Sulla valorizzazione delle carte d'archivio: a cosa può servire la storia in un'impresa...

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Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza Archivistica per la Puglia Fondazione Cassa di Risparmio rii Pii Riforme in corsa... Archivi pubblici e archivi d’impresa tra trasformazioni, privatizzazioni e fusioni Atti del Convegno di Studi (Bari, 17-18 giugno 2004) a cura di Domenica Porcaro Massafra, Marina Messina e Grazia Tato con la collaborazione di Angela Muscedra jjt EDIPUGLIA Bari 2006

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M inistero per i Beni e le A ttività Culturali Soprintendenza Archivistica per la Puglia

Fondazione Cassa di R isparm io rii Pii

Riforme in corsa...Archivi pubblici e archivi d ’impresa

tra trasformazioni, privatizzazioni e fusioniAtti del Convegno di Studi (Bari, 17-18 giugno 2004)

a cura di Domenica Porcaro Massafra, Marina Messina e Grazia Tato

con la collaborazione di Angela Muscedra

jjtEDIPUGLIA

Bari 2006

SULLA VALORIZZAZIONE DELLE CARTE D’ARCHIVIO: A COSA PUÒ SERVIRE LA STORIA

IN UN’IMPRESA DELL’INNOVAZIONE?di Chiara Ottaviano

Premessa

Per un'impresa che opera nel settore delle telecomunicazioni, in uno scenario così profondamente segnato dalla discontinuità sul piano degli assetti proprietari, delle tec­nologie in uso, dei prodotti, dei mercati, non può darsi per scontata l’affermazione se­condo cui la storia, sia di quella specifica impresa sia di quel settore nel suo complesso, sia sempre c in ogni caso percepita come una “risorsa per il presente”.

Il futuro, verso cui così fortemente si è oggi proiettati, sembra infatti altra cosa, del tutto nuova rispetto a un passato che sembra dunque aver poco da insegnare. La ricerca storica e la sua comunicazione (includendo in ciò la valorizzazione di beni archivistici) hanno dunque oggi, più di ieri, una sfida importante da sostenere: si deve essere in grado di esplicitare domande di storia che, oltre ad essere significative per la comunità scientifica, devono essere percepibili come dotate di senso per chi è impegnato nella crescita di un’utile “cultura del futuro”.

Dieci anni che sconvolsero il settore

L’Archivio storico Telecom Italia, sorto dalla fusione dei precedenti archivi storici SIP (la società fondata nel 1964 dalla fusione delle precedenti cinque concessionarie telefoniche) e STET (la finanziaria IRI per le imprese di telecomunicazione), è il più importante archivio italiano nel campo delle telecomunicazioni. Le sue carte più an­tiche risalgono alla fine dell’Ottocento, appartenendo alla SIP (Società idroelettrica Piemontese), che, a partire dagli anni Venti, ebbe un ruolo di prima piano nella costru­zione del sistema telefonico del Paese. Come a tutti è noto l’attuale Telecom Italia ha ereditato il patrimonio della SIP (Società italiana per l’esercizio telefonico), che dal 1964 fino alla metà degli anni Novanta ha gestito il servizio telefonico italiano in re­gime di monopolio, insieme all’ASST (Azienda di Stato per i Servizi Telefonici) e al- ITlalcable.

Per un rapido orientamento rispetto alla complessa storia aziendale, una dettagliata cronologia e un’estesa bibliografia, oltre che per approfondimenti tematici sulle que­stioni più rilevanti di storia economica, di storia sociale, e di storia della tecnica, si

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rinvia al cd-rom L’Italia al telefono: società,imprese, tecnologie, prodotto dall’Ar- chivio storico Telecom Italia e da Progetto Italia

Di seguito vi è solo qualche riferimento cronologico in relazione ai tanti mutamenti societari avvenuti a partire dagli anni Novanta.

1992 Avvio del processo di privatizzazione in attuazione delle normative comuni­tarie che prevedevano la separazione fra attività di gestione del servizio telefonico e at­tività di normazione e controllo del settore. Ciò comporta la soppressione dell’ ASST (Azienda di Stato per i Servizi Telefonici) e la costituzione da parte dell TRI di IRITEL S.p.A che acquisisce a line anno le attività di ASST.

1994 Fusione delle cinque società del gruppo IRI-STET impegnate nel settore te­lefonico (SIP, IRITEL., ITALCABLE, Telespazio e S1RM) e nascita di Telecom Italia ( I ° fondazione).

1995 Atto di scissione parziale della società mediante costituzione di Telecom Italia Mobile S.p.A.. Alla TIM, operativa a luglio, viene trasferito il settore relativo ai servizi di telecomunicazioni mobili

1997 Fusione di Telecom Italia nella STET, la quale assume il nome di Telecom Italia (2° fondazione). Attuazione del decreto di privatizzazione. Telecom Italia è la prima public company italiana. Nasce TIN (Telecom Italia Net) dalla fusione di Te­lecom on line e Video on line.

1999 OPA (offerta pubblica di acquisto) da parte dell’Olivetti conclusasi con suc­cesso.

2001 La scalata di Olimpia - gruppo Pirelli - all’Olivetti (detentore del 55% delle azioni Telecom Italia) c condotta con successo. Il nuovo managment del Gruppo Te­lecom Italia è diretto da Marco Tronchetti Proverà.

2005 Fusione Olivetti-Telecom Italia, la nuova società prende il nome Telecom Italia. È la terza rifondazione.

2005 Atto di fusione tra Telecom Italia e TIM

Nel corso di poco più di un decennio l'impresa ha conosciuto quindi una fortissima discontinuità. Rispetto all’assetto proprietario si è trattato di un passaggio dal settore pubblico a quello privato e da un gruppo privato a un altro, con mutamenti di organi­gramma, di dirigenza, di consuetudini, stili e culture di impresa. Si aggiunga a ciò la fine del mercato monopolistico e l’inizio di una accesa concorrenza sul mercato nazio­nale, europeo e internazionale.

Ai cambiamenti societari e di mercato vanno poi aggiunte novità ancora più radicali che riguardano prima di tutto il ruolo delle ITC (tecnologie informatiche delle comuni­cazione) nelPeconomia e nella vita di tutti i giorni. L'uso delle ITC, divenute motore dello sviluppo nella cosiddetta “società dell’informazione”, ha imposto, per esempio, una nuova definizione del concetto di “comunicazione di massa”, che, modellato erigi-

1 II Cd-rom L ’Italia al telefono: società imprese e tecnologie, Torino 2005, può essere richiesto al­l’Archivio storico Telecom Italia. Ideazione e cura di Chiara Ottaviano, realizzazione Cliomedia Of­ficina, produzione Archivio storico Telecom Italia-Progetto Italia. Hanno collaborato Gianpaolo h'is- sore, Filippo Nieddu, Cristina Bertolino, Walter Tacci e Sara Nobile. Consulenti Giandomenico Pi- luso, Pierangelo Cavanna. Supervisione per Telecom Italia Alessandra Pennacchietti.

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nanamente sulla comunicazione radiofonica, era caratterizzato da una comunicazione monodirezionale dall’alto verso il basso e da un punto a una massa indistinta. Basti pensare a Internet, mezzo di comunicazione di massa e mezzo di comunicazione inter­personale al tempo stesso, o anche al cellulare, ‘'il” mezzo della comunicazione inter­personale ma anche ormai un terminale per comunicazioni di massa. La stessa TV, l'in­discusso potente “mass media”, oggi può essere interattiva e narrowcasting, cioè diretta a un pubblico preciso e non più indistinto. Su uno stesso terminale (non solo il com­puter ma anche il telefono fisso come quello cellulare) attraverso l’utilizzo della stessa rete, possono infine convergere forme di comunicazione un tempo nettamente separate: voce, dati, immagini, scrittura.

Oggi le imprese del settore sono costantemente in competizione per offrire prodotti sempre nuovi e molteplici; fino a non molti anni fa, invece, l’azienda che aveva avuto un ruolo determinante nella costruzione del sistema delle telecomunicazioni nel nostro paese aveva legato la propria immagine a un solo specifico oggetto: il telefono.

Negli anni Ottanta quel mezzo, che solo allora, a distanza di un secolo dal suo de­butto, era entrato finalmente nelle case di quasi tutte le famiglie italiane e che a partire dal 1970, grazie alla teleselezione nazionale in anticipo rispetto agli altri Paesi europei, aveva unificato un'Italia lacerata dai fenomeni di emigrazione interna, era tanto pre­sente quanto “invisibile”. Faceva parte di quella “seconda natura artificiale”, di cui si prendeva coscienza solo quando qualcosa non andava, per disservizi, attese neU'allac- ciamento o black out. Sempre in quegli anni, nel quasi totale disinteresse dell'opinione pubblica, significativi erano gli investimenti per la digitalizzazione delle centrali e per l’ammodernamento dell’intero sistema delle reti. Poca consapevolezza vi era sul fatto che l’introduzione della telematica aveva già imposto vere e proprie «rivoluzioni» nei settori più diversi: nella grande distribuzione, nelPeditoria, nell' amministrazione pub­blica e in quella delle grandi aziende private, oltre che nei sistemi di fabbrica. A fronte di tutto ciò, le uniche novità percepite come significative dall’opinione pubblica e dagli utenti erano il fax e la segreteria telefonica.

Nel decennio successivo, con l’esplosione di Internet, l’imprevisto ed enorme suc­cesso della telefonia cellulare, la moltiplicazione dei servizi telefonici grazie alle cosid­dette «reti intelligenti», diventò evidente, anche per i meno attenti, che quello che era il tradizionale “mondo del telefono” era in piena rivoluzione.

Del tutto nuove erano anche le “promesse di futuro”. Dalle origini fino a pratica- mente gli anni Ottanta la principale promessa legata alla rete - oltre all’allargamento del servizio di teleselezione - era stata quella di “portare il telefono” in ogni casa e in ogni luogo del Paese, attraverso l’estensione delia rete e la moltiplicazione dei termi­nali. A ciò avevano mirato: le campagne per la diffusione del Duplex a partire dagli anni Trenta; i significativi finanziamenti statali negli anni Cinquanta per allacciare alla rete anche tutte le frazioni; la moltiplicazione dei telefoni pubblici e delle cabine telefo­niche, collocate nelle piazze e lungo le strade, soprattutto a partire dalla fine degli anni Sessanta e, nello stesso decennio, le spine del telefono, rinnovato nel design, in ogni stanza della casa. La promessa dell'estensione della rete e della diffusione degli appa­recchi telefonici non implicava nessuna novità rispetto agli "usi". L’“interpretazione” della rete dagli anni Trenta in poi - archiviata sia pure non definitivamente l'esperienza

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della telefonia circolare 2 - era dunque quanto mai stabile: la rete telefonica serviva principalmente per la comunicazione orale interpersonale e magari, ma solo seconda­riamente, per ottenere, tramite centralino, una serie di informazioni, soprattutto di or­dine pratico.

Oggi sia l’offerta sia la “promessa di futuro” è percepita come varia e quasi come “infinita”. Si pensi, per fare solo un esempio, al cellulare, vero oggetto di culto per molti. Esso è strumento che già ha, o che potrebbe avere, una molteplicità di funzioni diverse, che prima caratterizzavano altri mezzi: la macchina fotografica, la cinepresa, la radio, la tv , il computer, il navigatore satellitare, la play station, etc ... ma è anche sve­glia, calcolatrice, orologio etc, etc... Il cellulare, mezzo di comunicazione interperso­nale e terminale di comunicazione di massa, è allo stesso tempo status symbol e gadget per adolescenti, strumento per le emergenze e strumento obbligatorio di socialità quoti­diana soprattutto per alcune fasce generazionali. L’aspettativa è di sempre nuove fun­zionalità. L’interpretazione del mezzo è ancora in via di definizione.

Prime considerazioni intorno a una domanda non retorica

In uno scenario così profondamente contrassegnato dalla discontinuità, sul piano della proprietà, dei mercati, delle tecnologie e dei prodotti, può avere senso parlare della storia - di una specifica impresa o del settore - come di una risorsa per il pre­sente?

Ieri era scontato e condiviso l’assioma secondo cui la storia è un valore “in sé” e che la conoscenza del passato è essenziale per la “conoscenza del sé”, in riferimento a individui, gruppi, comunità, istituzioni, nazioni, etc. La crescita della consapevolezza storica era intesa non solo come aumento delle informazioni sul passato ma come un “impegno” condiviso dalla società nelle sue varie componenti. Diffuso era il senso di “responsabilità” nei confronti del patrimonio storico materiale e ideale; un “dover es­sere” che, in alcuni periodi in particolare, ha riguardato anche le imprese, pubbliche e private, espressioni di realtà collettive importanti non solo sul piano economico.

L’adesione a quel principio ha così motivato, specie a partire dagli anni Ottanta, azioni in positivo, da parte di aziende pubbliche e private, in varie direzioni: daH’aper-

2 La telefonia circolare, che possiamo assumerla come antesignana della filodifussione, prevedeva l’utilizzo della rete telefonica per quella forma di comunicazione che sarebbe stata successivamente specifica della radiocomunicazione. Il primo esempio di telefonia circolare risale al 1X81 quando, in occasione dell'Esposizione internazionale di elettricità, fu lanciato a Parigi il servizio del Thea- trophone che permetteva agli abbonati, poche centinaia, di ascoltare, tramite il telefono, opere e con­certi. Successivamente a Budapest, il “Telefon Hirmondo”, lanciato nel 1893, raggiunse i seimila ab­bonati con programmi di informazione e varietà. In Italia su imitazione del modello ungherese, nel 1910 fu inaugurato l’“Araldo telefonico”, che nel 1914 superò i 1.300 abbonati. Il servizio, interrotto durante la prima guerra mondiale, fu ripreso nel 1922 col nome di “Fonogiornale”, l’anno successivo subì una nuova trasformazione del nome, in "Radioaraldo", e soprattutto nelle tecnologie. Fu intatti “Radioaraldo” ad aprire la prima stazione radiofonica ili Roma, con apparecchiature fornite dalla We­stern Electric Italiana, per le “radioaudizioni circolari". “Radioaraldo”, insieme alle altre principali società della nascente industria radiofonica, confluì poi nell’Uri, a cui lo Stato nel 1924 per conven­zione diede l’esclusiva dei servizi radiofonici in Italia.

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tura di archivi d’impresa per la salvaguardia del patrimonio storico dell’azienda a inve­stimenti in sponsorizzazione per la salvaguardia del patrimonio artistico nazionale; dalla promozione della conoscenza storica attraverso mostre e prodotti per la scuola alla promozione di ricerche e collane editoriali.

L’impegno per la salvaguardia del passato poteva costituire per le aziende un’occa­sione per perseguire l’obiettivo di “accreditamento” dell’impresa sul piano sociale.

Oggi il generico principio della “salvaguardia” del passato non è più sufficiente per motivare scelte e destinare risorse; la storia d’altra parte non occupa più l’indiscusso ruolo centrale che precedentemente aveva nel “discorso politico”. Faccio riferimento al “discorso politico” perché, dal momento che esso crea e allo stesso tempo fa appello ai pregiudizi e agli stereotipi più diffusi, è una fonte non trascurabile su quali siano le idee e i modi di pensare più diffusi nei vari contesti. Durante gli anni della cosiddetta prima Repubblica il “senso comune” si esprimeva soprattutto in prospettiva storica: il passato e una lunga esperienza erano di fatto garanzia di futuro. Si pensi, per fare solo un esem­pio fra i tanti, ai manifesti del PCI degli anni Settanta dove campeggiava la scritta “ve­niamo da lontano” come garanzia di inevitabili traguardi futuri. Oggi nella retorica po­litica il passato non è quasi mai evocato né come garanzia né come risorsa per il futuro.

La “coscienza storica” non sembra più elemento caratterizzante l’identità di gruppi, istituzioni e movimenti , fatta eccezione per i casi in cui la storia a cui si fa appello per la costituzione di nuove identità di gruppo regionali è quella che si fonda su un passato lontano, possibilmente medioevale, fondamentalmente inventato (e dunque si dovrebbe parlare di una identità “a- storica”). Il “discorso sul futuro”, invece, ieri come oggi, continua a orientare le azioni di singoli, di collettività, di imprese.

La capacità di delineare e di immaginare scenari futuri è fondamentale, infatti, per le scelte che nel presente compiono i singoli, le famiglie, i gruppi e le imprese econo­miche, le società nel loro complesso.

La cultura del futuro è una “risorsa strategica” primaria per le aziende, specie per quelle più fortemente sottoposte all’incessante produzione di innovazione, ma allo stesso tempo dovrebbe essere intesa come una nuova “virtù civica”, essenziale per l'e­sercizio di una piena cittadinanza. Le decisioni sull’arena pubblica che riguardano poli­tiche di investimenti e risorse sono infatti decisioni che condizionano profondamente il futuro e che devono essere assunte sulla base dell’immaginazione che oggi siamo in grado di formulare sul futuro possibile e auspicabile.

Fare crescere la “cultura del futuro”, oggi più di ieri, è una necessità perché nello scenario attuale - non più, tra l'altro, neanche relativamente stabile sul piano politico come prima della caduta del muro di Berlino - tutto è in movimento e incerto: sul piano economico, politico, sociale.

La ricerca sul passato, la proposta dei sociocostruttivisti e la documentazione storica

La storia della tecnica e delle imprese legate allo sviluppo tecnologico può essere utile alla crescita della “cultura del futuro”, ma solo a patto, però, di abbandonare ap­procci ottocenteschi di stampo positivistico, tuli'ora molto resistenti.

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Occorre per questo evitare un modo di fare storia che presupponga di conoscere già tutte le risposte e non si ponga invece nuove domande, che dia per scontata una sicura progressione per “tappe” dello “sviluppo storico” (o al più colga “arresti” su un per­corso tracciato), che spieghi tutto a partire da un ipotetico “fattore” o “causa” unica ( il “filo rosso”), che produca certezze su inevitabili sviluppi futuri, che crei “monumenti” . L’aspirazione a diventare “monumento” può essere molto forte per quelle istituzione che sono committenti della propria storia, nella certezza di accreditarsi così come esito finale, approdo ultimo, di un rilevante processo storico.

Questo tipo di storia non è utile a nessuno. In particolare non c utile a quelle im­prese che oggi operano nel segno di forti discontinuità.

Il maggior contributo che la ricerca storica e la comunicazione della ricerca storica possono dare per la crescita di un'adeguata “cultura del futuro” è quello di addestrare all’attenzione alla complessità. In altre parole la ricerca storica, che aspira a spiegare il divenire, può essere considerata una sorta di palestra dove, per esempio, ci si addestra a individuare gli “attori” presenti sulla scena, ipotizzandone aspirazioni, motivazioni, comportamenti, logiche etc..., mettendo nel conto le tante variabili possibili derivanti dall’incontro-scontro dei vari “attori”. Per attori devono intendersi gruppi, istituzioni, singoli dotati di particolare capacità di azione, ma anche sistemi tecnologici complessi. Non esistono strade maestre da cui eventualmente si può al più deviare.

Il divenire è, infatti, frutto di una negoziazione costante a cui partecipano una plura­lità di soggetti all’interno di condizioni materiali, tecniche, sistemiche che a loro volta sono frutto di processi altrettanto caratterizzati da negoziati.

Particolarmente utile, e non solo in riferimento alla storia della tecnica, è la lezione di quegli studiosi che si identificano nel programma del sociocostruttivismo, il cui ma­nifesto, redatto dall’olandese Wiebe E. Bijker e daH’americano Trevor Pinch, risale al I9841. Più nel dettaglio Pinch e Bijker suggerivano che il nuovo programma di studi (denominato SCOT, Social Construction of Technology) dovesse prendere a modello la lezione elei sociologi della scienza i quali, superato l’insegnamento di Thomas S. Kuhn, primo ad aver aperto quel campo di indagine, si identificavano nel programma EPOR (Empirica! Program of scientific knowledge), così denominato dii Harry M.Collins. I cardini del modello condiviso possono essere così sintetizzati: un’affermazione scienti­fica al suo primo stadio può avere diverse “interpretazioni”, tale “flessibilità” viene meno quando si raggiunge un certo “consenso” della comunità scientifica, dopo il quale si assiste alla chiusura del dibattito e alla fissazione di un’unica interpretazione. Ogni stadio è caratterizzato da un’intensa negoziazione a cui partecipano una certa molteplicità di attori.

La traduzione di quel modello per gli studi sulla tecnica implica l’abbandono di ogni modello lineare in favore di un modello che prevede la multidirezionalità in ogni stadio. Ricordiamo che il modello di tipo lineare, proprio della tradizione degli studi

! I sociologi Trevon J.Pinch e Wiebe E.bijker, americano il primo, olandese il secondo, pubblica­rono nel I9H4 su “Social Studies of Science", lina rivista destinata a ospitare ricerche di sociologia della scienza, disciplina dalla quale i due studiosi avevano preso le mosse, quello che può essere con­siderato il manifesto dei cosiddetti "sociologi della tecnica eostruttivisti". Il tìtolo dell’articolo recita The socia! Construction o f facts and artefacts: or how the sociology o f science and the sociology of technology might benefit each other.

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economici sull'innovazione, ma non solo, prevede la seguente linearità: la ricerca di base, la ricerca applicata, lo sviluppo tecnologico, lo sviluppo della produzione, la pro­duzione e infine, ultimo stadio, l'uso. La “flessibilità” a cui i sociocostruttivisti fanno riferimento non implica solo le diverse interpretazioni che i vari attori ( o gruppi rile­vanti) forniscono di una data tecnologia ma anche il modo diverso in cui gli artefatti (per artefatti si intendono sia i prodotti materiali che i processi produttivi) possono es­sere progettati, dunque le diverse alternative possibili. Differenti interpretazioni e pro­gettazioni, sempre da parte dei vari attori (produttori concorrenti, tecnici o anche, per esempio, gruppi di consumatori) implicano differenti catene di problemi e di soluzioni.

Se alla chiusura del dibattito in campo scientifico si giunge sovente attraverso il consenso di un particolare gruppo , il care-set, all’interno della stessa comunità scienti­fica, nel caso della tecnologia si raggiunge la “stabilizzazione” e si chiude la “contro­versia” attraverso la negoziazione di vari gruppi rilevanti, portatori, oltre che di speci­fici interessi, di specifiche interpretazioni. La pubblicità può svolgere un ruolo impor­tante proprio nel dar forma all’interpretazione che un certo gruppo sociale dà di un certo tipo di tecnologia.

Nello scrivere il saggio di cui stiamo dando conto. Pinch c Bijker ammettevano pie­namente di essere solo ai primi passi di quello che definivano un nuovo campo di studi, pur riconoscendo il merito di aver già aperto quel campo ad alcuni studiosi, fra cui Mi­chel Gallon, David Noble e pochi altri. Nel convegno che nel giugno 1984 venne pro­mosso a Twente, in Olanda, il gruppo dei “costruttivisti” si rafforzò significativamente con le presenze, fra gli altri, dei francesi Michel Gallon e Bruno Latour, degli inglesi John Law e Donald Mackenzie, degli storici americani Thomas Hughes e Ruth Schwartz Cowan4.

Gallon. Latour e Law condividevano molti dei presupposti di Pinch e Bi jker con si­gnificative differenze. Per essi la scienza e la tecnologia non erano frutto di costruzione sociale, piuttosto dovevano intendersi come reti socio-naturali che connettono attori di varia natura (siano essi persone, gruppi o anche elementi inanimati). In tali reti, che sono pienamente spazi di negoziazione, svolge un ruolo significativo “l’attore strate­gico”, una sorta di Principe machiavelliano, un innovatore capace, contemporanea­mente, sia di “curvare” lo spazio che lo circonda, con tutti gli elementi che lo caratte­rizzano e cioè gli altri attori all’interno della relazione di rete, sia di adattare il proprio progetto-oggetto al contesto.

Thomas P. Hughes, fra gli storici fondatori della SHOT, fornì al dibattito dei co­struttivisti più di un’idea utile per la costruzione di un suggestivo modello interpreta­tivo. Già alla fine degli anni Sessanta aveva introdotto il concetto di momentum, in cui si intrecciavano sia realtà tecniche che culturali, per spiegare la forza in movimento di una certa tecnologia. Successivamente chiarì perché occorresse superare l'idea stessa di “contesto”. Ingegneri, scienziati, manager di tutte le organizzazioni più eterogenee, come le industrie manifatturiere, le imprese dei servizi e le banche, sono, a suo giu-

4 Le relazioni presentate al seminario svoltosi presso l’Università di Twente, Olanda, nel luglio 1984 furono pubblicate nel volume The social construction o f technological systems: new directions in the sociology and history o f technology, a cura di Wiebe E. Bijker, Thomas P. Hughes, and Trevor J. Pinch, Cambridge e London. MIT press, 1989.

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dizio, entità che interagiscono intimamente nel sistema, o nella rete, in cui prende forma una tecnologia. Anche la scienza, più che in una relazione gerarchicamente data, appare interagire in vario modo con la tecnologia. Così la politica e la cultura. Se­guendo quanto Barry Barnes aveva affermato per la scienza, risultava difficile, in pre­senza di relazioni così caratterizzate dall’interattività, distinguere il dentro e il fuori, cioè il “contesto”, le gerarchie e le dipendenze5. 11 contesto, ovvero il sociale, risulta in vario modo incorporato nel sistema tecnologico e scientifico, per questo non si può considerarlo come background. Sociale, economico, culturale, tecnologico costitui­scono una trama unica, priva di cuciture.

Merito di Ruth Schwartz Cowan, pioniera neH’aver nutrito un’attenzione specifica per il genere negli studi sulla tecnologia6, è avere posto al centro del modello interpre­tativo dello sviluppo delle tecnologie ciò che ha indicato come lo “snodo del con­sumo”. I consumatori, nei limiti e nei vincoli a essi imposti, sono in un punto della rete di negoziazione quanto mai significativo; è assumendo quel punto di vista come privi­legiato che è possibile capire meglio i processi attraverso cui gli artefatti raggiungono le loro forme definitive.

La nuova attenzione per la tecnica comprende esplicitamente, oltre che le macchine, i sistemi e le reti di energia e di comunicazione, i prodotti di largo consumo, le pratiche e i procedimenti di lavoro e di organizzazione.

Non sono mancati critiche e netti rifiuti delle tesi dei costruttivisti, soprattutto da parte di studiosi di tradizione marxista. Molti di essi hanno colto nella rivendicazione dell'empirismo e del relativismo come metodo un sostanziale agnosticismo politico e quasi la volontà di negare le strutture profonde dei sistemi di natura capitalistica.

Riteniamo però che di altro tipo potrebbero essere le reazioni allo scardinamento di ogni modello lineare, al venir meno di ogni certezza di confine fra ciò che è “tecnico” e ciò che è “sociale”, al pensare come profondamente intrecciati ambiti che, pur nella contiguità, si concepivano come nettamente separati: il laboratorio, la fabbrica, la fi­nanza, il mercato, la casa, dove molte innovazioni tecnologiche alla fine approdano.

Se le tesi dei costruttivisti risultassero le piti convincenti, e cioè quelle capaci di of­frire i modelli più interessanti per capire i non semplici processi che caratterizzano rin­novazione tecnologica (anche se la metodologia di ricerca è la più faticosa, perché ne­cessita di molta ricerca empirica), forse andrebbe in crisi buona parte del sistema deci­sionale produttivo e finanziario, costretto, nel calcolo economico, ad abbandonare con­venzioni consolidate e ipotesi di sviluppo, secondo “traiettorie” più o meno sicure, per accettare la sfida radicale della “flessibilità” a tutti i livelli. In realtà tali processi sono già in corso. Non può essere infatti un caso che, come rilevano attenti osservatori, nella pratica concreta spesso “il calcolo economico”, non più ancorato ad alcuna certezza, fi­nisca per essere una sorta di “convenzione”, che segue e non precede le decisioni già comunque prese.

5 Cfr. Science in context: readings in the sociology o f science, a cura di Barry Barnes and David Edge, Milton Keynes, Open University Press, 1982; B arry B arnes, T. S. Knlw: la dimensione sociale della scienza, Bologna, Il Mulino, 1985.

6 Ruth Schwartz Cowan, More work for mother: the ironies o f household technology from the open hearth to the microwave, Basic Books, 1983.

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Del resto non è facile calcolare i possibili esiti sul mercato di prodotti tecnologici i cui destinatari non sono del tutto individuati, come del resto è sovente esplicita la diffi­coltà dei produttori di indicare con certezza i possibili usi di un prodotto altamente in­novativo. Rare le occasioni in cui una precisa immaginazione di consumo abbia gui­dato con successo l'innovazione, la produzione e l’adozione da parte dei consumatori.

La scienza economica, d’altra parte, quella che per consuetudine fornisce ai decisori il bagaglio di strumenti più comuni, sta riconoscendo come inadeguati i modelli prece­dentemente in uso per spiegare i processi di innovazione in atto. E del resto, come fra gli altri hanno affermato Mario Amendola e Jean-Luc Gaffard già alla fine degli anni Ottanta, prima di tutto è cambiata profondamente la natura stessa del l'offerta: il mer­cato infatti non si soddisfa solo con l’offerta di beni ma anche attraverso una serie di mezzi, di interventi, di servizi che non si concretizzano più esclusivamente o prevalen­temente all'interno delle fabbriche ma direttamente nel “sociale”. La segmentazione del mercato, inoltre, e la possibilità di prodotti sempre più “personalizzati, accentua la dipendenza dalla domanda. Il consumatore diventa così, in qualche modo, partecipe del processo produttivo, non più solo come riferimento esterno, ma dando specifici input a quel processo. Non esprime infatti solo bisogni'ma può anche indicare, con le sue ri­chieste, problemi di produzione. In altre parole, la tecnologia appare più come il risul­tato di un processo di innovazione che la precondizione di esso7 *.

I consumatori, non più dunque solo passivi destinatari di messaggi e di offerte, anche per questa via, acquistano un’inedita centralità.

Le fonti documentarie per questo tipo di indagini possono essere le più varie. Pub­blicità, circolari, documenti e pubblicazioni aziendali (la cosiddetta “letteratura grigia”), testi, audiovisivi, documenti digitali ipertestuali e multimediali utilizzati nei corsi di formazione, hou.se organ e riviste aziendali in genere possono fornire spie si­gnificative del modo in cui i produttori (o se si preferisce le aziende produttrici) “inter­pretano” i prodotti offerti sul mercato, indicando usi e contesti. Lettere di reclami, rile­vazioni di mercato, studi sul comportamento dei consumatori condotti con tecniche ispirate a modelli antropologici, documentazione interna di varia natura possono, in al­cuni casi, offrire spie dell'interpretazione di quegli stessi prodotti da parte dei consu­matori. Carteggi, proposte e progetti di legge possono introdurre altri punti di vista e altri attori del mondo economico c politico che partecipano a quel “negoziato”. Esem­plare, relativamente al mondo della comunicazione telefonica, è stata la ricerca del so­ciologo americano Claude S. Fischer sulla storia del telefono in America, pubblicata in Italia negli anni Novanta nella collana Mediamorfosi di Utet libreria e Telecom Italia*. Buona parte dei tipi di documentazione sopra indicata non è certo quella che per ob­bligo di legge si è tenuti a conservare, non ha certo l'aura del “documento unico” né ri­porta in genere firme significativa in calce. Questo tipo di documentazione può però di-

7 M a rio Amendola and Jean-Luc G aeiard, The innovative choice: an economie analysis o f the dy­namics o f technology, Oxford, New York: Basil Blackwell, 1988

“Claude S. F ischer, Storia sociale del telefono: America in linea, 1876-1940, Torino, UTHT li breria-Telecom Italia, 1994. La collana Mediamorfosi è stata diretta da Chiara Ottaviano e Poppino Ortoleva.

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ventare risorsa, oeeasione per la ricerca storica, e acquisire per questa via lo status di “patrimonio storico” y.

A partire dalle nuove domande di storia a cui si tenta di dare risposta cambiano dunque sia la scelta di cosa conservare (quali documenti cartacei , quali documenti ico­nografici, quali prototipi tecnici, quali prodotti standard, etc.), sia i modi di come e cosa raccontare (quali temi, quali documenti, quali vicende, istituzioni, personaggi mettere al centro). In altre parole, gli “attori” e gli “oggetti” che il ricercatore pone sulla scena dipendono dalle domande di storia a cui si tenta di dare risposta.

Ipotesi di valorizzazione attraverso percorsi espositivi

Molte sono le implicazioni delle precedenti affermazioni in riferimento alle possi­bili forme di comunicazione della conoscenza del passato attraverso la valorizzazione di documenti e beni di archivi d'impresa in percorsi espositivi9 10 11.

Se le domande di storia possono essere varie e diverse, ciò dovrebbe indurre ad ab­bandonare l'idea di esposizioni “lineari” e “permanenti”, più adatte a un racconto della storia con un chiaro inizio, una precisa evoluzione, un sicuro approdo nel presente, come unico esito possibile. Inoltre, la formulazione di domande implica lo sforzo di ri­sposte chiare e convincenti. Non dunque solo sforzi di narrazione che hanno per ob­biettivo quello di creare “suggestioni" e piacevoli o forti “emozioni". Un impegnativo progetto comunicativo deve, infatti, avere l'ambizione di costruire anche un percorso di esperienza conoscitiva, oltre che un affascinante intrattenimento. Tale obiettivo non può che essere il frutto del lavoro di un gruppo di ricerca e di ideazione composto da piu professionalità, capaci di interagire e collaborare in una trama di relazioni con “ge­rarchia variabile”. In questo sforzo di ricerca gli storici, i professionisti nel campo della ricerca sul passato, devono avere un ruolo non di seconda fila.

Per fare degli esempi concreti, in un ipotetico gruppo di lavoro creato per la realiz­zazione di un percorso espositivo, a partire dai documenti (in senso lato, e cioè docu­menti cartacei, iconografici, prodotti tecnologici etc.), finalizzato al racconto della sto­ria di un’impresa che opera all’interno del settore delle telecomunicazioni, le obbliga­torie competenze storiche e archivistiche devono essere finalizzate alla creazione di ipo­tesi di ordinamento piti che di allestimento (specifica competenza di altri professioni­sti, con cui però si deve fortemente interagire). La domanda da porre al centro è: quali obiettivi devono essere perseguiti nel progetto di comunicazione affinché il pensare la tecnica e le tecnologie della comunicazione conduca a un'utile esperienza conoscitiva?

A mio parere gli obiettivi principali dovrebbero essere due: I. suggerire un’idea rea­listica della tecnica; 2. riflettere sul concetto di macrosistema tecnologico e sociale ".

9 In allegato una scheda sintetizza i tipi di documentazione conservati attualmente presso l'Ar­chivio storico Telecom Italia.

111 Parte di queste riflessioni sono state esposte nel corso del Workshop sulla conservazione, re­stauro ed esposizione dei beni del settore telecomunicazioni svoltosi dal X al 9 luglio 2004 presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano.

11 Cfr. MicHia.A N acci, Pensare la tecnica: un secolo dì incomprensioni, Roma, editori Laterza,

Sulla valorizzazione delle carte d ’archivio 231

Il primo obiettivo, suggerire un'idea realistica della tecnica, implica prima di tutto evitare di nutrire quell'atteggiamento ispirato al concetto che potremmo indicare come il “sublime tecnologico” di marca ottocentesca, Esso implicava aspettative di costante progresso tecnologico e sociale e l'idea che grazie a sempre nuove tecnologie i pro­blemi dell’umanità sarebbero stati di sempre più facile soluzione, all'interno di un’este­tica del meraviglioso- del sublime, appunto12. Quei sentimenti di incondizionata ammi­razione sono stati riservati, in particolare, anche a quelle tecnologie della comunica­zione che consentivano l’annullamento delle distanze e che sembravano dissolvere ogni ostacolo alla comprensione fra gli uominil3.

Occorrerebbe inoltre mostrare come le possibilità di nuove “invenzioni” siano sempre condizionate da limiti: le precedenti conoscenze c le precedenti invenzioni {il concetto di path dependence). Da abbandonare l'idea che i progressi tecnici e scienti­fici siano intimamente intrecciati secondo un'antica visione per cui la scienza scopre e la tecnica applica (e l'uomo infine si adegua) u. La contemporaneità di molte inven­zioni e scoperte, nonostante segreti di laboratorio e concorrenze nazionali e di mercato, dovrebbe dimostrare, inoltre, come la circolazione delle idee scientifiche e tecniche ab­biano caratterizzato i secoli XIX e XX. Quest’ultimo aspetto dovrebbe essere utile per evitare di fare della storia della tecnica una delle componenti della storia patria (un ap­proccio che ha caratterizzato in occidente come nei paesi dell'ex regime comunista la formazione della disciplina di “storia della tecnica” prima e dopo il secondo conflitto mondiale).

11 suggerimento di un’idea realistica della tecnica non implica la rinuncia al l’effetto meraviglia, fattore che senz’altro facilita la comunicazione, purché la “meraviglia” non sia il fine della comunicazione. D’altro canto oggi non è obiettivo facile ottenere “me­raviglia” proprio perché sul mercato sono costantemente introdotte sempre nuove inno­vazioni “meravigliose” che diventano rapidamente “ordinarie” nella percezione degli utenti.

Le ipotesi su cosa concretamente mettere in scena possono essere, ovviamente, nu­merose, e, nel corso del tempo possono aggiungersi nuove “stazioni" o possono essere progettate altre in sostituzione di quelle precedentemente allestite.

2000; A i .ain Gras, Nella rete tecnologica: la società dei macrosistemi, Torino, UTET libreria-Te- lecom Italia, 1997.

12 11 concetto di “sublime tecnologico”, come atteggiamento specifico della società americana, è stato elaborato per prima da L eo M arx, The Machine in the Garden: Technology and the Pastoral Ideal in America, Oxford University Press, 1965. Varie forme di sublime tecnologico sono analizzate da Edavid E.N ye, American Technological Sublime, Cambridge, The MIT Press, 1994.

Un esempio, tra i tanti, è offerto dalla presentazione nel 1869 di un nuovo marchingegno basato sulla telegrafia da parte del suo inventore, G.Bonelli, che così spiegava al pubblico: “Quando noi ci troviamo dinanzi a una machina telegrafica, quando la vediamo funzionare, quando compaiono come per incanto dei caratteri tracciati magicamente da una mano clic è a centinaia di chilometri lungi da noi, quando riandiamo con la mente a questa immensa lunghezza di fili attraverso i quali si scam­biano i pensieri, e riflettiamo clic questo scambio si fa più presto assai di quello che noi non facciamo per rappresentare i vasti spazi che esso percorre, noi non possiamo dissimularci un senso di grata e sorprendente ammirazione” (Il tipo-telegrafo, Milano, Treves, 1869).

14 II celebre motto della Fiera del Commercio Mondiale a Chicago del 1933 recitava: “La scienza scopre, la tecnologia applica, l'uomo si adegua”.

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Si possono individuare innovazioni di successo che hanno segnato momenti di svolta (come l'apparecchio telefonico e le sue evoluzioni; innovazioni concernerti pro­blemi di trasmissione e amplificazione; innovazioni su problemi di commutazione, sulla qualità del segnale, su metodi probabilistici-statistici, sui materiali in uso nella fabbricazione dei mezzi, sulle “tecnologie dominanti”, come 1' elettronica, l’informa­tica, etc); o prodotti, servizi, tecnologie che, pur essendo per molti versi rilevanti, non hanno avuto successo (il telefono sul treno, il videotelefono, alcuni servizi in relazione alla segreteria telefonica, e poi il videotel, il Wap etc.).

Ciò che è importante è rendere espliciti i criteri della scelta e spiegare la rilevanza di ciò che si sceglie di porre al centro dell’attenzione facendo intendere qual è il punto di vista. Un dato documento può essere rilevante per la storia delle telecomunicazioni e della tecnica; un altro per la storia dell’impresa privata o per una scelta di politica sta­tale; un altro per la storia sociale in relazione alla vita quotidiana dei consumatori etc... Di quel documento (strumento, prodotto, servizio o ingranaggio che sia) di cui si esalta la valenza innovativa, varrebbe la pena illustrare il processo attraverso cui si è giunti alla sua definizione, mettendo in scena tutti gli attori che hanno in qualche modo parte­cipato a quel processo (singoli, gruppi, istituzioni, laboratori e imprese etc) e fornendo informazioni di “contesto”. Se si tratta di un prodotto destinato al consumo di massa dovrebbe porsi particolare attenzione “alle interpretazioni” sull’uso, soprattutto se di­verse - come spesso accade - da parte di chi quel prodotto lo ha inventato, di chi lo ha promosso sul mercato, dei consumatori finali.

Le tecnologie “fallite”, che non sono mai state introdotte nel mercato o che non sono mai state adottate dai consumatori, possono essere un’utile occasione di verifica delle tesi più significative sostenute dal gruppo dei “sociocostruttivisti", come d’altra parte era esplicitamente suggerito nel manifesto dello SCOTls.

La messa in scena e le scelte operate ai fini del percorso espositivo devono sugge­rire concretezza rispetto alle ipotesi storiografiche relative ad alcuni temi cruciali, utili alla “cultura del futuro”, che così possono essere in estrema sintesi enunciate: non esiste linearità nel processo di innovazione; molti e diversi sono gli attori che parteci­pano, nelle varie fasi di quel processo, a vari tipi di negoziazioni; molte possono essere le “interpretazioni” di un nuovo prodotto prima che l’uso si “stabilizzi”.

Il secondo obiettivo, riflettere suI concetto di macrosistema tecnologico e sociale, implica la consapevolezza che la tecnica in generale e le tecnologie della comunica­zione in particolare costituiscono parte della “trama” stessa del tessuto della nostra con­temporaneità. Le tecnologie della comunicazione fanno parte (nel senso che ne sono elementi costitutivi) tanto del sistema economico e produttivo quanto dell’organ izza- zione sociale. Danno forma alla comunicazione e al sistema di informazione di comu­nità e Stati e alle forme di socialità fra singoli, gruppi, famiglie.

Stabiliti gli obicttivi di massima, il problema successivo è come rendere visibili agli occhi della mente idee e concetti che, per la loro natura, sono astratti.

In percorsi espositivi che vogliono creare occasioni di esperienza l’interattività c

15 T revon .1. Pinch e Wn;m E. B ijkk r, The social Construction o f facts and artefacts, cit.

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una modalità che può essere utile per creare spazi più esplicitamente dedicati alla ri­flessione. Potremmo chiamarli “stazioni-laboratorio”.

Obiettivi della stazione-laboratorio potrebbero essere vari.Prima di tutto fare emergere dallo sfondo gli “oggetti tecnologici” e cioè attivare

l’attenzione verso oggetti “sotto gli occhi di tutti”, entrati nella nostra quotidianità in tempi diversi, a cui non si presta particolare attenzione perché hanno conquistato una stabile “ordinarietà”.

Secondo obiettivo mettere in primo piano le “tecnologie di rete e di sistema” e cioè informare sulle fondamentali innovazioni tecnologiche, “che non si vedono”, impiegate per l'introduzione degli oggetti emersi dallo sfondo.

Quindi si potrebbero coinvolgere sulla scena gli “attori” che sono stati determinanti nel processo decisionale relativo all’introduzione di quell’oggetto o significativi ri­spetto all’adozione o meno delle nuove tecnologie.

Fra gli attori possibili: le istituzioni politiche e amministrative nazionali, sovrana- zionali c locali (attraverso emanazione di leggi, regolamentazioni, finanziamenti di set­tore, investimenti, incentivi etc.); le imprese (con le loro strategie, investimenti, scelte, etc); varie categorie professionali; i consumatori e cittadini in genere.

A puro titolo esemplificativo

Esempi (elementari e meno) di oggetti da fare emergere dallo sfondo possono es­sere: una confezione di caramelle con impresso un codice a barre; una tessera ban­comat; un giornale “nazionale” con varie edizioni “locali” (teletrasmesse) di regioni di­verse; un telefono a tastiera; un fax; una segreteria telefonica; un cellulare; un com­puter collegato alla rete; etc.

Ma anche: una cabina telefonica in legno; un telefono a gettoni; un telefono a scheda; un estratto conto corrente bancario; una bolletta del telefono con dettagli sulle chiamate effettuate; etc.

Nella stazione-laboratorio dovrebbe essere possibile lasciare la propria testimo­nianza audiovisiva, con l'ausilio di un intervistatore o attraverso l’utilizzo di una traccia di questionario, indicando: quando quegli oggetti sono stati usati la prima volta; quando sono entrati in casa (se sono entrati in casa); chi li usa; chi ne ha deciso l’ac­quisto e perché; se si usano al lavoro; come; etc

Qualche esempio di interattività, pensando soprattutto agli utenti più giovani.Fare abbinare a ogni oggetto: un ambiente; una professione; una finalità di utilizzo;

una data riferita all’introduzione nell’uso comune; una data riferita all’invenzione del prototipo; altri “oggetti” quali, per esempio, un calcolatore elettronico, una centrale di­gitale, un cavo coassiale, una fibra ottica, etc.

Altro esercizio: datare un'inserzione pubblicitaria o uno spot e individuare il target di riferimento e l’uso previsto.

Ancora un esempio di esercizio: scegliere, fra una serie di dati statistici proposti (reali e di fantasia, storici e recenti) quelli che appaiono più verosimili rispetto a: diffu­sione di tecnologie specifiche; investimenti privati; investimenti pubblici; tempi impie­gati per la costruzione o produzione; etc.

Deve essere sempre data, inoltre, la possibilità di consultare ed eventualmente stani-

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pare documenti (sia testuali che iconografici) relativi ai temi trattati provenienti dall'ar­chivio storico che li custodisce.

La filosofia delle stazioni laboratori deve essere quella di creare un’esperienza co­noscitiva a partire dalla propria esperienza e dalla riflessione sul proprio vissuto quoti­diano, cogliendo aspetti della complessità dei cosiddetti macrosistemi.

Giunti alla fine del percorso, accettare di “testimoniare” vuol dire riconoscere che la storia raccontata, di oggetti tecnologici e apparati, di imprese e istituzioni, riguarda anche da vicino le vicende dei singoli.

Se questo fosse il risultato raggiunto non lo riterrei spregevole. Una piena cittadi­nanza passa sicuramente dalla consapevolezza della rilevanza, per ciascuno di noi e per le generazioni del futuro, delle scelte che via via si assumono in tema di macrosistemi tecnologici-sociali .

ALLEGATO

Scheda sintetica sul patrimonio storico dcirArchivio storico Telecom Italia

L’Archivio storico Telecom Italia, inaugurato a Torino nel 1998, l’anno successivo alla nascita di Telecom Italia, nasce in seguito dalla fusione dei due precedenti archivi storici Sip e Stet.

In esso sono conservati migliaia di documenti, di varia natura, che costituiscono una preziosa e complessa risorsa per lo studio delle due maggiori tecnologie di rete nel nostro Paese, quella elettrica e quella telefonica, ma anche una fonte importante per la storia eco­nomica e d’impresa, per la storia della comunicazione aziendale e, più in generale, per la storia d’Italia.

L’Archivio si presenta come concentrazione di fondi eterogenei, riconducibili essenzial­mente ai patrimoni documentari di due grandi gruppi industriali italiani:

il Gruppo elettrico Sip (Società idroelettrica piemontese), che comprende le carte di nu­merose società elettriche controllate, a partire dalla fine dell’Ottocento; il Gruppo telefonico Stet-Sip, in seguito alla nascita nel 1964 della nuova Sip (Società italiana per l’esercizio telefonico), che comprende al suo interno anche le carte delle so­cietà operanti in settori diversi da quello telefonico, ma che afferivano in vario modo alle telecomunicazioni.

L’archivio documentario

L’archivio documentario è costituito attualmente da 24 fondi, schedati su una banca dati informatizzata, per un totale di 18.300 unità archivistiche, pari a circa 1.250 metri li­neari, ed altri fondi in fase di schedatura, pari a circa 200 metri lineari. Le carte più an­tiche risalgono alla fine dell’Ottocento, le più recenti alla fondazione di Telecom Italia. Recentemente, in seguito a convenzione stipulata tra il Ministero per i beni e le attività culturali. Direzione Generale degli Archivi, e Telecom Italia, è stato affidato all’Archivio storico il compito della custodia, ordinamento, inventariamento della ingente documenta­zione dell’Archivio dell’ex ASST, l’Azienda di Stato per i Servizi Telefonici soppressa nel 1992.

Sulla valorizzazione delle carte d'archivio 235

L’archivio iconograficoL'archivio iconografico conta circa 64.000 immagini; la parte attualmente inventariata,

suddivisa in 26 fondi, raccoglie circa 20.000 immagini tra stampe fotografiche, negativi, diapositive provenienti in prevalenza dall'attività redazionale delle riviste aziendali “Cro­nache dal Gruppo” (Stet) e “Selezionando” (Stipel e Sip). Attualmente è in atto una rische­datura di questa sezione d’archivio secondo i più recenti indirizzi della disciplina archivi­stica (norme 1SAD-G e ISAR), oltre un'importante lavoro di ricondizionamento dei mate­riali fotografici, per una più adeguata tutela e conservazione dei vari supporti sul lungo pe­riodo.

La bibliotecaLa biblioteca, ancora in corso di inventariazione, comprende migliaia di pubblicazioni e

volumi. 3000 titoli, soprattutto relativi alla storia delle telecomunicazioni italiane e stra­niere, sono già consultabili. Molte delle pubblicazioni, afferenti alla formazione e gestione del personale, appartengono alla cosiddetta “letteratura grigia”.

L’EmerotecaLe riviste aziendali direttamente collegabili alle varie imprese confluite nella storia della

Sip, della Stet e poi di Telecom Italia sono una quarantina. Più in generale, l'emeroteca cu­stodisce il vastissimo fondo ASCAI (Associazione per lo sviluppo delle comunicazioni aziendali in Italia), associazione nata nel 1954 col nome di ASAI (Associazione della Stampa Aziendale Italiana). Tale fondo, che ad oggi conta circa 450 testate aziendali sche­date, è costantemente aggiornato grazie a versamenti periodici.

Audiovisivi

La sezione audiovisivi, in fase di schedatura, dispone attualmente di filmati e spot aziendali concernenti documenti per la formazione del personale, documenti relativi alla comunicazione d’impresa e documenti per la pubblicità di prodotti e servizi, su supporti vari (pellicola, Betacam, VHS e altro). I documenti più antichi risalgono a un periodo pre­cedente la seconda guerra mondiale, i più recenti ai giorni nostri.

Beni musealiSono oltre 1800 gli oggetti schedati e inseriti in una banca dati consultabile dagli utenti.

Tali beni, in gran parte dotati di documentazione fotografica, comprendono una ricca va­rietà di apparecchi e attrezzature, dalle centrali ai selettori, dai contatori alle cassette du­plex, dai relè ai tavoli ili prova, dai telefoni ad uso pubblico e privato agli attrezzi di lavoro, ecc.