Marcel Duchamp. Il Grande Vetro ovvero Viaggio nel Paese della Quarta Dimensione

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Porte : 11, Rue Larrey, Paris. [M. Duchamp, 1927] MARCEL DUCHAMP. IL GRANDE VETRO OVVERO VIAGGIO NEL PAESE DELLA QUARTA DIMENSIONE

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Porte : 11, Rue Larrey, Paris. [M. Duchamp, 1927]

MARCEL DUCHAMP. IL GRANDE VETRO OVVERO VIAGGIO NEL PAESE DELLA QUARTA DIMENSIONE

[M. Riparini, Academia.edu 2014].

MARCEL DUCHAMP. IL GRANDE VETRO OVVERO VIAGGIO NEL PAESE DELLA QUARTA DIMENSIONE

Introduzione alla Quarta dimensione

La ‘quarta’, come comunemente era chiamata laquarta dimensione tra gli artisti d’avanguardia delprimo Novecento, non è un’invenzione della nostraepoca, del nostro tempo. Già nel Seicento, sebbenein una prospettiva trascendente e spirituale, si eraavuta una prima formulazione riguardo l’esistenza diuna dimensione ‘altra’, e non sensoriale, vicina ecomunicante col nostro mondo tridimensionale ma daquesto separata e ben distinta.

Questa prima ‘stravagante’ concezione si trova inalcuni scritti del filosofo neoplatonico ingleseHenry More (1614-1687), che definì essential spissitudeuna qualità e quantità ch’egli riteneva presente inogni sostanza vivente ma non percepibile ai sensiperché di un’altra dimensione, una dimensionespaziale (in senso fisico e geometrico) contigua alnostro mondo sensibile ma da esso nettamentedistinta e considerata sede, oltre che dell’animadei morti, di entità spirituali ed eteree e di altreentità incorporee, incluse le idee platoniche.

Il primo tra i filosofi che coltivò seriamentel’idea degli spazi pluridimensionali fu peròImmanuel Kant. Nel 1766, interessandosi dapprimaall’opera Arcana Coelestia del visionario svedeseEmanuel Swedenborg - che in quegli anni andavariscuotendo enorme successo asserendo di essere in

contatto nientemeno che con gli spiriti - Kantgiunse comunque alla conclusione che al di là delmondo fisico ve n’è uno metafisico, spirituale, unmondo ‘separato’ ma, nello stesso tempo, insitoall’altro1. Affrontare l’ignoto, infatti,significava per Kant trascendere il mondoquotidiano, quando l’intuito va contro e oltre larealtà e scopre ‘altro’ in una dimensione ‘altra’.

Ma sarà soltanto nella prima metà dell’Ottocentoche si avranno le prime manifestazioni del pensieromatematico volte a dare credibilità scientifica aquesta ‘nuova dimensione’. Con la messa indiscussione del dogmatico quinto assioma euclideo2

da parte di illustri matematici europei qualil’ungherese Jànos Bolyai, il russo NikolaiLobachevsky e il tedesco Carl F. Gauss, prende cosìavvio la costruzione scientifica e larappresentazione di nuovi mondi-universo immaginari- e come tali non meno reali di quello euclideo3 -il cui apice sarà raggiunto qualche anno dopo con lacosiddetta ‘geometria delle superfici pluriestese’del matematico tedesco Georg Friedrich B. Riemann(1826-1866). Cinquant’anni più tardi, infine, conquello che Albert Einstein avrebbe chiamato

1 I. KANT, I sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica, a cura diG. Morburgo-Tagliabue, Rizzoli, Milano 1982, scritto nel 1766.2 Quinto assioma di Euclide: dato un punto qualunque che nonstia su una retta data, esiste una e una sola retta che passaper quel punto.3 Anch’esso mera manifestazione delle capacità ‘costruttive’ delpensiero.

Denkexperiment, ossia ‘esperimento mentale’, oesperimento progettato ed eseguito soltanto alivello immaginativo4, si arriva, a tutti glieffetti, alla teorizzazione scientifica della‘quarta’.

Ecco dunque che il ‘rompicapo’ della quartadimensione, che troverà interessi più specifici soloall’inizio del secolo scorso, può essere assunto aparadigma di una nuova concezione spaziale,conseguente sia al crollo dei postulati euclidei siaai rapporti che il pensiero filosofico e l’arted’avanguardia di quegli anni cominciano aintrattenere con gli ultimi ritrovati della scienza,e il passaggio concettuale dall’atemporale mondotridimensionale delle superfici piane allo spazio-temporale (curvo) einsteiniano sconvolgeràprofondamente le fondamenta di tutti i campi delsapere, arte compresa.

Infatti, l’ampia letteratura scientifica edivulgativa di fine Ottocento e primo Novecentosulla quarta dimensione da parte di insignimatematici quali gli inglesi Edwin A. Abbott eHoward E. Hinton, i francesi Henri Poincaré, EspritJouffret e Gaston de Pawlowski e il russo Piotr D.Ouspensky, non tarderà a penetrare, con una serie diinevitabili mediazioni, anche negli ambientiartistici più avanzati. Cubismo e Futurismo, Ineffetti, ma anche singole personalità come il russoKazimir Malevich, saranno influenzati, in varia4 Cfr. R. OSSERMANN, Poesia dell’Universo, Longanesi, Milano 1996, p.83.

misura, dalla ‘poetica della quarta dimensione’. Machi fra tutti avrà un orientamento quasi esclusivo eunico verso i problemi della ‘quarta’ sarà MarcelDuchamp.

Tra i primi a chiarire il debito contratto dallaricerca artistica d’avanguardia con le nuoveacquisizioni scientifiche, fu il poeta e raffinatocritico d’arte Guillaume Apollinaire, già compagno eguida del giovane Marcel Duchamp.

In Les peintres cubistes del 1913, in effetti,Apollinaire aveva scritto: «Oggi gli scienziati nonsi limitano più a considerare le tre dimensionidella geometria euclidea. I pittori si sono trovatiindotti con la maggiore naturalezza e, per cosìdire, intuitivamente, a preoccuparsi di nuovepossibili misurazioni della dimensione, che nellinguaggio dei moderni studi di pittura vengonocomplessivamente e concisamente definite col terminedi quarta dimensione»5.

Subito dopo, però, Apollinaire si avventurava inuna sua personale definizione di quella che venivaconsiderata una ‘dimensione superiore’, senz’altrocoerente se vista in un’ottica creativa ed estetica,ma, ovviamente, alquanto ‘allargata’ e ‘fantastica’sotto l’aspetto scientifico: «La quarta dimensionesi presenta allo spirito, dal punto di vistaplastico, come generata dalle tre misure conosciute:

5 G. APOLLINAIRE, Les peintres cubistes, Figuières, Paris 1913; tr. it.I pittori cubisti. Meditazioni estetiche, Abscondita, Milano 2003, citato inF. RUSSOLI, La struttura del reale nella visione cubista, Fabbri, Milano1967, pp. 3-4.

essa rappresenta l’immensità dello spazio che, in unmomento determinato, si slancia verso l’infinito intutte le direzioni. È lo spazio stesso, ladimensione dell’infinito; è, infatti, essa stessache carica di plasticità gli oggetti»6.

Ma ben oltre le implicazioni scientifiche, larivoluzionaria ‘dimensione immaginaria’7 aveva avutoil merito, soprattutto per Duchamp ed i movimentiintenzionati a sbarazzarsi dell’ingombranteconcezione spaziale della tradizione, d’indicare levie più brevi (‘geodetiche’ si direbbe oggi)8 da

6 Ibidem, p. 4. Ma come non notare una certa ‘concordanza’ traquanto descritto qui da Apollinaire e quanto scriverà più tardiDuchamp nella probabilmente primissima Nota che apre la ScatolaVerde, la 1912. La machine à 5 cœurs, (foglio 1 e foglio 2) in cuil’autore descrive il viaggio in automobile verso Etivàl, nelGiura, fatto insieme allo stesso Apollinaire, Picabia e lamoglie di quest’ultimo Gabrielle Buffet; cfr. M. DUCHAMP, Duchampdu signe, écrits réunis et présentés par M. Sanouillet,Flammarion, Paris 1975, p. 35. a tal proposito cfr. anche M.RIPARINI, Il Grande Vetro ovvero la visione ‘poetica’ di Marcel Duchamp,Academia.edu, May 2013.7 Cfr. R. PENROSE, La mente nuova dell’imperatore, Rizzoli , Milano1992, p. 1258 In generale, si fanno corrispondere alle rette del piano lelinee geodetiche di una superficie curva. Queste ultime,infatti, conservano la principale caratteristica delle rette eprecisamente sono le linee più brevi che sulla superficiecongiungono due punti dati. Sulla superficie della sfera legeodetiche sono proprio le circonferenze massime, cioè quellecirconferenze che si ottengono intersecando la superficie dellasfera con piani passanti per il centro della sfera. Esempifamiliari sono i meridiani e l’equatore; non lo sono iparalleli. Ma sulla superficie della sfera non esistono ‘rette’,

percorrere per superare la limitante e asfitticafinzione tridimensionale della prospettivarinascimentale.

Il movimento dada, d’altronde, come dichiarerà lostesso Duchamp a James Johnson Sweeney inun’intervista del 1946, aveva avuto anche questefinalità: «Dada fu utilissimo come purgante - - ecredo di aver provato il desiderio di purgarmi a miavolta (…). Nessuno pensava che ci potesse esserequalcosa al di là dell’atto fisico della pittura.Non si insegnava nessuna nozione di libertà, nessunaprospettiva filosofica. Naturalmente i cubisti eranofertili di invenzioni (…), e il cubismo mi ha datomolte idee relative alla scomposizione delle forme.Ma io pensavo all’arte su un’altra scala. Sidiscuteva molto a quel tempo della quarta dimensionee della geometria non-euclidea, ma la maggior parteconsiderava questi problemi da semplici curiosi.Metzinger vi si interessava in modo particolare e, adispetto di tutti i nostri malintesi, queste ideenuove ci aiutarono a prendere le distanze dallebanali abitudini di pensiero»9.

D’altra parte, proprio in un articolo di JeanMetzinger10 del 1911, veniva precisato molto benequesto rivolgimento: «I cubisti hanno già sradicatoo meglio geodetiche che non si incontrano. Quindi, non esistonoparallele!9 M. DUCHAMP, Declarations to James Johnson Sweeney, in “The Bulletin ofthe Museum of Modern Art”, vol. XIII, nn. 4-5, New York 1946;tr. it. Dichiarazioni raccolte da James Johnson Sweeney, in Marcel Duchamp,a cura di Elio Grazioli, in “Riga”, n. 5, Marcos y Marcos,Milano 1993, p. 21.

il pregiudizio che obbligava il pittore a rimanereimmobile di fronte all’oggetto, ad una distanzacostante da esso, e a fissare sulle tele niente dipiù di un’immagine fotografica (...). Si sonopermessi di muoversi intorno all’oggetto per darne,sotto il controllo dell’intelligenza, una concretarappresentazione formata da diversi successiviaspetti»11.

Nello stesso articolo veniva poi sottolineatal’importanza assunta dalla componente temporalenell’opera d’arte cubista: «Prima di oggi un dipintopadroneggiava solo lo spazio, oggi vive anche neltempo (...). Questi pittori sono consapevoli delmiracolo che si ottiene quando la superficie di undipinto produce spazio, e non appena una lineaminaccia di assumere un’importanza descrittiva odecorativa, la spezzano. Elementi di luce e ombra,

10 Di Jean Metzinger e la sua cerchia (Fernand Léger, AlbertGleizes e Juan Gris, i pittori cubisti che frequentavano insiemead Alexander Archipenko il circolo di Puteaux creato daifratelli Jacques Villon e Raymond Duchamp-Villon), MarcelDuchamp, riferendosi al rifiuto che questi opposeroall’esposizione del suo Nu descendant un escalier al Salon desIndipendents del 1912, ebbe a dire: «Questa faccenda mi haaiutato a liberarmi completamente del passato, del mio propriopassato. Mi sono detto: ‘Bene, se è proprio questo che vogliono,non è proprio il caso che io mi unisca a un gruppo; bisognacontare solo su se stessi, bisogna essere soli’», cfr. M.DUCHAMP, Ingénieur du temps perdu, Pierre Belfond, Paris 1977; trad.it. Ingegnere del tempo perduto. Conversazione con Pierre Cabanne, a cura diW. Marchetti, Multhipla Ed., Milano 1979, pp. 43-44.11 J. METZINGER, Cubism et Tradition, “Paris-Journal”, 16 aug. 1911[citato in E. F. FRY, Cubismo, Mazzotta, Milano 1967, p. 91].

distribuiti in modo tale che l’uno generi gli altri,giustificano queste rotture in termini plastici;l’armonizzazione delle rotture crea il ritmo»12.

I numerosi equivoci sorti attorno a queste e adaltre affermazioni dei cubisti erroneamentecollegate alla teoria della relatività di Einstein,sono stati ben puntualizzati nel ragguardevolevolume The Fourth Dimension and Non-Euclidean Geometry inModern Art (1983) del critico d’arte statunitenseLinda Dalrymple Henderson: «L’errore degli storicid’arte che si sono occupati di cubismo e teoriadella relatività è stato quello di ritrovare nellaletteratura cubista del 1911 e del 1912l’equivalente dello sviluppo in fisica di uncontinuum spazio-temporale non-euclideo che non vennemai completato sino al 1915 o 1916. L’assenza deltermine quarta dimensione dalla teoria dellarelatività fino al 1908 e l’assenza di una geometrianon-euclidea fino a circa il 1916, fanno supporreche sia fortemente discutibile una possibileinfluenza della teoria della relatività sulcubismo»13.

In effetti, la confusione nacque a causa dellacompresenza di due concezioni (l’una geometrica el’altra fisica) del tutto diverse in materia diquarta dimensione. Ed è la prima, e non poteva

12 Ibidem, pp. 91-92.13 L. DALRYPLE HENDERSON, The Fourth Dimension and Non-Euclidean Geometry inModern Art, Priceton University Press, Princeton 1983 [New ed.,MIT Press, Cambridge 2013; citato in M. EMMER, La perfezione visibile,Theoria, Roma-Napoli 1991, p. 131].

essere altrimenti, a far da ponte alla seconda,constatando la possibilità di visualizzaregeometricamente la dimensione superiore già neiprimi tentativi fantascientifici presenti in Flatland:A Romance of Many Dimensions, novella satiricapubblicata anonima nel 1882 dal pedagogista ingleseEdwin A. Abbott che, all’epoca, fece enorme scalporeanche nel mondo accademico-scientifico.

Restando dunque in ambito fantascientifico,Abbott, nel serrato e visionario dialogo tra ilQuadrato e la Sfera, arriverà a scrivere: «Non haforse insegnato il mio Signore che, come una Linea èdelimitata da due punti, e un Quadrato da quattrolinee, così un Cubo dovrà essere limitato da seiQuadrati? Osservate ancora una volta la confermadella serie 2, 4, 6: non è questa una ProgressioneAritmetica? E perciò non ne segue necessariamenteche il rampollo più divino del divino Cubo nellaTerra delle Quattro Dimensioni dovrà esseredelimitato da otto Cubi?»14.14 E.A. ABBOTT, Flatland: A Romance of Many Dimensions, Seeley and Co.,London 1882; tr. it. Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni,Adelphi, Milano 1966, p. 136. Pubblicato anonimo nel 1882, ebbeanche una seconda edizione, riveduta, due anni dopo. Comeprecisa opportunamente in una nota il curatore della traduzioneMasolino D’Amico, Flatlandia, Spacelandia, Linelandia,Pointlandia e Toughtlandia sono sinonimi, rispettivamente, delPaese del Piano, dello Spazio, della Linea, del Punto e delPensiero. Da leggere con piacere, e in connessione con lepreoccupazioni di Duchamp, è la mirabolante dedica con cuiAbbott dà inizio al suo racconto fantastico: «Agli Abitantidello SPAZIO IN GENERALE E a H. C. IN PARTICOLARE È DedicataQuest’Opera Da un Umile Nativo della Flatlandia Nella Speranza

Ma poiché dalla configurazione delle tredimensioni spaziali della Spaceland è possibile per ilQuadrato vedere in modo inusuale gli oggetti, dallaquarta dimensione in su, grazie all’analogia ed allospazio-pensiero della Toughtlandia, sarà possibilevedere anche l’interno di ogni cosa solida: «Inquella beata regione a Quattro Dimensioni,indugeremo forse sulla soglia della Quinta, e non vientreremo? Ah, no! Decidiamo piuttosto che la nostraambizione si elevi di pari passo con la nostraascesa corporea. Allora, cedendo all’assalto delnostro intelletto, le porte della Sesta dimensionesi spalancheranno; e dopo quella di una Settima, equindi un’Ottava»15.

È evidente come nel testo di Abbott ci sia,insieme ad una critica pungente della classistasocietà vittoriana, un intento squisitamentepedagogico, cioè è un invito a superare la limitanteconcezione cartesiana dello spazio (la

che, Come egli fu Iniziato ai Misteri Delle TRE DimensioniAvendone sino allora conosciute SOLTANTO DUE Così anche iCittadini di quella Regione Celeste Possano aspirare sempre piùin alto Ai Segreti delle QUATTRO CINQUE O ADDIRITTURA SEIDimensioni In tal modo contribuendo All’Arricchimentodell’IMMAGINAZIONE E al possibile Sviluppo Della MODESTIA,qualità rarissima ed eccellente fra le Razze SuperioriDell’UMANITA SOLIDA». Sono qui citati ampi stralci del testoabbottiano perché trattano dei temi che in quegli annimaggiormente interessano Duchamp che, subito dopo l’abbandonodella pittura nel 1912, avrà modo di approfondire in qualità dibibliotecario presso la Bibliothèque de Sainte Geneviève aParigi.15 Ibidem, pp. 137-138.

bidimensionalità del Quadrato) e del pensiero(positivistico) per giungere a concezioni spazialiche portino a considerare dimensioni e articolazioniben più complesse e organiche (come, ad esempio,quella della Sfera) e quindi stimolare il pensiero aforme di elaborazione più ricche e meno limitanti.Il protagonista (il Quadrato) del racconto, infatti,dopo aver conosciuto la terza dimensione incontrandola Sfera, teorizza la possibilità di conoscere altredimensioni (e l’allusione alle superfici pluriestesedi Riemann non è casuale) con l’intento di elevarein tal modo la propria mente oltre i propri sensi.Con i primi risultati della teoria della relativitàeinsteiniana (1905), infine, il testo di Abbott avràin seguito ripercussioni inaspettate.

Notizie più precise sulla quarta dimensionecominciavano intanto a circolare in ambito francesegià dopo il 1910. Tra il 1911 e il 1912 Gaston dePawlowski, direttore di “Comœdia”, il più importantequotidiano letterario e artistico parigino delperiodo, pubblicava a puntate i capitoli di quelloche sarebbe diventato un classico della fantascienzafrancese d’inizio secolo: il Voyage au pays de laquatrième dimension16. L’argomento della ‘quarta’

16 G. DE PAWLOWSKI, Voyage au pays de la quatrième dimension, Introductionde Jean Clair, Images modernes, Paris 2004. A tal propositocitiamo anche J. CLAIR, Marcel Duchamp ou le grand fictif, Galilée,Paris 1975 [tr. it. ID.; Marcel Duchamp il grande illusionista. Saggio dimito-analisi del  ‘Grande Vetro’, Cappelli, Bologna 1979] in cui lalettura del Grande Vetro è tutta improntata a ricercarecorrispondenze tra l’opera duchampiana e il Voyage di Pawlowski.

diviene così di dominio pubblico non solo in ambitoscientifico.

Anche Duchamp, tra gli altri, si interessava aquesta nuova dimensione dove tempo e spazio sonoormai unificati. Ma queste nuove teorie scientifichecostituivano una vera e propria rivoluzione mentaleper la società del Novecento, perché la teoria dellarelatività, insieme a quella dei quanti e allageometria non euclidea, allargano ora gli orizzontidella scienza e del pensiero, mettendo in fortecrisi le vecchie e desuete certezze positivistiche.Infatti, le nuove coordinate spazio-temporali nonsolo ampliano le conoscenze della fisica, ma,soprattutto, producono profonde trasformazionimentali, culturali e psicologiche in tutta lasocietà.

D’altra parte Albert Einstein nella sua ricerca sirende perfettamente conto che alla base della nuovanozione di spazio-tempo è necessariamente unitaquella di simultaneità. La clamorosa svoltaeinsteiniana fondata sul principio di relatività,accoglie perciò in sé tutti i fenomeni fisici, masoprattutto indica un nuovo modo di osservare larealtà, quello che dalla spazialità tridimensionaleinvita a guardare a quella quadridimensionale, piùorganica e completa (uno sguardo olistico, sidirebbe oggi, cioè che guarda soprattutto al‘sistema’ che sottende al fenomeno osservato).

MARCEL DUCHAMP E LA QUARTA DIMENSIONE

Nell’intervista rilasciata a Pierre Cabanne nel1967, Duchamp affronta l’argomento dicendo: «Ciò checi interessava a quel tempo era la quartadimensione. Nella Scatola Verde ci sono un mucchio dinote sulla quarta dimensione (…). Siccome credevoche si potesse dipingere l’ombra di una cosa a tredimensioni, un oggetto qualsiasi - come laproiezione del sole sulla terra che crea duedimensioni - per semplice analogia intellettualeconsiderai che la quarta dimensione potevaproiettare un oggetto a tre dimensioni; in altreparole ogni oggetto a tre dimensioni che osserviamofreddamente è una proiezione di una cosa a quattrodimensioni che non conosciamo. Era quasi un sofismama, in fin dei conti, era anche una cosapossibile»17.

Le opere di Duchamp che meglio esprimono questoconcetto sono più di una. Osserviamo intanto la piùevidente, cioè la Porte all’11 di rue de Larrey del1927, una porta che, alternativamente, apre o chiudecontemporaneamente due ambienti distinti e separati.Questa, pertanto, è una porta che non delimita unazona di confine (si apre mentre si chiude e sichiude mentre si apre) e Duchamp appare piùinteressato al varco di comunicazione che c’è tral’ambiente in cui abitualmente ci muoviamo e quelloche invece riusciamo soltanto vagamente apercepire18.

17 M. DUCHAMP, Ingegnere del tempo perduto, cit., pp. 54-55.

Quel che qui interessa Duchamp è evidentemente ciòche sottende al fenomeno visivo. Per questo la suaattenzione si rivolge soprattutto alle idee e non piùsoltanto agli aspetti visivi. Il suo scopo,d’altronde, è quello di condurre l’attenzione delsoggetto che indaga (lo spettatore) verso unaconoscenza ‘allargata’, in una condizione di silenzioin cui si sfiora la ‘magia’19; uno spazio, quelloquadridimensionale, che l’artista intravede come‘luogo di nuove possibilità’: «La rappresentazionemateriale non sarà che un esempio di ciascuna diqueste forme principali libere»20. C’est la loi de l’hasard, quellagià attuale e presente in Stéphane Mallarmé (Un coupde dés..) ma che s’esprime mirabilmente solo nell’artedi Marcel Duchamp.

Una problematica profonda e costante della poeticaduchampiana è il tentativo di mostrare i passaggidimensionali tra i vari e diversi livelli di realtàed estrarne nuove significazioni.

Quando nel 1915 Marcel Duchamp inizia a lavorare aLa Mariée mise à nu par ses célibataires, même (o Grande Vetro)l’opera considerata il punto centrale di tutta la

18 A tal proposito, molto interessante e direttamente collegatoalla ‘quarta’ è quanto Duchamp scrisse nelle note pubblicatepostume riferendosi al concetto di inframince; cfr. in tal sensoM. RIPARINI, Il Grande Vetro ovvero la visione ‘poetica’ di Marcel Duchamp,Academia.edu, May 2013.19 Cfr. M. DUCHAMP, The Creative Act, in “Art News”, vol. 56, n. 4,New York summer 1957; tr. it. in Marcel Duchamp, a cura di ElioGrazioli, cit., p. 25.20 Cfr. Nota Les formes principales de la machine célibataire, in M. DUCHAMP,Duchamp du signe, cit., p. 60. Il corsivo è nostro [N.d.R.].

sua poetica - dove convergono idee e lavorisignificativi sia precedenti, come Dulcinea, Jeune etjeune-filles en printemp, Mariée, Trois Stoppages-étalon, siasuccessivi come Étant donnés - propone anche una nuovarealtà dell’opera, vissuta ora come ‘organismo’,ossia un corpo che occupa uno spazio all’interno diuna realtà circostante che lo accoglie e che ne ècondizionata.

Già nel progetto iniziale si prevedono due spaziben distinti: uno superiore dedicato alla Mariée; unoinferiore dedicato ai nove celibataires. Tra questi duemondi separati, però, Duchamp lascia un terzo‘spazio di possibilità’, quello cioè che potrebbediventare «il campo d’incontro dei due mondiseparati», come recita la Nota Peut-être faire un tableau decharnière21. Tuttavia, è solo nell’invisibilità che simanifestano questi incontri, queste ‘possibilità’che possono dare origine a nuovi significati.

Il mondo rappresentato dal Grande Vetro è dunquequello dell’apparizione, cioè quello di una realtàinvisibile che è al di là di ciò che appare22. E ciòspiega perché Duchamp, nelle sue Note, definisce ilGrande Vetro «un mondo in giallo»23, alludendo esottintendendo a una propagazione della luce anche21 Cfr. Nota Peut-être faire un tableau de charnière, in M. DUCHAMP, Duchampdu signe, cit., p. 36.22 Una sorta di ‘parusìa’, che se in Platone significava l’essenzadivina insita anche nel mondo materiale e in Athanasius Kircher(Magnes sive de Arte Magnetica, 1641) è il ‘legame’ che magneticamenteesiste tra gli esseri viventi, ricorda vagamente la spessitudine diHenri More, che, sebbene invisibile all’occhio, è ben presente epercepibile in ogni sostanza viva.

negli strati più profondi della materia24. Le GrandVerre diviene in tal modo anche una rappresentazionesimbolica della luce. E ciò sta forse a significareche per Duchamp tutta la materia ‘vive’ in unospazio quadridimensionale (cioè quello della luce)che intuitivamente riusciamo a scorgere soltantograzie a quello che cade sotto i nostri sensi e informe tridimensionali, ma che, come la luce, non puòche stare nel mondo delle idee, inquell’invisibilità, in quella clairière25 in cui ilreale può essere percepito appieno in tutta la suainterezza.

Leggendo le note della Scatola Verde, ma anche esoprattutto quelle della Scatola Bianca26, è facilevedere quanto simili enunciati potessero essereall’origine del pensiero di Duchamp sulla quartadimensione. Ad esempio, leggendo la già citata Nota1912. Machine à 5 cœurs27, è evidente che la strada che«graficamente (…) tenderà verso la linea purageometrica senza spessore» condurrà aquell’orizzonte-cerniera in cui da uno spazio a due

23 Cfr. Nota La Mariée mise à nu par ses célibataires, même, in M. DUCHAMP,Duchamp du signe, cit., p. 59.24 Cfr. Nota Eclairage intérieur, in cui l’artista francese precisa:«Chaque matière dans sa composition chimique est douée d’unephosphorescence (...), l’apparence de matière ayantmoléculairement un foyer lumineux», in M. DUCHAMP, Duchamp dusigne, cit., p. 94. 25 In italiano ‘radura’; cfr. M. DUCHAMP, The Creative Act, cit.26 Cfr. M. DUCHAMP, Mercante del segno, cit., 119-122.27 Cfr. Nota 1912. Machine à 5 cœurs (foglio 1; foglio 2), in M.DUCHAMP, Duchamp du signe, cit., p. 35.

o tre dimensioni si passa ad uno spazioquadridimensionale, cioè uno spazio più di naturamentale che fisica, una sorta di iperspazio (o spaziovirtuale) in cui però si respira quella libertà di‘pensare l’impossibile’ a cui spesso si riferisceMarcel Duchamp.

Anche il filosofo francese Jean-Francois Lyotardriconosce che questa virtualità ha una sua proprietàparticolare, giungendo però all’inevitabileconclusione dell’irrapresentabilità nello spaziopercettivo di ciò che viene pensato.

Tuttavia, riconoscendo che La Mariée mise à nu… sia lamessa in opera delle ricerche duchampiane sullospazio, come appare chiaramente dalla lettura delleNote delle diverse Boîtes, Lyotard individua nelGrande Vetro un esempio di innesto della quartadimensione su oggetti tridimensionali.

Il Grande Vetro mostra, infatti, forme situate inuno spazio tridimensionale. In alto a sinistra, adesempio, il Pendu femelle (o ‘impiccato femmina’, comeDuchamp denomina ulteriormente la sposa persuggerirne il movimento), secondo Lyotard presentaforme derivate da un’organizzazione di stilecubista, tridimensionale ma con un punto di vista‘esploso’28; diversamente, in alto a destra accantoall’impiccato femmina, Duchamp suggerisce e indicaun effetto di profondità attraverso i Pistons de courantd’air, ottenuti attraverso lo sbattimento di pezze di28 Cfr. J.-F. LYOTARD, Les transformateurs Duchamp, Galilèe, Paris1977; tr.it. I TRANSformatori DUchamp. Studi su Marcel Duchamp, Hestia,Como 1992, p. 97.

garza esposte all’azione del vento, come egli stessoaveva previsto in una nota del 1913 inserita ne LaBoîte Verte29.

Ma partendo dalle riflessioni di Duchamp sullospazio contenute nella Scatola Verde, Lyotard giungeinfine a ipotizzare una profonda unità tra questioggetti, una contiguità spaziale e ‘fisica’ chesarebbe da ricercarsi appunto in una ‘visione’ inquarta dimensione: ed ecco, allora, che lo ‘spaziodella sposa’ si trasfigura e diviene un ‘racconto’unico anche se immerso in una spazialità multipla.Esso non sarà perciò concepibile, o pensabile,secondo i canoni della costruzione ‘legittima’ dellageometria euclidea, perché qui il caso (l’hasardmallarméano)30 gioca un importante ruolo nellafabbricazione di queste «forme principali libere»31

che, accostate tra loro, acquisiscono, nel contempo,una molteplicità di significati.

L’orizzonte-cerniera è pertanto quell’operatore‘mentale’ che secondo Lyotard consente ditransformare, sul piano del vetro e nella mente dellospettatore, una proiezione prospettica ‘classica’ inuna proiezione in cui lo spazio esita sulla propriaidentità e diviene fluttuante e comprensibile solo

29 Cfr. Nota 1913. Dans le Pendu femelle, in M. DUCHAMP, Duchamp du signe,cit., p. 60.30 Cfr. M. RIPARINI, Il Grande Vetro ovvero la visione ‘poetica’ di MarcelDuchamp, op. cit.31 Cfr. Nota Les formes principales de la machine célibataire, in M. DUCHAMP,Duchamp du signe, cit., p. 60, citata anche in J.-F. LYOTARD, ITRANSformatori DUchamp, cit., p. 98.

immaginando l’esistenza di una quarta dimensione, incui il problema della rappresentazione spazialenecessariamente si dissolve: e ciò spiega perchéLyotard afferma infine che la caratteristicaprincipale del Grand Verre è di sfuggire a qualsiasieffetto di controllo e di sintesi interpretativa.

La dissoluzione dell’insieme e del sistema visivotradizionale innescata dal lavoro duchampiano non haquindi come fine quello di ritrovare un corpo o unaforma ancor più ‘originaria’ di quella dell’originené, ancor meno, quello di puntare a un significatospecifico; e tutto ciò apre a un nuovo mondo visivo,‘diverso’ e privo di qualsiasi referenteprestabilito.

Difatti, l’unica ambizione che Lyotard riconosce aDuchamp è quella di ‘accecare’ l’occhio dellospettatore che crede di vedere qualcosa; fare quindiuna ‘pittura della cecità’ tramite pure invenzioni oattraverso dei transformateurs, come Lyotard stessodefinisce l’operatore mentale che Duchamp pone suquel limen che duchampianamente chiama orizzonte-cerniera, che però egli considera il punto diincontro e di raccordo tra la parte inferiore equella superiore del Vetro e, come tale, luogo dinuove possibilità e di sempre nuove significazioni.

Ecco perciò che l’invito-progetto presente in unaNota della Scatola Verde: « Perdre la possibilité dereconnaître (d’identifier) 2 choses semblabes - 2couleurs, 2 dentelles, 2 chapeaux, 2 formes qc.Arriver à l’impossibilité de mémoire visuellesuffisante pour transporter d’un semblable à l’autre

l’empreinte en mémoire »32 non può che essereun’evidente sollecitazione a mettere in causa lostatuto dell’opera d’arte tradizionale, o‘classica’, ancora legata e aggrappata al concettodi mimesis di matrice aristotelica. L’oscurità, omeglio l’ambiguità della frase, permette cosìall’artista francese di non cadere in un semplicediscorso teorico che ridurrebbe la portata eversivadel suo progetto, che è quello di sollecitare eavviare una critica alla società che non è soltantodi tipo estetico, ma anche, e soprattutto, culturalee politico.

Con Duchamp, d’altronde, l’opera d’arte non mirapiù alla comprensione del pubblico, ma soltanto asuscitare degli ‘effetti’ che, tra l’altro, non sonomai immediatamente decifrabili e restano sempreaperti a una molteplicità di significati.

Lyotard riconosce che al pubblico spetta ilcompito del commento; tuttavia, quando parla di unpubblico destinato a commentare un’opera di Duchampè evidente che il suo non è un invito a ‘tentare dicomprendere’ o ‘pensare di aver capito l’intentodell’artista’; ed è per questo il filosofo franceseesorta anche a non prendere come ‘definitiva’ la sua(e l’altrui) lettura dell’opera duchampiana.

D’altra parte, c’è sempre qualcosa nell’opera diDuchamp, e più in generale nell’opera d’artemoderna, che rimane incommentabile. Per questo motivoLyotard si sforza sin dall’inizio della sua analisi32 Nota Perdre la possibilité de reconnaître, in M. DUCHAMP, Duchamp dusigne, cit., p. 42.

a mostrare non tanto la comprensione della fraseduchampiana, quanto appunto la sua incomprensibilità -dalla quale però prende vita tutta una serie disignificati che spesso rimangono sconosciutiall’autore stesso33 - e a procedere nell’esaltazionedel non-senso e delle sue variabili e infinitepossibilità.

Non dimentichiamo che, in effetti, la realtà‘vera’ è sfuggente, indefinibile; e non perché siacangiante bensì perché ‘vive’ in un’altra sfera, inuna dimensione che ancora facciamo fatica acomprendere ed è in continuo divenire. Camminiamo,infatti, tra ombre e illusioni e niente di ciò chevediamo, tocchiamo e pensiamo possiede un’effettivaconsistenza reale. Il fatto è che tra noi e larealtà si frappone un limite, che poi è il limitedella nostra vista, l’orizzonte-limite - come a volte lochiama Duchamp - della nostra memoria e di tutto ciòche fa parte delle nostre conoscenze attuali.

In genere, l’oggetto che vediamo da un lato non èlo stesso che vediamo dall’altro lato: eppurel’oggetto è lo stesso e quello che vediamo non è chel’ombra di una realtà che si trova in un’altradimensione, e rappresentarci la realtà in terminigeometrici o prospettici non è altro cherappresentare un’ombra di un’ombra.

E questi sono i pensieri che stimolano Duchamp adandare oltre quest’ombra, invitando a uscire dalla33 Cfr. M. DUCHAMP, The Creative Act, in “Art News”, vol. 56, n. 4,New York summer 1957; tr. it. in Marcel Duchamp, a cura di ElioGrazioli, cit., p. 25.

ormai troppo angusta caverna platonica in cuil’‘uomo nuovo’ della società industriale è recluso.Ed è per questo che quando nel 1918 Marcel Duchampesegue Tu ‘m - l’ultimo suo quadro anti-quadro cheoltre a proiettare un’ombra di parte di sé al di làdel piano bidimensionale (attraverso uno scovolinosporgente) include in sé tutto ciò che, in qualità di‘ombre mnemoniche’, ha fatto parte dei suoi lavoriprecedenti (diversi readymades, Trois Stoppages-étalon,ecc.)34 - indica espressamente, con una mano dipintaa mo’ di insegna segnaletica, che ciò che deveindurre al commento (o alla contemplazione) è al dilà delle ombre, semplici proiezioni bidimensionalidi realtà tridimensionali. È alle idee, infatti, cuiil filosofo Duchamp mira.

Difatti, come in Plotino, anche per Duchamp leidee sono forme libere che sfuggono alla misurazionedei sensi. Quanto i sensi percepiscono, infatti, èmera apparenza perché solo nell’invisibilità c’è lavera realtà. La geometria, di conseguenza, è solouno strumento di rappresentazione dell’ombra delleidee, cioè è soltanto uno strumento attraverso ilquale vediamo le forme: le vediamo, certo, ma senzamai poterle vedere del tutto.

Ma se Duchamp è ‘infatuato’ dell’idea, e ilproblema, se c’è, è come rappresentarla, ecco che larappresentazione dell’idea (l’apparizione, cioèqualcosa che sta al di là di ciò che appare)nell’opera duchampiana avviene in un’altra34 A tal fine si rimanda alla Nota Ombres portées de Readymades, inM. DUCHAMP, Duchamp du signe, cit., pp. 45-46.

dimensione (‘la quarta’) che è e rimane unadimensione esclusivamente mentale.

L’arte e il pensiero di Duchamp annunciano,prefigurano e promettono dunque l’esistenza d’unnuovo genere di tempo, di spazio, di sensibilità edi ragione, introducendo nella realtà ‘viva’ unnuovo sistema di valori capace di mutarne la‘visione’ e il significato fin nei suoi fondamenti.

D’altra parte, lo spazio dell’osservatore‘classico’ era regolato dalle leggi della geometriaeuclidea e della prospettiva centrale albertiana.Oggi sappiamo che la percezione prospettica erigorosamente geometrica della realtà non è il ‘modonaturale’ della visione, ma un ‘sistemaconcettuale’, una ‘forma simbolica’ - per usare untermine sufficientemente congruo dello storicodell’arte Erwin Panofsky35 - e parziale dirappresentazione della realtà, quella che dalQuattrocento in poi ha condizionato il nostro mododi vedere e pensare al reale. I modi dirappresentazione dello spazio, infatti, non sono chedei metodi di costruzione dell’immagine con la qualeci rappresentiamo solo ciò che della realtàconosciamo e non ciò che vediamo; dei metodi quindicondizionati dalle abitudini e dalla cultura.

La prospettiva matematica rinascimentale non èpertanto il modo naturale di dipingere la realtà, maè un apparato concettuale complesso che privilegia35 Cfr. E. PANOFSKY, Die Perspektive als ‘symbolische Form’, “Vorträge derBibliothek Warburg”, Lipzig-Berlin 1924; tr. it. La prospettiva comeforma simbolica, Feltrinelli, Milano 2001.

la rappresentazione di certe informazionistrutturali (le relazioni metriche) rispetto adinformazioni di altro tipo, e quindi ben diverse daquelle trasmesse, ad esempio, dall’arte arcaica oprimitiva. Di conseguenza, le leggi dellaprospettiva non coincidono con quelle della visione,tanto è vero che una riproduzione ‘realistica’ puòaddirittura risultare fuorviante per chi non èeducato a questo modo di rappresentazione:«Riconoscere un oggetto significa individuare alcunidei suoi tratti strutturali salienti. Una replicameccanicamente prodotta può solo celare, odistorcere, tali tratti», conclude mirabilmente (pernoi) lo storico d’arte e psicologo gestalticotedesco Rudolf Arnheim36.

In conclusione, la ‘quarta’ teorizzata da Duchampè soltanto un modo diverso di pensare e guardare larealtà, e la poesia, come linguaggio semanticamenteaperto, è lo strumento più idoneo per conoscere einserirsi nella ‘quarta’, perché pone in unacondizione di ‘elevazione’ che fa vedere le cosesotto un altro aspetto, più fluttuante e armonico e,proprio per questo, più reale. E in questo senso,come risultano opportune e appropriate le parole diDuchamp quando perentoriamente ed esplicitamenteaffermava: « D’ailleurs, ‘en poète’ est la seulefaçon de dire quelque chose »37.36 R. ARNHEIM, Il pensiero visivo, Einaudi, Torino 1974, p. 168.37 Cfr. A. GERVAIS, Un Chapeau à le livre de J. SUQUET, Le Grand Verre: VisiteGuidée, L’Echoppe, Paris 1992 [inhttp://www.toutfait.com/issues/issue_1/Articles/largeglassFrench.html]; cfr.

anche M. RIPARINI, Il Grande Vetro ovvero la visione ‘poetica’ di Marcel Duchamp,op. cit.