Un castello, un territorio e le sue storie (secc.IX-XVI)

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761 VII. UN CASTELLO, UN TERRITORIO E LE SUE STORIE (SECC. IX-XVI) SINTESI DEI DATI E CONSIDERAZIONI FINALI golfo marino che si era gradualmente impaluda- to a causa dell’accumulo dei materiali alluviona- li portati dal fiume Cornia, che proveniva dalle Colline Metallifere dove nasce, per poi attraver- sare tutta la valle a cui da il nome. Le sabbie del mare avevano formato un esteso tombolo che costituiva una sorta di barriera tra lo stagno ed il mare e qui, al riparo delle correnti, si trovava l’antico porto romano di Falesia. Contiguo allo stagno vi era il padule di Montegemoli 3 . Spostando lo sguardo a nord in direzione di S. Vincenzo si poteva poi intravedere il lago di Ri- migliano, una vera e propria palude estesa per circa tre chilometri parallela al mare. In mezzo a questi specchi di acqua si ergeva il promontorio di Piombino, sulla cui sommità si trovava Popu- lonia, importante insediamento di origine etru- sca, legato alle attività metallurgiche del ferro. Ai piedi del promontorio verso nord si estende- va il golfo di Baratti, con l’omonimo porto ro- mano. Proseguendo all’interno, superati gli stagni e le paludi si incontrava un’area di pianura attraver- sata dal Cornia e dalla sua rete di affluenti mi- nori e prima di inoltrarsi verso le alture sopra- stanti, vicino all’attuale piana di Venturina, si diffondevano i vapori delle sorgenti idroterma- li, in prossimità delle quali passava la via Aure- lia. Sempre dall’alto della Rocca, volgendo lo sguar- do verso nord, si scorgevano le pendici dei monti di Campiglia. Tutto intorno e proseguendo oltre nell’interno, fitti boschi di caducifoglie, con cer- ri, roveri, roverelle, farnie 4 . Spoglie sommità di calcare, boschi, macchia, paludi, stagni e lontananza da grossi centri ur- bani sembrerebbero quindi alimentare l’imma- gine di un territorio marginale, all’interno di una Maremma inospitale e selvaggia. Come dimostrano la ricerca storica e le più re- centi indagini archeologiche, in realtà sin dal- l’altomedioevo questi dati devono essere spostati La storia di Campiglia ha due inizi corrispon- denti a prospettive storiche differenti e distan- ziate nel tempo: uno nel 1004, quando per la prima volta nei documenti scritti a noi pervenu- ti compare questo toponimo associato ad una precisa realtà insediativa, un castello legato al- l’importante famiglia aristocratica dei Della Ghe- rardesca; un secondo ascrivibile ad un arco di tempo sicuramente antecedente il X secolo, a cui risalgono le prime evidenze materiali riportate in luce durante le indagini archeologiche. Tra questi due momenti scorre più di un secolo e mezzo di storia che segna qui, come nel resto della Toscana rurale, il passaggio cruciale dalla signoria fondiaria a quella territoriale, da un si- stema politico ed economico ancora saldamente legato all’ordinamento carolingio ad un altro facente perno sulla rete di castelli che, almeno in questo contesto, segnerà in maniera indelebi- le la geografia dei paesaggi sino ai nostri giorni 1 . Come spesso accade però, questi originari indizi sono numericamente scarsi ed apparentemente dissociati tra di loro. Prima di riassumerli, per metterli meglio a fuoco, sarà quindi necessario fare un passo indietro e muovere il nostro sguar- do da queste evidenze ai luoghi e agli avveni- menti che interessarono i comprensori vicini. Se a livello macroterritoriale «all’inizio del me- dioevo l’Italia ha già la sua fisionomia moder- na” 2 , a scala ridotta, l’area da noi esaminata pre- sentava caratteristiche piuttosto diverse da quelle osservabili oggi. Il panorama che si presentava dall’altura dove oggi si trova la Rocca, guardando ad ovest verso il mare, doveva essere caratterizzato dal forte riflesso di un grande stagno oggi totalmente scomparso che si estendeva lungo buona parte della pianura a sud-est dell’attuale abitato di Piombino. Lo stagno in origine era un ampio 1 È questo solo un brevissimo accenno, al complesso pro- cesso di formazione delle signorie rurali per il cui studio, tra i contributi più significativi si rimanda, oltre ai saggi relativi al caso toscano contenuti in FRANCOVICH, GINA- TEMPO 2000, a SERGI 1993, 1995a, 1995b, DILCHER, VIO- LANTE 1996, WICKHAM 1996, SPICCIANI, VIOLANTE 1998, VIOLANTE 1991, FRANCOVICH, WICKHAM 1994, BARCELÓ, TOUBERT 1998, CAMMAROSANO 1997, 1998, 2 CAMMAROSANO 2001, p.47. 3 Per una più estesa descrizione delle caratteristiche di questo paesaggio si veda il contributo di CASINI in questo volume, sez.I. 4 Per la descrizione del paesaggio intorno Campiglia in età medievale si veda il contributo di DI PASQUALE, cap. XI, sez. III.

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VII. UN CASTELLO, UN TERRITORIO E LE SUE STORIE (SECC. IX-XVI)SINTESI DEI DATI E CONSIDERAZIONI FINALI

golfo marino che si era gradualmente impaluda-to a causa dell’accumulo dei materiali alluviona-li portati dal fiume Cornia, che proveniva dalleColline Metallifere dove nasce, per poi attraver-sare tutta la valle a cui da il nome. Le sabbie delmare avevano formato un esteso tombolo checostituiva una sorta di barriera tra lo stagno edil mare e qui, al riparo delle correnti, si trovaval’antico porto romano di Falesia. Contiguo allostagno vi era il padule di Montegemoli3.Spostando lo sguardo a nord in direzione di S.Vincenzo si poteva poi intravedere il lago di Ri-migliano, una vera e propria palude estesa percirca tre chilometri parallela al mare. In mezzo aquesti specchi di acqua si ergeva il promontoriodi Piombino, sulla cui sommità si trovava Popu-lonia, importante insediamento di origine etru-sca, legato alle attività metallurgiche del ferro.Ai piedi del promontorio verso nord si estende-va il golfo di Baratti, con l’omonimo porto ro-mano.Proseguendo all’interno, superati gli stagni e lepaludi si incontrava un’area di pianura attraver-sata dal Cornia e dalla sua rete di affluenti mi-nori e prima di inoltrarsi verso le alture sopra-stanti, vicino all’attuale piana di Venturina, sidiffondevano i vapori delle sorgenti idroterma-li, in prossimità delle quali passava la via Aure-lia.Sempre dall’alto della Rocca, volgendo lo sguar-do verso nord, si scorgevano le pendici dei montidi Campiglia. Tutto intorno e proseguendo oltrenell’interno, fitti boschi di caducifoglie, con cer-ri, roveri, roverelle, farnie4.Spoglie sommità di calcare, boschi, macchia,paludi, stagni e lontananza da grossi centri ur-bani sembrerebbero quindi alimentare l’imma-gine di un territorio marginale, all’interno di unaMaremma inospitale e selvaggia.Come dimostrano la ricerca storica e le più re-centi indagini archeologiche, in realtà sin dal-l’altomedioevo questi dati devono essere spostati

La storia di Campiglia ha due inizi corrispon-denti a prospettive storiche differenti e distan-ziate nel tempo: uno nel 1004, quando per laprima volta nei documenti scritti a noi pervenu-ti compare questo toponimo associato ad unaprecisa realtà insediativa, un castello legato al-l’importante famiglia aristocratica dei Della Ghe-rardesca; un secondo ascrivibile ad un arco ditempo sicuramente antecedente il X secolo, a cuirisalgono le prime evidenze materiali riportatein luce durante le indagini archeologiche.Tra questi due momenti scorre più di un secoloe mezzo di storia che segna qui, come nel restodella Toscana rurale, il passaggio cruciale dallasignoria fondiaria a quella territoriale, da un si-stema politico ed economico ancora saldamentelegato all’ordinamento carolingio ad un altrofacente perno sulla rete di castelli che, almenoin questo contesto, segnerà in maniera indelebi-le la geografia dei paesaggi sino ai nostri giorni1.Come spesso accade però, questi originari indizisono numericamente scarsi ed apparentementedissociati tra di loro. Prima di riassumerli, permetterli meglio a fuoco, sarà quindi necessariofare un passo indietro e muovere il nostro sguar-do da queste evidenze ai luoghi e agli avveni-menti che interessarono i comprensori vicini.Se a livello macroterritoriale «all’inizio del me-dioevo l’Italia ha già la sua fisionomia moder-na”2, a scala ridotta, l’area da noi esaminata pre-sentava caratteristiche piuttosto diverse da quelleosservabili oggi.Il panorama che si presentava dall’altura doveoggi si trova la Rocca, guardando ad ovest versoil mare, doveva essere caratterizzato dal forteriflesso di un grande stagno oggi totalmentescomparso che si estendeva lungo buona partedella pianura a sud-est dell’attuale abitato diPiombino. Lo stagno in origine era un ampio

1 È questo solo un brevissimo accenno, al complesso pro-cesso di formazione delle signorie rurali per il cui studio,tra i contributi più significativi si rimanda, oltre ai saggirelativi al caso toscano contenuti in FRANCOVICH, GINA-TEMPO 2000, a SERGI 1993, 1995a, 1995b, DILCHER, VIO-LANTE 1996, WICKHAM 1996, SPICCIANI, VIOLANTE 1998,VIOLANTE 1991, FRANCOVICH, WICKHAM 1994, BARCELÓ,TOUBERT 1998, CAMMAROSANO 1997, 1998,2 CAMMAROSANO 2001, p.47.

3 Per una più estesa descrizione delle caratteristiche diquesto paesaggio si veda il contributo di CASINI in questovolume, sez.I.4 Per la descrizione del paesaggio intorno Campiglia inetà medievale si veda il contributo di DI PASQUALE, cap.XI, sez. III.

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su di un altro registro di lettura che non è soloquello della natura dei luoghi ma del rapportoche gli uomini che li abitavano avevano con l’am-biente e soprattutto con le sue risorse. E di risor-se questo territorio era particolarmente ricco.Dagli stagni si poteva ricavare un bene preziosocome il sale, nelle loro acque prive di forti cor-renti si praticava l’allevamento di pesci, i portidi Falesia e Baratti ancora in età medievale, co-stituivano importanti punti di attracco. Nelle areedi pianura marginali all’area costiera si continua-va a coltivare il grano, i boschi, che in età roma-na fornivano importante combustibile per le at-tività metallurgiche, dall’altomedioevo divenneroluoghi oltreché di approvvigionamento del le-gname anche dove poter pascolare numerosemandrie di animali e soprattutto i monti campi-gliesi dell’immediato entroterra racchiudevanofiloni di metalli quali il rame, il piombo, l’argen-to, lo stagno, il ferro e l’allume5.Molte di queste risorse, come abbiamo anticipa-to, erano già sfruttate in periodi antecedenti ilmedioevo.Populonia si sviluppò in età etrusca come centrodi attività metallurgiche dei minerali ferrosi pro-venienti dall’isola d’Elba su questo promontorioricco di combustibile necessario per tali processiproduttivi. Se la riduzione di queste attività dal Isecolo a.C., in relazione ad un diverso orienta-mento della politica imperiale in campo minera-rio, segnò l’avvio di un graduale processo di de-cadenza e destrutturazione di questo importantepolo urbano, ciò non significò lo spopolamentodel promontorio, ma una riorganizzazione dellarete abitativa6. Una serie di insediamenti minorisi sviluppò nelle alture del promontorio a coro-na del golfo di Baratti, continuando a vivere sinoalla tarda antichità. Lo stesso porto di Baratti sitrasformò in un più consistente agglomerato de-mico, mentre la presenza, di ceramiche africanenei siti posti nella pianura dell’immediato entro-terra costiero è un chiaro indicatore di come larete di scambi e commerci si fosse spostata daPopulonia a questi nuovi, ridotti centri7.Un paesaggio caratterizzato quindi sino alla tar-da-antichità da una trasformazione della magliainsediativa con presenza di nuclei abitati medio-grandi di pianura e fascia costiera, ma anche villecon vivaria come quella posta sulle rive dello sta-

gno di Piombino, descritta da Rutilio Namazianonel V secolo che conferma, con il suo racconto,come ancora in questo periodo l’itticoltura e lapesca insieme alle saline fossero le principali atti-vità economiche del promontorio8.Spostandoci però verso l’interno i dati si fannopiù scarni. In età imperiale la presenza della viaAurelia determinò la formazione di ville rusti-che e nuclei abitati di media e piccola consisten-za demica che dal IV al VI secolo d.C. subironoperò un notevole ridimensionamento numerico.È possibile inoltre che altre realtà insediative esi-stessero nei monti del campigliese, già frequen-tati in età etrusca, dove si può ipotizzare lo sfrut-tamento dei minerali di limonite sino all’età tar-doantica. Tale fenomeno potrebbe infatti riallac-ciarsi al processo di frammentazione delle atti-vità metallurgiche nelle stesse ville rustiche co-stiere, dopo la cessazione di tali processi in scalapiù ampia nell’area del promontorio sin dal Isecolo a.C9.Ed è a questa realtà, poco consistente da un puntodi vista di resti materiali, che bisogna fare riferi-mento per riallacciarsi al sottile filo rosso chegradualmente ci riporterà alla storia di Campi-glia.Verso la fine del V secolo, malgrado il processodi frantumazione della città antica, Populoniadivenne sede vescovile andando così a definire ilimiti della nuova diocesi, confinante a nord conquella di Volterra, istituita sempre nel corso delV secolo. Al pari di quest’ultima città, anche perPopulonia una simile istituzione non fu in gradodi rivitalizzare il centro e renderlo capace di unefficace controllo del territorio, che rimase cosìaperto alle influenze delle città più forti, comeLucca, Pisa e Chiusi10.I dati storici ed archeologici in nostro possessonon ci consentono purtroppo di ripercorrere inmaniera precisa le tappe dell’occupazione lon-gobarda dopo la formazione dei ducati di Luccae Chiusi. In ogni caso sappiamo che in un pae-saggio caratterizzato dalla presenza di insedia-menti definiti curtes, vici, e casalia si sviluppò inquesto territorio una consistente enclave civilelucchese a cui fece seguito la presenza di pro-prietari sempre lucchesi quali la stessa chiesa ve-scovile, pisani od appartenenti ad importanticasate come gli Aldobrandeschi, che solo tre se-coli più tardi, nell’826 fanno una loro prima

5 Riguardo alle risorse del territorio si veda ancora il con-tributo di CASINI, sez. I.6 Per i risultati delle più recenti indagini archeologichesul promontorio di Piombino si veda DALLAI 1997, DAL-LAI 2002, CAMBI, MANACORDA 2002.7 DALLAI 2002.

8 Per la contestualizzazione del passo di Namaziano inrelazione alle attività di pesca in questa zona si veda DAL-LAI, SHEPERD c.s.9 Vedi contributo CASINI, sez. I.10 CECCARELLI 2001, p. 18.

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comparsa nelle fonti scritte riferite a quest’area11.E può darsi che questo, tra VI e VII secolo, siastato proprio il momento di una generale riorga-nizzazione del territorio, caratterizzata forse dauna prima confluenza della popolazione che vi-veva nell’entroterra verso le alture delle collineche si elevavano immediatamente a ridosso del-l’area costiera, analogamente a quanto accaddenelle zone poste più a sud12. La mancanza di pre-cisi indizi archeologici a riguardo non aiuta a ve-dere più chiaro nel cono d’ombra che ancora siallunga su questo cruciale momento storico.In ogni caso alcune delle principali attività eco-nomiche che caratterizzavano l’area costiera edi pianura nella tarda-antichità dovettero sostan-zialmente rimanere invariate se alla metà dell’VIIIsecolo i documenti registrano consistenti espor-tazioni di grano e sale diretti dagli scali del pro-montorio di Piombino verso Lucca13.Ma anche le risorse metallifere continuarono ad es-sere al centro degli interessi di chi aveva deciso diinvestire in questi luoghi. Indubbiamente le mo-dalità di produzione avevano subito delle consi-stenti trasformazioni rispetto all’età classica, nontanto riguardanti il processo tecnologico, quanto l’or-ganizzazione del lavoro. Da una produzione in lar-ga scala si era infatti passati ad una capillarizzazionedelle attività estrattive e siderurgiche sostanzial-mente rivolta all’autoconsumo od ad un mercatoridotto14. Questo riguardò in particolare la lavo-razione di alcuni metalli come il ferro.Per l’argento rimase sempre un vivo interesse deiceti eminenti, sostanzialmente legato al suo uti-lizzo nella fabbricazione di oggetti preziosi. Nona caso i maestri pisani e lucchesi venivano pro-prio in questi luoghi a rifornirsi di materia pri-ma sin dall’altomedioevo15.Le cose cominciarono però a cambiare con lariforma monetaria introdotta dai franchi e il suc-cessivo passaggio dalla monetazione aurea a quel-la d’argento. A questo punto i metalli estraibilidalle miniere campigliesi, utilizzabili a questo

scopo dalla zecca lucchese acquistarono natural-mente un valore aggiunto.Questa ulteriore valorizzazione delle risorse diquest’area coincise probabilmente anche conun’accelerazione della riorganizzazione degli as-setti abitativi territoriali.Qualcosa però si era già messo in moto primaancora della conquista franca. Come si è scrittopoco sopra, da Lucca verso questo territorio sierano indirizzati gli interessi di importanti espo-nenti di famiglie aristocratiche insieme a quelledella stessa chiesa vescovile, i cui rappresentantisi muovevano nel territorio accanto a quei picco-li e medi proprietari che ancora vivevano negliinsediamenti lungo la fascia costiera o nell’imme-diato entroterra forse proprio già su alcuni deirilievi che in seguito diverranno sedi di castelli.Nell’interno, a nord-est, oltre i monti campigliesi,in prossimità dell’attuale borgo di Monteverdi,un gruppo di esponenti di spicco della societàpisana, lucchese e corsa fondò nel 752/3 il mo-nastero benedettino maschile di S. Pietro. Il ce-nobio, dipendente dall’amministrazione civile diLucca, situato a cavallo tra la diocesi di Populo-nia e Volterra, era posto in una posizione strate-gica per il controllo delle risorse metallifere diquell’area. La documentazione scritta e l’assen-za per ora di adeguate indagini archeologiche,non permette di valutare al meglio la reale im-portanza di questa struttura monastica che in-trattenne rapporti con quella di Reichenau sullago di Costanza o con S. Vincenzo al Volturnoe che all’inizio del IX secolo contava la presenzadi ben 140-160 monaci16. Evidentemente ad unasimile realtà politica gli immediati confini terri-toriali stavano stretti. Così già al momento dellasua formazione uno dei suoi fondatori, il pisanoWalfredo, dette in dote al monastero una suacurtis in Castagneto ed un’altra localizzata a norddel Cornia, aprendo quindi un canale di espan-sione verso l’area costiera, sfruttato appieno senell’XI secolo l’ente monastico controllava ilcastello di Campetroso, la chiesa di S. Angelo eil monastero di S. Colombano sorto nella pianu-ra compresa tra Castagneto e Donoratico17.Ecco quindi che perlomeno per l’VIII secolo ri-sultano delineati i principali protagonisti a cui sideve il controllo di quest’area: il vescovo di Po-pulonia, la chiesa di Lucca, alcuni esponenti difamiglie aristocratiche pisane e lucchesi tra cui

11 A proposito di questo passaggio storico si veda ancorail contributo di CASINI, cap.1.2.2, sez.I e quello di CECCA-RELLI, t. I, cap. I.1.1.12 A tale proposito si fa riferimento al caso di una serie disiti posti nel territorio a sud di Campiglia, in seguito di-venuti castelli, come Scarlino, Fornoli, Torri, Poggio Ca-volo, dove le evidenze archeologiche suggeriscono un ac-centramento della popolazione già tra VII-VIII secolo,FRANCOVICH 1995, CAMBI, CITTER, GUIDERI, VALENTI 1994e CARANDINI, CAMBI 2002 per la più recente rielaborazio-ne dei dati relativi alle valli dell’Albegna, dell’Oro, delChiarone e del Tafone.13 FARINELLI, FRANCOVICH 1994, p. 451.14 FARINELLI, FRANCOVICH 1994, p. 450.15 FARINELLI, FRANCOVICH 1994, pp. 446 e sgg.

16 Per un’aggiornata sintesi della storia del monastero si vedail contributo di Farinelli, in BELCARI, BIANCHI, FARINELLI 2003.17 CECCARELLI, t. I, cap. I.1.1, solo nel 1176 abbiamo l’at-testazione documentaria del possesso, da parte del mo-nastero, di un terzo del castello di Donoratico.

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spiccano gli Aldobrandeschi, il monastero diMonteverdi.A questi soggetti sono legate le prime attestazio-ni certe di curtes in questo territorio, tutte postesu rilievi collinari: quella già citata di Castagne-to; a sud la curtis di Casalappi citata nell’882,quella di Montioni attestata nel 771, S. Vito inCornino (770), Casale Longo (867), S. Regoloin Gualdo tutte legate alla chiesa lucchese oltrealla curtis regia di Valle (937)18 (Tav. 1).Osservando sulla carta la localizzazione di questisiti si ha l’impressione di una copertura piuttostouniforme dell’area a sud-ovest della diocesi conun reticolo di curtes, con probabili territori an-nessi, non molto distanziate le une dalle altrementre, a causa forse della natura stessa delle fontiscritte19, rimane apparentemente senza storia laporzione di territorio più vicina alla costa, doveappunto è localizzata Campiglia, di cui ancora nonabbiamo nessuna menzione. Dalle fonti documen-tarie sappiamo solo dell’esistenza di una chiesa,S.Maria in Cornino attestata nel 769, forse, se-condo l’ipotesi della Ceccarelli legata al vescovodi Populonia,. Ma non abbiamo notizie di quellaumanità che sicuramente popolava l’area cam-pigliese, forse già inserita nel territorio di curtesnon documentate e soprattutto ci mancano an-cora le tracce della famiglia che dall’XI secolosarà la principale protagonista nel processo diincastellamento di questa fetta di territorio, iDella Gherardesca.Per seguire i primi avvenimenti che li riguardano,o perlomeno quelli sinora individuabili nelle fon-ti scritte disponibili, bisogna tornare nell’interno,oltre Monteverdi, superare i confini della diocesidi Populonia e fermarci a Volterra. Qui, ma soloalla metà del X secolo, quindi circa un secolo emezzo dopo l’orizzonte cronologico a cui sinoraabbiamo fatto riferimento, assistiamo ai primi con-sistenti movimenti politici della casata, di cuiancora oggi sono nebulose le origini20. È infattinel 967 che un esponente della famiglia vieneinvestito del comitatus della città, titolo che iGherardeschi mantennero sino alla metà del se-colo successivo, quando il controllo politico diVolterra, dopo questa parentesi, tornò nuova-

mente in mano ai vescovi21. Ciò segnò la defini-tiva scomparsa della famiglia dagli avvenimenticittadini ma al contrario il loro contemporaneoradicamento in ampie aree del territorio circo-stante e anche lontano da Volterra, come la Valdi Merse, la Val d’Egola, la Val d’Era, la bassaVal di Cecina e naturalmente la Val di Cornia.Per essere investiti di una simile carica nel X se-colo è probabile che i Gherardeschi già da tem-po avessero messo in atto una serie di strategiepolitiche, analogamente ad altri gruppi familia-ri, finalizzate all’accorpamento di beni allodialie beneficiari o al controllo di aree attraverso fun-zioni pubbliche di carattere amministrativo, an-che in territori più lontani dalla loro zona di in-fluenza, attratti da risorse strategiche.Ma queste sono solo ipotesi e la cosa migliore èattenerci ai dati disponibili. E i dati ci portano arestringere il nostro campo visivo nuovamente aCampiglia su quelle deboli evidenze materiali acui avevamo fatto cenno all’inizio di questo ca-pitolo.

IX secolo

Come si è scritto in precedenza, ad est e sud diCampiglia sono documentate delle curtes di cui,ad eccezione delle ipotesi riguardanti S.Vito inCornino22, non ci restano tracce materiali. Le

18 CECCARELLI, t. I, cap. I.1.1.19 Si tratta infatti di fonti provenienti da enti, come gliarchivi ecclesiastici pisani e lucchesi, che avevano sede inlocalità distanti da questa. La relativa dispersione dei do-cumenti riguardanti il territorio al loro interno non èquindi in grado di fornire una veritiera ricostruzione del-la realtà insediativa di questo periodo. Per queste ed altreconsiderazioni a riguardo si veda FARINELLI 2000.20 Sulla storia della famiglia si veda CECCARELLI 1993, 1995.

21 CECCARELLI 2001, p. 19.22 Si veda a proposito CASINI, cap. I.2.3, sez. I.

Tav. 1 – Localizzazione delle curtes citate dalle fontiscritte.

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fonti scritte inoltre attestano nel 769 l’esistenzadi una chiesa, S.Maria di Cornino, localizzabile,secondo l’ipotesi della Ceccarelli, in prossimitàdi Cafaggio, quindi alle pendici meridionali delcolle di Campiglia23.Nella Rocca, lo scavo ha permesso l’individua-zione di circa una decina di buche di palo rag-gruppate internamente al centro dell’edificio A.Nessun elemento cronologico valido è stato rin-venuto connesso ai ridotti strati in fase con lebuche, che risultano di conseguenza databili at-traverso le relazioni stratigrafiche con un altropiù consistente gruppo di buche che oblitera leprime, formatosi alla prima metà del X secolo24.Queste ridotte testimonianze, databili quindi adun periodo anteriore all’inizio del X secolo, peressere meglio comprese potrebbero essere rela-zionate con due gruppi di reperti lapidei erraticiconservati all’interno del Palazzo Pretorio diCampiglia o murati in abitazioni del borgo.Al primo insieme appartiene un frammento dicornice relativa ad un recinto presbiteriale data-bile tra VIII e IX secolo ed un frammento di plu-teo ascrivibile al IX secolo.Il secondo gruppo è composto invece da dueframmenti pertinenti ad una recinzione presbi-teriale rapportabili al IX-X secolo25.Tutti i pezzi quindi apparterebbero ad arredi li-turgici. Le differenze stilistiche e cronologicheriscontrabili tra gli insiemi indurrebbero ad ipo-tizzare un’appartenenza a due diversi edifici oeventualmente, ad un unico per il quale fu peròprevisto, entro un secolo, il rinnovo del reper-torio decorativo.La mancanza di un legame diretto ad un precisocontesto porta ad ipotizzare la loro pertinenza aqualche chiesa posta dentro l’abitato o non trop-po lontano da questo. I frammenti più antichipotrebbero appartenere allora forse alla chiesadi S.Maria in Cornino localizzata secondo le ipo-tesi della Ceccarelli in prossimità di Cafaggio,ma niente esclude che un edificio religioso fossepresente già allora sulla sommità del colle. Neldocumento del 1004 il castello di Campiglia èassociato all’esistenza di una ecclesia e potrebbeessere plausibile la provenienza di questi fram-menti, perlomeno quelli datati tra IX e X seco-lo, da quest’ultimo edificio religioso26.

Al di là comunque di queste ipotesi, il dato cheemerge con chiarezza è l’esistenza nel IX secolodi un edificio religioso in pietra nelle vicinanzedi Campiglia, ricollegabile cronologicamente adun agglomerato demico di cui rimane una debo-le traccia proprio nelle buche riportate in lucecon lo scavo, analogamente a quanto stava acca-dendo nel non lontano insediamento di Scarli-no27.Lo sparuto gruppo di cavità non è sufficiente adarci indicazioni sul tipo di strutture connesse aquesto insediamento sommitale, né la ridottastratigrafia ci offre la possibilità di intuire il tipodi cultura materiale ad esso collegata. La pre-senza però di arredi liturgici in pietra è un impor-tante indicatore dell’esistenza di un’‘industria’ delcostruire che da ora in poi diverrà una delle prin-cipali spie di lettura dei cambiamenti economicie che, in questo arco cronologico, è sintomaticadella circolazione di maestranze con buon livel-lo di specializzazione, in grado di costruire edecorare in pietra. Questo flusso di maestranze,forse ricollegabili anche a quei magistri lombar-di attivi nella zona fra VIII e IX secolo28, è sicu-ramente da relazionare alla presenza di commit-tenze forti, come il vescovo, nel frattempo tra-sferitosi da Populonia proprio nella Bassa Val diCornia29 o la chiesa lucchese, in grado di inve-stire nella costruzione di edifici religiosi. Ciò èun’ulteriore riprova della non marginalità diquesto territorio rispetto anche a quanto stavaaccadendo nel panorama edilizio dei principalicentri urbani, confermando la tendenza semprepiù costante dei nuovi ceti dirigenti cittadini adinvestire nelle campagne30.

X secolo

All’inizio del X secolo le fonti scritte ancora tac-ciono su Campiglia e poco o niente si sa di quel-lo che accadeva nei limitrofi centri curtensi, male evidenze materiali rinvenute nella Rocca co-minciano a narrare una storia dai contorni piùdefiniti (Fig. 1).

23 CECCARELLI, t. I, cap. I.1.3.24 Per una dettagliata descrizione di queste evidenze siveda BIANCHI, cap. I.1, sez. V.25 La descrizione ed interpretazione di questi frammentisi ritrova nel contributo di BELCARI, cap. IV, sez. VI.26 Ancora BELCARI, cap. IV, sez. VI.

27 Qui infatti con l’indagine archeologica è stata riporta-ta in luce una chiesa, databile alla fine del IX secolo, as-sociata ad un villaggio di capanne, FARINELLI, FRANCOVICH2000, p. 50.28 VOLPE 1965, pp. 42-43, BIANCHI 1996, pp. 155-157.29 Il trasferimento fu dovuto alla distruzione di Populo-nia nell’809 da parte di pirati, si veda a proposito CECCA-RELLI, t. I, cap. I.1.1, con relativa bibliografia.30 Questa tendenza è quanto emerge dalla lettura delleevidenze documentarie o archeologiche per città comeLucca, QUIRÓS 2002 o Volterra, AUGENTI, TERRENATO 2000.

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I resti di tre capanne di ampie dimensioni sonoquanto rimane di un agglomerato composto pro-babilmente di altre tre o quattro unità abitativeposte, analogamente alle altre, con il lato lungoai bordi del pianoro sommitale, in modo da la-sciare uno spazio aperto al centro destinato agliannessi domestici od alle attività agricole31. L’in-sediamento occupava tutto lo spazio disponibile,coprendo una superficie complessiva di circa 1000mq. Poiché nelle capanne scavate si presume unospazio abitabile intorno ai 36 mq, è plausibile cheal loro interno potessero vivere perlomeno quat-tro, cinque persone32. Se l’ipotesi della possibilepresenza di altre tre, quattro capanne, oltre le treindividuate, fosse quindi valida, potremmo pen-sare quest’area abitata complessivamente da sei,sette gruppi familiari che, composti appunto daquattro, cinque persone, farebbero un totale ditrenta, trentacinque individui.Purtroppo a causa delle successive, consistentiasportazioni non è stato possibile verificare adesempio la presenza di eventuali palizzate a di-fesa di questo agglomerato e la mancata indagi-ne lungo i pianori sottostanti non ha permessodi constatare l’evidenza di eventuali altre capan-ne disposte inferiormente al pianoro sommitale,elemento utile per capire la preesistenza di unassetto insediativo simile a quello del successivocastello33.Per fortuna abbiamo maggiori dati riguardo allacultura materiale.Intanto le caratteristiche delle abitazioni: si trat-tava di capanne a forma rettangolare o legger-mente ‘a barca’ costruite con un’armatura di palie argilla pressata mista a ramaglie34.

È ipotizzabile, vista la non complessità architet-tonica, che gli abitanti fossero anche costruttoridelle proprie abitazioni recuperando le materieprime direttamente dai vicini boschi.L’economia di questo agglomerato era di tiposilvo-pastorale, strettamente legata alle aree bo-schive e di incolto circostanti, basata sostanzial-mente sull’allevamento dei suini, le cui ossa sonostate trovate in alta percentuale rispetto a quelledi capriovini, mentre la bassa presenza di boviniè indicativa di un ruolo marginale delle attivitàagricole35.Per quanto riguarda la ceramica, rinvenuta so-prattutto nei depositi di abbandono delle stessecapanne, tra le depurate si contano in maggio-ranza quelle con superfici lisciate a panno o steccao con decorazioni incise a crudo, presenti in per-centuale maggiore rispetto ai prodotti in acro-ma grezza. In misura numerica minore comple-ta il quadro del corredo da cucina e da dispensa,ceramica con vetrina sparsa ed a bande rosse36.Il dato comunque più significativo, che emergedall’analisi degli impasti, è che tutti questi elementidel corredo erano di produzione locale, con ca-ratteristiche nella composizione degli impasti deiprodotti cosiddetti depurati che li accomunano aquelli a bande rosse e vetrina sparsa, portando adipotizzare la provenienza di questi dalle medesi-me botteghe localizzate in aree non lontane daCampiglia, probabilmente site nella pianura a ri-dosso del promontorio piombinese37.All’interno quindi di un quadro storico, ancora-to a scarni dati documentari, si cominciano amettere a fuoco alcuni essenziali punti fermi, col-legati a sicuri dati materiali, che a loro volta peròpongono una serie di domande a cui risulta for-se azzardato dare delle sicure risposte.Innanzitutto occorre interpretare questo agglo-merato di sommità popolato all’inizio del X se-colo da quaranta e forse più individui, riorga-nizzato sui resti di una precedente realtà inse-diativa perlomeno di IX secolo, nelle cui vici-nanze si trovava una chiesa in pietra.I documenti, per le aree circostanti Campiglia,attestano la presenza di curtes, quindi ci trovia-mo all’interno di un territorio ben incardinato nelsistema economico di stampo carolingio. PotevaCampiglia essere allora il centro di un’aziendacurtense di cui non rimane traccia nelle fonti scrit-

31 L’ipotesi della presenza di altre tre o quattro capannenasce dall’analisi della posizione di quelle riportate in lucenella planimetria dell’area sommitale. Lo spazio non sca-vato o dove si sono verificate asportazioni di deposito,che intercorre tra le capanne trovate, corrisponde infattiquasi esattamente alla misura della loro lunghezza. È quin-di lecito ipotizzare che nelle zone dove, per i motivi so-pracitati, non si sono rinvenute evidenze materiali, po-tessero trovarsi altre unità abitative con le medesime ca-ratteristiche architettoniche.32 Il numero proposto può essere considerato in difetto,rispetto ad esempio alla quantità di abitanti in rapporto aquello delle capanne ipotizzato per altri siti altomedieva-li europei riportati nel capitolo conclusivo in VALENTI1996, pp. 369-370. Per prudenza ci atteniamo comun-que ad un numero minimo prendendo come riferimentoi quattro-cinque individui che componevano i nuclei fa-miliari presenti nelle unità fondiarie del monastero diS.Giulia di Brescia, SERGI 1995, p.210.33 A differenza del caso del castello di Montarrenti (SI)dove lo scavo ha evidenziato già per l’VIII secolo una di-visione tra area sommitale e sottostanti pianori. CANTINI1998-99.34 Per la descrizione dettagliata delle caratteristiche diqueste capanne si veda BIANCHI, cap.II, sez.VI con relati-

va bibliografia di riferimento.35 A proposito si veda il contributo di SALVADORI, sez. III,cap. X.36 Si veda il contributo di GRASSI e BOLDRINI, sez. III, cap. I.37 Questa è la conclusione a cui arrivano GRASSI e BOLDRI-NI nel loro contributo, sez. III, cap. I.

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te? Lo scavo del villaggio di inizio X non ha por-tato al riconoscimento di strutture interpretabilicome tipiche di un caput curtis, rinvenute ad esem-pio in altri siti toscani identificati in tal modo,come nel caso di Montarrenti38, ma la parzialeconservazione dei depositi scavati potrebbe esse-re la causa di questa assenza.Al tempo stesso l’evidente mancanza nei restiossei suini dei quarti posteriori, suggerisce l’ipo-tesi che questi potessero rientrare in un mercatodi scambi o addirittura essere la traccia di cano-ni livellari e ciò potrebbe rappresentare un indi-zio per interpretare l’insediamento come unadelle aziende facenti capo ad un centro curtenseposto nelle vicinanze39. In quest’ottica si prospet-terebbe lo scenario di un’azienda legata ad unaprecisa economia silvo-pastorale all’interno diun territorio caratterizzato da una certa rete discambi, come dimostrerebbe anche la ceramicarinvenuta proveniente da officine locali.La collocazione di Campiglia nel cuore dell’areametallurgica, in cui forse già esistevano centrispecializzati nella lavorazione dei metalli e doveall’inizio dell’XI secolo fu edificato un villaggiocon il preciso obiettivo di sfruttare le risorseminerarie40, non impedì quindi lo sviluppo di uncentro con un orientamento economico specifi-co, legato soprattutto all’allevamento, che di fat-to rimase il tratto economico fondamentale del-l’abitato sino all’età contemporanea.Se questa azienda ed i suoi abitanti fossero poilegati ad un centro curtense di pertinenza regia,della chiesa lucchese, del vescovo di Populoniao dello stesso monastero di Monteverdi nonpossiamo dirlo, ma possiamo comunque per ilmomento constatare seppure con estrema cau-tela ed in base ai dati di scavo, che nella porzio-ne indagata del villaggio i frammenti ceramicicome le ossa animali erano distribuite uniforme-mente e le capanne avevano tutte le stesse carat-teristiche strutturali, senza quindi nessun segnodistintivo della presenza all’interno della picco-la comunità di individui di rango superiore41.

Solo la precisa disposizione delle unità abitativee l’uniformità delle tecniche sembra indicativadi una buona organizzazione e di una consape-volezza dell’utilizzo dello spazio che, al momen-to, non sappiamo se riferire alla perizia degliabitanti costruttori o all’adozione di ‘modelli’coevi di riferimento, seguendo forse la regia diqualche individuo con superiori conoscenze tec-niche addetto alla ridefinizione del villaggio42.È possibile quindi che in questa fase, in modomolto graduale, alcuni esponenti dei Gheradeschilegati a qualcuno degli enti sopracitati comin-ciassero il loro lento processo di espansione ver-so questo territorio, inserendosi nella gestionedi aziende come questa.In mancanza di fonti scritte in proposito è soloattraverso l’indagine archeologica che possiamotentare di dare una risposta ed in tal senso i datisuccessivi segnalano, nella seconda metà del Xsecolo, un significativo cambiamento.In questo periodo, infatti, nella porzione nord-ovest del pianoro, sui livelli di vita di una delletre precedenti capanne venne costruito un nuo-vo edificio. Di questo sono state rinvenute ri-dotte porzioni, indicative però di un’importan-te novità: l’uso di conci non lavorati di calcarelocale, tenuti insieme da malta di calce per co-struire una struttura di cui non conosciamo enon possiamo ipotizzare la reale estensione.Il cambiamento da strutture abitative totalmen-te in legno ad altre legate ad un ciclo produttivopiù complesso, può essere indicativo del velocepassaggio in quest’area di maestranze più spe-cializzate; ciò non deve stupirci perché il terri-torio fu attraversato da un flusso costante di spe-cialisti itineranti, come indicano infatti i fram-menti architettonici sopracitati, con ogni pro-babilità provenienti da un edificio religioso cam-pigliese, databili al IX-X secolo. Le recenti inda-gini all’interno del castello di Donoratico ci con-fermano inoltre come una committenza ancoranon precisabile commissionò la costruzione di

38 Dove sono stati riportati in luce i resti di un granaio infase con il villaggio di seconda metà VIII secolo, CANTINI1998-99.39 Il centro dovrebbe allora essere individuato in una del-le curtes conosciute, come quella di Casalappi o Suvereto(per citare quelle più vicine a Campiglia) oppure in unacurtis di cui non si trova traccia nei pochi documenti ri-feribili a quest’area.40 È il caso ormai noto del castello di Rocca San Silvestro,FRANCOVICH 1991, FRANCOVICH, WICKHAM 1994.41 Questa considerazione è valida naturalmente conside-rando quelli sopra elencati come i parametri distintivi diuna tale presenza. Vista la generale scarsità di dati a ri-

guardo dei siti in questo periodo è possibile anche chepossano essere altri, ancora da definire, i segni indicatividi una qualsiasi forma di potere superiore.42 Si tratta di un’ipotesi ancora da verificare che necessital’allargamento del campo di indagine anche ad altri inse-diamenti dei territori limitrofi. Al momento è comunqueinteressante notare come nei siti di Montarrenti, Scarli-no, Donoratico e Rocca San Silvestro i perimetri dellenuove cinte in pietra e l’ampiezza delle superfici in esseraccolte come la forma dello stesso circuito siano moltosimili, portando ad ipotizzare già nel X secolo, perlome-no nell’area sud-ovest della Toscana, una volontà proget-tuale sia dei costruttori sia forse della stessa committen-za, piuttosto marcata. A riguardo di questi argomenti siveda BIANCHI 2003.

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una chiesa e probabilmente di una cinta in pie-tra proprio nella prima metà del X secolo. Ed èalla fine dello stesso secolo che cominciano i la-vori per costruire la cinta sommitale e del borgodel castello di Rocca San Silvestro43.Tutto questo poi avvenne in un momento stori-co di grande mobilità, in cui le attestazioni do-cumentarie di castelli nella Toscana aumentanonotevolmente e torri e cinte in pietra, seppurein numero contenuto, cominciano a caratteriz-zare il profilo di queste fortificazioni, mentrenuovi soggetti si sovrappongono ai precedentienti nel controllo dei distretti territoriali44.È vero che, secondo la Ceccarelli, nel campiglieseil sistema curtense in questo periodo sembra an-cora reggere, come dimostra in diverse fonti scrittefino alla prima metà dell’XI secolo, l’uso dellaformula curtis et castellum a dimostrazione chela nuova fortificazione è ancora giustapposta allaprecedente organizzazione insediativa45. Ma queiresti in muratura, una torre o magari semplice-mente una casa con solo il basamento in pietra el’elevato in legno, forse sono la spia che qualco-sa stava mutando e che magari la presenza di unattore sociale forte si stava facendo sempre piùconsistente, con scelte che ora rivestivano anchegli aspetti materiali più capillari dell’insediamen-to, che cominciano ad essere modellati, attra-verso la chiamata di maestranze, per trasmetterele prime manifestazioni dei nuovi poteri.

XI secolo

Nei primi decenni dell’XI secolo i segnali di que-sto stato di cose diventano ancora più chiari enuovamente la principale e più evidente spia èleggibile negli assetti edilizi dell’insediamento.L’intero pianoro sommitale fu soggetto infatti aduna generale ristrutturazione che non riguardòtanto l’ampiezza dell’area abitabile, rimasta co-stante intorno ai 1000 mq, quanto le stesse abi-tazioni (Fig. 2).Seguendo la disposizione delle precedenti capan-ne, calcandone quasi i più antichi perimetri, fu-rono infatti edificate delle nuove costruzioni ca-ratterizzate dalla presenza di un basamento co-stituito da pietre non lavorate legate da malta diargilla e terra, provviste di un alzato in legno46.

Dal momento che la superficie interna non eramolto diversa da quella delle capanne più antichee presupponendo, come per la precedente fase, unaloro simile disposizione con corte al centro e lapresenza di sei, sette strutture lungo il pianoro som-mitale, in cui vivevano gruppi familiari di quattro,cinque persone, vediamo come la quantità nume-rica degli abitanti di quest’area non dovesse diffe-renziarsi molto da quella di X secolo. Si può sem-mai ipotizzare, forse al di là di un recinto in legnoo in pietra, la presenza, lungo le pendici, di un mag-gior numero di abitazioni dove forse vivevano grup-pi familiari che sempre più numerosi decidevanodi far parte dell’insediamento.È questo infatti il momento che nel territorioesaminato si fanno più presenti le attestazioniche riconoscono il castello come una realtà eco-nomica e sociale dai cui vincoli spaziali (una cin-ta, un borgo) cominciava ad essere definita l’ap-partenenza ad una comunità.Ed è questo anche il momento in cui le fonti scrit-te cominciano ad andare di pari passo con quellemateriali. Nel 1004 si ha infatti la prima attesta-zione di Campiglia, definita come un castello conchiesa e corte, citato insieme ad altri insediamen-ti fortificati della Val di Cornia, donati da alcuniesponenti dei Gherardeschi al monastero di Sere-na in Val di Merse47, da loro appena fondato.Quindi, in questi anni, il processo di penetrazio-ne della famiglia nella Val di Cornia sembrereb-be ormai avvenuto con la conseguenza forse diuna presenza più capillare di loro esponenti al-l’interno degli insediamenti controllati. Ad unapiù accorta e matura politica di espansione deiGherardeschi, finalizzata ad emanciparsi e ma-gari contrapporsi a quegli stessi enti a cui proba-bilmente doveva il proprio radicamento nel ter-ritorio, è legata anche la fondazione nel 1022del monastero benedettino maschile di S. Giu-stiniano, in prossimità delle rive del grande sta-gno di Piombino, vicino al porto di Falesia, inuna posizione strategica per il controllo delle viemarittime e della porzione sud del promonto-rio48. E fu anche grazie a questo monastero, ca-pace di riflettere sulla famiglia un prestigio so-ciale ma anche economico, che vennero attivaticontatti con la sede Apostolica e soprattutto con

43 BIANCHI, FRANCOVICH 2000, 2001 per il caso di Donora-tico, BIANCHI 2003.44 AUGENTI 2000, p. 47.45 Per una trattazione più particolareggiata di questo ar-gomento si veda CECCARELLI, t. I, cap. I.1.1.46 Per la descrizione di queste strutture si veda BIANCHI,

cap. II, sez. VI.47 Nel documento oltre al castello di Campiglia sono at-testati quelli di Biserno, Acquaviva e Montecalvo, tuttilocalizzati nell’area dei monti campigliesi, si veda CECCA-RELLI, t. I, cap. I.1.1.48 Del monastero oggi non rimane nessuna traccia essen-do probabilmente localizzato nell’attuale area industrialedi Piombino, a proposito si veda CECCARELLI 1973.

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Pisa, che proprio nello scorcio dell’XI secolo,cominciava ad interessarsi di questa zona dellaMaremma. Ciò generò gradualmente una seriedi scambi con la città che si rifletterono in ma-niera evidente sulla stessa cultura materiale, comeavremo modo in seguito di analizzare.A Campiglia i segnali di questi passaggi di poterisono ancora abbastanza deboli ma comunquepresenti. Nella zona a sud-est del pianoro, doveun secolo più tardi fu costruito il primo edificioin pietra, si può leggere il perimetro di una ca-panna più ampia dell’altra individuata sul latoopposto della sommità.I materiali utilizzati e le caratteristiche architetto-niche sono sempre le stesse ed è probabile che icostruttori fossero ancora gli abitanti che, forsedopo avere arricchito il proprio bagaglio di co-noscenze attraverso il contatto con le maestranzeartefici del più antico edificio in pietra, deciserodi utilizzare questo materiale pur riferendosi adun processo produttivo semplificato senza la fab-bricazione della malta di calce. Stranamente, ilprecedente edificio in questa fase fu distrutto esui suoi resti venne impiantata la seconda capan-na, nel cui basamento vennero riutilizzati i piùantichi conci. Questa anomala operazione, evi-dente da un punto di vista stratigrafico, non tro-va molte spiegazioni se non che nella generale ri-strutturazione si ritenne che questo edificio nonfosse appropriato al nuovo assetto49.I resti osteologici animali non indicano nessun cam-biamento nell’economia dell’insediamento, anco-ra legata ad un abbondante allevamento di suini.La mancanza di percentuali alte di specie bovinee capriovini è indicativa ancora della presenzadi boschi intorno Campiglia e vaste aree di in-colto. Boschi dai quali proviene in questi decen-ni un maggior numero di capi di selvaggina comecervi, daini, lepri che insieme ai crani di cinghia-le potrebbe farci con molta cautela ipotizzare isegnali di un’attività venatoria praticata da unafigura sociale eminente residente nel villaggio50.I resti di una forgia per la lavorazione del ferroconfermano l’esistenza di un’area produttiva de-stinata a soddisfare la necessità di forgiare in locostrumenti legati alle attività lavorative quotidia-ne, forse anch’essi oggetti di scambio51.

Ma è nelle caratteristiche dei prodotti ceramiciche si cominciano a cogliere dei sostanziali muta-menti nella rete di contatti commerciali, riflesso,come scrivevamo poco sopra, di politiche espan-sionistiche dei nuovi signori e della stessa Pisa.Accanto infatti alla presenza nel corredo dome-stico dei soliti prodotti in acroma depurata pro-veniente dalle officine locali, sono evidenti, inalcune forme, come nelle brocche, le prime imi-tazioni di prodotti pisani52.Sappiamo infatti che Pisa sin dalla seconda metàdel X secolo aveva avviato una serie di scambicommerciali di considerevole entità con tutto ilbacino mediterraneo, che avevano rafforzato ilsuo ruolo di centro commerciale53, sviluppandonel corso dell’XI secolo una produzione cerami-ca con caratteristiche, nelle modalità di fabbrica-zione ed esportazione, quasi di tipo industriale.Dal momento che l’analisi degli impasti dei fram-menti di brocche rinvenute a Campiglia, attestauna provenienza delle materie prime sempredall’area campigliese, è probabile che proprio inquegli anni si fosse attivata una circolazione divasai provenienti dalla città che, pur producen-do in questo territorio le proprie ceramiche, con-tribuirono all’importazione di nuove forme54.Accanto a queste è attestata ancora la circolazio-ne di ceramiche a bande rosse e vetrina sparsaprodotte, come per il secolo precedente, in offi-cine poste nel territorio costiero piombinese, ingrado di rifornire ampie porzioni dell’entroterrae forse, data la loro probabile localizzazione nonlontana dal monastero di S. Giustiniano, control-late più strettamente dagli stessi Gherardeschi.

XII secolo

È quindi in questa condizione di centro fortifica-to sotto la protezione di un’importante famigliain espansione, ancorato ad una solida economiasilvo-pastorale ed al centro di una rete di scambicon altre realtà produttive delle aree limitrofe, chela comunità di Campiglia si avviò ad affrontare leimportanti trasformazioni del XII secolo.Alla fine dell’XI secolo il consolidamento dei po-teri dei Gherardeschi così come il passaggio ormai

49 Vista le ampie asportazioni di deposito più antico nellesuccessive trasformazioni ed il mancato scavo delle areeimmediatamente a ridosso del pianoro, è possibile che inquesta fase il villaggio fosse provvisto di un muro di cintain pietra o materiali misti.50 Per questa ipotesi si veda il contributo di SALVADORI,sez. III, cap. X.51 Riguardo alla descrizione della forgia si veda BIANCHI,

sez. II, cap. I.1 con appendice di GUIDERI, MANASSE relati-va all’analisi delle scorie rinvenute.52 Si vedano a proposito il contributo di BOLDRINI e le con-clusioni di GRASSI, sez. III, cap. I.53 BERTI 1997.54 Questi argomenti sono trattati in maniera particolareg-giata in GRASSI, sez. III cap. I e nelle conclusioni al capito-lo sull’analisi dei reperti ceramici.

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sempre più accelerato da una maglia insediativalegata a centri ed aziende curtensi ad un’altra an-corata ai castelli non erano però ancora elemen-ti sintomatici di una situazione ormai definitiva.Il territorio, gli uomini che lo abitavano e colo-ro che lo controllavano erano in uno stato dicontinuo mutamento legato alle nuove condizio-ni politiche, economiche e sociali.Tra i castelli citati nel 973 nell’elenco dei beni diproprietà degli Aldobrandeschi, posti a confine conil territorio campigliese, così come fra gli insedia-menti ricordati nell’atto di donazione dei Gherar-deschi nel 1004, alcuni risultano già abbandonatinel primo cinquantennio dell’XI secolo, come nelcaso di Montepitti, Castello Novo, Acquaviva (chein tal modo pagava forse l’eccessiva vicinanza conCampiglia), Casalappi e Casale Longo55.In mezzo a questi flussi alternati di ampliamentie coevi abbandoni di centri fortificati, legati allepolitiche di assestamento delle varie signorie ter-ritoriali, si facevano sempre più forti gli interes-si pisani sulla zona.Abbiamo già scritto di patrimoni pisani sin dall’al-tomedioevo in questo comprensorio. Dopo avereottenuto alla metà del X secolo il controllo dellearee portuali di Livorno e Vada, Pisa necessitavaperò di un ulteriore scalo nel promontorio piom-binese per le rotte verso l’isola d’Elba e le altreisole tirreniche, oltre che per il trasporto di queiprodotti (sale, cerali e metalli) ricavati proprio dallaVal di Cornia. Non dimentichiamo infatti che lapresenza del monastero di S.Giustiniano aveva in-centivato, alla fine dell’XI secolo, la nascita del ca-stello di Piombino, il cui porto insieme a quello diFalesia poteva costituire un elemento di forza nel-la politica espansionistica cittadina56.Consapevoli di dover fare i conti con questa re-altà, i Gherardeschi avevano avviato pertanto unapolitica finalizzata ad infittire i rapporti con lacittà cercando di incentivare la rete di alleanze eaccordi necessari a favorire l’inurbamento di al-cuni rami della casata.Alla fine del X secolo il matrimonio del conteTedice I con la figlia del conte Rodolfo di Pisasegnò l’ingresso della famiglia direttamente nel-lo scenario cittadino, con cui in seguito i discen-denti da questa unione rinsaldarono i rapportisempre attraverso matrimoni mirati e l’infittirsidei legami con la chiesa vescovile. Contempora-neamente da questo ramo se ne distaccarono al-tri due che seguirono i propri interessi rispetti-vamente nella Val di Merse e, nel caso di quello

facente capo a Tedice II, nei castelli di Campi-glia e Vignale57.A questo punto della storia abbiamo quindi an-che un nome di riferimento. Se confrontato conil ramo inurbato e le importanti cariche acquisitein seguito da quest’ultimo nella città, il gruppoparentale discendente da Tedice II potrebbe esse-re considerato minore. Questa definizione perònon vale dal punto di vista delle risorse investitedai suoi discendenti nella stessa Campiglia.Mentre nella prima metà del XII secolo, l’arci-vescovado pisano muoveva i primi passi verso laconquista di quest’area maremmana, i Gherar-deschi di Campiglia decisero che era arrivato ilgiusto tempo di organizzare e ristrutturare l’as-setto urbanistico del loro castello.Questa operazione non è certo da considerarsi ano-mala, dal momento che anche molti altri castellitoscani furono coinvolti in consistenti processi dirinnovamento delle proprie architetture. Le com-mittenze signorili si erano infatti fortificate, conriconosciuti diritti che conferivano loro pieni po-teri sui propri ambiti territoriali e quindi maggioriproventi58. E maggiori ricchezze e poteri erano si-nonimo di più ampia disponibilità ad investire, le-gata strettamente all’esigenza, da parte dei nuoviceti dominanti, di mostrare anche materialmentela radicale natura di questi cambiamenti.Ad un macrolivello questa circolazione di dena-ro ed investimenti interessò naturalmente anchele principali città toscane, con i primi nascentiorganismi comunali e nuovi attori politici e so-ciali. E le richieste dei committenti nell’ambitourbano non riguardarono più solo la costruzio-ne di chiese o pochi edifici pubblici ma anchearchitetture civili rappresentative di questi nuo-vi scenari politici59. Il moltiplicarsi della doman-da generò quindi un flusso raddoppiato di mae-stranze (specializzate ora anche nel progettareedilizia abitativa) dalla città alla campagna e dallacampagna alla città, facendo dell’industria delcostruire la principale spia di questi cambiamenti.

55 CECCARELLI, t. I, cap. I.1.156 CECCARELLI, t. I, cap. I.4.

57 CECCARELLI, t. I, cap. I.1.2.58 L’affermazione della signoria territoriale in quest’areaè ben documentata a partire dal XII secolo, a proposito siveda CECCARELLI, t. I, cap. I.1.2.59 Per Pisa questo processo è illustrato sulla base delleevidenze materiali e documentarie in REDI 1991. Per Luc-ca, QUIRÓS CASTILLO 2002 e CIAMPOLTRINI 1992, 1997. PerVolterra si veda FURIESI 2001 mentre per il territorio dicerniera tra il volterrano ed il senese (S. Gimignano, Col-le Val d’Elsa), MENNUCCI 1993-94. Per Siena, in attesa diun lavoro di sintesi si vedano i contributi relativi a singo-li complessi monumentali, BOLDRINI, PARENTI 1991, PA-RENTI 1996, GABBRIELLI 1996, FRANCOVICH, VALENTI 2002.Per una sintesi riguardante l’intero panorama regionalesi veda RESTUCCI 1995.

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L’XI secolo nel territorio della Val di Cornia comenella bassa Val di Cecina, era stato segnato dallafrequentazione di maestri lapicidi. Appartengo-no a questo contesto sia l’importante episodiodella costruzione del monastero di Falesia, siaquello, poco più a nord del promontorio, delmonastero di S. Quirico60 oltre all’ampliamentocon doppia abside della chiesa di Donoratico61.Alla fine dello stesso secolo, i Gherardeschi ave-vano poi fondato il monastero, oggi scomparso,di S. Maria di Asca vicino Castagneto e semprein questo territorio sono citate molte chiese62,forse costruite in parte o totalmente in pietra damaestri con un bagaglio di importanti saperi.Saperi indirizzati, in relazione alle esigenze del-la committenza, proprio alla fabbricazione diedifici religiosi od alla progettazione e realizza-zione di cinte che racchiudessero spazi già se-gnati dalla presenza signorile63, dove però que-sta si traduceva in pochi isolati edifici, forse solouna torre. Lo stesso caso di Campiglia è di persé la dimostrazione di come, nell’XI nell’areasommitale si continuasse a vivere in strutture,magari con il basamento in pietra, ma semprecomunque classificabili come capanne.Nel momento di svolta, all’inizio del XII secolo,a Campiglia la committenza riguardo ai propriedifici di residenza si orientò però verso scelteche distinsero questo insediamento da quelli pre-senti non solo nel resto della Val di Cornia main tutto il territorio toscano sud-occidentale.

Nel primo cinquantennio di questo secolo infat-ti la prima architettura totalmente in pietra fuprogettata con particolari caratteristiche strut-turali. Si trattava di un edificio di forma qua-drangolare, sviluppato soprattutto in larghezzapiù che in altezza, dotato di due livelli divisi daun solaio ligneo agganciato ad un pilastro in pie-tra, concluso da archi a sostegno della terrazzadi copertura sommitale (Figg. 3-4).Nella seconda metà del secolo, vicino a questo,nella porzione sud-ovest del pianoro, venne edi-ficato invece un altro edificio a perimetro ret-tangolare, anch’esso provvisto di un solaio ligneosostenuto da pilastri in pietra e coperto inveceda un tetto a doppio spiovente con cammina-mento64.Si trattava quindi di strutture con caratteristicheancora difensive, affiancate però da altre marca-tamente residenziali. La distanza cronologica re-lativa al periodo di costruzione corrispose all’uti-lizzo probabilmente di due differenti gruppi dimaestranze. A riguardo, purtroppo, nessuna in-formazione ci viene data dai pochi documentiche in questo arco di tempo citano Campiglia.Questa considerazione è pertanto agganciata soloalle evidenze materiali desunte dalla stratigrafiadegli elevati, di cui scriveremo in seguito.Chi progettò e costruì la prima architettura inpietra lo fece adottando tecniche di costruzioneche ritroviamo anche nelle ristrutturazioni deilimitrofi castelli di questi decenni65. Caratteri-stiche quindi piuttosto comuni che diventanoparticolari invece nel caso della stessa progetta-zione dei volumi. Il coordinatore del cantiere siispirò infatti ad un modello edilizio assente daquesto territorio e (per quanto attualmente èpossibile constatare oggi) dai principali centri li-mitrofi. Mentre infatti nei rinnovati castelli, maanche nelle città, si moltiplicava la costruzionedi torri, scelta come una delle tipologie più rap-presentative delle committenze, a Campiglia cisi rifece ad un tipo di architettura che trova de-gli immediati confronti nelle residenze fortifica-te francesi del nord-ovest, in seguito esportatetramite crociati e conquiste normanne, nel sudItalia, nell’Inghilterra e nel Medio Oriente66.

64 Per una descrizione dettagliata delle caratteristiche diquesti edifici si veda BIANCHI t. II, sez. VI, cap. II.65 La considerazione riguarda le caratteristiche delle tec-niche murarie, l’organizzazione delle fasi di lavoro perpiani di accrescimento orizzontali o l’utilizzo di medesi-mi ponteggi.66 Si tratta delle strutture in Francia comunemente defi-nite ‘dongioni’. Per l’analisi delle caratteristiche struttu-rali ed architettoniche che avvicinano l’edificio di Cam-piglia con questi modelli edilizi si veda BIANCHI, sez. VI,cap. II ed i relativi riferimenti bibliografici.

60 Il monastero di cui attualmente è ancora ipotetica l’iden-tità dell’ente fondatore, è attestato nei documenti dallaprima metà dell’XI secolo a nord del promontorio GELICHI1996, CECCARELLI LEMUT 1996. Nel settembre-ottobre 2002il complesso è stato oggetto di una prima campagna di sca-vo che ha portato alla ripulitura dell’area dalla fitta vege-tazione ed alla migliore definizione dei perimetri sia del-l’originaria chiesa provvista di tre absidi sia del chiostro edelle strutture annesse. Per una preliminare lettura deglielevati attualmente visibili si veda BIANCHI 2003.61 BIANCHI, FRANCOVICH 2000, 2001.62 Tra queste, quella di S. Andrea nel castello di S. Petroso(1040), le chiese dei castelli di Acquaviva e Biserno (1004),Valle (1055), la chiesa di S. Ilario a Montepitti (1040),quella di S. Colombano vicino a Donoratico (1014), lachiesa di S. Cristoforo nella curtis di Casalappi (1074) ealtre ancora che si ritrovano puntualmente citate nel con-tributo di CECCARELLI, t. I, cap. I.2.63 Tra i siti indagati archeologicamente di questo territo-rio costiero, con presenza di cinte in pietra databili tra Xed XI secolo, ricordiamo il castello di Donoratico in cui irecentissimi dati di scavo sembrano indicare la presenzadi una cinta ed una chiesa in pietra di probabile primametà X secolo coeve ad un abitato di capanne BIANCHI,FRANCOVICH 2001, quello di Scarlino in cui una chiesa eduna cinta sono presenti già dall’inizio del X secolo FARI-NELLI, FRANCOVICH 2000 pp. 50-51, il caso di Rocca SanSilvestro di fine X-inizi XI secolo, dove la cinta sommita-le ed inferiore probabilmente nella prima fase insediativaracchiudevano edifici in materiale deperibile FRANCOVICH1991. Per una sintesi dei dati si veda inoltre BIANCHI 2003.

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Naturalmente i maestri francesi veicolo di que-ste conoscenze non si spostarono solo per ragio-ni militari, ma si misero al servizio di chi li ri-chiedeva. Ecco allora che, nella graduale trasmis-sione di questi saperi, ci furono delle probabilimigrazioni anche nei territori limitrofi alla Fran-cia, come la Liguria; infatti a Genova troviamouna simile struttura datata qualche decennio pri-ma dell’edificio campigliese67. Purtroppo nonconosciamo quali furono i passaggi che portaro-no, a Campiglia, specialisti che dovevano averenecessariamente frequentato qualcuno di questicantieri. È molto probabile però che Pisa fossel’intermediario principale, dal momento che inquegli anni la città intratteneva rapporti con tuttii luoghi sopracitati dove erano già edificati o incostruzione simili modelli abitativi68.Il dato comunque che maggiormente ci interes-sa è racchiuso proprio nella chiamata di mae-stranze esterne con tali conoscenze, che è sinto-matica dei nuovi poteri della committenza, del-la sua consapevolezza di un acquisito peso so-ciale e anche di una più attiva rete di rapporticon il centro cittadino. Anche da un punto divista economico il lavoro ebbe il suo peso e senel cantiere si cercò qualche risparmio nell’uti-lizzo di materiali locali e nell’impiego di un pro-babile gruppo di muratori del luogo aiutanti deilapicidi69, i costi dovettero essere comunque ab-bastanza consistenti.L’impegno dei signori si concentrò anche nellacostruzione di una nuova cinta in pietra con uningresso principale a sud; di questa cinta oggisono riconoscibili solo dei lacerti di muratura,ad eccezione di uno dei lati perimetrali della pro-babile chiesa di S. Biagio, attestata sicuramentenel XII, ma forse identificabile già con quell’ec-clesia citata nell’atto del 1004 (Fig. 5). Vista dal-l’alto la cinta doveva racchiudere un insediamen-to di forma semi-circolare, esteso per circa 14000mq su cui dominava al centro, in sommità, l’areasignorile (Fig. 5). Purtroppo attraverso lo scavonon è stato possibile ricostruire l’andamentodella cinta difensiva destinata a proteggere, come

in molti altri castelli, la zona signorile, a parte ilritrovamento di un ridotto lacerto di muro diincerta interpretazione.In ogni caso è in questa fase che si definisconochiaramente le pertinenze di un’area sommitaleda ora in poi abitata esclusivamente dai signorie dai loro dipendenti.Il rinnovato centro sicuramente rappresentò unaforte attrattiva per chi ancora abitava in quegliinsediamenti sparsi nelle campagne, pochi ma co-munque presenti per tutto il periodo medieva-le70.Il fatto che Campiglia fosse divenuto nel XII se-colo un centro demico consistente, controllatoda un potere ormai consolidato, è provato an-che, secondo l’ipotesi della Ceccarelli, dallo spo-stamento o meglio dall’avvicinamento della pie-ve ai margini del castello71.Abbiamo infatti più volte rammentato la primaipotetica chiesa battesimale di S.Maria di Corni-no localizzata probabilmente più in basso, lun-go le pendici del colle campigliese in vicinanzadell’attuale Cafaggio.Nella seconda metà del XII secolo un nuovoedificio religioso fu costruito a sud dell’abitatocon dedica a S. Giovanni (Fig. 7).Questa operazione edilizia avvenne in contem-poranea alla costruzione del secondo edificiosommitale, ma è nell’architettura religiosa chefu raggiunta la massima qualità costruttiva, cherappresentò il punto di arrivo più alto del lavo-ro delle maestranze. In questa occasione versoCampiglia si mossero infatti molti specialisti: unmaestro Matheus, architetto e scultore, con sa-peri elaborati in ambito pisano-lucchese viciniall’opera di Guglielmo che operò nella facciatadel Duomo di Pisa; un secondo scultore, ed al-meno un aiuto; un gruppo di lapicidi altamentequalificati e i loro aiuti forse reclutati tra i mura-tori disponibili in loco72.Questa esperienza segnò considerevolmente lastoria edilizia del territorio.Appena ultimato, l’edificio ecclesiastico fu infattipreso a modello per costruire nel vicino centrodi Suvereto la pieve di S. Giusto, dove forse sitrasferirono e furono attive parte delle stessemaestranze; alcuni indizi suggeriscono inoltre la67 CAGNANA 1997b infra ma per la comparazione tra i due

contesti ancora BIANCHI, sez. VI, cap. II.68 TANGHERONI 1992, 1996, 2000, BERTI 1997.69 Per i muri portanti si utilizzò il calcare estratto da caveposte negli immediati dintorni di Campiglia, mentre peralcuni pezzi come i conci degli archi o elementi di apertu-re e volte furono scelte pietre che provenivano da areerelativamente più lontane, come Monte Rombolo nei monticampigliesi o Caldana. L’utilizzo di muratori locali che af-fiancavano gli scalpellini, prassi piuttosto diffusa nei can-tieri dei castelli, è desumibile dalle caratteristiche delle di-verse tecniche costruttive adottate nello stesso edificio, perla cui analisi si rimanda a BIANCHI, sez. VI, cap. I.

70 Riguardo all’individuazione di abitati di piccola e me-dia entità presenti nei territori di quest’area si vedano irisultati delle ricognizioni di superficie riportati in infraCASINI, sez. I, cap. 1.71 Su questo dato ed in particolare sulla tematica deglispostamenti delle pievi in relazione ai nuovi castelli si vedaCECCARELLI, t. I, cap. 1.2.1.72 A proposito della storia della pieve si veda la sua partico-lareggiata analisi nel contributo di BELCARI, sez. V, cap. III.

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loro presenza nel Duomo di Massa Marittima73.Un gruppo di coloro che presero parte all’im-presa aveva lavorato anche nella costruzione delsecondo edificio dell’area sommitale, confron-tabile con la pieve soprattutto per la stessa orga-nizzazione di cantiere e l’uso di certe tecnichecostruttive74. Ancora una volta però tra coloroche lo progettarono vi doveva essere qualcunoche in passato aveva frequentato certi ambiti dicantiere della vicina Liguria, dell’area urbanapistoiese od addirittura della Francia. Questo edi-ficio, tipologicamente classificabile come palaz-zo, è uno dei primi esempi di questo modelloedilizio nel territorio. Le caratteristiche archi-tettoniche lo avvicinano in maniera sorprendenteal palazzo vescovile costruito a Genova circa uncinquantennio prima come a quello dei Vescovidi Pistoia, a loro volta confrontabili con altriesempi francesi75. Quindi, di nuovo torna l’ipo-tesi dell’arrivo di maestranze da lontano, indi-rizzate verso questi territori dal richiamo di unaforte committenza, forse anche in questo casocon l’intermediazione di Pisa.Del resto questa città, ormai proiettata versoun’ampia rete di traffici marittimi, era sicura-mente anche il punto di smistamento di tutta unaserie di prodotti provenienti dal bacino del Me-diterraneo, come ad esempio le ceramiche, chedal centro venivano poi trasportate nei territorirurali e che, quando presenti, sono fortementeindicative dei caratteri politici, economici e so-ciali di chi le richiedeva.È questo anche il caso di Campiglia, dove all’in-terno dei ridotti depositi di XII secolo, costituitida sottili strati o soprattutto da interfacce di cal-pestio, lo scavo del riempimento di una piccolastruttura posta al pieno terra del palazzo e usatacome ‘butto’, ha permesso infatti di far luce sulcorredo domestico dei primi abitanti di questiedifici.Accanto alle ceramiche di produzione locale inacroma grezza o depurata, ora caratterizzate da

impasti più raffinati e, nel caso delle grezze, daun’ottima cottura e lavorazione a tornio, comin-ciano ad essere presenti prodotti di importazio-ne, indicativi ormai dell’avvenuto contatto conreti distributive di ampio raggio.Nel ‘butto’ infatti sono stati rinvenuti frammen-ti di ceramiche provenienti dalle zone islamiche,come nel caso della smaltata verde prodotta inarea nord africana o l’invetriata alcalina uscitada officine egiziane.L’intermediazione di Pisa nei movimenti dellemaestranze edilizie come nell’importazione dideterminati prodotti destinanti alle locali signo-rie non deve però stupire visti gli sviluppi dellasua sempre più forte influenza su quest’area edella rete di rapporti intessuta con le famigliearistocratiche.In particolare fu l’arcivescovado della città adaccaparrarsi il controllo di ampie fette del terri-torio interno e costiero. Tale processo ebbe ini-zio nella prima metà del XII secolo, con l’acqui-sto di una larga parte del castello di Piombino edel suo porto. Nel 1133 il papa Innocenzo IIconcesse all’arcivescovo di Pisa l’inserimento delvescovado di Massa Marittima all’interno dellaprovincia metropolitica pisana76.Giusto un anno prima lo stesso pontefice, di ri-torno da Pisa verso Roma, sostò nel castello diCampiglia emanando un privilegio con cui con-fermava alla chiesa pisana le sue proprietà a suddel fiume Cecina, nel castello di Segalari e inquello di Piombino.Due anni dopo un rappresentante dei Gherar-deschi, Ildebrando del fu Ugo, donò all’arcive-scovado, in segno di riconoscimento del control-lo pisano sulla zona, parte dei castelli di Biser-no, Vignale, Campiglia, Monte S.Lorenzo che,insieme alle permute ottenute nel 1158 dal mo-nastero di Serena sui possedimenti del cenobionell’alta maremma, rese l’ente pisano il più im-portante signore del territorio.In questa nuova geografia dei poteri devono es-sere anche considerati i movimenti dello stessoComune di Pisa, che alla metà del XII secoloaveva esteso i confini del suo contado sino aRocchette di Capalbio presso Castiglion dellaPescaia.Questo, unito al nascente organismo comunalecampigliese, di cui ancora non conosciamo i ca-ratteri principali, creò le condizioni di un lentoma costante cambiamento che porterà alle piùradicali trasformazioni di pieno XIII secolo.

73 Si veda ancora BELCARI, sez. V, cap. III; BELCARI 2002.74 Ambedue gli edifici sono infatti caratterizzati da por-zioni di accrescimento dei muri perimetrali con cesureverticali, si nota inoltre lo stesso uso di ponteggi auto-portanti di limitata estensione senza aggancio a pali postinel terreno, l’utilizzo dei medesimi strumenti per la lavo-razione della pietra e la presenza di mensole a sezionequadrata di dimensioni simili collocate all’interno dellapieve e nel palazzo per sostenere i solai lignei. Molti de-gli argomenti qui sintetizzati sono trattatati approfondi-tamente nel paragrafo dedicato alla costruzione della pie-ve, BIANCHI sez. V, cap. III.2.2.75 CAGNANA 1997b, RAUTY 1980 ma per un’analisi partico-lareggiata dell’edificio con la bibliografia di rimando siveda il capitolo II, sez. VI. 76 CECCARELLI, t. I, cap. 1.4.

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XIII secolo

Nel 1225 si ha la prima menzione di un conte diCampiglia, a dimostrazione del distacco ormaiavvenuto tra questo ramo ed il nucleo origina-rio dei Della Gherardesca77.Dai documenti sappiamo che questi avevanoconcentrato i loro possessi tra Vignale e Campi-glia e in questo ultimo centro erano attestati per-lomeno quattro gruppi familiari.Malgrado le serrate tappe di espansione pisana,i conti, in ragione dei loro saldi legami con lacittà (si vedano le donazioni della famiglia citatenel precedente paragrafo) continuarono ancoraad usufruire dei propri diritti, consistenti nel

possesso di mulini nell’area idrotermale vicinoVenturina e nella riscossione di un censo per ilgodimento degli immobili o del patronato nelcaso di passaggio di proprietà78.La loro situazione economica e politica all’af-facciarsi del Duecento sembrerebbe quindi an-cora così salda da spingere la famiglia ad intra-prendere un ulteriore importante progetto edi-lizio consistente nell’ampliamento delle struttu-re presenti sull’area sommitale, conferendo alcomplesso monumentale un assetto rimasto daallora sostanzialmente invariato e come tale ar-rivato sino ai nostri giorni (Figg. 3-4).Addossate ai lati settentrionali e meridionali delpalazzo furono costruiti due nuovi edifici. Il pri-

Fig. 1 – Ricostruzione dell’abitato sommitale di capanne nel X secolo.

78 CECCARELLI, t. I, cap. I.2.77 CECCARELLI, t. I, cap. 1.5.4.

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mo, a nord, di incerta classificazione dal momen-to che oggi si conserva solo a livello delle suefondazioni; il secondo a sud, con le fattezze diuna torre di elevata altezza provvisto di una gran-de cisterna poggiata ad uno dei lati perimetrali.Come rovescio della medaglia, un simile impe-gno progettuale potrebbe essere letto come le-gato all’esigenza di un’ultima dimostrazione dipotere in un momento storico estremamente inmovimento, in cui le condizioni, gli accordi po-tevano cambiare repentinamente, cosa che delresto accadrà qualche decennio più tardi e di cuiparleremo in seguito.Più semplicemente, è possibile che a fronte diun consistente aumento dei familiari presentinell’area signorile vi fosse la reale esigenza dicreare nuovi spazi abitativi. Non a caso l’attesta-zione di quattro gruppi familiari coincide curio-samente con la presenza in totale, dopo le nuo-ve costruzioni, di quattro edifici. La minuziosaanalisi degli elevati rapportata a quella dei de-positi coevi ha a questo riguardo fornito un dato

interessante79. Alcuni di questi edifici, pur vicinil’uno all’altro sembrano avere infatti una lorospecifica, piccola area di pertinenza con degliaccessi separati. È così per l’edificio A, con l’en-trata sul lato sud ed una corte posta sul retro.Anche la nuova torre B aveva una sua entrata eun piccolo corridoio di ingresso separato daglialtri spazi esterni grazie ad un muro. L’edificioC ed il palazzo condividevano una corte, sepa-rata da quella dell’edificio A, attraverso una spes-sa muratura. Una microdivisione nella macro-frammentazione all’interno delle originarie gran-di casate che forse può far riflettere sullo statodelle cose in questo periodo di transizione.Come nella precedente stagione edilizia nuova-mente maestranze specializzate accorsero allachiamata dei committenti coadiuvate da mura-tori del luogo80.

79 A proposito si veda BIANCHI, t. II, sez. II, cap. I.3.80 Per le caratteristiche di questi nuovi edifici si veda BIAN-CHI, sez. VI, cap. II.

Fig. 2 – Ricostruzione dell’abitato sommitale di capanne nell’ XI secolo.

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Fig. 3 – Ricostruzione degli edifici signorili nel XIII secolo.

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Fig. 4 – Spaccato ricostruttivo degli edifici signorili nel XIII secolo.

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Fig. 7 – Ricostruzione della pieve di S. Giovanni.

Ma la disponibilità economica dei conti è oraestremamente evidente anche dai resti del lorocorredo domestico rinvenuti con lo scavo, so-prattutto del fondo cieco della torre B. Oggettipreziosi come fermacapelli in osso, anelli, fibbiedi scarpe o corsetti appartenute ad alcune delleabitanti dell’edificio, furono gettati una voltarotti o inutilizzabili nel ‘butto’ al pieno terre-no81. Ma insieme a questi, una notevole quantitàdi frammenti ceramici riconducibili al corredo dacucina e dispensa rappresentato da acrome depu-rate o grezze modellate a mano. E poi resti di boc-

cali in maiolica arcaica appartenenti alla prima pro-duzione pisana, che poco dopo la loro fabbrica-zione nel centro urbano già circolavano in questiterritori, utilizzati sui tavoli dei locali signori82.Ma la mensa come la dispensa era arricchita an-che dai colori o dalle forme di nuove ceramichedi importazione che attestano l’infittirsi di reticommerciali. Da un lato infatti esisteva ancora ilcanale diretto con Pisa a cui fu legato in questoperiodo l’arrivo di ciotole tunisine o di giare isla-miche. Dall’altro, la presenza di ceramiche sici-liane, campane e laziali potrebbe essere indicati-va di nuovi contatti dei porti del promontoriopiombinese con operatori della costa centro-me-

81 Per la descrizione di questi piccoli reperti si veda BEL-CARI, sez. III, cap. III e BELLI, sez. III, cap. IV per i mate-riali in metallo. 82 Vedi contributi di GRASSI e LUNA, sez. III, cap. I

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Fig. 8 – Ricostruzione delle case a pilastro nella piazza principale di Campiglia.

ridionale che con mezzi di navali di piccolo ca-botaggio rifornivano queste zone83.La carne servita in queste ceramiche sulla mensaera sempre in maggioranza quella di suino, an-cora in percentuale alta rispetto alle altre specie.La maggiore presenza di resti capriovini, soprat-tutto pecore, costituisce però la spia di un cam-biamento graduale della dieta legato a sua voltaad una probabile trasformazione del paesaggio,con una maggiore presenza di aree incolte e unadiminuzione dei boschi circostanti l’abitato84.È possibile inoltre che già in questo periodo nel-le pendici intorno all’insediamento si raddop-piasse il numero di orti e vigneti maggiormenteattestati nel secolo successivo.Il vino o l’acqua erano versati sulla tavola spessoin bicchieri di uso comune, ma la presenza diframmenti di bicchieri troncoconici, insieme acoppe abbellite con gocce applicate, piatti divetro e calici è sintomatica di un ambiente ari-

stocratico dove si utilizzavano anche oggetti pre-giati, poco comuni in questo periodo nelle altremense signorili del territorio85.Per la stessa illuminazione della nuova torre siscelsero lampade pensili di vetro che hanno con-fronti più antichi in ambiti particolari, comeTorcello, Murano, la stessa Pisa o la Francia delSud e in un caso troviamo anche dei frammentidi lampada da moschea proveniente dalle offici-ne di Damasco in Siria, confrontabile con esem-pi sempre riferibili a contesti urbani (tra questiRoma, Venezia, Pavia, Pisa, Genova).

Ma al di sotto dell’area signorile, nel borgo, giàdal primo cinquantennio del XIII secolo, moltecose stavano cambiando.Poiché i luoghi e gli edifici sono sempre forte-mente indicativi di trasformazioni, anche lo svi-luppo del già esistente Comune ebbe come cor-rispondenza, nel 1246, la costruzione di un pa-lazzo comunale non a caso posto al di fuori del-l’originario circuito murario del castello di XII

83 Si vedano a proposito il paragrafo conclusivo di GRASSInel capitolo dedicato allo studio delle ceramiche ma an-che BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997, p. 121.84 SALVADORI, sez. III, cap. X.

85 Si veda a proposito il contributo di MENDERA, sez. III,cap. II.

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secolo, inserito nella nuova topografia che ilborgo stava assumendo86.Questa situazione di convivenza, in apparenteequilibrio, tra poteri signorili, cittadini e comu-nali fu caratterizzata infatti anche da un proba-bile aumento della popolazione residente nelcentro, analogamente ai processi di crescita de-mografici registrati in questi decenni in molti altricontesti territoriali87.Un abitato piuttosto esteso doveva già essersi for-mato sin dal XII secolo esternamente alla primacinta.Alla metà del XIII secolo il comune decise dicostruire un nuovo circuito in grado di proteg-gere la nuova realtà abitativa (Fig. 6).Le mura delimitarono uno spazio molto piùampio che unito a quello del preesistente castel-lo racchiudeva circa 44.694 mq. Naturalmentenon tutte le zone furono coperte da strutture.Orti ed aree verdi sono documentate nella se-conda metà del XIII secolo, ad esempio nellaporzione sud-est di Campiglia.Nella cinta si aprivano quattro porte in relazio-ne alla viabilità orientata verso i territori circo-stanti88, che a loro volta internamente immette-vano in un sistema stradale caratterizzato in ge-nerale da vie principali rettilinee, contrappostealla curvilinearità di quelle del precedente ca-stello, indirizzate verso i più importanti spaziaperti del borgo89: quello davanti al Palazzo Pre-torio, l’altro poco più sotto, ancora oggi princi-pale piazza di Campiglia ed una probabile seriedi punti aperti di aggregazione in vicinanza dialcune porte o delle chiese90.Per la costruzione della cinta, i dati materialiconvergono ad indicare, oltre al Comune diCampiglia, indirettamente anche Pisa come ilprincipale committente. La progettazione di si-mili apparati difensivi andava infatti di pari pas-so con la politica espansionistica della città equello di Campiglia non deve essere considera-

to come un episodio isolato.Se infatti in questo caso non è esatto parlare diborghi nuovi91, la politica edilizia pisana in que-sto territorio è comunque indicativa di un pro-gramma ben preciso realizzato da medesimemaestranze e codificato in forme simili pur inabitati differenziati.Tra i centri limitrofi, prima di Campiglia infattifu il castello di Piombino ad essere interessatonella prima metà del XIII secolo, dalla costru-zione di una nuova cinta e in seguito Suvereto92.Tutti questi circuiti hanno caratteristiche comu-ni, nella scelta delle tecniche costruttive, nellaforma stessa del nuovo tessuto, nelle dimensio-ni. L’apparato epigrafico connesso a queste ope-razioni, relativo anche a singoli edifici, come nelcaso campigliese, presenta poi degli stringenticonfronti con la scrittura epigrafica pisana, el’evidenza di questo comune linguaggio formalepotrebbe far pensare se non ad una medesimaofficina lapidaria, perlomeno alla provenienzadi un modello epigrafico preciso circolante a Pisae nei territori ad essa sottoposti93.

All’interno di questa nuova cinta, si muovevacomunque una comunità in trasformazione checomincia ad acquisire una struttura sociale dif-ferenziata. Le fonti scritte duecentesche e di pri-mo Trecento ci indicano infatti accanto alla pre-senza dei conti, l’esistenza di un ceto di nobilidiscendenti forse da quei milites o cavalieri chetra XI e XII secolo avevano servito i signori.Insieme a loro troviamo un consistente gruppo diindividui impegnati in varie professioni tipiche diun centro ben sviluppato, come medici, notai,fabbri, calzolai, barbieri, bottai94. Contempora-neamente tornano sulla scena economica anchequei piccoli e medi proprietari terrieri, legati so-stanzialmente alle attività agricole o pastorali, dicui si erano perse le tracce durante la fase più con-sistente dell’incastellamento, rafforzati ora dainuovi traffici commerciali con la stessa Pisa.Del resto i continui contatti con la città sono

86 Per la sua dettagliata descrizione si veda BIANCHI, sez.V, cap. I.2 e sez. VI, cap. II.87 A questo proposito si veda FARINELLI 2000.88 Si trattava a sud della porta ‘a Mare’, originariamenteforse denominata di S. Lorenzo per la vicinanza all’omo-nima chiesa; a sud-ovest della porta in seguito denomi-nata Fiorentina; a nord-ovest della porta di S. Antonioche prende il nome dalla vicina chiesa costruita in etàmoderna. A nord-est doveva trovarsi, in prossimità di unampia distruzione della cinta, una porta che immettevaalla strada verso Suvereto.89 Sulla tematica delle trasformazioni della viabilità urbanatra XII e XIII secolo si veda GUIDONI 1971 e GUIDONI 1981.90 Ciò è quanto indirettamente si desume dall’analisi di al-cuni documenti relativi al centro, CECCARELLI, t. I, cap. 1.3.

91 L’unico borgo nuovo di cui abbiamo notizia certa inquest’area è quello di S. Vincenzo progettato, all’iniziodel XIV secolo, dai pisani ed in cui venne fatta confluireparte della popolazione del vicino, ormai distrutto ca-stello di Biserno, BIANCHI 2000.92 Per Piombino si veda BIANCHI 2001, per Suvereto CUTE-RI 1990.93 Questa è la conclusione a cui è giunto TEDESCHI nel suocontributo relativo alle epigrafi campigliesi, sez.VI, cap.III. A riguardo delle espansioni urbane di XIII secolo siveda anche BIANCHI 2003, cap. XIV.4.94 A proposito della composizione sociale della comunitàcampigliese si veda CECCARELLI, t. I, cap. 1.5.6.

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confermati anche dal notevole flusso migratoriodi campigliesi a Pisa, che troviamo già nella se-conda metà del XIII secolo, in rapporto con leprincipali famiglie cittadine.Da un punto di vista materiale la presenza dinuovi traffici commerciali a piccola come piùampia scala, che raddoppiarono le risorse eco-nomiche disponibili, è ancora piuttosto ben leg-gibile nel tessuto urbano.Tra la metà del XIII secolo e i primi decenni diquello successivo il borgo infatti si arricchì dinuove abitazioni, volute proprio da questo nuo-vo ceto di medio-alto rango. Accanto però adun solo sopravvissuto edificio di pregio, similein molti suoi aspetti al palazzo dell’area signori-le95, le altre forme architettoniche scelte dallacommittenza si distaccarono da quelle tipichedell’aristocrazia per avvicinarsi invece a quelleproprie dei nuovi paesaggi urbani (Fig. 8).D’altra parte, come abbiamo già accennato, Cam-piglia non era certo una comunità chiusa, moltisuoi abitanti avevano vissuto a Pisa o perlomenoavevano visitato la città e l’impressione di unLungarno già fittamente costellato di case a pi-lastro, questi nuovi, singolari edifici turriformi,aperti e resi leggeri in facciata da un paramentocomposto da portelloni di legno, con agli angolialti pilastri in pietra, chiusi o meno da archi discarico, doveva avere fortemente colpito chi an-cora non aveva visto niente di simile96. Se l’ipo-tesi, poco sopra formulata, di una circolazionedi maestranze pisane in questo territorio, addet-te a definire le nuove cinte degli insediamenti èvalida, i campigliesi potevano disporre nel loroborgo anche di chi sapeva costruire questo tipodi edifici e che costituì di fatto il veicolo per l’in-troduzione di queste architetture.È stato ipotizzato che le case a pilastro a Pisa sor-sero così numerose anche per risolvere il proble-ma di non caricare troppo la struttura dell’edifi-cio, costruito su di un infido terreno alluvionaleche avrebbe determinato la graduale inclinazionedello stesso campanile della Cattedrale.A Campiglia, saldamente poggiata su di un suoloformato da calcari selciferi, questo problema nonsussisteva ma le case a pilastri divennero uno deglielementi maggiormente ricorrenti tra i profili del-le abitazioni. È questo quindi uno dei casi più lam-panti di architettura come contenitore di un com-

plesso sistema di messaggi: l’appartenenza ad uncerto strato sociale, il desiderio di condividere scelteproprie delle classi cittadine, il segnale di una pre-senza pisana così importante da inserirsi anche nellescelte relative all’edilizia civile privata.A riguardo di quest’ultimo punto è sintomaticoche la costruzione delle case fu agevolata dallapresenza di maestranze pisane ed è comunquealtrettanto significativo che questa avvenne inun arco di tempo piuttosto ristretto, ad opera dimaestri che si riferivano comunque a modulistandard che accomunarono i volumi, la larghez-za degli stessi pilastri, le distanze tra l’uno e l’al-tro, la tecnica costruttiva97. Si potrà obiettare cheforse alcune di queste case furono costruite pro-prio per certi pisani che per interessi politici ocommerciali erano presenti a Campiglia, ma l’ele-vato numero, (diciannovecasi, sicuramente di piùse non ci fossero stati i distruttivi restauri a cui ilcentro da una decina di anni è sottoposto) è lariprova che dentro quelle case dovevano vivereanche dei campigliesi98.L’aumento della popolazione portò anche allacostruzione della nuova chiesa di S.Lorenzo, edi-ficata in prossimità della porta cosidetta ‘a Mare’,nella porzione sud-est dell’abitato, lungo la stra-da che dalla piazza portava all’esterno appuntodel circuito. In questa zona doveva anche trovar-si una sorta di piccolo quartiere commerciale, vi-sta la presenza, sempre lungo la via principale ditre botteghe, ancora oggi riconoscibili nelle lorocaratteristiche principali. In due casi queste por-terebbero ad identificarle come botteghe dei com-mercianti di lana, ipotesi plausibile visto l’aumentonell’allevamento di capriovini99.

Per tornare ai conti di Campiglia, alla metà delXIII secolo uno di loro, Alberto, si segnala comepievano di Campiglia tra il 1246 e 1253. Pro-prio questa carica portò ad un primo motivo diattrito con la ghibellina Pisa, dopo le ire di Fe-derico II per l’eccessiva fedeltà del conte alla sedeapostolica.L’ulteriore e più decisivo motivo di disaccordovenne però con la discesa di Carlo d’Angiò, con-seguente alla sconfitta di Manfredi che, deter-minando una situazione di crisi per Pisa, fornì

95 L’edificio è stato riportato in luce al di sotto dei localidella chiesa di S.Lorenzo, BIANCHI, sez. V, cap. I.2, sez.VI, cap. II.96 Per la descrizione ed interpretazione di quelle presentia Campiglia, BIANCHI, sez. VI, cap. II.

97 Per l’analisi delle case a pilastri pisane si veda REDI 1991.Tutti questi elementi sono meglio descritti in BIANCHI, sez.VI, cap. II.98 Quasi tutte le case a pilastro erano situate lungo la via-bilità principale, in genere (ad eccezione di un caso) sem-pre all’esterno del vecchio circuito castellano.99 Per la loro descrizione e relativa bibliografia di riferi-mento si veda BIANCHI, sez. VI, cap. II.

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l’occasione nel terzo quarto del XIII secolo, diun’estesa ribellione nel contado maremmano acui parteciparono anche i conti di Campiglia,probabilmente senza l’appoggio della comunitàormai saldamente legata alla città100.La reazione di Pisa, una volta spenti i vari foco-lai di ribellione, fu decisa e dall’ultimo decenniodel XIII secolo una guarnigione composta daquattro sergenti occupò la Rocca.Questo avvenimento fu contemporaneo ad unasituazione critica per molti altri centri incastel-lati del territorio limitrofo.Dei ventitré castelli attestati tra X e XII secoloben tredici scomparvero entro la fine del me-dioevo. Un numero ridotto, come si è già scrittonei precedenti paragrafi, fu abbandonato preco-cemente già tra XI e XII secolo a seguito dellariorganizzazione dei centri signorili.L’abbandono del secondo e più numeroso grup-po di castelli, tra XIII e XIV secolo, risentì in-vece sicuramente delle più recenti strategie po-litiche, della graduale sovrapposizione tra po-tere signorile e cittadino e anche dei nuovi in-teressi economici delle casate, come quelli delramo principale dei Gherardeschi, verso nuovearee101.

XIV secolo

Se nei documenti lo scarno riferimento nel 1287all’occupazione militare dell’area sommitale è laprima ed ultima traccia di questa pagina di sto-ria riguardante la Rocca ed i suoi abitanti, perfortuna il racconto può essere maggiormentearricchito grazie ai dati materiali.Riguardo ai conti, la mancanza totale nelle fontiscritte di una loro presenza a Campiglia, dallafine del Duecento in poi, è forse la prova piùevidente della loro scomparsa dalla scena politi-ca dopo gli ultimi eventi.Ma le stratigrafie di inizio Trecento testimonia-no anche la loro scomparsa fisica da quegli edi-fici su cui, sino a meno di un centinaio di anniprima, avevano investito così tante risorse.Le stratigrafie ed i materiali in essi contenuti mo-strano infatti un passaggio netto nell’uso degli spa-zi sommitali, forse nemmeno totalmente svuotati

del corredo domestico appartenente ai signori nelloro repentino abbandono della Rocca.Il ristretto gruppo di militari che occuparono laRocca102 probabilmente prese alloggio nella torreB, l’edificio più adatto, vista l’altezza, al lavoro dicontrollo del territorio. Ciò naturalmente non im-pedì la frequentazione dei fondi del palazzo dovenel corso dei decenni i militari si impegnarono inlavori di manutenzione e restauro.Ma i depositi maggiormente indicativi della cul-tura materiale propria di questo piccolo gruppodi uomini sono quelli presenti nel fondo ciecodella torre B, che continuò anche dai nuovi abi-tanti ad essere usato come ‘butto’.Spariti quasi del tutto gli oggetti direttamentelegati ad uno stile di vita aristocratico, nel fondocominciarono ad accumularsi resti di ceramicada fuoco in acroma grezza ben differenti da quel-la di ottima qualità presenti nel secolo preceden-te, caratterizzata ora da pezzi modellati a manosintomatici dell’approvvigionamento da offici-ne di basso livello tecnologico che, con una spe-sa minore, erano comunque in grado di fornireprodotti funzionali103.I soldati erano comunque dotati per la loro men-sa di ceramiche depurate e maioliche arcaiche pi-sane a cui, dopo la metà del Trecento, si affianca-rono prodotti arrivati da Siena, Volterra e sem-pre dal Valdarno, riprova di vie commerciali or-mai ampiamente battute tra l’interno e la costa104.A livello invece di macrocommerci tra Pisa ed ilbacino del Mediterraneo, la graduale mancanzaa Campiglia, nel corso del XIV secolo, di cera-miche di importazione provenienti dal MedioOriente riflette una generale riduzione dei traf-fici marittimi della città, malgrado resti di cera-miche spagnole e liguri attestino ancora impor-tanti flussi di scambi105.Dal momento che i militari si rifornivano dalmercato pisano, scompaiono in questo periododai depositi della Rocca le ceramiche campane esiciliane, dipendenti da un traffico autonomo nonlegato alla città marinara e forse più connessoad un tipo di committenza signorile.Anche per quanto concerne i reperti vitrei, le ca-ratteristiche mostrano l’impoverimento del cor-redo che, malgrado la presenza di forme nuovecome i fiaschi, si caratterizza per l’uso di bicchieri

100 Per i riferimenti a tutti gli episodi citati si veda CECCA-RELLI, t. I, cap. 1.5.101 Dalla seconda metà del XIII secolo, il ramo dei contidi Donoratico ad esempio fu impegnato insieme a Pisanello sfruttamento delle miniere dell’iglesiente e lo stes-so Ugolino fu promotore della fondazione del centro diVilla Chiesa, CECCARELLI 1982.

102 Il gruppo era composto da quattro sergenti ed un ca-pitano, a riguardo si veda CECCARELLI, cap. I.4, t. 1.103 GRASSI, sez. III, cap. I.104 LUNA sez. III, cap. I.105 A tale proposito si vedano le conclusioni di GRASSI,sez. III, cap. I.

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di tipo comune, a basso costo e di facile esecuzio-ne. Insieme a questi, si ritrovano frammenti direperti residuali, oggetti sicuramente lasciati daiconti negli edifici, riutilizzati e poi abbandonatidai militari, come coppe o lampade pensili106.Per quanto riguarda la dieta, quella dei soldatimostra un sostanziale cambiamento rispetto a quel-la dei conti. Nella mensa la carne di suino, forseora troppo cara, compariva più raramente mentreera abbondante quella di pecora e di capra107.Una così alta percentuale di capriovini è comun-que sintomatica dello sfruttamento intensivodella pastorizia e la differente età degli animaliuccisi, come la preferenza ad abbattere maschianziché femmine, indica un allevamento indiriz-zato anche alla produzione di latticini e lana, cheben si accorda con la ipotizzata presenza di mer-canti della lana le cui botteghe si affacciavano suuna delle principali vie cittadine.Anche se le guarnigioni che si avvicendarono nellaRocca pare non furono mai coinvolte in impresemilitari, delle loro armi ed armature restano consi-stenti resti. Centinaia di punte di dardo da bale-stra, resti di un bacinetto, parti di una corazzinasono testimonianze preziose e piuttosto rare chefanno di questi rinvenimenti un importante caso108.Di questi soldati sappiamo quello che mangia-vano, le ceramiche che compravano, le armi cheutilizzavano ma non conosciamo la loro identi-tà. Il ritrovamento di una lastra di ardesia incisada uno di loro sul finire del Trecento, permetteperò di incontrare seppure fugacemente la per-sonalità di un uomo di medio-alta cultura, ap-partenente probabilmente ad una famiglia mer-cantile pisana, che nell’incidere segni con unacerta perizia, su di un lato riprodusse scene diuna battaglia vissuta o raccontata, mentre sul-l’altro rielaborò i profili di alcuni degli edificipiù rappresentativi della sua città109.La vita dei militari era inoltre scandita da lavoridi manutenzione agli stessi edifici, oltre alla pos-sibile partecipazione a nuovi progetti edilizi cheriguardarono quest’area sommitale tra la fine delXIII secolo e gli inizi di quello successivo.Si è più volte ipotizzato che l’intero complessomonumentale sin dal XII secolo doveva essereprobabilmente protetto da una cortina difensi-va, di cui purtroppo non sono stati ritrovati re-sti evidenti.

106 MENDERA sez. III, cap. II.107 SALVADORI sez. III, cap. X.108 A tale proposito si vedano i contributi di SCALINI e DELUCA, sez. III, cap. III, IV.109 Per la descrizione ed interpretazione di questo repertosi veda BIANCHI, sez. III, cap. VIII.

Malgrado ciò all’inizio del XIV secolo vennerocostruiti due lunghi e dritti muri che originan-dosi dall’edificio A e dal palazzo, appoggiandosiall’inferiore cinta del borgo delimitarono ungrande spazio semicircolare, chiuso nella partebassa sempre dal circuito urbano.Quando nel 1994 parte della cinta inferiore crol-lò, l’analisi al C14 dei carboni presenti negli stratipiù bassi visibili in sezione attestò una frequen-tazione a partire proprio dalla metà del XIII se-colo. Un ridotto sondaggio, in una delle areeadiacenti alla cinta, iniziato nell’ultimo anno discavo, evidenziò poi nella porzione dei depositisuperiori la presenza di un ambiente databile alpieno XIV secolo.Quindi si trattava di un’area vissuta, con strut-ture in pietra abitate, come sembra, a partire dallafase di ampliamento dell’intero borgo. La man-canza purtroppo di sistematici scavi non consenteperò di stabilire se questa fosse una zona adibitaa particolari funzioni od un’area di esclusiva per-tinenza pisana.

XV-XVI secolo

È comunque indubbio che Campiglia come glialtri centri limitrofi risentì nel corso della secondametà del XIV secolo del periodo di crisi soffertoda Pisa che determinò, a fronte di un calo di ri-chiesta da parte della città, la diminuizione degliscambi commerciali.L’inserimento di Campiglia e del suo territorioall’interno dei domini fiorentini, all’inizio del XVsecolo, segnò però un’inversione di tendenza chead una scala ridotta, è possibile osservare ancheseguendo gli avvenimenti narrati nei diari di unodegli uomini più ricchi del centro, Martino diSer Ghino110.Martino era nato a Campiglia intorno alla metàdel Trecento, proveniente da una famiglia di con-tadini proprietari di diversi terreni, in seguitoampliati dallo stesso Martino con l’acquisto dinuovi appezzamenti. Già in giovane età infattiMartino aveva cominciato a costruire il suo pic-colo ‘impero’ commerciando inizialmente orzo,grano e suini con i pisani.A seguito della formazione di un certo patrimo-nio, alla fine del XIV secolo, Martino si trasferì aPisa riuscendo a trarre notevoli vantaggi dallamutevole situazione politica attraversata dalla cittàappena ceduta da Gherardo d’Appiano ai Visconti.Durante la guerra intrapresa tra il 1397-98 da

110 Per l’analisi dei diari si veda CASTIGLIONE, t. I, cap. II.

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quest’ultimi contro Firenze, Martino infatti fu unodei principali fornitori delle truppe viscontee.Dopo quindi avere accumulato in questa occasio-ne ulteriori ricchezze, tornato nei luoghi di origi-ne acquistò gradualmente un’ulteriore serie diappezzamenti di terreno fino ad arrivare a con-trollare, nei primi decenni del XV secolo, ampieporzioni di pascoli comprese tra Baratti e Campi-glia e tra quest’ultimo centro e Suvereto, RoccaSan Silvestro sino a Donoratico.Oltre ai suini, Martino commerciava pecore,agnelli e bufali. Per farci un’idea dei suoi traffi-ci, basti pensare che nel 1407, quando fece so-cietà con un esponente della famiglia fiorentinadei Gianfigliazzi, la loro compagnia poteva con-tare sull’allevamento di 800 pecore, 700 agnellioltre ai sopracitati bufali e suini.Quindi l’arrivo dei fiorentini coincise anche conl’avvio di nuovi traffici legati all’attività da sem-pre trainante l’economia campigliese, l’allevamen-to, traffici a cui presero parte anche altri impor-tanti allevatori del centro che seppure meno ric-chi di Martino, potevano contare tra i loro capicentinaia di specie tra ovini, suini e bufali.Un simile sviluppo di questo settore generò unindotto di notevole entità costituito da tutte leattività connesse allo stesso allevamento, comequelle pertinenti la concia delle pelli, la lavora-zione ed il commercio della lana, la produzionedi latticini e formaggi, oltre naturalmente adaumentare i posti di lavoro di coloro che eranoaddetti alla stessa guardia del bestiame.Come si evince dall’analisi dei catasti fiorentini l’al-levamento continuò per buona parte del XV seco-lo ad essere la principale attività economica ren-dendo Campiglia uno dei centri del comprensoriocon un tasso di ricchezza maggiormente diffusa edincentivando anche la crescita demografica111.Nel 1423 infatti dal censimento catastale, Cam-piglia risultava popolata da 340 abitanti, saliti,malgrado il passaggio di varie pestilenze ed epi-demie, a 840 nel 1491.Tutto questo avveniva mentre una numerosaguarnigione, sin dalla conquista fiorentina, ave-va preso possesso della Rocca, dando avvio aduna capillare trasformazione degli spazi connes-sa alle nuove esigenze militari che interessò gliedifici sommitali sino al loro abbandono avve-nuto alla fine del XVI secolo112.L’importanza che il centro rivestiva per Firenze èanche testimoniata dalla risorse investite per il rin-

forzo delle sue difese, con il restauro o la nuovacostruzione di elementi difensivi, sebbene l’ampiez-za dell’area abitata non subì più nessuna trasfor-mazione dopo quelle avvenute nel XIII secolo113.Non bisogna del resto dimenticare che in questoperiodo Campiglia costituiva un importante cen-tro di confine con lo Stato degli Appiani, signoridi Piombino e che i fiorentini avevano moltepli-ci interessi in tutti i territori limitrofi. Lo stessoCosimo I, nel XVI secolo, nell’area dove si tro-vavano alcuni mulini citati secoli prima tra i pos-sessi degli ormai scomparsi conti di Campiglia,organizzò l’impianto siderurgico di Caldana dovesi trasformavano i minerali ferrosi provenientidall’Elba e dai vicini monti campigliesi. L’impre-sa ebbe un tale sviluppo che nel 1543 fu fondatoun ente, la Magona del Ferro, preposto alla raf-finazione del ferro da cui dipendevano le attivi-tà siderurgiche di tutta la Toscana114.Contemporaneamente, sempre Cosimo I ripre-se nei monti campigliesi il lavoro di estrazione elavorazione dei minerali di rame, piombo argen-tifero e allume, attività in seguito interrotte peril loro spostamento in aree più redditizie per larepubblica fiorentina, mentre in contemporaneasi continuavano a sfruttare i filoni di marmo eporfido impiegati nelle più importanti costru-zioni cittadine115.Tali concentrazione di interessi spinse Cosimo I adoccuparsi anche di incentivare ulteriormente unacrescita demografica già in atto (malgrado ulterio-ri pestilenze), favorendo nella stessa Campiglia unconsistente flusso migratorio che nel 1571 fecesalire a 976 il numero dei suoi abitanti116.Questa nuova e più numerosa popolazione trovòimpiego sia nelle aziende dei medio-grandi alle-vatori campigliesi sia nelle attività agricole chedalla seconda metà del XV secolo, a seguito di unmaggiore dissodamento dei terreni, si erano fattepiù consistenti nelle aree di pianura a confine conquelle del promontorio piombinese, dove si pro-ducevano soprattutto cereali, ma anche lungo lependici collinari con nuovi vigneti ed oliveti.Il graduale ed importante passaggio da un settoreeconomico trainante pressochè esclusivo (l’alleva-

111 Per l’analisi dei catasti si veda sempre CASTIGLIONE, t.I, cap. II.112 Per una descrizione delle attività riguardanti questoperiodo si veda BIANCHI, sez. V, cap. I.5.

113 Per le trasformazioni relative al borgo vedi BIANCHI,sez. VI, cap. I.3.114 CASINI, sez. I, cap. I.3 con relativa bibliografia riferitaa questi eventi storici.115 Già dall’inizio del XV secolo, dal porto di S.Vincenzopartivano navi fiorentine cariche di marmi da utilizzarenell’opera del Duomo, BIANCHI 2000, p. 214. Per l’utiliz-zo delle cave di marmo campigliese da parte dei fiorenti-ni nel XV secolo si vedano anche i documenti inediti ci-tati in BELCARI, sez. V, cap. 3.2.1, nota 151.116 PAZZAGLI 1990, p.55 e ancora CASTIGLIONE t. I, cap. II.2.

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mento) all’incentivazione di altre forme di sfrutta-mento della terra, è ben leggibile anche a partiredai catasti del 1461 dove si nota, nel censimentodei patrimoni più consistenti, una sempre minorecitazione di capi di bestiame a favore di beni legatiappunto a coltivazioni come il grano o la vite.Ciò è inoltre contemporaneo ad un’incentiva-zione delle stesse attività commerciali da partedegli ex-allevatori impegnati ad acquistare o ge-stire un sempre maggior numero di botteghepresenti nel borgo117.

All’inizio del XVI secolo risalgono i primi strati dicrollo all’interno degli edifici della Rocca che sonol’iniziale spia del loro graduale abbandono da par-te della guarnigione, testimoniato ulteriormente daalcuni allivellamenti dell’area sommitale.Su questo complesso monumentale, simbolo ma-

teriale di tutte le trasformazioni storiche di Cam-piglia da allora calò definitivamente il silenzio.Mentre questo accadeva la comunità campigliese,ancora ben ancorata a solidi capisaldi economici,si avviava ad affrontare decenni durissimi segnatida pestilenze, carestie e drastica diminuizione del-la popolazione118 che sembrano interrompere inmaniera drammatica e definitiva quell’andamentotutto sommato sempre in ascesa, che dall’altome-dioevo all’età moderna aveva caratterizzato la sto-ria economica e sociale dell’insediamento.Bisognerà arrivare sino ai primi decenni del-l’Ottocento per scorgere una netta inversionedi tendenza legata alle profonde trasformazio-ni determinate dai processi di industrializzazio-ne del territorio.

GIOVANNA BIANCHI

117 CASTIGLIONE, t. I, cap. 2.1. 118 PAZZAGLI 1990.

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