Padiglione Philips

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Padiglione PhilipsPadiglione PhilipsPadiglione PhilipsPadiglione Philips ---- Poème Electronique Poème Electronique Poème Electronique Poème Electronique UnUnUnUn lampo improvviso e una lampo improvviso e una lampo improvviso e una lampo improvviso e una storia storia storia storia perperperper non dimenticar non dimenticar non dimenticar non dimenticarlolololo A cura di A cura di A cura di A cura di Fausto GiovannardiFausto GiovannardiFausto GiovannardiFausto Giovannardi1111 La Philips, allora colosso mondiale degli elettrodomestici e dell’elettronica, decise di partecipare con un proprio padiglione all’Esposizione Universale di BruxellesEsposizione Universale di BruxellesEsposizione Universale di BruxellesEsposizione Universale di Bruxelles del 1958, la prima dopo la seconda guerra mondiale. Louis Christian Kalff2, ingegnere e direttore creativo della Philips, a capo di un comitato composto dai dirigenti dei vari dipartimenti, fin dal 1956 lavora per concretizzare la cosa. L’idea è quella di un padiglione in cui sia proposto uno spettacolo e non esposti i prodotti. Il progetto iniziale prevedeva di commissionare a tre artisti affermati le tre parti dello spettacolo: a Le Corbusier il progetto del padiglione, ad Ossip Zadkine la parte scultore e a Benjamin Britten la produzione della parte musicale. Quando Louis Kalff, incontrò Le Corbusier per chiedergli di progettare il padiglione, precisò subito che non avrebbero esposto i loro prodotti commerciali, bensì che volevano presentare uno spettacolo inedito degli effetti del suono e della luce, una dimostrazione tesa a illustrare dove avrebbe potuto arrivare il progresso nel futuro. Le Corbusier fu entusiasta dell’incarico e gli rispose, più o meno in questi termini: “Non vi farò un padiglione, vi farò un Poème Electronique e una bottiglia contenente il poema: 1° luce, 2° colore, 3° immagine, 4° ritmo, 5°suono, riuniti in una sintesi accessibile al pubblico e che mostra così le risorse dei prodotti Philips”. “Lo scopo del mio intervento non è fare un locale di più nella mia carriera ma creare con voi un primo ‘gioco elettrico’, elettronico, sincronico in cui la luce, il disegno, il colore, il volume, il movimento e l’idea formino un tutto sbalorditivo ma, naturalmente, accessibile alla folla.” LC Le Corbusier, figlio di una musicista e con un fratello compositore, si dimostrò poco soddisfatto di Zadkine ed assolutamente contrario a coinvolgere Britten. Pretese di essere l’unico riferimento della Philips per il padiglione ed impose la presenza di Edgard Varèse come autore della musica. Varèse non fu tuttavia accolto con entusiasmo e Kalff tentò per ben due volte, nell’ottobre del 1956 e nel dicembre del 1957, di escluderlo dal progetto e di sostituirlo con un compositore più tradizionale come Henk Badings o Henri Tomasi, a cui fu persino commissionato un brano alternativo, di “riserva”. Kalff non fece mistero della sua preoccupazione motivandola con il fatto che Varèse non era abbastanza noto e che la sua musica, da molti definita ‘una cacofonia di suoni’, non fosse compatibile con il gusto corrente del pubblico. Le Corbusier fu irremovibile e l’ebbe vinta. Il contratto d’incarico fu stipulato nell’ottobre del 1956. Con grande entusiasmo, pur impegnato in lunghi viaggi in India per Chandigarh, Le Corbusier progetta uno spettacolo visivo che si dispiega parallelamente alla

1 www.giovannardierontini.it

2 Louis Christiaan Kalff è nato ad Amsterdam il 14 novembre 1897, ha studiato alla Quellinusschool alla HBS ad Amsterdam e poi al Politecnico di

Delft. Nel 1925 Kalff entra nel reparto pubblicità della Philips a Eindhoven. E’ stato uno dei pionieri nel campo del design industriale. Ha disegnato il

logo della Philps, progettato grandi spettacoli di luce per l'esposizione mondiale di Barcellona, Anversa, Bruxelles e Parigi. Oltre a lavorare per

Philips Kalff ha fatto manifesti e campagne pubblicitarie per Calvé, Radio Holland, Holland America Line e per la località balneare di Scheveningen.

Ha progettato diversi edifici, tra cui il Dr. AF Philips Observatory (1938) a Eindhoven, il Diamantboorderij (1948) a Valkenswaard e case a Eindhoven

e Waalre per i dirigenti dalla Philips. Dopo il suo ritiro nel 1960, ha continuato a lavorare per la Philips come consulente e architetto, progettando il

Evoluon ad Eindhoven. Muore nel 1976.

musica: fasci di colori che illuminano le pareti curve, lungo le quali vengono proiettate immagini fotografiche scelte dallo stesso architetto. Tutto lo spettacolo sarà integralmente gestito in automatico attraverso un complesso dispositivo di controllo che attiva e disattiva i proiettori video e gli altoparlanti, a partire da una partitura di controllo globale. Fu così che venne realizzata la prima architettura multimediale della nascente era elettronica, divenendo tra l’altro uno dei più singolari “oggetti a reazione poetica” ideati da Le Corbusier.

Incaricato del progetto è Iannis Xenakis che elabora numerosi disegni e modelli, sulle troppo semplici indicazioni di Le Corbusier: “Il padiglione Philips sarà un edificio a basso costo, una specie di struttura cava, un involucro di cemento senza nessuna esistenza architettonica, secondo, l’espressione corrente.” LC

Nello schizzo che consegnò a Xenakis vi era uno stomaco buio, con un ingresso ed un’uscita, che doveva contenere almeno 400/500 persone, tutte le apparecchiature per il video, le luci e la diffusione del suono.

Secondo Le Corbusier l’edificio doveva essere una “bottiglia” contenente il “nettare dello spettacolo e della musica”. IX

Più nel dettaglio, per la fruizione del filmato, Le Corbusier desiderava superfici piane e verticali; per gli effetti spaziali una sommità a collo di bottiglia in cui si sarebbero perse le immagini proiettate; per gli effetti legati al colore invece delle superfici concave e convesse. Per il retro del Padiglione richiedeva una superficie semplice e convessa per non influenzare troppo la vista sul giardino e sui prati che circondavano le costruzioni.

Era felicissimo di potersi esprimere in un modo diverso da quello architettonico e pittorico. Sarebbe stata una visione del mondo sintetica e cinematica a modo suo, una visione totale; realismo, colori, atmosfere, creazioni personali che in una successione folgorante avrebbero dovuto comporre un affresco magnificamente vivo. IX

“Poiché nella bottiglia è notte, poco importa che sia bella.” LC Xenakis comincia ad esaminare i vari aspetti ed a elaborare studi per la soluzione.

1) Il pubblico resta per dieci minuti in piedi, deve distribuirsi in modo omogeneo ed osserva lo spettacolo sulle pareti. Quindi un corpo centrale e due cunicoli per entrare ed uscire.

2) La riverberazione del suono deve essere limitata. Non vi devono essere superfici piane parallele, che producono riflessioni multiple e neppure angoli diedri o porzioni di sfera che l’accumulano. Le superfici migliori sono quelle curve non di rivoluzione a raggio di curvatura variabile.

3) Gli effetti generati dalle luci colorate riflesse devono essere fantasmagorici. “Dunque superfici curve sfuggenti o ricettive di luci perpendicolari, oblique, radenti che creano volumi che si muovono, si chiudono, si aprono, volteggiano.”

4) La struttura deve essere autoportante, lo spazio deve essere libero. La soluzione sono da ricercare nelle superfici rigate.

Mi resi conto che, per determinarne la forma, era necessario considerare molteplici fattori, ma le mie ricerche musicali sui suoni a variazione continua in funzione del tempo mi indirizzarono verso strutture geometriche basate sulle rette o su superfici generate da curve piane, ovvero i paraboloidi iperbolici e i conoidi" IX

E questo per due motivi: le qualità acustiche e l’autoportanza. Tuttavia per determinare l'aspetto plastico finale del padiglione, Xenakis lascia molto spazio per l'intuizione e ad esempio, per determinare le pendenze delle diverse superfici utilizza un metodo molto empirico utilizzando uno "strumento sperimentale" , costituito da due aste metalliche rettilinee, unite da fili elastici attaccati a distanze uguali su ciascuna di queste aste. Con questo strumento, poteva operare per tentativi, cambiamenti nella curvatura e determinare a vista quale fosse la migliore configurazione delle diverse falde. L’8 dicembre 1956 il progetto definitivo ed il modello erano pronti. Al rientro dall’India Le Corbusier lo accettò senza proporre nessuna modifica e così fu anche da parte di Kalff. Furono contattate varie ditte che formularono proposte tecniche ed offerte. La Eiffel aveva già dichiarato, durante la progettazione, l’irrealizzabilità della costruzione in cemento, condizione questa irrinunciabile per i problemi acustici visti e per la necessità di isolare l’interno dai rumori esterni. La società belga-olandese StrabedStrabedStrabedStrabed fu la prescelta per l’originale soluzione proposta dal suo responsabile tecnico l’ing. Hoyte DuysterHoyte DuysterHoyte DuysterHoyte Duyster3.

Duyster ha immaginato il procedimento originale che ha portato alla costruzione del nostro padiglione. Ha suddiviso i grandi P.I. in altri P.I. più piccoli di circa 1 m x 1 m gettati orizzontalmente su sabbia, poi accatastati su un’impalcatura e compressi con cavi d’acciaio (seguendo le generatrici) ancorati sui profili o sulla cinta delle fondamenta. Ha fatto tutti i calcoli statici preliminari mettendo in rilievo le linee fondamentali su un modello nato dai miei primi disegni. IX

La costruzione richiese un accurato lavoro preliminare: dopo attenti studi e la consultazione del Prof. Vreedenburgh dell’Università di Delf, che confermò la fattibilità dell’intervento, suggerendo però l’esecuzione di prove su modelli. Nel gennaio 1957 fu costruito un primo modello in scala 1/25 con tubi metallici e maglia di filo ricoperta da intonaco di gesso, poi successivamente, per tenere conto dell’utilizzo di lastre prefabbricate, un

3 Hoyte C. Duyster (1907-1987) Ingegnere olandese. All'età di 21, si laurea in ingegneria civile presso la Università di Delft e nel 1946 in Scienze

Applicate presso l'Università di Gent. Dopo il servizio militare entra alle dipendenze della società "The Regge" ad Almelo. Nel 1930 passa alla

Hollandsche Beton Maatschappij NV, società indiana e dal 1937 per l'azienda olandese Den Hague. Dal 1937 al 1958, è direttore e Amministratore

Delegato della Strabed SA Bruxelles e nel 1959-1963 Direttore Hollandsche Beton Maatschappij NV. Dal 1963 è membro del Consiglio di

Amministrazione del gruppo e direttore di Inter-Beton NV, la società operativa, che gestisce tutte le attività estere della Hollandsche

Betonmaatschappij N. V. Dal 1967 Professore associato presso il Dipartimento di Architettura della Technische Hogeschool Eindhoven. Numerose

pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali. Ha lavorato progettando diverse opere nella ex india-olandese, tra cui una copertura cilindrica in

una cappella a Bandung. Dopo il suo ritorno ha lavorato ad un bunker sotterraneo per la Staatsmijn Maurits, una fabbrica per la Philips a Leuven e

la Chiesa Mayfield a Cork (Irlanda). Dal 1943 ha svolto prove e ricerche sulla precompressione dei pali di cemento e strutture di vario genere.

Insieme a R. Bloem ha sviluppato dei dispositivi, in cui la forza di lavoro è determinata con l’aiuto di un dinamometro che viene letto

costantemente. Questi dispositivi sono stati usati per un ponte a Waxford (Irlanda) e presso il Padiglione Philips all’Expo’58.

secondo in lastre di legno in scala 1/10, che simulava meglio l’idea costruttiva di Druyster. H.C. Druyster : Senza la garanzia di queste prove non mi sarei lanciato in questa avventura. Il lavoro di scavo delle fondazioni ebbe inizio il 6 maggio 1957, con il consolidamento del terreno con pali.

La struttura era composta dall’intreccio di sezioni di parabolidi iperbolici, sostenuti alla loro intersezione da nervature di calcestruzzo armato postcompressi di 40 cm di diametro, il più alto dei quali era di 20 metri. Al fine di assicurare l’assoluta accuratezza della forma ed uniforme qualità della superficie, le pareti erano fatte con oltre duemila pannelli prefabbricati a terra, ognuno di diversa forma trapezoidale, di 5 cm di spessore e di superficie intorno ad 1 mq. I vari pannelli furono realizzati utilizzando delle forme in scala reale, costruite con sabbia all’interno di un capannone, posto vicino al sito di costruzione. Sulla forma vennero posati listelli di legno ad individuare i vari pannelli, che poi sono stati gettati con malta di cemento, previa posa di una leggera rete metallica. In cantiere fu realizzata una grande centinatura in legno, posizionate le nervature di bordo dei vari gusci costituenti il padiglione. Su ogni porzione di paraboloide iperbolico sono state individuate, con tavole di legno, le linee generatrici corrispondenti ai vari pannelli realizzati nel capannone vicino, numerati e montati procedendo dal basso sulla balza di partenza che forma la base dei gusci e che verrà poi compressa a fine del montaggio e gettata in calcestruzzo a formare un cordolo perimetrale di 40 cm di spessore. Una rete di cavi d’acciaio venne quindi posizionata attorno a tutti i pannelli, dentro e fuori, ancorata alle nervature ed alla balza di base e quindi tesa con il sistema brevettato dall’ing. Duyster4, rendendo la struttura monolitica. Il sistema dei cavi agiva dualmente contrastando la flessione e la torsione nei gusci. L’esterno venne completato con pannelli di legno verniciati di alluminio, con i cavi lasciati a vista, mentre l’interno venne interamente spruzzato con malta, dalle opportune caratteristiche acustiche. 4 Al riguardo si veda il brevetto United States Patent N. 3,417,828 Dec. 24, 1968 Method For Driving Piles And Similar Objects

La costruzione per immaginiLa costruzione per immaginiLa costruzione per immaginiLa costruzione per immagini

L’interno del Padiglione prima dell’intonacatura con isolante acustico (amianto) L’inaugurazione

Foto di Hans de Boer

Nel settembre 1957 Varèse arrivò a Eindoven per la realizzazione della musica presso lo studio predisposto appositamente dalla Philips, che gli mise a disposizione due assistenti Willem Tak e S. L. Le Bruin. Chiese a Le Corbusier di fornirgli dei riferimenti di durata delle immagini descritte nella bozza in suo possesso, ma non ebbe risposta fino al 5 novembre successivo, quando si incontrarono ad Eindoven. Nell’incontro furono visionate alcune delle immagini scelte da Le Corbusier, e stabiliti alcuni punti di approssimativa sincronizzazione degli eventi nei 480 secondi complessivi dello spettacolo. Le Corbusier volle espressamente che la musica non fosse coordinata alle immagini, ma doveva seguire un proprio percorso; unico punto di contatto doveva consistere in una zona di silenzio al centro del brano. A fine dicembre il regista Philippe Agostini iniziò il montaggio delle immagini su pellicola cinematografica. Varèse aveva registrato su nastro magnetico la prima parte del Poème ed in febbraio annunciò l’avvenuta composizione del finale. «Ci sarà un po’ di maretta. Alla signora Philips e a … non piace nemmeno un frammento della composizione che hanno fatto loro ascoltare. Vero è che è stata presentata sommariamente, con dei mezzi… del tutto inadeguati. Verdetto: non c’è melodia – non c’è armonia. Questi signori, a quanto pare, sarebbero felici di sbarazzarsi di me, ma io non sono abituato a farmi liquidare…”

Lettera di Varèse a Xenakis5

5 Hirbour Louise, a cura di. Varèse E. Poème electronique Il suono organizzato. Scritti sulla musica. Milano, Ricordi-Unicopli. (1985).

Per avere la perfetta sincronia delle luci con i suoni fu predisposto uno strumento di commutazione composto da comandi elettronici registrati su nastro magnetico a 15 tracce, mentre la versione originale della composizione musicale di Varèse fu registrata su nastro magnetico a 3 tracce: i nastri magnetici presentavano le medesime perforazioni di una pellicola da film cinematografico ed i magnetofoni erano messi in azione da un motore sincrono ad avviamento rapido. Verso la fine di dicembre l’edificio era quasi del tutto ultimato e poteva quindi avere inizio la fase di montaggio dello spettacolo ed i test delle apparecchiature. A partire dal mese di marzo i tecnici della Philips avevano già iniziato il progetto dell’installazione visiva e sonora. Iannis Xenakis, insieme a Willem Tak (assistente di Varèse) come consulente per la parte acustica, si occupò del progetto per la collocazione di 350 altoparlanti. Quelli delle frequenze medio-acute furono collocati direttamente nelle pareti del padiglione, in gruppi compatti (in alto, sopra l’ingresso e l’uscita dell’edificio e sopra le tre cuspidi), ed in gruppi dispersi, per ottenere percorsi di movimento del suono (routes du son - strade del suono), lungo le armature dell’edificio ed orizzontalmente. I più voluminosi diffusori delle basse frequenze, non direzionali, furono montati in cassette di calcestruzzo, distribuite lungo il perimetro del pavimento, dietro ad un alto parapetto che nascondeva la strumentazione per le luci e le proiezioni. Il padiglione, simile ad una grande vela di colore grigio argento, che si sviluppava per 40 metri di lunghezza e 25 di larghezza, con tre cuspidi alte 21, 18 e 13 metri, fu inaugurato il 22 aprile del 1958, ma venne subito dopo chiuso per i dieci giorni successivi per consentire la messa a punto definitiva dello spettacolo. La prima esecuzione del Poème électronique si tenne il 2 maggio del 1958 per poi continuare fino all’inizio di ottobre. Ogni giorno venivano fatte 20 rappresentazioni all’interno del padiglione, con circa 500 spettatori che assistevano in piedi allo spettacolo. Ciascuna rappresentazione, della durata di otto minuti, era preceduta e seguita per due minuti dalla composizione di Xenakis dal titolo Concret PH, durante la quale il pubblico veniva invitato ad entrare e poi ad uscire.

“Schermi collocati panoramicamente, che in continuo movimento formano e disfano immagini; apparecchi che proiettano colori neri e luci – brevi luminosi effetti del visibile nell’invisibile; proiezioni di volte e di orizzonti divampati o irrigiditi dal ghiaccio; illusioni ottiche e tragedie; concetti plastici della vita in movimento… tutti questi mezzi ed effetti fanno oscillare il pubblico, durante gli otto minuti della rappresentazione, fra incertezza e subitanea comprensione e lo trasportano in un mondo nel quale la forza di immaginazione non può più prevedere la successione delle onde luminose e sonore”. IX

Committente: Philips Co. Progettista: Le Corbusier con Iannix Xenakis Appaltatore: Strabed – Belgio Progettista esecutivo: ing. H.C. Druyster Consulente per le strutture: Prof. C.G.J. Vreedenburgh, Università di Delf – Olanda Prove preliminari su modelli: Istituto T.N.O a Rijswijk – Olanda, ing. A.L.Bouma Laboratorio Stevin – Università di Delf ing. F.K. Ligtenberg. Illuminazione e proiezione: Jean Petit, Philippe Agostini Acustica: Willem Tak

Il padiglione era dimensionato per accogliere seicento spettatori ogni otto minuti, precisamente 480 secondi, il tempo fissato per ogni rappresentazione: uno spazio continuo in cui non esisteva alcuna distinzione fra pareti e soffitto, Dopo un interludio di due minuti, scritto da Xenakis (Concrete PH ), e dopo alcuni minuti di buio, il suono di due gong dava l’avvio agli otto minuti di Poème Electronique. Uno spettacolo progettato come un’opera per orchestra, nella quale gli strumenti virtuali erano le luci, gli altoparlanti, le immagini proiettate sulle superfici incurvate, le ombre e le espressioni degli spettatori, in una sostanziale identificazione dello spazio con il suono. Il Poème Electronique intendeva mostrare, in mezzo ad un tumulto angosciante, la civiltà partita alla conquista dei tempi moderni, il lungo cammino dell’umanità che si concludeva in un’apoteosi ottimistica aperta verso un mondo di gioia e di armonia a venire. Nella versione originale, il brano era registrato su un magnetofono a tre piste (una per il suono vero e proprio e due per la riverberazione ed effetti) e distribuito all’interno del Padiglione attraverso un complesso sistema di 425 altoparlanti e 20 diverse combinazioni di amplificatori al fine di creare percorsi e traiettorie sonore su tutte le superfici della struttura. Come ebbe poi a dire Varèse stesso: “ Ho udito per la prima volta la mia musica letteralmente proiettata nello spazio”. Le immagini, tutte selezionate da Le Corbusier, erano state raccolte interpellando i direttori del Museo di Storia naturale, del Museo Antropologico, del Museo delle Tradizioni popolari di Parigi e Jean Petit. La sequenza cinematografica di queste immagini fisse illustrava il corso della civilizzazione umana, sempre più meccanizzata, e la conquista di un’armonia futura. L’ottimismo e la fiducia per la scienza e la tecnica culminavano mettendo in mostra opere di architettura e urbanistica.

Foto Lucien Hervé

Il padiglione, concepito ed attrezzato per durare soltanto pochi mesi, fu demolito con la dinamite, il 30 gennaio del 1959 alle ore 14:00 ed il terreno fu risistemato a prato. Con la distruzione del padiglione Philips è andata perduta la possibilità di ascoltare il Poème Electronique nel modo e nello spazio in cui era stato concepito. onfigurazione delle teJean Petit, disegnatore, redattore ed editore, che aveva preso parte all’avventura, pubblicò, alla chiusura dell’Esposizione Universale di Bruxelles, un libro sullo spettacolo dal titolo: Le Poème électronique: Le Corbusier, sottoscritto dalla Philips, come testimonianza del lavoro ideativo e della rappresentazione visiva dell’opera. La Philips ha conservato soltanto una riproduzione del film in bianco e nero con le immagini e la traccia stereofonica della musica, le foto ed i disegni progettuali del padiglione, ed una parziale documentazione relativa alla tecnologie impiegate, nonché, ovviamente, la corrispondenza relativa alla produzione dell’opera.

Non può essere taciuta la violenta polemica tra Iannis Xenakis e Le Corbusier, che porterà l’architetto svizzero, dopo una lunga controversia al riconoscimento ufficiale del ruolo dell’ingegnere greco, che poco dopo, nel 1959, lascerà l’Atelier. Anche se durante lo sviluppo del progetto, Le Corbusier ringrazia per il talento audace il suo vice nelle cerimonie ufficiali, non appare il nome di Xenakis e nel comunicato stampa, l'architettura del padiglione è attribuita unicamente a Le Corbusier. Xenakis non accetta questo ruolo troppo subalterno e scrive una lettera “infuocata” a Kalff il 3 ottobre 19576:

"Esigo fermamente che i vostri uffici Stampa menzionino il mio nome nella creazione architettonica del Padiglione, insieme con quello di Le Corbusier che è l'architetto scelto da Philips. È il più piccolo gesto di giustizia e di verità che Philips mi deve per le qualità celebrali e morali che ho messo a disposizione."

Poco dopo, il 12 ottobre, anche Le Corbusier scrive a Kalff, una lettera7 in cui si dispiace per la lettera “del signor Xenakis che stimo anche per il suo valore come artista e tecnico,” ma che ripete quello che spesso avviene nella professione, quando un collaboratore crede “che è stato lui che ha guidato il carro. (...) Non diamo a questo incidente un valore diverso da una manifestazione violenta di un temperamento lui stesso violento.

6 Fonds Iannis Xenakis, Bibliothèque nationale de France

7 il cui originale è conservato alla Fondazione Le Corbusier (FLC J2-19-137)

APPROFONDIMENTIAPPROFONDIMENTIAPPROFONDIMENTIAPPROFONDIMENTI I saggi su modelliI saggi su modelliI saggi su modelliI saggi su modelli Lo scopo era quello di determinare gli sforzi nelle nervature e nei gusci, al fine di poter determinare le dimensioni richieste e la grandezza della precompressione da applicare, nonché verificare la stabilità della costruzione. In un primo momento le prove furono eseguite su di un modello completo (Modello 1) in teli intonacati a gesso, che simulava una struttura monolitica, poi, di fronte all’intenzione della Strabed di utilizzare gusci composti da lastre prefabbricate assemblate in opera e tenute insieme da cavi di precompressione sul lato interno , furono effettuate altre prove su di un modello parziale (Modello 2) in lastre di legno. Modello 1Modello 1Modello 1Modello 1

Modello in scala 1:25 in tubi di ferro, telo e gesso. Istituto T.N.O a Rijswijk – Olanda Responsabile: ing. A.L. Bouma Gennaio 1957

Spessore delle pareti in gesso: 2,1 mm Nervature in tubi d’acciaio di diametro 8,4 mm e spessore 0,7mm. Il comportamento delle pareti di gesso su telo, è simile al calcestruzzo e si comporta elasticamente secondo la legge di Hooke. La misura delle deformazioni può essere interpretata con buona approssimazione come proporzionale alla tensione. Le prove per l’applicazione dei carichi hanno comportato la costruzione di un meccanismo molto complicato ed hanno considerato, nelle combinazioni più sfavorevoli, le azioni di:

1) Effetto del peso proprio 2) Carico di neve su una sola

superficie, tra quelle più vicine all’orizzontale

3) Vento su diverse superfici separatamente

Le misurazioni degli spostamenti verticali ed orizzontali sono state fatte con 4 flessimetri con precisione di 0,01mm; quelle degli allungamenti con degli estensimetri, in una prima fase in numero di 40 poi portati a 130: quattro per ogni punto di misura, due sul lato interno e due sull’esterno. Sulle nervature gli estensimetri sono incollati in numero di due (e se possibile 3) per punto di misura. I risultati hanno dato valori modesti delle tensioni nelle pareti, in ragione di 20 kg/cmq con punte di 40 kg/cmq sulle grandi pareti più vicine alla verticale. Le forze estreme sulle nervature sono state determinate in 30 tonnellate (tanto in trazione che compressione). La condizione posta dall’Ufficio di Controllo del Belgio era che per una sollecitazione pari al peso proprio e valori del vento doppi del normale (150 kg/cmq) non vi fossero condizioni di pericolo. Il modello sottoposto a condizioni maggiorate rispetto alle richieste, non mostrò alcuna deficienza.

Il modello confortava quindi l’esecuzione, pur con le approssimazioni e le incertezze dovute alla sua differenza con la realtà in cui la costruzione non era monolitica. Risultavano comunque note, in prima approssimazione, le tensioni a cui la struttura sarebbe stata sottoposta. Modello 2Modello 2Modello 2Modello 2

Modello a scala 1:10 di una porzione del padiglione Laboratorio Stevin – Università di Delf – Olanda Responsabile ing. F.K.Ligtenberg Giugno 1957 (circa)

Questo modello tiene conto del sistema costruttivo che la Strabed intende attuare con pareti composte da piastre tenute insieme da cavi di precompressione. Furono usate piastrelle di legno triplex, della dimensione di circa 1 dmq, posizionate sul reticolo di cavi, attraverso un sostegno diagonale in ogni piastrella (per l’applicazione del carico) e fissate provvisoriamente con nastro adesivo. Come cavi sono stati utilizzati fili di nailon, che hanno permesso di realizzare in modo relativamente semplice un sistema di precompressione realistico. Il modulo d’elasticità del legno triplex utilizzato era pari a circa la metà di quello del calcestruzzo. Tanto i carichi che la precompressione furono presi pari alla metà del carico reale. Il fenomeno d’instabilità e di rottura era rappresentato dal modello in analogia alla realtà, mentre le deformazioni erano ridotte in scala 1:10. Poi fu applicata in modo uniforme la precompressione. All'inizio le costole che comprendeva il modello, libere su un lato, si sono ritorte eccentricamente per la precompressione. Una parte della superficie praticamente verticale si è instabilizzata. E’ stato necessario generare su queste nervature un momento torcente analogo a quello generato sul guscio dalla precompressione, attraverso un sistema complicato di pesi e carrucole. Una volta che questa precompressione

è stata assegnata alle nervature, la messa in tensione dei gusci è potuta avvenire senza difficoltà. Benchè il modello non fosse rappresentativo della realtà per quanto riguarda l’effetto delle forze risultanti da un carico, è sembrato interessante applicare un carico corrispondente al peso proprio ed al vento. I carichi furono applicati con sacchetti di sabbia. Arrivati al 90% del carico di peso proprio, la superficie inferiore, di una parte del modello, in prossimità del suolo si è incurvata bruscamente. Nel tratto in esame però il modello era stato semplificato eccessivamente, perché, ritenendo che le porzioni di parete quasi orizzontali fossero le più pericolose, non era stato inserito un tratto di parete verticale. Pertanto il fenomeno d’instabilità riscontrato, andava approfondito meglio. Il modello fu scaricato e fu constatato che l’instabilità rientrava, solo dopo

l’eliminazione del carico dalla parte alta della parete che scaricava sulla nervatura di collegamento con quella che si era instabilizzata. Fu modificato il modello in modo da simulare la presenza della parete quasi verticale e riapplicato il carico del peso proprio e del vento, senza riscontrare alcuna anomalia. Per ulteriore riprova a fine saggio, 5 addetti del laboratorio montarono sul modello, che si dimostrò ancora resistente e stabile.

Durante l’esecuzione delle prove sotto carico, furono eseguite misure dello stato tensionale con l’ausilio di lastre in materiale plastico e della fotoelasticità. Nell’insieme i risultati confermarono la fattibilità del progetto costruttivo della Strabed, con l’avvertimento di porre particolare attenzione verso il fenomeno dell’instabilità riscontrato nella prova, anche se la proposta di Strabed di mettere cavi di precompressione anche all’esterno delle pareti, accettata da Le corbusier e Xenakis, fece si che il fenomeno divenisse trascurabile. La costruzione del Padiglione in calcestruzzo precompressoLa costruzione del Padiglione in calcestruzzo precompressoLa costruzione del Padiglione in calcestruzzo precompressoLa costruzione del Padiglione in calcestruzzo precompresso H.C. DuysterH.C. DuysterH.C. DuysterH.C. Duyster Société de Travaux en Béton et Dragages, “Strabed” – Bruxelles Reveu Technique Philips, Tomo 20 N. 1-2-3 sept. Oct. 1958 (Traduzione di Fausto Giovannardi) Quando la società Philips ci chiese di esaminare la possibilità della realizzazione del suo padiglione, concepito da Le Corbusier e Xenakis, noi abbiamo immediatamente pensato a dei gusci sottili autoportanti in calcestruzzo, d’uno spessore che non poteva essere inferiore a 5 cm per le esigenze poste dai tecnici per l’isolamento acustico. Nel progetto che ci fu sottoposto le pareti erano formate da dei paraboloidi iperbolici (p.h.) o da superfici che si potevano trasformare in p.h. L’esperienza acquisita in diverse costruzioni e vecchie e nuove considerazioni teoriche, ce ne avevano fatto conoscere le rimarchevoli proprietà, dal punto di vista della resistenza e rigidità. Anche senza procedere ad una analisi rigorosa,

abbiamo potuto farci un’idea delle forze e deformazioni che si producevano, per delle sollecitazioni determinate; su questa base noi abbiamo potuto stimare, con calcoli elementari, la resistenza richiesta nei diversi punti. Non ci soffermeremo qui sugli altri antecedenti della creazione del padiglione, per esempio i calcoli del Prof. Vreedenburgh, la modifica del primo progetto di Xenakis, i saggi su modelli ridotti effettuati all’Istituto T.N.O. etc. Noi qui ci limiteremo alle questioni concernenti la realizzazione dell’edificio in calcestruzzo precompresso. ... Siccome avevamo intenzione di costruire il padiglione in calcestruzzo – perché questo materiale sembrava prestarsi in modo eccellente per la realizzazione del progetto di Le Corbusier Xenakis – rimaneva da scegliere tra il calcestruzzo armato ed il calcestruzzo precompresso. Per i gusci sottili il calcestruzzo armato non è una proposta interessante. Fare un buon calcestruzzo impermeabile ed omogeneo per le grandi pareti in parte molto inclinate, come previsto nel padiglione Philips, e d’uno spessore sottile, è già molto difficile di per se. Con la presenza di armature le difficoltà sono quasi insormontabili. Per le sue caratteristiche il calcestruzzo armato non si prestava quindi per tale realizzazione. Non è invece così per il calcestruzzo precompresso: possiamo posare i cavi, necessari alla precompressione. All’esterno del corpo di calcestruzzo, e, di più, le forma delle pareti del padiglione Philips si prestano perfettamente. In effetti, come per le superfici rigate in generale, la presenza di sistemi di linee rette (generatrici) sui paraboloidi iperbolici, permette di posare tutti i cavi di precompressione, o la maggior parte, in maniera tale che essi sono rettilinei, che facilita la precompressione richiesta dal materiale. Sebbene le ragioni pratiche menzionate siano di per se decisive per la scelta del calcestruzzo precompresso, sono da citare anche alcune considerazioni per cui la costruzione in c.a.p. è intrinsecamente migliore di quella in calcestruzzo armato. Il prof. Vreedenburgh, riferisce che in prima approssimazione, una sollecitazione uniforme ripartita sulla superficie (parallelamente all’asse del p.h) è condotta sui bordi in modo tale che si produce solo delle forze normali. Nel guscio si producono allora solo vincoli funicolari, che qui, dal punto di vista resistenza, costituisce lo stato più favorevole. I bordi trasmettono il carico, sotto forma di forze normali, verso i punti d’appoggio della costruzione sulle fondazioni. Anche per una sollecitazione uniformemente ripartita e parallela all’asse di un p.h. la realtà si discosta da questa immagine semplice: le differenze sono dovute alla deformazione della costruzione, fenomeno che crea delle tensioni di flessione e per le quali le traiettorie delle tensioni principali sono deformate. Anche questo fatto è stato evidenziato da Vreedenburgh. Più che il guscio è piano e più le differenze rispetto all’immagine primitiva sono più grandi. In generale si produrrà una perturbazione locale limitata, più intensa, in prossimità degli elementi di bordo (nervature), dovuta al fatto che ordinariamente la deformazione di questi elementi è di un altro ordine di grandezza e varia in altro modo lungo il bordo che la deformazione del guscio adiacente. Portando sia il guscio che gli elementi di bordo ad uno stato di precompressione ben scelto, noi possiamo limitare le differenze di deformazione e, per il fatto medesimo, le tensioni secondarie. Lo spessore e eventualmente anche degli appoggi supplementari. Vediamo anche altri due vantaggi della realizzazione con la precompressione:

a) D’una grande importanza pratica, anche se non essenziale, è il fatto che gli sforzi di trazione nel calcestruzzo sono interamente soppressi e con loro le fessure capillari che si producono generalmente nelle costruzioni di calcestruzzo. Le condizioni imposte alla cappa impermeabile dei gusci diventano dunque oltremodo severe, che qui è molto interessante, perché sui gusci di forma così capricciosa è difficile, direi impossibile, utilizzare certe coperture tradizionali.

b) L’applicazione della precompressione – e questo è un punto essenziale ed anche la condizione si ne qua non per la realizzazione del padiglione Philips – ci ha dato l’occasione di realizzare i gusci sottili in piastre o lastre prefabbricate. Che ora descriviamo in dettaglio.

Costruzione di gusci p.h. con l’aiuto di lastre in calcestruzzo prefabbricatoCostruzione di gusci p.h. con l’aiuto di lastre in calcestruzzo prefabbricatoCostruzione di gusci p.h. con l’aiuto di lastre in calcestruzzo prefabbricatoCostruzione di gusci p.h. con l’aiuto di lastre in calcestruzzo prefabbricato Sarebbe stato molto difficile gettare i gusci sottili, fortemente ritorti, del padiglione, in posto in una cassaforma. Anche i carpentieri ed i cementisti più qualificati non ce l’avrebbero fatta se imponiamo condizioni rigorose alla qualità del calcestruzzo. Fin dall’inizio noi abbiamo deciso di costruire ogni paraboloide iperbolico di elementi che si potevano gettare, in posizione sdraiata, su dei letti di sabbia. Questa “prefabbricazione” offre anche il vantaggio di poter lavorare al riparo dalle intemperie, dentro un magazzino disponibile a qualche chilometro dal cantiere. Il grado di suddivisione di ogni guscio dipende in primo luogo dall’altezza libera del capannone e dalla pendenza ammissibile per l’inclinazione del letto di sabbia (nel caso di una pendenza troppo grande, s’impone una cassaforma esterna). Un punto più importante ancora: gli elementi si dovevano prestare alla manipolazione ed al trasporto. Così la grandezza degli elementi o lastre prefabbricate fu fissata a circa 1 mq, poiché si sarebbero formati singoli letti di sabbia per porzioni di guscio comprendenti poche decine di lastre. In cantiere, le lastre sono montate in un modo che verrà descritto nel seguito, ed i giunti sono riempiti di malta (possiamo parlare, per queste pareti, d’un lavoro di muratura di un genere particolare). La composizione di ogni guscio con delle lastre di dimensioni ridotte, non è evidentemente possibile che attraverso la precompressione dell’insieme: i giunti di malta sono, più ancora che il calcestruzzo, capaci di sopportare uno sforzo di trazione, più, grazie alla precompressione, non accadrà mai, in qualsiasi punto, tensioni di trazione nelle pareti. La precompressione, fatta a tutta la costruzione, compreso le nervature, si comporta come se essa fosse stata gettata in un sola volta. Più nettamente ancora che le considerazioni del capitolo precedente la prefabbricazione evidenzia come, in certe costruzioni, il calcestruzzo precompresso gioca un ruolo che gli si addice a meraviglia. I letti di sabbia sui

quali sono poi gettate le piastre – elementi di un dato p.h. tutti di forma differente – possono essere realizzate facilmente, delimitate da stecche di legno diritte, disposte seguendo le generatrici, e lisciate attraverso lo scorrimento di un’asta “generatrice”. E’ tuttavia da constatare che il posizionamento delle generatrici lungo i bordi è la curvatura limite del lato inferiore di un guscio, e la trasposizione di corrispondenti angoli di una porzione del guscio della parte adiacente, e si dovette effettuare in maniera particolarmente accurata. Il problema sarebbe ovviamente stato molto più semplice se noi avessimo potuto realizzare ogni intero guscio su di un letto di sabbia, ma questo purtroppo non è stato possibile per le ragioni già dette (altezza del capannone e pendenza del letto di sabbia). Sul letto di sabbia si dispone, seguendo la direzione delle generatrici, dei listelli di un centimetri di spessore entro i quali si getta la lastra. In considerazione dello spostamento verso il cantiere, le lastre furono munite d’una leggera maglia d’armatura. A questo punto è necessario completare gli argomenti citati all’inizio a favore della scelta dell’uso del calcestruzzo precompresso. La prefabbricazione dei paraboloidi iperbolici gettati in posizione sdraiata, senza cassaforma, rimette più o meno in discussione la possibilità d’una esecuzione in calcestruzzo armato, a parte, come già detto, la rete di rinforzo utilizzata per i trasporti che ho appena citato. Tuttavia, per la realizzazione di grandi pareti verticali, la possibilità del sistema creato offre possibilità senza fine; noi abbiamo infatti i mezzi per assemblare insieme le armature delle lastre adiacenti in un modo tale che, quando si mette in carico tutta la costruzione, si può impedire l'esistenza di sollecitazioni di trazione. Gli elementi di bordo previsti all’intersezione di ogni coppia di paraboloidi iperbolici, sono delle nervature cilindriche in calcestruzzo, di 40 cm di diametro. Sono stati gettati, in cantiere, in una cassaforma in cartone, sostenuta da un’intelaiatura di legno, mentre si fabbricavano nel capannone le 2.000 lastre necessarie all’insieme. È razionale utilizzare delle nervature cilindriche, perché i gusci “ruotano” attorno alle nervature; per tutte le altre forme, diverse dal cilindro, il raccordo tra nervatura e guscio presenterebbe delle difficoltà. Vi è anche un altro motivo per le nervature, che sono di fatto previste per trasmettere sostanzialmente forze normali e che quindi non sono necessarie rigidezze ad una flessione particolare ed una sezione diversa dalla circolare. Le nervature sono state realizzate su una cassaforma, sostenuta da impalcature di legno su cui sono state fissate delle tavole disposte nella direzione delle generatrici dei p.h. Le lastre prefabbricate furono fissate provvisoriamente contro queste strutture lasciando dei giunti di 1 cm di spessore. Dopo il riempimento dei giunti, l’insieme della costruzione poteva essere messa in compressione. Rimaneva solo da togliere gli spessori di posa per fare posto alle squadre di operai incaricati dei lavori di completamento. Esame più dettagliato della precompressione nei gusci e nelle nervature. La precompressione richiesta dai gusci fu determinata con l’aiuto dei risultati dei saggi sui modelli ridotti, effettuati all’Istituto T.N.O. A questo scopo è stato tenuto conto del peso proprio della costruzione, rivestimento acustico compreso, d’un carico di neve e della pressione del vento di 75 kg/mq. Agente in diverse direzioni. Le precompressioni richieste sono create nei gusci da delle serie di cavi d’acciaio ad alto limite elastico di 7 mm di diametro, disposti sulle superfici (vedi sotto). Ciascuno dei cavi può trasmettere una forza di trazione di circa 3.300 kg. Partendo dall’ipotesi che le forze introdotte nei gusci sono dovunque centrali (nel piano medio del guscio) e sono dirette secondo i cavi, ci è stato possibile stabilire le formule per lo sforzo principale necessario, in ogni punto, le forze di

precompressione, nonché per le tensioni lungo i giunti e perpendicolarmente ad essi. Questo ci ha permesso di determinare il numero e la posizione dei cavi di precompressione da mettere. L’ipotesi menzionata risulta motivata per i p.h. – per i quali i cavi sono disposti seguendo delle rette – purché soddisfi a due condizioni: i cavi devono essere ripartiti uniformemente sulla superficie del guscio e, quando messo sotto tensione il guscio deve potersi deformare liberamente. Quest’ultima condizione ha richiesto in vari punti, una soluzione speciale, in particolare per i gusci che poggiano sulla fondazione: il bordo inferiore di questi gusci è stato dapprima isolato dalla fondazione con l’aiuto di due guaine di feltro bitumato ( che poi sono servite in relazione allo stagno circostante all’edificio), e non è stato fissato con cemento fino a che non fu terminata la precompressione. Senza questa precauzione una parte della forza di precompressione sarebbe stata trasmessa alla fondazione e la parte trasmessa al guscio non avrebbe avuto la direzione desiderata. Il saggio sul modello in scala, effettuato al laboratorio Stevin (modello in triplex), ha provato che, grazie a questo accorgimento, la costruzione si comporta nella maniera desiderata: l’assenza di instabilità locale del modello ( eseguito in modo corretto) sotto la messa in compressione, forniva la certezza che le forze introdotte non deviavano, in maniera sensibile, dalla direzione dei cavi.

Al fine di tirare tutte le parti possibili della precompressione, è importante garantire che, in attesa della messa in compressione il bordo inferiore dei gusci possa muoversi di qualche centimetro sulla fondazione, senza basculare. A questo scopo è stato previsto tra la fondazione (1) ed il bordo del guscio (2) due fogli di feltro bitumato. Il guscio (3) è serrato sul bordo (2) dai cavi tenditori (4). Il bordo medesimo è ugualmente messo in compressione, dai cavi (6) lungo il perimetro. Il basculamento è impedito dai blocchi (7) di solidarizzazione del bordi: questi blocchi sono ancorati, per la loro estremità, alla fondazione. L’ancoraggio è realizzato con l’aiuto di travetti di legno provvisori (8) che sono fissati per mezzo di morsetti (10) su delle barre flessibili (9) ancorate nella fondazione.

Nella foto sopra, è ripreso la costruzione del bordo inferiore con i blocchi, prima della costruzione del guscio. Gli intervalli tra i blocchi sono riempiti di calcestruzzo dopo la messa in opera e la precompressione dei gusci – dopo che la deformazione si è prodotta – per fissare definitivamente l’insieme alla fondazione. L’armatura per il riempimento del calcestruzzo passa anche nei blocchi. Le barre flessibili sono piegate provvisoriamente verso il basso. Da notare che i blocchi sono sempre disposti nella parte interna dell’edificio. Nella parte rappresentata dell’edificio la parete ha la pendenza verso l’esterno. È da notare inoltre che, il bordo inferiore costruito da questa parte, può unicamente scivolare, e non basculare, una forza di precompressione eventualmente eccentrica tuttavia introdotta centralmente nel guscio: in questo caso, non è il guscio, ma piuttosto la fondazione che assorbe il momento.

Conformemente al progetto iniziale, sul modello fatto al laboratorio Stevin, i cavi erano disposti su un solo lato del guscio (corrispondente al lato interno della costruzione). Al fine di stabilire la sicurezza all’instabilità sotto l’azione di azioni esterne, sarebbero stati necessari ulteriori saggi su nuovi modelli. Per mancanza di tempo , fu deciso, con l’assenso di Le Corbusier, di disporre una parte dei cavi di precompressione sul lato esterno dei gusci. Il problema diveniva così

molto più semplice. I cavi sono essenzialmente posati seguendo le generatrici dei p.h. per certi gusci, dove le generatrici si tagliano su un angolo molto acuto, il cavo è disposto seguendo la bisettrice di questo angolo. Contrariamente agli altri, questi cavi sono curvi.

Anche le nervature sono state precompresse, e questo è avvenuto in tre modi. Prima di tutto con dei cavi rettilinei, era necessario creare delle tensioni di compressione affinché potessero sopportare le tensioni di trazione rivelatesi nel corso delle prove su modelli. Poi per certe nervature, è stato necessario, con l’aiuto di cavi disposti seguendo una parabola nel piano passante per l’asse, una precompressione di flessione. Questo è il caso tra altri, delle due nervature all'ingresso e all'uscita, su ciascuna delle quali si raccorda un solo guscio e, per di più, praticamente piano. In terzo luogo, su diverse nervature, è stata creata una precompressione di torsione, perché sotto l’effetto dei gusci che gli si raccordano, certe costolature sono soggette a un momento di torsione. Anche se il calcestruzzo sarebbe in grado di sopportare i momenti torcenti, la loro soppressione è necessaria per assicurare una precompressione centrata nel guscio. Per quanto ne sappiamo, questo è il primo caso in cui questo tipo di precompressione è stato applicato al calcestruzzo. La precompressione di torsione fu ottenuta con l’aiuto di cavi disposti ad elica attorno all’asse della nervatura. Come per tutti i cavi di precompressione di compressione e flessione, anche questi furono messi in posizione nella cassaforma della nervatura ed ancorati alle loro estremità, per mezzo di una piastra d’ancoraggio in acciaio. Tutti i cavi ( di 9mm di spessore) sono stati rivestiti con una materia speciale che impedisce la loro aderenza al calcestruzzo gettatogli attorno. Grazie a questo accorgimento, al momento della messa in tensione dei cavi, non vi è stata perdita di forza a causa dell’attrito. La contrazione che la nervatura subisce, sotto l’effetto della precompressione è generalmente più grande che la deformazione, misurata lungo la nervatura, che subisce il guscio adiacente sotto l’effetto della sua precompressione. Se un guscio ed una nervatura sono assemblati rigidamente e poi si mettono sotto precompressione, la differenza di deformazione provoca delle tensioni perturbatrici sul guscio. Per evitare questo, nella maggior parte delle nervature, una parte della precompressione è stata data prima di raccordare i gusci. Le deformazioni della nervatura e dei gusci, che si producevano alla precompressione definitiva erano praticamente uguali.

I dispositivi ausiliari usati per la messa in precompressioneI dispositivi ausiliari usati per la messa in precompressioneI dispositivi ausiliari usati per la messa in precompressioneI dispositivi ausiliari usati per la messa in precompressione Tutti i cavi sono stati tesi seguendo un metodo concepito ed applicato con successo dalla S.A. Strabed, metodo che è caratterizzato, in particolare, per la possibilità di tendere i cavi entro ancoraggi realizzati prima. Seguendo i metodi tradizionali, essi avrebbero fatto tirare i cavi avrebbe richiesto rendendo i tenditori figlio attraverso fori perpendicolari agli assi delle costole e di ancorarli in un secondo momento, che - a parte l'inconveniente dal punto di vista estetico - avrebbe causato grandi difficoltà ovunque, perché sulle costole, molti gusci sono collegati da angoli molto piccoli. Seguendo il nostro metodo, si introduce nelle nervature e nel bordo inferiore rinforzato dei gusci, dei cavi detti d’attesa che sono forniti, alla loro estremità, di un rigonfiamento a forma di bulbo formato per rifollamento a freddo. I cavi tenditori sono assemblati ai cavi d’attesa con l’aiuto di dispositivi d’accoppiamento speciali. La loro realizzazione è tale che non avvenga alcuno slittamento durante il fissaggio dei cavi, che è importante specialmente per i cavi corti utilizzati in gran numero sui gusci del padiglione. La messa in tensione è stata effettuata con un martinetto a vite d’un tipo speciale, ugualmente realizzato dalla S.A. Stabed, che cattura i cavi con una trasmissione tale che il martinetto può

essere posizionato perpendicolarmente al guscio e quindi perpendicolarmente al filo da tensionare. La forza sviluppata è mostrata in continuo da un dinamometro fissato sul martinetto. Il metodo Strabed permette di disporre i cavi molto vicino alla parete da mettere in tensione (per i gusci del padiglione Philips a una distanza da 2 a3 cm). Questo è anche vantaggioso per introdurre gli sforzi di tensione il più centralmente possibile nei gusci, e dal punto di visto costruttivo, questo è importante perché ogni cavo di tensionamento deve essere fissato alla parete di una serie di punti. Tutta la superficie esterna del padiglione è rivestita con una pellicola speciale impermeabile, da cui sono ricoperti ugualmente anche i cavi tenditori. Infine lo strato di fondo impermeabile è ancora ricoperto d’uno strato di pittura all’alluminio. … I cavi tenditori sulla superficie interna dei gusci dovevano evidentemente essere invisibili in ragione della proiezione di immagini sulle pareti; così sono incorporati in uno strato di amianto assorbente il suono. ConclusioneConclusioneConclusioneConclusione Negli edifici per esposizioni, è difficile evitare che non si debba lavorare in fretta, come in questo caso, dove il progetto si discosta radicalmente dalla concezione classica. L’edificio porta le tracce di questa fretta, tuttavia questo non costituisce un inconveniente grave, perché le condizioni da imporre per tali edifici effimeri, sono diverse da quelle che devono essere soddisfatti in edifici tradizionali. Grazie a questo fatto noi abbiamo potuto considerare per il padiglione Philips un nuovo modo di costruzione che non sarebbe stato possibile applicare in altri casi, ma che ha risposto bene alle idee del maestro d’opera – Philips – e dell’architetto responsabile – Le Corbusier. L’ufficio di controllo per la sicurezza delle costruzioni del Belgio ha largamente contribuito, per la sua diligenza e la sua critica costruttiva, alla riuscita dell’esperienza, in modo che potessimo acquisire delle idee ed una esperienza che non sarebbe stato possibile ottenere in condizioni normali, se non dopo aver superato numerose resistenze e dopo un tempo molto lungo. In alcuni paesi, vengono frequentemente utilizzati gusci a forma di sella, come i paraboloidi iperbolici, in diverse forme, ad esempio per le cupole delle grandi sale. Noi siamo convinti che la loro realizzazione in calcestruzzo precompresso, combinato o meno con la prefabbricazione, offra delle particolari possibilità più grandi ancora. Il padiglione Philips ha già fornito la prova che tali coperture possono essere assemblate in delle costruzioni molto complicate nelle quali possono essere usate tanto come tetto che pareti. La parola è ora agli architetti! Spetta a loro di trarre vantaggio nella loro creazione dalle nuove opportunità che gli sono offerte.

Xenakis : gli Xenakis : gli Xenakis : gli Xenakis : gli antefattantefattantefattantefattiiii.... La tesi su Maillart, l’amicizia con Bernard Laffaille e la conoscenza del La tesi su Maillart, l’amicizia con Bernard Laffaille e la conoscenza del La tesi su Maillart, l’amicizia con Bernard Laffaille e la conoscenza del La tesi su Maillart, l’amicizia con Bernard Laffaille e la conoscenza del lavoro di Félix Candelalavoro di Félix Candelalavoro di Félix Candelalavoro di Félix Candela8888.... La tesi di Iannis Xenakis, discussa il 16 gennaio 1947, contiene riferimenti ad un ponte in cemento armato al modo di Robert Maillart, ingegnere svizzero, suo malgrado rivoluzionario in materia di strutture in cemento armato, la cui sua ultima opera sarà il padiglione “Cement Hall” per la E.G. Portland all’esposizione nazionale di Zurigo del 1939. Nel dopoguerra il geniale ingegnere Bernard Laffaille (1900-1955) è coinvolto da Le Corbusier come consulente in alcuni progetto dell’Atelier. E’ così che Iannis Xenakis e Bernard Laffaille si sono conosciuti, hanno lavorato insieme e sono diventati amici. Nel 1952, Laffaille e Xenakis progettano, probabilmente, il profilo degli archi della copertura della Haute Cour de Chandigarh (India) e nel 1953 lavorano attorno al progetto dell’Unité d’habitation di Rezé Les Nantes e concepiscono un sistema costruttivo radicalmente diverso da quello dell’U.H. di Marsiglia, senza ossatura e con la sovrapposizione di cellule autonome prefabbricate in calcestruzzo a forma di U, di larghezza pari al modulo (3,66m contro i 4,19 di Marsiglia). Il progetto sarà però realizzato con la consulenza tecnica dello studio d’ingegneria Séchaud et Metz, ingaggiati dal committente, con disappunto di Xenakis e dei vari importanti studi (oltre a Laffaille, Jean Prouvé, Freyssinet,) chiamati da Le Corbusier a collaborare gratuitamente alla progettazione preliminare dell’unitè con la prospettiva dell’incarico progettuale. Il principio generale, di grandi lame portanti verticali, poggiate su pilotis in quinconce, sarà poi ripreso per le ulteriori unità di Berlin, Briey-en-Forêt e Firminy. Le sue conversazioni con Iannis Xenakis sulle volte sottili sghembe, di cui Laffaille è stato antesignano, indirizzeranno qualche anno dopo Xenakis nel concepire il padiglione Philips per l'Esposizione universale di Bruxelles del 1958. Xenakis conosceva inoltre, molto bene l’opera di Félix Candela9 che in quel periodo stava costruendo centinaia di coperture con paraboloidi iperbolici, riportati dalle riviste di tutto il mondo, ed era pienamente inserito, come ingegnere, in quel movimento strutturalista, che caratterizzò gli anni cinquanta del secolo scorso.

Le ricerche originali di precursori di paesi stranieri e in particolare quelle di Bernard Laffaille, pioniere in Francia in questo campo, mi avevano reso famigliari le superfici regolate semplici generate da rette e curve piane, i parabolidi iperbolici ed i conoidi. IX

Le sue notevoli conoscenze matematiche gli permettono di muoversi agevolmente tra le superfici rigate, che lo ispirano anche in musica (Metastasis-1954 e Syrmos-1959). Come pure risulta evidente la conversione di Le Corbusier, nel periodo in cui Xenakis ha avuto un ruolo importante nell’Atelier, per le soluzioni plastiche della geometria delle superfici rigate, basta pensare ai cannoni di luce de la Tourette, al tetto della Maison des jeunes ed alla torre della chiesa di St. Pierre a Firminy, alle volte della Alta Corte e all'iperbole di rivoluzione della Assemblea di Chandigarh. Con il Padiglione Philips, Xenakis sostiene10 di aver introdotto un nuovo paradigma architettonico da lui definito dell'architettura volumetrica, in cui lo spazio è visto

8 Per chi è interessato alla conoscenza delle figure di Maillart, Laffaille, Candela, può consultare: www.giovannardierontini.it

9 Secondo il compositore messicano Julio Estrada, che aveva invitato Xenakis in Messico nel 1979, quest'ultimo gli ha chiesto di andare a vedere

alcune delle realizzazioni di Candela. 10 Y. Xenakis; Genese de l'architecture du Pavillon – In Le pavillon Philips à l'Exposition Universelle de Bruxelles 1958. Revue Technique Philips,

Tome 20, No. 1,

con gli occhi moderni del fisico: lo spazio non è assoluto o cartesiano , ma relativo e curvo e senza punti focali o vettori dominanti. È un'architettura "dove le tre dimensioni sono distinte e non omomorfe", che si svincola dalla architettura classica, dove la terza dimensione consiste, di solito, in una proiezione ortogonale ed omomorfa del piano, in cui si entra nella terza dimensione unicamente "per traslazione parallela in direzione del filo a piombo." . Per Xenakis, la terza dimensione così concepita è fittizia, non è altro che l’espressione “della gravità terrestre". Un’architettura inoltre non legata all’angolo retto, il che gli permette di vedere in modo diverso le possibilità d’impiego di nuovi materiali.

“E' con timidezza e lentamente che il problema astratto del minimo sforzo nella copertura indirizza lo strutturista verso soluzioni innovative che aprono una nuova era, probabilmente più rivoluzionaria e originale, in architettura ... E' ora che l’Architettura di Traslazione (in italiano nel testo) sembra terminare la sua corsa magnifica ma ristretta che ha dato prodotti così tanto eterni pieni di saggezza e poesia. E' ora che stiamo assistendo all'alba di una nuova architettura, realmente tridimensionale, più ricca , più sorprendente. Questa è l'architettura dei gruppi volumetrici " IX

Edgard Varèse visto da Frank ZappaEdgard Varèse visto da Frank ZappaEdgard Varèse visto da Frank ZappaEdgard Varèse visto da Frank Zappa L'enfasi di Varèse sul timbro, ritmo, e nuove tecnologie ha ispirato una generazione di musicisti nel corso degli anni 60 e 70 del secolo scorso. Uno dei suoi più grandi estimatori è stato il chitarrista e compositore americano Frank Zappa, che, giovanissimo, dopo aver ascoltato una copia delle opere complete, sulla cui copertina c’era “la faccia da scienziato pazzo di un tipo con i capelli brizzolati”, ne rimase folgorato. Per il suo 17° compleanno, il 21 Dicembre 1957, la mamma di Zappa, Rosemarie, gli permette, come regalo, di fare una telefonata interurbana e Frank sceglie di chiamare Varèse. Rispose la moglie Louise, molto gentile, e mi disse che Varèse era a Bruxelles per le prove di una composizione scritta per l’esposizione universale (Poème Elettronique); mi invitò a richiamare qualche settimana dopo. Alla fine Zappa e Varèse si sono parlati al telefono, ed hanno discusso la possibilità di incontrarsi. Anche se questo incontro non ha avuto luogo, si sono scritti. Varèse muore nel 1965 e nel 1966 Frank Zappa, sulla copertina del suo primo album, Freak Out!, scrive. “The present day composer refuses to die”, rendendo omaggio a quello che in qualche modo riteneva un suo maestro. Nel manifesto dell’International Composers' Guild, da lui fondato nel 1921, Varèse scrive: "The present day composers refuse to die. They have realised the necessity of banding together and fighting for the right of each individual to secure a fair and free presentation of his work". "I compositori di oggi rifiutano di morire. Hanno capito la necessità di riunirsi e di lottare per il diritto di ogni individuo di ottenere una presentazione equa e libera del proprio lavoro". Lo spirito di sperimentazione di Varèse, con cui ha ridefinito i limiti di ciò che era possibile in musica, ha rivissuto nella lunga e prolifica carriera di Zappa.

Nel 1981, Zappa ha prodotto e ospitato "A Tribute to Edgard Varèse" al Palladium di New York City, un evento in cui la moglie Louise che finiva 90 anni era l’ospite d'onore. Nel 1984 esce Boulez Conducts Zappa: The Perfect Stranger un album di Frank Zappa diretto in parte da Pierre Boulez ed eseguito dall'Ensemble InterContemporain, Pierre-Laurent Aimard, Paul Meyer (clarinettista) e Zappa al Synclavier. Nel luglio del 1993, poco prima di morire, Frank Zappa promuove la registrazione su disco di The Rage and the Fury, con composizioni di Varèse suonate da alcuni membri dell’Ensemble Modern diretti da Peter Eötvos. Zappa dice: Alla musica di Varèse non è mai stato dato il credito che merita e credo che sia perché la tecnologia non è mai stata in grado di registrare le composizioni in modo corretto. Fonti e ringraziamentiFonti e ringraziamentiFonti e ringraziamentiFonti e ringraziamenti

Fonte principale di questa ricerca è il numero monografico della Philips del 1958 che raccoglie 5 articoli apparsi sulla Revue technique Philips, Tome 20, No. 1 (10 septembre 1958) e No. 273 (9 octobre 1958). Le frasi virgolettate di Xenakis etc. provengono in prevalenza dal libro: Musica. Architettura di Iannis Xenakis A cura di Lionello L., Secco G., Varese A. Editore: Spirali - Ottobre 2003

Le fotografie contenute nel testo sono materiale documentale rappresentativo di documenti, depliants pubblicitari, scritti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e simili e di personaggi pubblici. La foto del depliants della controcopertina è di Hans de Boer (1927-1989), come probabilmente molte altre tra quelle contenute nel numero monografico della Philips e qui riportate. Un ringraziamento alla Philips electronics. Un ringraziamento particolare a Makhi Xenakis per i preziosi consigli ed a Mme Judith Hervé per la foto di Lucien Hervé. I disegni sono di Fausto Giovannardi.

6666 Febbraio Febbraio Febbraio Febbraio 2012012012015555

Padiglione Philips - Poème Electronique

Un lampo improvviso e una storia per non dimenticarlo by Fausto Giovannardi

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