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Centro Studi Medievali Università degli Studi di Parma
Fondazione Monte di Parma
Medioevo mediterraneo: l'Occidente, Bisanzio e l'Islam
Atti del Convegno internazionale di studi Parma, 21-25 settembre 2004
a cura di Arturo Carlo Quintavalle
Electa
Sommario
13 Racconti d'Oriente Arturo Carlo Quintavalle
57 "Byzantine Art and the West". Forty Years after the Athens Exhibition and Dumbarton Oaks Symposium Herbert L Kessler
73 Bisanzio: lo statuto dell'immagine Maria Andaloro
82 Lislam et l'Occident roman: quelques erreurs historiographiques Xavier Barrai i Altet
9 5 Dall'archeologia alla storia. Nuove evidenze per una rettifica di luoghi comuni riguardanti le province di Palestina e di Arabia nei secoli IV-VIII d.C. Michele Piccirillo
112 Chiesa e strada in epoca paleocristiana Beat Brenk
127 Le monde frane et l'Orient du VI' au lX' siècle ]ean-Pierre Caillet
139 Le maestranze greco-costantinopolitane a Roma nel VI secolo Eugenio Russo
153 Resafa nel VI secolo Marina Falla Caste/franchi
160 I marmi di Giustiniano: sectilia parietali nella Santa Sofia di Costantinopoli Alessandra Guiglia Guidobaldi
175 Larte a Roma attorno al 650: greci, orientali e romani Lourdes Diego Barrado
183 Limmagine di Cristo crocifisso tra Oriente e Occidente (secoli V-VIII) Fernando Galtier Marti
194 Fare immagini tra Occidente e Oriente: Claudio di Torino, Pasquale I e Leone V l'Armeno Antonella Ballardini
215 La questione bizantina in alcuni monumenti dell'Italia altomedievale: la "perizia grecà' nei "tempietti" di Cividale e del Climmno, Santa Maria foris ponas a Castelseprio e San Salvatore a Brescia, Santa Maria Antiqua a Roma Valentino Pace
224 Balneum!J:lamam: un inedito anatolico Gianclaudio Macchiarella
234 La Cappadoce aux VII'-lX' siècles: quelques nouveaux témoignages archéologiques Catherine jolivet-Lévy
243 La "orthographià' del Tempietto del Climnno Antonio Cadei
262 Il Mediterraneo "crocevià' e "crogiuolo" millenario di civiltà: la testimonianza della Sardegna Silvana Casartelli Novelli
273 I plutei di Sant'Aspreno a Napoli e la decorazione animalistica nella Campania medievale Francesco Gandolfo
282 Oriente eccentrico: provincia greca e Islam nella miniamra italomeridionale dell'alto Medioevo Giulia Orofino
294 Il chiostro e l'abbazia: insediamenti monastici nell'Italia altomedievale Pio Francesco Pistilli
304 Sculmra ad incrostazione di mastice: confronti fra la tecnica orientale e quella occidentale Fabio Coden
312 Le pitture dell'eremo di San Martino sul monte Acuziano: modelli greco-orientali agli albori dell'abbazia di Farfa Simone Piazza
321 Nuove osservazioni sui plutei di Santa Restituta a Napoli Giorgia Corso
332 La Koimesis bizantina di Miggiano (Lecce): iconografia e fonti limrgiche Manuela De Giorgi
341 "Érga chymeuta": icone a smalto dell'XI e XII secolo tra Bisanzio e l'Occidente Simona Moretti
351 Bisanzio e l'antico nell'Evangelistario di Nonantola Mariapia Branchi
360 Reliquie della Vera Croce in Puglia e Basilicata fra XI e XV secolo Sofia Di Sciascio
371 Segni epigrafici e sistemi illustrativi "alla grecà' nel mosaico di San Clemente a Roma Stefano Riccioni
381 Lantico in due edifici siriani medievali. La formazione dell'arte musulmana e il suo rapporto con l'antico: la Siria del XII secolo Mattia Guidetti
390 Visione e memoria dei Luoghi Santi. Testimonianze scritte e iconografiche in Puglia nel tardo Medioevo Giulia Civitano
397 Kanytella. Cristianizzazione e riuso dello spazio urbano in una città paleobizantina della Cilicia Antonio Iacobini, Mauro della Valle, Andrea Paribeni
420 Imparare dell'altro: il dialogo tra l'arte cristiana e al-Andalus Milagros Guardia
436 La scultura architettonica di epoca omayyade tra Bisanzio e la Persia sasanide: i capitelli di Qasr al-Muwaqqar in Giordania Claudia Barsanti
447 Orientai Presence and Medieval Art in Croatian Pannonia Vladimir P. Goss
456 Limitation des tissus "orientaux" dans l'art du Haut Moyen Àge et de l'époque romane. Témoignages et problématiques jacqueline Leclercq-Marx
470 Sarvistan e il mito dell'origine delle volte: Strzygowski, l'Iran e l'Occidente Giovanna Valenzano
477 Architettura tra Bisanzio e l'Islam, dagli Omayyadi ai Comneni: incroci e interazioni Alireza Naser Es/ami
489 Le formelle marmoree di Sorrento Roberto Coroneo
496 Arte e tecnologia bizantina nel Mediterraneo. Le porte bronzee dell'XI-XII secolo Antonio lacobini
511 Un problema di iconografia trinitaria tra Oriente e Occidente: l'affresco di Vallepietra e le immagini di Faras (Nubia). Convergenze poligenetiche o emergenze corradicali? Anna Maria D'Achille
525 Temi e luoghi di Manuele Comneno Maria Raffaella Menna
534 Stereotipi, metafore e pregiudizi nella rappresentazione di cristiani e musulmani in epoca crociata Gaetano Curzi
546 Nicholaus, la chevalerie e l'idea di crociata Arturo Carlo Quintavalle
569 Territorio, insediamenti, comunicazioni ai confini della "a Deo conservata Venetiarum provintià' Wladimiro Dorigo
579 Impronte mediterranee sul territorio della Puglia centrale. Il caso delle architetture monocellulari voltate in pietra in Terra di Bari Pina Belli D'Elia
590 L'Oriente immaginato nel mosaico di Otranto Manuel A. Castifieiras Gonzdlez
604 Oriente e Occidente a Bobbio Arturo Ca/zona
616 Scultura e plastica in San Fruttuoso di Capodimonte: un aggwrnamento Colette Dufour Bozzo
627 "Peritia grecà' e arte della Riforma: una proposta per il coro della cattedrale di Capua Francesco Aceto
637 Prede-reliquie-memorie d'Oltremare e la loro ricezione nella Toscana romanica Valerio Ascani
658 Impressioni bizantine nella pittura catalana del XIV secolo Rosa Alcoy i Pedros
677 L'Oriente in Occidente. Un caso veronese: le pitture di Santa Maria a Bonavigo Tiziana Franco
687 San Pietro e le meraviglie del creato Xenia Muratova
696 Friars on the Façade: The Franciscans and Gothic Sculpture ]ulian Gardner
Fare immagini tra Occidente e Oriente: Claudio di Torino, Pasquale I e Leone V l'Armeno*
Antonella Ballardini
Con Leone V l'Armeno, imperatore d'Oriente dall'813, l'Iconoclasma bizantino, sconfitto nel consesso ecumenico del secondo concilio di Nicea, ebbe una nuova ripresa.
Lo Scriptor incertus, denunciando l'atteggiamento provocatorio del basileus in fatto di culto delle immagini, ricorda come nell'815, in occasione della festa dell'Epifania, Leone V si fosse rifiutato ostentatamente di prostrarsi dinnanzi all'immagine della Natività rappresentata sulla veste d'altare della Santa Sofia1
• Sul finire di quello stesso anno, la nuova fase iconomaca fu sancita dal ristabilimento di gran parte dell' horos del concilio di Hieria (754), a conclusione del sinodo, convocato dall'imperatore nella Santa Sofia, al quale i vescovi fedeli al dettato niceno furono costretti a partecipare con la forza, maltrattati e poi imprigionati2
•
Un anno più tardi, ma questa volta in Occidente, alla guida della diocesi di Torino venne posto, per nomina imperiale carolingia, lo spagnolo Claudio, già maestro di Sacra Scrittura alla Scuola Palatina di Aquisgrana che, nel corso del suo ministero, avviò una sistematica lotta contro il culto delle immagini sacre3•
L atteggiamento intransigente del vescovo era connotato da implicazioni piuttosto ampie, estendendosi la sua condanna al culto della croce e delle reliquie, all'eliminazione dei nomi dei santi nelle celebrazioni liturgiche e allo scetticismo nei confronti dei pellegrinaggi ad limina Apostolorum. Considerato nel contesto politico e culturale di parte occidentale, l'aspetto più sconcertante del comportamento del vescovo Claudio è che il suo dissenso non si lasciava inquadrare nel più moderato e intellettualistico rifiuto degli eccessi nel culto delle immagini che alla corte palatina contava autorevoli ideologi, ma si era espresso in forma violenta, giungendo alla distruzione delle immagini e delle croci custodite negli edifici sacri di Torino.
Un eccesso inaudito per l'Occidente latino e in aperta antitesi con la tradizione della Chiesa di Roma e in particolare con la politica di Pasquale I, pontefice dall'817, che attraverso il ricorso alle immagini e al culto martiriale aveva dato avvio a una vera e propria strategia mediatica, promuovendo in soli sette anni di pontificato innumerevoli traslazioni di corpi santi dal suburbio e la realizzazione a Roma di centinaia di metri quadrati di decorazione musiva per edifici di culto di nuova o di rinnovata costruzioné.
Poste queste coordinate intendo ritornare su un tema al centro di alcuni studi recenti e recentissimi che hanno segnalato e discusso documenti e monumenti d'importanza rilevante per una valutazione della politica delle immagini a Roma all'avvio del secondo Iconoclasma bizantino e in parallelo al manifestarsi, in ambito franco, di orientamenti e di comportamenti in fatto di culto delle immagini non sempre in linea o nei limiti indicati dai teologi della corte palatina5•
In uno studio che alcuni anni fa dedicavo alla biografia di Pasquale I contenuta nel Liber Pontificalis, compendiavo l'opera di patronato del pontefice romano precisandone la cronologia sulla scorta delle indicazioni di metodo offerte da Herman Geertman6•
I primi quattro segmenti redazionali della biografia del pontefice, compresi tra la fine di gennaio 817 e l'agosto 820, documentano come Pasquale abbia avviato un programma monumentale che possiamo immaginare di eccezionale impatto sul tessuto urbano7.
Dopo aver fatto erigere in San Pietro l'altare di San Sisto e l'ora-
torio dei Santi Processo e Martiniana, quest'ultimo destinato a diventare il suo personale mausoleo8
, Pasquale I nell'arco di un triennio diede avvio ai cantieri che avrebbero rinnovato a fundamentis gli antichi tituli di Santa Prassede e di Santa Cecilia, rispettivamente sull'Esquilino e nel Trastevere e la diaconia posta sul Celio, che il Liber Pontificalis indica con una perifrasi che suona quasi un'invocazione: "ecclesia sanctae Dei genitricis semperque virginis Mariae dominae nostrae quae appellantur Dominicà'9 (figg. 1-3).
Dati i tempi di realizzazione, non è difficile immaginare che i tre cantieri abbiano funzionato come un'impresa a ciclo continuo, capace di organizzare in modo ottimale le risorse umane e di pianificare l'impiego dei ponteggi, dei macchinari per il sollevamento dei materiali e degli strumenti di lavoro, avvicendando nelle diverse fabbriche l'opera dell'architetto, dei maestri dell'arte muraria e quella dei decoratori, come i maestri del vetro e dello stucco, l'atelier dei pittori e dei frescanti, infine i maestri del mosaico 10
•
Penso in particolare ai magistri musearii attivi a Santa Prassede e a Santa Maria in Domnica, fabbriche portate avanti pressoché in tandem a partire dall' 818 11
• A Roma i cantieri del mosaico potevano contare su artisti che avevano un'esperienza ormai consolidata, maturata durante gli anni di pontificato di Leone III (795-816) sia nelle imprese decorative promosse da quel pontefice sia negli interventi di restauro di alcuni dei più importanti edifici paleocristiani dell'Urbe12 (figg. 4-5). Il confronto tra i caratteri morfologico-stilistici e i dati tecnico-esecutivi rilevati nel corso dei restauri più recenti dei mosaici leoniani e pascaliani hanno dimostrato la sostanziale continuità operativa dei maestri attivi a Roma tra la fine dell'VIII secolo e il primo quarto del IX. La scansione cronologica rilevabile nella struttura redazionale delle biografie del Liber Pontijìcalis conferma in effetti l'avvicendarsi, in uno stretto giro di anni, del cantiere dei Santi Nereo e Achilleo (concluso nell'estate 815) e di quelli di Santa Prassede e di Santa Maria in Domnica (attivi tra il settembre 817 e l'agosto 819) e finanche di giungere astimare la relativa rapidità di quelle imprese13 (figg. 6-7).
Indagando intorno all'uso delle immagini a Roma negli anni del pontificato di Pasquale I, la cronologia dei cantieri architettonici e decorativi - sulla quale insisto a precisare - acquista un peculiare significato, quando si allarghi lo sguardo all'orizzonte politico e religioso di Roma nel primo quarto del IX secolo, capace di accogliere in seno alla propria realtà, vettori culturali di un' ecumene mediterranea ancora mobile e dialogante. A ritroso nel tempo le testimonianze intorno alla realtà multiculturale e mediterranea dell'antica capitale e del suo mondo ecclesiastico costituiscono un orizzonte di ricerca di vivo interesse e tuttavia non semplice da precisare nelle sue concrete componenti14
• Le radicali linguistiche ora costantinopolitane ora "palestinesi" ravvisate di volta in volta nella produzione pittorica romana tra la metà del VI secolo e il IX15 e in parallelo l'indagine intorno all'identità etnica e culturale di alcune comunità monastiche urbane di quello stesso periodo16
hanno fatto luce su "presenze" di cui non si può non tenere conto, sebbene da un punto di vista storico-artistico siano esigue le possibilità di confronto con le realtà di partenza, del tutto perdute o non documentate a sufficienza17.
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Arlche a Roma il rapporto tra conservato e perduto penalizza in modo sconfortante la conoscenza di un patrimonio monumentale
l. Roma, Santa Prassede, mosaico absidale (da Ciampini 1693-1699, tav. XLVII)
2. Roma, Santa Maria in Domnica, mosaico absidale (da Ciampini 1693-1699, tav. XLIV)
3. Roma, Santa Cecilia in Trastevere, mosaico absidale (da Ciampini 1693-1699, tav. LI!)
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4. Roma, Triclinio Lateranense, mosaico absidale (da Ciampini 1693-1699, tav. XXXIX)
5. Roma, Santi Nereo e Achilleo, arco absidale (da Ciampini 1693-1699, tav. XXXVIII)
che, per limitarsi alla testimonianza delle fonti pontificali, doveva essere sorprendentemente ricco18
• In particolare la perdita di quei documenti figurativi "allogeni" rispetto alla tradizione romana, caratterizzati da modalità stilistico-formali e forse anche da una tradizione iconografica propria, impedisce di considerare come la "rinascita paleocristianà' patrocinata dai papi carolingi si sia affermata in un contesto culturale che accoglieva anche modi diversi di intendere l'immagine e la sua funzione cultuale in una fase storica
cruciale sotto questo aspetto. Di fatto le fonti altomedievali riferibili al culto delle immagini
nell'Urbe dimostrano come, a fronte di un costante orientamento iconofilo, la Chiesa di Roma non abbia mancato di svolgere un attento controllo sulla devozione popolare, non solo vincolando il culto di alcune immagini venerate a tempi festivi stabiliti e a riti collettivi19, ma imponendo preventivamente l'unzione con il crisma delle immagini offerte alla devozione e soprattutto riservando alle reliquie -la cui gestione era prerogativa strettamente ecclesiasticail posto privilegiato nella pratica cultuale20
• È tuttavia certo che anche a Roma esistessero immagini di culto di uso privato e che nell' aula liturgica le immagini avessero status e funzioni diversificate come la gamma di imagines, effigies, figurae, picturae e iconae- anche achiropite- nominate dal Liber Pontificalis lascia supporre21
•
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Riportando il fenomeno della cosiddetta rinascita paleocristiana alla complessità del contesto artistico e culturale della vecchia Roma
6. Roma, Santi Nereo e Achilleo, chiave dell'arco absidale
7. Roma, Santa Maria in Domnica, chiave dell'arco absidale
del principio del IX secolo, i monumenti musivi che ornano le nuove basiliche di Pasquale I non solo si pongono in una linea di continuità con il patronato artistico di Adriano I e di Leone III, già orientato al recupero dei modelli del passato, ma chiedono di essere valutati anche in relazione alla brusca inversione di tendenza, in fatto di culto delle immagini, imposta a Bisanzio da Leone V l'Armeno.
A Roma infatti l'iconoclasma ristabilito in Oriente non è un'eco lontana, ma una realtà drammatica, testimoniata dai religiosi greci riparati nei monasteri dell'antica capitale, oltre che una delicata questione diplomatica quando, negli ultimi mesi dell'817, il basileus invia a Roma un'ambasciata di laici ed ecclesiastici per guadagnare alla sua causa la Sede apostolica.
Ometto di riferire la vicenda, accuratamente ricostruita sulla base delle fonti documentarie da Venance Grumel alla fine degli anni cinquanta del Novecento e più volte ripetuta, nella sostanza invariata, fino all'ampio riepilogo con il quale Alia Englen, in un recente volume a più mani dedicato al Celio tra antichità ed età moderna, introduce alla traduzione annotata della lettera con la quale Pasquale I aveva dato una risposta all'iniziativa diplomatica dell'Armeno22
.
La lettera, scritta in greco, di cui si conserva la sola parte dogmatica in un manoscritto dell'Ambrosiana riferito al XIII-XIV secolo, è ormai comunemente riconosciuta come autentica, ritenendone senza dubbio plausibile l'elaborazione nella Roma del tempo23. Lepistola mostra inoltre di essere genuinamente greca anche nel contenuto, modulandosi in una serrata confutazione di proposizioni ostili al culto delle immagini che definiscono il tema di ventuno excerpta dogmatici nei quali l'argomentazione è condotta su un piano dottamente teologico, attingendo a piene mani alle Tre orazioni in difesa delle immagini di Giovanni Damasceno e ai testi di Teodoro Studita e del patriarca Niceforo24.
Dunque l'epistola IIaaxaÀ[ov mina 'PW!J,Y]ç ( ... ) JtQÒç Af:ov·ra 1:Òv ~a<JLÀÉa parla greco a un greco ed è comune opinione che la sua composizione sia avvenuta con il concorso di monaci ellenofoni accolti nei monasteri orientali dell'Urbe25. Tuttavia come può essere interpretata la scelta da parte della cancelleria apostolica di rispondere all'apologia iconomaca di un imperatore bizantino, per così dire "alla greca''? In passato già papa Gregorio II (715-731), natio ne romanus, si era rivolto al suo basileus con due lettere scritte direttamente in greco26. Anche in quel caso l'argomento in questione era il culto delle immagini, ma in quegli anni, segnati dall'egemonia di pontefici di estrazione orientale, è plausibile che la cancelleria pontificia fosse ancora in grado di produrre documenti in greco. Dossiers iconofili nutriti di autorità greche furono inoltre raccolti a Roma da Gregorio III in occasione del concilio riunitosi nel 731 a San Pietro e da Stefano III in occasione del concilio Lateranese del 769, ordinando una documentazione della quale si sarebbe giovato anche Adriano F 7• In linea con questa tradizione anche la replica di Pasquale I a Leone V l'Armeno faceva dunque ricorso al pensiero di quei padri orientali che, reagendo alla violenza iconoclasta, avevano creato e codificato una complessa teologia (e teoria) delle immagini. La risposta "greca'' del pontefice romano- che Thomas F. X. Noble non esita a definire "a rather brief an d pedestrian letter"28 - mirava dunque ad assicurarsi un' efficacia persuasiva, adeguandosi al livello dogmatico e teologico dell'argomentazione del suo interlocutore.
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Quale che fosse l'effetto prodotto dal documento pascaliano, è certo che nella seconda decade del IX secolo, gli scambi diplomatici tra Roma e Bisanzio in tema di culto delle immagini, riconfermano la Sede di Pietro su posizioni saldamente iconofile, nel mentre che papa Pasquale mostra di offrire un concreto sostegno alla comunità ellenofona di Roma affidando il monastero annesso alla rinnovata Santa Prassede a una congregazione maschile delegata al canto delle lodi in lingua greca29
•
Ma è sul piano dei monumenti iconografici che occorre mettere alla prova l'impegno iconofilo di Pasquale I contro le scelte iconoclaste della nuova Roma.
l documenti figurativi riferibili al patronato di papa Pasquale, pur indicati come esemplari della "rinascita paleocristianà' della Roma carolingia, sono stati più volte analizzati con l'intento di individuare nelle scelte iconografiche della committenza, una peculiare ricezione in seno alla tradizione romana di elementi figurativi ad essa estranei.
In questa prospettiva il sacello di San Zenone a Santa Prassede (fig. 8) è tra i monumenti pascaliani quello che maggiormente ha attirato l'attenzione degli studiosi allo scopo di distinguere nella sua decorazione musiva le tracce di una contaminazione con modelli dell'Oriente bizantino30• In effetti il piccolo edificio si qualifica come un autentico laboratorio di soluzioni compositive ordinate alla struttura cruciforme e voltata: in esso il ricco programma di immagini amplia il repertorio iconografico romano comprendendo la Deesis o temi quali l'Anastasis e la Trasfigurazione, questi ultimi comuni alle tradizioni sia orientale sia occidentale e qui formulati con caratteristiche schiettamente locali. Mi riferisco in particolare all'immagine dell'Anastasis che nel sacello fUnebre, costruito dal pontefice per la madre, figura nel piedritto interno all'arcosolio della defUnta: l'immagine dunque doveva vegliare su Teodora episcopa in attesa della resurrezione dei corpi (fig. 9). La rara variante iconografica dell'Anastasis pascaliana, che al Cristo nella mandorla sfolgorante accosta la figura di un angelo, non solo mostra di discendere da una peculiare tradizione testuale, ma rivela anche una libertà inventiva dell'artista che rappresenta alle spalle del Risorto l'avello dei re Davide e Salomone come un sarcofago paleocristiano strigilato, dello stesso tipo reimpiegato nella cripta di Santa Prassede per deporre le reliquie traslate dal suburbio per volere del pontefice31
. Allo stesso modo l'immagine della Trasfigurazione - anch'essa come l'Anastasis pervenuta incompleta - non accoglie la soluzione iconografica bizantina che nella mandorla luminosa avvolge il Cristo e i due profeti, ma in modo pianamente denotativo inquadra la teofania nel profilo irregolare del monte Tabor che, a causa della perduta integrità dell'immagine, facilmente si lascia scambiare per un alone di luce32 (fig. 10). La soluzione dell'imago clipeata con il busto di Cristo sorretto da quattro angeli al culmine della volta del sacello si spiega inoltre in seno alla tradizione romana attestata negli oratori lateranensi di papa Ilaro (461-468), sebbene al San Zenone le immagini simboliche dell' agnello o della croce siano sostituite dalla figura umana del Cristo che tiene tra le mani il rotolo33 (figg. 11-14). Per quello che è possibile valutare dalle testimonianze figurative pervenute, la sola immagine innovativa e di origine bizantina presente nel sacello è la Deesis che affianca l'unica finestra aperta sulla parete est dell' edi-
8. Roma, sacello di San Zenone presso Santa Prassede
9. Roma, sacello di San Zenone, Anastasis
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l O. Roma, sacello di San Zenone, Trasfìgurazione
Il. Roma, volta del sacello di San Zenone
12. Roma, battistero Lateranense, oratorio di San Giovanni Evangelista
13. Roma, battistero Lateranense, oratorio di San Giovanni Battista (da Ciampini 1693-1699, tav. LXXV)
14. Roma, battistero Lateranense, oratorio della Santa Croce (disegno di Giuliano da San Gallo, 1500 circa, da Andaloro 2006)
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ficio, la cui luce è "figura" del Cristo34 (fig. 15). Atteggiati nel gesto dell'intercessione sono qui rappresentati la Vergine e il Battista, quest'ultimo riconoscibile non solo per la fisionomia, ma anche per la croce astile che reca l'immagine dell'Agnello (fig. 16). ARoma il solo caso antecedente di Deesis è costituito da una pittura di Santa Maria An ti qua, databile ad un'epoca non anteriore al tempo di Martino I (647-658)35 • Questa occorrenza nella chiesa del Foro depone per l'origine bizantina del tipo iconografico della Deesis, che si sarebbe formato in Oriente in età post-giustinianea e poi diffuso nella forma canonica con il Battista atteggiato alla stessa maniera di Maria in particolare dopo il secondo concilio di Nicea "quando si promulgò la dottrina dell'intercessione dei santi e degli angeli"36. La comparsa della Deesis nel sacello di San Zenone si spiega dunque come effetto delle disposizioni nicene e in sintonia con la destinazione funeraria del sacello di Teodora episcopa la cui salvezza ultraterrena veniva affidata alla mediazione di Maria, del Battista e di tutti i santi e le sante presenti nel sacello con le loro reliquie o con le loro immagini (fig. 17).
Il problema è che, quando si cerchi di valutare la novità delle scelte iconografiche del sacello pascaliano e il suo grado di "permeabilità" alla cultura bizantina, ci si imbatte nella mancanza di confronti con la tradizione figurativa di parte orientale, interrotta o gravemente colpita dalla distruzione delle immagini perpetrata a più riprese, prima e dopo gli anni di pontificato di Pasquale I. Credo invece più opportuno considerare il programma figurativo del sacello di San Zenone come un testo complessivo, nel solco della tradizione romana e, come già proposto da Mackie, in rapporto alla sua peculiare funzione funeraria, il che non esclude, come si è
visto nel caso della Deesis, un' osmosi con la cultura orientale, coltivata nell'Urbe negli scriptoria dei monasteri greci i cui monaci, almeno dai tempi della delegazione romana al secondo concilio di Nicea, avevano avuto una parte attiva nel sostenere l'impegno iconofilo della Chiesa di Roma37.
Ma è al mosaico absidale di Santa Maria in Domnica (fig. 18) che intendo spostare l'attenzione, alla ricerca di un nesso tra il programma decorativo concepito per l'antica diaconia e gli orientamenti della Sede apostolica di Roma in fatto di immagini, circa l'anno 81838 .
Il catino absidale della chiesa celimontana rinnovata da Pasquale I propone l'immagine della Vergine Theotokos con il Bambino in grembo adorata dal pontefice: un soggetto che "sembrerebbe, allo stato delle nostre conoscenze, una creazione originale"39 • Perdute infatti le decorazioni musive originarie di Santa Maria Maggiore e di Santa Maria in Trastevere è impossibile valutare se il mosaico della diaconia del Celio si sia uniformato a un modello più antico o lo abbia in qualche modo modificato. Nonostante sia nota la lunga iscrizione che un tempo si leggeva nella controfacciata di Santa Maria Maggiore, non è sicuro che il catino absidale di quella basilica accogliesse un soggetto mariano e in quale forma. Vero è che il tema della Theotokos "ha un significato intrisecamente cristologico", in linea dunque con l'intero programma figurativo della basilica esquilina e con il dettato del concilio efesino del 431, da molti ritenuto all'origine della dedicazione della basilica da parte di Sisto III40 .
Quale che fosse il soggetto iconografico della teofania absidale
15. Roma, sacello di San Zenone, Deesis
16. Roma, sacello di San Zenone, Deesis, particolare
199
. i
17. Roma, sacello di San Zenone, Teodora episcopa, Vergine e due sante
18. Roma, Santa Maria in Domnica, mosaico absidale (da Caelius l, 2003)
19. Roma, Santa Maria in Domnica, mosaico absidale (da Caelius l, 2003)
nella prima basilica romana dedicata alla Vergine, è indiscutibile che il mosaico di Santa Maria in Domnica, per aver rappresentato nel fuoco dell'abside una dimensione devozionale eminentemente individuale, si distingue dalle soluzioni iconografiche absidali a noi note a Roma in età paleocristiana e altomedievalé1
.
Il mosaico infatti rappresenta la Vergine Theotokos, grande e in posizione perfettamente frontale, assisa sul trono gemmato e affiancata dalle schiere angeliche che atteggiano le mani nel gesto di preghiera; in subordine papa Pasquale, con il nimbo quadrato, si inginocchia in proskynesis sul prezioso tappeto dove è adagiato il trono e prende tra le mani la pantofola rossa della Vergine (fig. 19).
Alla fissità sospesa dell'immagine, accentuata dalla rigorosa costruzione simmetrica, fanno da contrappunto i nimbi degli angeli ai lati della Theotokos, campi ti d'oro nella prima fila e di azzurro sul fondo blu nei piani in profondità: una soluzione compositiva che, a distanza di oltre un secolo, ripropone, anche nelle sfumature turchine delle vesti bianche, nelle acconciature e nella gestualità, la grazia e l'eleganza soprannaturale delle corti angeliche nell'Adorazione della croce di Santa Maria Antiqua42 (fig. 20).
Tuttavia in questa atmosfera ultraterrena e in tanto ieratico distacco, il "dialogo" tra il pontefice e la Theotokos si anima e si fa inaspettatamente intimo. La Vergine infatti deroga alla sua iconica imperturbabilità e apre la destra per mostrare il Cristo bambino e per assicurare la protezione a Pasquale I intento a compiere nei suoi confronti l'atto di devozione che il concilio di Nicea II aveva riconosciuto idoneo al culto delle immagini sacre: l' osculum e l' honorabilis salutatio, ovvero i medesimi gesti che alla vigilia della ripresa dell'Iconodasma in Oriente erano stati pubblicamente disattesi da Leone V l'Armeno43•
Tra IV e V secolo, alle origini dell'arte monumentale cristiana, la figurazione absidale, per le tematiche epifaniche del contenuto, per i suoi materiali preziosi e durevoli e per l'ubicazione privilegiata nella topografia liturgica della basilica, si era qualificata come una "comunicazione di tipo pubblico" dell'esperienza teofanica, inaugurando una tradizione di temi e di modalità espressive di lunga durata nel corso del Medioevo44• Anche il patronato di Pasquale I contribuisce in modo determinante a riattualizzare l'immaginario paleocristiano e i suoi modelli, tuttavia con il mosaico di Santa Maria in Domnica prende forma un'iconografia inedita in ragione del fatto che l'icona della Theotokos è assunta come protagonista del fuoco absidale e i gesti della devozione individuale che il pontefice propone ai fedeli come un comportamento normativa divengono determinanti perché la teofania abbia luogo45 •
200
Che si tratti di una "verà' icona è confermato a distanza di secoli dalla ripresa dell'invenzione iconografica pascaliana nella perduta decorazione dell'oratorio di San Nicola al patriarchi o lateranense (1130-1134) avviata da Callisto II, ma portata a termine da quel "sottile conoscitore della tradizione figurativa e simbolica del papato romano" che fu l'antipapa Anacleto II46
, il quale nell'abside dell'oratorio, al centro di una affollata sceneggiatura ecclesiale, fece rappresentare l'icona della Madonna della Clemenza custodita a Santa Maria in Trastevere, sostituendo se stesso al pontefice che nella veneratissima tavola ad encausto si inginocchia in proskynesis per toccare il piede sinistro della Madonna Regina, aggiungendo in posizione speculare l'effige del predecessore Callisto II, anch'egli
20. Roma, Santa Maria Antiqua, arco absidale, Schiere di angeli (da Romanelli-Nordhagen 1964)
21. Roma, Oratorio di San Nicola al Patriarchio Lateranense (disegno di A. Eclissi 1630-44 circa, da Osborne-Claridge 1996)
genuflesso e con il piede destro della Vergine tra le mani47 (fig. 21). Le immagini absidali di Pasquale I e di Anacleto II, create con
motivazioni ideologiche e in circostanze storico-politiche tra loro molto diverse, attestano tuttavia in ambito romano la secolare continuità dei gesti di devozione nei confronti delle immagini sacre, la stessa appassionata devozione che alla fine del X secolo anima anche i monaci della Reichenau i quali di fronte all'immagine della Theotokos con il Bambino, fatta dipingere su un muro della chiesa dall'abate Witigovo, si prostrano sui gradini dell'altare e "orando tangunt, ac sancta per oscula lambunt"48
.
Dunque a Roma, per tutta risposta alla politica iconoclasta che in Oriente aveva preso nuovamente corso, nel catino absidale della chiesa del Celio dedicata alla Vergine Maria è lo stesso pontefice romano a mostrare quale dovesse essere la devozione da riservare alle immagini sacre.
Che il messaggio fosse consapevolmente fondato su una teologia dell'immagine che, dagli ultimi decenni dell'VIII secolo, aveva avuto una diffusione anche nell'Occidente latino attraverso la pur difettosa traduzione degli atti di Nicea II, si ricava dal testo iconografico complessivo dei mosaici di Santa Maria in Domnica che si estendevano anche all'arco absidale.
È noto come il nesso tra il dogma dell'Incarnazione e la teologia dell'immagine sia centrale nella riflessione dei padri iconoduli del primo e del secondo iconoclasma e costituisse già il nodo dottrinale sul quale si fondava il canone 82 del Concilio costantinopolitano "in Trullo" (691-692) che, tra le disposizioni conciliari ecumeniche, è la prima a inaugurare una riflessione sulla teologia dell'icona. Con questa disposizione infatti era stata interdetta ai pittori la rappresentazione di Giovanni Battista nell'atto di indicare il Verbo nelle forme dell'agnello, preferendo nelle immagini la sua raffigurazione antropomorfa - xa:tà 1:Òv av8gwmvov xagaxcfiga - affinché "la perfezione possa essere rappresentata sotto gli occhi di tutti, persino nelle pitture" e fosse possibile rammentare la "vita nella carne del Logos" "la sua passione e morte salvifica e la sua redenzione che di lì è derivata al mondo"49
•
La ricezione a Roma del canone 82, così come di altre disposizioni del concilio Trullano che ledevano le prerogative primaziali del papa o erano contrarie alla disciplina romana del clero, è un problema delicato che ebbe lunghi strascichi nelle relazioni diplomatiche tra l'Impero e la Sede apostolica50 • Papa Sergio I ( 687-701) aveva infatti rifiutato di sottoscrivere i canoni conciliari, inficiandone così il valore ecumenico e, forse per ribadire il dissenso romano nei confronti delle disposizioni costantinopolitane, aveva introdotto nella liturgia della .fractio panis l'antifona dell'Agnus Dei51 . Più difficile è invece dimostrare che anche attraverso delle peculiari scelte iconografiche Sergio I avesse inteso contestare il canone 82: in effetti i dati materiali e tecnico-esecutivi emersi nel corso del restauro dell'arco absidale dei Santi Cosma e Damiano hanno smentito l'ipotesi di Guglielmo Matthiae che aveva posticipato a Sergio I l'adorazione dell'Agnello nella chiave dell'arco52•
Allo stesso modo gli studi più recenti hanno respinto la proposta di Hartmann Grisar che pubblicando un foglio del Codice Farfense (Windsor, Eton College, Cod. 124, fol. 122r) nel quale è raffigurata la facciata della basilica Vaticana, interpretò l'imago clipeata dell'agnello che domina il tema apocalittico dell'antica decora-
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22. Santa Maria in Domnica, arco absidale (da Ciampini 1693-99, tav. XLIII)
23. Santa Maria in Domnica, arco absidale, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista (da Caelius I, 2003)
"'
24. Roma, Santa Susanna, arco cuspidato, Agnus Dei tra i due san Giovanni (da Andaloro 2001)
25. Lastra .frammentaria con Agnello crucigero da Mola di Monte Gelato (da Il Futuro dei Longobardi, 2000)
zione come il frutto di un'interpolazione operata da Sergio I del mosaico di Leone Magno 53•
Credo invece che a distanza di oltre centoventicinque anni, in circostanze storiche e politiche affatto mutate, proprio nell'arco absidale di Santa Maria in Domnica si sia tenuto conto deliberatamente del canone 82 che, in ragione della sua sostanza dottrinale, forniva uno dei migliori argomenti iconofili da contrapporre, come un manifesto programmatico, alla rinnovata svolta iconoclasta dell'impero d'Oriente.
La lettura sintattica degli archi absidali delle basiliche romane stabilisce di norma una triangolazione tra le figurazioni nei pennacchi e quelle poste nella chiave dell'arco. Anche a Santa Maria in Domnica i personaggi con la destra levata, posti alla base dell' arco absidale, sono visivamente ordinati alla mandorla luminosa del Cristo cosmocrator al vertice del triangolo (fig. 22).
I personaggi in questione non sono identificati né da leggende
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26. Roma, Titulus Equitii!San Martino ai Monti, arco con Agnus Dei tra i due San Giovanni (acquerello Wilpert- Tabanelli)
27 Roma, San Lorenzo foori le Mura, arco con Agnus Dei tra i due San Giovanni, cromolitografia di Virginio Vespignani (BIASA, Roma, XI 45. III, da Andaloro 2006)
né da cartigli che, citando versetti dalle Scritture, certifichino l'identità di chi li esibisce, come per esempio accade in alcuni archi absidali romani di XII secolo.
Nel tempo i due personaggi dell'arco di Santa Maria in Domnica sono stati genericamente identificati con immagini di profeti o più puntualmente con Giovanni Battista nel pennacchio di sinistra e Giovanni Evangelista nel pennacchio di destra54 (fig. 23). Un argomento a favore di questa interpretazione è fornito dal confronto con alcuni testi figurativi di poco anteriori che, in uno stretto giro di anni, intercettano una questione iconografica e dottrinale di primaria importanza, alla vigilia della celebrazione del concilio di Nicea II e del riavvicinamento della Sede apostolica alla corte di Bisanzio che si stava per "riconciliare" con il culto delle immagmL
Si tratta appunto della spinosa "questione della latitanza o meno della figura dell'agnello nella pittura romana dell'VIII secolo"
interpretata ora come adesione ora come rifiuto del canone 82 da parte della Sede apostolica in risposta alle alterne vicende della crisi iconoclasta in Oriente55 •
Maria An dal oro ha dimostrato come nella catena dei documenti iconografici, di cui tra poco dirò, la recente scoperta degli affreschi di Santa Susanna (1991), rinvenuti accuratamente deposti in frammenti all'interno di un sarcofago sotto le fondamenta della basilica riedificata nell'anno 80056, COStituisca un documento decisivo per ricomporre una "delicatissima rete iconografica" che si stringe nello spazio di un lustro, tra il 775 e il 780 (fig. 24). Alle pitture di Santa Susanna infatti si ricollegano per iconografia e per cronologia la lastra frammentaria proveniente dall'insediamento agricolo di Monte Gelato, dipendenza della domusculta adrianea di Capracorum (775) (fig. 25) 57; la decorazione dell'arco dell'ambiente M della "sala a sei vani" /Titulus Equitii, ai Santi Silvestro-San Martino ai Monti (778-79) (fig. 26) 58 e l'arco cuspidato, forse anch' esso di età adrianea, di San Lorenzo fuori le Mura, documentato da Virginio Vespignani (BIASA, Roma, Xl. 45.III) prima che si desse luogo alla sistemazione in "stile Pio IX" del nartece della basilica pelagiana (fig. 27)59•
La lastra frammentaria con l'Agnello di Monte Gelato, un tempo crucigero e affiancato dalle lettere apocalittiche, per il formato quadrangolare e per la singolare figurazione, apparteneva forse ad un altare o anche a un pluteo collocato ai lati del varco presbiteriale di una recizione, così come è stato recentemente ipotizzato per la lastra figurata rinvenuta a San Giovanni di Mustair, fondazione monastica carolingia del 774 circa, che presenta un'iconografia di grande interesse per l'argomento che qui si tratta (fig. 28). Il pluteo infatti ha il campo rettangolare quadripartito da una croce con l'agnello crucigero inscritto in un grande medaglione, benedetto dalla dextera domini e adorato da tre angeli e da San Giovanni Battista. Il Precursore, ammantato di pelli di capra, stringe nella mano sinistra una piccola imago clipeata con l'Agnello e indica con il rotulo che tiene nella destra l'Agnus Dei al centro della crocé0
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Gli altri documenti pittorici qui citati mostrano tra loro una sorprendente corrispondenza compositiva pensata per una struttura ad arco e, almeno in due casi, anche una puntuale coincidenza paleografica, lessicale e testuale, per quanto attiene le iscrizioni che accompagnano le figure del Battista e di San Giovanni Evangelista poste rispettivamente nei pennacchi di sinistra e di destra dell'arco nella cui chiave è dipinto il clipeo con l' agnello61 •
Rinvio allo studio di Andaloro per ogni approfondimento62 e mi limito ad osservare come in ognuno dei documenti in esame l'immagine simbolica dell'AgnelloNerbo incarnato indicato dai due Giovanni e dalle corrispondenti glosse evangeliche, abbia un rapporto di contiguità più o meno stretto con l'immagine della Theotokos o di Maria Regina: si vedano ai Santi Silvestro-Martino ai Monti la Theotokos tra sante sempre nella "sala a sei vani" /Titulus Equitii (fig. 29)63
; a Santa Susanna la Maria Regina ancora tra due sante martiri (fig. 30); infine a San Lorenzo f.l.m il clipeo della Theotokos tra due santi diaconi nel sott' arco del perduto arco cupidato e i dipinti murali della nicchia corrispondente con Maria Regina e il Bambino tra sante e santi (fig. 31)64•
Non si può inoltre trascurare la forte connotazione apocalittica
28. Mustair, abbazia di San Giovanni, lastra frammentaria con Agnus Dei, il Battista e tre angeli (per la cortesia di K Roth-Rubi)
che il testo compositivo riceve dall'attributo del rotolo dei sette sigilli posto tra le zampette dell'agnello nelle pitture adrianee o dalle lettere apocalittiche nel caso dell'agnello di Monte Gelato, attributi che confermano la marca schiettamente romana dell'invenzione iconografica fondata sulla tradizione paleocristiana e forse su un rinnovato interesse per il libro dell'Apocalisse che solo pochi anni prima aveva ricevuto un nuovo e importante commento in dieci libri da Ambrogio Autperto (t 784), monaco e abate di San Vincenzo al Volturno che per la sua impresa esegetica si procurò l'approvazione di papa Stefano III (768-772) 65 •
Tornando a Santa Maria in Domnica, il testo complessivo del catino con l'icona della Theotokos e dell'arco absidale con i due Giovanni che indicano il Cosmocrator rende dunque visibile xcnà tòv av8gwmvov xagaxtfjga la teofania del Verbo, ribadendo inoltre, con un accento ecclesiologico, il mandato universale, apostolico e romano, affidato ai corfèi degli apostoli Pietro e Paolo che nell'attico affiancano il Cristo scortato dagli angeli (fig. 18).
Lomissione nell'arco absidale delle parole "profetiche" dei due Giovanni si potrebbe spiegare per l'adattamento all'inedita scala monumentale dello schema iconografico - modificato anche in senso figurativo - del modello adrianeo "con l'agnello". Escludo però che si possa trattare di un'omissione derivata da un indebolimento del testo iconografico originario. Penso piuttosto che il mancato riconoscimento dei due Giovanni si debba imputare a un nostro difetto di comprensione, indotto non solo dalla perdita della maggior parte delle connessioni e dei rinvii interni ad un patri-
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29. Roma, Titulus Equitii!San Martino ai Monti, Theotokos tra sante (da Andaloro 2006)
30. Roma, Santa Susanna, Maria Regina tra sante (da Andaloro 2001)
31. Roma, San Lorenzo fuori le Mura, Maria Regina tra sante e santi, cromolitografia di Virginio Vespignani (BIASA, Roma, XI. 45. !IL da Andaloro 2006)
monio figurativo giunto noi a frammenti, ma in particolare alla nostra limitata familiarità con le Scritture. A questo proposito trascrivo di seguito un passo dal commentario dell'Apocalisse dell'appena citato Ambrogio Autperto che per un curioso rinvio incrociato con il mio discorso ha un'evidenza davvero rappresentativa: "Et quis ille [Agnus] est, utique exponi opus non est, qui omnibus fidelibus notis est. Ille quippe est de quo Iohannes Baptista protestatus est dicens: Ecce Agnus Dei qui tollit peccata mundi. Et de quo per Esaiam dicitur: Sicut agnus coram tondente se foit sine voce, sic non aperuit os suum. Quem etiam Iohannes Evangelista, propter totius mundi sacrificium atque ipsius innocentiam commendandam, frequenter in hac Apocalypsi inculcat"66 .
La domanda indiretta di Ambrogio si riferisce qui al simbolo dell'Agnello, ma a nostra volta potremmo rovesciare il quesito interrogandoci sull'identità dei due personaggi che indicano il Verbo incarnato nel nostro mosaico.
Soccorre però anche un dato, più difficilmente controvertibile, che attiene alla fortissima tipizzazione fisiognomica dei personaggi, peculiare dell'intero repertorio dei mosaici pascaliani e che nel caso specifico di Santa Maria in Domnica si sposa con un codice espressivo che di proposito privilegia l'immagine antropomorfa67.
Questa tipizzazione non pare essere semplicemente la conseguenza di una prassi operativa maturata in cantieri tanto ravvicinati, ma un effetto volontariamente ricercato tanto, ad esempio, da rendere impossibile la confusione tra l'immagine di Giovanni Battista dell'arco celimontano, giovane e bruno, con quella del profeta Elia, raffigurato anziano e canuto sia nella Trasfigurazione di San Zenone, sia nella Gerusalemme nuova di Santa Prassede (figg. 10, 32) 68 .
Osservo infine che, se il "manifesto iconofilo" di Santa Maria in Domnica affida programmaticamente alle immagini del Cristo e della Theotokos, degli angeli e degli apostoli la fedeltà della Chiesa di Roma al dettato di Nicea II, guardando ai programmi figurativi pascaliani nel loro complesso, il repertorio dei simboli della lunga tradizione figurativa romana di marca apocalittica, continua a essere vitale e riconoscibile come sigla distintiva della ripresa paleocristiana che con Pasquale I attinge uno degli apici più consapevoli69.
Pertanto 1:4.gnus Dei continua a vivere come simbolo del Cristo, non solo nei programmi figurativi ispirati con sicurezza ai modelli del passato, ma anche in monumenti "originali" come il sacelio di San Zenone che mostra di accogliere una varietà di soluzioni iconografiche innovative, anche di marca bizantina, ordinate al testo figurativo d'insieme che, in modo suggestivo, è stato definito "a prayer for salvation"70. Così accanto al Cristo dell'imago clipeata al centro della volta, o al Cristo della Trasfigurazione, o a quello dell'Anastasis, ricorre non solo l'Agnello sul monte di quattro fiumi ma, nella Deesis, anche l'Agnus Dei della croce astile portata dal Battista (figg. 9, 10, 11, 16, 33).
Dunque il sostegno incondizionato di Pasquale I all'immagine e al suo culto che, nel caso specifico di Santa Maria in Domnica, si traduce nel ricorso esclusivo alla forma antropomorfa, si esprime a tutto campo quando viene data realizzazione a nuovi programmi figurativi, nei quali gli antichi simboli paleocristiani continuano a vivere in sceneggiature sempre più affollate di angeli e di santi.
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r
F il g a n a o
32. Roma, Santa Prassede, Gerusalemme nuova
In questa prospettiva di continuità e di sviluppo creativo dei modelli del passato, la strategia mediatica di Pasquale I acquista un'ulteriore e più forte connotazione iconofila, se valutata alla luce e in sintonia con il pensiero espresso da papa Adriano I nella celebre lettera ad Carulum regem (793).
In essa i monumenti figurativi delle basiliche romane patrocinati dai pontefici dall'età costantiniana fino al principio del VII secolo (Gregorio Magno), costituiscono la prova concreta e l'argomento conclusivo della vigorosa apologia di Nicea II, con la quale papa Adriano aveva risposto, punto per punto, alla dure critiche mosse dal re Carlo nel perduto Capitulare contra synodum71
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E proprio tra le file carolingie in Occidente è dato imbattersi in posizioni oltranziste in fatto di culto delle immagini che, con intensità e modalità diverse, intesero reagire alla ferma svolta iconodula concertata a Nicea tra Roma e Bisanzio.
È noto come la risposta della corte franca sia stata formalizzata ufficialmente con l'estensione, a cura di Teodulfo d'Orléans e di altri intellettuali pala tini, dell' Opus Caro li regis contra synodum alias i Libri Carolini (790-793) 72
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All'origine del radicalizzarsi del dibattito sul culto delle immagini tra Roma e Aquisgrana c'era la traduzione latina degli atti di Nicea II, realizzata a Roma verso il 788, nella quale erano state maldestramente confuse nell'unico termine di adoratio la venerazione (ngoa1-C)'V110Lt;) da indirizzare alle immagini e l'adorazione (Àcngda) da riservare esclusivamente a Dio73 .
Ancora ai tempi di Ludovico il Pio perdurava il malinteso generato dalla difettosa traduzione che verrà emendata solo decenni più tardi da Anastasio Bibliotecario (873). Dunque tra il primo e il secondo quarto del IX secolo, la posizione dei vescovi franchi riguardo al culto dell'immagine permaneva tra il prudente e l'ostile, anche se segnali di una minor intransigenza annunciavano un nuovo corso e un avvicinamento alle posizioni romane anche tra gli intellettuali di corte74
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Tra 1'816 e 1'828 è in particolare lo spagnolo Claudio- che per la sua opposizione attiva e violenta al culto delle immagini si guadagnerà l'epiteto di Iconoclasta - a mantenere, senza cedimenti, la linea più "durà' e radicale, contestando nel pratica del culto ogni forma di mediazione con Dio75 .
Personalità incredibilmente energica e leale con il suo imperatore, Claudio nell'816 diviene, per nomina di Ludovico il Pio, vescovo della diocesi di Torino. Da presule si divide instancabilmente tra l'opera pastorale - con uno zelo che non verrà disconosciuto nemmeno dai suoi detrattori- e l'attività di commentatore dell'Antico e del Nuovo Testamento che già nell'814 gli era valso il titolo di primo esegeta presso la schola Palatii. La fedeltà all'impero lo portò ad assumersi oneri anche militari nella Liguria colpita dalle incursioni saracene, un impegno che lo stesso Claudio ricorda nei suoi scritti rievocando l'alternarsi delle veglie notturne tenens gladium e dei giorni trascorsi nello studio delle Scritture76
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Proprio la lealtà, mai venuta meno, nei confronti dell'imperatore doveva aver messo al riparo Claudio da un richiamo ufficiale allorquando, divenuto vescovo, egli ispira la sua pratica pastorale a un rigorismo che nella diocesi torinese doveva aver avuto una cattiva accoglienza. Solo nell'825, a fronte della professione iconofoba che Claudio affida all'Apologeticum adversum Theutmirum abbatem, la corte palatina prende posizione per condannare un comportamento eccessivo e imprudente che, dopo il rimprovero indirizzato al presule torinese da papa Pasquale I, si era trasformato in un problema imbarazzante la cui fama era dilagata "dall'Italia, per tutte le Gallie fino ai confini della Spagnà'77.
rApologeticum aveva come destinatario l'abate Teodemiro di Psalmody, già corrispondente di Claudio e ora suo accusatore presso la corte. Del testo che sappiamo lungo quanto il libro dei Salmi et quinquaginta salmi plus rimane solo un'epitome di quattordici capitoli, compilata da un anonimo excerptor e destinata al commento e al giudizio di Giona d'Orléans e di Dungal di Pavia78•
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. l
Pur tenendo conto della tendenziosità della selezione dei passi e dell'ampiezza degli omissis, quel che rimane dell'Apologeticum documenta una singolare riflessione intorno alle forme di mediazione nell'esperienza del sacro, maturata in parallelo, ma su posizioni antitetiche, all'impegno frenetico speso a Roma da Pasquale I nel rilancio del culto martiriale e nella promozione a tutto campo dell'immagine sacra79•
Rinvio allo studio di Pascal Boulhol per l'analisi critica degli excerpta che, segnalando il ricorso ai luoghi delle Scritture o richiamando alcuni brani "originali" dell'opera esegetica - per la verità eminentemente compilativa- del vescovo di Torino, restituisce alle parole dell'Apologeticum un po' del loro senso complessivo e al pensiero retrogrado di Claudio il nesso con una ben documentabile tradizione culturale80
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Per parte mia, da un punto di vista "romano", mi limito a rilevare l'anacronismo e la radicale eccentricità del pensiero del vescovo di Torino per cogliere, nel contrasto, il cambiamento intervenuto nel costume della Chiesa di Roma che, dai tempi di Gregorio Magno, aveva decisamente ampliato le sue idee in fatto di culto delle immagini.
Nella sua autodifesa Claudio rivendica l'ortodossia del suo pensiero e del suo comportamento pastorale e smentisce di aver mai predicato contro le regole della fede cattolica, individuando il motivo che aveva scatenato le "stupide dicerie" sul suo conto nel fatto che, appena divenuto vescovo di Torino e avendo trovato tutte le basiliche della città piene di ex voto e di immagini (sordibus anathematum et imaginibus), egli si era dato a distruggerle personalmente, guadagnandosi gli insulti e rischiando illinciaggio da parte dei suoi diocesani81
•
La liceità dell'immagine sacra è negata da Claudio nel secondo excerptum che cita apoditticamente la seconda prescrizione del Decalogo (Es 20, 4-5), ovvero il tradizionale fondamento dell'aniconismo ebraico.
Nel terzo excerptum, il vescovo di Torino afferma che non vi è differenza tra i cristiani che venerano le immagini e gli idolatri pagani: le immagini "disegnate o dipinte su un muro" sia che rappresentino i santi Pietro e Paolo, Giove, Saturno o Mercurio sono in ogni caso vane, se infatti "cambiano i nomi", l'errore è tuttavia lo stesso. Un'affermazione che, senza un riferimento esplicito, pare screditare le riflessioni dei padri niceni che vedevano nell'apposizione del nome alle immagini sacre la garanzia di una loro corrispondenza con il prototipo82
• Dunque per Claudio l'immagine ha una sola dimensione, quella materiale e, in quanto figmentum, è per definizione fallace, rivelando un "residuo" platonico nella concezione dell'immagine del vescovo torinese che nel quarto excerptum si traduce cristianamente nelle parole di Rm l, 25: "Ed essi hanno venerato e servito la creatura piuttosto che il creatore".
Ma ancora nel terzo frammento, il filo del ragionamento di Claudio compie un interessante "salto". Il passo è il seguente: "Certe si adorandi fuisset homines (== i santi), vivi potius quam mortui adorandi esse debuerunt, id est, ubi similitudinem Dei habent, non ubi pecorum, vel, quod verius est, lapidum vel lignorum, vita sensu et ratione carentem".
Qui il vescovo iconoclasta cita, come in molti altri luoghi dell'Apologeticum, Agobardo di Lione, ma del testo originario modi-
fica una parola, sostituendo il termine picti- impiegato da Agobardo per indicare le immagini dei santi - con mortui. Linterpolazione è concettualmente efficace perché, giocando sull'ambiguità, pone sullo stesso piano materiale vita sensu et ratione carentem le immagini sacre, fatte di pietra o di legno, e i corpi privi di vita degli stessi santi (mortui), orientando l'apologia verso una condanna incondizionata di ogni forma di mediazione tra l'uomo e Dio83.
Il quinto excerptum cita Cipriano e riferisce al culto cristiano una pratica idolatrica pagana nella quale, grazie all'efficacia rappresentativa della citazione, riconosciamo l' honorabilis salutatio/ngoax)rv'Y]GLç che Nicea II aveva dichiarato lecita, anzi dovuta alle immagini sacre: "Quid te ad falsas imagines humilias et inclinas? Quid ante inepta simulacra et figmenta terrena captivum corpus . ì" 1ncurvas ..
Un altro passaggio spinoso, dal punto di vista dell'ortodossia, è quello affrontato negli excerpta sesto e ottavo che contestano il culto della croce. A questo proposito Claudio rimprovera agli adoratori della croce picta e figurata di non andare oltre alla contemplazione dell'ignominia della Passione, assimilandosi così agli empi, ebrei e pagani, che non hanno creduto nella resurrezione. Se dunque per gli iconoduli di ogni tempo l'incarnazione, testimoniata dalla passione del Signore, era il mistero fondante l' ontologia stessa dell'immagine sacra, per Claudio il mistero della resurrezione ne era il superamento, come confermano le parole dell'apostolo in 2 Cor 5,16: ''Anche se noi abbiamo conosciuto il Cristo secondo la carne, ormai noi non lo conosciamo più così".
Nel settimo excerptum Claudio approfondisce la riflessione sull'inerte materialità delle immagini e delle reliquie: ammettere la venerazione di "oggetti di legno in forma di croce" significa considerare lecito il culto di tutti gli oggetti o le persone con le quali il Cristo, durante la sua vita terrena, era venuto a contatto. Secondo questo principio si dovrebbero dunque venerare puellae virgines "perchè una vergine partorì il Cristo"; le greppie e i vecchi panni usati per il puerperium; le barche "perchè Cristo di frequente navigò"; e di seguito asini, agnelli, leoni, pietre, spine e lance84
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A proposito dell'agnello, Claudio cita Gv l, 29 "Ecce Agnus Dei ... " e condanna "i sostenitori di dogmi perversi" che pretendono di "mangiare gli agnelli veri e adorare quelli dipinti sul muro". :Lespressione, che alla carne dell'animale destinata ad essere mangiata accosta l'immagine simbolica, mira a suscitare la repulsione per un comportamento blasfemo. Nel codice culturale di Claudio infatti "l'oggetto che rappresenta se stesso (e serve a scopi pratici) occupa i livelli di valore più bassi, a differenza dell'oggetto che è segno di qualcos'altro"8S, ma con un'importante precisazione: Claudio pensa al simbolo dell'agnello in termini puramente scritturistici, come "parola'' della Bibbia usata in senso figurato, tropyce non proprie per significantiam non per susbstatiam. Pertanto tradurre la "parola'' del testo sacro in un'immagine significherebbe far precipitare l'agnello simbolico ai livelli infimi della materia.
Nel nono excerptum Claudio manifesta il suo scetticismo nei confronti della pratica del pellegrinaggio ad limina Apostolorum. Una posizione quella del vescovo di Torino non eccentrica né originale che, come dimostra Boulhol, corrispondeva a un orientamento piuttosto diffuso nel mondo ecclesiastico altomedievale che guardava con qualche riserva agli eccessi del fenomeno 86• Tuttavia
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l.
nel caso di Claudio il riferimento specifico al pellegrinaggio sulla tomba di Pietro rivela una connotazione moderatamente ami-romana che si collega al tema degli excerpta successivi nei quali il vescovo di Torino ribadisce il suo rifiuto a una "localizzazione materiale del culto" ed espone le sue idee sul concetto di "apostolicità" della Sede romana. Ma andiamo con ordine. Nel decimo excerptum Claudio afferma che le parole di Mt 16,18 "Tu es Petrus ... " non sono state lette correttamente secondo il loro senso spirituale, ma interpretate erroneamente pensando che per acquistare la vita eterna fosse necessario recarsi a Roma. In effetti, poco oltre, Claudio precisa che la facoltà "di sciogliere e di legare" in cielo e in terra è un ministero accordato ai vescovi della Chiesa "per il tempo nel quale essi stessi sono pellegrini in questo tempo mortale", dando un'interpretazione "episcopalistà' del celebre passo evangelico, peraltro non discostandosi dagli orientamenti del clero franco87
•
Nel dodicesimo excerptum con una citazione da Agostino- per la verità poco pertinente- il vescovo torinese torna sull'idea che la mediazione materiale del corpo dei santi (=le reliquie) non vale a nulla, infatti: l'" ... anima [dell'apostolo] è stata separata dal suo corpo, ma ciò che amiamo in lui, noi pensiamo che questo viva ancorà'. Nel tredicesimo excerptum si ricorre invece all'esegesi di un passo veterotestamentario (Ez 14, 14) per ribadire che l'intercessione dei santi è inefficace, in quanto " ... non si potrà trovare salvezza a meno di possedere la stessa giustizia e la stessa sincerità che [i santi] possedettero e per le quali essi piacquero a Dio".
Infine, nell'ultimo excerptum, Claudio fa un riferimento esplicito all'indignazione che i suoi comportamenti avevano suscitato nel "Signore apostolico", l'ormai defunto Pasquale I. .L accenno gli dà l'occasione per discutere il concetto di apostolicus, il cui significato egli individua "nell'esercizio delle funzioni di apostolo" e non nella dignità che deriva dall'occupare "la sedià' di Pietro. Di fatto Claudio non contesta l'autorità del vescovo di Roma, anzi sembra a suo modo ammetterne il primato, ma precisa implacabilmente il suo pensiero con Mt 23, 2-3: "Gli scribi e i farisei sono assisi sulla sedia di Mosè: tutto ciò che essi vi diranno osservatelo e dunque fatelo, ma non agite conformandovi alle loro azioni, perché essi dicono, ma non fanno". La pericope suona come un severo giudizio sull'operato del pontefice che, riferito a Pasquale I, può avere un collegamento con quanto era accaduto negli ultimi mesi di vita del papa, funestati da un duplice efferato delitto consumato a Roma ai danni di alti funzionari del Patriarchio lateranense legati agli ambienti filoimperiali. Un episodio che mobilitò l'intervento di Ludovico il Pio e di Lotario e che immaginiamo abbia provocato l'indignazione dei vescovi franchi e in particolare di Claudio, fedelissimo all'imperatore88
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Dunque i passi dell'Apologeticum dichiarano quell'ispirazione profondamente spiritualista che secondo Claudio doveva informare ogni azione sia religiosa sia politica del mandato episcopale, nel mentre che il rifiuto delle immagini e di ogni forma di mediazione cultuale attestavano il presule torinese su posizioni opposte agli orientamenti e alla prassi della Sede apostolica. Anche nel consesso dei vescovi franchi, educati alla via media dei Libri carolini, il comportamento di Claudio era ormai giudicato inaccettabile. Le immagini spezzate nelle chiese di Torino e la "staurophobie aniconiste" di Claudio erano "fuori misurà' anche per i vescovi di cor-
33. Roma, sacello di San Zenone, Agnello sul monte dei quattro fiumi
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34. Roma, Santa Maria in Domnica, mosaico, Pasquale I venera l'immagine della Theotokos
te, "una congregazione di asini", come l'irriducibile e impunito vescovo iconoclasta li aveva definiti nell'825 in occasione del sinodo di Parigi89.
Tra tutti gli orientamenti imprudenti e retrogradi di Claudio di Torino il più detestabile era proprio il rifiuto della croce, il culto della quale era stato rispettato anche da Teodulfo d'Orléans e che presso gli ambienti imperiali franchi, con un'escalation progressiva, aveva guadagnato popolarità e spazio nelle chiese e nell'innografìa figurata carolingia90.
Su questo punto, il parere di Boulhol è radicale. Lo studioso infatti ritiene che la concezione eminentemente trascendente della divinità avesse indotto il vescovo di Torino a rifiutare non solo l'immagine picta et figurata del crocefisso, ma anche il segno della "croce nudà'. In effetti nel secondo e quarto excerptum dell'Apologeticum, Claudio - in un'arcaica prospettiva veterotestamentaria -ribadisce il divieto biblico di figurare tutto ciò che è "nel cielo, sulla terra e sotto" o che "lo spirito umano ha potuto immaginare in onore del Creatore", finendo per considerare lecito soltanto il culto "del nome di Dio"91 .
Leffetto delle azioni e del pensiero che Claudio difende orgogliosamente nell'Apologeticum doveva essersi tradotto in un nuovo e austero assetto degli edifici di culto torinesi, lasciandoci immaginare il Santo Salvatore dell'antico complesso cattedrale con le pareti scialbate di ogni immagine simbolica o narrativa e spogliato di ogni croce, "nudà' o figurata, di ogni icona e persino degli ex voto lasciati dalla devozione popolare: un luogo di culto interdetto sia all'inutile invocazione dei santi sia alla venerazione delle reliquie ed esclusivamente riservato ai sacramenti, alla contemplazione del nome di Dio e all'ascolto della sua Parola92•
Altrove, nella vecchia Roma, l'aula basilicale di Santa Prassede, rinnovata da papa Pasquale I, risplendeva nel transetto del ciclo pittorico che, con i colori, raccontava la gloria dei martiri traslati e deposti sotto l'altare; brillava nel presbiterio dei preziosi mosaici con i simboli apocalittici dell'Agnus Dei e del Tetramorfo e le immagini di Cristo, di Pietro e di Paolo, della Vergine e del Battista, delle sante e dei santi, dei profeti e degli apostoli tutti93. Per non dire dell'immagine ex lamminis argenteis praefiguratis esposta alla devozione dei fedeli nella cripta, degli arredi e delle suppellettili preziose, della veste d'altare figurata con la storia delle Vergini con le fiaccole accese, tutti oggetti che oggi non esistono più, ma che sono descritti nel Liber Pontifìcalis94•
Antitetica all'arrogante inattualità del pensiero di Claudio, la concezione delle forme della mediazione del sacro che la Chiesa di Roma matura nel corso dell'alto Medioevo rivela tra le pieghe della sontuosa e perenne veste paleocristiana la profonda trasformazione intervenuta negli usi e nelle consuetudini cultuali dell'antica capitale95.
Già nella lettera di Adriano I al re Carlo sono evidenti i segni del cambiamento che il pontefice cerca di "somministrare" al re dei franchi come esito coerente della tradizionale fedeltà alle immagi-
ni di parte occidentale, legittimata dalla concezione teologica e pastorale di papa Gregorio Magno.
In tema di culto delle immagini, presso gli ideologi della corte palatina proprio Gregorio Magno era considerato l'autorità indiscussa e sul principio gregoriano - "né adorare, né distruggere" -si fondava la perfetta equidistanza mantenuta dai carolingi dagli eccessi iconoduli e dalla violenza iconoclasta. È così che Adriano I, nel documento che doveva vincere l'ostilità franca al dettato di Nicea II, tra le reiterate citazioni dalla notissima lettera di Gregorio Magno a Sereno di Marsiglia, insinua dei passi "scelti" dalla lettera di Gregorio al recluso Secondino, nella versione parzialmente apocrifa che era stata letta da Herulfus, vescovo di Langres, durante il concilio lateranense del 76996 • In quella lettera Gregorio Magno rispondeva alle richieste dell'eremita Secondino che gli aveva confessato dolorosamente di non essersi ancora affrancato dai desideri della gioventù (iuvenalibus desideriis asserit subiacere) e di subire per questo gli attacchi del maligno (magister temptationum). Al papa Secondino aveva chiesto di ricevere un'immagine santa e Gregorio risponde compiaciuto, riconoscendo non solo l' autenticità della passione spirituale dell'eremita per Colui "di cui desidera avere l'immagine davanti agli occhi", ma anche l'utilità della visione corporale, capace di rendere quotidianamente manifesto l' ardore dell'anima per Dio.
Gregorio inviando a Secondino due pannelli (syrtaria dua) con l'immagine del Salvatore, della santa Madre di Dio e dei beati Pietro e Paolo, oltre che una croce e un' eulogia (un autentico kit per la pratica cultuale!), afferma di esser certo dell'uso conforme che ne avrebbe fatto il recluso, precisando come "noi non ci prostriamo davanti all'immagine [del Salvatore] come davanti alla divinità, ma adoriamo colui di cui l'immagine ci ricorda la nascita, la passione e l'assunzione in glorià'.
Nello scritto di papa Adriano a Carlo viene prudentemente taciuto il passo nel quale Gregorio paragona l'ardore del recluso, che attende di ricevere l'immagine sacra, al desiderio di un uomo che, spinto dalla passione per la sua promessa sposa, cerca in ogni modo di incontrarla sulla via e, una volta vedutala, se ne ritorna beato97. Proprio la costruzione retorica dell'epistola di Gregorio, nel continuo richiamo all'area semantica della passione amorosa, rivela un contenuto nuovo, che supera lo stesso principio gregoriano della salutare "compunzione" che l'immagine provoca in chi la contempla, per attingere a una relazione sempre più affettivamente coinvolta e personale che l'esperienza solitaria del recluso Secondino incarna in modo esemplare98.
Ed è a questa nuova dimensione - anche individuale - dell' esperienza del sacro, mediata dall'immagine e resa manifesta nella gestualità partecipe prescritta dal secondo concilio di Nicea, che la Chiesa di Roma, circa l'anno 818, assicura la sua adesione e la proclama in pictura a Santa Maria in Domnica nella devota genuflessione di Pasquale I davanti all'immagine della Theotokos (fig. 34).
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' Per la pubblicazione degli Atti del convegno ho aggiornato la bibliografia della mia relazione al febbraio 2007, in particolare tenendo conto sia del contributo che ho presentato al convegno di Parma nell'anno 2005, vedi A. Ballardini, "Taurini mater totius episcopatus ecclesia": Il complesso cattedrale di Torino in età carolingia, in Medioevo: la Chiesa e il Palazzo Atti del convegno internazionale di studi, Parma, 20-24 settembre 2005, a cura di A.C. Quintavalle, Milano-Parma 2007, pp. 142-15 5; sia di quanto edito in Ead., I marmi della cattedrale di Torino, in Il Medioevo delle Cattedrali. Chiesa e Impero: la lotta delle immagini (secoli XI e XII) Catalogo della mostra, Parma, Salone delle Scuderie in Pilotta, 9 aprile-16luglio 2006, Parma 2006, pp. 440-447.
1 È Hans Belting a ricordare l'episodio sottolineando come il racconto dello Scriptor incertus dia risalto al comportamento ambiguo mantenuto da Leone V nei suoi primi mesi di regno in tema di culto delle immagini, vedi H. Belting, Il culto delle immagini. Storia dell'icona dall'età imperiale al tardo medioevo, Roma 2002, p. 202. La cronaca frammentaria dello Scriptor incertus, nota come "Cronaca del 811 ", è stata probabilmente composta nella seconda metà del IX secolo, "essa è segnata da un forte sentimento anti-iconoclasta [ ... ] e dà l'impressione di essere un pamphlet specificamente diretto contro l'imperatore Leone V" cfr. L. Brubaker-J. Haldon, Byzantium in Iconoclast Era (ca 680-859). The Sources, An Annotated Survey, Aldershot 200 l, pp. 179-180; per il passo al quale Belting fa riferimento cfr. PG l 08, col. l 032. 2 La bibliografia del fenomeno iconoclasta è estesissima. Come ha osservato Marie-France Auzépy ''l'iconoclasme est une question irritante, jamais réglée, sur laquelle on revient sans cesse", vedi M.-T Auzépy, Les enjeux de l'iconoclasme, in Cristianità d'Occidente e Cristianità d'Oriente (sec. VI-XI) LI Settimana di Studi del CISAM, Spoleto, 24-30 aprile 2003, Spoleto 2004, p. 128; mi limito a rinviare a A. Grabar, L'iconoclasme Byzantin. Le dossier archéologique, Paris 1957, 2 ed. 1984; Iconoclasm Papers Given at the Ninth Spring Symposium ofByzantine Studi es, University of Birmingham, March 1975, a cura di A. Bryer e J. Herrin, Birminghan 1977; Culto delle immagini e crisi iconoclasta Atti del convegno di Studi, Catania, 16-17 maggio 1984, Palermo 1986; E. Lanne, Rome et les images saintes, "Irénikon'', LIX 1986, pp. 163-188; Nicée IL 787-1987. Douze siècles d'image religieuse Acres du colloque internationale "Nicée" tenu au Collège de France, Paris, 2-4 octobre 1987, Paris 1987; Icona e Iconoclastia Giornate di studio in occasione del XII Centenario del Concilio Niceno II, Milano, 17-18 marzo 1987, "Arte Cristiana", LXXVI, fase. 724 (1988); G. Dagron, L'iconoclasme et l'établissement de l'Orthodoxie (726-847), in Histoire du Christianisme des origines à nos jours, a cura di J.-M. Mayeur, L. Pietri, A. Vauchez, M. Venard, t. IV (a cura di G. Dagron, P. Riché & A. Vauchez, Éveques, moines et empereurs [61 0-1054]), Desclée 1993, pp. 93-165; Il Concilio Niceno II (787) e il culto delle immagini Convegno di studi per il XII centenario del Concilio Niceno II, Messina, settembre 1987, a cura di S. Leanza, Catania 1994; Vedere l'invisibile. Nicea e lo statuto dell1mmagine, a cura di L. Russo, Palermo 1997; L. BrubakerJ. Haldon, Byzantium in Iconoclast Era cit.; H. Belting, Il culto delle immagini cit., pp. 181-227. 3 Da ultimo P. Boulhol, Claude de Turin. Un éveque iconoclaste dans l'Occident carolingien. Étude suivie de l'édition du Commentaire sur }osué, Paris 2002; per la bibliografia retrospettiva rinvio alla sezione II, A, L'homme et l'auteur della bibliografia tematica compresa nel volume di Boulhol. 4 C. Davis-Weyer, Miistair, Milano e l1talia carolingia, in Il millennio ambrosiano. Milano, una capitale da Ambrogio ai Carolingi, a cura di C. Bertelli, Milano 1987, p. 232. Recentemente Judson J. Emerik ha ricordato come "buildings served people of pre-Modern times as one of their most effective mass media'', richiamando in particolare l'attenzione sugli effetti "mediarici" delle processioni religiose e della pratica collettiva del culto nella Roma di Pasquale I, vedi J.J. Emerik, Focusing on the Celebrant: The Column Display inside Santa Prassede, in Arredi di culto e disposizioni liturgiche a Roma da Costantino a Sisto IV Atti del colloquio internazionale, Istituto Olandese a Roma, 3-4 dicembre 1999, "Mededelingen van Nederlands Instituut te Rome", LIX 2001, pp. 128-159, in partic. pp. 128, 153 nota 4. Sulle traslazioni effettuate da Pasquale I in occasione della riedificazione di Santa Prassede, vedi ora C.-G. Coda, Duemilatrecento corpi di martiri. La relazione di Benigno Aloisi (I 729) e il ritrovamento delle reliquie nella basilica di Santa Prassede in Roma, Roma 2004, in parti c. pp. 127-150. 5 Mi riferisco in particolare a M. Andaloro, I papi e l'immagine prima e dopo Nicea, in Medioevo: immagini e ideologie Atti del convegno internazionale di studi, Parma, 23-27 settembre 2002, a cura di A.C. Quintavalle, Milano-Parma 2005, pp. 525-540, ed A. Englen, La difesa delle immagini intrapresa dalla chiesa di Roma nel IX secolo, in Caelius I Santa Maria in Domnica, San Tommaso in Formis e il Clivus Scauri, Roma 2003, pp. 257-284 e a E. Thuno, Image and Relic. Mediating the Sacred in Early Medieval Rome, Roma 2002 (Analecta Romana Insti-
tu ti Danaci Suplementum XXXII), in parti c. pp. 131-140. Aggiungo anche il riferimento alla monografia dedicata da Pasca! Boulhol a Claudio di Torino per l'inedito profilo del vescovo iconoclasta restituito attraverso lo studio della sua opera esegetica in seno al contesto politico e culturale dell'Europa carolingia, vedi P. Boulhol, Claude de Turin cit. 6 A. Ballardini, Dai gesta di Pasquale I secondo il Liber Pontificalis ai monumenta iconografici delle basiliche romane di Santa Prassede, Santa Maria in Domnica e Santa Cecilia in Trastevere, "Archivio della Società Romana di Storia Patria'', CXXII 1999, pp. 5-67; per gli studi dedicati da Herman Geertman al Liber Pontificalis rinvio in particolare a H. Geertman, More Veterum. Il Liber Pontificalis e gli edifici ecclesiastici di Roma nella tarda antichità e nell'alto medioevo, Groningen 1975; Id., Hic fecit basilicam. Studi sul Liber Pontificalis e gli edifici ecclesiastici di Roma da Silvestro a Silverio, a cura di S. de Blaauw, Leuven 2004, oltre che a Il Liber Pontificalis e la storia materiale Atti del colloquio internazionale, Roma, 21-22 febbraio 2002, a cura di H. Geertman, "Mededelingen van het Nederlands Instituut te Rom, Antiquity", LX-LXI 2001-2002. 7 A. Ballardini, Dai gesta di Pasquale I cit., pp. 21-23. 8 [altare di San Sisto doveva accogliere le spoglie di papa Sisto II (257-258), traslate dalla catacomba di San Callisto; l'oratorio dei Santi Processo e Martiniano "summae magnitudinis atque pulchritudinis" è descritto dal biografo in modo insolitamente dettagliato. Andato distrutto nel corso dei primi interventi di demolizione promossi nell'antica San Pietro da papa Giulio II, nulla resta della sontuosa decorazione e degli arredi preziosi dell'oratorio-mausoleo, eccetto una vasca di porfido oggi custodita all'interno dell'altare dedicato ai Santi Processo e Martiniano nel transetto settentrionale della basilica Vaticana, vedi A. Ballardini, Dai gesta di Pasquale I cit., pp. 34-39, 44-49. 9 Le Liber Pontificalis. Texte, introduction et commentaire par l'abbé L. Duchesne, 3 voli., Paris 1981, réimpr. éd. 1955, II, p. 55, d'ora in poi LP. La perifrasi usata per indicare la chiesa sul colle Celio amplia il titolo della diaconia citato a più riprese nella biografia di Leone III (LP II, pp. 9, 14, 16, 19, 30) e si uniforma alle definizioni mario logiche del primo concilio di Efeso ( 431) e del primo concilio di Ca! cedonia ( 451) ribadite anche in un passo dell' Horos di Nicea II, vedi nella traduzione di Vedere l'invisibile ci t., p. 146: "Professiamo anche la nostra Signora, la santa Maria, è propriamente e veramente madre di Dio, poiché ha generato nella carne uno della Santa Trinità, Cristo Dio nostro, come definì il primo concilio di Efeso. [ ... ] Ed insieme a ciò, crediamo anche nelle due nature di Colui che si incarnò per noi dall'immacolata madre di Dio e sempre vergine Maria, riconoscendolo Dio perfetto e perfetto uomo, come anche promulgò il concilio di Calcedonia''. 10 Arte e storia nel Medioevo, II, Del costruire tecniche, artisti, artigiani, committenti a cura di E. Castenuovo, G. Sergi (con la collaborazione di E. Crivello), Torino 2003. 11 Stando al racconto del biografo, il cantiere di Santa Prassede (settembre 817-agosto 818) avrebbe avuto la precedenza su quello di Santa Maria in Domnica. Tra il settembre 818 e l'agosto 819 venne infatti realizzata la decorazione del sacelio funerario di San Zenone a completamento della fabbrica di Santa Prassede, cui seguì l'apertura del cantiere di Santa Maria in Domnica. Infine, tra il settembre 819 e l'agosto 820, venne avviato il cantiere di Santa Cecilia in Trastevere, vedi LP II, pp. 54-56. Sulla cronologia relativa delle tre fabbriche aveva già espresso un analogo parere G.B. Ladner interpretando i mutamenti di fisionomia di Pasquale I, rappresentato nei mosaici absidali delle tre chiese, non solo come un plausibile "dato di cronaca'' (il papa a Santa Prassede ha un barba corta, mentre a Santa Maria in Domnica e a Santa Cecilia porta solo i baffi), ma soprattutto come il segnale della nascita di un nuovo concetto di ritratto "in generale di un nuovo concetto dell'arte figurata'', vedi G.B. Ladner, I ritratti dei papi nell'antichità e nel medioevo, I, Dalle origini alla fine della lotta per le investiture, Città del Vaticano 1941, pp. 131-132, 136-137. 12 Per i cantieri musi vi patrocinati da papa Leone si vedano in particolare gli studi di C. Davis-Weyer, DasApsismosaik Leos III in S. Susanna. Reconstruction und Datierung, "Zeitschrift fur Kunstgeschichte", XXVIII 1965, pp. 177 -194; Ead., Die Mosaiken Leos III und die Anfonge der Karolingischen Renaissance in Rom, "Zeitschrift fur Kunstgeschichte", XXIX 1966, pp. 111-132; Ead., Eine patristische Apologie des Imperium Romanum und die Mosaiken der Aula Leonina, in Munuscula discipulorum. Kunsthistorische Studien Hans Kau.lfmann zum 70. Geburtstag 1966, a cura di T Buddensieg e M. Winner, Berlin 1968, pp. 71-83 (Abb. 63-70); Ead., Karolingisches Nichtkarolingisches in zwei Mosaikfragmenten der Vtztikanischen Bibliotek, "Zeitschrift fur Kunsrgeschichte", XXXVII 1974, pp. 31-39 e inoltre H. Belting, I mosaici dell'aula leonina come testimonianza della prima "renovatio" nell'arte medievale di Roma, in Roma e l'età carolingia Atti delle giornate di studio, 3-8 maggio 1976 a cura dell'1st. di Storia dell'Arte dell'Università di Roma, Roma 1976, pp. 167-182 (tavv. 65-70); A. Iacobini, Il mosai-
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co del Triclinio Lateranense, in Fragmenta Picta. Affreschi e mosaici staccati del Medioevo romano Catalogo della mostra, Roma, Castel Sant'Angelo 15 dicembre 1989-18 febbraio 1990, pp. 189-196, e G. Curzi, La decorazione musiva della basilica dei SS. Nereo e Achilleo in Roma: materiali ed ipotesi, "Arte Medievale", II s., VII, 2, 1993, pp. 21-45; allo studio di Curzi rinvio per il riferimento ad alcuni interventi di restauro musivo documentati a Roma e a Ravenna durante il pontificato di Leone III, vedi Curzi, La decorazione musiva cit., p. 27. 13 Per un'analisi della struttura della biografia di Leone III nel Liber Pontificalis vedi H. Geertman, More Veterum cit., pp. 37-70, in partic. p. 64; a proposito delle maestranze attive ai Santi Nereo e Achilleo e nelle prime fabbriche di Pasquale I ii veda in particolare G. Curzi, La decorazione musiva ci t., pp. 25-27, 42 nota 43 e da ultimo C. Ranucci, Il mosaico absidale [di Santa Maria in Domnica]. Note sulle vicende conservative e fortuna critica, in Caelius l cit., pp. 228-240, in patrie. pp. 231-234, che rende noti alcuni dari tecnici rilevati nel restauro del mosaico della chiesa celimontana eseguito nel 1986. 14 Maria Andaloro puntualizza la molteplicità della componente "bizantinà' nella cultura artistica della Roma altomedievale preferendo parlare di "orienti" e distinguendo la relazione instauratasi tra la "vecchià' Roma e Bisanzio e il suo peculiare pensiero sull'immagine dal contatto con "l'arte e le strutture dell'immagine proprie di aree come la siro-palestinese o l'egizia, comprese sì nel raggio di Bisanzio, ma dotate fin dalle origini di proprie vitali e autonome tradizioni", cfr. M. Andaloro, Gli Orienti a Roma, in Il Mediterraneo e l'arte. Da Maometto a Carlomagno, a cura di E. Carbonell, R. Cassanelli, Milano 200 l, p. 117. 15 Oltre a Santa Maria Anriqua al Foro, tra i monumenti che conservano una stratificazione di linguaggi e di tradizioni figurative estranee al contesto romano sono da ricordare gli ambienti della diaconia di Santa Maria in Via Lata e la chiesa di San Saba all'Aventino. Oltre alla monografia di Pietro Romanelli e di Per Jonas Nordhagen (1964), per Santa MariaAntiqua si veda ora Santa MariaAntiqua al Foro Romano cento anni dopo Atti del Colloquio internazionale, Roma, 5-6 maggio 2000 a cura di J. Osborne, J. Rasmus Brandt, G. Morganti, Roma 2004; per le pitture della diaconia di Santa Maria in Via Lata, vedi C. BertelliC. Galassi Paluzzi, S. Maria in Via Lata, I, La chiesa inftriore e il problema paolino, Roma 1971; C. Bertelli, The Seven Sleepers a Medieval Utopia, "Paragone", 291, a. XXV 1974, pp. 23-35; da ultimo F. Betti, La chiesa di Santa Maria in Via Lata. La decorazione pittorica, in Roma dall'antichità al medioevo. Archeologia e storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi, a cura di M.S. Arena, P. Delogu et alii, Milano 200 l, pp. 450-465 e G. T amanti, La chiesa di Santa Maria in Via Lata. Storia conservativa degli affreschi, ivi, pp. 466-469. Per le pitture di San Saba vedi P. Sryger, Die Malereien in der Basilika des hl. Sabas auf dem Kl. Aventin in Rom, "Rèimische Quartalschrifr", XXVIII 1914, pp. 49-96 e F. Gandolfo, Gli affreschi di San Saba, in Fragmenta Picta cit., pp. 183-187; sulla cultura epigrafica greca a Roma tra VII e VIII secolo documentata in questi contesti monumentali, vedi G. Cavallo, Le tipologie della cultura nel riflesso delle testimonianze scritte, in Bisanzio, Roma e l1talia nell'Alto Medioevo XXXIV Settimana di Studi del CISAM, Spoleto, 3-9 aprile 1986, Spoleto 1988, pp. 467-516 (tavv. I-LVI), in parric. pp. 482-492. 16 Per un quadro istituzionale, politico e religioso, delle presenze "greche" a Roma tra VI e IX secolo vedi J.-M. Sansterre, Les moines grecs et orientaux à Rome aux époques byzantine et carolingienne, 2 voll., Bruxelles 1983, rist. 1993; Id., Le monachisme byzantin à Rome, in Bisanzio, Roma e l1talia ci t. pp. 701-7 46; F. Bulgarella, Presenze greche a Roma: aspetti culturali e religiosi, in Roma fra Oriente e Occidente XLIX Settimana di Studio del CISAM, Spoleto 19-24 aprile 2001, Spoleto 2002, pp. 943-992; e in breve P. Delogu, Greci e Orientali a Roma, in Roma dall'antichità al medioevo cit., pp. 446-447. Per una localizzazione delle fondazioni monastiche greche a Roma tra VII e VIII secolo, vedi M. Falla Castelfranchi, l monasteri greci a Roma, in Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana Catalogo della mostra, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 22 dicembre 2000-20 aprile 2001, a cura di S. Ensoli, E. La Rocca, Roma 2000, pp. 220-226. 17 In proposito vedi le considerazioni di F. Gandolfo, Gli affreschi di San Saba cit., p. 186; di K. Weitzmann, Various Aspects of Byzantine Injluence of Latin Countries from Sixth to the Twelfth Century, "Dumbarton Oaks Papers", XX 1966, pp. 1-24, in parric. pp. 6-10 e di P.J. Nordhagen, ltalo-Byzantine Wallpainting of Early Middle Ages: An 80-year old Enigma in Scholarship, Appendix: The Syrian School of Painting of the Early Middle Ages. A Concept and its History and Relevance, in Bisanzio, Roma e l1talia cit., pp. 593-624 (tavv. I-XV). 18 Con particolare riferimento al contesto di Roma e di Ravenna in età alto medievale, vedi F. Gandolfo, Cosa è giunto fino a noi. Distruzione e perdite, in Arti e storia nel Medievo, N Il Medioevo al passato e al presente, a cura di E. Castelnuovo, G. Sergi (con la collaborazione di F. Crivello), pp. 35-76, in patrie. pp. 36-51. 19 G. Wolf, Salus Populi Romani. Die Geschichte romischer Kunstbilder in Mittelalter, Weinheim 1990, pp. 37-78; E. Parlato, La processione di Ferragosto e làche-
ropita del Sancta Sanctorum, in Il volto di Cristo Catalogo della mostra, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 9 dicembre 2000-16 aprile 2001, Milano 2000, pp. 51-52; Id., Le icone in processione, in M. Andaloro-S. Romano, Arte e iconografia a Roma. Dal tardoantico alla fine del medioevo, con contributi di A. Frascherti, E. Parlato, F. Gandolfo, P.C. Claussen, Milano 2000, pp. 55-72. 20 La pratica preventiva dell'unzione con il crisma delle immagini destinate al culto è menzionata nella lettera inviata nel 791 da papa Adriano a Carlomagno in risposta al perduto Capitulare adversus synodum, cfr. MGH, Epistolarum V, Epistulae Karolini aevi III, ed. E. Diimmler, K. Hampe, Berolini 1899, pp. 5-57, in partic. p. 34. Il papa nomina la consuetudine come prova del ruolo di mediazione svolto dalla Chiesa di Roma nella pratica devozionale, tuttavia dal contesto epistolare si ricava come l'unzione con il crisma riguardasse le sacras imagines ve! istorias dipinte nelle chiese di Roma, le sole di cui in effetti il pontefice parla nella lettera, vedi in proposito J.-M. Sansterre, Entre "koinè méditerranéenne'; injluences byzantines et particularités locales: le culte des images et ses limites à Rome dans le haut Moyen age, in Europa medievale e mondo bizantino: contatti effettivi e possibilità di studi comparati Tavola Rotonda del XVIII Congresso del CISH, Montréal, 29 agosto 1995, a cura di G. Arnaldi, G. Cavallo, Roma 1997, pp. l 09-124; allo studio di Sansterre rinvio per il riferimento al primato cultuale delle reliquie nella Roma alto medievale, tema discusso anche da Leslie Brubaker nell'introduzione a The Sacred lmage. East and West, a cura di R. Outsterhout, L. Brubaker, Urbana 1995, pp. 1-24, in partic. pp. 11-13 e nuovamente da J.-M. Sansterre, Entre deux mondes? La vénération des images à Rome et in ltalie d'après les textes de Vl'-X/' siècles, in Roma fra Oriente e Occidente ci t., pp. l 028-1030. 21 M. Andaloro, Il Liber Pontificalis e la questione delle immagini da Sergio l ad Adriano l, in Roma e l'età carolingia Atti delle giornate di studio, 3-8 maggio 1976, a cura dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Roma, Roma 1976, pp. 69-77, in partic. pp. 72-77; Ead., Immagine e immagini nel Liber Pontijìcalis da Adriano l a Pasquale l e Schedatura dei tessuti con motivi figurati di Adriano l, Leone III, Pasquale l a cura di G. Bordi, S. Pennesi, in Atti del colloquio internazionale Il Liber Pontificalis cit., pp. 45-103 e L. Brubaker-J. Haldon, Byzantium in lconoclast Era cit., pp. 80-108. 22 V Grume!, Les "Douze chapitres contre les iconomaques" de saint Nicéphore de Constantinople, "Revue des études byzantines", XVII 1959, pp. 127-135; Id., Les rélations politico-religieuses entre Byzance et Rome sous le règne de Léon V l'Arménien, "Revue des études byzantines", XVIII 1960, pp. 19-44; E. Lanne, Rome et les images cit., in partic. pp. 180-183; G. Dagron, Le second iconoclasme et l'établissement de l'Orthodoxie (787-847), in Histoire du Christianisme cit., pp. 135-165; A. Englen, La difesa delle immagini cit., in partic. pp. 257-265. 23 La lettera di Pasquale I venne pubblicata per la prima volta graece et latine nel 1868 da J ean-Baptiste P i tra che l'aveva identificata presso il Collegio Romano in una trascrizione (databile tra XIII-XIV secolo) di cui in seguito si persero le tracce, vedi J.-B. Pitra, De Romanorum Pontificum ad Orientales epistolis, in luris Ecclesiastici Graecorum Historia et Monumenta, Roma 1868, II, pp. XI-XVII. Una nuova trascrizione della lettera venne edita nell901 da Giovanni Mercati che si avvalse però di un manoscritto conservato a Milano presso la Biblioteca Ambrosiana, ms. H 257 inf, foll. 138v-140v, cfr. G. Mercati, La lettera di Pasquale l a Leone V sul culto delle sacre immagini, in Note di letteratura biblica e cristiana antica, (Studi e Testi 5), Roma 1901, pp. 227-235. Del manoscritto ambrosiano la Englen ha pubblicato la riproduzione fotografica, la trascrizione e la traduzione annotata del resto, vedi Englen, La difesa delle immagini cir., pp. 268-278 (comprensive delle tavv. I-V). 24 Per la struttura dell'epistola e le citazioni scritturistiche e dai padri greci presenti nel testo rinvio all'analisi della Englen, La difesa delle immagini cit., in partic. pp. 262-263. 25 Sansterre avanza l'ipotesi che all'estensione della lettera di Pasquale I avesse partecipato anche Metodio che in quegli anni si era rifugiato a Roma, vedi J .-M. Sansterre, Moines grecs ci t., p. 151; sull'argomento vedi anche Th.F.X. Noble, The lntellectual Culture of Early Medieval Papacy, in Roma nell'alto medievo XLVIII Settimana di Studio del CISAM, Spoleto, 27 aprile-l maggio 2000, Spoleto 2001, pp. 178-213, in partic. p. 211. Oltre alla lettera inviata da Pasquale I al basileus abbiamo notizia di una corrispondenza tra il pontefice e Teodoro di Studio n, all'epoca il più autorevole esponente della dissidenza iconofila in Oriente, vedi PG 99, coli. 1151-1154. Per la diffusione e il progressivo declino della lingua e della "pensée" greca a Roma tra VIII e IX secolo, vedi Th.F.X. Noble, The Declining Knowledge ofGreek in Eighth and Ninth-Century Papa! Rome, "Byzantinische Zeitschrifr", LXXVIII 1985, pp. 56-62. 26 J. Gouillard, Aux origines de l'iconoclasme: le témoinage de Grégoire Il, "Travaux et Mémoires du Centre de Recherche d'Histoire et Civilisation Byzanrine", III 1968, pp. 276-307; H. Grotz S.I., Beobachtungen zu den zwei Briefen Papst Gregors Il An Kaiser Leo !Il, "Archivum Historiae Pontificiae", XVIII 1980, pp. 9-
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40. La ferma posizione anriconoclasra di Gregorio II ha rilievo anche nella sua biografia, vedi LP I, p. 404 ed è arrestata dalla lettera indirizzata al patriarca Germano di cui venne data lettura nel consesso di Nicea II, vedi E. Lanne, Rome et !es images cir., pp. 170-171 e Vedere !1nvisibile cir. pp. 46-46, p. 155 nota 174. 27 E. Lanne, Rome et !es images cir., pp. 172-173. A proposito di Adriano I, Noble osserva come il papa nella famosa lettera inviata a Carlomagno (791) citi per nome undici differenti autori greci e ben trentorro delle loro opere: "Greek irself, rhen, and Greak Christian rhoughr were both more well and widely known in papa! Rome rhan has usually been rhoughr", cfr. Th.F.X. Noble, The Declining Knowledge ofGreek cir., p. 61. 28 /bidem. 29 LP II, p. 54; vedi anche A. Ballardini, Dai gesta di Pasquale l ci r., pp. 31-34. 30 Per il sacello di San Zenone presso Santa Prassede vedi in particolare B. Brenk, Zum Bildprogramm der Zenokapelle in Rom, "Archivio Espaiiol de Arqueologià', XLV-XLVII 1973-74, pp. 213-221; M.W Asmussen, The Chapel ofS. Zeno in Rome. New Aspects on the lconography, "Analecta Romana Insriruri Danici", XV 1988, pp. 67-86; G. Mackie, The Zeno Chapel: A Prayer for Salvation, "Papers of rhe British School at Rome", LVII 1989, pp. 172-199; R. Wisskirchen, Zur Zenokapelle in S. Prassede, Rom, "Frumirrelalrerliche Studien", XXI 1991, pp. 96-108; G. Mackie, Abstract and Vegeta! Design in the Zeno Chapel, Rome: The Ornamenta! Setting of an Early Medieval Funerary Programme, "Papers of rhe Brirish School at Rome", LXIII 1995, pp. 159-182. 31 Per la variante iconografica dell'Anastasis nel sacello di San Zenone si veda in particolare C. Davis-Weyer, Die iiltesten Darstellungen der Hadesjahrt Christi, das Evangelium Nikodemi und ein Mosaik der Zeno-Kapelle, in Roma e l'età carolingia cir., pp. 183-194, ravv. 71-74; A.D. Karrsonis, Anastasis. The Making of an lmage, Princeton 1986, pp. 88-93; per la ricomparsa di questo tipo iconografico tra X e XIII secolo in Lombardia e nella tradizione beneventana degli Exultet, vedi L. Speciale, Il Descensus degli angeli. Percorsi estravaganti di una tipologia iconografica, in Medioevo: arte lombarda Arri del IV convegno internazionale di studi, Parma, 26-29 settembre 2001, a cura di A.C. Quintavalle, Parma-Milano 2004, pp. 511-525. 32 La mandorla luminosa che avvolge il Cristo e i due profeti è presente nella Trasfigurazione del Salterio Chudov, Mosca, Museo storico, Cod. 129, fol. 88v. La miniatura è stata posta a confronto con il mosaico del sacello di San Zenone da Bear Brenk, Zum Bildprogramm cir., pp. 215-216. Tuttavia Gillian Mackie ha richiamato l'attenzione sull'irregolarità della "mandorlà' che avvolge il Cristo da identificare non con un alone di luce, ma con il profilo del monte Tabor, come ha confermato la pulitura del mosaico nell987, vedi G. Mackie, The Zeno Chapel cir., p. 182; sulla problemaricirà della lettura di questo dettaglio iconografico nel mosaico di San Zenone si era già espressa Suzy Dufrenne, La manifèstation divine dans l'iconographie byzantine de la Transfiguration, in Nicée Il ci r., pp. 185-205, in parric. p. 197 e nota 50. Nel mosaico dell'arco absidale dei Santi Nereo e Achilleo, che a Roma costituisce l'immediato precedente della Trasfigurazione di San Zenone, l'ellisse luminosa circoscrive la sola figura del Cristo (cfr. fig. 6). 33 Delle tre cappelle annesse da papa Ilaro al battistero lareranense solo la cappella di San Giovanni Evangelista conserva parre della decorazione musiva originaria; dell'oratorio della Santa Croce e della decorazione della cappella di San Giovanni Battista restano le descrizioni e la documentazione grafica di età moderna. Il sacello di San Zenone si ispira in particolare "al modello evidentemente ancora autorevole" dell'oratorio della Santa Croce descritto da Onofrio Panvinio (1560 circa) "elegantissimo aureo musivo pictum, cum quatuor angelis Sanctam Crucem tenentibus", vedi S. Pennesi, l mosaici delle cappelle del battistero !ateranense, in M. Andaloro, L'orizzonte tardoantico e le nuove immagini 312-468, Roma 2006, pp. 425-436, in parric. p. 434 e F.R. Morerri-S. Pennesi, Battistero Lateranense, in M. Andaloro, La pittura medievale a Roma 312-1431. Atlante percorsi visivi, I, Milano 2006, pp. 203-212, in parric. pp. 205, 208-210 (con bibliografia essenziale del monumento e della decorazione pittorica). 34 H.P. I.:Orange, Lux Aeterna: l'adorazione della luce nell'arte tardo-antica ed alto-medievale, "Arri della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti", XLVII 1974-75, pp. 191-202, in partic. pp. 195-196. Per il ricorso a questo dispositivo iconografico nell'Egitto copro alla fine del VII secolo, vedi A. Iacobini, Arte per i monaci nell'Egitto bizantino, Componenti iconiche e componenti narrative negli affreschi di Bawit, in Medioevo: immagine e racconto Arri del Convegno internazionale di studi, Parma, 27-30 settembre 2000, a cura di A.C. Quintavalle, Milano-Parma 2003, pp. 63-76, in partic. p. 72. Sulla lunga durata del rema del Cristo-luce nel sacello di San Zenone, vedi V Pace, Cristo-luce a Santa Prassede, in Id., Arte a Roma nel Medioevo. Committenza, ideologia e cultura figurativa in monumenti e libri, Napoli 2000, pp. l 05-123. 35 La Deesis in Santa Maria Anriqua è dipinta sul pilastro di sinistra davanti al
coro. Nell'immagine, che comprende anche la figura di un donatore, Giovanni Battista è raffigurato nell'atto di indicare il Cristo, vedi P. Romanelli-P.J. Nordhagen, S. MariaAntiqua, Roma 1964 p. 34; P.J. Nordhagen, S. MariaAntiqua: The Frescoes of Seventh Century, "Aera Institutum Romanum Norvegiae", VIII 1979, pp. 89-142, risr. in Id., Studies in Byzantine and Early Medieval Painting, London 1990, pp. 177-230, ravv. I-LXVI, in parric. pp. 197-199, tavv. XXXXXXIV; da ultimo K. Gulowsen, Some lconographic Aspects of the Relationship between Santa Maria Antiqua and the Oratory of the Forty Martyrs, in Santa Maria Antiqua al Foro cir., pp. 187-197, in parric. 194. 36 M. Andaloro, Note sui temi iconografici della Deesis e della Haghiosoritissa, "Rivista dell'Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell'Arre", XVIII 1970, pp. 85-153, in parric. p. 96; U. Utro, a. v. Deesis, in Temi di iconografia paleocristiana, cura e introduzione di F. Biscanti, Città del Vaticano 2000, pp. 165-166. 37 La delegazione romana al secondo concilio di Nicea era costituita da Pietro, arciprete della basilica di San Pietro e da Pietro "presbitero, monaco ed egumeno del venerabile monastero di San Saba che si trova a Roma", vedi Vedere l'invisibile cir., p. 29. Per l'attività degli scriptoria dei monasteri greci nel corso dell'alto Medioevo, vedi G. Cavallo, La cultura ita!o-greca nella produzione libraria, in G. Cavallo-V von Falkenhausen et alii, l Bizantini in Italia, Milano 1982, pp. 497-614, in parric. pp. 503-508. Da ultimo Massimo Bernabò ha segnalato la vicinanza stilistica del primo e del secondo miniatore del codice Var. gr. 749, prodotto probabilmente a Roma (monastero di San Saba?), con la cerchia degli artisti arrivi per le decorazioni musive di Pasquale l, vedi M. Bernabò, Cinquantaquattro dipinti romani della prima metà de! IX secolo inediti o poco noti. Prima l'iconografia, poi lo stile, "Segno e testo", I 2003, pp. 309-331, in parric. pp. 327, 329; Id., Le miniature per i manoscritti greci del Libro di Giobbe, Firenze 2004, in partic. pp. 146-154. 38 Oakeshorr, I mosaici di Roma cit., pp. 166-168; G. Marrhiae, Mosaici medievali delle chiese di Roma, Roma 1967, pp. 235-237; R. Wisskirchen, Santa Maria in Domnica. Oberlegungen zur frii.hesten apsidalen Darste!lung der thronenden Maria in Rom, ''Aachener Kunsrblarrer", LXI 1995-97, pp. 381-393; M. Ancialoro, L'immagine nell'abside cir., pp. 83-87; E. Thuno, Decus suus splendet ceu Phoebus in orbe. Zum Verhiiltnis von Text und Bild in der Apsis von Santa Maria in Domnica Rom, in Die Sichtbarkeit des Unsichtbaren. Zur Korrelation von Text und Bild im Wirkugskreis der Bibe!Tiibingen Symposium, a cura di B. Janowski, N. Zchomelidse, Sriirrgarr 2003, pp. 147-164, Abb. 23-29; C. Ranucci, Il mosaico absidale cir., pp. 228-240; F. Svizzererro, Il mosaico absidale di [Santa Maria in Domnica} manifèsto iconodulo: proposta di interpretazione, in Caelius l ci t., pp. 241-256; M. Andaloro, l papi e l'immagine cir., p. 537. 39 G. Marrhiae, Mosaici medievali cir., p. 235. 40 Sulla relazione tra la dedica a Maria della basilica esquilina e il concilio di Efeso esprime delle riserve S. de Blaauw, Cu!tus et decor. Liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale, Roma 1994, I, pp. 340-341, 355. Considerato il resto complessivo della decorazione musiva di età sisrina, lo studioso ritiene inoltre che illogico culmine del programma decorativo di Santa Maria Maggiore dovesse essere Cristo. Silvana Casarrelli Novelli avanza l'ipotesi che il carino absidale sisrino accogliesse l'immagine della Trasfigurazione, vedi S. Casarrelli Novelli, l "programmi" decorativi degli edifici di culto, in La comunità cristiana di Roma e la sua cultura dalle origini all'alto medioevo, a cura di L. Pani Ermini, P. Siniscalco, Città del Vaticano 2000, pp. 269-326, in partic. p. 319. 41 A più riprese Maria Andaloro ha ribadito l'originalità delle scelte iconografiche del mosaico di Santa Maria in Dominca "in sé nuovo, mai più ripetuto, ma anche senza tradizione, senza parentele con le altre raffigurazioni coeve dello stesso papa", vedi M. Andaloro, L'immagine nell'abside cit., pp. 83-87; Ead., l papi e l'immagine cir., p. 537. 42 P.]. Nordhagen, The Earlist Decorations in Santa Maria Antiqua and their Date, ''Aera Insritutum Romanum Norvegiae", I 1962, pp. 53-73, ried. in Id. Studies in Byzantine ci t., pp. 148-176, in partic. 167-170; P. Romanelli-P.J. Nordhagen, S. MariaAntiqua cir., pp. 36, 59, rav. 24A; P.]. Nordhagen, The Frescoes of fohn VII in S. MariaAntiqua in Rome, ''Aera Institutum Romanum Norvegiae", III 1968, ried. in Id., Studies in Byzantine cir., pp. 297-306. 43 Sul rituale della JtQ00x)'VY]OLc:;, vedi A. Delarre, Le basier, l'agenouillement et le prosternement de l'adoration (ngoax)'VY]OLc:;), "Bullerin de la Classe cles lerrres et de sciences morales et polirique, Académie royale de Belgique", XXXVII 1951, pp. 432-450. 44 M. Andaloro, L'irruzione delle 'nuove' immagini, in Ead., L'orizzonte tardoantico cit., pp. 15-31, in parric. p. 19. 45 "Il farro è che ciò che vediamo nell'abside di Santa Maria in Domnica non è la raffigurazione della Theotokos ma l'apparizione della sua iconà', così M. Andaloro, l papi e l'immagine cir., p. 537; anche Hans Belring aveva parlato di uno "schema di un'icona vorivà' e aveva definito sorprendente "la scelta del prorori-
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po" del mosaico pascaliano, vedi H. Belting, I mosaici dell'aula leonina cit., pp. 172, 180 nota 43. 46 F. Gandolfo, Il ritratto di committenza, in M. Andaloro-S. Romano, Arte e iconografia cit., pp. 144-145. 47
]. Croisier, La perduta decorazione dell'oratorio di San Nicola al Patriarchio lateranese, in S. Romano, Riforma e tradizione 1050-1198, Milano 2006, pp. 290-293. 48 "Picta manet muro necnon Genitricis imago/In gremio Christum Gestantis, pignus amorum!Quam graduum fratres!proni super altar iacentes!Orando tangunt, ac sancta per oscula lambunt", vedi Purchardus, Carmen de gestis Witigowonis abbatis, PL 139, coll. 351-364, in partic. col. 340, citato in].-C. Schmitt, La culture de l'imago, "Annales Histoire, Sciences Sociales" LI, l 1996, pp. 3-36, in partic. p. 12. 49 Canone LXXXII del concilio in Trullo (691 o 692): "Sul divieto per i pittori di rappresentare il Precursore che mostra con il dito un agnello. In alcune pitture di immagini sacre è rappresentato un agnello indicato con il dito dal Precursore, agnello il quale è stato assunto come typos della grazia, perché prefigura attraverso la legge il vero agnello, Cristo Dio nostro. Noi, quindi, pur accogliendo gli antichi typoi e le ombre come simboli e prefigurazioni della verità trasmessi alla chiesa, preferiamo onorare la grazia e la verità, poiché l'abbiamo ricevuta come adempimento della legge. Affinché, quindi, la perfezione possa essere rappresentata sotto gli occhi di tutti, persino nelle pitture, noi stabiliamo che d'ora in poi, in luogo dell'antico agnello, sia rappresentata anche nelle immagini la raffigurazione antropomorfa dell'agnello che ha tolto i peccati del mondo. Cristo nostro Dio, per comprendere mediante essa la sublimità dell'umiliazione del Logos di Dio ed essere portati a ricordare la sua vita nella carne, la sua passione e morte salvifica, e la sua redenzione che di lì è derivata al mondo" (traduzione di C. Noce) in I canoni dei concili della chiesa antica, a cura di A. di Berardino, I. I concili greci, Introduzioni, traduzione e note di C. Noce, C. Dell'Osso, D. Ceccarelli Morolli, Roma 2006 (Studia Ephemeridis Augustinianum 95), pp. 158-159; nello stesso volume rinvio anche all'introduzione ai canoni del concilio in Trullo curata da Carla Noce (con bibliografia), pp. 91-93. 50 Per le tensioni a lungo intercorse tra la Sede apostolica e Costantinopoli in seguito alla definizione dei canoni del conci! o in Trullo vedi ]. Osborne, A Carolingian Agnus Dei Relief from Mola di Monte Gelato, Near Rome, "Gestà', XXXII/2 1993, pp. 73-78 e J.-M. Sansterre, Le pape Constantin Ice (708-715) et la politique religieuse des empereures ]ustinien II et Philippikos, "Archivum Historiae Pontificiae", XXII 1984, pp. 7-29. 51 La preghiera dell'Agnus Dei è di origine orientale, su questo argomento vedi in particolare ]. Lindsay Opie, Agnus Dei, in Ecclesiae Urbis Atti del congresso internazionale di studi sulle chiese di Roma IV-X, a cura di F. Guidobaldi, A. Guiglia Guidobaldi, III, Città del Vaticano 2002, pp. 1813-1840, in partic. pp. 1830-1831. A Sergio I, che era siriano, si deve anche l'introduzione nell'anno ecclesiastico romano della celebrazione e dell'organizzazione di quattro feste mariane, di origine bizantina, vedi S. de Blaauw, Cultus et decor cit., I, p. 33. 52 G. Matthiae, Mosaici medievali cit., p. 211. Dopo il restauro dei mosaici dei Santi Cosma e Damiano, conclusosi nel1997, l'ipotesi di Matthiae è stata nuovamente ribadita da Vitaliano Tiberia che però, in appendice al suo saggio, pubblica a cura di Marco Verità i risultati analitici delle tessere vitree provenienti dall' arco absidale dei Santi Cosma e Damiano e un loro confronto con le tessere del catino absidale: "La costanza di quasi tutti i componenti fa supporre non solo una stessa tecnologia, ma anche una stessa provenienza delle materie prime usate per la fusione dei vetri", vedi M. Verità, Analisi di tessere musive vitree provenienti dall'arco absidale della basilica dei Santi Cosma e Damiano, in Roma, in V Tiberia, Il mosaico restaurato. L'arco dei Santi Cosma e Damiano, Roma 1998, pp. 81-90 e Id., Tecniche di fabbricazione dei materiali musivi vitrei. Indagini chimiche e mineralogiche, in Medieval Mosaics. Light, Color, Materials, a cura di E. Borsook, F. Gioffredi Superbi, G. Pagliarulo, Cinisello Balsamo 2000, pp. 47-64 in partic. tabella 4. La sostanziale uniformità dei caratteri morfologico-stilistici dell'intera decorazione, esclude l'ipotesi di un più tardo reimpiego di materiali nell' arco absidale e conferma l'attribuzione della messa in posa del tessellato sia absidale sia dell'arco all'epoca di Felice IV (526-530). 53 Per un riesame del dibattito critico sul foglio del Codex Farfense (ultimo quarto dell'XI secolo), vedi ora G. Bordi, L'Agnus Dei, i quattro simboli degli evangelisti e i ventiquattro Seniores nel mosaico della facciata di San Pietro in Vaticano, in M. Andaloro, L'orizzonte tardoantico cit., pp. 416-418. 54 Di quest'ultimo avviso sono in particolare G.B. Ladner, I ritratti dei papi cit., p. 136; H. Belting, Der Einhardsbogen cit., pp. 102-103, C. Davis-Weyer-J.J. Emerick, The Early 6th Century Frescoes at S. Martino, "Romisches Jarbuch fur Kunstgeschichte", IX 1984, pp. 3-58, in partic. p. 26. Anche Helene Toubert credeva possibile che i personaggi nei pennacchi dell'arco di Santa Maria in
Domnica fossero i due Giovanni, vedi H. Toubert, Le renouveau paléochrétien à Rome au début du XIP siècle, "Cahiers Archéoloquiques", XX 1970, pp. 99-154, rist. in Un'arte orientata. Riforma gregoriana e iconografia, ed. i t. a cura di L. Speciale, Milano 2001, pp. 177-227, in partic. p. 222, nota 194. 55 Vedi]. Osborne, A Carolingian Agnus Dei ci t.;]. Lindsay Opi e, Agnus Dei ci t.; M. Andaloro, I papi e l'immagine cit., p. 528-534. 56 M. Andaloro, Santa Susanna, in Roma dall'antichità cit., pp. 641-645; Ead., I dipinti murali depositati nel sarcofago dell'area di Santa Susanna a Roma, in 1983-1993: dieci anni di archeologia cristiana in Italia Atti del VII Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana, Cassino, 20-24 settembre 1993, a cura di E. Russo, Cassino 2003, I, pp. 377-386, tavv. CLXXIV, D-E-F-G; Ead., I papi e l'immagine cit., pp. 529-531. 57 ]. Osborne, A Carolingian Agnus Dei ci t., pp. 73-78; Id., The Early Medieval Sculpture, in TW Potter-A.C. King, Excavations at the Mola di Monte Gelato. A Roman and Medieval Settlement in South Etruria, London 1997, pp. 217-228; per l'insediamento di Monte Gelato si veda anche, TW Potter, La Mola di Monte Gelato e gli scavi dal1986 al1990, in Montegelato. Mazzano Romano. Stratigrafia storica di un sito della campagna romana, a cura di B. Amendola, F. Fedeli Bernardini, Roma 1998, pp. 9-25. In una scheda della lastra frammentaria Lidia Paroli ne conferma la destinazione ad un altare e soprattutto inquadra con sicurezza l'opera nell'età di Adriano I (772-795) per la presenza della lettera alfa con traversa orizzontale superiore, paleograficamente corrispondente alle A dell' architrave inscritto di Santa Maria in Cosmedin "la cui datazione nell'ultimo quarto dell'VIII secolo non può essere messa in dubbio", vedi L. Paroli, Lastra d'altare in marmo bianco da Mola di Monte Gelato (Roma), scheda di catalogo n. 311, in Il jùturo dei Longobardi. L'Italia e la costruzione del/Europa di Carlo Magno Catalogo della mostra, Brescia, Monastero di Santa Giulia, 18 giugno-19 novembre 2000, a cura di C. Bertelli, G.P. Brogiolo, Milano 2000, p. 325; M. Ancialoro, I papi e l'immagine ci t., pp. 528, 532. 58 C. Davis-Weyer-J.J. Emerick, The Early 6th Century Frescoes cit., pp. 26-28 (con proposta di datazione al primo quarto del IX secolo); M. Andaloro, I papi e l'immagine cit., pp. 531-532 (con datazione 779-780); da ultimo, P. Pogliani, Santi Silvestro e Martino ai Monti, in M. Andaloro, Atlante I cit., pp. 253-268, in partic. pp. 256, 266-267 (con bibliografia essenziale del monumento e della decorazione pittorica). 59 M. Andaloro, I papi e l'immagine cit., p. 532; da ultimo G. Bordi, San Lorenzo Jùori le mura, in M. Andaloro, Atlante I cit., pp. 77-94, in partic. p. 89 (con bibliografia essenziale del monumento e della decorazione pittorica, Atlante a cura di M. Mencherini, D. Sgherri). 60 I.:epoca di fondazione del monastero benedettino di San Giovanni di Miistair nel Cantone dei Grigioni coincidono con le date di regno di Carlo Magno, come confermano le analisi dendrologiche compiute sui legni del tetto inseriti nel frontone dell'abbaziale e delle tavole che separano i due piani della adiacente cappella della Santa Croce, oltre che il carattere unitario e "le generose dimensioni del complesso monastico iniziale", vedi H.R. Sennhauser-H.R. Courvoisier, Mustair, Kloster St. Johann, I, Zur Klosteranlage, vorklosterliche Bejùnde, Ziirich 1996 (Veroffentlichungen des Instituts fur Denkmalpflege an der ETH Ziirich, 16,1); H.R. Sennhauser, Kloster Mustair. Grndungszeit und Karlstradition, in Konig, Kirche, Adel, Lana, Bozen 1999, pp. 125-150. Per la scultura carolingia di Miistair vedi lo storico volume di]. Zemp-R. Durrer, Das Kloster zu Munster in Graubunden, Kunstdenkmaler der Schweiz Mitteilungen der Schweizerischen Gesellschaft for Erhaltung historischer Kunstdenkmaler, Neue Folge V-VII, Genf 1906-1910 e da ultimo K. Roth-Rubi-H.R. Sennhauser, Mustair, Kloster St. ]ohann. Arbeitskatalog der jlechtwerksteine mit Terminus ante von 957, Miistair 2005, in particolare la scheda Pla 4, con rilievo e sezione della lastra con l'Agnus Dei. I.:ipotesi ricostruttiva del pluteo collocato all'accesso del presbiterio la ricavo da un'immagine pubblicata nella breve Guida d'arte n. 2597 (2005) edita da Schnell & Steiner. Insieme a un gruppo cospicuo di frammenti scultorei, il rilievo con l'Agnus Dei e il Battista è stato rinvenuto frammentario e reimpiegato nelle murature della torre Pianta di età ottoniana, è certa dunque la datazione del pezzo ante 957, ma è ancora da precisare la sua cronologia tra la fondazione della chiesa abbaziale e quella della torre. Lo speciale soggetto figurativo della lastra potrebbe essere indicativo per una datazione alla fine dell'VIII secolo, noto in proposito come il San Giovanni Battista, ammantato con le pelli di capra e con in mano l'imago clipeata dell'Agnello ripeta l'iconografia bizantina preiconoclasta che ricorre ad esempio nella cattedra giustinianea dell'arcivescovo Massimlano. 61 ]. Osborne, A Carolingian Agnus Dei ci t., p. 78 nota 27. 62 M. Andaloro, I papi e l'immagine cit., in partic. pp. 528-534. 63 Si veda ora la ricostruzione in 3D del lato ovest dell'ambiente M in M. Ancialoro, Atlante I cit., p. 267, X.
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64 A. Acconci, Note sulla decorazione pittorica altomedievale del nartece pelagiano di S. Lorenzo jùori le mura, in Ecclesiae Urbis cit., III, pp. 1789-1812; M. Ancialoro, l papi e l'immagine cit., p. 532; da ultimo G. Bordi, San Lorenzo jùori le mura, in M. Andaloro, Atlante I cit., pp. 77-94, in partic. pp. 81 e 91. 65 Sull'opera di Ambrogio Autperto e la sua fortuna critica vedi in particolare C. Leonardi, Spiritualità di Ambrogio Autperto, "Studi Medievali", IX 1968, pp. 1-131. Per l'edizione critica dell' Expositio in Apocalypsin, vedi Ambrosius Autpertus, Opera, ed. R. Weber, Turnholti 1975 (Corpus Christianorum Continuatio Medievalis, XXVII-XXVIIA); e inoltre S. Bovo, Le fonti del commento di Ambrogio Autperto sull'Apocalisse, "Studia Anselmianà', XXVII-XXVIII 1951, pp. 372-402. 66 Cfr. Ambrogio Autperto, Expositio in Apocalypsin cit., pp. 503-504. 67 Per le corrispondenze fisiognomiche dei santi e dei profeti che affollano i mosaici pascaliani rinvio alle osservazioni di G. Curzi, La decorazione musiva cit., p. 42, nota 43. 68 Una galleria di fisionomie paragonabile a quella dei mosaici romani del primo quarto del IX secolo si riscontra nelle miniature dei Sacra Parallela (Parisinus Graecus 923), vedi K. Weitzmann, The Miniatures ofthe Sacra Parallela (Parisinus Graecus 923), Princeton 1979, cfr. tavv. I- CLXII; a questo studio di Weitzmann rinvio per la definizione del "double-line fold sryle" che lo studioso riferisce anche al tratramento dei panneggi sia nei mosaici sia nella decorazione figurata del reliquiario argenteo di Pasquale I al Sancta Sanctorum, ibidem, pp. 17-18, 25. Il manoscritto parigino, di altissimo pregio, è stato riferito da Kurt Weitzmann all'area palestinese e datato alla prima metà del IX secolo; recentemente Massimo Bernabò si è invece pronunciato per una datazione alla seconda metà del IX secolo e per una possibile localizzazione dei Sacra Parallela, se non a Costantinopoli, in un ambito che aveva familiarità con la produzione libraria della capitale bizantina, vedi M. Bernabò, L'illustrazione del salmo l 05 (I 06) a Bisanzio ed una nota sui Sacra Parallela di Parigi, "Medioevo e Rinascimento", XIV n. s. 11, 2000, pp. 85-109, in parti c. pp. l 08-1 09; a un altro studio di Bernabò rinvio per la relazione tra i Sacra Parallela di Parigi e la tradizione illustrativa greca del Libro di Giobbe che a Roma ha un importante testimone con 54 miniature del primo quarto del IX secolo (Vat. gr. 749), vedi Id., Le miniature per i manoscritti greci cit., pp. 154-156. La trama di rinvii che si disegna attraverso questa peculiare tradizione manoscritta di area mediterranea sembra confermare nella Roma "carolingià' una contiguità, anche operativa, della cultura latina e di quella greca. 69 R. Krautheimer, The Carolingian Revival of Early Christian Architecture (1942), ried. in Architettura sacra paleocristiana e medievale e altri saggi su Rinascimento e Barocco, Torino 1993, pp. 151-219, in partic. pp. 179-188; P.J. Nordhagen, Un problema iconografico e tecnico a S. Prassede, in Roma e l'età carolingia cit., pp. 159-166; A. Ballardini, Dai gesta di Pasquale l cit., pp. 65-67. 70 G. Mackie, The Zeno Chapel cit. 71 MGH, Epistolarum V, Epistulae Karolini aevi III, ed. E. Diimmler, K. Hampe, Berolini 1899, in partic. pp. 49-50; cfr. M. Andaloro, l papi e l'immagine cit., pp. 526-528. Anche Emmanuel Lanne considera attentamente questo passo della lerrera di papa Adriano, vedi E. Lanne, Rome et les images saintes ci t. Largomento iconofilo della "tradizione" ha una parte importante anche nell' Horos del secondo concilio di Nicea: " ... noi preserviamo senza alcuna innovazione tutte le tradizioni della Chiesa, decretate per il nostro bene in forma scritta o non scritta. Una di queste tradizioni è la rappresentazione pittorica iconografica, a conferma dell'incarnazione del Verbo di Dio ... ", vedi Vedere l'invisibile ci t., p. 147. 72 Opus Caroli contra synodum (Libri Carolini), MGH, Concilia II, Supplementum I, ed. A. Freeman, P. Meyvaert, Hannoverae 1998, pp. 97-55; vedi anche A. Freeman, Theoduifùs of Orléans and the Libri Carolini, "Speculum", XXXII 1957, pp. 603-705; Ead., Carolingian Orthodoxy and the Fate ofthe Libri Carolini, "Viator", XVI 1985, pp. 65-1 08; Ead., Scripture and lmages in the Libri Carolini, in Testo e immagine nell'alto medioevo XLI Serrimana di Studio del CISAM, Spoleto 15-21 aprile 1993, Spoleto 1994, pp. 163-195. 73 Sarà Pascasio Radberto (t 860) a distinguere tra veneratio e adoratio, vedi P. Boulhol, Claude de Turin ci t., p. 72 nota 12, p. 74. 74 Per l'epoca di Ludovico il Pio, Pasca! Boulhol parla di una certa elasticità del sistema franco sulla questione delle immagini, distinguendo presso i vescovi franchi quattro correnti iconologiche. Tra esse la più "progressistà' professava una moderata iconofilia e ammetteva che si rendessero degli honores alle immagini (Walafrido Strabone); apparteneva a questo orientamento anche l'irlandese Dungal, il più vicino alle posizioni romane, vedi P. Boulhol, Claude de Turin ci t., pp. 70-77. 75 Per il profilo biografico di Claudio di Torino, la sua formazione intellettuale e la sua escalation ecclesiastica rinvio alla prima parte del volume di P. Boulhol, Claude de Turin cit., pp. 15-65.
76 N ella prefazione al Tractatus in Epistolas ad Corinthios inviato nell' 821 a Teodemiro di Psalmody Claudio ricorda: "Post medium veris procedendo armatus pergamena pariter cum arma ferens, pergo ad excubias maritimas cum timore excubando adversus Agarenos et Mauros: nocte tenens gladium et die libros et calamum implere conans ceptum desiderium", v. Claudius, Praef Corinth., in MGH, Epistolarum IY, Epistolae Karolini aevi II, ed. E. Diimmler, Berolini 1895, pp. 600-602, in partic. p. 601; sei anni più tardi, nell' explicitdel commentario su Giosuè (Tractatus in libro lesu Nave): "Sedentibus enim nobis cum multa tribulatione in praesidio maritimi littoris propter infestationem Maurorum ex iussione principum nostrorum, et ira ibidem, ex dictis maiorum nostrorum, in duabus ebdomadibus brevi hoc sermone comprehendi opusculum in tanta anxietate ut nocre uteremur gladio et die calamo", vedi Claudius, !es., ed. P. Boulhol, Claude de 7ìtrin cit., p. 418. 77 È Claudio stesso a ricordare nell'Apologeticum l'ampia diffusione di dicerie infamanti sul suo conto, vedi Apologeticum atque rescriptum Claudii Episcopi adversus Theutmirum abbatem in MGH, Epistolarum IV, Epistolae Karolini aevi II, ed. E. Dummler, Berolini 1895, pp. 610-613, in partic. p. 610; una traduzione francese degli excerpta dell'Apologeticum si può leggere in P. Boulhol, Claude de Turin cit., pp. 325-330. 78 A questo proposito, vedi P. Boulhol, Claude de Turin cit., pp. 25-26. Le opere di Giona di Orléans e di Dungal di Pavia sono edite nella Patrologia latina, Jonas, De cultu imaginum, PL 106, coli. 305-388; Dungalus Scoto, Responsa contra perversas Claudii Taurinensis episcopi sententias, PL 105, coli. 463-530. 79 A riguardo si veda Thuno, lmage and Relic ci t., pp. 132-139, che però legge in modo unilaterale l'Apologeticum, inteso come un mero attacco rivolto contro gli orientamenti iconofili e favorevoli al culto delle reliquie della Sede romana. 80 Il commento di Pasca! Boulhol all'Apologeticum si struttura come una documentatissima inchiesta nel capitolo intitolato Le dossier de l'accusation, vedi P. Boulhol, Claudede Turin cit., pp. 87-166. 81 Interpreto come un "dato di cronacà' quello che Boulhol ha letto come un riferimento scritturistico a Lam 2,16 o 3,46 e Sal 123,3 usato da Claudio per autorappresentarsi come il "giusto perseguitato". Il riferimento biblico potrebbe non essere solo un espediente retorico, in altri scritti infatti Claudio ricorda la cattiva accoglienza riservata alla sua predicazione da parte dei suoi diocesani, si veda in proposito nella prefazione del commentario al Levitico (823), il passo citato da P. Boulhol, Claude de Turin cit., p. 23 nota 48. 82 Ecco le parole lette nel consesso di Nicea dal diacono Epifania " ... sappiamo che l'icona non è nient'altro che un'immagine che esprime un'imitazione del suo prototipo. È per questo che le viene attribuito il nome di quello, e con quello ha in comune il solo nome, e per questo è veneranda e santà', vedi Vedere l'invisibile cit., pp. 132-133. 83 Arcivescovo di Lione dall'816, Agobardo professò uno spiccato orientamento iconofobo che però non si espresse mai in un'iconoclastia attiva, egli ci ha lasciato il De picturis et imaginibus, opera a lungo ritenuta ispirata all'Apologeticum di Claudio di Torino. I.: editore dell'Opera omnia di Agobardo, Lieven van Acker, ha recentemente dimostrato il contrario, ovvero che è stato Claudio a ispirarsi al De picturis; anche Pasca! Boulhol è dello stesso parere, vedi P. Boulhol, Claude de Turin cit., pp. 80-81. Il testo dell'Apologeticum di Claudio "vivi potius quam mortui" modifica l'espressione di Ago bardo "vivi magis quam picri ... " che si legge appunto nel De picturis et imaginibus, vedi Agobardus archiepiscopus Lugdunensis, Opera Omnia, ed. L. Van Acker, Turnhout 1981 (Corpus Christianorum Continuatio Medievalis LII), pp. 151-181, in partic. p. 177. 84 Di grande interesse sono le considerazioni che Pasca! Boulhol dedica al settimo excerptum del quale lo studioso individua la matrice e il modello in una pagina dei Libri Carolini. Boulhol nota, in particolare, come Claudio nella sua "revue sarcastique des médiations de divin" passi dall'uso del singolare a quello del plurale, per sottolineare un principio inaccettabile dal suo punto di vista e cioè che attraverso il processo mimetico della rappresentazione l'oggetto unico e storico - croce/vergine/mangiatoia/agnello ecc. - divenga tanti oggetti che gli somigliano, rivelando in questo modo un tratto distintivo del pensiero iconoclasta che consiste nell'"ignorer le symbolisme des actes cultuales", che informa al contrario la teoria dell'immagine del secondo concilio di Nicea, vedi P. Boulhol, Claude de Turin cit, pp. 140-143. 85 Ju.M. Lotman, Il problema di una tipologia della cultura (1967), in Ju.M. Lotman-VV Ivanov et alii, Semiotica della letteratura in URSS, s.!. 1969, cit. in S. Casartelli Novelli, Il 'codice' figurativo. Letture di semiotica generale e di semiotica sistemica, Roma 1996, p. 160. 86 Vedi P. Boulhol, Claude de Turin ci t., pp. 126-131. 87 Su questo punto, vedi ibidem, in partic. pp. 157-163. 88 A. Ballardini, Dai gesta di Pasquale l cit., pp. 16-18. 89 È Dungal a ricordare l'arrogante rifiuto di Claudio a partecipare al sinodo pa-
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rigino: "Propter istam autem insanissimam perversitatem renuit ad conventum occurrere episcopo rum, vocans illorum synodum congregationem asino rum", vedi Dungalus Scoto, Responsa contra perversas Claudii Taurinensis episcopi sententias, PL 105, col. 529. 90 Per il culto della croce in Occidente tra l'VIII e il IX secolo, vedi P. Boulhol, Claude de Turin cit., pp. 135-139. Limportanza assunta dal culto della croce in ambito carolingio è attestata dagli scritti di Eginardo e dagli inni di Rabano Mauro, vedi Einhardus, Quaestio de adoranda cruce, in MGH, Epistolarum V, Epistulae Karolini aevi III, ed. E. Dummler, K. Hampe, Berolini 1899, pp. 146-149 e Rabanus Maurus, In honorem Sanctae Crucis, ed. M. Perrin, Turnholti 1997 (Corpus Christianorum Continuatio Medievalis C). 91 P. Boulhol, Claude de Turin cit., pp. 143-145, in linea con questo pensiero, lo studioso non ritiene plausibile l'ipotesi di Silvana Casartelli Novelli che ha riferito un cospicuo nucleo di marmi a decoro astratto alla committenza del vescovo Claudio, obiettando come "la géometrisation de la croix dans l'entrelac de marbre n'est pas le propre du groupe épiscopal de Turin: tout à fait traditionelle, elle se trouve dans maintes autres églises de la mème époque". Per l' attribuzione dei marmi della cattedrale di Torino a Claudio l'Iconoclasta, vedi S. Casartelli Novelli, Le fobbriche della cattedrale di Torino dall'età paleocristiana all'alto medioevo, "Studi medievali", XII, 2, 1970, pp. 617-658, tavv. I-X; Ead., La Diocesi di Torino, Corpus della Scultura Alto medievale VI, Spoleto 197 4, in parti c. pp. 184-228, nn. 108-148, tavv. XC-CXXII; Ead., La cattedrale ed i marmi carolingi di Torino nelle date dell'episcopato di Claudio l'iconoclasta, "Cahiers archéologiques", XXV 1976, pp. 93-100; Ead., L'intreccio geometrico del !X secolo, scultura delle cattedrali riformate e "forma simbolica" della rinascenza carolingia, in Roma e l'età carolingia cit., pp. 103-113; e più di recente A. Crosetto, Croci e intrecci: la scultura altomedievale, in Archeologia in Piemonte. III, Il Medioevo, a cura di L. Mercando, E. Micheletto, Torino 1998, pp. 309-323, in partic. pp. 318-319; Id., Una traccia: la produzione scultorea della piena età Carolingia in Piemonte, in Alle origini del romanico. Monasteri, edifici religiosi, committenza tra storia e archeologia (Italia settentrionale, secoli IX-X) Atti delle III Giornate di Studi Medievali, Castiglione delle Stiviere, 25-27 settembre 2003, a cura di R. Salvarani, G. Ardenna, G.P. Brogiolo, Brescia 2005, pp. 165-188, in partic. pp. 167-171. Sull' argomento, ma in sintonia con Boulhol, vedi da ultimo A. Ballardini, l marmi della cattedrale di Torino cit., pp. 440-442 e Schede 12-17, pp. 443-447; Ead., "Taurini mater totius episcopatus ecclesia" ci t. 92 Sull'antico complesso cattedrale di Torino, alla luce dei recenti scavi archeologici diretti dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte, vedi L. Pejrani Baricco, La basilica del Salvatore e la cattedrale di Torino: considerazioni su uno scavo in corso, in Archeologia in Piemonte cit., pp. 133-149; Ead., L'isolato del com-
p lesso episcopale fino all'età longobarda, in Archeologia a Torino. Dall'età preromana all'Alto Medioevo, a cura di L. Mercando, Torino 2003, pp. 301-317. 93 Il ciclo pittorico di Santa Prassede dedicato ai martiri Claudio, Giasone, Mauro, Celso, Giuliano e Basilissa, Crisanto e Daria è solo parzialmente conservato all'interno dell'attuale torre campanaria (braccio sinistro del transetto), vedi C. Zaccagnini, Nuove osservazioni sugli affreschi altomedievali della chiesa romana di S. Prassede, "Rivista dell'Istituto Nazionale d'Archeologia e storia dell'arre", LIV 1999, pp. 83-114; sulla decorazione musiva della basilica, vedi P.J. Nordhagen, Un problema iconografico ci t.; M.B. Mauck, The Mosaic ofTriumphal Arch of S. Prassede: A Liturgicallnterpretation, "Speculum", LXIV, 4, 1987, pp. 813-828; R. Wisskirchen, Das Mosaik Programm von S. Prassede in Rom: lconographie und Iconologie, "Jahrbuch fiir Antike und Kristentum Erganzungband", XVII 1990; e da ultimo S. Pennesi, Santa Prassede, in M. Andaloro, Atlante I ci t., pp. 295-306 (con bibliografia essenziale del monumento e della sua decorazione pittorica). 94 LP Il, in partic. pp. 54-55; per i tessuti con iconografie sacre commissionati da Pasquale I nominati nel Li ber Pontificalis, vedi M. Andaloro, Immagine e immagini cit., in partic. pp. 57-59; Ead., l papi e l'immagine cit., pp. 534-537. 95 H. Belting, Il culto delle immagini cit., pp. 147-162; M. Andaloro, Dal ritratto all'icona, in M. Andaloro-S. Romano, Arte e iconografia ci t., pp. 23-54, in partic. pp. 40-54; Ead., l papi e l'immagine cit., pp. 534-535. 96 Per i passi interpolati della lettera di Gregorio Magno a Secondino citati nella lettera di papa Adriano a Carlomagno, vedi MGH, Epistolarum V, Epistulae Karolini aevi III, ed. E. Dummler, K. Hampe, Berolini 1899, pp. 19-20, 43, 55-56. Il testo della lettera a Secondino con inrerpolazioni è pubblicato in MGH, Epistolarum Il, pars III, Gregorii l papae Registrum epistolarum Il, Libri VIII-XIV, ed. L.M. Hartmann, Berolini 1899, pp. 142-149, in partic. 147-149. Si deve a Schmitt l'aver richiamato l'attenzione sul significato della citazione di questo testo nella lettera di papa Adriano, vedi J.-C. Schmitt, L'Occident, Nicée Il et les images du VIII' au XIII' siècle, in Nicée Il cit., pp. 271-301, in partic. pp. 273-277. 97 Nella citazione adrianea della lettera di Gregorio a Secondino si notano anche alcune attenuazioni lessicali, per esempio consideras anziché desideras e ardescat invece di inardescat, cfr. MGH, Epistolarum V, Epistulae Karolini aevi III, ed. E. Dummler, K. Hampe, Berolini 1899 pp. 20, 43. 98 Jean-Claude Schmitt osserva come il sentimento della compunzione sia una nozione importante della teologia morale di Gregorio Magno: "elle désigne le sentiment d'humilté douloureuse de l'fune qui se découvre pécheresse [ ... ] elle ajoute aux fonctions de l'image une dimension affective qui, par son développement continu, allait peu à peu changer en profondeur les attitues à l'égard cles images ... ", vedi J.-C. Schmitt, L'Occident, Nicée Il cit., p. 276.
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