Un filo rosso di duemila anni? Le alluvioni del Tevere e del Nera in un provvedimento del senato...

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collana del Centro euro-mediterraneo di documentazione EVENTI ESTREMI E DISASTRI una STORIA dai MANUALI FUORI Pdf concesso da Bononia University Press a TOMMASO MATTIOLI per l'espletamento delle procedure concorsuali

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ISBN: 978-88-7395-904-5

Progetto grafico: Irene SartiniImpaginazione: DoppioClickArtStampa: Officine Grafiche Litosei

Prima edizione: dicembre 2013

www.eventiestremiedisastri.it

Con il contributo di

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l’italia DEi Disastridati e riflessioni sull’impatto degli eventi naturali

1861-2013

a cura di Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise

Bononia University Press

Centro euro-mediterraneodi documentazione

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inDiCE

7 Presentazione Fabio Roversi-Monaco 9 Disastri e Comunità scientifica Stefano Gresta11 Due parole, proseguendo il percorso Jean-Paul Poirier 13 Perché questo secondo libro Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise

ALLUVIONI E FRANE

19 Un filo rosso di duemila anni? Le alluvioni del Tevere e del Nera in un provvedimento del senato romano

Paolo Camerieri e Tommaso Mattioli27 28 dicembre 1870: la prima alluvione di Roma capitale

e una riflessione su indizi di altre pericolosità Mario Aversa43 Vajont, 1963 cinquanta anni dopo: cronaca, etica e scienza Gian Battista Vai73 Grandi frane: disastri e processi del Novecento Monica Ghirotti99 Ricordare e riflettere per conoscere. Alluvioni e frane in Italia dal

dopoguerra a oggi Giorgio Botta109 Le inondazioni storiche del fiume Po in particolare dal 1861 a oggi Fabio Luino159 Frane: la fragilità del territorio italiano fra eventi estremi, caratteri geologici e aggressioni antropiche Marco Amanti191 La difesa del suolo in Italia: impatti e costi Claudio Margottini

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VULCANI E TERREMOTI: LA STABILITÀ DEL PERICOLO, L’AUMENTO DEL RISCHIO

207 Le eruzioni del Vesuvio dal 1861 al 1944 e gli scenari attesi per i prossimi decenni Giovanni P. Ricciardi229 I terremoti distruttivi in Italia: un passato che pesa, un futuro da orientare Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise243 Terremoti e città: la catena dimenticata delle distruzione e delle ricostruzioni Emanuela Guidoboni279 Beni culturali e centri storici: il tesoro italiano eroso dai disastri Marisa Dalai Emiliani297 La sicurezza abitativa possibile. Il ruolo della cultura degli ingegneri Salvatore D’Agostino307 L’impatto inatteso: il terremoto in Emilia del maggio 2012 309 Sottovalutazioni Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise 319 Quando cedono i capannoni industriali e le opere idrauliche Antonio M. Tralli 327 Chiese, torri e rocche dell’Emilia dopo il terremoto Carla Di Francesco335 Quei terreni divenuti grigi e crepati: spaccature e liquefazioni Gabriele Tarabusi343 Quale idea di ricostruzione per i centri storici dell’Emilia? Irene Cremonini

PRIMA E DOPO I DISASTRI

359 I luoghi e i disastri. Le reti della storia, della natura e degli individui Vito Teti375 L’impatto psicologico dei disastri su individui e comunità. Il costrutto di resilienza Arianna Ceroni e Ilaria Ponzi389 Comunicare il rischio sismico:

la comunità scientifica in dialogo con la società Gianluca Valensise 415 Perché succedono i disastri? Uno sguardo alla situazione mondiale David Alexander

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Pochi fiumi al mondo possono vantare una storia documentata così lunga come quella del Tevere: è una storia di 25 secoli, che affonda nel mito delle origini, con Romolo e Remo strappati a morte certa dalla corrente del fiume, e proseguita nel mondo antico con efficaci interventi, come l’istituzione di una magistratura delle acque all’epoca di Augusto. Le caratteristiche fisiografiche del bacino del Tevere, con la rete dei suoi affluenti a monte, poneva il problema delle piene e della regolamentazione della navigabilità, vere “autostrade” del tempo. Tuttavia i grandi progetti erano elaborati e discussi, ma poi non attuati – non diversamente da epoche successive – per contrapposti interessi territoriali o economici.

Il pericolo delle alluvioni: dal mito ai vincoliForse nel recente passato non molti hanno posto l’attenzione sul fatto che Roma stessa debba la sua origine, perlomeno quella mitologica, a un – per così dire – “provvidenziale” disastro naturale, ossia una delle periodiche e spesso catastrofiche alluvioni del fiume Tevere. Nel narrare le origini dell’Urbe Livio ci tramanda che i gemelli, figli della colpa perpetrata dalla sacerdotessa Rea Silvia, furono abbandonati in una cesta alla corrente del fiume1. Per un caso provvidenziale il Tevere aveva tracimato e dopo l’onda di piena aveva formato ampi stagni, sicché era impossibile per l’imbarcazione di fortuna di Romolo e Remo raggiungere il normale corso della corrente (“divinitus super ripas Ti-beris effusus lenibus stagnis nec adiri usquam ad iusti cursum poterat”), ed essere trascinata via con violenza.

Non v’è dubbio che il meccanismo narrativo utilizzato da Livio per ac-creditare il mito, senza introdurre eventi mirabolanti né suggerire una prov-videnziale consapevolezza e benevolenza del Padre Tevere nei confronti dei futuri ecisti (fondatori di città) di Roma, si basi sull’esperienza di un evento naturale ben conosciuto. Infatti, depurando il racconto dalle componenti mitiche, otteniamo la descrizione delle caratteristiche delle piene del Tevere quando questo poteva ancora considerarsi “naturale”, e il segno di quanto il comportamento del fiume fosse rilevante e sostanziale nella vita di Roma dalla sua fondazione. Del resto in ben otto casi su quindici la serie storica

1 Livio, Ad Urbe Con. I, 4.

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Paolo Camerieri* e Tommaso Mattioli**

* Regione Umbria, Responsabile Sezione Promozione della qualità del patrimonio paesag-gistico regionale.** Università degli Studi di Perugia, Dipartimento Uomo e Territorio.

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ricostruibile delle alluvioni del Tevere2 si basa su eventi accaduti nel periodo antecedente l’anno 1 (secondo il computo dell’era cristiana), a partire dalla testimonianza dello stesso Livio, che segnala la prima alluvione documen-tata nel 414 a.C.

Roma, città di confine, città di traffici fluviali e terrestri legati anche agli imponenti spostamenti di armenti durante la transumanza tra costa tirrenica e Appennino, ma anche città di idee e tecnologie, è lesta a cogliere i vantaggi che tale posizione offre. Dalla cultura etrusca recepisce la sapienza idraulica e gromatica e ben presto l’abitato arcaico può scendere lungo le pendici dei colli fino ad occupare le valli, una volta paludose e malsane, poi opportuna-mente bonificate. Lo scavo del canale collettore maestro, noto col nome di Cloaca maxima, entrerà nella mitologia dei monumenta arcaici dell’Urbe quasi al pari del Capitolium3. Le opere di drenaggio non misero tuttavia al riparo dalle piene del fiume la nuova città sorta nelle valli. Dal Flaminio al Campo Marzio un vastissimo territorio può considerarsi cassa d’espansione naturale del Tevere, inevitabilmente contesa al fiume dalla città in veloce crescita. È emblematica la vicenda del Campo Marzio, che nei progetti di rinnovamento urbanistico per la “Città di marmo” di Giulio Cesare riveste un ruolo prima-rio4. Si trattava di un progetto di grande respiro, ma tutt’altro che megalo-mane o visionario, come spesso è stato giudicato in maniera assai superficiale dalla storiografia tradizionale, che ha liquidato come idea bizzarra e pittoresca quella di deviare il corso del Tevere per lasciare posto alla più bella e moderna zona della futura Roma imperiale: questo giudizio travisa il contenuto di ac-corta pianificazione urbanistica che caratterizzava il progetto originario. In-fatti, il Tevere andava deviato non per ricavare ulteriori aree edificabili, bensì allo scopo di creare per esso un nuovo alveo che mettesse il Campo Marzio e il cuore della nuova città (oggi si definirebbe downtown) al riparo dal rischio di periodiche esondazioni.

La gestione dei bacini fluviali e della navigabilità del TevereIn un contesto di interventi necessari e di grandi progetti, ecco manifestarsi il filo rosso che quasi lega su questo tema il passato al nostro presente, con lo stesso approccio superficiale in un’ottica puramente speculativa. La deviazione del fiume fu liquidata come opera superflua e troppo costosa, ma non si ri-nunciò certo a edificare il nuovo quartiere di rappresentanza. E infatti qualche anno dopo (13 a.C.) il teatro di Balbo fu inaugurato entrandovi in barca5. L’u-nica grande cassa d’espansione naturale del Tevere, non a caso utilizzata fino ad allora solo per funzioni temporanee, come riunioni dei comizi, esercitazioni militari, mercati periodici, fu densamente edificata senza che fosse approntato alcun presidio idrogeologico, e le conseguenze di quella scelta dissennata non tardarono a manifestarsi. Era stato incrementato enormemente il livello di pe-ricolosità dell’onda di piena che, non dimentichiamo, arrivava a Roma prima dei messaggeri a cavallo e produceva gravi danni anche alle compagini mura-

2 Calenda et alii 2005, 617, tav. 1.3 Antognoli e Bianchi 2009.4 Coarelli 1997. 5 Dio Cass. 54, 25.

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rie, come ci testimonia Dione Cassio riferendo di crolli di edifici in mattoni (crudi?) nel corso dell’alluvione del 54 a.C.6

È assai probabile che, dopo la forzata inaugurazione in barca del teatro di Balbo e le migliaia di morti causate dall’alluvione del 13 a.C., si iniziasse finalmente ad assumere i primi seri provvedimenti correttivi. La prima men-zione di una magistratura per il fiume Tevere risale all’epoca di Augusto, che nel quadro di una generale ristrutturazione degli organi tecnici dello Stato (come diremmo noi oggi) istituì non solo magistrati per la cura delle opere pubbliche, delle strade, delle acque, la prefettura urbana, vigili del fuoco, mi-lizie stazionarie (stazioni di polizia locale contro il brigantaggio), ma anche il Curator alvei Tiberis7.

Lo stesso Svetonio8 testimonia che questo magistrato fu in effetti molto operoso e si dedicò a imprese considerate memorabili, come il “ripulire l ’alveo del Tevere, che da tempo era ostruito dai detriti e ristretto per l ’estendersi degli edifi-ci”. Del resto pare che Augusto fosse particolarmente sensibile al tema dell’as-setto idraulico del territorio se, come testimonia sempre Svetonio9, anche in Egitto non si era sottratto dal fare “ripulire dai suoi soldati tutti i canali in cui si riversa il Nilo, che erano ostruiti dal fango depositato dal tempo”. Evidentemente il corpo del Genio militare di Augusto non deve essere stato impensierito dal dover ripulire anche il Tevere, qualche anno dopo!

Subito dopo Ottaviano, Tiberio si trovò di nuovo a fare i conti con l’ennesi-ma alluvione catastrofica10, che nel 15 d.C. causò morte e distruzione a Roma. Lo storico Tacito, direttamente coinvolto in quanto probabilmente originario di Interamna Nahars (l’odierna Terni), ne dà uno straordinario resoconto, che sembra documentare la paralisi dello stato centrale nei confronti della perife-ria municipale italica in questi frangenti11.

Allo sgomento per la disastrosa piena del Tevere a Roma, che “al suo ri-tirarsi lasciò una vasta rovina di edifici e di uomini”, segue immediatamente la nomina di due commissari di rango consolare, Ateio Capitone e Lucio Arrun-zio, incaricati di formulare proposte. Questi commissari, alla seduta successiva del Senato, esposero provvedimenti concreti e radicali, come la derivazione del fiume Chiani in Arno, lo smorzamento delle piene del sistema fluviale Nera-Velino (affluente principale del Tevere) mediante il frazionamento in una molteplicità di canali dei due corsi d’acqua e l’allagamento della piana di Reate (l’odierna Rieti), a guisa di gigantesca cassa d’espansione. Ma contro tali progetti, le commissioni dei delegati dei municipi e delle colonie si opposero compatte, quasi ricordandoci la posizione dei moderni ambientalisti, nel chie-

6 Dio. Cass. 39, 61. Oltre la forza distruttiva dell’onda di piena, anche il livello delle piene doveva contribuire ad aumentare considerevolmente i danni apportati dal fiume. Per esem-plificare, mancando i dati idrometrici sulle piene antiche, paiono indicativi quelli riportati dal XIX sec. in poi dall’idrometro di Ripetta, con valori anche di +16, +17 metri al di sopra dell’attuale zero idrometrico (Bersani e Bencivenga 2001, p. 8, tab. 3). Per di più il “suolo” di Roma antica era mediamente di 2-3 metri più basso dell’attuale.7 Svetonio, Vite dei Cesari, lib. XXXVII.8 Svetonio, Vite dei Cesari, lib. XXX.9 Svetonio, Vite dei Cesari, lib. XVIII.10 Tacito, Annales, I, 76, 79.11 Per la relazione tra il Senatoconsulto del 15 d.C. ed i problemi idraulici della conca Velina cfr. Camerieri 2009, pp. 39-48.

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dere che il fiume fosse lasciato libero comunque di andare dove volesse, sen-za alcun intervento di “contenimento”. Questa posizione fu strumentalmente assunta dalle delegazioni delle municipalità interessate, invitate a esprimere il loro parere al Senato12: “all ’interesse degli uomini aveva nel modo migliore prov-veduto la natura, col dare ai fiumi le proprie rive e il proprio corso, e come la sorgente loro, così la fine del loro cammino”. Quindi: “fossero le insistenze dei coloni, o le difficoltà stesse dell ’opera, o gli artati scrupoli religiosi, il fatto è che si finì con l ’ac-cogliere il parere di Pisone, ossia di non fare nulla”. Ecco di nuovo il filo rosso di un processo decisionale tipicamente italico nell’aggirare i problemi. O almeno così sembrerebbe dal resoconto “interessato” di Tacito.

Ma da un’altra autorevole fonte13 veniamo a conoscenza di un inatteso se-guito alla apparente paralisi del Senato. Tiberio, ancora al suo secondo anno di regno e in pieno vigore decisionista, non esita a sostituirsi all’inerte Senato, bloccato dai veti delle municipalità, e istituisce d’imperio (è proprio il caso di dire) un collegio di cinque senatori con l’incarico di regolarizzare la portata del fiume “affinché il suo livello non si alzasse troppo durante l ’inverno e non si abbassasse eccessivamente durante l ’estate”. Evidentemente le opere idrauliche giudicate necessarie a stabilizzare le piene del Tevere erano ormai ritenute di tale impegno che tanto valeva potenziarne pure la navigabilità, rendendola permanente con sistemi di chiuse e casse d’accumulo, che avrebbero appunto assolto ad entrambe le esigenze, canalizzando totalmente il bacino.

Tiberio attribuisce inoltre alla magistratura istituita da Augusto nuove e più specifiche competenze, trasformandola in Curator alvei Tiberis et riparum et cloacarum, con il compito non soltanto di “manutenere” l’alveo, ma anche di curare le ripe sulle quali le strade d’argine per l’alaggio garantiranno il traino dei natanti in risalita.

Luminosa e autorevole conferma di quanto fu allora prontamente ed ef-ficacemente realizzato viene dall’opera enciclopedica di Plinio il Vecchio14: “Il Tevere, chiamato anticamente Tibris e prima ancora Albula, nasce press’a poco a metà degli Appennini in senso longitudinale, nel territorio di Arezzo. È esiguo dapprima e non navigabile, se le sue acque non sono raccolte in bacini di carico e poi fatte uscire, come si fa con i suoi affluenti Tinia e Chiani; diventa navigabile solo dopo nove giorni di trattenuta delle sue acque, se non si ha l ’aiuto della pioggia”.

Plinio il Vecchio descrive con poche ma efficaci parole un complesso si-stema idraulico, che con tutta evidenza prevede non solo la canalizzazione di lunghi tratti dell’alveo ma soprattutto la creazione di numerose chiuse afferenti a bacini di carico alimentati dagli affluenti del Tevere. Pare inoltre di capire che

12 Il parere delle “autonomie locali” era molto spesso, per una serie di motivi che non è il caso di affrontare in questa sede, di rilievo dirimente. Gli stessi magistrati municipali avevano diritto di voto a Roma in rappresentanza delle comunità italiche che dal 90 a.C. avevano la piena cittadinanza romana; privilegio che Augusto aveva rafforzato escogitando un sistema che ne agevolava enormemente la partecipazione, ossia il voto per posta con plico sigillato (Svetonio, Vite, XLVI). 13 Dio. Cass. 57, 14.14 Plin. n. h. III, 5, 53: “Tiberis, antea Thybris appellatus et prius Albula, e media fere longitudine Appennini finibus Arretinorum profluit, tenuis primo nec nisi piscinis corrivatus emissusque navi-gabilis, sicuti Tinia et Clanis influentes in eum, novenorum ita conceptu dierum, si non adiuvent imbres”. Per la traduzione si veda Gaio Plino Secondo, Storia Naturale - Vol. I: Comsologia e Geografia, Einaudi, Millenni, 1982.

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i nove giorni siano verosimilmente da riferirsi non tanto alla sola operazione di carico delle chiuse, bensì al tempo totale impiegato a risalire l’intero corso. Era un complesso e articolato sistema di navigabilità fluviale, che troverà termini di paragone solo negli analoghi dell’Europa continentale del XVIII secolo15, e che presuppone un’organizzazione per la gestione del sistema stesso diffusa sul ter-ritorio e dotata di un gran numero di addetti tecnicamente qualificati. Questa struttura funzionale doveva per forza di cose far capo appunto al Curator alvei Tiberis et riparum et cloacarum, il quale dovette godere per un lungo periodo di tempo di grande prestigio e importanza, tanto che si fregiava di tale carica anche Plinio il Giovane, come si evince dal suo cursus honorum16. Non a caso lo stesso Plinio, magistrato del Tevere, soleva risalire il fiume in barca per recarsi nella sua villa di Città di Castello17. Non è inoltre forse un caso se ritroviamo sempre Plinio il Giovane e il suo cursus honorum, compresa la magistratura del Tevere, in un testo epigrafico di Hispellum (Spello)18, città vicinissima e stret-tamente legata a Mevania (Bevagna), dove aveva sede il più interno dei porti fluviali del bacino del Tevere19. E in questo contesto non può essere sottaciuto il fatto che lungo la strada che collegava Hispellum con il porto di Mevania è stato recentemente portato alla luce il luogo di produzione delle anfore “tipo Spello” diffuse in tutto il Mediterraneo20, mentre da Urvinum Hortense, sempre nei pressi di Mevania, proviene un’epigrafe questa volta riferita a un Magister navis, preposto alla sicurezza del carico e dei passeggeri imbarcati21.

L’indagine archeologica ha inoltre portato ulteriori prove della effettiva navigabilità del Tevere in epoca romana non solo con zattere, bensì anche con imbarcazioni tecnologicamente progredite e in grado di trasportare sino alla villa di Plinio il Giovane, nei pressi di Città di Castello, le pesantissime anfore olearie tipo “Dressel 20” provenienti dalla Betica22 (l’odierna Spagna meridionale).

15 Sistemi di carico delle chiuse, alimentati da bacini costituiti allo scopo, collocati a quota superiore e alimentati da corsi d’acqua periferici. Sono ancor oggi indispensabili, nonostante l’ausilio di efficienti apparati complementari basati sull’utilizzo di pompe idrauliche.16 CIL, V, 5262. L’epigrafe proviene da Como ed era posta all’ingresso delle terme: “C(aius) Plinius L(uci) f(ilius) Ouf(entina) Caecilius [Secundus co(n)s(ul)] / augur legat(us) pro pr(aetore) provinciae Pon[ti et Bithyniae] / consulari potesta[t(e)] in eam provinciam e[x s(enatus) c(onsulto) missus ab] / Imp(eratore) Caesar(e) Nerva Traiano Aug(usto) German[ico Dacico p(atre) p(atriae)] / curator alvei Ti[b]eris et riparum e[t cloacar(um) urb(is)] / praef(ectus) aerari Satu[r]ni praef(ectus) aerari mil[it(aris) pr(aetor) trib(unus) pl(ebis)] / quaestor Imp(eratoris) sevir equi-tum [Romanorum] / trib(unus) milit(um) leg(ionis) [III] Gallica[e Xvir stli]/tib(us) iudicand(is) therm[as ex HS 3] adiectis in / ornatum HS CCC(milibus) [3 et eo amp]lius in tutela[m] / HS CC(milibus) t(estamento) f(ieri) i(ussit) [item in alimenta] libertor(um) suorum homin(um) C / HS XVIII(centena) LXVI(milia) DCLXVI rei [p(ublicae) legavit quorum inc]rement(a) postea ad epulum / [p]leb(is) urban(ae) voluit pertin[ere 3]s dedit in aliment(a) pueror(um) / et puellar(um) pleb(is) urban(ae) HS [D(milia) 3 et] in tutelam bybliothe/cae HS C(milia)”.17 Plin., Epist. V, 6. Per l’identificazione della villa si vedano gli studi contenuti in Braconi e Uros Sàez 1999.18 CIL, XI, 5272.19 Camerieri 2007, pp. 147-156; Camerieri e Manconi 2011a , p. 266; Camerieri e Manconi 2011b, pp. 25-29. 20 Manconi 1989, pp. 590 ss.; Bergamini 2008, p. 294.21 CIL, XI, 5183.22 Bergamini 2008, p. 299; Molina Vidal 2008, p. 209.

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Non sappiamo quanto resse il delicato e complesso sistema idraulico a pre-sidio del regime e della navigabilità di un fiume, come il Tevere, dotato di un amplissimo bacino imbrifero e soggetto a improvvise piene stagionali. Se però dobbiamo tenere fede alla serie storica delle alluvioni catastrofiche dopo il 15 d.C.23 non si può che notare un diradamento della frequenza degli eventi, per almeno due secoli. Risultato con ogni probabilità ottenuto proprio per merito degli interventi fortemente voluti e messi in atto da Tiberio.

Anche in seguito il Tevere non sarà mai del tutto abbandonato come via d’acqua navigabile24, destinata soprattutto al trasporto di carichi ingombran-ti o particolarmente pesanti, sebbene in condizioni particolarmente difficili, essendo venute a mancare le chiuse e le casse d’accumulo, probabilmente ab-bandonate con lo sfaldarsi nel tardo impero di tutto il sistema infrastrutturale e amministrativo romano25.

Bibliografia

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23 Calenda et alii 2005, 617, tav. 1.24 Sull’argomento vedi da ultima Cenciaioli 2012, pp. 26-28. Significativa è in proposito la vicenda del trasporto di materiali lapidei da Roma a Perugia in occasione della costruzione della Rocca Paolina tra 1540 e 1542, avvenuto sul Tevere ma a scapito di tutte le chiuse dei molini, che in questo tratto già precludevano di fatto la navigazione di zattere e grossi natan-ti. Sulla costruzione della Rocca Paolina si veda: Camerieri e Palombaro 1988; Camerieri e Palombaro 2002.25 Resta da chiedersi cosa sia ancor oggi rintracciabile e riconoscibile di opere di così vasta portata e impegno ingegneristico. Fortunate occasioni di ricerca avviate recentemente, da un lato per le celebrazioni del bimillenario della nascita dell’imperatore Vespasiano, e dall’altro per la realizzazione della Carta Archeologica dell’Umbria, hanno permesso di affrontare due aspetti diversi e complementari della storia degli interventi per così dire di messa in sicurezza dell’assetto idrogeologico del Tevere in epoca romana, ed in particolare in periodo tiberiano. Questi studi, in parte ancora in corso e dei quali in questa sede non è possibile rendere pun-tualmente conto, hanno riguardato tra il 2009 ed il 2010 le vicende della bonifica del sistema Nera-Velino, direttamente affluente al Tevere, mentre tra il 2011 ed il 2012 la ricerca e lo studio dei sistemi di organizzazione fondiaria antica lungo la valle del Tevere per la Carta Archeologica dell’Umbria, dal confine umbro-toscano alla confluenza con il fiume Chiascio (sistema idraulico Chiascio-Topino-Clitunno).

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