Patrimoni feudali, carriere ecclesiastiche, signorie cittadine: l'ascesa degli Acquaviva tra XIII e...

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83 BERARDO PIO PATRIMONI FEUDALI, CARRIERE ECCLESIASTICHE, SIGNORIE CITTADINE: L’ASCESA DEGLI ACQUAVIVA TRA XIII E XV SECOLO Dietrich von Nieheim, uno dei più interessanti testimoni di quella stagione politica nota con il nome di “Grande Scisma d’Occidente”, che vide la cristianità lacerata nell’obbedienza a due o, addirittura, tre diversi pontefici, nei De scismate libri tres racconta che Bonifacio IX, mentre si trovava a Perugia, decise di dare in moglie una sua sorella al conte di San Flaviano, il quale divideva la sua residenza tra la Marca Anconitana ed il Regno di Sicilia e, di lì a poco, sarebbe stato elevato al rango di duca di Atri dallo stesso pontefice. Il novello duca – conti- nua la nostra fonte – fattosi tiranno, dopo aver commesso innumere- voli crudeltà, «ira commotus», colpì la moglie con un coltello e la uc- cise. Per volontà del papa le esequie della defunta furono solenne- mente celebrate nella basilica di San Pietro, ma il duca si guardò bene dal parteciparvi. Alfine lo stesso duca fu proditoriamente ucciso «in Aprucio» dai suoi nemici, «qui tamen reputabat amicos» 1 . 1 THEODERICUS DE NYEM, De scismate libri tres, a c. di G. ERLER, Lipsiae, Veit & Comp., 1890, p. 144: «Hic eciam Bonifacius residendo Perusii predictam sororem suam matrimonio tradidit comiti sancti Flaviani inter regnum Sicilie et Marchiam Anconitanam residenti, quem postea ducem Adrie fecit dans ei in dotem XVII milia florenorum auri cum eadem sorore, ut fama laborat. Qui quidem dux factus fuit ultra modum lubricus et sevus tirannus et post multas crudelitates per eum com- missas dicta eius uxor ex iactura cultelli in eam per ipsum ducem ira commotum, prout dicebatur, facta, vivente tunc dicto Bonifacio, vitam intempestiva morte fini-

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BERARDO PIO

PATRIMONI FEUDALI, CARRIERE ECCLESIASTICHE,SIGNORIE CITTADINE: L’ASCESA DEGLI ACQUAVIVA

TRA XIII E XV SECOLO

Dietrich von Nieheim, uno dei più interessanti testimoni di quellastagione politica nota con il nome di “Grande Scisma d’Occidente”,che vide la cristianità lacerata nell’obbedienza a due o, addirittura, trediversi pontefici, nei De scismate libri tres racconta che Bonifacio IX,mentre si trovava a Perugia, decise di dare in moglie una sua sorella alconte di San Flaviano, il quale divideva la sua residenza tra la MarcaAnconitana ed il Regno di Sicilia e, di lì a poco, sarebbe stato elevatoal rango di duca di Atri dallo stesso pontefice. Il novello duca – conti-nua la nostra fonte – fattosi tiranno, dopo aver commesso innumere-voli crudeltà, «ira commotus», colpì la moglie con un coltello e la uc-cise. Per volontà del papa le esequie della defunta furono solenne-mente celebrate nella basilica di San Pietro, ma il duca si guardò benedal parteciparvi. Alfine lo stesso duca fu proditoriamente ucciso «inAprucio» dai suoi nemici, «qui tamen reputabat amicos»1.

1 THEODERICUS DE NYEM, De scismate libri tres, a c. di G. ERLER, Lipsiae, Veit &Comp., 1890, p. 144: «Hic eciam Bonifacius residendo Perusii predictam sororemsuam matrimonio tradidit comiti sancti Flaviani inter regnum Sicilie et MarchiamAnconitanam residenti, quem postea ducem Adrie fecit dans ei in dotem XVII miliaflorenorum auri cum eadem sorore, ut fama laborat. Qui quidem dux factus fuitultra modum lubricus et sevus tirannus et post multas crudelitates per eum com-missas dicta eius uxor ex iactura cultelli in eam per ipsum ducem ira commotum,prout dicebatur, facta, vivente tunc dicto Bonifacio, vitam intempestiva morte fini-

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La narrazione del cronista tedesco – che pure era stato molto vicinoa Bonifacio IX e si era trovato, quindi, in una posizione eccellente perraccogliere informazioni esatte, ma che troppo spesso nel corso dellasua opera sembra influenzato dai suoi mutevoli stati d’animo – è infar-cita di errori e imprecisioni: essa tuttavia è, a nostro avviso, molto si-gnificativa, poiché rappresenta la prima testimonianza letteraria di uncerto spessore nella quale un membro della famiglia Acquaviva com-pare come protagonista, sebbene negativo, di un episodio ben preciso.Correggeremo in seguito le tante inesattezze di Dietrich von Nieheim,per adesso ci basti segnalare che intorno al 1410, anno in cui l’eccle-siastico tedesco terminò la sua opera, gli Acquaviva erano ormai di-ventati una famiglia di primo piano, al punto da stringere legami ma-trimoniali con la famiglia del pontefice regnante2.

Nel mio intervento cercherò di ripercorrere le tappe principali chetrasformarono una famiglia di mediocri feudatari, con interessi limi-tati a piccoli centri rurali dell’Abruzzo ultra flumen Piscarie, in dinastiaducale dalle aspirazioni e dai comportamenti principeschi. Nel con-tempo analizzerò alcuni degli aspetti maggiormente significativi diquesta apparentemente inarrestabile ascesa, soffermandomi sulle tappepiù importanti dell’affermazione acquaviviana e sorvolando su tantimomenti minori, pur consapevole del fatto che i particolari minuti di

vit. Huius exequie in predicta basilica principis apostolorum largiflue peracte fue-runt sumptibus dicti Bonifacii et eo disponente. Et eciam dux ipse, qui non fuit ineisdem exequiis, postea traditorie a quibusdam suis emulis in Aprucio, quos tamenreputabat amicos, fuerat interfectus».

2 THEODERICUS DE NYEM, De scismate… cit., p. 114, ricorda che pochi anni primadel matrimonio, nel 1388, Caterina Tomacelli, erroneamente detta sorella del cardi-nale Pietro, il futuro pontefice Bonifacio IX, aveva raggiunto la corte di Urbano VIa Lucca insieme con altri membri delle famiglie Prignano e Tomacelli; il cronista te-desco ricorda che la futura duchessa d’Atri era stata avviata alla vita monacale ed erauna fanciulla bella e graziosa («decens et pulchra iuvencula»). L’errore è ripetutonegli Annales Forolivienses, a c. di G. MAZZATINTI, R.I.S.2, tomo XXII, parte II, Cittàdi Castello, S. Lapi, 1903, p. 81, secondo i quali Bonifacio IX «Sororem de monaste-rio extrassit quam nupsit duci Atrie». Per Caterina Tomacelli vd. A. ESCH, BonifazIX. und der Kirchenstaat, Tübingen, M. Niemeyer, 1969, p. 376.

queste vicende – le singole acquisizioni di quote feudali, per quantominime, l’intreccio dei legami matrimoniali, la titolarità di poteripubblici, di magistrature cittadine, di cariche di corte – rappresentanotutti tasselli essenziali per la costruzione di quel mosaico straordinarioche fu lo stato feudale degli Acquaviva di Atri.

Un utile punto di partenza per la nostra analisi è costituito da undocumento del 1279, alla cui edizione critica sto lavorando da alcunianni, un tempo conservato tra i fascicoli della Cancelleria angioina edoggi non più disponibile nella sua versione originale3. Il documento inquestione registra i nomi di tutti i feudatari abruzzesi che durante imesi di aprile e maggio del 1279 si presentarono, parte in Sulmona eparte in Penne, dinanzi al giustiziere d’Abruzzo, Guillaume Morel,per denunciare i feudi posseduti e l’entità del servizio militare legatoal possesso di quei feudi. In particolare, ben nove esponenti della fa-miglia Acquaviva si presentarono in Penne davanti al giustiziere,anche se molti di essi comparvero come possessori di quote esigue dipiccoli feudi, fatto che conferma la presenza di un fenomeno diestrema parcellizzazione del possesso feudale particolarmente evidentenella regione abruzzese e causato dalla persistenza del diritto successo-rio longobardo in base al quale i beni del defunto, compresi quelli feu-dali, andavano divisi in parti uguali tra tutti gli eredi4.

Tra i tanti feudatari che si presentarono alla mostra, Matteo e Ric-cardo d’Acquaviva meritano la nostra attenzione sia perché compaiono

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3 Archivio di Stato di Teramo (d’ora in poi A.S.Te), Fondo Delfico, busta 23, fasci-colo 365, cc. 1r-15v; sulla mostra dei feudatari abruzzesi vd. B. PIO, Il Registrum feu-datariorum del 1279, in «Incontri culturali dei soci», XIV (Caramanico, 13 maggio2007), L’Aquila, Deputazione abruzzese di storia patria, 2007, pp. 26-31.

4 A.S.Te, Fondo Delfico, busta 23, fascicolo 365, cc. 6rv, 7v, 11r, 12rv, 13v, 14r.Gli esponenti minori della famiglia Acquaviva presenti alla mostra furono: Bartolo-meo, per una parte di Tezzano; i fratelli Gentile e Manerio per alcune porzioni diAcquaviva e Colle Abcello, il solo Gentile per un quarto di Rapino, il solo Manerioper metà di Pizzo inferiore; Sanso e Rainaldo, per altre porzioni di Acquaviva, Sansoanche per una parte di Cerbiforco; Guglielmo, per una parte di Acquaviva e di Cer-biforco; Ruggero per una parte di Macchia.

come possessori di quote feudali abbastanza consistenti, sia perchésono i capostipiti dei due rami più importanti della famiglia, quellodei futuri duchi d’Atri e quello dei futuri conti di San Valentino. Mat-teo d’Acquaviva si presentò a Penne l’11 maggio 1279 al posto delpadre Gualtiero e denunciò il possesso di alcune porzioni di quei feudiche la famiglia aveva ottenuto nel 1195 dall’imperatore Enrico VI diHohenstaufen5 (Cliviano, Balviano, Castelvecchio, Bisenti), inoltre de-nunciò quote feudali che denotano un tentativo di espansione nellavalle del Vomano (Basciano, Morro d’Oro, Canzano) e nella Vibrata(Sant’Omero, Ripattoni, Torri a Tronto), infine dichiarò il possesso dialcune porzioni di Ofena, centro dell’alta valle del Tirino6. Riccardod’Acquaviva, esponente del secondo ramo, si presentò il 13 maggioanche in nome dei nipoti ex fratre, figli del defunto Rinaldo, e denun-ciò il possesso di alcune quote di quei beni feudali che costituivano ilpatrimonio avito della famiglia lungo la media valle del Vomano (Ba-cucco, Arsita, Bisenti, Balviano, Cliviano, Castellalto, Forcella)7.

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5 Il documento del 1195 è pubblicato in L. SORRICCHIO, Il Comune Atriano nelXIII e XIV secolo, Atri, Tip. De Arcangelis, 1893, pp. 395-397 n. LXXIX, e in G.CAETANI, Varia. Raccolta delle carte più antiche dell’Archivio Caetani, Città del Vati-cano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1936, pp. 4-5.

6 A.S.Te, Fondo Delfico, busta 23, fascicolo 365, c. 11r: «Mattheus filius dominiGualterii de Aquaviva pro domino Gualterio patre suo, pro duabus partibus castriMurri, med. et 8a Sancti Homeri, 4a castri Cansani, 4a castri Ripactoni, 4a Podii Ad-bassani, 4a et 8a Turris ad Trontum, 4a Cliviani, 4a Balviani, 4a Castri Veteris, 4a Bi-senti, 4a et 8a castri Ofene». Matteo subentrò al padre Gualtiero nel possesso deifeudi intorno al 1290 e, durante i tentativi di rivolta organizzati in Abruzzo da Cor-rado d’Antiochia e Gualtiero di Bellante, rimase sempre fedele al primo sovrano an-gioino, cfr. I registri della Cancelleria Angioina, vol. XXXII, a c. di A. MARESCA, Na-poli, Accademia Pontaniana, 1982, p. 42 n. 235; Le carte di Léon Cadier alla Bi-bliothèque nationale de France. Contributo alla ricostruzione della Cancelleria Angioina, a c.di S. MORELLI, Roma, École Française de Rome, 2005, pp. 261-263 n. 45.

7 A.S.Te, Fondo Delfico, busta 23, fascicolo 365, c. 12r: «Dominus Rainaldus [cor-rige Riccardus] de Aquaviva cum nepotibus pro castro Bacucci, Arsita cum Podio,Cupolo cum Roccetta, Trotta, 4a Bisenti, 4a Balviani, 4a Cliviani, 4a Castri Veteris deAquaviva, 4a Forcelle». Nel 1277-78 Riccardo ottenne un mandato regio contro ivassalli di Trotta, Cupoli, Bacucco, Arsita, Balviano, Forcella, Ripattoni e Monte-

In un panorama estremamente frammentato, il complesso feudalecontrollato dagli Acquaviva nel 1279, pur significativo, non è certoparagonabile con quello dei grandi feudatari dell’epoca, come la con-tessa di Chieti, Matilde (Mahaut) di Courtenay, signora di un ampioed articolato complesso feudale che comprendeva Lanciano, Atessa, Ci-vita Luparella, Pesco Pignataro, Bomba, Paglieta, Casalbordino e tantialtri feudi minori8, o come l’ultima esponente dei Pagliara, la contessaTommasa di Manoppello, i cui feudi spaziavano dai centri della ValleSiciliana a Guardiagrele, Rocca Scalegna, Rocca Montepiano, Fara fi-liorum Petri, Preturo di Chieti9.

La storia acquaviviana della prima età angioina è caratterizzata dauna lenta ma costante tendenza all’accrescimento del patrimonio feu-

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secco «qui cum essent angarii et perangarii proprium derelinquerunt incolatum» (Iregistri della Cancelleria Angioina, XVIII, a c. di J. MAZZOLENI, Napoli, AccademiaPontaniana, 1964, p. 9). Il 16 maggio 1281 Carlo I d’Angiò ordinò al giustiziered’Abruzzo di vietare ai feudatari abruzzesi di seguire Riccardo d’Acquaviva in spedi-zioni armate nelle Marche ed in particolare contro la città di Fermo (I registri dellaCancelleria Angioina, XXIV, a c. di J. MAZZOLENI e R. OREFICE, Napoli, AccademiaPontaniana, 1976, p. 48). Su Riccardo, che nel 1383 fu creato giustiziere di Terra diBari e nel settembre dell’anno successivo capitano generale di guerra del giustizieratodi Calabria al posto dell’infermo Tommaso di Sanseverino, vd. C. MINIERI RICCIO,Memorie della guerra di Sicilia negli anni 1282, 1283, 1284, in «Archivio storico per leprovince napoletane», I (1876), pp. 304 e 520; L. SORRICCHIO, Hatria-Atri, II, Dalleinvasioni barbariche alla fine della dinastia angioina (476-1382), Pescara, Tip. De Ar-cangelis, 1929, p. 241; G. CONIGLIO, Acquaviva, Riccardo, in Dizionario biografico degliItaliani, vol. 1, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960, pp. 181-182.

8 Matilde era figlia ed erede di Raoul de Courtenay, esponente di una importantefamiglia feudale francese, venuto in Italia al seguito Carlo d’Angiò che lo creò contedi Chieti nel 1269, morto nel 1271; cfr. M. CAMERA, Annali delle Due Sicilie dall’ori-gine e fondazione fino a tutto il regno dell’Augusto sovrano Carlo III. Borbone, vol. I, Na-poli, Stamperia e cartiere del Fibreno, 1842, p. 292; M. E. CAFFARELLI, Courtenay,Raoul de, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 30, Roma, Istituto della Enciclo-pedia Italiana, 1984, pp. 498-499.

9 Su Tommasa, ultima esponente di rilievo della dinastia dei Pagliara, vd. B. PIO,Appunti per la storia di una grande dinastia feudale: i Pagliara, in «Aprutium. Organodell’Istituto abruzzese di ricerche storiche», XVI (1998), pp. 227-229.

dale, tale da far pensare ad una più o meno consapevole politica di ri-composizione territoriale, tesa cioè alla costituzione di comprensorifeudali compatti ed organicamente legati. Le singole tappe di questofenomeno si snodano lungo un arco temporale che abbraccia tre gene-razioni: protagonisti di questa singolare e, per molti versi, fortuitaascesa furono, nel corso del Trecento, Francesco d’Acquaviva, suo fi-glio Matteo e, soprattutto, Antonio, figlio di Matteo10.

Nella prima metà del Trecento appare evidente il tentativo degliAcquaviva di allargare il proprio dominio oltre quell’ambito collinareracchiuso tra il Vomano e il Tordino che, grazie alle sue ricchezzeagricole ed alle notevoli opportunità militari, costituiva il puntod’appoggio per ogni possibile futura espansione. L’entità del patrimo-nio feudale di Francesco d’Acquaviva, descritto in un Registrum pheu-datariorum del 1316, anch’esso inedito, dimostra una notevole capa-cità di espansione che si concretizza con il consolidamento di possessifeudali già in parte controllati (un terzo di Morro, la metà di Can-zano e di Basciano11) e, soprattutto, con l’acquisizione di feudi prece-

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10 Prima dell’acquisto del titolo comitale sul feudo di San Flaviano, il titolo usatodagli esponenti di questo ramo della famiglia Acquaviva era quello di signori di Morrod’Oro: «dominus castri Murri» è detto, ad esempio, Francesco d’Acquaviva in una let-tera al vescovo aprutino del maggio 1336 con la quale il pontefice Benedetto XII li-berò dalla scomunica Francesco e tre suoi familiares, precedentemente scomunicati peraver fatto amputare il naso ad un chierico, cfr. BENOIT XII, Lettres communes, I, a c. di J.M. VIDAL, Paris, A. Fontemoing, 1903, n. 3605; lo stesso Antonio d’Acquaviva, primadi diventare conte di San Flaviano, viene indicato come «dominus Murri» in due let-tere rispettivamente di Urbano V (1363) e di Gregorio XI (1373); cfr. Lettres secrètes etcuriales du pape URBAIN V se rapportant à la France, I, a c. di P. LECACHEUX, Paris, A.Fontemoing, 1902, n. 314; Lettres secrètes et curiales du pape GREGOIRE XI intéressants lespays autres que le France, I, a c. di G. MOLLAT, Paris, E. de Boccard, 1962, n. 1496.

11 Sul piccolo aggregato feudale costituito dalla metà di Canzano con il Poggio diBasciano e la terza parte del castrum di Morro vantavano diritti Pierre de l’Isle, alquale quei feudi erano stati concessi da Carlo I d’Angiò subito dopo la conquista delRegno, e Matteo d’Acquaviva al quale gli stessi feudi erano stati concessi successiva-mente dal medesimo sovrano. La contesa tra i due feudatari venne risolta in favoredell’Acquaviva una prima volta dai giudici della Magna Curia nel settembre 1291,

dentemente estranei alla famiglia come Notaresco e Corropoli12.Dopo la morte di Francesco13 e del suo primogenito Nicola14, l’altro

suo figlio, Matteo, pose le basi per un vero e proprio salto di qualitàdella famiglia grazie al matrimonio con Giacoma di Sanseverino, figliadi Roberto conte di Corigliano, esponente di una delle più grandi ca-sate feudali del Regno e, soprattutto, sorella di Margherita, moglie diLuigi d’Angiò duca di Durazzo e madre di Carlo di Durazzo, il futuroCarlo III re di Sicilia15.

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quindi, nel 1293-94 il sovrano concesse definitivamente a Matteo d’Acquaviva laterza parte di Morro e la metà di Canzano «cum Podio de Bassano», feudi tolti aPierre de l’Isle, risarcito con una provvigione annua di 120 once d’oro e con il casaledi Petecciano; cfr. I registri della Cancelleria Angioina, vol. XL, a c. di I. ASCIONE, Na-poli, Accademia Pontaniana, 1993, pp. 5-6 n. 14; vol. XLVII, a c. di R. PILONE,Napoli, Accademia Pontaniana, 2003, p. 254, n. 11.

12 A.S.Te, Fondo Delfico, busta 23, fasc. 365, Registrum pheudatariorum an. 1316, c.17v: «Francisco de Aquaviva ... duabus partibus Murri, tribus partibus Sancti Ho-meri, 4a Ripeactonis, 4a castri Bistrici, 4a Balviani, 4a Forcelle, 3a Cansani, 3a Podiiad Bassanum, med. Turris ad Trontum in feudum antiquum; 3a castri Murri, castroLutarisci, med. castri Canzani, med. Podii ad Bassanum, castro Cordisci, 4a RipeGrimallis, 4a Cantalupi et castro Corrapuli in feudum novum». Per le acquisizionidi quote feudali operate da Francesco d’Acquaviva cfr. N. PALMA, Storia ecclesiastica ecivile della regione più settentrionale del Regno di Napoli, vol. II, Teramo, Ubaldo Ange-letti, 1832, p. 45. Nel 1316 Francesco di Matteo d’Acquaviva chiese al sovrano ilpermesso di arruolare gente armata per difendere i suoi beni minacciati dai ghibel-lini ascolani, cfr. M. CAMERA, Annali… cit., vol. II, Napoli 1860, pp. 101-102.

13 Francesco si spense intorno al 1339; in quell’anno, infatti, i figli Nicola, Matteo eLudovico e la vedova Giovanna di San Giorgio ricevettero il giuramento di obbedienzadei vassalli di Morro, Canzano, Basciano, Sant’Omero, Bisenti, Cliviano, Valviano, For-cella, Ripattoni, alcuni luoghi del demanio di Atri, Torre e Tronto, Tortoreto e unterzo di Notaresco; cfr. L. SORRICCHIO, Hatria-Atri… cit., II, p. 321. Nel novembre1327 lo stesso Francesco era stato nominato ciambellano e familiare del re; cfr. R. CAG-GESE, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, II, Firenze, Bemporad & Figlio, 1922, pp. 390-391.

14 Nel biennio 1349-1350 a Nicola d’Acquaviva furono inviate tre lettere dalpontefice Clemente VI; nella prima, datata 1349, è detto dominus Murri; cfr. CLÉ-MENT VI, Lettres closes, patentes et curiales se rapportant à la France, a c. di E. DÉPREZ etal., Paris, de Boccard, 1901-1925, nn. 4031, 4465, 4523.

15 Nel 1364 Giacoma di Sanseverino «relicta quondam Mathei de Aquaviva» ot-

Antonio d’Acquaviva, figlio di Matteo e di Giacoma, negli anniSettanta del Trecento, fu un vero e proprio punto di riferimento dellaregina Giovanna I d’Angiò per le operazioni militari sul confine delTronto: nel 1376 guidò le truppe del Regno inviate in soccorso diGomez de Albornoz, il vicario pontificio assediato per dieci mesi nellarocca di Ascoli dalla popolazione insorta contro il governo del papa16;alcuni anni dopo, nel 1379, incontriamo di nuovo Antonio come ispi-ratore di un accordo di pace tra alcuni cittadini teramani ed i rappre-sentanti della città di Atri, accordo raggiunto a Morro d’Oro, il ca-strum che durante buona parte del Trecento sembra essere la principaleresidenza acquaviviana17.

L’avvento al trono di Carlo III e l’affermazione del ramo durazzescodella dinastia angioina consentiranno ad Antonio di portare a conclu-sione quel processo di ricomposizione territoriale di cui parlavamoall’inizio con l’acquisizione di San Flaviano, l’odierna Giulianova

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tenne il privilegio di usare un altare portatile, cfr. URBAIN V, Lettres communes, III, ac. di F. AVRIL et al., Roma, École Française de Rome, 1974, p. 336, n. 10814. Dopola morte del marito, Giacoma fissò la sua residenza a Canzano: la copia di un attonotarile col quale Gomez Albornoz vicario pontificio in Ascoli aveva venduto nel1370 ad Antonio d’Acquaviva il castrum di Mercato nelle Marche per 1.200 ducati,copia redatta su richiesta dello stesso Antonio, ora conte di San Flaviano, fu redattal’11 marzo 1384 a Canzano «in palatio magnifice mulieris domine Iacobe de SanctoSeverino», cfr. G. NEPI, Documenti inediti sugli Acquaviva conservati a Fermo, Teramo,Centro abruzzese di ricerche storiche, 1983, pp. 130-138, doc. XIX; N. BARONE, No-tizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria di Carlo III di Durazzo, in «Archivio sto-rico per le province napoletane», XII (1887), p. 185.

16 Per il ruolo di Antonio d’Acquaviva in queste circostanze si veda B. PIO, La“Guerra degli Otto Santi”, gli Acquaviva e Ascoli tra il XIV e il XV secolo, in Il confine neltempo. Atti del Convegno, Ancarano 22-24 maggio 2000, L’Aquila, Deputazione abruz-zese di storia patria, 2005, pp. 380-386.

17 Lo strumento di pace tra Teramani e Atriani, rogato il 5 agosto 1279 «apudMurrum in Camera Magnifici Viri Antonij de Aquaviva», è pubblicato in L. SOR-RICCHIO, Il Comune Atriano… cit., pp. 389-392, doc. n. LXXVIII. Proprio apud Mur-rum sarebbe morto il 16 gennaio 1298 il dominus Matheus de Aquaviva, bisavolo delconte Antonio, secondo il Necrologium adriense descriptum et recognitum, pubblicato inV. BINDI, Monumenti storici e artistici degli Abruzzi, Napoli, Giannini, 1889, p. 217.

(1382), e delle città di Teramo (1390) e Atri (1393).Questo processo di razionalizzazione feudale e ricomposizione terri-

toriale messo in atto nel primo secolo di dominazione angioina non èproprio della sola famiglia Acquaviva, anzi il disegno acquaviviano ap-pare concorrenziale rispetto ad un progetto analogo portato avanti conla medesima caparbietà e all’interno dello stesso ambito territoriale daun’altra importante famiglia feudale, di origine provenzale, quelladegli Agoult del ramo dei signori di Curbans, venuta nel Regno al se-guito di Carlo I d’Angiò nel 1266 con un personaggio di primaria im-portanza, quell’Amiel d’Agoult o de Curbans, che subito dopo la con-quista e proprio come remunerazione dei servigi resi ottenne dalprimo sovrano angioino l’importante castrum di Pettorano e i feudi diColleguidone, Pacentro, Rocca Guiberta e Petransieri. Amiel d’Agoult– che fu tra l’altro siniscalco di Provenza (1266), siniscalco di Lombar-dia e vicario regio in Piemonte (1271), rettore della Marca d’Ancona(1281-83), giustiziere d’Abruzzo (1283, 1285 e 1290) – e i suoi di-scendenti ricopriranno cariche molto importanti nell’ambito dell’am-ministrazione periferica del Regno e, cosa per il nostro ragionamentomolto significativa, sposteranno il loro raggio di azione nell’area com-presa tra il Tronto ed il Tordino, la stessa area nella quale si andavaconcretizzando il progetto acquaviviano18.

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18 Amiel d’Agoult nel 1279 rinunciò ai feudi di Pettorano, Colle Guidone, Pie-transieri, Pacentro e Rocca Guiberti e alla terza parte del castrum di Pesco Costanzoed ottenne in cambio Tortoreto, Controguerra e Colonnella in Abruzzo e Dragonarain Capitanata, cfr. I registri della Cancelleria Angioina, vol. XXIII, a c. di R. OREFICE,Napoli, Accademia Pontaniana, 1971, p. 5 n. 12; si spense nei primi mesi del 1292,cfr. I registri della Cancelleria Angioina, vol. XXXVIII, a c. di S. PALMIERI, Napoli,Accademia Pontaniana, 1991, p. 106 n. 466, pp. 154-155 n. 567, p. 233 n. 749, p.324 n. 936. Su questo personaggio di origini provenzali, che ha avuto la singolarefortuna di essere inserito due volte nel Dizionario biografico degli Italiani, vd. F. SABA-TINI, Agoult, Amelio d’, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 1, Roma, Istitutodella Enciclopedia Italiana, 1960, pp. 494-496; M. E. CAFFARELLI, Courban, Amielde, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 30, Roma, Istituto della EnciclopediaItaliana, 1984, pp. 494-496; più in generale, sulla storia degli Agoult, vd. F.MAZEL, La noblesse et l’Église en Provence, fin Xe – debut XIVe siècle. L’exemple des famillesd’Agoult-Simiane, de Baux et de Marseille, Paris, Éditions du CTHS, 2002.

Nel 1316 il dominio feudale di Amelio (II) de Corbano appare chia-ramente concentrato nella Val Vibrata, sono in suo possesso, infatti,Tortoreto, Controguerra, Colonnella, la metà di Ripattoni, Civita To-machiara, la metà di Torre a Tronto, Torano19. Per alcuni anni gliAgoult de Curbans controlleranno anche le baronie di Bellante e Mon-tepagano20. La evidente sovrapposizione territoriale delle sfere di espan-sione delle due famiglie non poteva che determinare un costante statodi guerra, di tanto in tanto interrotto da effimeri accordi di pace, comequello stipulato a Mutignano nel 1362 tra Matteo d’Acquaviva da unaparte ed il conte di San Valentino e Luigi d’Agoult dall’altra21, o comel’accordo firmato a Campli il 13 settembre 1371 da Antonio de Aqua-viva «pro se, familiaribus et sequacibus suis» da una parte e Amelio(III) de Corbano «pro se, fratribus, familiaribus et sequacibus suis»dall’altra, con l’intento, quanto mai vano, di superare gli odi insorti trale due famiglie a causa del controllo di alcuni territori22. La lotta tra idue lignaggi si concluse solo quando Carlo III, ormai padrone del trononapoletano, confiscò i beni di quanti avevano sostenuto le pretese diLuigi d’Angiò, cancellando dalla geografia feudale del Regno l’anticafamiglia feudale degli Agoult de Curbans i cui beni furono divisi traAntonio d’Acquaviva, che ebbe Civita Tomachiara, Tortoreto, Varano,Poggio Casanova e Troia, e la città di Ascoli, che nel 1385 ottenne Co-lonnella, Nereto, Gabiano, Torre a Tronto e Montorio a mare23.

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19 A.S.Te, Fondo Delfico, busta 23, fascicolo 365, c. 18v: «Domino Amelio deCorbano pro quibusdam bonis pheudalibus, idest Tortoretum, Controguerra, Co-lumnella, Dragonaria in Iust. Capitanate, med. Ripeactonis et Arnarie, Civitas Tho-macclaria, med. Turris ad Trontum et Toranum».

20 F. SAVINI, Le famiglie feudali della regione teramana nel Medioevo, Roma, Tip. delSenato, 1917, pp. 16-17.

21 L’arbitrato di pace del 29 giugno 1362 è pubblicato in L. SORRICCHIO, Il Co-mune Atriano… cit., pp. 386-389, n. LXXVII; cfr. L. SORRICCHIO, Hatria-Atri… cit.,II, pp. 376-381.

22 Archivio di Stato di Ascoli Piceno (d’ora in poi A.S.A.P., Archivio segreto anzianale,busta X, fasc. 6, perg. n. 1, Instrumentum pacis inter Amelium et Antonium de Aquaviva.

23 A.S.A.P., Archivio segreto anzianale, busta E, fasc. 3, pergg. nn. 3, 4, 5, 6, 7, 8;

Un altro aspetto che accompagna e caratterizza fortemente l’ascesadegli Acquaviva è costituito dalla radicale e feroce rivalità tra i duerami principali della famiglia, una rivalità che trovava forza nei dissidiper il controllo dei feudi situati in Abruzzo, per i beni burgensatici nelterritorio di Atri24, per il dominio su Acquaviva Picena, per gli inte-ressi rilevanti della famiglia nel territorio di Fermo.25 Una rivalità fe-

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busta T, fasc. 3, perg. n. 12. La vendita della terra di Colonnella con la sua fortezza,del castello di Nereto con Gabiano e Torre a Tronto, tolti al ribelle Amelio (III)d’Agoult e devoluti alla camera regia, fu fatta per conto del re Carlo III dal seneseDomenico de Ruffaldi, procuratore del sovrano, il 1 agosto 1385 per 14.000 ducatid’oro; il comune di Ascoli, quasi contemporaneamente, con atto notarile del 25 set-tembre 1385, acquistò da Giacomo di Luigi del fu Amelio (II) d’Agoult i dirittisugli stessi feudi per 11.000 ducati.

24 L’acquisizione da parte degli Acquaviva di beni allodiali nel territorio di Atririsale, probabilmente, all’epoca del matrimonio tra Rinaldo d’Acquaviva e Foresta,figlia di Leone d’Atri (seconda metà del sec. XII). Il patrimonio iniziale fu certa-mente ampliato nel corso dei secoli: nel 1281, ad esempio, Riccardo d’Acquaviva ac-quistò alcuni beni immobili dal monastero di Santa Maria Maddalena di Atri, cfr. Iregistri della Cancelleria Angioina, vol. XXIV, a c. di J. MAZZOLENI e R. OREFICE, Na-poli, Accademia Pontaniana, 1976, p. 33. Nel catasto atriano del 1362 Matteod’Acquaviva e Corrado di San Valentino figurano tra i cittadini proprietari di beniburgensatici, cfr. L. SORRICCHIO, Il Comune Atriano… cit., p. 112. Particolarmenteimportanti, per la presenza di mulini, erano le case ed i beni degli Acquaviva, ed inparticolare di Corrado d’Acquaviva di San Valentino, nella località Pantano, cfr. Re-gesto delle pergamene dell’Archivio Capitolare di Atri, a c. di B. TRUBIANI, L’Aquila, De-putazione abruzzese di storia patria, 1983, vol. I, pp. 38-40 n. 56 (11 gennaio 1322)e pp. 68-72 n. 110 (10 ottobre 1363). Ovviamente, i beni allodiali della famiglianel territorio di Atri risultano ancora più numerosi nel catasto del 1410, cfr. L. SOR-RICCHIO, Hatria-Atri…, vol. III, pp. 48-49.

25 Il dominio sulla terza parte di Acquaviva Picena, nel corso della seconda metàdel sec. XIII, determinò un’aspra contesa anche con la potente famiglia marchigianadei Brunforte; cfr. M. TABARRINI, Sommario cronologico di carte fermane anteriori al secoloXIV, in G. DE MINICIS, Cronache della città di Fermo, Firenze, Deputazione di storiapatria per le provincie della Toscana, dell’Umbria e delle Marche, 1870, pp. 318,389, 403, 469-470, 486, 497-499, 501. Un’altra lite, generata dai diritti comunisui castelli di Rocca e Trifigno, contrappose i due rami della famiglia Acquaviva e furegolata, dopo la morte di Matteo d’Acquaviva (1298), da un compromesso rag-giunto tra Corrado di San Valentino e i figli del defunto Matteo che rimetteva la

roce, dicevamo, dalla quale derivavano continui scontri armati, imbo-scate, rappresaglie che costringevano, solitamente invano, i sovrani adintervenire per reprimere i disordini, tentare pacificazioni o, almeno,evitare l’espandersi del conflitto con il coinvolgimento di altre dinastiefeudali o di elementi delle élites urbane. Esemplare, al riguardo, la vi-cenda di Riccardo d’Acquaviva, accusato nel 1271 di aver protetto i re-sponsabili del ferimento di Gualtieri d’Acquaviva, ovvero di essere ilmandante dell’aggressione ai danni del congiunto, che fu esentatoanche dal pagamento di una pena pecuniaria per essere accorso pronta-mente all’assedio del castello di Macchia che si era da poco ribellato alsovrano angioino26: la pressante necessità di aiuto militare, in un mo-mento in cui si accendevano alcuni focolai di resistenza ghibellina,spingeva inesorabilmente il sovrano a soprassedere sulle responsabilitàdi un barone fedele e sempre pronto a soccorrere con i suoi armati le ra-gioni della corona. Deve essere comunque sottolineata l’importanza delsecondo ramo della famiglia Acquaviva che, pur non raggiungendo glisplendori del ramo atriano, fu il primo ad ottenere il titolo comitalecon Corraduccio, creato nel 1337 conte di San Valentino, feudo perve-nuto alla famiglia nel 1302 grazie al matrimonio tra un altro Corrado eFrancesca di Trogisio27. Non solo, ma fu proprio questo ramo della fa-

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questione ad un arbitrato affidato ad Andrea di Salle e Odone di Atri, cfr. L. SORRIC-CHIO, Hatria-Atri… cit., II, p. 242.

26 I registri della Cancelleria Angioina, vol. VII, a c. di J. MAZZOLENI, Napoli, Accade-mia Pontaniana, 1955, p. 91 n. 5: «Mandatum contra Riccardum de Aquaviva, citatumde receptationem illorum, qui vulneraverunt Gualterium de Aquaviva, consanguineumsuum, sub pena unc. D»; I registri della Cancelleria Angioina, vol. VIII, a c. di J. DONSI

GENTILE, Napoli, Accademia Pontaniana, 1957, p. 142 n. 218: «Mandat quatenus Ric-cardus de Aquaviva mil. non molestetur pro pena unc. D, debita regio Fischo “donecfuerit in obsidione Macle”». Nel febbraio 1272 Carlo I inserì Riccardo nell’elenco deifeudatari abruzzesi dispensati dal recarsi a Brindisi, dove il sovrano stava riunendol’esercito per una spedizione contro Bisanzio, perché la loro presenza era ritenuta «inistis partibus utilis et etiam oportuna», cfr. I registri della Cancelleria Angioina, vol. VIII,a c. di J. DONSI GENTILE, Napoli, Accademia Pontaniana, 1957, p. 6 n. 13 e p. 8 n. 31.

27 Nel 1306 Corrado di Gualtiero d’Acquaviva, signore di San Valentino, in seguitoad una lite per alcuni diritti sul castello di Trifigno, uccise con un colpo di lancia alla

miglia ad intravedere nella carriera ecclesiastica una opportunità peraccrescere la propria influenza ed il proprio patrimonio28.

Un altro aspetto della storia medievale degli Acquaviva – solita-mente trascurato dalla storiografia ma molto importante se non addi-rittura determinante, almeno per quanto riguarda l’ascesa del ramo diSan Valentino – è costituito dalla presenza di alcuni membri destinatia percorrere significative carriere ecclesiastiche, spesso intrecciate congli interessi politici dei membri laici della famiglia. Almeno tre fu-rono le figure destinate al governo di sedi vescovili prestigiose o com-prese nelle aree in cui si andava dispiegando quella politica di serrataacquisizione territoriale di cui abbiamo parlato: Rinaldo vescovo diAgrigento (1240-1266), Rinaldo vescovo di Teramo (1300-1314) eGiovanni vescovo di Ascoli (1369-1374), quindi arcivescovo prima diAmalfi (1374-1378) e poi di Salerno (1378-1382).

Rinaldo d’Acquaviva, eletto vescovo di Agrigento nel luglio 1240,nell’agosto del 1258, diffusasi la falsa notizia della morte di Corradinodi Svevia, celebrò la messa in occasione dell’incoronazione di Manfredi

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gola Oderisio di Raiano; nonostante la gravità del fatto, il sovrano Carlo II lo condannòsolo a due anni di confino nell’isola di Cipro, condanna successivamente commutatacon il confino in Inghilterra, e alla multa di 500 once da pagarsi ai monasteri di SanDomenico, San Lorenzo e Sant’Agostino di Napoli, in beneficio dell’anima del defuntoOderisio; il sovrano, inoltre, intervenne per pacificare le due importanti famiglie feu-dali; cfr. M. CAMERA, Annali… cit., vol. II, p. 144-145. I beni di Corrado, già mortonel 1324 quando sua moglie Francesca di Trogisio è detta vedova, passarono al nipoteomonimo detto Corraduccio per distinguerlo dal nonno; cfr. L. SORRICCHIO, Hatria-Atri… cit., II, p. 281. Corraduccio, figlio del defunto Giacomo, nel 1320 ottenne ladispensa pontificia per sposare Isoarda, figlia di Amelio de Curbans, «pro contrahendointer ipsos matrimonio ad tollendas inimicitias ortas ex tempore Gentilis de Sangro aviIsoarde et Conradi de Aquaviva avi Conradi»; cfr. F. SAVINI, Septem Dioeceses Aprutiensesmedii aevi in Vaticano tabulario, Roma, Tip. del Senato, 1912, p. 46; JEAN XXII, Lettrescommunes, III, a c. di G. MOLLAT, Paris, A. Fontemoing, 1905, p. 92 n. 11318.

28 Sugli Acquaviva conti di San Valentino cfr. G. M. MONTI, Un documento ineditosugli Acciaioli, in Nuovi Studi Angioini, Trani, Vecchi & C., 1937, pp. 375-383; V.GAGLIANO, Le origini di una grande famiglia feudale: gli Acquaviva, tesi di laurea, rel. L.GATTO, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, a.a. 2000-2001, pp. 137-157.

nella cattedrale di Palermo e per questo fu deposto e scomunicato dapapa Alessandro IV nell’aprile del 125929. L’Acquaviva, in realtà, conti-nuò ad amministrare la sua diocesi e nel 1263 fu nominato da Man-fredi procuratore dell’arcidiocesi di Palermo, all’epoca vacante; perse ilcontrollo della sede agrigentina solo dopo il crollo degli Svevi, quandosi ritirò nel monastero abruzzese di Santa Maria di Casanova. Egli com-pare infatti nel giugno 1267 tra i sottoscrittori di una donazione re-datta «in camera domini Abbatis» nella quale si sottoscrive «Rainal-dus de Acquabiva episcopus quondam Agregentinus»30. Sebbene pocolegato alle vicende abruzzesi egli contribuì sicuramente all’aumentodel prestigio famigliare in età sveva, e fu uno dei più importanti pre-suli della diocesi agrigentina, segnalandosi non solo in azioni di recu-pero patrimoniale e giurisdizionale a vantaggio della sua sede, maanche in operazioni liturgiche e culturali di ampio respiro come il ri-lancio del culto di Gerlando, primo vescovo normanno di Agrigento, ola redazione del Libellus de successione pontificum Agrigenti, primo tenta-tivo di ricostruzione delle vicende storiche della diocesi agrigentina31.

Un altro esponente della famiglia Acquaviva, anch’esso di nomeRinaldo, fu eletto vescovo di Teramo nel 1300 dal capitolo aprutino econfermato, il 6 novembre di quello stesso anno, dal pontefice Bonifa-cio VIII32. Rinaldo nel 1307 fece costruire il nuovo episcopio33 e nel

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29 M.G.H., Epistolae saeculi XIII. e regestis pontificum Romanorum selectae, vol. II, a c.di C. RODENMBERG, Berolini 1887, p. 541 n. 734; J. F. BÖHMER, Regesta Imperii,vol. V, Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto IV, Friedrich II, Heinrich (VII),Conrad IV, Heinrich Raspe, Wilhelm und Richard, 1198-1272, a c. di J. FICKER – E.WINKELMANN, Innsbruck, 1901, p. 1435 n. 9191.

30 A. MONACI, Notizie e documenti per l’Abbazia di Casanova nell’Abruzzo, in «IlMuratori», 3 (1894), pp. 35-36 n. 73.

31 Sul presule agrigentino vd. N. KAMP, Kirche und Monarchie im Staufischen KönigreichSizilien, I Prosopographische Grundlegung: Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266,3 Sizilien, München, W. Fink, 1975, pp. 1154-1157. Breve ed imprecisa la voce Acqua-viva, Rinaldo in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 1, Roma 1960, pp. 182-183.

32 F. SAVINI, Septem Dioeceses… cit., pp. 431-432 n. XVIII; cfr. N. PALMA, Storiaecclesiastica e civile… cit., vol. II, pp. 47-50.

33 La costruzione del nuovo palazzo vescovile è testimoniata da una lapide ri-

1308 donò al fratello Corrado di San Valentino la terza parte di RipaRattieri, possesso della chiesa aprutina, e fece confermare la donazionedal principe ereditario Roberto d’Angiò, duca di Calabria. Verosimil-mente l’acquisizione di un feudo situato a ridosso della città costituivauna seria ipoteca per il controllo di Teramo da parte degli Acquavivadi San Valentino che solo nel giugno 1363, quando ormai i loro inte-ressi erano orientati verso altre direzioni, vendettero quel feudo allacittà di Teramo34. Peraltro, tutt’altro che buoni furono i rapporti traRinaldo e i Teramani, che nel 1308 ottennero dal sovrano un provve-dimento contro i famigliari armati del vescovo che danneggiavano gliinteressi ed i beni dei cittadini35. A partire dal vescovato di Rinaldo, lerelazioni della famiglia con la città di Teramo cominciano ad intensifi-carsi, tanto che alcuni esponenti minori della famiglia Acquaviva fis-sarono la loro residenza in città36. Comincia in tal modo un rapportointenso e non sempre positivo che si snoda attraverso mille episodi trai quali vale la pena di ricordare almeno la scorreria guidata da Ric-cardo di Acquaviva che nel 1319, pochi anni dopo la morte del fra-tello vescovo, alla testa di una schiera di armati, penetrò all’internodel palazzo vescovile di Teramo per rubare oggetti ed animali per unvalore, non certo trascurabile, di trecento once d’oro37. Il vescovo Ri-

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messa in opera nel cortile del palazzo stesso che recita: «A.D. M.CCC.VII HOC OPUS

FIERI FECIT VENERABILIS PATER DOMINUS RAINALDUS DE AQUAVIVA MISERATIONE DI-VINA EPISCOPUS APRUTINUS INDICTIONE V».

34 MUTIO DE MUTIJ, Della storia di Teramo dialoghi sette, con note ed aggiunte diG. PANNELLA, Teramo, Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, p. 112; N. PALMA, Storiaecclesiastica e civile… cit., vol. II, p. 70. Nello stesso mese l’università di Teramo ot-tenne dalla regina Giovanna II l’assenso per l’acquisto degli altri due terzi di RipaRattieri, cfr. G. DEL PICCOLO, Contributo per lo studio della storia giuridica di Teramo.Le pergamene dell’archivio comunale di Teramo (sec. XIV), Teramo, 1990, pp. 105-113.

35 F. SAVINI, Le famiglie feudali… cit., pp. 4-5. Nel 1309 Carlo II intervenne controi Teramani che avevano liberato il prete Montanaro detenuto nelle carceri vescovili.

36 N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile… cit., vol. II, pp. 102-104; MUTIO DE

MUTIJ, Della storia di Teramo… cit., pp. 46-47.37 Cfr. R. CAGGESE, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, I, Firenze, Bemporad & Figlio,

1922, p. 257, che riporta dal Registro Angioino n. 222, c. 144, l’elenco dei beni trafu-

naldo morì nel maggio 1314 e fu l’ultimo vescovo teramano eletto dalcapitolo della cattedrale aprutina, infatti alla sua morte una lacerantespaccatura del capitolo portò alla duplice elezione di Nicola d’Andrea,canonico teatino, e di frate Guglielmo di Civitella. La situazionevenne risolta, con l’elezione del romano Niccolò degli Arcioni, solograzie all’intervento della curia romana che da quel momento si ri-servò il diritto di nominare il vescovo di Teramo38.

Un’altra figura di prelato molto significativa, ma sistematicamenteignorata da eruditi e genealogisti, è quella di Giovanni d’Acquaviva,figlio di Corrado conte di San Valentino, canonico della chiesa teatinae, successivamente, preposto della chiesa di Strasburgo e cappellanodel pontefice Urbano V, che fu eletto vescovo di Ascoli nell’ottobre1369 in sostituzione di Agapito Colonna, trasferito a Brescia. Nomi-nato arcivescovo di Amalfi nel dicembre 1374, quindi arcivescovo diSalerno sul finire del 1378, nel corso del 1379 condusse una delicatamissione in Ungheria e si spense nel 138239.

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gati: «baculum pastoralem argenteum; mitram pontificalem munitam auro et lapi-dibus preciosis; pluviale unum serico et auro contestum, et alia vestimenta sacerdo-talia de velluto; libros cum tabulis deargentatis duos; bacilia de argento duo; bocaliaargentea duo; bravia de serico quatuor; parassides de argento duodecim; equosdecem et mulos tres; pluraque alia bona mobilia». Nel settembre 1313 il miles Cor-rado d’Acquaviva fu inserito nell’elenco dei baroni e feudatari che per ordine di reRoberto si sarebbero dovuti recare a combattere in Calabria, ma essendo malato(«quia infirmus est podacrico morbo laborans») inviò al suo posto un suo cavalierecon quattro armigeri, cfr. C. MINIERI RICCIO, Genealogia di Carlo II d’Angiò, in «Ar-chivio storico per le province napoletane», VII (1882), pp. 231-232.

38 F. SAVINI, Septem Dioeceses… cit., pp. 434-436 n. XIX.39 A.S.A.P., Archivio segreto anzianale, busta E, fasc. 2, perg. n. 7, lettera del 20 ot-

tobre 1379 con la quale Urbano V comunica alla città di Ascoli il trasferimento diAgapito Colonna alla diocesi di Brescia e l’elezione del nuovo vescovo nella persona diGiovanni, preposto della chiesa di Strasburgo e cappellano del papa; cfr. URBAIN V,Lettres communes, tomo III, cit., p. 173 n. 9721, p. 350 n. 10910; tomo VIII, Roma,1982, p. 491, nn. 25214-25215; tomo IX, Roma, 1983, p. 38 n. 25653, pp. 50-51 n.25708, p. 141 n. 26181, pp. 165-166 n. 26327, p. 355 n. 27026; C. EUBEL, Hierar-chia Catholica medii aevi (...) ab anno 1198 ad annum 1431 perducta, Monasterii, sumpt.et typis Librariae Regensbergianae, 1913, pp. 84, 111 e 430. Secondo la Cronaca asco-

Non mancano altre figure di ecclesiastici, che solo per questioni ditempo non posso far altro che ricordare velocemente, come Berardod’Acquaviva, tormentato abate di San Salvatore a Maiella40, che in qual-che modo ci ricorda il legame economico molto stretto tra i possedi-menti degli Acquaviva di San Valentino e l’area maiellana; Bernabòd’Acquaviva fratello di Andrea Matteo I e abate del prestigioso, seppureormai decadente, monastero di San Clemente a Casauria, morto nel140341; Pietro Bonifacio d’Acquaviva, abate casauriense dopo la mortedello zio Bernabò, che si impadronì «indebite et iniuste» dell’abbazia

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lana dal 1345 al 1523, a c. di A. SALVI, Ascoli Piceno, Gagliardi, 1993, p. 22, «1370,4 maii, dominus Ioannes de Aquina [corrige Aquaviva], novus episcopus electus postmortem Agabiti predicti, venit Asculum ad possessionem episcopatus».

40 Morto l’abate Rainaldo di Luco nel 1338, i monaci di San Salvatore non riusci-rono a trovare un accordo sulla scelta del nuovo abate: alcuni elessero Berardo d’Ac-quaviva, altri Riccardo di Guardiagrele, ambedue monaci di San Giovanni in Ve-nere. Il capitolo di San Pietro, da cui dipendeva l’abbazia abruzzese, confermò l’ele-zione di Berardo ma Riccardo, «fultus laicali potentia», riuscì ad impadronirsi delmonastero suscitando l’intervento di Benedetto XII che gli ordinò di rimettere il ce-nobio nelle mani del cardinale di Santa Prisca (1341); cfr. BENOIT XII, Lettres commu-nes, II, a c. di J. M. VIDAL, Paris, A. Fontemoing, 1910, nn. 6519 e 8419; F. SAVINI,Septem Dioeceses… cit., p. 304 n. 96 e p. 305 n. 98. Nel gennaio 1347 il ponteficeClemente VI ordinò al vescovo di Cassino di raccogliere informazioni sulla dupliceelezione e di valutare le reciproche accuse; particolarmente gravi, anche se evidente-mente esagerate, sembrano le accuse rivolte contro Berardo: «Et quod dictus Berar-dus fecerat interfici quendam monachum, et erat publicus concubinarius, et exindeapparebant duo spurii filii eius, proditor, fur seu latro, sacrilegus, periurius, simo-niacus ac falsarius, et quod procuraverat per quosdam assassinos antedictum Riccar-dum interfici, nec per eum steterat quominus mors proinde secuta fuisset, ipsumquefecerat invadi, et percuti usque ad effusionem sanguinis et insuper erat augur som-niorum expositor divinator, ac incantator, et negromantiam exercens», cfr. F.SAVINI, Septem Dioeceses… cit., pp. 309-310 n. 116.

41 Nell’autunno del 1403, il pontefice Bonifacio IX concesse i beni del defuntoBernabò al fratello di questi, Andrea Matteo d’Acquaviva, e creò abate commendata-rio di Casauria Pietro Bonifacio d’Acquaviva, secondogenito del duca d’Atri, desti-nato ad abbandonare la vita ecclesiastica per raccogliere la successione del fratelloAntonio (II), morto nel 1415; cfr. F. SAVINI, Septem Dioeceses… cit., pp. 227-228 n.90, pp. 484-485 n. LIII, pp. 485 n. LIV.

di San Nicolò a Tordino ma abbandonò la carriera ecclesiastica per rac-cogliere la successione del fratello maggiore Antonio (II), morto nel1415 senza figli42; Restaino de domo Acquaviva, preposto di Santa Mariadi Propezzano, mediante il quale Giosia d’Acquaviva rafforzò il con-trollo sull’antichissimo cenobio di Propezzano che, secondo un’iscri-zione, era stato ristrutturato alcuni decenni prima, «TEMPORE MAGNIFICI

DOMINI ANTONII DE ACQUAVIVA COMITIS SUB ANNO 1384»43.La meticolosa costruzione di un complesso territoriale compatto ed

omogeneo, sapientemente perseguita con oculate acquisizioni feudali econ un’attenta politica matrimoniale, e la lenta e faticosa conquista diun ruolo politico-sociale, che passava anche attraverso il controllo disedi vescovili e fondazioni monastiche, raggiunsero la loro sublima-zione nella persona di Antonio d’Acquaviva che, a nostro avviso, rap-presenta la figura centrale nella storia della famiglia, se non propriol’anello più importante, sicuramente l’elemento determinante per latrasformazione dello status del nucleo famigliare che con lui entra apieno titolo nel novero delle grandi dinastie italiane con interessi edinfluenze di grande respiro44.

Nella lunga guerra tra i sostenitori di Luigi I duca d’Angiò, chia-mato dalla regina Giovanna I nel 1380 alla successione al trono sici-liano, ed i fautori di una soluzione ‘nazionale’ che invece guardavanocon simpatia a Carlo di Durazzo, investito nel giugno 1381 dal ponte-fice Urbano VI, l’Abruzzo si presenta, sostanzialmente, come una re-gione dalle forti aderenze angioine45. In un momento in cui la que-

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42 F. SAVINI, Le famiglie feudali… cit., pp. 9-10 che, inspiegabilmente, distinguela figura dell’abate da quella del duca, pur ritenendo ambedue i personaggi figli diAndrea Matteo I; cfr. N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile… cit., vol. IV, Teramo,Ubaldo Angeletti, 1834, p. 193.

43 N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile… cit., vol. IV, p. 215. Restaino, mai men-zionato nelle genealogie degli Acquaviva, era forse figlio di Antonio (I) e di France-sca Cantelmi, a sua volta figlia di Restaino Cantelmi signore di Popoli.

44 Su Antonio d’Acquaviva vd. la breve voce curata da G. CONIGLIO per il Dizionariobiografico degli Italiani, vol. 1, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960, p. 167.

45 Per un quadro generale delle città e dei principali baroni aderenti al partito

stione della successione al trono, che già di per se suscitava passioniviolente, si intrecciava pericolosamente con la spinosa questione delloscisma, che vedeva il Regno lacerato non solo tra angioini e durazze-schi, ma anche tra clementisti (seguaci di Clemente VII) e urbanisti(seguaci di Urbano VI, il napoletano Bartolomeo Prignano), Antoniod’Acquaviva fu uno dei principali sostegni del partito durazzesco.L’importanza di un simile posizionamento risulta maggiormente signi-ficativo in considerazione del fatto che la grande feudalità del Regno,al pari di alcune grandi città come L’Aquila o Atri, ma con la significa-tiva eccezione di Napoli, non esitò, almeno in un primo momento, aschierarsi con il pretendente angioino, salvo poi ricredersi a seguito deisuccessi del partito durazzesco e della sfortunata sorte di Luigid’Angiò, prematuramente morto in Puglia nel settembre 138446.

Con la vittoria di Carlo III, Antonio d’Acquaviva vide premiati ilsuo impegno e la sua fedeltà non solo con la concessione di nuovifeudi47, primo fra tutti San Flaviano, ma anche con l’eliminazione diquanti avrebbero potuto ostacolare i suoi disegni di espansione territo-riale: non a caso tra i ribelli a cui il sovrano negò la grazia nel novem-bre 1382 compaiono molti dei nemici dell’Acquaviva come il conte diMontorio Lalle Camponeschi, Giacomo e Nicola d’Acquaviva delramo di San Valentino, Rizzardo di Atri, Amelio de Corbano48.

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angioino cfr. D. MARROCCO, Re Carlo III di Angiò Durazzo, Capua, Tip. Salvi, 1967,pp. 166-192.

46 Per un primo approccio alla figura del pretendente angioino vd. P. SARDINA,Luigi I d’Angiò, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 66, Roma, Istituto dellaEnciclopedia Italiana, 2006, pp. 492-496.

47 Il 21 aprile 1393 il pontefice Bonifacio IX confermò ad Antonio d’Acquavivatutte le concessioni fatte da Carlo III e da Ladislao, vale a dire San Flaviano (12aprile 1382), Civita Tomacchiara (15 aprile 1383) tolta al ribelle Amelio (III) deAgoult, un castello in Capitanata (13 febbraio 1384) tolto al conte di Conversano,Varano, la metà di Poggio Casanova e alcune parti di Troia (18 luglio 1385) tolti aGiacomo di Luigi de Agoult, Tortoreto (8 marzo 1386) tolto al detto Amelio III deAgoult; cfr. F. SAVINI, Septem Dioeceses… cit., pp. 82-83, nn. 192, 195, 196.

48 N. BARONE, Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria di Carlo III… cit., p.186. Tra i feudi accordati ad Antonio dopo la vittoria del partito Durazzesco va anno-

Con la concessione di San Flaviano, il 12 aprile 1382, segno tangi-bile del favore del cugino sovrano per l’importante aiuto militare for-nito durante la prima invasione angioina, – «cum egregiam operamRegno armis praestitisset» – Antonio si presenta come signore della piùvasta ed articolata signoria feudale tra il Pescara ed il Tronto ed è ormaipronto ad avanzare pretese sulle vivaci città dell’area piceno-aprutina49.

In particolare bisogna osservare che il porto di San Flaviano avevaormai soppiantato per importanza l’antico porto di Cerrano e si eratrasformato in uno scalo marittimo commerciale di prim’ordine, sicu-ramente uno dei più importanti lungo il tratto di costa compreso trale foci del Tronto e del Pescara. Non è certo un caso se la regina nel1362 aveva ordinato al maestro portolano, vale a dire al funzionarioincaricato di sovrintendere alla gestione dei porti adriatici, di non fa-

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verata anche la contea di Montorio, tolta proprio ai Camponeschi aquilani, primo ten-tativo di espansione verso la montagna di Roseto e, quindi, verso i pascoli montaniricchi di lana, materia prima che veniva lavorata negli ambienti urbani di Teramo eAtri; cfr. R. COLAPIETRA, Feudo e società a Montorio, in La valle dell’alto Vomano ed iMonti della Laga (Documenti dell’Abruzzo Teramano, III, 1), Pescara, Carsa Edizioni,1991, p. 66. Gli Acquaviva di San Valentino, insieme con i Camponeschi, guidaronoin Abruzzo il partito angioino contro i durazzeschi, per questo motivo, nel 1382,Carlo III privò Giacomo e Corrado d’Acquaviva del contado di San Valentino e lo con-cesse a Giovanni Orsini conte di Manoppello; solo nel 1398 Corrado fu reintegrato daLadislao nei suoi domini, nonostante la concessione del contado di San Valentino pre-cedentemente fatta in favore di Napoleone Orsini che aprì la via ad una annosa contro-versa giudiziaria, ancora pendente nel 1404; cfr. Biblioteca Nazionale di Napoli, ms.IX-C-14, Apparatus historicus, tomo I, p. 183; tomo IV, pp. 324, 497, 540-542 e 547.

49 Carlo III, il 15 gennaio 1383, ordinò al miles Bartolomeo Smeducci di San Seve-rino, suo vicario negli Abruzzi, di immettere Antonio nel possesso della terra di SanFlaviano, cfr. V. BINDI, Castel S. Flaviano presso i Romani Castrum Novum, vol. I, Na-poli, F. Mormile, 1879, pp. 116-117, vol. II, Napoli, F. Mormile, 1880, pp. 107-108. Nel 1388-89 il pretendente Luigi d’Angiò concesse la contea di San Flaviano aLudovico di Savoia, cadetto del ramo dei principi di Acaia, che lo aveva seguito nellaspedizione contro Ladislao ed era stato nominato anche viceré degli Abruzzi. Il Savoiaabbandonò il Regno nel 1391, in seguito alla morte del conte Amedeo VII di Savoia,per entrare nel consiglio di reggenza presieduto dalla vedova Bona di Bourbon; cfr. P.LITTA, Famiglie celebri italiane. Duchi di Savoia, tav. V, stampata nel 1840.

vorire il porto di San Flaviano in danno di quello di Cerrano50.Le difficoltà politiche e finanziarie del governo centrale, determi-

nate dal continuo stato di guerra, dalla scomparsa di Carlo III e dallaminorità del piccolo Ladislao di Durazzo, consentiranno ad Antonio dicompiere un ulteriore passo avanti e di estendere il proprio dominiosulle città di Teramo ed Atri51.

In particolare Antonio, si impadronì di Teramo il 22 novembre1390, facendo leva sulle aspirazioni della piccola nobiltà rurale di ori-gine franco-longobarda, inurbatasi da oltre un secolo e rappresentatadalla famiglia de Melatino, desiderosa di scalzare dal governo citta-dino quella composita oligarchia che si era cristallizzata intorno al ve-scovo Pietro de Valle e a suo fratello Antonello, ormai vicino all’in-staurazione di una vera e propria dominazione personale non dissimile,almeno nelle intenzioni, dal predominio esercitato dai Camponeschinella città dell’Aquila52.

Significative al riguardo le parole del canonico aprutino appuntatenel Necrologio della cattedrale teramana:

«Nell’anno del Signore 1390 Antonio d’Acquaviva, conte di San Fla-viano, guidato da Enrico di Roberto de Melatino, che allora era esule,entrò nella città di Teramo e la sottomise dopo aver ucciso il crudeletiranno Antonello di Giovanni de Valle, che aveva condannato all’esi-

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50 L. SORRICCHIO, Hatria-Atri… cit., II, pp. 284-285.51 La corte regia individuò nella vendita dei centri urbani in favore dei baroni

uno dei rimedi per sopperire alla carenza di risorse finanziarie; negli stessi anni, adesempio, gli Orsini di Manoppello acquistarono Pescara dal gran contestabile delRegno Alberico da Barbiano, cfr. C. MINIERI RICCIO, Notizie storiche tratte da 62 regi-stri angioini dell’Archivio di Stato di Napoli, Napoli, R. Rinaldi e G. Sellitto, 1877,pp. 86-87. Sulle esauste finanze del Regno e sui provvedimenti presi per porvi rime-dio cfr. A. VALENTE, Margherita di Durazzo vicaria di Carlo III e tutrice di re Ladislao,in «Archivio storico per le province napoletane», XLIII (1918), pp. 187-188.

52 R. COLAPIETRA, Ombre e luci nell’autunno del Medioevo: il regno di Napoli nel pe-riodo durazzesco, in «Rassegna storica salernitana», XIV (1997), p. 43: «la società cit-tadina di Teramo che, contro i durazzeschi Acquaviva, si raccoglie intorno al vescovoconcittadino Pietro de Valle ed al fratello Antonello, che arieggiavano a tirannidemunicipale e perciò erigevano una rocca sulle sponde del Vezzola».

lio molti nobilissimi cittadini e depredati i loro beni… La testa diAntonello – continua la nostra fonte – affissa sulla punta di una lan-cia, fu portata per tutta la città, il suo palazzo fu distrutto dal popoloed al suo posto fu eretto il pubblico macello»53.

Due anni dopo, nel 1392, Antonio si impadronì anche della città diAtri, fino a quel momento occupata dalle truppe francesi di Luigid’Angiò, il pretendente al trono che nel 1390 per controllare la città eil territorio circostante aveva fatto costruire una rocca54. L’instaurazionedi un dominio di fatto venne successivamente regolarizzato quando, il6 maggio 1393, Antonio d’Acquaviva, ormai al culmine della sua po-tenza, acquistò dalla corte per 35.000 ducati d’oro le città di Teramo edi Atri55. Ed ha probabilmente ragione Raffaele Colapietra quando af-

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53 B. PIO, Il necrologio della cattedrale aprutina, in L’esemplare vicenda. Studi storicisull’Abruzzo offerti a Riccardo Cerulli ottuagenario, a c. di S. GALANTINI, Teramo, Edi-grafital, 2000, p. 63: «Anno Domini M.CCC.L.XXXX, Antonius de Aquaviva, SanctiFlaviani comes, ductus ab Henrico Roberti de Melatino, qui tunc exulabat, intravitcivitatem Terami et eam subegit sibi, occiso crudeli tyranno Antonello Ioannis deValle, qui multos nobilissimos cives in exilium egerat direptis eorum bonis. …Caput Antonelli, affixum in lancea, per urbem totam portatum fuit et eius palatiuma populo dirutum est, et ibi macellum publicum erectum fuit».

54 Il Necrologio atriano… cit., p. 256, ricorda che l’8 agosto 1414, dopo la mortedi Ladislao, gli Atriani distrussero la rocca costruita «in Capite Adrie» e precisa:«quod castrum fuit edificatum et constructum tempore francigenorum sub anno1390». Il 23 gennaio 1392 Bonifacio IX incaricò l’abate di San Giovanni in Veneredi assolvere dall’interdetto il comune ed i canonici di Atri che si erano schierati conl’antipapa Clemente VII e con Luigi d’Angiò, «invasor et occupator» del Regno diSicilia, si erano ribellati contro la Chiesa romana e contro il legittimo sovrano Ladi-slao ed avevano introdotto in città un «antiepiscopus»; gli Atriani promisero al pon-tefice di aiutare Antonio d’Acquaviva conte di San Flaviano nelle operazioni tese aridurre «ad fidelitatem ed obedientiam nonnulla castra et loca ipsorum partium»,cfr. F. SAVINI, Septem Dioeceses… cit., p. 22 n. 60.

55 L’atto di vendita delle due città fu redatto a Teramo, nel palazzo vescovile. Al-berico da Barbiano e Francesco Dentice, rispettivamente contestabile e maresciallodel Regno, per conto del sovrano Ladislao, vendettero ad Antonio d’Acquaviva, contedi San Flaviano e di Montorio, le città di Teramo e Atri col mero e misto impero e lapotestà della spada per 35.000 ducati, 23.000 dei quali erano stati già versati; la ven-dita fu confermata da Ladislao, con il consenso della madre Margherita, con atto re-

ferma che l’operato di Antonio d’Acquaviva rappresenta «il primo ten-tativo abruzzese dopo Aquila di collaborazione tra la nobiltà feudale el’universitas», un tentativo teso a raccordare lo scalo marittimo di SanFlaviano con le ricche realtà agricole della fascia collinare e con la vi-vace realtà cittadina di Teramo, con il suo populo menore dedito all’arti-gianato ed al commercio minuto, e di Atri, una città in profonda deca-denza, dove tuttavia ancora trovava una solida organizzazione l’artedella lana, ideale punto di approdo per gli armenti del Gran Sasso edella Laga56. Non è certo un caso se il sovrano, poco dopo aver confer-mato Atri ad Antonio d’Acquaviva, consente nell’agosto del 1395 aquella città di tenere la fiera nella festività dell’Assunzione57.

Tuttavia, il vero capolavoro di Antonio fu il matrimonio celebrato

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datto a Gaeta il 20 giugno 1393; cfr. N. BARONE, Notizie raccolte dai Registri di Can-celleria del re Ladislao… cit., pp. 736-737; L. SORRICCHIO, Hatria-Atri, vol. III, Dalladinastia Durazzesca alla morte di Filippo II di Spagna (1382-1598), a c. di B. TRUBIANI,Teramo, Cassa di Risparmio della provincia di Teramo, 1980, pp. 25-31.

56 R. COLAPIETRA, Abruzzo citeriore – Abruzzo ulteriore, Molise, in Storia del Mezzogiorno,vol. VI, Le province del Mezzogiorno, Napoli, Edizioni del sole, 1986, p. 41; cfr. R. COLA-PIETRA, Ombre e luci nell’autunno del Medioevo… cit., p. 45: con Antonio gli Acquaviva«perseguirono la politica di assorbimento delle città nel territorio militare e rurale checondurrà dall’assassinio di Antonello de Valle a Teramo, nel novembre 1390, all’acqui-sto della stessa città e di Atri, nel maggio 1393». Sull’ars lanificii in Atri nella primametà del Trecento vd. G. M. MONTI, Le corporazioni nel Regno di Sicilia prima del 1347, inDai Normanni agli Aragonesi, Trani, Vecchi & C., 1936, pp. 207-208 e 221-223.

57 Per la fiera dell’Assunzione, che durava 8 giorni, cfr. V. BINDI, Monumenti sto-rici… cit., p. 290; L. SORRICCHIO, Hatria-Atri… cit., vol. III, p. 33. La morte diAntonio d’Acquaviva deve essere collocata sul finire del 1394: il 1 ottobre del dettoanno Bonifacio IX affidò a Antonio de’ Vecchi vescovo di Fermo il compito di me-diare per il raggiungimento di un accordo tra il comune di Ascoli ed Antonio d’Ac-quaviva, conte di San Flaviano e Montorio; pochi mesi dopo, il 3 gennaio 1395, ilpontefice si rivolse allo stesso vescovo auspicando una pace o, almeno, una tregua trail comune piceno e Andrea Matteo d’Acquaviva, erede e successore di Antonio; su-bito dopo, il 12 gennaio dello stesso anno, Bonifacio IX concesse alla nipote Cate-rina Tomacelli, moglie di Andrea Matteo d’Acquaviva, una provvigione annua di400 fiorini d’oro chiamandola contessa di San Flaviano, cfr. F. SAVINI, Septem Dioece-ses… cit., p. 85 n. 206, pp. 475-476 n. XLIII e p. 477 n. XLIV.

nel giugno 1393 tra suo figlio Andrea Matteo e la nipote di BonifacioIX, Caterina figlia di Giovannello Tomacelli58. Il legame con la fami-glia del pontefice regnante consentirà ad Andrea Matteo di acquisirenel 1395 il titolo di duca di Atri e di mirare alla costituzione di unavera e propria signoria tra Piceno ed Abruzzo59. In questa direzionevanno letti non solo i tentativi di impossessarsi della città di Ascoli,tentativi sui quali non torniamo avendoli già affrontati nel corso di unprecedente convegno, ma anche la concessione del vicariato pontificiosulla terra di Offida60 e, probabilmente, un più serrato controllo sullacittà di Teramo, un mutamento nel governo cittadino tale da sobillarecontro il potente signore anche gli alleati tradizionalmente fedeli.

Il 17 febbraio 1407 Andrea Matteo fu ammazzato a Teramo dai fra-telli de Melatino, apparentemente per motivi privati, «per sdegno fecead uno suo vaxallo» dicono i Diurnali del duca di Monteleone, secondo iquali i responsabili della morte del duca

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58 La notizia di una lite pendente nel 1406 tra Andrea Matteo duca d’Atri e conte diSan Flaviano da una parte e i fratelli Giovannello e Andrea Tomacelli dall’altra dimostrache i rapporti tra gli Acquaviva e la famiglia del pontefice non furono sempre facili, cfr.Biblioteca Nazionale di Napoli, ms. IX-C-14, Apparatus historicus… cit., tomo I, p. 215.

59 Per la signoria di Antonio (I) d’Acquaviva su Atri e Teramo e la concessionedel titolo ducale ad Andrea Matteo (I) d’Acquaviva si rimanda alle puntuali osserva-zioni di C. VULTAGGIO, Le origini degli Acquaviva, in Dalla valle della Piomba allavalle del basso Pescara (Documenti dell’Abruzzo Teramano, V,1), Teramo, FondazioneCassa di Risparmio della provincia di Teramo, 2001, pp. 36-38.

60 Antonio d’Acquaviva fu creato «vicarius generalis in temporalibus» di Offidada Bonifacio IX il 7 ottobre 1390, con la raccomandazione di governare «secundumiura consuetudines et statuta» di quella terra; non molto tempo dopo la sua morte, il15 maggio 1396, lo stesso vicariato fu confermato dal medesimo pontefice ad An-drea Matteo d’Acquaviva «usque in quartam generationem»; cfr. F. SAVINI, SeptemDioeceses… cit., pp. 454-457 n. XXXI e p. 479 n. XLVI. La tenace e costante resi-stenza degli Ascolani, fermamente decisi ad evitare il dominio acquaviviano, spinse ilpontefice Bonifacio IX a dichiarare formalmente, l’11 ottobre 1401, che non avrebbemai concesso in vicariato la città né al «dilecto filio nobili viro Andrea Matheo duciAdrie» né a nessun altro, A.S.A.P., Archivio segreto anzianale, busta A, fasc. 3, perg. n.1. Per i rapporti tra gli Acquaviva e Ascoli tra la fine del Trecento e l’inizio delQuattrocento vd. B. PIO, La “Guerra degli Otto Santi”… cit., pp. 396-403.

«tanto foro forte nella sua Città de parenti assai che tennero la cittàcon ogni persona un certo tempo, ma ala fine tutto accattaro caro cheala fine lo figlio nde fece la vendetta»61.

A proposito di questa vendetta un anonimo diario napoletano narrache nel 1408 Enrico di Melatino e due figli

«foro tagliati a pezzo entro Teramo a romore de Popolo, e Roberto deMelatini suo frate fu portato in mano de la Duchessa sore del Ducad’Atri, la quale fece arrostire, tenagliare, e lardiare il detto Roberto»62.

Le modalità dell’assassinio e della vendetta, dunque, fanno emer-gere una partecipazione che va al di là degli interessi e delle motiva-zioni personali delle due famiglie: da una parte e dall’altra vediamo ilconsenso di chi sostiene il governo cittadino dei Melatino per oltre unanno e di quanti insorgono contro i nemici degli Acquaviva63.

È significativo notare che mentre il Necrologio aprutino riporta sem-plicemente la notizia dell’uccisione del duca di Atri, sbilanciandosisolo in un compassionevole, quasi doveroso «cuius anima requiescat in

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61 I Diurnali del duca di Monteleone, a c. di M. MANFREDI, R.I.S.2, tomo XXI, parteV, Bologna, N. Zanichelli, 1960, p. 77. Sul primo duca di Atri vd. Acquaviva, An-drea Matteo in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 1, Roma 1960, pp. 166-167.

62 Diario anonimo dall’anno MCXCIII sino al MCCCCLXXXVII, in A. A. PELLICCIA,Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli così italiani, come latini appartenenti allastoria del Regno di Napoli, Napoli, B. Perger, 1780, vol. I, p. 113. Il 2 maggio 1408 La-dislao accordò ai cittadini di Campli un indulto per la morte di Enrico e Tuczillo diMelatino, per la prigionia di Roberto, padre dei due prenominati, e per la distruzionedi alcuni edifici, evidentemente appartenuti agli stessi Melatino, delitti commessipoco tempo prima dell’ingresso del sovrano in Roma (25 aprile 1408). Questa notizia,riportata da A. L. ANTINORI, Annali degli Abruzzi, [riproduzione in facsimile del ma-noscritto conservato presso la Biblioteca Provinciale “S. Tommasi” dell’Aquila], Bolo-gna, Forni, 1973, vol. XIII, p. 611, ci consente di precisare i tempi della vendetta ac-quaviviana e ci testimonia il sostegno offerto dai Camplesi agli Acquaviva nella lorolotta contro la fazione teramana che faceva capo ai signori di Melatino, antichi signoridi feudi situati al confine tra il territorio di Teramo e quello di Campli.

63 Nel gennaio del 1408 Enrico di Melatino, insieme con altre 44 personalità te-ramane, prese parte al parlamento cittadino che decise la redazione di un nuovo cata-sto per il calcolo delle imposte dirette; cfr. N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile… cit.,vol. II, p. 91.

pace»64, il Necrologio adriense invece indica in Roberto de Melatino, neisuoi figli Enrico, Cola e Tuczillo e nel fermano conte di Monteverde, iresponsabili del tradimento e dell’assassinio, sottolineando come essiavessero malvagiamente ucciso la persona che li aveva innalzati dallapolvere. Una nota posteriore ci informa inoltre che nel 1408 «fo uccisili supradicti tradituri»65.

Sicuramente ambiguo nella circostanza appare il comportamento delre Ladislao che non solo non si affrettò a punire i Melatino ma il 18 lu-glio del 1407 concesse addirittura un indulto alla terra di Colonnella chesi era ribellata dopo l’uccisione di Andrea Matteo66. Inoltre, subito dopol’assassinio del duca, Ladislao confermò ad Atri il diritto di eleggere il

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64 B. PIO, Il necrologio della cattedrale aprutina… cit., p. 63.65 Necrologium adriense… cit., pp. 222-223: «Anno Domini 1407 V Indict. Eccel-

lentissimus Dominus Dux Adrie et Sancti Flaviani Comes proditorie interfectus est aRoberto de Malatino et a filiis suis, videlicet Henrico, Cola et Taczillo cum ComiteMontis viridis, filio Domini Antonii de Aceto. Conjurando … ut Dominum et Com-patrem ex filiis Henrici ad dormiendum, et comendendum cum suis familiaribus,cum luminaribus et armis eundem Excellentissimum Ducem, qui eosdem ab infimiselevaverat nequiter interfecerunt. Anno Domini 1408 fo uccisi li supradicti tradituri,i quali uccisi lo sopradicto Eccellentissimo Signure Duca». La terribile vendetta degliAcquaviva è descritta in un frammento della cronaca del notaio ANZELLOTTI di Mo-sciano, tramandato nei manoscritti di Nicola SORRICCHIO e pubblicato in G. B.FESTA, Spigolature atriane, in «Bullettino della R. Deputazione abruzzese di storia pa-tria», s. III, I (1910): «Die xij martii, Indict. I eiusdem anni MCCCCVII. Fo facta lavindicta dellu dictu duca d’Atri et fo morti Rigu et Tuczillu, figliuoli de Roberto, etRoberto fo menato prisone ad Murro et loco fo justeccato, et fonne facta multa crude-litate, come se deve fare de chi tradisci lu so segnore; ffo lardato, tanelgiato et strassi-nato et dato da manciare alli cani». Inoltre, i maggiori esponenti della fazione legataai Melatino furono banditi dalla città per un lunghissimo periodo: il bando perpetuocontro i “fuorusciti” ed in particolare contro «i discendenti dell’anima infelice e ma-ledetta d’Errico di Melatino, Berardo e Giovanni figli di Nicola Paladini e loro pro-genie; e notar Bucciarello di Antonio e prole», fu rinnovato nei capitoli del 2 agosto1424, approvati a Cellino da Giosia d’Acquaviva, cfr. F. SAVINI, I signori di Melatino,Firenze, Tip. M. Ricci, 1881, p. 41; F. SAVINI, Il Comune teramano nella sua vita intimae pubblica dai più antichi tempi ai moderni, Roma, Forzani e C., 1895, p. 237.

66 G. CONIGLIO, Acquaviva, Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 1,Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960, p. 167.

giudice civile (ottobre 1407), un diritto che era stato abolito con l’infeu-damento della città67, fece avviare la costruzione di una cittadella fortifi-cata a Teramo68 e fece restituire a vari cittadini di San Flaviano i beni cheerano stati loro sottratti arbitrariamente «per quondam Antonium deAquaviva et deinde per Andream Mattheum olim ducem Adriae»69. In-somma non possiamo escludere che il sovrano che aveva saputo reprimerecon estrema ferocia l’irrequieto baronaggio napoletano, significativa al ri-guardo la sorte toccata ai Sanseverino i cui corpi straziati furono dati inpasto ai cani, non avesse tirato un sospiro di sollievo alla notizia dellamorte di un personaggio che rischiava di diventare ingombrante70.

Nel 1408 Ladislao fece sposare la sua figliastra, Maria Orsini delBalzo figlia di Raimondo e di Maria d’Enghien, con il giovane AntonioII d’Acquaviva «lo figlio che fo lo Duca d’Atri, che mo era Duca lui».Secondo i Diurnali del duca di Monteleone i festeggiamenti per il matri-monio iniziarono nel mese di luglio e finirono nell’autunno inoltrato:l’8 e il 9 di ottobre, il sovrano accolse festosamente gli sposi in Castel-nuovo, infine il duca «fece gran festa» nel suo palazzo situato a PortaDonnorso, nei pressi della chiesa di San Pietro a Maiella, presumibil-mente nella stessa area dove sorgerà il seicentesco palazzo acquaviviano,vale a dire nella strada che porta ancora oggi il nome di via Atri71.

In conclusione possiamo affermare che l’ascesa degli Acquaviva fu

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67 V. BINDI, Monumenti storici… cit., p. 290; L. SORRICCHIO, Hatria-Atri… cit.,III, p. 42; cfr. R. COLAPIETRA, Abruzzo citeriore… cit., p. 42.

68 Nel 1410 Ladislao ordinò al napoletano Francesco de Facio, «deputato super fa-brica et constructione Citatelle Civitatis Terami», di non costringere i Teramani «adprestandum opera manualia in dicta edificatione citatelle stante quod prestant lapides etarenam»; cfr. C. MINIERI RICCIO, Notizie storiche tratte da 62 registri angioini… cit., p. 99.

69 Cfr. V. BINDI, Castel San Flaviano… cit., vol. II, pp. 115-116, che riprende lanotizia dal Registro della Cancelleria Angioina, numero 365, fol. 157.

70 Sulla politica di repressione delle grandi famiglie feudali portata avanti da La-dislao nel biennio 1404-1405 vd. G. PEYRONNET, I Durazzo e Renato d’Angiò 1381-1442, in Storia di Napoli, III, Napoli, Società editrice Storia di Napoli, 1969, pp.381-382; G. GALASSO, Storia del Regno di Napoli, vol. I, Il Mezzogiorno angioino e ara-gonese (1266-1499), Torino, UTET, 2006, pp. 262-264.

71 I Diurnali del duca di Monteleone… cit., p. 79.

determinata da una incredibile capacità di adattamento alle situazionipolitiche nuove determinate dai numerosi e continui rivolgimenti di-nastici che caratterizzarono la storia del Regno dagli Altavilla agliHohenstaufen, dagli Angiò ai Durazzo. In occasione di tali sconvolgi-menti il ramo degli Acquaviva di Atri riuscirà sempre a prendere po-sizione nell’ambito dello schieramento che alla fine risulterà vincente,anche a costo dell’eliminazione di alcuni esponenti particolarmentecompromessi con la parte sconfitta.

Quando, nel 1419, la regina Giovanna II restituì e confermò a Pie-tro Bonifacio d’Acquaviva duca di Atri e conte di San Flaviano tutti icastelli e le terre a lui spettanti tanto per successione avita e paternaquanto per la successione del defunto fratello Antonio (II), gli Acqua-viva erano ormai protagonisti di primo piano delle vicende econo-mico-sociali e politiche del Regno, pronti a rafforzare la loro posizionecon una consapevole e precisa politica matrimoniale che caratterizzeràla storia acquaviviana anche nei secoli successivi72.

La consistenza dello “stato feudale” degli Acquaviva di Atri emergecon chiarezza dal diploma del 10 novembre 1424 con il quale la reginaGiovanna II confermò in feudo ad Andrea Matteo (II), figlio ed erededel defunto Pietro Bonifacio, il ducato di Atri con il porto di Cerrano,la contea di San Flaviano, la baronia ed i castelli del defunto Ameliod’Agoult, i castelli del defunto Isnardo de Rillana, le terre di Bellante eTroia, la baronia di Basciano, i castelli e le ville della Montagna di Ro-seto e la città di Teramo con il mero e misto imperio e la giurisdizione

Berardo Pio

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72 G. CAETANI, Regesta chartarum. Regesto delle pergamene dell’archivio Caetani, vol.III, Sancasciano Val di Pesa, Tip. F.lli Stianti, 1928, pp. 280-282. L’atteggiamentodi sostanziale fedeltà degli Acquaviva nei confronti della corona muterà radicalmentenel corso del Quattrocento; per una disamina delle vicende rinascimentali della fami-glia Acquaviva vd. R. COLAPIETRA, Abruzzo e Puglia nell’orizzonte feudale degli Acqua-viva tra Quattro e Cinquecento, in «Archivio storico per le province napoletane», CXI(1993), pp. 39-88, ora in R. COLAPIETRA, Baronaggio, umanesimo e territorio nel Rinasci-mento meridionale, Napoli, La città del sole, 1999, pp. 211-278; M. BEVILACQUA, Giu-lianova. La costruzione di una ‘città ideale’ del Rinascimento, Napoli, Electa, 2002, in par-ticolare la preziosa raccolta documentaria pubblicata in appendice alle pp. 140-161.

civile e criminale73. Pochi giorni dopo, il 4 dicembre 1424, CaterinaRiccardi di Ortona, vedova di Pietro Bonifacio, in qualità di madre etutrice del piccolo Andrea Matteo (II) d’Acquaviva, cedette per 6.500ducati d’oro veneti il feudo di Teramo al cognato Giosia d’Acquaviva,tragico campione di una nuova e più esaltante stagione acquaviviana74.

Patrimoni feudali, carriere ecclesiastiche, signorie cittadine: l’ascesa degli Acquaviva

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73 G. CAETANI, Regesta chartarum… cit., vol. IV, Sancasciano Val di Pesa, Tip.F.lli Stianti, 1929, pp. 47-51.

74 Giosia si era già impadronito di Teramo, nel giugno 1424, subito dopo la morte diBraccio da Montone, cfr. B. PIO, Il necrologio della cattedrale aprutina… cit., p. 64: «AnnoDomini M°. CCCC°. XXIIIJ, die decimo mensis Iunij. Post mortem domini nostri dominiBrachij de Montono, dominus Iosias de Aquaviva intravit hanc civitatem Terami demandato et voluntate reginae Ioannae secundae, et die octavo mensis Iulij dicti mille-simi praedictus dominus Iosias habuit et recepit possessionem ciptadellae dictae civitatisTerami in suo dominio». La vendita della città in favore di Giosia fu confermata dallaregina Giovanna II il 28 dicembre successivo, cfr. G. CAETANI, Regesta chartarum… cit.,pp. 51-54. Per la figura di Giosia d’Acquaviva, personaggio di primissimo piano nellastoria del Regno di Napoli, subentrato al nipote Andrea Matteo (II) nel controllo delvasto stato feudale e morto di peste il 22 agosto 1462 in Cellino, assediata da sei mesidalle truppe di Matteo di Capua, cfr. N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile… cit., vol. II,pp. 105-142; F. SAVINI, Le lettere di Filippo Maria Visconti a Giosia di Acquaviva, in «Ar-chivio storico italiano», XX (1897), pp. 369-379; F. SAVINI, Le relazioni di Giosia Acqua-viva coi Visconti e con gli Sforza e due lettere inedite del medesimo, in «Archivio storico per leprovince napoletane», XXXII (1907), pp. 3-16; N. F. FARAGLIA, Storia della lotta traAlfonso V d’Aragona e Renato d’Angiò, Lanciano, R. Carabba, 1908, passim; L. SORRICCHIO,Hatria-Atri… cit., vol. III, pp. 76-99, 113-180, 187-281; Acquaviva, Giosia, in Diziona-rio biografico degli Italiani, vol. 1, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960, pp.179-181. Per i rapporti tra gli Acquaviva di Atri e i Riccardi di Ortona vd. N. IUBATTI,Rapporti della grande feudalità abruzzese nel XV secolo: i Riccardi di Ortona e gli Acquaviva, inGli Acquaviva d’Aragona Duchi di Atri e Conti di San Flaviano. Atti del Convegno (Teramo-Atri-Giulianova, 1983), tomo II, Teramo, Centro abruzzese di ricerche storiche, 1986,pp. 137-147. La drammatica fine di Giosia fu meticolosamente annotata nel necrologioaprutino, cfr. B. PIO, Il necrologio della cattedrale aprutina… cit., pp. 54-55: «MCCCCLXII.Iosias Adriae dux morbo pestilentiae decessit e vita; in quem uno tempore tot simul in-gentia mala ingruerunt, bellum atrox et diuturnum, fames validissima cum omniumrerum egestate non exigua, et execranda pestis: qua primum nepotes et domestici fereomnes, deinde uxor cum pulcherrima filiorum prole mortui sunt. Ipse miser omissa ty-rannide in oppido Cellini a Mattheo Campano provinciae Aprutine gubernatore obsessusest; post aliquos menses, cum nulla demum auxilia princeps Tarentinorum mitteret, de-speratione salutis percitus, in morbum pestiferum incidit et aggravante lue terribilesejulatus et vociferationis eiciens tamquam annosus draco, miserabilem animam emisit.Post huius mortem speramus in posterum favente Deo meliorem nos rempublicam habi-turos, cui materiam seditiones et malorum omnium ille semper obtulerat».