Paideía e saṁskṛti: qualche spunto di riflessione [Paideía and Saṁskṛti: Some Food for...

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Accademia Ambrosiana Classe di Studi sull'Estremo Oriente

Sezioni • Cinese • Giapponese • Indiana

rEDUCAZIONE NELLA SOCIETA. ASIATICA

Education in Asian societies

a cura di

Kuniko Tanaka

ESTRATTO

BIBLIOTECA AMBROSIANA

BULZONI EDITORE

PAOLO MAGNONE

PA/DEJA E SAMSJ(]J.TI QUALCHE SPUNTO DI RIFLESSIONE

Mi pare di non poter far meglio per introdurre questo contributo sul si­gnificato indiano della cultura che anteporvi quasi a modo di epigrafe un subhii.yita, ovvero un motto sentenzioso (un genere letterario particolar­mente congeniale alla cultura sanscritica) che cosi suona:

apurvab ko 'pi kofo 'ya1f1 vidyate tava bharati ryayato vrddhim iiyiiti lcyayam iiyiiti sa7f1cayiit

ossia: «singolare davvero e i1 tuo tesoro, o cultura: cresce quanto piu lo si spende, e scema quanto piu lo si ammassa». Potremmo chiosare dicendo che la cultura per sua intima vocazione deve essere educazione, sotto pena di isterilirsi, qualora si riduca a esser privato omamento di 'anime belle'. Si esprime dunque in questo motto proprio quell'interconnessione essenziale tra cultura ed educazione che era cosi cara a Jager, e di cui egli rintraccia­va entusiasticamente la scaturigine prima nel concetto greco di paideia. Paideia. Die Formung des griechischen Menschen e appunto il titolo della sua opera piu celebrata, che apparve in 3 volumi tra il 1933 e i1 1944, e che, tradotta in numerose lingue nei decenni successivi, doveva esercitare un poderoso e durevole influsso sull'autorappresentazione dell'Occidente. Proprio alla luce di tale straordinaria fortuna e tanto piu deplorevole che l'infervoramento di J!iger per la grecita e le radici elleniche dell'Occiden­te si accompagnasse a una malaugurata cecita nei confronti delle sublimi realizzazioni spirituali dell'altra meta del mondo, una cecita che e respon­sabile della liquidazione sommaria del pensiero orientale di cui sono zeppe le sue pagine.

Si rimane sbigottiti, oggi, quando si rilegge cio che egli scrive nell'in­troduzione alla sua opera teste citata, che «per quanto altamente si apprezzi l'importanza artistica, religiosa e politica dei popoli anteriori, la storia di cio che possiamo chiamare cultura, nel nostro senso consapevole, non co­mincia che coi Greci>>1; o quando si legge, poco piu avanti, che solo inten­dendo la cultura nel senso 'decaduto' di concerto antropologico meramente descrittivo ( e non nel senso di valore ideale consapevole) «e lecito parla­re di una cultura cinese, indiana, babilonese, ebraica o egiziana, sebbene

1 W. ]A.GER, Paideia. Laformazione dell'uomo greco, trad. it., Milano, Bompiani, 2003, p. 3.

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in nessuna di tali lingue si trovi un vocabolo corrispondente e il relativo concetto»2•

Sulla questione lessicale avremo da tomare in seguito. Ma per intanto vorrei ricordare una formula cara al mio maestro di metafisica, Gustavo Bontadini, che univa al rigore argomentativo una rara arguzia, e in un 'e­poca in cui si denunciavano le 'etichette' soleva compiacersi ironicamente di coniare improbabili slogan per condensare il suo pensiero. Uno dei suoi favoriti era appunto l'invito a praticare l"'escludenza delle escludenze"3:

ogni autore, cosi egli asseriva, ha generalmente ragione per cio che affer­ma e torto per cio che nega. Bisogna dunque recidere ( escludere) la pars destruens delle sue argomentazioni (l'escludenza), e tenere la pars con­struens in cui si trova il contributo utile. (Incidentalmente, e questa una posizione che ricorda molto il syiidviida del jainismo indiano, che vuole che, di fronte alla inesauribile poliedricita del reale, l'atteggiamento piu corretto sia proprio quello di chi nulla nega, ma sempre replica a ogni pro­posta teorica con un syiid: "sia pure", "puo esser anche cosi").

Ma - tomando all'"escludenza delle escludenze" - questa regola tro­verebbe applicazione singolarmente calzante alla tesi di Jager riguardo al presunto 'copyright' ellenico sulla cultura: la sua pars construens dimo­stra una profonda erudizione e una fine intelligenza della civilta greca, la sua pars destruens una grossolana ignoranza e un' ottusa incomprensione delle civilta orientali. Mai che troviamo nelle sua pagine una menzione puntuale di una qualche dottrina specifica: sempre, invece, solo vaghi ac­cenni al «dharma degli indu»4 o a una fantomatica «anima dell'Oriente (che], nel suo anelito religioso, si profonda immediatamente nell'abisso del sentimento»5 e altri consimili luoghi comuni.

L'intento di questo contributo none per<'> quello di una esecrazione po­stuma di un pensiero ormai inattuale, bensi quello di esplicitare i limiti e le inadeguatezze manifeste di una concezione che, traendo remota ispira­zione dall'opera di Jiger, ancora si perpetua in molti ambiti del pensiero occidentale, decretando tuttora, per esempio, l'ostracismo nei curricula di filosofia di molti atenei a espressioni filosofiche extraeuropee che andreb­bero invece annoverate tra i pinnacoli dello spirito umano.

Sgomberiamo anzitutto il terreno da equivoci sulla questione lessicale: se nell'antica civilta indiana non esiste una parola univoca per designare la "cultura'', tale parola non esiste, per ammissione dello stesso Jager, nep-

2 Ibid, p. 7. J Bontadini stesso si richiama al «modulo,( ... ] a me assai caro, dell'escludenza delle escluden­ze», in un contributo nell'arnbito della celebre polemica filosofica che lo oppose a Emanuele Severino negli anni '60 (G. BoNTADINI, l:dJl.;eivr:a ipaiv6µeva, in ID., Conversazioni di metafisica, Milano, Vitae Pensiero, 1971, II, p. 147). 4 JA.GER, Paideia, p. 7. s Ibid., p. 288.

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pure nell 'anti ca civilta greca. La parola paideia non e attestata prima di Eschilo, dove tuttavia ha ancora ii significato originario di "allevamento dei fanciulli' 06, e non ii significato successivo, che e qui in questione, che integra gli aspetti dell'educazione e della cultura come Bi/dung o forma­zione spirituale dell'uomo. L'uso che fa Jager della parola paideia a desi­gn.are l 'ideale ellenico della cultura e dunque convenzionale, in guisa di conveniente etichetta.

Allo stesso modo deve intendersi come una semplice etichetta la parola samskrti che abbiamo contrapposto sul versante indiano alla greca paideia. Questo termine adottato da molte lingue neo-arie per design.are la cultura e infatti un conio modemo, non attestato in quel senso nel sanscrito classi­co7. Nella letteratura classica, ii campo semantico della cultura/educazio­ne e coperto da una molteplicita di termini come si/cya, Ode.SO, upadefa, sastra, (anu)siisana, svadhyiiya, sarasvati, bhiirati, dharma ... Ma in questa sede non possiamo addentrarci nel vaglio delle opzioni terminologiche.

Ad ogni modo, poco importa che la civilta indiana abbia o non abbia un vocabolo corrispondente alla nozione greca di cultura. E, questa della "mancanza della parola", una fallacia che ha spesso intralciato ii cammino della scienza. A confutarla, in supplenza di qualsiasi articolato discorso metodologico, puo bastare la battuta forse un po' rozza ma efficace di uno studioso americano: da1 fatto che una civilta non possieda parole per "caf­te" e "hamburger" si puo forse concludere che non conosca l'uso di cibo e bevande8? Eppure, e quel che e stato fatto, per esempio, nella storia della filosofia, allorche il mito dell 'incomparabilita del "miracolo greco'', pro­mosso dallo stesso Jager, ha impedito di riconoscere alle filosofie orientali - e alla filosofia indiana in particolare - ii posto che loro spetta di diritto nella storia del pensiero universale9•

Dal fatto che la civilta indiana non possieda un equivalente esatto di "filosofia" nell'originario senso greco non si puo desumere che manchi di cio che si puo ben chiamare "filosofia" in un senso piu generate. 0 forse la 'filosofia' greca puo ergersi a rappresentante emblematico e in se esaurien­te della filosofia - come se un cavallo baio pretendesse di compendiare in

6 Ibid., p. 30 sg. 7 Cfr. SH. POLLOCK, Cosmopolitan and Vernacular in History, «Public Culture» XII, 3 (2000), p. 601. 8 J.W. KIDD, Didthe Chinese people have no paideia as real culture? The Werner Jaeger thesis revisited (Paper presented to the 15th Annual Meeting of the CAPAS US) «Could then one claim that the ancient Chinese people had no drink and no food because they had no word correspond­ing to "coffee" and "hamburger'' as real drink and real food! And how can one claim that all other ancient nations have no ideal of culture because theirs differ essentially or accidentally from the Greek one?». 9 Per un'ampia e assai istruttiva rassegna di opinioni esemplari sulla specificita greca della fi­losofia (e sulla conseguente esclusione de! pensiero indiano dalla Storia della filosofia) cfr. W. HALBFASS, India and Europe, Delhi, Motilal Banarsidass, 1990, p. 152 sgg.

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se l'intero della cavallinita? In realta, non avrebbe senso una scienza dei cavalli che non volesse occuparsi dei sauri o dei morelli: la scienza tende a far uso di concetti estensivi, che favoriscano l'indagine di cio che e co­mune. La scienza, dunque, e per sua natura inclusiva; e l'ideologia che e esclusiva e incline a demarcare e contrapporre: e l'ideologia qui in questio­ne e il suprematismo eurocentrico, ovvero, secondo Jager, ellenocentrico, che ha dominato e tuttora domina in molte sfere della cultura occidentale. Ed e ironico che proprio un pensiero che si dichiara debitore dei Greci non abbia saputo far debito ricorso a quel procedimento astrattivo che di Ari­stotele e stata una delle massime scoperte.

Facendo dunque buon uso, dal canto nostro, del procedimento astrat­tivo, esaminiamo per somrni capi - nei limiti dello spazio di un breve ar­ticolo - cio che, nell'ambito della civilta indiana, si puo ben denominare educazione e cultura, per la comunanza dei tratti fondamentali e della fun­zione, astrazion fatta da quei lineamenti piu particolari che sono propri della greca paideia, da un lato, e dell'indica samslcrti dall'altro - salvo poi rilevare, anche nell'ambito di tali particolarita, insospettate tangenze di cui Jager non ha evidentemente avuto contezza.

In questo esame, terremo sullo sfondo le due accezioni della funzione educativa individuate da Jager. In un primo senso piu basilare, l'educa­zione consiste nella trasmissione del patrimonio di conoscenze pratiche di una comunita. In questo senso, e una funzione sociale che non manca a nessuna comunita umana: la sua ovvieta non richiede dunque ulteriore approfondimento. In un secondo e piu alto senso, l'educazione/cultura ha a che fare, nelle parole di Jager, con «la creazione di un tipo ideale di intima coerenza e di stampo determinato»10• In questo senso ulteriore essa non ha di mira semplicemente l'utile, bensi cio che i Greci chiamano KaA.6~, i1 Bel­lo, «con il valore impegnativo di un miraggio, di un ideale»11 • La creazione dell'ideale della KaAoKayaOia e opera di una selezione deliberata operata da una elite: essa suppone dunque una differenziazione sociale basata sulla naturale diversita fisica e psichica degli individui. L'ideale dell' 6.penj da cui prende inizialmente le mosse il processo formativo della paideia greca e la creazione consapevole dell'aristocrazia arcaica dell'Ellade i1 cui ethos ci e testimoniato dai poemi omerici.

Per stravagante che possa sembrare, la tesi di Jager e appunto che l' edu­cazione/cultura in questo senso superiore, che abbiamo rapidamente deli­neato, di progettazione di un tipo d'uomo ideale, e una creazione originale dei Greci, mentre rimase ignota alle culture dell'Oriente. Volgiamoci ora a considerare l 'educazione nell 'India antica sulla scorta di questa imposta­zione del discorso.

10 IA.GER, Paideia, p. 27. 'II Ibid.

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1. L'EDUCAZIONE NELL'INDIA ANTICA

La letteratura indiana piu antica che ci e conservata, quella del periodo ve­dico, che si estende secondo la datazione convenzionale tra la meta del II e la meta del I millennio a.C., e stata composta essenzialmente per gli scopi del rituale sacrificale ( eccetto che nella sua parte piu recente rappresentata dalle Upani$ad). L'educazione di cui siamo maggiormente informati, per i1 periodo piu antico, e dunque quella che riguardava i sacerdoti briihma"f)a, e che era finalizzata appunto all' apprendimento delle scritture vediche con i loro accessori in vista dell 'impiego rituale. Nondimeno, abbiamo notizie anche di un'educazione, per cosi dire, laica. Le smrti ("memorie", ovvero i codici normativi tradizionali) ci informano anche sull'apprendistato delle altre due classi 'rigenerate' - i guerrieri (lcyatriya) e i contadini-commer­cianti (vaisya) tesa a impartire a ciascuna le conoscenze 'professionali' appropriate12•

Su tutto cio, tuttavia, non ci soffermeremo, in quanto si mantiene nell'ambito di quell'educazione inferiore di cui Jager non contesta la pre­senza in alcuna civilta. Ma che dire dell' educazione superiore, quella che ha di mira un tipo ideale, e che dovrebbe, secondo il Nostro, costituire una prerogativa esclusiva della civilta greca?

Rileggiamo il celeberrimo episodio dell' ammaestramento di Svetaketu quale ci e trasmesso nella venerabile Chiindogya Upani$ad (forse VII/VI sec. a.C.). La storia si apre con l'esortazione di un padre, Uddalaka Arw;ri, al proprio figlio Svetaketu affi.nche intraprenda l' apprendistato brahmanico (brahmacarya) presso un maestro-perche, dice i1 padre, «non c'e nessuno nella nostra famiglia che senza aver studiato sia un brahmano soltanto di nome» (brahmabandhur iva, ovvero "un parente del brahman", per cosi dire). 11 ragazzo rimane dodici anni presso il maestro e fa ritomo, dopo aver appreso tutti i Veda, orgoglioso della sua scienza13 • Ma il padre lo

12 Per i vaiSya le smrti menzionano un apprendistato delle arti (silpa) nella casa di un mae­stro (Yiijnavalkya Smrti II, 184, Niirada Smrti V, 14-19). II Miinavadharma8iistra prescri­ve che i vaiSya, accanto all'apprendimento dei Veda, debbano acquisire conoscenze di natu­ra pratica concementi le loro occupazioni nell'agricoltura, nell'allevamento e nel commercio (Miinavadharma8iistra X, 79, Ix, 328-332). Per gli siidra non vi sono norme speci.fiche, ma si puo supporre che a mano a mano che elevavano la loro condizione potessero applicarsi loro le medesime norme relative ai vaiSya. Per cio che conceme gli "1atriya, e ii re in particolare, diver­se smrti prescrivono, oltre alto studio dei Veda, lo studio dell'arte del govemo, dell'economia, della legge, del calcolo e della scrittura, oltre alle discipline guerresche. In quanto ai briihmQf)Q, a loro si applica in particolare I 'ingiunzione dello studio dei Veda, che per essi costituiva ii primo dovere, con ii connesso dovere di trasmetterlo ad altri con l'insegnamento. I Veda costituiscono, d'altronde, per i "nati-due-volte" (dvija), i 'ferri del mestiere', che conferiscono loro, secondo la Yiijnava/kya Smrti «la suprema beatitudine, rendendoli atti a comprendere ed eseguire sacri.fici, penitenze e altri riti propizi [come i sacramenti]» (I, 40). 13 Questo periodo, che appare usuale nelle Upaneyad, sembro insufficiente in seguito, man mano che la letteratura vedica cresceva di proporzioni; talche alcune smrti prescrivono un periodo di 12

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interroga su quella dottrina (adefo) mediante la quale anche l'inaudito, impensato, ignoto diviene udito, pensato, noto. 11 ragazzo confessa di non sapeme nulla, soggiungendo che anche i venerabili maestri certamente non la conoscevano, perche altrimenti non avrebbero mancato di impartirgliene l'insegnamento. (11 maestro, infatti, aveva l'obbligo di ammaestrare sen­za reticenze l'allievo diligente: distrugge tutte le sue buone opere i1 mae­stro che rifiuta l'insegnamento, cosi recita i1 commentatore Medhatithi)14•

Svetaketu prega dunque il padre di ammaestrarlo egli stesso, e Uddiilaka lo introduce alla dottrina dell'essere trascendentale, mediante la conoscenza del quale si conoscono tutti i fenomeni che di esso non sono altro che tra­sformazioni fondate sui nomi.

In principio, mio caro, c'era l'essere unico e senza un altro accanto. Al riguardo invero alcuni dicono che in principio c'era ii non-essere, unico e senza un altro accanto, e che da quel non-essere nacque l'es­sere. Ma come sarebbe possibile questo, mio caro? Come dal non­essere potrebbe nascere l'essere? Percio, al principio c'era invero l'essere, uno e senza un altro accanto (Chiindogya Upan4adVI, 2).

Questo sorprendente Parmenide indiano ante litteram muove poi da questa posizione dell' essere trascendentale come apxfl a una cosmogonia che pre­corre la successiva dottrina sa.,,,khya15 dei tre gw:za, alla lettera le ''fibre" di cui e intrecciata la fune della realm. L'insegnamento si conclude con una se­rie di esempi ed esperimenti tesi a mettere in luce diversi aspetti del rapporto tra l'essere trascendentale e il mondo degli enti concreti, suggellati tutti dalla :frase «Tutto questo universo e permeato da quella essenza impercettibile. Essa e la Realm e la Coscienza. Essa e cio che tu sei, Svetaketu»16•

La sostanza filosofica di questo testo fondante dell' onto logia indiana, quasi certamente anteriore a Parmenide, e gia di per se sufficiente a con­futare le pretese jageriane all'indiscussa primazia della filosofia greca. Ma non e questo l'aspetto che qui ci interessa, bensi piuttosto la conce­zione dell'educazione che in esso viene alla luce. Uddiilaka invia i1 figlio

anni per l'apprendimento di un solo Veda, ma di 48 per l'apprendimento di tutti e quattro. Sulle opinioni delle differenti smrti cfr. P. V. KANE, History of Dharma3iistra (Ancient and Medieval religious and civil law), II-1, Poona, Bhandarkar Oriental Research Institute, 1974, p. 349 sgg. 14 Medhatithi ad Miinavadharma3iistra II, 113: adhyiipanam adh'ftavedendva3ya111 kartavya111 na keval01fl vrtt)lartham I ... tatha ca srotib I yo hi vidyiim adh'ftyarthine na briiyiit sa karmaha [orig. kiiryahii] syiit. 15 Il S3rpkhya e un~ delle sei scuole classiche (darsana, alla lettera "[Welt]Anschauungen") della filosofia indiana. E una sorta di emanazionismo dualista che ammette accanto a un principio spirituale plurale passivo (pu~a. alla lettera "Uomo [= vir]") un principio naturale attivo ed evolutivo da cui trae origine tutta la realti (pra/q1i o "Natura [naturans]"). La Natura e contesta dei tre guT;Ja ("fibre"): il sattva luminoso e gaudioso, it rajas ardente e doloroso, it lamas oscuro e inerte, dalla cui miscela in varia proporzione risultano le caratteristiche di ciascun ente. 16 Chiindogya Upani$ad VI, 8, 7; 9, 4; 10, 3; 11, 3; 12, 3; 13, 3; 14,3; 15, 3: sa ya e$O '{limaitadiitmyam ida111 sarvam I tat satyam I sa alma I tat tvam asi ivetaketo.

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presso un maestro affinche non sia brahmano semplicemente di nome, un «brahmabandhur iva>>, quasi un mero orecchiante del brahman, e adduce come motivazione l'orgoglio della stirpe. Non abbiamo qui un evidente corrispettivo di cio che Jager addita come il motore della paideia, e cioe il deliberato intento di una classe sociale, e all'intemo di essa di una fa­miglia, di trasmettere i propri valori, suscitando in modo impegnativo nei propri rappresentanti il sentimento dell'obbligo verso l'ideale17? E none forse il connesso sentimento dell'ai&iJ~ ('vergogna') che viene evocato da Uddalaka allorcbe egli depreca: «nessuno della nostra famiglia ... »?

Certo, c'e una cospicua differenza. Nel ridare pocanzi il nocciolo del pensiero di Jager sulla fonte della paideia ho deliberatamente utilizzato l 'espressione genererica "una classe sociale", ma per Jager e una specifica classe sociale che e in causa: l'aristocrazia guerriera. E solo questa classe che, legata a uno stile di vita sedentario e tradizionale, e impegnata a tra­smettere i propri valori attraverso un'educazione che si fa cultura, ovvero, secondo l'etimologia del termine tedesco Bi/dung, «formazione della per­sonalita secondo un tipo fisso» 18• 11 Nostro si spinge perfino a scrivere che «l'educazione quale formazione della personalita umana mediante conti­nui ammaestramenti e direzione spirituale e caratteristica speciale dell'a­ristocrazia di ogni popolo e di ogni eta», propinandoci cosi un ulteriore esempio di induzione insufficiente: ab uno disce omnes, cio che egli ha riscontrato presso i Greci deve valere per tutti i popoli, per quanto questi non possano levarsi alla medesima altezza esemplare.

Nella civilta indiana, per contro, la classe sociale promotrice e deten­trice dell' educazione e della cultura e, dagli albori vedici a tutto il perio­do classico, la classe sacerdotale, emanata, secondo il Puru$a Sukta C8g Veda X, 90), l'inno cosmogonico del Macrantropo primordiale, dalla bocca stessa dell'Uomo cosmico. Laddove in Grecia la funzione esemplare della classe guerriera e dei suoi valori ( ciplmj) e consacrata dal monumento lette­rario piu anti co, l' epopea omerica, messa per iscritto tra l 'VIII e il VI sec. a.C. ma riflettente uno stato di cose risalente al periodo miceneo (XII sec. a.C.), in India la supremazia della classe sacerdotale e consacrata dal Veda, che risale nelle sue parti piu antiche forse alla meta del II millennio a.C., (ma registra memorie che possono risalire secondo alcuni19 alla meta del V millennio, come suggeriscono dati archeoastronomici e paleoidrologici). Non sono schiatte principesche che tramandano le proprie gesta le prime che ci vengono incontro nel S.g Veda, ma generazioni di r$i, ''veggenti"

17 ]AGER, Paideia, p. 36. 18 /bid., p. 59 sgg. 19 Per una prospettazione generale della questione della datazione del Veda cfr. E. BRYANT, The Quest for the origins of Vedic culture, Oxford, Oxford University Press, 200 l, passim, e spec. pp. 165-169; 238-266.

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che tramandano le proprie composizioni poetiche, espressione delle visioni mistiche con cui hanno penetrato l' essenza del Reale, facendosi mediatori di una Rivelazione che e in se apauru$eya, "in-umana" ed etema, nuova­mente emanata al principio di ogni eone come ricettacolo seminale delle !dee archetipali della creazione20•

Vi sono nondimeno indizi in taluni testi upanisadici di un affacciar­si alla ribalta spirituale degli "/cyatriya, la classe regale-guerriera emana­ta dalle braccia dell'Uomo cosmico. Come tra i primi osservo Deussen21 ,

alcuni episodi narrati nelle Upani$ad phi antiche - la Chiindogya, la Brhadiirm:zyaka, la Kau$ilaki - ci presentano dottrine cruciali come quel­le della natura del brahman e dell' iitman (due termini-chiave che desi­gnano i1 principio unico nel suo aspetto bifronte di Essere e Coscienza) e del ciclo delle rinascite, come saldo possesso della classe "/cyatriya, le cui conoscenze di questi temi vengono deliberatamente messe in contrasto con l'ignoranza brahmanica al riguardo. Quando i1 celebre dottore vedico Gargya Balaki si propone di ammaestrare re AjataSatru sull'essenza del brahman, tutti i suoi tentativi di spiegazione sono confutati dal re, fin­che il brahmano deve confessare la sua ignoranza. Alla fine e AjataSatru a esporre a Gargya la natura del brahman come iitman che si manifesta nello stadio di coscienza della SU$upti ("sonno profondo"), non senza aver rilevato in termini espliciti l'infrazione della norma: pratiloma"f!I vai tad yad briihma1;1ab "/cyatriyam upeyiid brahma me va"/cyyatiti (BAU 11.1.15): «e contrario all' ordine delle cose che un brahmano si rivolga a un guerriero perche gli parli del brahman». 11 quadro si completa osservando che circa coevo al periodo delle upani~ad antiche (VII-V sec. a.C.) e il sorgere delle due nuove religioni del jainismo e del buddhismo, i cui fondatori sono tra­dizionalmente ascritti alla casta "/cyatriya. Anche i nuovi culti devozionali dell 'hinduismo che sono gia in gestazione troveranno due fulcri fonda­mentali nel personaggi centrali delle due grandi epopee, Rama e Kr~:Qa, re entrambi e avatiira ("incarnazioni") di Vi~r;tu.

Non e qui il luogo di approfondire la questione dei rispettivi apporti di briihma1Ja e "/cyatriya al patrimonio spirituale indiano che allora si anda­va formando22• Basti osservare, con Olivelle, che la storia sia politica che letteraria dell'India antica ci mostra costantemente non tanto una contrap-

20 Sulla natura de Ila 'rivelazione' vedica v. P. MAGNONE, La parola inafferrabi/e. Problematic he de/la traduzione de/le scritture indiane, «Annali di Scienze Religiose», VII (2002), p. 109 sgg.; Io., El umbra/ borrado. Dia/ectica entre mito e historia en el Purii~ de la India, in 0. CAITEDRA (ed.), Mito e Historia I: El Umbra/ de/ Tiempo, Bahia Blanca, Universidad Nacional del Sur, 2011, p. 72 sgg. 21 P. DBussEN, The philosophy of the Upan4ads, tr. ingl., Delhi, Munshiram Manoharlal, 1979, p. 17 sgg. 22 Un riesame complessivo della questione secondo una nuova prospettiva e stato recentemente proposto da J. BRONICHORST, Greater Magadha. Studies in the cultures of early India, Leiden, Brill, 2007.

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posizione o un'altemanza quanto una sinergia e quasi una simbiosi delle due classi superiori, nelle cui mani si concentrava il potere spirituale e temporale23. Circoli di briihma~ hanno potuto accettare l' origine rega­le di certe dottrine, mentre dal canto loro gli /cyatriya hanno accettato il contesto brahmanico dell'educazione come sistematizzazione e trasmis­sione del sapere. Ne e U.n esempio il celebre episodio in cui un brahmano - proprio quel m~desimo Uddalaka Arw;ti che abbiamo teste incontrato come maestro di Svetaketu e padre dell'ontologia indiana - deve ammet­tere la propria ignoranza dei destini ultraterreni e mettersi alla scuola del re Pravahana Jaibali. Nella versione della Chiindogya Upan~ad (V, 3), il re osserva orgogliosamente che la dottrina che egli esporra - la dottrina del ciclo delle esistenze - non e mai pervenuta ai briihma~, ma e sempre rimasta appannaggio degli /cyatriya, ed e percio che questi ultimi domina­no in tutti i mondi. La versione della Brhadiiratzyaka Upani$ad (VI, 2), d'altro canto, mette specialmente in risalto la riverenza del re nei confronti del brahmano. Richiesto di impartire la dottrina, il re invoca la sua bene­volenza, ma nel contempo richiede che questi si presenti a lui recitando la formula tradizionale del discepolo che si accosta al maestro, e cio facendo inserisce il proprio ammaestramento nel tradizionale quadro brahmanico di riferimento.

In effetti, che ne siano stati i primi inventori o no, i brahmani adottarono le nuove dottrine che proclamavano l 'ideale della conoscenza dell' Assolu­to nell'aspetto bifronte di brahmanliitman, Essere e Coscienza, e le armo­nizzarono con le antiche dottrine dell' onnipotenza del rito di cui erano ge­losi custodi, e cosi fecero con ogni nuova dottrina che si affaccio sul suolo dell'lndia, producendo quella prodigiosa sintesi culturale che costituisce la saTflskrti, la Grande Tradizione sanscritica.

Questa tradizione assegna un ruolo supremo all' educazione attraverso la figura del Maestro, variamente designato guru, upiidhyiiya e iiciirya. Ben­cbe talvolta i tre termini siano utilizzati indiscriminatamente, l'upiidhyiiya e piu propriamente Secondo alcune autorita Ull insegnante di ordine infe­riore, che impartisce l'istruzione per trame il proprio sostentamento, o co­munque dietro compenso. La venalita dell'insegnamento e costantemente biasimata, ed e talora addirittura inclusa tra i peccati accessori24• Una prati­ca come quella dei sofisti sarebbe dunque stata tenuta in gran dispregio. Ti­picamente, l' iiciirya e il Maestro che impartisce l' iniziazione e intrattiene il discepolo nella propria casa per tutto il lungo periodo del brahmacarya, l'apprendistato della parola sacra. Quando il discepolo prende congedo dopo molti anni (quantificati variamente dalle diverse autorita) corrispon­de la da/cyitzii, un compenso che non e fissato in anticipo, ma e commisu-

23 P. OLIVEI..LB, The early Upani~ads, Delhi, Munshiram Manoharlal, 1998, p. 11 sg. 24 Cfr. R.K. MooKEJUEE, Ancient Indian education, Delhi, Motilal Banarsidass, 1974, p. 202.

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rato alle possibilita del discepolo; ed e in ogni caso considerato come un dono propiziatorio, e non un pagamento di cio che non ha prezzo.

Guru e il termine piu generico, che, di etimo affine al latino gravis, puo designare qualsiasi persona di 'peso' e autorita che funga da guida spiritua­le. Cosi, padre e madre rientrano nel novero dei guru, cio che non stupisce, giacche nelle smrti il rapporto tra maestro e discepolo e spesso considerato di natura parentale. Dice il Codice di Manu:

Tra ii padre che da la vita e ii padre che da la scienza sacra, e piu venerabile ii padre che da la scienza sacra: perche in questo mon­do o nell'altro, la nascita del brahmano nella scienza sacra e pe­renne. Cio che ii padre e la madre generano insieme per desiderio, mera esistenza, sappi, e cio che nasce nella matrice; ma la nascita che genera secondo la norma ii maestro esperto del Veda in unio­ne con la Siivitr'f, quella e Realta senza vecchiaia e senza morte (Miinavadharma8iistra 2, 146-148).

11 rapporto parentale tra Maestro e discepolo era d'altronde gia implicito nel termine di dvija, ovvero "nato-due-volte" che designa l'iniziato. Nel rituale dell'upanayana, l'imposizione del cordone sacro che sancisce la rinascita spirituale, allorche il maestro posa la mano sulla spalla del disce­polo s'incinge di lui e lo da alla luce dopo tre giomi; il discepolo, a sua volta, diviene un embrione e perci<'> deve astenersi dall'attivita sessuale25•

Con tutte le debite differenze, che non e qui luogo per discutere, non richiama forse alla mente questa generazione spirituale del discepolo da parte del maestro la maieutica socratica, ovvero l'arte con cui Socrate si faceva non genitore ma levatrice del Bene e del Vero di cui l'anima del discepolo era gravida?

Ma il rapporto tra Maestro e discepolo e talora presentato nei testi piu antichi con altra metafora che quella parentale. Nell'arcana dottrina delle correlazioni della Taittiriya Upanisad (I, 3) la coppia pedagogica - in cui ii maestro e la tesi (purvarilpa), il discepolo l'antitesi (uttararilpa), la scienza (vidya) la sintesi (sa.,,,dhi) e l'insegnamento la dialessi (sa.,,,dhana) - viene accostata alla coppia coniugale - in cui la madre e la tesi, il padre l'antitesi, la prole la sintesi e la procreazione la dialessi. Anche questa me­tafora non e nuova a noi :figli dei greci, come vuole Jager: non ci richiama forse alla mente il passo del Simposio (206c) in cui Platone, per bocca di Socrate, contrappone l 'unione dell 'uomo e della donna che sono fecondi nel corpo in vista della procreazione della prole all 'unione spirituale di co­loro che sono fecondi nell'anima in vista della procreazione della saggezza ( <ppOVfJ(Jl~)?

2~ Satapatha Briihma~a XI, 5, 4, 12. Cfr. M.L. GNOATO, Maestri divini. Sul rapporto tra maestro e discepolo nel/'lndia antica, in R. ARENA et al. (edd.), Bandhu. Scritti in onore di Carlo Della Casa, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1977, I, p. 178.

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Paideia e sarilslqti. Qua/che spunto di riflessione

2. SOMIGLIANZE STRABILIANTI E DIFFERENZE FILOSOFICHE

In tema di filosofi.a, potn\ valer la pena di concederci qui una breve digressio­ne per esaminare sommariamente alcune affermazioni di Jager, tese a riven­dicare l'assoluta originalita e primazia del pensiero greco, di cui la compa­razione rivela l'infondatezza. Gia in Omero, rileva Jager26, si trovano spunti di interpretazione filosofica dei miti, ma e solo in Esiodo che tale intento trova applicazione sistematica in una speculazione cosmologica e teologica coerente. I <<tre concetti essenziali d'una dottrina razionale del divenire del mondo», e cioe i1 Chaos (ovvero lo spazio vuoto), Cielo-e-Terra come base e tetto del mondo (separati appunto dal Chaos), e infine Eros quale «primor­diale forza cosmica creatrice di vita» sono palesemente riscontrabili nelle rappresentazioni mitiche della Teogonia. Orbene, di quei tre Cielo-e-Terra - riconosce Jager - sono comuni alle rappresentazioni mitiche di tutti i popoli; il Chaos si trova anche nel mito nordico27; ma «l'Eros di Esiodo e una rappresentazione speculativa di conio originale e d'immensa fecondita filosofica>>, che manifesta la sua vitalita in Parmenide, Empedocle, Platone, giu giu attraverso Lucrezio e i Neoplatonici cristiani fi.no a Dante e oltre. L'autore della Teogonia, continua il Nostro, pur attingendo al patrimonio mitico e religioso tradizionale lo pone «al seivizio di un sistematico ripiega­mento della fantasia e dell'intelletto sulle origini del mondo».

Leggiamo ora le stanze iniziali del Niisadiya Sukta, l"'lnno del Non-Essere" (/3g Veda X, 129):

[ 1] In quel tempo non c' era l' inesistente ( asat). non c' era l' esistente (sat); non c'era il mondo di quaggiu (*rajas), ne il mondo che e al di la (ryoman). Che cosa avviluppava? dove? sotto la giurisdizione di chi? c' era forse acqua inscandagliabile, abissale?

[2] Allora non c'era la morte, non c'era l'immortalita; non c'era la distinzione (praketa) della notte e del giomo. Senza vento respirava per propria forza l'Uno: all'infuori di esso non c'era nient'altro.

[3] In principio c'era tenebra nascosta da tenebra; tutto questo uni­verso non era che flutto indistinto ( a-praketa ). Quell' abisso rivestito di vanita che era l'Uno prese nascita con la grandezza del suo fer­vore (*tapas).

[4] In principio fu sopraggiunto dall'amore (kiima), e fu questo il primo seme del pensiero (*manas). I vati sapienti indagando nel loro cuore scoprirono il bandolo dell'esistente nell'inesistente.

26 JA.GBR, Paideia, p. 136. 27 <dl greco Chaos e ii gingargap della saga nordica» (ibid n. 30): forse un refuso per Ginnunga­gap (SNORJll STURLUSON, Edda, Gylfaginning, 15)?

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[5] Trasversale fu tesa la loro corda; c'era un sopra, c'era un sotto? c'erano Inseminatori (retodha), c'erano Grandezze (mahiman); in basso c'era disponibilita (svadhii), in alto c'era offerta (prayati).

Quest'inno e qualificato nell' anukrama~i" o "indice" vedico bhiiva-vrtta, ovvero "resoconto dell'origine". Benche l'inno risalga forse al X sec. a.C. o a epoca ancor piu antica, i1 pensiero speculativo vi e manifestamente progredito hen oltre lo stadio di razionalizzazione incoativa del mito cele­hrata da Jager in Esiodo, che scrisse la Teogonia tra l'VIII e i1 VII sec. Vi si agita in effetti quel medesimo prohlema dell'cipri che occupo le prime speculazioni dei filosofi ionici. L'atteggiamento mentale dell'autore non e dogmatico ma zetetico: si pongono questioni, se ne tenta la soluzione "indagando nel proprio cuore", e si conclude finalmente con una nota di scepsi: la conoscenza delle origini e preclusa agli esseri creati, e puo essere appannaggio solamente del sommo Supervisore, seppure egli stesso non e trasceso dal mistero ineffahile dell 'Uno.

Per cio che riguarda i sullodati «tre concetti essenziaii d'una dottrina razionale del divenire del mondo» individuati da Jager, si puo osservare che nell'inno la coppia mitologica Cielo-e-Terra non compare nello scenario ini­ziale, sostituita da una serie di coppie polari, radicate in quella fondamen­tale di essere/non-essere (basso cielo/alto cielo28, morte/non-morte, giomo/ notte), di hen maggior rilevanza speculativa, negate tutte nell'indistinzio­ne originaria. Cielo e Terra sono forse adombrati, in forma compiutamente demitologizzata, nell'enigmatica quinta stanza, dove s'inaugura lo scenario cosmico con l'originazione simultanea di un Sotto accogliente e di un Sopra profferente, con chiara connotazione sessuale. 11 Chaos fa la sua comparsa nella terza stanza, come iibhu "vuoto", o "ahisso ( acquatico )''29 rives ti to di vacuita (tucchya). Mae soprattutto sull'Eros, in cui Jager riconosce l'ap­porto esiodeo piu originale e fecondo di sviluppi filosofici, che dobbiamo soffermare la nostra attenzione. Kiima ("desiderio" o "amore") e l'esatto corrispettivo indiano di epax;, fin nei dettagli della posteriore mitologizza­zione epico-puranica: dio che presiede all'innamoramento, armato di arco e frecce con cui bersaglia la sua vittima attizzando irresistibili ardori. Ma la mitologia di Kama quale dio dell'amore e, appunto, assai piu tarda, e un parto della lussureggiante fantasia mitologica dell'hinduismo popolare. Nella quarta stanza dell'inno vedico kiima fa invece il suo ingresso quale

28 Sul significato di .,.ajas e vyoman v. R. N. DANDEKAR, Universe in Vedic thought, in J. ENSINK

- P. GAEPFKE (edd.), India Maior: Congratulatory volume presented to J. Gonda, Leiden, Brill, 1972,p.101. 29 II significato esatto di questo tennine raro, e perfino la sua fonna (che rimane parzialmente in­detenninata net testo sanscrito per effetto di leggi di adattamento fonetico ), oscillante tra i valori iibhu/abhu/abhilliibhii, rimane controverso. Per una prospettazione delle possibili interpretazioni si rimanda a R. AMBROSINI, Contributi all'interpretazione di RV XJ29, in Studia classica et orientalia Antonini Pagliaro ob/ata, I, Roma, 1969, p. 113 sgg.

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puro principio teoretico, in funzione di motore della manifestazione cosmi­ca e impulsore del pensiero. Abbiamo qui il prodromo di una dottrina del primato della volonta che e alla radice di importantissimi sviluppi, a partire della riformulazione mitico/teologica convenzionale dei Briihmatza (in cui l'Uno e sostituito dall'Essere originario Prajapati, il "Signore della proge­nie") successivamente ripresa nell' elaborazione speculativa upanisadica, nella quale (per citare un testo esemplare) il conato creativo del brahman originario viene formulato con l'espressione di un insorgente desiderio di proliferazione espansiva: so 'kiimayata bahu syiim! prajiiyeyeti! (Taittirfya Upani$adll, 6): «egli (il brahman/iitman) concepi il desiderio (kiima): che io possa moltiplicarmi! che io possa procreare!». Spetta al desiderio fomire lo slancio centrifugo iniziale che spezza la solitudine originaria dell'Uno/ Se proiettando l' Altro da Se (il seme della dualita), che tocca poi all'inverso movimento centripeto del pensiero ricomprendere intenzionalmente nell 'u­nita orizzontale della coscienza. Non e necessario sottolineare l'immensa portata filosofica di questa intuizione, che nella storia della filosofia occiden­tale ha trovato adeguato riconoscimento e sviluppo soltanto nella filosofia dell'idealismo tedesco.

L'attenzione alla dimensione psicologica-coscienziale e d'altronde ca­ratteristica originate del pensiero indiano fin dai suoi albori. Peraltro Jager, notando che la filosofia fece ii suo debutto in Grecia con la cosmologia degli Ionici, per estendere il suo interesse alla dimensione antropologica solo in seguito, con i sofisti e Socrate, asserisce che ii problema dell'uo­mo venne per i Greci dopo ii problema della natura perche essi dovet­tero prima acquisire una 'riXWl dalla considerazione del mondo esteriore (medicina e matematica) per poterla poi applicare allo studio del mondo interiore- una -rtxvrf che invece venne a mancare all' «anima dell'Oriente, [che] nel suo anelito religioso si profonda immediatamente nell'abisso del sentimento, ma non vi trova alcun punto di appoggio»30• In realta, questa presunta inettitudine di un pensiero indiano irrimediabilmente smarrito nelle brume del misticismo ad affrontare proficuamente le problematiche antropologiche per mancanza di un metodo analitico adeguato si rivela non altro che una finzione del suo pregiudizio. E vero piuttosto che gli India­ni, anzicbe dover mutuare dall'indagine del cosmo esteriore il metodo per la scoperta delle leggi interiori, elaborarono ben presto un procedimento specifico per l'indagine dell'interiorita psichica: il metodo introspettivo (prati/oma) dello Yoga. Sistematizzato solo in epoca piu tarda da Pataiijali negli Yogasutra, che non siamo in grado di attribuire a un' epoca precisa per la nota indeterminatezza della cronologia indiana31 , lo Yoga affonda

30 JAGBR, Paideia, p. 288. 31 Le datazioni correnternente proposte vanno dal II sec. a.C. al IV o addiritura VI sec ev. La datazione piu aotica e oggi respinta dalla grande rnaggioranz.a degli studiosi. In un articolo di

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le sue radici gia nelle Upan~ad, e innanzitutto nella Katha, nel contesto di una famosa similitudine del carro dell'anima che potrebbe aver ispirato quella a noi piu familiare del Fedro platonico32•

La somiglianza davvero strabiliante tra i passaggi in questione della Katha Upan~ad e del Fedro, che ha fatto esclamare entusiasticamente a due studiosi: «the extraordinary resemblance of the two descriptions down to the smallest details staggers us, and we must confess that we do not know how to account for it»33, none certo un caso isolato. None qui il luogo per una rassegna dettagliata dei numerosi parallelismi letterali e con­cettuali in cui ci si imbatte percorrendo le pagine degli antichi pensatori greci e indiani, ma si potra almeno ricordare come il celebre yvwfh aeavrov (nosce te ipsum) socratico o l'aristotelica <piJ..avria a quello connessa tro­vino corrispondenze non meno sorprendenti nella letteratura upanisadica. Nell'Alcibiade (132e) il Socrate platonico, nell'impartire l'imperativo del­fico della conoscenza di se al discepolo prediletto cui e intitolato il dialogo, si affida alla metafora della 1eop17, che noi con i latini chiamiamo pupil­/a, in entrambe le lingue la 'fanciullina' dell'occhio nella cui immagine ci cogliamo guardanti, non piu cose tra le cose ma veggenti delle cose - cosi come con analoga intuizione nella Chiindogya Upan~ad (VIII, 7) Prajapati nel ruolo del maestro impartisce enigmaticamente ai suoi due discepoli, il re degli dei Indra e il re dei demoni Vairocana, l'imperativo della conoscenza dell' iitman ("Se") per mezzo della metafora del pu~a, l'omuncolo dell'occhio, che ha cambiato il sesso ma non la funzione di metafora del principio cosciente34•

E Aristotele, affrontando nell 'Etica Nicomachea (IX, 8) la questione della <piJ..av-ria, ovvero, alla lettera, l"'amor di se" 0 "egoismo", contrappo­ne due accezioni del termine cui compete un'opposta valutazione morale: biasimevole e l'egoismo della massa (oi 1l'OMoi), che consiste nell'indulge­re alla parte peggiore di se, mentre e commendevole la superiore <piJ..avria di colui che «attribuisce a se le cose piu belle e piu buone, e compiace alla

prossima pubblicazione dal titolo A concise historiography of classical Yoga philosophy PH. A. MAAs, dopo una rassegna circostanziata di testimonianze, documenti e opinioni di studiosi, giun­ge alla conclusione che ii Piitanjala Yoga8iistra, come opera unitaria comprensiva del Bhiizya ("commentario") attribuito a Vyasa, «can be dated with some confidence to the period between 325 and 425 CE». 32 Sull'argomento cfr. P. MAGNONE, La alegoria del carro del alma en Platon yen la Katha Upani!;ad in 0. CATIEDRA (ed.) El carro. Imagenes y simbolos en oriente y occidente, Mar del Plata, Suarez, 2009, p. 133-164. Repr. in G. RooRiGUEZ (ed.), Textos y contextos (II). Exegesis y hermeneutica de obras tardoantiguas y medievales, Mar del Plata, Univesidad Nacional de Mar del Plata, 2012, pp. 87-126. 33 S.K. BELVALKAR - R.D. RANADE, History of Indian philosophy. The creative period, Delhi, Oriental Books Reprint, 1974, p. 263. 34 Per un'analisi piu dettagliata v. P. MAGNONE, II maestro, ii pupillo e la pupilla (tra India e Grecia), <<Avallon. L'Uomo e ii Sacro», XLVIII (2000), p. 51 sgg.

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Paideia e sarilslqti. Qualche spunto di riflessione

parte piu autorevole di se stesso e ad essa obbedisce»35• Similmente nella Brhadiir01:iyaka Upani$ad (II, 4 e IV, 5) ii saggio Yajftavalkya, nel conse­gnare il suo celebre "testamento filosofico" alla moglie filosofa MaitreyI, esordisce con una paradossale esortazione all' egoismo: la moglie e cara, ma non per amore della moglie, bensi "per amor di se" (iitmana"ti kamiiya): ed e per amor di se che e caro anche ii marito, i figli, la ricchezza, ii potere spirituale e temporale, i mondi, gli dei, gli esseri e l'intero universo. Ma a misura che si ampliano i confini dell'autoreferenzialita fino ad abbracciare Tutto senza residui, proprio l'iperbolicita di un siffatto 'egoismo' trasvalu­ta ii signi:ficato del pronome rifiessivo: iitman, "se stesso" - es 'intende che ii Se di cui parla Yajfiavalkya non e ii meschino soggetto dei nostri amori e rancori, bensi I' Assoluto soggetto, I' orizzonte della coscienza in cui Tutto trova la sua manifestatezza e ii suo senso. Percio, conclude Yajfiavalkya ii preambolo del suo discorso, «e I' iitman che bisogna contemplare, ascolta­re, pensare e meditare: perche vedendo, udendo, pensando e conoscendo l'iitman si conosce Tutto»36• (Naturalmente, hen diverso e lo statuto del Se, o dell'anima, nell'uno e nell'altro caso: <pzlavria o amor dell'anima quale principio morale in Aristotele, iitmakama o amor dell' iitman quale princi­pio ontologico-gnoseologico in Yajftavalkya: ma e discorso che dobbiamo rinviare ad altra occasione ).

3. ATTUALITA DELLA PEDAGOGIA BRAHMANICA

Riprendendo ii filo del discorso dopo questo breve excursus sul versante piu propriamente filosofico della cultura: forse la piu cospicua dissimme­tria tra la paideia greca e la sams/q1i indica risiede nel fatto, cui abbiamo gia accennato, che, mentre la prima trasse ispirazione dai valori dell'aristo­crazia guerriera, della seconda furono originari artefici i sacerdoti brahma­ni. Connessa a questa e la circostanza che la fonte letteraria piu antica della prima e costituita dall'epopea omerica, mentre la sorgente della seconda, come abbiamo visto, risiede nella sruti ("rivelazione") vedica e nelle con­nesse smrti ("tradizioni"). L' epica indica, rappresentata dal Riimiiy01:ia e dal monumentale Mahabharata, benche probabilmente assai piu antica nei contenuti, risale quanto alla redazione del nucleo originario probabilmente non oltre il IV sec. a.C. Con essa s'inaugura la letteratura del periodo clas­sico, e insieme si affacciano piu risolutamente alla ribalta culturale indiana

JS ARISTOTELB, Etica Nicomachea, l l 68b, 28 sgg.: oo.;w: 0 'av 6 TOIOVrOt; µii.uov eTvai 1pWivroi;· 6Jroveµe1 )'OVV EaV'l'tP TG Kci,UIOTa Kai µ6J.10T'aya(}/J., Kai xapf(E:Tal EaV'l'OV 'Rf> KVpl(l)T/J.T<p Kai iravra wvr<P m:iOE:Tai. 36 Brhadar~yaka Upani1ad II, 4, 5: iitmii vii are drQ.1/avya/:I srotavyo mantavyo nididhyiisitavyo maitrcyi I iitmano vii are darfanena srava1;iena matyii vijniineneda111 sarva111 viditam. (Passo parallelo in Brhadiira"(lyaka Upani1ad rv, 5, 6).

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anche elementi di una pedagogia ispirata a una visione del mondo pretta­mente guerriera - bencbe rielaborati e armonizzati dall 'onnipresente opera dei diascheuasti brahmani con la nuova visione religiosa dei culti devozio­nali della bhakti. Esaltazione del gesto eroico, sentimento dell'ineluttabi­lita del daiva ("cio che manda i1 cielo": la µoipa), desiderio di gloria e di fama - tutto questo e altro ancora s 'incontra, come nelle pagine di Omero, anche in quelle di Valmiki e di Vyasa.

Eccederebbe i limiti di questo contributo entrare in dettagli circa le di­screpanze e le tangenze tra epos e itihiisa, epica greca e indica - queste ultime (le tangenze) molto piu numerose di quanto Jager non abbia potuto sospettare. Per fare un solo esempio, allorche egli rivendica per gli aedi la funzione eminentemente educativa di perpetuare nella memoria dei posteri i1 ricordo delle «gesta degli uomini e degli dei» e specula sul nome signifi­cativo di Femio, l'"annunciatore della fama'', imposto al cantore dell'Odis­sea37 si sarebbe stupito di apprendere che il cantore del Mahabharata porta in maniera del tutto analoga il nome di Ugrasravas, ovvero il "[nunzio della] fama possente"38. In quanto alla funzione di cantore della memoria, basti ricordare che egli era figlio del suta, i1 bardo-cocchiere che aveva il compito di serbar memoria delle gesta epiche: itihasa (il vocabolo sanscri­to che designa l'epica) significa infatti appunto: "cosi avvenne in verita".

Ma forse - per terminare su una nota che coinvolge l'attualita- i1 torto piu grande all'epica indiana Jager lo fa allorche afferma perentoriamente, come suole, con una delle sue tipiche 'escludenze', che per quanto tutti i popoli abbiano avuto un'epica, «non v'e popolo la cui epica abbia espresso in una creazione cosi esauriente e grandiosa come la greca quanto in se racchiude di fatalita universale e di senso etemo della vita il grado eroico dell'esistenza umana», soggiungendo che tale distinzione e certificata dal fatto che nessun'altra epopea «per l'ampiezza e la durata della sua influen­za puo esser paragonata ad Omero»39. A mostrare quanto siano destituite di fondamento queste pretese di supremazia varra ricordare brevemente, a beneficio del lettore non specialista, qualche tratto delle due epopee anche troppo noto agli specialisti.

L'eroe Rama, il protagonista umano e divino del Riimiiya~a, ha incar­nato per innumerevoli generazioni di hindu ( e tuttora incarna) il modello dell'uomo ideale in tutti i suoi diversi ruoli: figlio, marito, fratello, guerrie­ro e sovrano. Gandhi mori assassinato con i1 nome di Rama sulle labbra, e riimariijya ("il regno di Rama") e espressione corrente anche nei discorsi

37 JAGER, Paideia, p. 94. 38 Questa etimologia potrebbe apparir un poco forzata, dacche alla lettera ii nome significa sol­tanto "caratterizzato da fama (o anche: voce) possente". Ma altrettanto e forzata l'etimologia di Femio che propone Jilger. 39 Jllger, Paideia, p. 91.

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Paidefa e sari:J.slqti. Qualche spunto di riftessione

degli uomini politici attuali che equivale alla nostra "eta dell'oro". La for­tuna del Ramiiya!Ja e stata immensa per tutto l' arco della storia indiana, comportando numerosi rifacimenti nelle principali lingue indiane moder­ne, tra cui ii Ramcaritmanas del poeta devoto Tulsi Das (XV sec.), che e tuttora una bibbia per milioni di indiani. Al di fuori dell'India, ii Ramaya.I)a ha influenzato tutte le culture dell'Indocina, permeandone le espressioni artistiche, letterarie, architetturali, coreutiche e teatrali.

Ma e l'altra epica, ii Mahabharata, che costituisce ii monumento maggiore dell'antica civilta indiana e del suo retaggio culturale espresso dall' immane sforzo pedagogico dei brahmani. Se nel concerto di "grandio­sita" chiamato in causa da Jager a proposito di Omero puo aver qualche pur piccola parte anche una considerazione quantitativa, giova ricordare che l'epica omerica fa la figura di un pigmeo al cospetto di quest' opera colos­sale, la cui edizione critica, che e costata piu di tre decenni di instancabile lavoro di un'esperta equipe di filologi verso la meta del secolo scorso, conta oltre 700000 ottonari. None pero tanto la grandiosita delle propor­zioni materiali, quanto quella dell'intento ideale che merita di intrattenere la nostra attenzione. Una celebre strofe che ricorre tanto nel primo quanto nell'ultimo canto, quasi a inscrivere l'intera opera sotto l'egida dell'impe­gnativo assunto, recita cosi:

dharme carthe ca kame ca mo/cye ca bhiiratar$abha yad ihdsti tad anyatra yan nehdsti na tat kvacit

ovvero: «per cio che conceme il giusto, l 'utile, il piacevole e il cammino del­ta liberazione40, cio che si trova qui lo si trova anche altrove, ma ciO che qui non si trova, non lo si puo trovare in nessun luogo». In altre parole, compo­nendo il Mahabharata i brahmani depositari e artefici della sarhskrti hanno inteso comporre una summa universale dei valori e delle norme di condotta che a essi si ispirano, a educazione perenne del popolo indiano. Un intento riuscito, come attesta, per venire all'attualita, il successo dei modemi see-· neggiati televisivi realizzati in India, da quello andato in onda alla fine degli anni '80 in 94 episodi di 45 minuti ciascuno, che per quasi due anni «[tenne] incollati davanti ai televisori milioni di indiani ogni domenica mattina>> (per usare l'espressione di uno studioso)41 ; fl.no al piu recente rifacimento, che ha iniziato le trasmissioni quotidiane nel settembre del 2013.

La grande pedagogia dei brahmani, cominciata nelle scuole delle siikha vediche, proseguita nelle sessioni esoteriche ai piedi del maestro, divulgata dalle rappresentazioni dei bardi e dei cantastorie, dopo aver traversato in-

40 Dharma (il giusto), artha (l'utile), kiima (il piacevole) e infine mo"/qa (l'affrancamento dal ci­clo delle esistenze) costituiscono i quattro punqartha, ovvero le "finalita dell' esistenza umana". 41 S. PIANO, ltihasa-purii"!IQ, in G. BoccALI - S. PIANO - S. SANJ, Le letterature dell 'India, Torino, UTET, 2000, p. 163.

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denne le vicissitudini della storia ( dalle invasioni dei greci, degli sci ti, degli unni, degli afghani e dei turchi alle colonizzazioni delle potenze marittime occidentali) ha trovato dunque oggi una nuova incamazione, dimostrando una vitalita che purtroppo, a dispetto degli auspici di J~ger, per la cultura ellenica, tanto nella patria ancestrale dell 'Ellade quanto nella nuova patria di Europa, e onnai solo un pallido ricordo.

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