordato come altri pittori attivi in cantieri sisti-

ni (quali Giovanni Battista Cavagna e Cesare Conti) lavorarono pure in Campidoglio: la scelta di Laureti da parte dei Conservatori, quindi, non avrebbe nessun significato politico. Ma Cavagna e Conti non possono essere messi sullo stesso piano di Laureti: questi era stato un pittore provvisionato da Gregorio XIII, e il suo licenziamento da parte di Sisto V fece certo scalpore, tanto da essere ricordato precisamente dal sempre sintetico Baglione. Inoltre, egli venne chiamato ad eseguire un ciclo di grande importanza in Campidoglio, non interventi di minore entità quali quelli realizzati da Cavagna e Conti.

21 Pastor 1955, p. 922.22 Come è noto, Danti diresse, in veste sia di capocantiere sia di ideatore iconografico, i cantieri della

Galleria delle Carte geografiche, della Sala Vecchia degli Svizzeri e della Torre dei Venti (Brinck 1983, pp. 223–254). Il suo possibile ruolo di consulente iconografico per gli affreschi della volta della Sala di Costantino non sarebbe stato riconosciuto nella Memoria Boncompagni, perché Laureti, probabile autore di quest’ultima, non avrebbe voluto dividere con nessuno il merito dell’impresa (sul rapporto Danti–Lau-reti cfr. anche nota 28). Anche l’importanza assegnata alle figure allegoriche (che, peraltro, si legano a quelle presenti anche nel ciclo con Storie di Costantino sulle pareti della medesima sala) sarebbe facilmente riconducibile all’invenzione di Danti, autore del programma iconografico della Sala Vecchia degli Sviz-zeri, tutto incentrato sulla raffigurazione di grandi personificazioni (Brinck 1983). Cesare Ripa, che per la sua Iconologia (princeps Roma 1593; prima edizione illustrata Roma 1603) attinse largamente alle figure allegoriche dei cicli gregoriani, citando esplicitamente Danti (Pierguidi 2002, pp. 433–436), non riprese nessuna delle personificazioni della volta della Sala di Costantino (La Concordia, effettivamente identica alla “Concordia de gli antichi” dell’Iconologia del 1593, p. 44, dipende come quella da precedenti numi-smatici romani). Ma nell’Iconologia non si ritrova neanche nessuna citazione dalla straordinaria sfilata di figure allegoriche affrescate da Raffaello, Giulio Romano e Giovanni Francesco Penni sulle pareti della medesima sala, forse il più importante ciclo di questo tipo precedente alle imprese degli anni Quaranta di Giorgio Vasari (Pierguidi 2008b, pp. 107 e 169). Se ne deduce che, con ogni probabilità, Ripa non ebbe la possibilità di visitare la sala, che a differenza delle Logge, della Galleria delle Carte geografiche e della stessa Sala Vecchia degli Svizzeri, non era un ambiente semipubblico del Palazzo Apostolico, facendo parte dell’appartamento privato del pontefice. Ripa, al servizio del cardinale Antonio Maria Salviati, a cui proprio Gregorio XIII aveva dato la porpora cardinalizia nel 1583, nella princeps dell’Iconologia (pp. 69 e 72) ricorda in due occasioni il Boncompagni, tacendo il nome di Sisto V. Nell’edizione del 1603 (p. 270) avrebbe anche ricordato la Galleria delle Carte: «... nella bellissima et maravigliosa Galleria di Palazzo nel

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poteva far credere la descrizione della Memoria, due semplici serpenti, bensì due inconfondibili draghi gregoriani. Più che come un omaggio al nuovo pontefice, quindi, sembrerebbe naturale interpretare questo piccolissimo leone come un irriverente riferimento a Sisto V. Ma se questa lettura è corretta, sarebbe strano che il particolare non fosse modificato subito dopo il licenzia-mento di Laureti. Forse non vi furono lette implicazioni negative o, più probabilmente, non venne affatto notato: ancora oggi, ad occhio nudo, non si riesce infatti a leggere chiaramente, nemmeno nelle migliori riproduzioni fotografiche moderne, questo particolare.

Proprio un’analisi più approfondita della vicenda della volta della Sala di Costantino ci permette, insomma, di riconfermare la validità della tesi di Spezzaferro:

Infatti all’artista – che produce lentamente l’opera perché la elabora «secondo il suo genio» – questo non era ora più permesso intanto in quanto da Sisto V – che porta bru-scamente a compimento un lungo processo – non è più riconosciuto al lavoro artistico quello stesso valore conoscitivo – e dunque quella stessa produttività culturale e funzio-ne sociale – che come lavoro intellettuale esso aveva avuto nel Rinascimento26.

Se è vero che già ai frescanti attivi sulla volta della Galleria delle Carte geografiche (il precedente diretto ai vari cantieri sistini del Palazzo Lateranense, della Scala Santa e della Biblioteca Apostolica Vaticana) non era stato certo riconosciuto, da parte di Gregorio XIII, un “valore conoscitivo”, o comunque una dignità di carattere intellettuale, non si

[…] et havendo esso Tommaso vista in una delle pareti della medesima sala la donatione d’Italia fatta da Costantino a S. Silvestro e suoi successori rappresentata per una figuretta non molto intelligibile, pensò di fare l’istessa Italia distinta in 8 provincie secondo l’or-dine di Strabone per più intelligenza di tal donatione23.

Anche le iscrizioni sulle grandi lunette, quindi, alludevano all’opera di Costantino a favore della propagazione della Fede nel mondo: in una la protagonista era Sant’Elena, madre dell’imperatore, in adorazione della Vera Croce che ella aveva ritrovato a Gerusa-lemme, ovvero in Asia. Non si poteva quindi raffigurare l’America, il nuovo continente, in un siffatto ciclo24. Rimaneva così libera una lunetta, quella dove oggi campeggia al centro, molto più grande e in maggiore evidenza dei due draghi gregoriani collocati negli angoli della soprastante volta, il leone Peretti (fig. 3). Era in questo scudo che Laureti aveva inse-rito l’arme Boncompagni? Certo è che nella puntualissima descrizione del ciclo della volta che chiude la Memoria, su questa lunetta si glissa completamente.

Ma c’è un altro particolare degli affreschi di Laureti, ancora più interessante per il discorso che qui si sta affrontando, in cui drago Boncompagni e leone Peretti si ritrovano l’uno accanto all’altro. Sempre nella Memoria si legge:

E perché nelle parieti della medesima sala vi sono depinte in forma di donne le 4 princi-pali virtù, non parse ad esso Tomaso farle ancor nella volta per non se vedere soto e sopra una medesima cosa, ma conoscendo egli tal virtù esser proprie della fel. mem., li venne in considerazione di farle a modo di embleme senza alcun moto. Però fece in 4 triangoleti, che fan l’ornamento della volta, un globo della terra per ciascheduno in mezzo a 2 serpen-ti che doi timoni lo sostengono, sopra il primo ha fatto uno specchio, al 2° una spada la bilancia, al 3° un leone e sopra il quarto la briglia, volendo dimostrare che la fe. mem. di P. Gregorio XIII governò benissimo il modo con prudenza, giustizia, fortezza e temperanza25.

I quattro triangoli qui descritti si trovano lungo i lati brevi del riquadro centrale della volta, due per parte. In uno di essi, quello che avrebbe dovuto ospitare lo specchio, attributo della prudenza, sopra il globo non si vede in realtà nulla (fig. 4): Laureti, licenziato, non ebbe il tempo di dipingerlo? Egli aveva comunque fatto in tempo ad affrescare quelli con la spada e la bilancia (fig. 4), con le briglie (fig. 5) e, aggiornandolo iconograficamente ai nuovi tempi, quello con il leone, attributo della fortezza (fig. 5). Quest’ultimo reca infatti il classico ramo di pere dell’arme sistina: accovacciato sul globo, questo inconfondibile leone Peretti è sovrastato dai due serpenti ma questi, al pari degli altri collocati nei pennacchi adiacenti, non sono, come

Vaticano fatta far da Papa Gregorio XIII. di felicissima memoria nella qual fu di molto aiuto al Reveren-dissimo Padre Ignatio Danti Perugino et Vescovo d’Alatri, che n’ebbe suprema cura da sua Beatitudine».

23 Von Pastor 1955, p. 921.24 Anche Ripa, nella sua Iconologia del 1603 (p. 338) avrebbe naturalmente scritto: «Per esser novel-

lamente scoperta questa parte del Mondo gli Antichi Scrittori non possono haverne scritto cosa alcuna».25 Pastor 1955, p. 922.

Fig. 3. tommaso laureti, Stemma di Sisto V con Angeli e Ignudi, Palazzo apostolico,

Sala di costantino

26 Spezzaferro 1981, p. 202.

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deve dimenticare che la specificità della Galleria era data appunto dalle carte geografiche delle pareti, il cui disegno era stato affidato a un uomo di scienza, il già ricordato Danti. Al pari delle altre imprese gregoriane, la decorazione della Galleria non si era risolta in un semplice cantiere in cui i frescanti, e i loro direttori, non avevano fatto altro che tradurre in immagini corsive programmi iconografici calati dall’alto. Al tempo di Gregorio XIII ai pittori è ancora riconosciuto lo status di “artista”, non solo quello di “artigiano”. A termi-nare il ciclo della Cappella Paolina in Vaticano, lasciato interrotto da Lorenzo Sabatini alla sua morte, nel 1576, è chiamato Federico Zuccari, reduce dalla grandiosa impresa della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze27: artista dalle spiccate ambizioni intellettuali, or-goglioso del prestigio accumulato in anni di lavori di primo piano realizzati a Roma e fuori di Roma, Zuccari non è certo arruolato con il semplice compito di eseguire affreschi privi di qualunque valore o significato che non sia l’illustrazione di un dato soggetto. Lo stesso discorso è valido per il lavoro svolto da Laureti nella volta della Sala di Costantino, dove la vertiginosa prospettiva è il capolavoro di un artista orgoglioso di mostrare la sua perizia in qualità di matematico28. A Muziano, certo il pittore prediletto dal pontefice, venne affi-dato un compito di eccezionale importanza, il rilancio della tecnica a mosaico, con la quale venne realizzata la decorazione della Cappella Gregoriana in San Pietro (1578–1580), cele-brata sia da Raffaele Borghini (1584) che da Baglione29. Questa scelta, dettata forse anche dal rapporto con il programma iconografico della Cappella, incentrato sulla raffigurazione di santi della Chiesa orientale, nel contesto dell’utopistico progetto di riavvicinamento di quest’ultima a Roma30, ebbe conseguenze di enorme portata: a San Pietro i mosaici avreb-bero finito per sostituire completamente le pitture tra Sei e Settecento.

Questa stagione pittorica, caratterizzata da sperimentalismo scientifico e tecnico, venne spazzata via da Sisto V. Il sostanziale disinteresse, da parte di Sisto V, verso i valori più pro-priamente estetici della produzione figurativa, era in qualche modo in continuità con quello di Pio V (1566–1572), sebbene il Peretti, al contrario del Ghislieri, attribuisse alle immagini un forte valore politico, religioso e propagandistico31. Allo stesso modo la straordinaria am-

27 Acidini Luchinat 1998–1999, II, pp. 122–123.28 È probabile che Laureti fosse chiamato a Roma da Gregorio XIII dietro suggerimento di Danti, che ne

apprezzava le qualità di pittore prospettico, tanto da menzionarlo più volte nel suo commentario a Le due re-gole della prospettiva pratica di Jacopo Vignola pubblicato a Roma nel 1583, cfr. Baglione 1642 (1995), II, p. 559. L’operato di Laureti alla guida dell’Accademia di San Luca venne così ricordato da Romano Alberti (1604, p. 77): «ne fece cosa alcuna sustanzievole per lo studio d’essa Academia, che alcuni pochi ragionamenti di Mattematica, di nulla, ò poca sustanzia alli studj nostri». Egli dipendeva evidentemente dalle opinioni dello stesso Zuccari 1607, II libro, p. 31: «Dirò bene che queste regole matematiche si devono lasciare a quelle scienze…ma noi altri Professori del Disegno non habbiamo bisogno di altre regole, che quelle che la natura stessa ne dà, per quella imitare.» Cfr. anche Baglione 1642 (1995), II, p. 563. Sul fervore delle ricerche pro-spettiche nella Roma di Gregorio XIII cfr. Kemp 1994, pp. 84–95 e Pierguidi 2002, pp. 438–439.

29 Tosini 2008, pp. 414–415.30 Tosini 2008, pp. 221 e 227–231; Sul revival del mosaico a Roma a fine secolo cfr. anche Robertson

1992, pp. 196 e 200.31 Sul mecenatismo di Pio V cfr. nota 54.

Fig. 4. tommaso laureti, Draghi gregoriani con gli attributi della

Giustizia, Palazzo apostolico, Sala di costantino

Fig. 5. tommaso laureti, Draghi gregoriani con gli attributi della

Fortezza (il leone sistino con l’arme Peretti in bocca) e con gli attributi della

Temperanza, Palazzo apostolico, Sala di costantino

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piezza del mecenatismo di Gregorio XIII si richiamava a quello di Pio IV Medici di Mari-gnano (1559–1565)32. Bernice Davidson ha scritto che Pio IV difettava del raffinato gusto e naturale istinto per le arti degli “autentici” pontefici Medici del pieno Rinascimento, Leone X e Clemente VII, e aveva finito per sacrificare la qualità alla velocità, all’economia e alla quantità33. Si potrebbe affermare che quel processo venne semplicemente portato alle ultime conseguenze da Gregorio XIII e Sisto V, ma è necessario fare dei distinguo ben precisi. Pio IV e Gregorio XIII, pur privilegiando la quantità rispetto alla qualità, affidarono comunque ad artisti di primo piano, o di riconosciuta esperienza, una serie di cantieri diversi in Vaticano, con l’obiettivo di portare a termine le imprese grandiose avviate all’inizio del secolo: le Logge da una parte, il Cortile del Belvedere dall’altra34. Da questo punto di vista la rottura con l’ope-rato di Gregorio XIII, da parte di Sisto V, fu ancora più netta di quella di Pio V nei confronti di Pio IV. Se il Ghislieri aveva comunque portato avanti i lavori nel cortile del Belvedere diretti da Pirro Ligorio e avviati sotto il suo predecessore35, Sisto V mise in atto quel progetto di profonda trasformazione del cortile che Pio V aveva maturato ma non aveva avuto l’ardire di realizzare. Il 26 marzo 1569 Niccolò Cusano scriveva preoccupato a Massimiliano II: «Di-cono che il Papa è entrato in humor di fare rovinar il theatro che fece Pio IV in Belvedere»36.

Il 13 maggio 1587 un avviso informava che «s’è dato principio a disfare le scale del te-atro di Pio 4° di Belvedere per fabricare in quel sito stanze per la libreria del Vaticano»37.

Veniva così cambiato per sempre il volto del cortile all’antica pensato e impostato da Donato Bramante: in anni che sembravano ormai lontani dai maggiori rigori della Contro-riforma, ovvero dagli anni di Paolo IV Carafa e dello stesso Pio V, Sisto V tornava a pren-dere decisamente le distanze dai pontefici del pieno Rinascimento che avevano valorizzato l’eredità della civiltà greco–romana in Vaticano. Si trattava, evidentemente, dello stesso atteggiamento che aveva portato Pio V a impoverire le collezioni di antichità raccolte dai suoi predecessori, con l’obiettivo di sgomberare il Vaticano da ogni ricordo del paganesi-mo38. Nel marzo del 1587, inoltre, Guerra e Nebbia vennero pagati per aver «ricoperto le parti vergognose alle figure della loggia delle cosmografie»39.

Si trattava del terzo piano delle Logge, la cui decorazione, avviata da Pio IV, era stata portata a termine sotto Gregorio XIII40. Il rigoroso Sisto V, quindi, ordinò un intervento censorio su affreschi che erano stati realizzati pochi anni prima, probabilmente già all’in-domani della chiusura del Concilio di Trento, e proprio nel Palazzo Apostolico Vaticano.

Nel corso del pontificato sistino non solo non venne avviata o realizzata nessuna im-presa pittorica di valore artistico paragonabile a quelle del pontificato precedente41, ma soprattutto, come sottolineato da Spezzaferro, ai pittori non venne più accordato alcuno spazio d’azione: non aveva quindi senso servirsi di un artista di qualità, piuttosto che di uno di limitato talento. Zuccari venne così lasciato partire per la Spagna, dove trascorse gran parte del quinquennio sistino42, e Laureti e Muziano furono presto licenziati43. I primi pittori chiamati a lavorare nei nuovi cantieri decorativi aperti nell’estate del 1586 furono i modesti e quasi oscuri Giovanni Paolo Severi e il già citato Guerra44. E in seguito i vari cicli della Scala Santa o del Palazzo Apostolico Vaticano non vennero affidati a soprintendenti diversi, come era stato al tempo di Gregorio XIII: un’unica, indistinta e indifferenziata équipe di pittori, diretta da Guerra, più un impresario che un pittore, e da Nebbia, che dobbiamo immaginare sempre affannato a realizzare disegni preparatori, coprì di affreschi, a tempo di record, un numero impressionante di metri quadri di superficie di pareti.

Non è forse possibile affermare che Gregorio XIII avesse dei gusti artistici precisamente definiti. È difficile infatti leggere nel passaggio del testimone dal bolognese Sabatini al lom-bardo Muziano un programmatico cambio di rotta del gusto ufficiale del pontefice, dall’e-clettica Maniera romano–emiliana del primo al severo e calibrato linguaggio sebastianesco del secondo45. La volta della Galleria delle Carte geografiche, infatti, opera di gusto profano, ripropone l’immagine di un Muziano specialista nella tecnica dello stucco, in grado di or-chestrare un complesso decorativo di straordinario fasto, quasi senza precedenti per ricchezza e vastità46. Ben diverso dalla volta della Galleria è, invece, il “freddo sfarzo” della Cappella Gregoriana in San Pietro47. Ma ognuna di queste realizzazioni si imponeva anche e prima di tutto in virtù di un valore specificatamente artistico, sebbene poi non fosse possibile ritro-

32 Sull’alternanza dei pontificati di Pio IV, Pio V, Gregorio XIII e Sisto V, e sui rapporti istituibili tra il primo e il terzo, e il secondo e il quarto, cfr. in particolare Ruffini 2005, p. 27. Sulla continuità tra Pio V e Sisto V cfr. anche Mandel 1993, pp. 9–13. Cfr. anche nota 54.

33 Davidson 1984, p. 383.34 Sulla storia della decorazione delle Logge cfr. Meadows–Rogers 1996; su quella del Cortile del Bel-

vedere cfr. Ackerman 1954. Anche il progetto della realizzazione di una galleria con carte geografiche era stato già elaborato al tempo di Pio IV: nel novembre del 1565, un mese prima della morte del pontefice, nei documenti d’archivio si parla della «descrittione dell’Italia nel corritor nuovo presso la Sala di Costantino» cfr. Davidson 1984, p. 388. Pure la decorazione della Sala Ducale, avviata sotto Pio IV, venne terminata al tempo di Gregorio XIII, dopo l’interruzione dei lavori sotto Pio V, cfr. De Strobel, Mancinelli 1992, p. 78.

35 Ackerman 1954, pp. 98–101.36 von Pastor 1924, pp. 78 e 611, n. 64.37 Ackerman 1954, p. 110.38 Haskell, Penny 1984, p. 34.39 Quednau 1979, p. 931.

40 L’aspetto sostanzialmente omogeneo della decorazione dei bracci di Pio IV e Gregorio XIII al se-condo e al terzo piano delle Logge ingannò già Cesare Ripa (cfr. Pierguidi 2002, p. 436), e non è possibile stabilire con certezza a quale braccio si riferisse l’intervento del 1587.

41 Anche da un punto di vista della storia dell’architettura, le maggiori imprese del pontificato sistino furono quelle, puramente ingegneristiche, di Domenico Fontana.

42 Acidini Luchinat 1998–1999, II, pp. 153–154 e 178.43 Certo Laureti ebbe la possibilità di terminare i suoi affreschi nella Sala di Costantino, e come Mu-

ziano continuò ad essere impiegato come stimatore (Bevilacqua 1993, p. 42; Tosini 2008, p. 279), ma resta il fatto, ben più significativo, che nessuno dei due ricevette commissioni ufficiali da parte del pontefice.

44 Bevilacqua 2008, p. 40; Pierguidi 2008, pp. 72–76.45 Tosini 2008, p. 215. È possibile, inoltre, che la mancata chiamata a Roma del bolognese Prospero

Fontana e gli incarichi assegnati a Muziano siano da leggere in relazione al malcontento dei pittori roma-ni, troppo trascurati fino ad allora da Gregorio XIII, cfr. Zapperi 1991, pp. 177–190.

46 Tosini 2008, p. 92.47 Tosini 2008, p. 223.

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varvi un minimo comun denominatore, poiché il registro stilistico cambiava a seconda del genere di opera da realizzare48. Nei cantieri pittorici sistini, al contrario, regna un’uniformità linguistica che non è davvero scelta consapevole, ma definitiva rinuncia all’espressione arti-stica. In passato si era parlato di una programmatica adozione di una sorta di sermo humilis49, ma quest’ultimo è in fondo il risultato naturale di una riduzione al grado zero della pittura cinquecentesca. I più giovani e promettenti tra gli artisti attivi in quei cantieri, Andrea Lilio e Ferraù Fenzoni ad esempio, vennero lasciati liberi di esprimersi, e a volte realizzarono opere di indubbio valore, che si discostano da quel tono uniforme che non è, appunto, preciso indirizzo stilistico, ma semplice incapacità da parte dei vari Paris Nogari e Giacomo Stella di sollevarsi da quella mediocrità che era perfettamente tollerata da Guerra e Nebbia, così come da Domenico Fontana e dallo stesso Sisto V50. L’imporsi della corrente baroccesca nei cantie-ri sistini è infatti fenomeno tutto interno allo sviluppo autonomo della pittura di fine secolo a Roma, non il risultato di una scelta da parte della committenza o dei direttori dei cantieri. Allo stesso modo le pratiche operative messe a punto da Muziano e Nebbia nella volta della Galleria delle Carte geografiche costituivano l’evoluzione di quelle inaugurate da Raffaello e dalla sua bottega all’inizio del secolo: sotto Sisto V questo fenomeno conobbe un ulteriore sviluppo, ma si trattava di un processo di lunga durata che, certo sempre stimolato dalla committenza papale, attraversa tutta la storia della pittura del Cinquecento romano, senza un rapporto preciso con il succedersi dei pontificati e delle loro diverse politiche artistiche51.

Il giudizio di Spezzaferro è stato rivisto dalla critica alla luce delle nuove e più appro-fondite ricerche svolte sulla produzione di età sistina. Secondo uno strano paradigma della ricerca storiografica duro a morire, qualunque avanzamento di conoscenza dovrebbe por-tare a ribaltare le interpretazioni precedentemente formulate o, peggio, ad un’automatica rivalutazione di opere e artisti prima trascurati o giudicati negativamente. Nel 1958 Ru-dolf Wittkower aveva scritto: «Gli affreschi della Biblioteca Vaticana, la cappella pontificia eretta dal Fontana in Santa Maria Maggiore e gli affreschi del transetto in San Giovanni in Laterano esemplificano bene la natura prosaica e la volgarità del gusto ufficiale sotto Sisto V e Clemente VIII». Ripresentando il volume nel 1993, e ricordando la memorabile mostra su Sisto V di quello stesso anno, Liliana Barroero commentava: «Risulterebbe anacronistico oggi stigmatizzare in questi termini tutta l’opera di Federico Zuccari, di Cristoforo Roncalli, di Federico Barocci e del Cavalier d’Arpino, tanto per fare solo i nomi di maggior presti-gio»52. Ma nessuno di quei nomi evocati aveva lavorato nei cantieri sistini. Oggi, rispetto

a cinquant’anni fa, è effettivamente più chiaro quanto diversa sia stata la cultura ufficiale del pontificato Peretti Montalto da quella del pontificato Boncompagni prima, e di quello Aldobrandini poi; ma sembra ancora difficile procedere a una rivalutazione della stagione artistica sistina. Claudio Strinati ha infatti sottolineato come tutti i maggiori pittori attivi a Roma tra il 1585 e il 1590 siano rimasti estranei all’attività dei cantieri papali aperti in quegli anni53. Niente di simile era o sarebbe accaduto all’epoca di Gregorio XIII e Clemente VIII. Persino l’intransigente Pio V, committente certo distratto e svogliato se paragonato al predecessore Pio IV, aveva pur sempre chiamato a lavorare in Vaticano e a Bosco Marengo un artista di indiscusso prestigio quale Giorgio Vasari54. Nei suoi pionieristici studi sul tardo Cinquecento romano, sempre Strinati aveva cercato di individuare le motivazioni culturali che avevano portato alla scelta di Guerra come capocantiere dei cicli pittorici sistini55, ma oggi sembra sempre più chiaro che il modenese si trovò a dirigere quelle imprese solo grazie al suo rapporto personale con Fontana e in virtù delle sue capacità di inventor iconografico56.

L’avversione di Sisto V nei confronti di Gregorio XIII si misura forse ancora meglio con l’allontanamento dai cantieri pontifici di Circignani. Quest’ultimo, a differenza di Muziano, Zuccari e Laureti, era prima di tutto un pittore facile e veloce che, come giusta-mente notava già Baglione, aveva proprio nella rapidità esecutiva la sua maggiore qualità: «Quest’huomo operò diverse cose per Roma, c’hora per brevità trapasso. Fu egli prattico Pittore, e gran lavori intraprendendo con molta prestezza, e con poca moneta li terminava sì, che da molte fatiche riportò poco guadagno»57.

Sempre Baglione, per solito puntuale e dettagliato, scriveva: «Fu buono, e prattico Pinto-re, e fece assai cose in quei tempi [nel pontificato di Gregorio XIII]; e però le più principali an-deremo raccontando, per non esser tedioso, et infastidire chi con tanta diligenza attende»58.

Nei primi anni Ottanta Circignani aveva realizzato, più o meno contemporaneamente ai lavori portati avanti in Vaticano per Gregorio XIII, i vasti cicli ad affresco raffiguranti scene di martirio dei santi di epoca paleocristiana in Santo Stefano Rotondo (1582), in San Tom-maso di Canterbury (1583–1584; perduti) e in Sant’Apollinare (ante 1586; perduti)59. Secon-do un avviso del 21 giugno 1589 lo stesso Sisto V, dopo aver visto le cruenti scene dipinte

48 Allo stesso modo, anche Giovanni Guerra avrebbe alternato diversi registri espressivi a seconda del compito da realizzare, cfr. Pierguidi 2008b, pp. 23–24 e 250.

49 Strinati, 1980, p. 25.50 Sui cicli sistini, e il contributo (tra gli altri) dei pittori qui menzionati, cfr. Zuccari 1992.51 Nel cantiere delle Logge di Leone X, quello che meglio prefigura le più tarde imprese di Pio IV,

Gregorio XIII e Sisto V, sembra che Raffaello si occupasse in prima persona della realizzazione di tutti i disegni preparatori, in passato a lungo attribuiti dalla critica a Giovanni Francesco Penni, cfr. Gnann 1999, schede alle pp. 156, 158, 160–162. Sulla questione della direzione dei cantieri pittorici romani al di fuori del Vaticano cfr. Pierguidi 2005, pp. 23–34.

52 Barroero 1993, p. XXXIV.

53 Strinati 2001, p. 64, nota 2; Pierguidi 2008b, pp. 43–44.54 Per le sculture della sua sepoltura a Bosco Marengo, però, Pio V si rivolse al modesto Giovanni

Antonio Buzzi da Viggiù, cfr. Ieni 1985, pp. 31–48; Sul confronto fra la committenza architettonica di Pio IV e Pio V (la prima molto più ampia della seconda), cfr. Repishti 2006, pp. 169–172; Sugli interventi di Pio V in Vaticano cfr. Serlupi Crescenzi 1992, pp. 147–148. L’episodio più illuminante del mecenatismo di Pio V rimane la commissione a Bartholomaeus Spranger di una copia dal Giudizio Universale di Beato Angelico, a conferma di un interesse tutto rivolto alle ragioni della fede a discapito di quelle estetiche, cfr. Zeri 1957, p. 61; Previtali 1964, p. 18; Cervini 2006, pp. 198–201.

55 Strinati 1980, pp. 22–24.56 Pierguidi 2008, pp. 71–72. Nel 1590 Fontana locò in enfiteusi a Guerra un terreno a Santa Maria

Maggiore donatogli l’anno precedente da Sisto V, cfr. Bevilacqua 2008, p. 323.57 Baglione 1642 (1995), I, p. 4258 Baglione 1642 (1995), I, p. 41.59 Baglione 1642 (1995), II, pp. 321–325.

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in Santo Stefano Rotondo, si sarebbe addirittura commosso: «[…] e fu vista Sua Beatitudine nel mirare quei spettacoli lacrimare un pezzo di tenerezza et più volte asciguarsi gli occhi»60.

Sebbene Circignani non lasciasse Roma negli anni del pontificato sistino, e anzi con-tinuasse a lavorare alacremente a cicli di carattere devozionale non troppo diversi, da un punto di vista linguistico, da quello commissionato da Sisto V alla Scala Santa61, egli non venne impiegato nei cantieri pittorici pontifici. Il perché di questa scelta è evidente. Po-marancio aveva infatti il torto di essere stato uno dei pittori ufficiali di Gregorio XIII, come riferiva il solito Baglione: «E medesimamente nel Pontificato di Gregorio XIII nella volta delle loggie, dal Pontefice fatte, altre storie condusse, et operò; e fu sopraintendente d’una parte della Galleria, che in quel tempo fabricavasi»62.

È probabile che Baglione si riferisse in realtà alla Torre dei Venti, che era parte inte-grante della Galleria delle Carte geografiche, la cui Sala della Meridiana venne decorata da Circignani su indicazioni di Danti (1580)63. Nelle Logge, peraltro, il Pomarancio non si limitò ad eseguire alcune scene delle volte al secondo piano (1576–1577)64, ma ebbe anche la direzione del cantiere del terzo piano (1582), come riferito da Carel van Mander (1574–1576 circa) nella vita del Cavalier d’Arpino: «Essendo capomastri o sopraintendenti di quei lavori un certo Nicolò Pomarancio ed un padre Ignazio [Danti]»65.

Circignani, insomma, era stato uno dei pittori ufficiali di Gregorio XIII, quasi al pari di Muziano e Laureti, e per nessuno dei tre ci sarebbe stato spazio nei cantieri sistini. La posizione di Nebbia era del tutto diversa, infatti era sì allievo di Muziano, e aveva lavorato alle sue dipendenze, in un ruolo chiave, alla Galleria delle Carte geografiche, ma non aveva rivestito la carica di sopraintendente, come specificava il sempre attento Baglione:

Il Mutiano se ne servì per la Galleria in Vaticano sotto Papa Gregorio xiii e molte cose di quelle historie vi dipinse, e con gran facilità fece molti disegni quivi messi in opera da quelli giovani, che facevano le pintura. Et ancora il Mutiano servissene nella cappella Gregoriana in molte cose, anzi egli diede fine al quadro di s. Basilio celebrante la Messa, dal Mutiano per cagione di morte lasciato imperfetto66.

Né Nebbia era stato responsabile in prima persona, come lo erano stati Zuccari e Laureti, di un’impresa pittorica gregoriana di primo piano. La sua chiamata da parte di Fontana alla direzione del cantiere pittorico della Cappella Sistina, quindi, non è in contraddizione con

quanto detto fin qui67. L’architetto ticinese, peraltro, aveva probabilmente cercato inizial-mente di fare a meno di tutti i pittori che avevano rivestito ruoli guida nei cantieri grego-riani, ma la necessità di portare avanti le colossali imprese pittoriche sistine lo costrinse ad arruolare almeno uno di loro68. A conferma della tesi qui proposta, si ricordi anche il caso del bolognese Ottaviano Nonni, detto il Mascherino, documentato a Roma dal 1574 e im-piegato da Gregorio XIII sia in veste di pittore (come quadraturista alle Logge e nella Sala di Bologna) sia in veste di architetto, prima come assistente di Martino Longhi il Vecchio, e poi come direttore dei cantieri pontifici. A lui si doveva sia la costruzione della Galleria delle Carte geografiche, con annessa Torre dei Venti, sia del nucleo più antico di quello che sarebbe divenuto il palazzo del Quirinale. Con l’elezione di Sisto V Mascherino venne immediatamente rimosso per lasciare spazio a Fontana, tornando a rivestire il ruolo di archi-tetto di palazzo subito dopo, nel 1591, sotto Innocenzo XI69. Proprio nella vita di Fontana, il solito Baglione non mancava, con toni eufemistici, di cogliere con esattezza l’improvvisa (e per molti drammatica) sostituzione dei capicantieri verificatasi con l’elezione di Sisto V:

Affrontò, per sua buona fortuna, che in quel tempo morì Gregorio xiii. e fu eletto sommo Pontefice il Cardinale F. Felice Peretti da Montalto, chiamato Papa Sisto v. Essaltò questi, come grato Principe, tutti li suoi amici, famigliari, e servidori, et al Fontana diede la carica di architettore principale di tutte le fabriche, che far si dovevano in quel Pontificato70.

Nel 1588, due anni dopo che Guerra, nella volta della Scala che in Vaticano conduce dalla Cappella Sistina a San Pietro, aveva affrescato per primo le imprese che hanno per pro-tagonista il leone sistino,71 usciva a Roma il Delle allusioni di Fabrizi, in cui il drago gregoriano ricompare, quasi ossessivamente, in ciascuno dei trecento emblemi. Ma a quell’epoca il leone Peretti, ancora tenuto in disparte dal suo antagonista in quel piccolo triangolo della volta della Sala di Costantino, si stava ormai prendendo un’ampia rivincita, con le sue imprese affrescate anche nei vasti cicli del Palazzo Lateranense e della Biblioteca Vaticana.

60 Su quest’episodio cfr. da ultimo Horsch 2005, pp. 65–92.61 Si pensi, in particolare, agli affreschi del chiostro di San Pietro in Montorio (1587–1590 circa), vero

manifesto di sermo humilis, eseguiti come quelli in Sant’Antonio Abate in collaborazione con Lombardel-li, cfr. Belardinelli 1991, pp. 131–146.

62 Baglione 1642 (1995), I, p. 41.63 Baglione 1642 (1995), II, p. 320; Courtright 2003, p. 70.64 Baglione 1642 (1995), II, p. 318.65 Vaes 1931, p. 196; Baglione 1642 (1995), II, p. 319.66 Baglione 1642 (1995), I, p. 116. Nebbia eseguì anche i disegni preparatori per gli affreschi delle Sale

dei Foconi (1578–1580 circa), realizzati dalla stessa équipe che aveva lavorato alle Logge sotto la direzione di Sabatini, morto nel 1576, Eitel Porter 1995, pp. 19–24; Eitel Porter 2009, pp. 63–68.

67 Né tantomeno lo era, per le stesse ragioni, quella di Antonio Scalvati, allievo di Laureti, cfr. Bevi-lacqua 1993, p. 42. Bevilacqua ha pubblicato un importante pagamento a Laureti per un Ritratto di Sisto V da parte del cardinal nepote Alessandro Peretti Montalto (Bevilacqua 1993, pp. 42 e 46, nota 76), ma è noto che questi, al contrario dello zio, fu un importante e munifico mecenate (cfr. almeno Pierguidi 2001, pp. 118–125, con bibliografia precedente, e Granata 2003, pp. 37–63). Il pagamento, inoltre, risale al 31 luglio 1591: a quella data Sisto V era morto da poco meno di un anno.

68 Pierguidi 2008, pp. 76–77.69 Baglione 1642 (1995), I, p. 99; Anselmi 1996, pp. 541–542. Un esempio simile, ma di segno opposto, è rappresentato dalla vicenda del cardinale Girolamo Ru-

sticucci, a cui era stato affidato il disbrigo degli affari al tempo di Pio V, e che dopo gli anni in disgrazia del pontificato di Gregorio XIII, tornò a rivestire la stessa carica sotto Sisto V, cfr. Pastor 1955b, X, p. 48.

70 Baglione 1642 (1995), I, p. 84.71 Pierguidi 2002, pp. 441–442; cfr. anche nota 4.

P.214 - riga 8:sul cartaceo la parola “xiii” (scritto in minuscolo)

era sottolineato a matita.È stato inteso come da rendere in maiuscolo.

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