Re melius perpensa: l’oggetto sociale è limite impreteribile dell’attività d’impresa [Re...

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1 1/2011 CASSAZIONE CIVILE, III Sezione, 4 ottobre 2010, n. 20597 – Presidente Trifone – Re- latore Petti – P.M. (conf.) – Alpe Invest srl (avv. Lillo) c. Banca Intesa spa (avv. Gargani e Ricci) Cassa con rinvio App. Venezia, 17 ottobre 2005 Società di capitali – Garanzia fideiussoria prestata da società di capitale – Importo supe- riore al capitale sociale – Società garantita appartenente allo stesso gruppo – Medesimo amministratore per entrambe le società – Conflitto d’interessi – Configurabilità – Delibe- ra totalitaria della società garante di autorizzazione preventiva al compimento di atto e- straneo all’oggetto sociale – Nullità – Atto estraneo all’oggetto sociale – Nullità (Art. 41, 2° comma, Cost.; artt. 1394, 2384-bis prev. c.c.) La situazione di conflitto d’interessi posta in essere dall’amministratore unico in nome della socie- tà ed in conflitto d’interessi con la stessa, rende l’atto conflittuale viziato, di per sé, da annullabili- tà ai sensi dell’art. 1394 c.c., deducibile dalla società per il tramite del suo rappresentante organi- co (1) [massima non ufficiale]. La delibera assembleare unanime di preventiva autorizzazione dell’amministratore al compimento di un atto contrario all’oggetto sociale è nulla per violazione dell’oggetto sociale che appare posto a garanzia della stessa compagine sociale e del c.d. ordine pubblico economico – di cui all’art. 41 Cost. comma 3 [ma in realtà comma 2, n.d.r.] – da coordinarsi, per la sicurezza dei rapporti eco- nomici, con la utilità sociale dell’impresa, potendosi rilevare anche d’ufficio una nullità di una de- libera che autorizza previamente e contra legem un atto estraneo all’oggetto sociale e destabiliz- zante il capitale societario in favore del terzo (2) [massima non ufficiale]. L’atto ultra vires compiuto dall’amministratore non viola semplicemente il limite convenzionale dei poteri di rappresentanza, ma viola disposizioni di legge imperative, anche di rango costituzionale, derivandone la nullità dello stesso atto e la conseguente impossibilità di una sua autorizzazione preventiva o di ratifica (3) [massima non ufficiale]. Svolgimento del processo 1. Il Presidente del Tribunale di Treviso, su ricorso depo- sitato dal Banco Ambrosiano Veneto spa, con decreto n. 33 del 1999, ingiungeva alla s.r.l. Alpe Invest di pagare in favore del Banco la somma capitale di L. 135.190.480 – pari ad Euro 69.820,00, oltre interessi al tasso del prima rate ABI maggiorato di due punti percentuali dalla data di 28 novembre 1993 al saldo effettivo, oltre alle spese del alle competenze del procedimento monitorio. Con atto di citazione del 9 marzo 1999, notificato in pa- ri data, la società ingiunta proponeva opposizione al pre- detto decreto, di cui chiedeva la revoca in quanto nullo o annullabile, con la condanna della Banca al risarcimento dei danni derivanti alla ingiunta dalla prosecuzione della azione esecutiva, quantificati in 500 milioni. La invalidità della fideiussione, rilasciata dallo Amministratore Unico signor S.P. il 25 novembre 1993, derivava dal fatto che costui era anche amministratore unico della società garan- tita Piemmeti, che risultava ammessa al concordato pre- ventivo a pochi giorni di distanza dalla prestazione della garanzia. La fideiussione, che impegnava la Alpe a garanti- re, per una cifra superiore al suo stesso capitale sociale, i debiti di una società che sia lo amministratore che la Banca creditrice sapevano versare in condizioni di insolvenza, era invalida in relazione al conflitto di interessi e per essere il contratto del tutto estraneo all’oggetto sociale di Alpe In- vest, estraneità nota al soggetto che pretendeva la garanzia. Sosteneva infine l’opposta la inesistenza del credito per interessi convenzionali ultra legali. Si costituiva il Banco Ambrosiano Veneto deducendo la inesistenza del conflitto di interessi sul rilievo che la fi- deiussione aveva ricevuto approvazione per delibera una- nime della assemblea dei soci; che la prestazione di garan- zia nello interesse della Piemmeti non poteva ritenersi atto estraneo allo oggetto sociale in quanto le società apparte- nevano al medesimo gruppo societario, e che pertanto la opposizione era infondata; con successiva memoria dedu-

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CASSAZIONE CIVILE, III Sezione, 4 ottobre 2010, n. 20597 – Presidente Trifone – Re-latore Petti – P.M. (conf.) – Alpe Invest srl (avv. Lillo) c. Banca Intesa spa (avv. Gargani e Ricci) Cassa con rinvio App. Venezia, 17 ottobre 2005 Società di capitali – Garanzia fideiussoria prestata da società di capitale – Importo supe-riore al capitale sociale – Società garantita appartenente allo stesso gruppo – Medesimo amministratore per entrambe le società – Conflitto d’interessi – Configurabilità – Delibe-ra totalitaria della società garante di autorizzazione preventiva al compimento di atto e-straneo all’oggetto sociale – Nullità – Atto estraneo all’oggetto sociale – Nullità (Art. 41, 2° comma, Cost.; artt. 1394, 2384-bis prev. c.c.) La situazione di conflitto d’interessi posta in essere dall’amministratore unico in nome della socie-tà ed in conflitto d’interessi con la stessa, rende l’atto conflittuale viziato, di per sé, da annullabili-tà ai sensi dell’art. 1394 c.c., deducibile dalla società per il tramite del suo rappresentante organi-co (1) [massima non ufficiale]. La delibera assembleare unanime di preventiva autorizzazione dell’amministratore al compimento di un atto contrario all’oggetto sociale è nulla per violazione dell’oggetto sociale che appare posto a garanzia della stessa compagine sociale e del c.d. ordine pubblico economico – di cui all’art. 41 Cost. comma 3 [ma in realtà comma 2, n.d.r.] – da coordinarsi, per la sicurezza dei rapporti eco-nomici, con la utilità sociale dell’impresa, potendosi rilevare anche d’ufficio una nullità di una de-libera che autorizza previamente e contra legem un atto estraneo all’oggetto sociale e destabiliz-zante il capitale societario in favore del terzo (2) [massima non ufficiale]. L’atto ultra vires compiuto dall’amministratore non viola semplicemente il limite convenzionale dei poteri di rappresentanza, ma viola disposizioni di legge imperative, anche di rango costituzionale, derivandone la nullità dello stesso atto e la conseguente impossibilità di una sua autorizzazione preventiva o di ratifica (3) [massima non ufficiale].

Svolgimento del processo

1. Il Presidente del Tribunale di Treviso, su ricorso depo-sitato dal Banco Ambrosiano Veneto spa, con decreto n. 33 del 1999, ingiungeva alla s.r.l. Alpe Invest di pagare in favore del Banco la somma capitale di L. 135.190.480 – pari ad Euro 69.820,00, oltre interessi al tasso del prima rate ABI maggiorato di due punti percentuali dalla data di 28 novembre 1993 al saldo effettivo, oltre alle spese del alle competenze del procedimento monitorio.

Con atto di citazione del 9 marzo 1999, notificato in pa-ri data, la società ingiunta proponeva opposizione al pre-detto decreto, di cui chiedeva la revoca in quanto nullo o annullabile, con la condanna della Banca al risarcimento dei danni derivanti alla ingiunta dalla prosecuzione della azione esecutiva, quantificati in 500 milioni. La invalidità della fideiussione, rilasciata dallo Amministratore Unico signor S.P. il 25 novembre 1993, derivava dal fatto che costui era anche amministratore unico della società garan-

tita Piemmeti, che risultava ammessa al concordato pre-ventivo a pochi giorni di distanza dalla prestazione della garanzia. La fideiussione, che impegnava la Alpe a garanti-re, per una cifra superiore al suo stesso capitale sociale, i debiti di una società che sia lo amministratore che la Banca creditrice sapevano versare in condizioni di insolvenza, era invalida in relazione al conflitto di interessi e per essere il contratto del tutto estraneo all’oggetto sociale di Alpe In-vest, estraneità nota al soggetto che pretendeva la garanzia. Sosteneva infine l’opposta la inesistenza del credito per interessi convenzionali ultra legali.

Si costituiva il Banco Ambrosiano Veneto deducendo la inesistenza del conflitto di interessi sul rilievo che la fi-deiussione aveva ricevuto approvazione per delibera una-nime della assemblea dei soci; che la prestazione di garan-zia nello interesse della Piemmeti non poteva ritenersi atto estraneo allo oggetto sociale in quanto le società apparte-nevano al medesimo gruppo societario, e che pertanto la opposizione era infondata; con successiva memoria dedu-

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ceva la prescrizione quinquennale della azione di annul-lamento. Il G.I. disponeva con ordinanza la provvisoria e-secutorietà del decreto.

2. Il Tribunale di Treviso, con sentenza n. 1116 del 2001 depositata il 24 ottobre 2001, revocava il decreto opposto e condannava il Banco Ambrosiano Veneto alla rifusione delle spese di lite.

Il tribunale in particolare, pur rilevando la inesistenza della situazione di conflitto di interessi, in capo allo ammi-nistratore della Alpe Invest, S.P., accertava la inefficacia della fideiussione ai sensi dell’art. 2384 bis c.c., in quanto avvenuta a titolo gratuito e non corrispondendo ad alcun interesse economico giuridicamente apprezzabile della società attrice ed attesa la evidente insussistenza della buona fede dello istituto di credito.

3. Contro la decisione proponevano APPELLO PRINCI-PALE la Banca Intesa Banca Commerciale Italia spa – in qualità di successore a titolo universale di Banco Ambro-siano veneto spa – e la INTESA BCI GESTIONE CREDITI SPA – quale successore a titolo particolare del diritto con-troverso – con unico atto, chiedendo la riforma della sen-tenza, la conferma del decreto opposto e la condanna del-la Alpe al pagamento delle somme ivi ingiunte. APPELLO INCIDENTALE era proposto dalla Alpe in punto di manca-to accertamento della invalidità per conflitto di interessi e di mancata condanna della Banca al risarcimento dei dan-ni, in via gradata insisteva nel rilevare che a titolo di inte-ressi potevano essere computati solo gli interessi legali.

4. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 1681/05 pubblicata il 17 ottobre 2005, accoglieva lo ap-pello principale delle due Banche, rigettava quello princi-pale, ed in riforma della sentenza impugnata respingeva la opposizione al decreto che confermava e condannava la Alpe alla rifusione delle spese dei due gradi.

5. Contro la decisione ricorre la Alpe invest deducendo quattro motivi di censura, illustrati da memoria; resistono con unico atto di controricorso, illustrato da memoria, le Banche controparti.

Motivi della decisione

6. Il ricorso merita accoglimento in relazione ai primi

due motivi di censura, restando assorbiti gli altri; la cassa-zione avviene con rinvio e con la puntualizzazione dei principi di diritto cui la corte del rinvio deve attenersi.

Per chiarezza espositiva si procede alla sintesi descrittiva dei motivi; quindi verranno in esame i motivi accolti e suc-cessivamente quelli assorbiti.

6.A. SINTESI DESCRITTIVA. Nel PRIMO MOTIVO si de-duce error in iudicando per la violazione degli artt. 1394 e 1395 c.c., in relazione all’art. 306 c.p.c., n. 3; insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della con-troversia in relazione alla mancata ricostruzione della situa-zione di conflitto di interessi esistente tra la società obbli-gata a prestare la garanzia ed il suo amministratore che stipula tale garanzia. Si censura in particolare quella parte della motivazione – ff. 12 a 14 – della Corte di appello, che sostiene che la previa deliberazione totalitaria della as-semblea dei soci esclude in radice la configurabilità di una situazione di conflitto e per lo effetto nega che alla fatti-specie possano applicarsi le regole generali degli artt. 1394 e 1395 c.c.’

NEL SECONDO MOTIVO si deduce error in iudicando per violazione degli artt. 2384 e 2384 bis c.c., in relazione

allo art. 360 c.p.c., n. 3, ed il vizio della motivazione insuf-ficiente e contraddittoria su punto decisivo relativo alla definizione del fatto dannoso controverso. In particolare si censurano gli argomenti espressi a pag. 14 e 15 della moti-vazione – nel punto in cui, malgrado fossero posti in evi-denza due punti decisivi, in relazione al fatto che la fi-deiussione non fosse coerente o pertinente con l’oggetto sociale della Alpe Invest, ed alla concomitante circostanza che la natura di atto ultra vires fosse nota o riconoscibile da parte del Banco ambrosiano, la Corte di appello non li ha considerati come elementi integranti i requisiti della disci-plina di cui alle norme richiamate,affermando un principio giuridico incoerente, che viene riprodotto in termini “la efficacia del singolo atto, se pur non riconducibile allo og-getto sociale, allorquando lo stesso figuri conforme alla vo-lontà unanime dei partecipanti, non può ritenersi revocabi-le in dubbio, non venendo in rilievo, per ì fini che qui oc-cupano, neppure le modalità di azione di detto atto”.

NEL TERZO MOTIVO si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sul rilievo che la Corte di appello, confermando il decreto ingiuntivo, anche per gli interessi ultralegali, ha omesso di considerare la domanda dell’ingiunto diretta a far valere gli interessi al saggio legale, non avendo contrattato altri interessi.

NEL QUARTO MOTIVO si deduce sostanzialmente error in iudicando sul punto in cui la corte di appello considera assorbita la domanda risarcitoria proposta contro le Ban-che.

6.B. ESAME DEI MOTIVI MERITEVOLI DI ACCOGLIMEN-TO. Il primo motivo merita accoglimento, in relazione alla situazione di fatto descritta come res controversa e nel contraddittorio sostanziale tra le parti.

La fattispecie considerata dai giudici di merito attiene al-la verifica della validità di una fideiussione come atto com-piuto dallo amministratore unico ed in nome della società ed in conflitto di interessi con la stessa, impegnando la ga-ranzia della società ultra vires – ben oltre il capitale sociale – ed in favore di altra società collegata ma in evidente de-cozione. La fideiussione garantisce la Banca con un capita-le societario ed una garanzia omnibus, con gravissimo danno per il capitale societario.

La disciplina dell’atto compiuto dall’amministratore uni-co, correttamente si rinviene nell’art. 1394 c.c., come da giurisprudenza di questa Corte, recentemente consolidatasi – vedi Cass. 2000 n. 4505, 2006 n. 1525 e 2007 n. 15879.

Il rapporto organico esistente tra società di capitali ed amministratore sociale, non esclude la esistenza di un rap-porto rappresentativo, tra la prima e il secondo. Sono allo-ra applicabili le norme generali invocate che regolano il conflitto di interessi o il contratto con se stesso.

La situazione in essere, rispetto alla fattispecie oggetto del giudizio, appare quella di contratto concluso dal rap-presentante amministratore unico in conflitto di interessi con la società rappresentata, che infatti propone azione di annullamento ai sensi dell’art. 1394 c.c.’

La esclusione dei conflitto, motivata dalla Corte di ap-pello, a ff. 12 e 13 della sentenza, appare giuridicamente errata – vedi Cass. 2008, n. 25361 – per la sua apoditticità, in quanto ritiene che la deliberazione totalitaria della as-semblea dei soci, abbia una natura autorizzatoria sanante della illiceità che inerisce alla delibera stessa, dovendosi ritenere che i soci, debitamente informati dal loro dominus

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o amministratore unico, abbiano deliberato di rovinare una società di capitali solvente, in favore di altra società in evi-dente e nota decozione.

Se il nodo centrale della controversia deve essere – indi-viduato nell’interesse tutelato, al momento in cui l’am-ministratore unico, agisce ma in cumulo di incarichi con le due società, la valutazione della rilevanza di una delibera illecita essendo contraria all’oggetto sociale e dannosa per i terzi creditori, ad eccezione della Banca favorita, non era in termini di irrilevanza, ma doveva essere considerata co-me indice certo di un interesse conflittuale, per la incom-patibilità delle esigenze tra le due entità societarie vedi da ultima Cass. n. 23330/07.

ANCHE IL SECONDO MOTIVO merita accoglimento. La Corte di appello – alla pag 15 della motivazione – e-

sclude la applicazione della disciplina dello art. 2384 bis c.c., vigente al tempo del contratto, e della generale disci-plina disposta dall’art. 1387 c.c. e ss., sul rilievo che la e-sorbitanza dello atto compiuto rispetto allo oggetto sociale, non produce effetti invalidanti su tale atto, quando lo stes-so risulti autorizzato previamente dalla assemblea totalita-ria dei soci.

La motivazione appare apodittica e giuridicamente erra-ta. Apodittica in quanto postula che una assemblea di soci possa convalidare un atte illecito ed in contrasto con quella utilità sociale che lo oggetto sociale della impresa di capita-li persegue ai sensi dello art. 41 Cost., comma 2, nel testo ancora vigente. Autorevole dottrina, che questa Corte con-divide, sottolinea come la disciplina che regola i limiti del potere di rappresentanza dell’organo amministrativo di una società non risulta posta nell’interesse dei soci, ma anche dei terzi, in primo luogo dei creditori della stessa società e che la tutela degli interessi di questi ultimi impone, nel ca-so di necessità di un atto contrario allo statuto, una modifi-ca dello stesso e seguendo il procedimento previsto dalla legge.

Nel caso di specie dunque l’atto autorizzativo totalitario ma illecito, per la violazione dell’oggetto sociale, che appa-re posto a garanzia della stessa compagine sociale e del c.d. ordine pubblico economico – di cui al citato art. 41 Cost., comma 3, da coordinarsi, per la sicurezza dei rap-porti economici, con la utilità sociale della impresa, rende-va evidente anche la lesione del citato art. 2384 bis, po-tendosi rilevare anche di ufficio una nullità di una delibera che autorizza previamente e contra legem un atto estraneo allo oggetto sociale e destabilizzante il capitale societario in favore in terzo.

7. IN CONCLUSIONE, I PRINCIPI DI DIRITTO CUI VIENE VINCOLATO IL GIUDICE DEL RINVIO, IN RELA-ZIONE ALLA FATTISPECIE IN CONCRETO ACCERTATA, IUXTA ALLIGATA ET PROBATA, attengono.

Quanto al primo motivo, al rilevamento del vizio della volontà negoziale ai sensi dell’art. 1394 c.c., come regola della situazione di conflitto di interessi posta in essere dallo amministratore unico in nome della società ed in conflitto di interessi con la stessa: lo atto conflittuale, nella specie una fideiussione, appare viziato, di per se, da annullabilità, deducibile proprio dalla società obbligatasi alla garanzia per il tramite del suo rappresentante organico.

Quanto al secondo motivo, al rilevamento del collega-mento progettuale tra la previa autorizzazione della as-semblea totalitaria, orientata dallo amministratore unico ma bicefalo – per lo identico incarico con la società garan-tita – e lo atto illecito ultra vires, per la garanzia fideiussoria data ad una società decotta, con il concorso attivo e nego-ziale della banca, la violazione delle norme speciali sulla rappresentanza di cui allo art. 2384 bis c.c., determina vio-lazione di norma imperativa e posta in relazione al limite dello interesse pubblico e sociale delle imprese, che attie-ne alla ricostruzione dello oggetto sociale come vincolante per le imprese, come appare evidente e dalle norme costi-tuzionali vigenti e dalle norme Europee da cui derivano le più recenti riforme proprio in materia societaria.

Se lo scopo sociale corrisponde al limite legale e virtuoso delle imprese, l’atto ultra vires compiuto dall’amministra-tore, con il concerto di soci avventurosi, non viola sempli-cemente il limite convenzionale dei poteri di rappresen-tanza, ma viola disposizioni di leggi imperative, anche di rango costituzionale, derivandone in linea di principio, la nullità dello atto stesso e la conseguente impossibilità di una sua autorizzazione preventiva o ratifica.

8. RAGIONI del’assorbimento del terzo e quarto motivo. Lo assorbimento del terzo motivo, relativo alla misura

degli interessi convenzionali, deriva dalla invalidazione della fideiussione in accoglimento dei primi due motivi; lo assorbimento del quarto relativo alla domanda risarcitoria, deriva dalla rivalutazione del fatto dannoso, iusta alligata et provata, che appare opportuno rimettere al giudice del rinvio.

9. Il giudice del rinvio, Corte di appello di Venezia, provvederà anche in ordine al riparto delle spese del giudi-zio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso per il primo e secondo motivo, assor-

biti il terzo ed il quarto, cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2010

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(¹), (²), (³) Re melius perpensa: l’oggetto sociale è limite impreteribile dell’attività d’im-presa 1. Il caso

Due società, di cui una (Alpe Invest s.r.l.) è sog-getta a “direzione e coordinamento” dell’altra (Piemmeti), sono gestite dallo stesso amministratore unico; una di esse presta fideiussione per un importo superiore al suo capitale sociale nell’interesse della controllante e a favore di una Banca creditrice di quest’ultima; la Banca è a conoscenza: delle condi-zioni d’insolvenza della garantita (che di lì a poco sarà ammessa al concordato preventivo); del fatto che l’amministratore della mallevadrice è «bicefa-lo», per avere identico incarico nella due società, e quindi è consapevole che lo stesso amministratore versa in conflitto d’interessi, poiché la fideiussione, in contrasto palese con l’interesse della garante, soddisfa esclusivamente gli affari della garantita; della circostanza che la fideiussione è atto estraneo o non pertinente all’oggetto sociale e che, per tal mo-tivo, esso aveva ricevuto autorizzazione preventiva con delibera unanime dall’assemblea dei soci.

In forza della stessa fideiussione, la Banca ottiene decreto ingiuntivo contro la Alpe Invest s.r.l., che si oppone e consegue la revoca del decreto dal Tribu-nale di prime cure. Il giudice, pur ritenendo insussi-stente il conflitto d’interessi, accerta però l’inef-ficacia della garanzia ai sensi dell’art. 2384-bis, c.c., prev. (applicato al caso ratione temporis), in quanto l’atto fu rilasciato a titolo gratuito, non corrispon-dendo ad alcun interesse economico giuridicamente apprezzabile della società attrice ed attesa l’evidente labilità della buona fede nella Banca.

La Corte d’Appello esclude, invece, l’applicazione dell’art. 2384-bis e della generale disciplina disposta dagli artt. 1387 ss. c.c., «sul rilievo che la esorbitan-za dell’atto compiuto rispetto all’oggetto sociale, non produce affetti invalidanti su tale atto, quando lo stesso risulti autorizzato previamente dalla assem-blea totalitaria dei soci». Riforma perciò la sentenza, respingendo l’opposizione al decreto e conferma la condanna della garante al pagamento delle somme dovute alla Banca. Di qui il ricorso alla Corte su-prema che, giudicando la motivazione del provve-dimento impugnato «apodittica e giuridicamente er-rata», accoglie i motivi di gravame e cassa la pro-nuncia di secondo grado con rinvio, statuendo i prin-cipi sopra trascritti, desumibili dalla parte motiva della decisione.

2. La normativa di riferimento

Il conflitto d’interessi dell’amministratore unico di

una società di capitali è regolato dall’art. 1394 c.c. 1. A tale articolo ha fatto riferimento la sentenza in e-same, poiché il caso era retto dalla normativa previ-gente la riforma societaria del 2003, introdotta nel c.c. dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6; per un’analoga fattispecie che ricadesse sotto l’impero delle norme in vigore, il legame prescrittivo, quanto alle s.r.l., cambierebbe, ma solo formalmente, posto che l’art. 2475-ter, 1° comma, c.c., inserito dal d. lgs. cit., ri-produce la stessa regola recata dall’art. 1394 c.c. Questa norma è tuttora punto di riferimento per altre società di capitali, in assenza di espressa previsione, quando a versare in conflitto d’interessi sia l’am-ministratore unico o il consigliere munito del potere di rappresentanza che, delegato o no, agisca senza una preventiva deliberazione consiliare ai sensi del-l’art. 2391 c.c., ovvero dell’art. 2475-ter, 2° comma, c.c., nel caso di una s.r.l.

Ai fini della dichiarazione di nullità della delibera assembleare autorizzatoria dell’atto estraneo all’og-getto sociale, come per la dichiarazione di nullità dello stesso atto, la Corte applica l’art. 41, 2° com-ma, Cost. e l’art. 2384-bis, c.c., prev.

La norma costituzionale dispone, come noto, che: “[L’iniziativa economica privata] non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arreca-re danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità u-mana»; l’art. 2484-bis, prescriveva: «L’estraneità al-l’oggetto sociale degli atti compiuti dagli ammini-stratori in nome della società non può essere opposta ai terzi in buona fede» 2. Detto articolo è stato abro-

1 Fra molte, Cass., 26 giugno 2005, n. 18792, Guida al di-ritto, 2005, 43, 81.

2 Inserito nel c.c., dall’art. 6, d. P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127, attuativo della Dir. 68/151/CEE: Quest’ultima è stata abrogata dalla Dir. 2009/101/CE, che l’ha “codificata”, “per ragioni di chiarezza e razionalizzazione” in seguito alle inter-venute “diverse e sostanziali modificazioni” nel tempo (così il primo “considerando”); il contenuto dell’art. 9, dir. abr., ine-rente alla disciplina dell’opponibilità degli atti estranei all’og-getto sociale, è, però, rifluito inalterato nell’art. 10 della Dir. vigente, e recita: «Articolo 10. – 1. Gli atti compiuti dagli or-gani sociali obbligano la società nei confronti dei terzi, anche quando tali atti sono estranei all’oggetto sociale, a meno che eccedano i poteri che la legge conferisce o consente di confe-rire ai predetti organi. Tuttavia, gli Stati membri possono sta-bilire che la società non sia obbligata quando tali atti superano i limiti dell’oggetto sociale, se essa prova che il terzo sapeva che l’atto superava detti limiti o non poteva ignorarlo, consi-derate le circostanze, essendo escluso che la sola pubblicazio-ne dello statuto basti a costituire tale prova. 2. Anche se pub-blicate, le limitazioni dei poteri degli organi sociali che risul-tano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi. 3. Se la legislazione nazionale prevede che il potere di rappresentare la società possa, in de-

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gato, non trovando più riscontro nella nuova formu-lazione numerica del Libro V, Titolo V, Capo V, c.c., adottata dall’art. 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6; il nuovo art. 2384 c.c. recita: «1. Il potere di rappre-sentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla delibera di nomina è generale. 2. Le limitazioni che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, an-che se pubblicate, salvo che si provi che questi ab-biano intenzionalmente agito a danno della società». Si ritiene (v. infra) regoli anche gli atti non connessi all’oggetto sociale.

3. I precedenti giurisprudenziali

Nulla quaestio in giurisprudenza sull’applicazione dei principi recati dall’art. 1394 c.c., all’ammini-stratore unico di una società di capitali che sia in conflitto d’interessi 3. Vexata quaestio, al contrario, diviene ora il regime giuridico applicabile all’auto-rizzazione assembleare preventiva di un atto ultra vires. Dichiarandone la nullità, la III sez. della Cas-

roga alla regola di legge in materia, essere attribuito dallo sta-tuto ad una sola persona o a più persone che agiscono con-giuntamente, la stessa legislazione può stabilire che tale di-sposizione statutaria sia opponibile ai terzi, sempreché essa concerna il potere generale di rappresentare la società; l’oppo-nibilità ai terzi di una siffatta disposizione statutaria è disci-plinata dall’articolo 3.».

3 Con specifico riguardo a casi che vedevano coinvolti am-ministratori di s.r.l., Cass., 10 aprile 2000, n. 4505, Giur. it., 2001, 477, nota di CAVALIERE, richiamata, tra le altre, anche dalla sentenza in commento, statuisce che “in punto di diritto, per giurisprudenza costante di questa Corte suprema, la disci-plina dell’atto compiuto dall’amministratore unico in nome della società e in conflitto d’interessi con la stessa si rinviene nell’art. 1394 e non nell’art. 2391 c.c., il quale presuppone l’esistenza di una delibera consiliare (Cass., 1 febbraio 1992, n. 1089; 5 luglio 1984, n. 3945). Inoltre, il conflitto d’interessi di cui al cit. art. 1394 c.c. postula un rapporto di incompatibi-lità fra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante, ravvisabile esclusivamente rispetto al contrat-to le cui intrinseche caratteristiche consentano l’utile di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell’altro (Cass., 26 agosto 1998 n. 8472)»; e v. altresì, Cass., 26 giugno 2005, n. 18792 (supra, n. 1); Cass, 26 gennaio 2006, n. 1525, Giur. it., 2006, 10, 1863, nota di SPIOTTA; più di recente, Cass., 17 luglio 2007, n. 15879, CED Cassazione, 2007 e, da ultimo, Cass., 21 novembre 2008, n. 27783, CED Cassazione, 2008, secondo la cui massima «In tema di negozio concluso in conflitto di interessi dall’amministratore unico di società di capitali (nella specie, società a responsabilità limitata), non essendovi separazione tra potere deliberativo e potere rappre-sentativo della volontà sociale, è inapplicabile l’art. 2391 cod. civ., che riguarda il conflitto di interessi degli amministratori in presenza di un consiglio di amministrazione, trovando, in-vece, applicazione la disciplina generale della rappresentanza di cui agli art. 1394 e 1395 cod. civ., i quali costituiscono ec-cezione al principio generale dell’irrilevanza del rapporto in-terno tra rappresentante e rappresentato».

sazione si pone in aperto dissenso con l’orienta-mento sinora seguito dalla I sez. della stessa Corte 4, secondo cui era «inconferente l’affermazione che la modifica dell’oggetto sociale è consentita solo attra-verso il rigoroso rispetto delle specifiche formalità previste dalla legge, ivi compresa la indispensabile pubblicità a garanzia dei terzi, poiché non è in di-scussione il rapporto con questi ultimi, mentre è lo-gicamente incongrua la conseguenza che se ne è trat-ta, della nullità della delibera» 5. Secondo l’orienta-mento ora contraddetto, infatti, «l’inefficacia del-l’atto estraneo all’oggetto sociale è prevista dal legi-slatore quale conseguenza del regime della rappre-sentanza [corsivo mio]» e ne deriva che «ove il rap-presentato previamente o successivamente con la ratifica faccia proprio l’interesse tutelato, non può esservi lesione dell’interesse tutelato e non può porsi il problema dell’inefficacia dell’atto nei confronti del terzo» 6.

Parimente, si deve adesso registrare dissidio anche per quanto attiene alla qualificazione giuridica del-l’atto ultroneo, con questa pronuncia dichiarato nul-lo, ma su cui si era in precedenza sentenziato che il suo compimento «non realizza ipotesi di nullità, ma semmai di inefficacia e di opponibilità nei rapporti con i terzi, in ordine alla quale è rimesso alla società e solo ad essa il potere di respingere gli effetti, di assumerli ex tunc, attraverso la ratifica, o ancora di farli preventivamente propri, attraverso la delibera autorizzativa, che giova a rimuovere i limiti del po-tere rappresentativo dell’amministratore». Se, infatti, proseguiva la Corte «il rappresentante trova la fonte del suo potere gestorio nell’oggetto sociale, le cui limitazioni, alla stregua di quanto stabilito dall’atto costitutivo o dallo statuto, generano abuso di rappre-sentanza sul fronte interno dai rapporti con il rappre-sentato (la società), risultino o meno opponibili al terzo, nessuna ragione hanno di operare ove siano state rimosse dalla espressa volontà dell’interessato e cioè della società, che abbia espressamente abilita-to a compiere gli atti non conformi alle previsioni statutarie, supposto che non lo siano. E ciò per la circostanza che a dolersi della difformità non può essere altri che il rappresentato, il cui interesse, nella

4 Cass., 15 aprile 2008, n. 9905, Foro it., 2008, I, 1841; Guida al dir., 2008, 20, 41, nota di SACCHETTINI; Dir. e prat. soc., 2008, 18, 60, nota di MANGANELLI; Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, 269, nota di MIOLA; Giur. comm., 2009, II, 662, nota di RUSSO; Cass., 11 dicembre 2006, n. 26325, Corr. giur., 2007, 505, nota di LOMBARDI e NANNI COSTA; Falli-mento, 2007, 1301, nota di MEOLI; Società, 2007, 1362, nota di GAETA; Giur. it., 2007, 1437; Cass., 2 settembre 2004, n. 17678, Foro it., 2005, I, 1827, nota di SILVETTI; Giur. it., 2005, 985, nota di LUONI.

5 Cass., 2 settembre 2004, n. 17678 (supra, n. 4). 6 Cass., 11 dicembre 2006, n. 26325 (supra, n. 4).

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specie, è il solo suscettibile di essere leso dalla con-dotta non conformativa dell’amministratore» 7.

4. La dottrina

La dottrina non presenta divergenze di vedute dal-la giurisprudenza circa l’applicazione dell’art. 1394 c.c. al conflitto d’interessi in cui versi l’ammini-stratore unico in una società di capitali, o il consi-gliere investito della rappresentanza sociale che agi-sca senza una preventiva deliberazione consiliare ai sensi dell’art. 2391 c.c. (ovvero, nel regime attuale, se si tratti di s.r.l., ai sensi dell’art. 2475-ter, 2° comma, c.c.) 8. Salvo evidenziare 9 che, nell’ipotesi di amministratore-consigliere investito della stessa carica in società appartenenti al medesimo gruppo, deve ritenersi applicabile in via analogica il princi-pio espresso dall’art. 2497, 1° comma, ult. per., c.c., per l’annullabilità della deliberazione assunta dalla controllata col voto determinante del consigliere in conflitto 10. Qui la valutazione della potenziale dan-nosità dell’atto collegiale dovrebbe essere fatta con riguardo all’esistenza, o meno, dei c.d. vantaggi compensativi, eventualmente derivati alla società dalla esecuzione della delibera: presenti tali vantag-gi, l’atto non potrebbe essere annullato.

Questo canone ermeneutico dovrebbe vincolare il giudice anche nei casi in cui, come quello in esame, manchi un consiglio di amministrazione ed il contra-sto tra gli interessi delle due società potrebbe affio-rare solo in sede negoziale, sì che pure in tale eve-

7 Cass., 11 dicembre 2006, n. 26325 (supra, n. 4). 8 Con riferimento alle s.p.a., fra molti, COTTINO, Diritto

Societario (Padova, 2006), 405; FRANZONI, sub 2391, in Comm. Scialoja-Branca (Bologna-Roma, 2008), 403; G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. 2. Diritto delle società, VII ed. a cura di M. CAMPOBASSO (Torino, 2009), 375; con riferimento specifico alle s.r.l., per tutti, ABRIANI, sub 2475-ter, in BENAZZO-PATRIARCA (diretto da), Codice Commenta-to delle S.r.l. (Torino, 2006), 352-354.

9 Da parte di PATRONI GRIFFI, sub 2391, in SANDULLI-SANTORO (a cura di), La riforma del diritto societario (Tori-no, 2004), 467.

10 Che dispone «Le società o gli enti che, esercitando attivi-tà di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’inte-resse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del pa-trimonio della società. Non vi è responsabilità quando il dan-no risulta mancante alla luce del risultato complessivo del-l’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette». Nel caso sottoposto alla Corte, non emergeva nessun vantaggio compensativo per la garante dal rilascio della fideiussione nel-l’interesse dell’altra società del gruppo.

nienza, se sussistesse un vantaggio compensativo per la controllata che alleghi pregiudizi patrimoniali, il contratto non incorrerebbe nell’annullabilità 11.

Posizioni opposte presenta la dottrina, rispetto alla giurisprudenza, sulla qualificazione giuridica della autorizzazione assembleare preventiva, oppure di ratifica, dell’atto non connesso all’oggetto sociale. I pochi autorevolissimi scrittori 12 che, dopo la riforma del 2003, hanno ripreso specificamente il tema, si sono espressi per l’annullabilità della delibera ai sensi dell’art. 2377, 2° comma, c.c., in linea di con-tinuità con la dottrina risalente, ma di non sbiadita efficacia, del Mengoni, il quale, ritenendo «assurdo pensare che la legge consenta all’assemblea di pren-dere deliberazioni estranee all’oggetto sociale» 13, osservava: «la lettera del’art. 2377, [2°] comma, c.c., siccome comprende anche le deliberazioni estranee all’oggetto sociale, impedisce che a tali deliberazioni possa accedere la valutazione di contrarietà all’or-dine pubblico, agli effetti dell’art. 2379. Solo sul piano della capacità giuridica, in quanto si riesca a dimostrare che l’oggetto sociale è un limite alla qua-lificazione della società come centro di imputazione di rapporti giuridici, è concepibile un’argomenta-zione che metta capo ad un giudizio di nullità della deliberazione con cui l’assemblea autorizza la stipu-lazione di una fideiussione estranea all’oggetto so-ciale» 14. E tale fu l’approdo interpretativo cui giun-sero due celebri monografie del 1970 15, nelle quali

11 In tal senso, pare, nel commento all’art. 2391 c.c., e con riguardo specifico alla posizione dell’amministratore delegato e dell’amministratore unico, FRANZONI (supra, n. 8), 402, il quale, sia pure in termini dubitativi, ritiene che “quantomeno, l’art. 2497 cod. civ. abbia una portata generale, dunque sia applicabile, anche in questa sede, nonostante il silenzio della norma in esame”. Puntualizza al riguardo Cass., 11 dicembre 2006, n. 26325 (supra, n. 4): “l’eventualità che un atto lesivo del patrimonio della società trovi compensazione nei vantaggi derivanti dall’appartenenza al gruppo non può essere posta in termini meramente ipotetici. Occorre che chi invoca la le-gittimità dell’atto, sia al fine di escluderne la responsabilità per il proprio operato sia al fine di affermarne la legittimità sul piano dei limiti imposti dall’oggetto sociale, ne fornisca la prova, senza potersi limitare ad allegare la fumosa esistenza di vantaggi compensativi in nome della comune appartenenza delle società al gruppo”.

12 Mi riferisco a GALGANO-ZANELLI, sub 2328, in Com-mentario Scialoja-Branca (Bologna-Roma, 2006), 71 ed a COTTINO (supra, n. 8), 215.

13 MENGONI, “In tema di fideiussioni prestate da società senza connessione con l’oggetto sociale”, nota (critica) a Trib. Parma, 6 febbraio 1957 e Trib. Torino, 28 giugno 1957, Riv. dir. comm., 1959, II, 151.

14 MENGONI (supra, n. 13), 152-153; ne riprende il pensiero, nel vigore dell’art. 2384-bis, CALANDRA BUONAURA, “Potere di gestione e potere di rappresentanza degli amministratori”, in Trattato Colombo-Portale (Torino, 1998), IV, 212.

15 Si tratta delle opere di GLIOZZI, Gli atti estranei all’og-getto sociale (Milano, 1970) e di CASELLI, Oggetto sociale ed

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atti ultra vires (Padova, 1970), che, pare, ebbero influenza anche su Corte cost., 20 gennaio 1977, Foro it., 1977, I, 772; ma v. pure Cass., Sez. Un., 16 aprile 1952, n. 983, Foro pad., 1952, I, 950 e Cass., 3 luglio 1958, n. 2224. Il common law è all’origine dell’ultra vires doctrine [recata dal celeberrimo case, Ashbury Railway Carriage and Iron Co. Ltd. v Hector Riche (1874-75) L.R. 7 H.L., 653], fondata sulla lack of capa-city delle società di capitali, che compissero, tramite i loro directors, un atto non contemplato dall’objects clause. Su tale presupposto, la dottrina britannica non riteneva in alcun modo ammissibile che una “special or ordinary resolution may au-thorize directors in advance [enfasi mia] to do an ultra vires act or to enter into an ultra vires transaction” (PENNINGTON, Company Law (London, 2001), 112. Con l’entrata in vigore nel 2006 del nuovo diritto societario (Companies Act 2006, di seguito CA 2006), la ultra vires doctrine è stata definitiva-mente superata, poiché assai coerentemente ne è stata elimi-nata la premessa fondamentale: l’essere l’oggetto sociale re-quisito impreteribile per l’acquisizione della personalità giuri-dica da parte della company. La s. 31 (1), CA 2006, stabilisce, infatti, che “unless a company’s articles specifically restrict the objects of the company, its objects are unrestricted”. Ne consegue che “A statement of objects”, oggi “is no longer a legal requirement in the formation of a company and, unless the company positively elects to include a statement of objects in its article it will be taken to have unlimited capacity” [MORSE, sub s. 39, Palmer’s company law: annotated guide to the Companies Act 2006, Volume 2006 (London, 2007), 83]. “For companies formal and registered under the Compa-nies Act 1985 [abrogato dal CA 2006, n.d.r.]”, tuttavia, “the objects clause in the memorandum of association will be now treats as a provision of the articles and to the extent that the company has not stated that its objects is to carry on business as general commercial, company will continue to restrict the company’s capacity [enfasi mia]» (MORSE, sub s. 31 (supra), 78. Tale circostanza comporterà ancora che non sarà ammis-sibile in quei casi, un’autorizzazione preventiva o di ratifica di un atto extra objects clause (v. supra, PENNINGTON, ult. loc. cit.). “The ultra vires doctrine”, peraltro, “survives for some internal purpose (…). On the internal purposes, the abolition of the traditional connection between a company’s objects clause and its capacity does not mean that directors acting on behalf of the company now have carte blanche to do what they like in the company’s name. A member has always to seek an injunction to prevent the company from entering into what they would have been an ultra vires transaction. And direc-tors must observe any limitation on their powers flowing from the company’s constitution (s. 171 CA 2006), and will be li-able to the company for any breaches» (SEALY, WORTHING-TON, Cases and materials in Company Law (Oxford Univ. Press, New York, 2008), 103; sul CA 2006, in letteratura ita-liana, v. VITALI, “I doveri degli amministratori e la protezione degli azionisti alla luce del nuovo diritto societario inglese”, Riv. soc., 2008, 210; M. BIANCA, “Le società con oggetto so-ciale unrestricted: un esempio da imitare?”, Giur. comm., I, 2009, 305, avanza dubbi sul fatto che la scelta normativa (con la s. 31.1 CA 2006) del legislatore anglo sassone, sia idonea alla tutela dei soci e si chiede “cosa accadrebbe laddove una s.p.a. ad oggetto sociale illimitato, che avesse però emesso delle azioni correlate ad un cerro settore della sua attività d’impresa, imputasse a questo settore degli atti in realtà ad esso estranei? (…) La risposta (…) dovrebbe ragionevolmen-te essere negativa, con buona pace degli investitori inganna-ti”.

Nel diritto tedesco, sottolinea WESERMAN, sub § 1, in BÜR-GERS, KORBER ed altri, Aktiengesetz. C.F. Müller Heidelberg

furono appunto mosse vigorose critiche alla capacità giuridica generale delle società di capitali 16.

Dopo la riforma del diritto societario del 2003, a fronte delle statuizioni della Corte suprema ora con-futate 17, il problema è stato ripresentato da chi scri-ve 18, che ritiene siffatta delibera, nel sistema di dirit-to societario vigente, nulla per impossibilità (giuridi-ca) 19 del suo oggetto (art. 2379, 1° comma, c.c.). Il nuovo art. 2380-bis c.c., impone infatti agli ammini-stratori di compiere solo «le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale» 20, configuran-

Kommentar (Heidelberg, München, Landsberg, Berlin, 2008), 22, l’ultra vires doctrine “non ha luogo”, poiché il § 82, Abs 1, AktG, attribuisce un potere di rappresentanza illimitato e illimitabile nei riguardi delle terze parti; in Germania i limiti fissati dall’oggetto sociale o, per quanto attiene alla rappre-sentanza, da altri organi sociali, influiscono sul potere interno di gestione e giustificano la revoca dell’amministratore ed il risarcimento del danno da questi eventualmente causato alla società; ma non sembra ammissibile una autorizzazione pre-ventiva al compimento di un atto ultra vires; e v. pure BÜR-GER-ISRAEL, sub § 82, ivi, 538; HABERSACK, sub § 82, in GADOW-HEINICHEN (a cura di), AktG Grosskommentar, nuo-va edizione riveduta da HOPT-WIEDERMANN (Berlin, 2003); HOPT, Handels und Gesellshaftrecht (Berlin, 1996), II, 214, par. 872 b.

16 In tal senso l’opinione dominante e, per tutti, SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, rist. IX ed. (Napoli, 2002), 43; contra, più di recente, COTTINO (supra, n. 8), 215, secondo cui dalla stessa formulazione dell’art. 2384, n.t., «non è rinvenibile un riconoscimento della capacità gene-rale della società»; per BASILE-FALZEA, voce “Persona giuri-dica”, in Enc. dir. (Milano, 1983), XXXVIII, 247: “il divieto di compiere atti estranei all’oggetto sociale non denuncia un limite alla capacità dell’ente, bensì la preclusione per i suoi organi di agire al di fuori della competenza loro assegnata dalla legge o dalle regole interne”, sì che l’atto ultra vires è affetto da nullità, sanzione che colpisce ogni atto societario posto a tutela dei terzi.

17 Che ebbero il consenso di CALANDRA BUONAURA, “So-cietà per azioni. Amministrazione e rappresentanza”, Giur. comm., 2008, II, 39, secondo cui “le soluzioni accolte da en-trambe le pronunce [Cass., 2 settembre 2004, n. 17678 (su-pra, n. 4) e Cass., 11 dicembre 206, n. 26325 (supra, n. 4), n.d.r.], appaiono corrette alla luce delle novità introdotte dal-la riforma societaria che (…) ha ricondotto l’oggetto sociale nell’ambito dei limiti posti al potere di gestione”.

18 Sia perciò scusato il rinvio a DE IULIIS, “La rilevanza in-terna degli atti ultra vires nella giurisprudenza della Corte di cassazione”, Giur. it., 2008, 1835.

19 Per fattispecie di delibere nulle per impossibilita` del-l’oggetto, v. Cass., 7 marzo 2005, n. 4822, Società, 477, nota di BONAVERA; Dir. e giust., 2005, XVIII, 24, nota di CAROP-POLI; Cass., 4 maggio 1998, n. 4441, Riv. not., 1998, 717.

20 Puntualizzano al riguardo GALGANO-ZANELLI (supra, n. 12), 70: “A tal proposito è stata introdotta, con l’ultima ri-forma societaria, una novità di tipo lessicale: alla precedente sintetica espressione “oggetto sociale”, si sostituisce la più precisa espressione “attività che costituisce l’oggetto socia-le”. In tal modo si separano le attività economiche che costi-tuiscono l’effettivo oggetto sociale dagli atti compiuti mera-mente per il raggiungimento e lo svolgimento dell’attività-oggetto. Quindi, lo scopo della differente dizione sarebbe, per

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do così implicitamente quest’ultimo come limite funzionale 21 delle società di capitali. Ne deriva che la connessa violazione lede un principio di ordine pubblico economico, a nulla rilevando che per esi-genze pratiche il legislatore faccia salva l’efficacia dell’atto nei rapporti con i terzi di buona fede, con una norma eccezionale 22, ieri l’art. 2384-bis, oggi, si ritiene, l’art. 2384 n.t. Per tale loro natura, gli artico-li citati non si prestano a disciplinare i rapporti endo-societari, che restano quindi assoggettati al diritto comune 23, in base al quale non è possibile la ratifica, e a fortiori “l’autorizzazione”, di un atto rappresen-tativo intrinsecamente nullo. La sentenza in esame, sancendone «la nullità e la conseguente impossibilità [corsivo mio] di una sua autorizzazione preventiva o di ratifica», pare recepire tale linea di pensiero.

I successivi interventi della dottrina sono di segno contrario 24. Sarebbe addirittura configurabile «un obbligo e non solo una facoltà degli amministratori

l’appunto, quello di evitare redazioni di oggetti sociali che si rivelino in pratica omnicomprensivi e svincolati dall’attività poi concretamente esercitata dalla società [enfasi mia]”. Sulla valenza di presidio della norma citata, PALMIERI, “La nullita` delle società per azioni”, in Trattato Colombo-Portale (Tori-no, 2004), I, 554-556; nonché VISCUSI, “Brevi osservazioni in tema di conflitto d’interessi, atti ultra vires e professionalità del banchiere” (nota ad App. Milano, 7 aprile 2004), Banca, borsa, tit. cred., 2006, II, 211; in termini dubitativi, MUCCIA-RELLI, “Profili dell’oggetto sociale nelle Società di capitali”, in ABBADESSA-PORTALE (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso (Torino, 2006), I, 311-314.

21 E si vedano in punto le considerazioni di SPADA, Diritto commerciale (Padova, 2004), I, 110.

22 Tale è l’art. 2484-bis anche secondo la sentenza in com-mento, par. 7; nel senso della eccezionalità dell’art. 2384, n.t., Cass., 4 settembre 2007, n. 18574, Foro it., 2007, I, 3062, che parla di “speciale regime (ex art. 2384 c.c.) di inopponibilità delle limitazioni del potere rappresentativo degli amministra-tori di società per azioni” e a fortiori dell’art. 2384-bis, prev., anche rispetto al sistema della rappresentanza nell’impresa commerciale (artt. 2206-2113 e 2268 c.c.), Cass., 6 febbraio 1993, n. 1506, Foro it., 1994, I, 165; Cass., 5 giugno 1985, n. 3360, ivi, 1985, I, 2231.

23 DE IULIIS (supra, n. 18), 1837-1839. 24 BUSANI e FUSARO, nella nota (critica) sine titulo alla

sentenza in commento, Società, 2010, 12, 1427; MIOLA, “Atti estranei al’oggetto sociale ed autorizzazioni e ratifiche as-sembleari dal vecchio al nuovo diritto societario” (nota a Cass. 15 aprile 2008, n. 9905), Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, 275; ad eccezione, sembra, di SALAMONE, “Oggetto socia-le e poteri di rappresentanza dell’organo amministrativo”, Giur. comm., 2008, I, 1104, secondo cui “altro è il dimensio-namento dei poteri rappresentativi sull’oggetto sociale, altro sono i limiti volontari imposti ai poteri rappresentativi”, ma finisce poi per concludere che “la rappresentanza [ha] carat-tere generale, vale a dire che non [è] delimitata dall’oggetto sociale”, e tanto “si desume per contrasto con l’art. 2380-bis, 1° comma, c.c., che riguardo ai poteri gestori ammette invece un tale dimensionamento, anche qui con efficacia meramente personale”, ivi, 106.

di richiedere una pronuncia dell’assemblea», poiché «attraverso la delibera assembleare non si mira ad esonerare gli amministratori dalle responsabilità sca-turenti dall’atto di gestione […] ma a fornire un’adeguata tutela ai soci e quindi a consentire il lo-ro coinvolgimento attraverso l’informazione preven-tiva, rispetto ad operazioni fornite dei caratteri della modificazione strutturale» 25; da ultimo, in sede di commento (critico) alla sentenza qui annotata, è sta-to risposto ai miei quesiti “retorici” sulla utilità pra-tica di un’autorizzazione assembleare preventiva 26, che non è “inagevole” scorgerla, in quanto «la deli-bera autorizzativa o ratificativa (oltre a impedire alla società di venire contra factum proprium) mette probabilmente la parola fine a ogni discussione sul tema dell’exceptio doli del soggetto che ha contratta-to con la società» 27. Altrettanto “non inagevole” mi sembra possibile la replica sia a questo argomento come all’altro sopra riportato. Entrambe trascurano un principio cardine della nuova normativa sulle s.p.a., recato dall’art. 2380-bis, 1° comma, c.c., che sottrae all’assemblea ogni potere gestorio, tale che la stessa non potrebbe affatto autorizzare alcun atto di amministrazione se lo statuto non lo prevedesse e-spressamente (art. 2364, 1° comma, n. 5, c.c.) 28. Per

25 Così MIOLA (supra, n. 24), 275. 26 Assumendo, infatti, che l’atto ultra vires è regolato

dall’art. 2384, n.t., quest’ultimo ne sancisce l’inopponibilità ai terzi, salva la prova del loro intento di arrecare danno alla so-cietà; se i soci desiderano che comunque si compia, esoneran-do l’amministratore da ogni responsabilità, la delibera da as-sumere dovrà essere quella di una rinuncia all’azione di re-sponsabilità verso gli amministratori, non imboccare la “scor-ciatoia” di un’autorizzazione preventiva volta al “risparmio” delle spese notarili necessarie per vestire con atto pubblico la delibera assembleare straordinaria di modifica statutaria. È solo con la delibera di rinuncia all’azione sociale di responsa-bilità verso gli amministratori, a mio avviso, che può conse-guirsi il duplice risultato di evitare che la società venga in un secondo momento contra factum proprium e di mettere la parola fine all’exceptio doli del terzo che abbia contrattato con la società. Avendo, peraltro, cura di assumere anche que-sta decisione dell’assemblea con atto pubblico per la necessa-ria pubblicità legale, ché altrimenti al terzo non sarebbe data la possibilità di venirne a conoscenza (art. 2422 c.c.). Qualsia-si notaio, ritengo, dovrebbe dare questo consiglio alla società che gli sottoponesse il caso, state l’urgenza di “procedere” nell’affare, memore della buona pratica che impone, in assen-za di norme certe, di rendere comunque l’atto “inattaccabile”, con la stretta osservanza delle formalità prescritte dalle norme positive. In punto, DE IULIIS (supra, n. 18), 1835-1836.

27 Così BUSANI e FUSARO (supra, n. 24), 1435, nt. 34. 28 Sorprendente, al riguardo, Cass., 11 dicembre 2006, n.

26325 (supra, n. 4), laddove nella parte motiva fa riferimento ad assemblea “fornita dei necessari poteri [enfasi mia] che autorizzi l’organo gestorio al compimento dell’atto”. E v. BUSI, “Assemblea e decisioni dei soci nelle s.p.a. e nelle s.r.l.”, in PICOZZA-GABRIELLI (diretto da), Trattatto di diritto pubblico dell’economia (Padova, 2008), IV, 110: “L’esclusi-vità della gestione spettante all’organo amministrativo [va] comunque ristretta al compimento delle operazioni necessarie

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ciò solo, una simile delibera cadrebbe, quanto meno, sotto le maglie sanzionatorie dell’art. 2377, 2° com-ma, c.c.. E quand’anche fosse riservato all’assem-blea il potere di autorizzare il compimento di un atto contrario allo scopo societario, mi chiedo quale no-taio, in sede di controllo formale di legittimità, omo-logherebbe uno statuto con siffatta bizzarra clausola.

Quanto alle s.r.l., è pur vero che l’art. 2479-bis, 3° comma, c.c., rimette all’esclusiva competenza del-l’assemblea la decisione di «compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione del-l’oggetto sociale», per le quali non è prevista una formale modifica statutaria; ma è altrettanto vero che una norma così carica di incertezze ed ambiguità 29, non potrebbe mai consentire il compimento di atti manifestamente estranei all’oggetto sociale, ma solo quelli che pur rientrandovi, di fatto lo modificano (ed è il caso ad es. del trasferimento del principale cespite aziendale) 30, ché altrimenti non si compren-

all’attuazione dell’oggetto sociale e, pertanto, non [può] es-sere riferita in alcun modo alle operazioni che fuoriescano da detto campo. Pertanto sembra condivisibile l’orientamento, già proposto prima della riforma, secondo il quale l’assemblea restava titolare di una competenza residuale rispetto a quella dell’organo amministrativo, vale a dire non come derogatrice di quest’ultima [enfasi mia], ma come integrativa di una com-petenza che le era all’occasione esclusa».

29 RIVOLTA, “Profilo della nuova disciplina delle società a responsabilità limitata”, Banca, borsa, tit. cred., 2003, I, 692; DEMURO, “Distribuzione e spostamento di competenza tra amministratori e (decisioni) dei soci nella s.r.l., Giur. comm., 2005, I, 861, che sottolinea come «l’interpretazione di tale norma non sarà agevole».

30 Si tratta pur sempre di “operazioni astrattamente perti-nenti all’oggetto sociale”, M. CIAN, “Le competenze deciso-rie dei soci”, in IBBA-MARASÀ (diretto da), Trattato sulle so-cietà a responsabilità limitata (Padova, 2009), IV, 14; nello stesso senso, pare, NUZZO, sub 2479, in NICCOLINI-STAGNO D’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali. Commentario (Napoli, 2004), 1625, ad avviso del quale “Per «operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale» (art. 2379, 2° comma, n. 5) si intendono evidente-mente quelle operazioni che vedono detta modificazione come effetto [enfasi mia] e non come oggetto mediato della deci-sione (la qual si tradurrebbe in tal caso in semplice modifica-zione dell’atto costitutivo)”; di modifiche “indirette” parla ZANARONE, sub 2479, in Commentario Schlesinger (Milano, 2010), 126 contra, VIGO, “Decisioni dei soci: competenze”, in ABBADESSA-PORTALE (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso (Torino, 2007), III, 458-459, secondo cui, tra le operazioni che modifi-cano l’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo, può rientrare “qualsiasi operazione estranea all’oggetto sociale e tanto rilevante da modificarlo, come l’acquisto di un’azienda relativa ad altro settore industriale, o il compimento di ope-razioni finanziarie di rilevante ammontare e non riferibili all’oggetto sociale ancora dichiarato” e così pure CAGNAS-SO, “Le società a responsabilità limitata”, in Trattato Cottino (Padova, 2007), V, 296 e, da ultimo, COTTINO, nella nota sine titulo, alla sentenza in commento, Giur. it., 2011, 571, che afferma: “Il n. 5 dell’art. 2479, anch’esso nuovo di zecca [...] consente [ai soci, n.d.r.] legittime ‘evasioni’ ultra vires”.

derebbe a qual fine utile sarebbe imposta nell’atto costitutivo di una s.r.l. l’indicazione di un oggetto sociale, quale suo elemento necessario, mancando il quale o essendo del tutto generico, lo stesso atto co-stitutivo sarebbe nullo; né si comprenderebbe a qual fine utile sarebbe imposta una formale procedura di modifica dello stesso, assoggettata, come per le s.p.a., a controllo notarile di legalità e ad iscrizione della delibera nel registro delle imprese.

Osservo, altresì, che l’adeguata tutela dei soci at-traverso “l’informazione preventiva” della volontà di compiere un atto ultra vires, non può essere mai funzionale alla violazione di norme imperative 31, e che in situazioni di dominio assembleare, quali si riscontrano nei gruppi societari, come nel caso trat-tato dalla sentenza in nota, appare alquanto fuori luogo ed irreale connotare di “adeguatezza” simile delibera per la tutela dei soci di minoranza. Anzi, proprio nell’ipotesi in cui non fosse adottata una formale deliberazione di modifica dell’oggetto so-ciale, sarebbe violato il diritto di recesso 32 dei soci di una s.p.a., dissenzienti sul compimento dell’atto estraneo. La legge, infatti, condiziona il recesso al-l’assunzione di una delibera modificativa dello statu-to al riguardo (art. 2437, 1° comma, lett. a), c.c.). Non così per i soci di una s.r.l., per i quali il diritto di recesso è ammesso anche in assenza di formale variazione statutaria, a fronte di operazioni che comportino «una sostanziale modificazione dell’og-getto della società» (art. 2473, 1° comma, c.c.). Ma anche in questo caso, per le ragioni sopra evidenzia-te, sono dell’avviso che tale previsione non possa che riguardare solo fattispecie relative ad operazioni che rientrano tra quelle compatibili con lo statuto dell’impresa, anche se, di fatto, ne modificano l’at-tività 33. Sarebbe inconcepibile, infatti, che la legge

31 Quali quelle recate dagli artt. 2328 (obbligo di indicare nell’atto costitutivo l’attività che costituisce l’oggetto sociale); 2332, 1° comma, n. 3 (nullità dell’atto costitutivo per mancanza di ogni indicazione dell’oggetto sociale); 2380-bis (obbligo degli amministratori di compiere unicamente le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale) e 2361, 1° comma, c.c. (divieto di assumere partecipazioni in altre im-prese, se ne risulti sostanzialmente modificato l’oggetto socia-le determinato nello statuto) e dalle quali mi pare possa desu-mersi che il rispetto dell’oggetto sociale sia un principio di ordine pubblico economico immanente l’ordinamento, la cui violazione non può che configurare la nullità del relativo atto.

32 CALANDRA BUONAURA (supra, n. 14), 211. 33 E la ragione di tale disparità di trattamento, in ambito re-

cesso, rispetto ai soci di una s.p.a., ritengo sia giustificata dal fatto che nella s.r.l. il socio è, di regola, anche amministratore ed abbia perciò diritto a maggiori occasioni di disinvestimento della sua partecipazione, quando non sia d’accordo con la ge-stione sociale, rispetto ai soci di una s.p.a.. Questi ultimi, al con-trario, sono di regola, solo soci “risparmiatori”, i quali, inve-stendo i loro risparmi nella azioni di una certa società, affidano indirettamente la remunerazione del loro danaro alla sagacia

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consentisse alla s.r.l. di modificare lo statuto “per le vie brevi”, permettendo il compimento di operazioni in aperto contrasto con lo scopo sociale, senza ri-spettare la relativa, formale procedura imposta per il suo cambiamento.

Le obiezioni mosse, infine, paiono stridere con la premessa da cui partono, cioè che l’atto compiuto in violazione dello scopo societario, sia la violazione di un mero limite negoziale al potere di rappresentanza degli amministratori, così come sentenziava l’orien-tamento della Cassazione, ora smentito 34. Se si as-sume, infatti, che l’atto ultra vires non sia un atto illecito, ma si configuri quale atto rappresentativo compiuto in carenza od eccesso di potere, come un qualsiasi altro atto di tal sorta, allora esso potrebbe solo essere ratificato, ma mai rerum natura potrebbe essere autorizzato preventivamente (artt. 1398-1399). Un atto rappresentativo carente di poteri implica, infatti, o che manchi del tutto la fonte di quei poteri (ed è una premessa falsa nel nostro caso, poiché la fonte dei poteri di rappresentanza degli amministra-tori, cioè l’oggetto sociale, già esiste); oppure che, sussistendo la fonte della rappresentanza, se ne violi il perimetro (è il caso della rappresentanza sociale); in entrambe le ipotesi, se il preponente volesse con-ferire ex novo o ampliare poteri già esistenti, non sa-remmo di fronte ad una ratifica, né tantomeno ad una “autorizzazione preventiva”, ma ad una nuova procura, ovvero ad un nuovo oggetto sociale. Che va ridefinito secondo le norme prescritte per le rispetti-ve modifiche. Sia l’oggetto sociale che le correlative variazioni, sono assoggettate, non a caso, a pubblici-tà legale funzionalmente connessa alla pubblicità legale di altri atti societari; pubblicità posta a tutela generale dei terzi e nient’affatto circoscritta alla sal-vaguardia degli interessi dei soli soci 35. È, invero, solo dalla stretta relazione oggetto sociale/bilancio d’esercizio, che i terzi potrebbero (dovrebbero) rica-vare ogni informazione utile per valutare la coerenza

amministrativa di terzi, assumendosi il rischio della loro even-tuale mala gestio. ENRIQUES, SCIOLLA, VAUDANO, “Il recesso del socio di s.r.l.: una mina vagante nella riforma”, Giur. comm., 2004, I, 752, evidenziano che “In presenza della riproposizione del tenore letterale dell’art. 2437 pre-riforma” ritornano “quin-di, in apparenza, le incertezze interpretative che animavano il dibattito dottrinale nel regime del codice del 1942”.

34 Cass., 11 dicembre 2006, n. 26325 (supra, n. 4): “il rap-presentante trova la fonte del suo potere gestorio nell’oggetto sociale, le cui limitazioni, alla stregua di quanto stabilito dall’atto costitutivo o dallo statuto, generano abuso di rap-presentanza sul fronte interno dei rapporti con il rappresenta-to (la società)”.

35 Ricorda in proposito MONTALENTI, “Oggetto sociale e giurisprudenza comunitaria”, Giur. comm., 2009, I, 312, che “il perimetro dell’attività è anche [enfasi mia] limite al ri-schio d’investimento che i soci intendono correre e si pone, dunque, come perno dei fiduciary duties che legano soci e amministratori”.

delle operazioni gestionali e poter così decidere se entrare in rapporto negoziale con la società o dive-nirne soci, a loro volta. Diversamente, accreditando il convincimento che gli amministratori – salvo ri-sponderne – possano porre in essere atti ed opera-zioni non partecipi del fine societario 36 e non assog-gettati ad obblighi pubblicitari, verrebbe meno la si-curezza dei rapporti economici, principio fondamen-tale dell’ordinamento (art. 41, 2° comma, Cost.) cui dev’essere informato l’esercizio dell’impresa priva-ta. Con lettura costituzionalmente orientata, non è difficile scorgere l’attuazione di tale principio in di-verse norme di rango subordinato: si pensi, fra gli altri, al disposto dell’art. 2361, 1° comma c.c. In questo senso è da ritenere del tutto appropriato il ri-ferimento fatto dalla Cassazione alla Cost., cit., a sostegno delle sue decisioni.

Il sistema previgente disciplinava con una norma ad hoc, di carattere eccezionale (l’art. 2384-bis), il regime degli atti ultronei nei rapporti sociali esterni, disponendo al riguardo l’inopponibilità dell’ineffi-cacia di tali atti ai terzi in buona fede. Sul punto si osservava che «la disposizione della norma bis, nello stabilire che l’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori, in nome della società, non può esser opposta ai terzi di buona fede, se legit-tima l’affermazione che, in linea di principio, l’estra-neità dell’oggetto sociale è opponibile ai terzi e comporta l’invalidità dell’atto estraneo, impone d’al-tro lato, una limitazione tale da renderlo, in fatto pressoché inoperante. L’estraneità, perciò può essere opposta soltanto ai terzi di mala fede: sicché è la so-cietà che ha l’onere gravoso di provare che il terzo sapeva che l’atto eccedeva i limiti dell’oggetto so-ciale» 37. Si obiettava, però essere «più conforme al dettato normativo la tesi che ritiene opponibile l’estra-neità dell’atto al terzo che, con l’applicazione di un minimo di diligenza, avrebbe potuto conoscerla» 38. Sotto questo profilo, il regime attuale è diverso.

Il nuovo art. 2384 c.c., ritenuto lessicalmente ido-neo a ricomprendere anche la disciplina degli atti ultra vires (v. infra), consente l’opponibilità dell’at-to ai terzi solo nel caso in cui «si provi che questi abbiano agito intenzionalmente a danno della socie-tà» (art. cit., 2° comma, ult. per.) 39. Non basta quin-di «provare che il terzo conosceva o, date le circo-

36 PESCATORE, “La società per azioni”, in BUONOCORE (a cura di), La riforma del diritto societario (Torino, 2003), 69; conforme PACCHI, “Gli interessi degli amministratori e i limi-ti ai loro poteri”, Giur. comm., 2004, I, 693-694.

37 PELLICANÒ, sub 2384-bis, in Commentario Scialoja-Branca (Bologna, Roma 1982), 461-462.

38 CALANDRA BUONAURA (supra, n. 14), 208. 39 Per una prima puntuale informazione sull’omologa disci-

plina negli ordinamenti francese, spagnolo, belga, inglese, v. MONTALENTI (supra, n. 35), 311-312.

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stanze, non poteva ignorare l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale perché, in tal modo, si finirebbe per riconoscere al terzo la medesima tutela accordata dall’art. 2384-bis, togliendo significato alla sua a-brogazione. Occorre dimostrare altresì un compor-tamento del terzo diretto a favorire o promuovere [corsivo mio] la violazione statutaria pregiudizievole per la società o quanto meno la consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio» 40.

Quanto al concetto di “opponibilità”, si tratta di «una qualificazione dell’invalidità o dell’inefficacia nei rapporti con i terzi» 41, nel caso di specie ricon-dotta dalla Corte nell’ambito dell’inefficacia latu sensu, comprendente «“ogni mancanza di effetti”, anche quella che dipende da un vizio del negozio che ne intacca la validità» 42, e che quindi può essere fatta valere da qualunque interessato. Quand’anche, poi, si volesse concepire l’atto estraneo come atto concluso in carenza o eccesso di rappresentanza che può essere eccepita solo dal dominus 43, in quanto lo stesso negozio è suscettibile di ratifica (1399 c.c.),

40 CALANDRA BONAURA, “Il potere di rappresentanza degli amministratori di società per azioni”, in ABBADESSA-POR-TALE (diretto da), Il nuovo diritto delle società, Liber amico-rum Gian Franco Campobasso (Torino, 2006), II, 664; e v. pure, più di recente, per tutti, FERRARA JR.-CORSI, Gli im-prenditori e le società, XIV ed. (Milano, 2009), 619; giuri-sprudenza conforme, da ultima, Cass., 26 marzo 2009, n. 7293, CED Cassazione, 2009, la cui massima completa statui-sce: “In tema di limiti derivanti ai poteri degli amministratori delle società di capitali dall’oggetto sociale, l’introduzione della regola contenuta nell’art. 2384-bis cod. civ. – che e-sclude che sia opponibile ai terzi in buona fede l’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società – comporta che la società che neghi la buona fede del terzo ha l’onere di allegare e dimostrare che l’operazione controversa rappresentava in concreto mezzo del tutto estraneo rispetto al suo fine sociale e che il terzo ne fosse consapevole; ai fini dell’opponibilità al terzo contraente delle limitazioni dei poteri di rappresentanza degli organi di società di capitali, l’art. 2384, comma 2, cod. civ. richiede invece non la mera conoscenza dell’esistenza di tali limita-zioni da parte del terzo, ma altresì la sussistenza di un accor-do fraudolento o, quanto meno, la consapevolezza di una sti-pulazione potenzialmente generatrice di un danno per la so-cietà”.

41 Insegna MENGONI, “Problemi di integrazione della disci-plina dei ‘contratti dei consumatori’ nel sistema del codice civile”, in Studi in onore di Pietro Rescigno (Milano, 1998), III, 541, nt. 10.

42 SCALISI, voce ”Inefficacia”, in Enc. dir. (Milano 1971), XXI, 325, traccia questa dicotomia nell’ambito dell’ineffi-cacia degli atti negoziali: si ha un’inefficacia latu sensu, com-prendente “«ogni mancanza di effetti», anche quella che di-pende da un vizio del negozio che ne intacca la validità” ed un’inefficacia strictu sensu, da intendersi “come categoria autonoma e contrapposta alla nullità o irrilevanza dell’atto”; per un’approfondita ricognizione e analisi del dibattito sul tema rinvio alla monografia di ALBANESE, Violazione di nor-me imperative e nullità del contratto (Napoli, 2003), 78 ss.

43 Cass., 7 febbraio 2008, n. 2680, Contratti, 2008, 7, 707.

tale soluzione urterebbe contro l’ovvio presupposto che la ratifica può essere data solo al negozio con-cluso dal falsus procurator scevro di vizi strutturali intrinseci (nullità), poiché altrimenti essa sarebbe giu-ridicamente impossibile. In questa fattispecie mi sem-bra ricada anche la pretesa ratifica di un atto estraneo all’oggetto sociale, poiché, come già ho avuto occa-sione di, ritengo, dimostrare in altra sede, il contratto non conforme con lo scopo societario non è sempli-cemente contra contra negotium, bensì contra le-gem. In termini conformi al mio pensiero, mi pare di poter dire, si esprime anche la sentenza in esame 44.

La dottrina maggioritaria, come già accennato, è dell’avviso che la norma recata dall’art. 2384-bis sia rifluita nel testo del nuovo art. 2384 c.c. 45. Questa

44 Cfr. sentenza in commento, par. 7 e DE IULIIS (supra, n. 18), 1837 e 1839.

45 La mens legis, infatti, cosi “vuole” si interpreti l’art. 2384, 1° comma, c.c., ed il passo della Relazione d’accompa-gnamento al d.lgs. n. 6 del 2003, 6.III.1, ne dà conferma per tabulas: “[gli amministratori] hanno poteri di gestione estesi a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale (art. 2380 bis, 1° comma) e una rappresentanza generale per tutti gli atti compiuti in nome della società (art. 2384, 1° comma) (...) Nei rapporti esterni, per tutelare l’affidamento dei terzi — e salva l’exceptio doli – (...) gli atti compiuti dall’amministratore munito del potere di rappresentanza ma privo del potere di gestione (atti estranei all’oggetto sociale [...]) (...) rimangono validi e impegnativi”; in linea la dottrina dominante, v., senza pretesa di esaustività: ABRIANI, Le società per azioni, in Trat-tato Cottino (Padova, 2010), IV, t. 1, 610; G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, XIII ed. a cura di ANGELICI e GIO-VANNI B. FERRI (Torino, 2010), 422-423; CAMPOBASSO (su-pra, n. 8), 381; FERRARA JR.-CORSI (supra, n. 40), 617-618; CALANDRA BUONAURA (supra, n. 40), 361-362; GLIOZZI, Istituzioni di diritto commerciale (Milano, 2006), 119; MAL-BERTI, sub 2384, in MARCHETTI-BIANCHI-GHEZZI-NOTARI (a cura di), Commentario alla riforma del diritto societario (Mi-lano, 2005), 368-369; MORANDI, sub 2384, in MAFFEI AL-BERTI (a cura di), Il nuovo diritto delle società (Padova, 2005), 694; DI SABATO, Diritto delle società (Milano, 2005), 341; BONELLI, “Atti estranei all’oggetto sociale e poteri di rappresentanza”, Giur. comm., 2004, 924 e segg., secondo cui «questa nuova impostazione data dalla riforma del 2003 ai poteri degli amministratori ha reso inutile conservare l’ex art. 2384-bis»; ID., Gli amministratori di s.p.a. (Milano, 2004), 77; DENTAMARO, sub 2383, 4° e 5° comma e art. 2384, in COTTINO, BONFANTE, CAGNASSO, MONTALENTI (a cura di), Il nuovo diritto societario (Bologna, 2004), I, 695-696; CA-GNASSO, sub 2475-bis, ivi, III, 1865; contra PORTALE, “Os-servazioni sullo schema di decreto delegato (approvato dal governo in data 29-30 settembre 2002) in tema di riforma del-le società di capitali”, Riv. dir. priv., 2002, 701; ID., “Riforma delle società e limiti di effettività del diritto nazionale”, Socie-tà, 2003, 263; SALAFIA, “Amministrazione e controllo delle società di capitali nella recente riforma societaria”, Società, 2002, 1466; ABBADESSA, “Parere dei componenti del Colle-gio dei docenti del Dottorato di ricerca in Diritto commerciale interno ed internazionale dell’Università` cattolica di Milano”, Riv. soc., 2002, 1476; ALPA, “La riforma del diritto societa-rio. Percorsi di lettura”, Riv. dir. priv., 2003, 231; CASELLI, “I sistemi di amministrazione nella riforma delle s.p.a.”, Contr. impr., 2003, 148.

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opinione mi trova affatto dissenziente, poiché la formulazione lessicale di tale norma è a mio avviso del tutto inidonea ad integrare il contenuto della re-gola abrogata 46. Trovo conforto alla mia tesi anche nelle parole della più argomentata dottrina che pro-pende per l’opinione contraria, laddove ammette che gli atti ultra vires possono sì rientrare nella più am-pia categoria degli atti posti in essere in violazione dei limiti statutari, ma a patto di «qualche forzatu-ra” 47 del dettato normativo.

5. Il commento

Per il nuovo orientamento della Cassazione ap-paiono, dunque, «apodittiche e giuridicamente erra-te» le affermazioni della sentenza cassata che «po-stulano» la possibilità per l’assemblea dei soci di «convalidare un atto illecito ed in contrasto con quella utilità sociale che l’oggetto sociale dell’im-presa di capitali persegue ai sensi dell’art. 41 Cost., comma 2, nel testo ancora vigente».

Il postulato viene attaccato dalla Corte, con il moti-vo topico dell’“opinione notevole” di «autorevole dot-trina», che «sottolinea come la disciplina che regola i limiti del potere di rappresentanza dell’organo ammi-nistrativo di una società non risulta posto nell’inte-resse dei soci, ma anche dei terzi, in primo luogo dei creditori della società e che la tutela degli interessi di questi ultimi impone, in caso di necessità di un atto contrario allo statuto, una modifica dello stesso e se-guendo il procedimento previsto dalla legge». Nell’ar-gomento della tutela generale dei terzi, è dato riscon-trare il pensiero di Pescatore 48; sulla necessità di se-guire il procedimento di modifica dello statuto, ove si volesse compiere un atto non contemplato dallo scopo sociale, mi sembra evidente il richiamo agli insegna-menti di Mengoni, Cottino e Galgano 49.

46 Per le argomentazioni di riferimento, DE IULIIS (supra, n. 18), 1840-1842.

47 Così CAMPOBASSO (supra, n. 8), 381; e così pure ALLE-GRI, “L’amministrazione ed il controllo”, in AA.VV., Diritto commerciale, V ed. (Bologna, 2007), 214.

48 PESCATORE (supra, n. 36), 69: “Diversamente si potrebbe accreditare il convincimento che gli amministratori – salvo ri-sponderne – possano porre in essere atti e operazioni estranei a tale oggetto [sociale, n.d.r.] che, invece, segna un limite anche per i terzi in ragione del suo assoggettamento a pubblicità legale [enfasi mia]»); contra, da ultimo, ABRIANI (supra, n. 45), 610.

49 MENGONI (supra, n. 13), 151, che, come già ricordato, ri-teneva “assurdo pensare che la legge consenta all’assemblea di prendere deliberazioni estranee all’oggetto sociale”; COT-TINO (supra, n. 8), 215, che precisa: “nell’art. 2384 non è rin-venibile un riconoscimento (…) della libera appropriabilità da parte [della società] di eventuali atti ultra vires”; GALGA-NO-ZANELLI (supra, n. 12), 71, secondo cui “per quanto at-tiene ai poteri dell’assemblea dei soci. Questa non può deli-berare una operazione che sia estranea all’oggetto sociale

Tutt’altro che inappropriato 50, con riguardo alla violazione dell’oggetto sociale, appare, il riferimento ai valori costituzionali della sicurezza e dell’utilità sociale cui deve conformarsi l’esercizio dell’impresa privata, posto che in un sistema di giustizia legale, qual è il nostro, i principi costituzionali non sono «punti di vista orientativi che possono essere o no introdotti a piacere, ma sono norme giuridiche vin-colanti sia pure non con la forza stringente del sillo-gismo deduttivo», le quali, proprio per essere positi-vamente recepite nell’ordinamento «avanzano una istanza di vigenza analoga alla verità» 51 e non sono quindi premesse giuridiche arbitrarie. Detti riferi-menti normativi, a quanto consta, sono nuovi in or-dine alla loro applicazione alla fattispecie giudicata. Nuova è soprattutto la connotazione della sicurezza umana, al cui rispetto la Cost. subordina la legittimi-tà della libera iniziativa economica, senza alcuna precisazione da parte del Legislatore costituente di cosa debba intendendersi per sicurezza umana, al di là del suo significato più immediato ed evidente di sicurezza fisica e psichica della persona. La Corte dà qui alla sicurezza un ulteriore contenuto, riferendolo implicitamente anche ai rapporti giuridici tra impre-sa e terzi, prius logico della stabilità di tutte le rela-zioni economiche. Una interpretazione delle norme di diritto comune che non approdasse alla salvaguar-dia di questa fermezza, racchiusa nel più lato signifi-cato di sicurezza umana, comprometterebbe inevita-bilmente anche l’altro valore costituzionale richia-mato, che connota il diritto fondamentale della liber-tà d’impresa: l’utilità sociale 52.

Dai valori primari ricordati deriva, secondo la Corte, in base ad una lettura conforme al dettato co-stituzionale dell’art. 2384-bis c.c., che, se da un lato

neppure con le maggioranze richieste per le modificazioni dello statuto, e non può nemmeno considerarsi ammissibile una delibera che ratifichi oppure autorizzi un atto degli am-ministratori che sia estraneo all’oggetto sociale; una tale de-libera sarà comunque annullabile ai sensi dell’art. 2377 c.c.”; e, forse, anche a chi scrive (supra, n. 18), 1838.

50 In tal senso BUSANI e FUSARO (supra, n. 24), 1428-1429, che ritengono “i principi costituzionali insensibili, come tali, alla riforma del diritto societario (sic!)”; contra COTTINO (supra, n. 20), 571 che ritiene “lodevolissimo in sé il richiamo all’art. 41 Cost. [...] e rammentare che il regime delle società di capitali va pur sempre ricondotto a tale quadro e ai principi dell’“ordine pubblico economico”.

51 MENGONI, “L’argomentazione nel diritto costituzionale”, in (dello Stesso), Ermeneutica e dogmatica giuridica (Milano, 1996), 124.

52 Nuova dottrina insegna che “il secondo e terzo comma dell’art. 41 probabilmente non possono più essere interpretati in chiave di “funzionalizzazione” delle attività economiche agli interessi pubblici, ma la funzione sociale [enfasi mia] del-l’impresa (e della proprietà) è riconosciuta e garantita dalla stessa Costituzione Europea” (PICOZZA, Diritto dell’Econo-mia: Disciplina Pubblica, in Trattato Picozza-Gabrielli, II, Padova 2005, 51).

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la norma fa salva eccezionalmente, nel caso degli atti ultra vires, la stabilità delle relazioni negoziali con le società per i terzi in buona fede; dall’altro, essa è indice, tra molti, dell’immanenza nel nostro ordinamento di un principio di ordine pubblico eco-nomico, che configura l’oggetto sociale quale limite legale dell’impresa. E «se lo scopo sociale corri-sponde al limite legale delle imprese, l’atto ultra vi-res compiuto dall’amministratore col concerto di so-ci avventurosi, non viola semplicemente il limite convenzionale dei poteri di rappresentanza, ma viola disposizioni di leggi imperative, anche di rango co-stituzionale, derivandone in linea di principio, la nul-lità dello stesso atto e la conseguente impossibilità di una sua autorizzazione preventiva o di ratifica». Il brano appena trascritto chiude la succinta parte mo-tiva della decisione, e riflette in termini quasi testuali quanto scrissi al riguardo 53. Non mi è, perciò, lecito alcun commento.

Mi preme, invece, evidenziare che, a mio avviso, nel nostro sistema la discrasia tra tutela dell’oggetto sociale e principio di rappresentanza “generale” è solo apparente. La lettura sistematica dell’art. 2384, 1° comma, c.c., impedisce, infatti, che l’aggettivo “generale” possa essere inteso come una sorta di “carta bianca” per l’agire rappresentativo degli am-ministratori 54, poiché la stessa parola è utilizzata nel c.c.. per circoscrivere la rappresentanza commerciale nei limiti dell’attività d’impresa prescelta. Si pensi alla rappresentanza degli ausiliari dell’imprenditore e (artt. 2206, 2° comma; 2209, c.c.), così come a quella degli amministratori di società di persone (arg. ex art. 2298 c.c.): senza la pubblicità di even-tuali limitazioni, la legge presume che essa sia, ap-punto, generale (così l’art. 2206, 2° comma, c.c., ma negli stessi termini, sostanzialmente, anche l’art. 2298 c.c.), idonea cioè a coprire tutto l’arco delle possibili manifestazioni di volontà riferibili al tipo d’impresa, senza contenimento alcuno che non sia quella obiettivo dell’attività imprenditoriale esercita-ta o delle mansioni cui gli ausiliari siano stati prepo-

53 DE IULIIS (supra, n. 18), 1839. 54 Così, la dottrina dominante (supra, n. 45). Ritengo, però

tale ordine di idee confliggente con l’ordinamento comunita-rio (cfr. artt. 9 e 10 Dir. 2009/101/CE, olim artt. 8 e 9 Dir. 68/151/CEE), che non dà affatto “licenza” agli amministratori di compiere atti estranei allo statuto d’impresa. Il legislatore sovranazionale, infatti, si limita unicamente a disciplinare gli effetti verso terzi delle limitazioni della rappresentanza e, specificamente, degli atti ultra vires, ma non connota la rap-presentanza organica con alcun aggettivo, tantomeno “genera-le”, da cui desumere che “quando il potere rappresentativo è esercitato si deve prescindere sia dai confini dell’oggetto so-ciale, sia dai confini dell’oggetto sociale” [BUSANI e FUSARO (supra, n. 24), 1432].

sti. Ora, non si vede perché, eisdem verbis, il pratico debba diversamente argomentare per gli amministra-tori delle società di capitali 55, in mancanza di una norma che precisi in senso diverso l’aggettivo “ge-nerale”, quando utilizzato in relazione alla rappre-sentanza organica. In base a tale limite ermeneutico, non sembra allora “eretico” concludere che, con for-mula ellittica, l’art. 2384, 1° comma, c.c., di fatto, riproduce la norma di cui all’art. 2298, primo perio-do, c.c.

Ciò precisato, non rimane che delineare i riflessi di questa pronuncia nel nostro ordinamento, nel caso in cui l’inevitabile intervento delle sezioni unite sul tema dovesse confermare il nuovo indirizzo giuri-sprudenziale.

Ritenuto, dunque, l’atto vires nullo per contrarietà a norme imperative, con conseguente impossibilità giuridica di una sua autorizzazione preventiva ovve-ro ratifica, la stessa nullità potrà essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse. Solo eccezionalmen-te, nel regime dell’art. 2384-bis (applicato al caso di specie) l’atto era fatto salvo a tutela del terzo in buona fede. Nell’ordinamento vigente la nullità dell’atto ultroneo potrebbe invece essere eccepita anche in caso di buona fede del terzo. Se è vero, in-fatti, che è impossibile assimilare tale negozio agli atti rappresentativi compiuti in carenza o eccesso di potere, per la sua diversa natura di atto contra legem e non contra negotium, in mancanza di una norma come quella recata dell’art. 2384-bis, è impossibile applicare analogicamente all’atto estraneo il regime della rappresentanza di cui all’art. 2384, 2° comma, c.c. Questa circostanza pone l’ordinamento italiano non più in linea con l’ordinamento UE che, invece, tale “salvezza” dell’atto verso il terzo contraente di buona fede, impone di prevedere espressamente nel-la legislazione domestica degli Stati membri (art. 10 Dir. 2009/101/CE). Si rende perciò improcrastinabi-le l’emanazione di una norma nazionale che chiuda la lacuna.

CARMELO MASSIMO DE IULIIS

55 DE IULIIS (supra, n. 18), 1841-1842.