L'uomo, il mare la sua storia
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A mio figlio Giorgio
Con la speranza che i giovani
sappiano recuperare e conservare
la memoria di quanto ha fatto
grande e unica la nostra Patria
1
La costa ionica della Calabria non finisce mai
di stupirci in quanto a ricchezza del patrimonio
culturale sottomarino. Del resto già il più grande
esploratore dell’archeologia dell’Italia meridionale e
della Sicilia – Paolo Orsi – ne aveva avuto contezza
divulgando, com’era suo costume, le eccezionali
scoperte nelle acque di Capo Colonna. Oggi la
ricerca è andata molto avanti, le scoperte si
susseguono a ritmo incessante tanto da permettere
a Francesco Laratta di elaborare un ricco saggio per
descrivere i tanti siti subacquei identificati a più
riprese lungo questo stupendo angolo di costa
italiana.
Il lavoro di Francesco Laratta consente di
avere un quadro esaustivo e completo, rivolto a un
pubblico vasto e sensibile ai problemi della cultura e
della storia del proprio territorio, di un angolo
d’Italia che ebbe un ruolo fondamentale nella storia
mediterranea dalla più remota preistoria. E’ noto a
tutti che la posizione geografica di questa porzione
5
di costa ionica della Calabria costituiva la naturale
testa di ponte nell’ambito delle rotte di cabotaggio
che, dopo aver attraversato il vasto Golfo di
Taranto, si rivolgevano verso il Sud per immettersi,
dopo l’attraversamento dello Stretto di Messina, nel
Tirreno e, quindi, nel Mediterraneo centro-
occidentale. E’ naturale, pertanto, che sia le
testimonianze terrestri e quelle marine vanno lette
anche in questa chiave che ci consente anche di
spiegare la particolare rilevanza qualitativa e
l’intensità di emergenze storico-archeologiche di
questo territorio. A lungo l’archeologia subacquea è
stata vissuta come un’attività quasi sportiva
caratterizzata principalmente dall’esigenza e dalla
voglia di recuperare qualcosa dal fondo del mare.
Una sorta di “caccia al tesoro” che spesso si è
rivelata tale alimentando quell’alone di fascino e di
avventura che ha caratterizzato questa disciplina, o
meglio quest’attività, fin dal suo comparire. Oggi
l’avanzamento epistemologico e tecnologico di
questa disciplina ha inquadrato questo settore della
6
vasta galassia delle scienze archeologiche nel
novero di un’attività scientifica mirata non tanto al
recupero di oggetti, quanto alla ricostruzione,
attraverso di essi, di una piccola o di una grande
storia, così come di una o di tante storie. Ne è nata
una conseguente particolare attenzione all’analisi dei
contesti entro cui i reperti nel tempo si sono
depositati proprio per comprenderne al meglio
natura, funzione e messaggio storico.
Il lavoro che qui presentiamo si muove proprio
su questa corretta linea di approfondimento
disciplinare. Laratta descrive i materiali, ma li
contestualizza cercando di comprenderne il
messaggio che essi emanano alla ricerca di una
memoria perduta che con pazienza, sistematicità,
precisione e talento si può riuscire a far riemergere
dall’oblio.
E’ da porre l’accento anche che la narrazione è
fluida e scorrevole come si addice ad una
divulgazione scientifica di ottimo livello che, spesso,
7
nel nostro paese, a differenza di quanto avviene nel
resto d’Europa, viene considerata quasi letteratura
minore e, pertanto, guardata con noncuranza dalla
cosiddetta scienza ufficiale. C’è, invece, necessità di
siffatti strumenti d’informazione, purché siano come
questo rigorosi nella descrizione senza lasciare nulla
al sensazionalismo o, peggio, alla facile scorciatoia
della ricostruzione fantasiosa.
Il presente saggio è, qualora ve ne fosse
bisogno, la chiara dimostrazione che l’archeologia
subacquea non solo offre un contributo interessante
e indispensabile per la ricostruzione di fatti storici
rilevanti per la storia antica ma può,
opportunamente valorizzata, costituire una valida
occasione di sviluppo di quel sano turismo culturale
di cui la nostra terra ha tanto bisogno.
Sebastiano TUSA
8
Parlare delle evidenze culturali, che segnano il
continuo rapporto fra uomo e mare, nel corso dei
secoli lungo le coste calabresi, non è sicuramente
impresa facile , ciò per vari ordini di motivi.
Indubbiamente il primo, e più importante, risiede
nel fatto che un simile lavoro non potrà mai essere
del tutto esaustivo e completo, proprio perché ci si
confronta con un ambiente, come il mare, che è
tutt’altro che “gestibile” nell’azione d’indagine
scientifica.
La finalità che si pone questo lavoro risiede nel
cercare di offrire un quadro d’insieme, anche se
tutt’altro che esaustivo, di quanto il mare possa
offrire in termini di conoscenza e di cultura
materiale, ma necessario per poter ricostruire un
quadro d’insieme del nostro passato.
Marc Bloch, nel suo “Apologia della Storia, o il
mestiere dello storico”, afferma che uno storico per
ben comprendere al meglio quanto deve studiare,
deve essere come il fisico, che analizza il moto di
10
una barca che scivola lungo un fiume.1
Dovrebbe potersi collocare sia all’esterno per
valutarne il movimento generale, che
contemporaneamente al suo interno, per poterne
studiare i minimi movimenti: bellissima ipotesi, in
termini metodologici, utopia, nella pratica della
ricerca.
Parallelamente l’archeologo indaga e cerca, con lo
studio dei resti della cultura materiale, analizzando
fra le pieghe della terra e della storia, quanto era
insito nella memoria di un territorio.
E, allora, parlando del rapporto uomo – mare, di cui
l’archeologia subacquea è solo un aspetto, delle sue
tradizioni e legami, anche più intimi, proviamo ad
immaginare di imbarcarci su di un piccolo
bastimento che veleggia e iniziare una piccola
navigazione, con i tempi che ci permette il mezzo
1 Marc Bloch, storico medievista francese nato a Lione il 6 luglio 1886 e nella stessa città il 16 giugno del 1944. Unitamente a Lucien Febvre fondò la rivista Annales d’histoire economique et sociale, di fondamentale importanza metodologica per lo studio del medioevo. Nel 1935 prese la cattedra di storia economica alla Sorbonne. Autore di numerosi studi e pubblicazioni ha lasciato un importante insegnamento nella metodologia della ricerca storica, storiografia, indicando una metodologia ancora oggi utilizzata molto
11
stesso, sfruttando il vento migliore e le correnti,
godendo la costa, cercando di avere la percezione di
quanti uomini sono passati da quelle parti, e di
come hanno abitato e sfruttato il territorio.
Una delle doti basilari del ricercatore è la fantasia,
che altro non è se non la capacità di immaginare,
ricostruire l’antico panorama, in un unicum
cronologicamente inquadrato, sulla base di dati che
lo studio di quello e di altri contesti offrono, la
comparazione con l’impiego di tutti gli strumenti di
ricerca possibili.
12
E ora nel breve viaggio che ci siamo inventati
lasciamo il porto turistico di Badolato, e navighiamo
verso nord.
14
Appena usciti dal porto già il panorama della costa ci
offre segni di una lunga frequentazione umana nel
corso dei secoli.
Alla natura ancora sufficientemente selvaggia si
unisce un mare per lo più cristallino e calmo, per la
maggior parte dell’anno, adatto a ogni tipo di
navigazione, anche se, in questa zona, le
testimonianze visibili di passaggi antichi e le relative
tracce sono abbastanza labili.
Labili, ma non assenti del tutto, bisogna cercarle fra
le pieghe della storia, individuarle e saperle leggere.
E’ di qualche anno fa, proprio nei mesi nei quali il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali sviluppava
il Progetto Archeomar2 , la segnalazione di un ceppo
d’ancora di età romana, posizionato sulla batimetrica
di circa 30 metri, in coincidenza della secca di
Badolato. 3
2 e 3 Con la dicitura di “Progetto Archeomar”, si indica l’insieme delle operazioni svolte dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali che aveva per oggetto il censimento dei beni sommersi in quattro regioni: Campania, Calabria, Basilicata e Puglia. Il progetto ha portato alla stesura di 628 schede documentali oltre che descrivere 283 siti archeologici sommersi nelle quattro regioni, banca dati che è
15
Di questo ceppo di piombo esistono alcune
descrizioni apparse sui quotidiani e alcune
testimonianze orali che lo descrivono della
lunghezza di circa due metri, con le braccia delle
marre non perfettamente lineari e con un’iscrizione
bene augurante realizzata in rilievo.
liberamente fruibile sul sito del Ministero stesso. Iniziato nel 2004 si è concluso tre anni dopo. Da pochi anni si è concluso anche il Progetto Archeomar 2 che ha preso in esame le situazioni di alto fondale del Lazio e della Toscana.
16
Basandosi sulle descrizioni che parlano di un reperto
isolato e probabilmente decontestualizzato, in
assenza del relitto, si può ipotizzare che sia la
traccia di un ormeggio di tipo momentaneo, con
l’ancora che una volta rimasta incagliata sulla secca
e quindi non più recuperabile, se ne taglia la cima
per poter riprendere la navigazione.
Ancora di quegli anni è la segnalazione di due
colonne o pilastri, sempre in zona di Badolato e
nuovamente pubblicati sui quotidiani locali.
17
Anche in questo caso le notizie diffuse a mezzo
stampa non offrono elementi tali da poter
inquadrare cronologicamente i due reperti e anche i
colloqui con il segnalatore, non hanno portato ad
identificare altri manufatti nella zona circostante,
come repertazione ceramica, che poteva essere utile
alla loro datazione, impedendo, anche
18
metodologicamente, di collegare, con un nesso
logico, i due episodi di occasionale rinvenimento.
Certamente due segnalazioni di alcuni reperti isolati
di per sé non sono testimonianza di sicure
frequentazioni, ma se unite a racconti di altri
19
recuperi, più o meno da verificare, come la famosa
statuetta di bronzo del toro, offrono un quadro di
frequentazione antropica sull’area che è allo stato
attuale solo ipotizzabile ma pressoché sicura nelle
sue linee generali.
20
E del resto non potrebbe essere differente, se si
considera la forma della piccola baia che si apre
verso lo jonio, con l’andamento della costa che
consente facili spiaggiamenti, rifornimenti di materie
prime, nonché scambi commerciali, anche se,
probabilmente, solo di tipo momentaneo;
e ciò analizzando il fatto che l’orografia del territorio
non garantisce un’adeguata protezione dai venti
meridionali come da quelli settentrionali, ma
potendo usufruire, quasi sicuramente delle varie foci
delle frequenti fiumare che caratterizzano il
territorio.
In che misura la zona dovette essere frequentata,
quanto meno, in età romana e nel periodo
immediatamente successivo, è testimoniato da tutta
una serie di indizi archeologici terrestri come, solo a
titolo esemplificativo, la villa romana individuata e
oggetto d’indagine da parte della Soprintendenza
Archeologica a Isca Marina e l’enigmatica chiesa di
Campo a Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, nella
zona della marina, eretta extra moenia, e collocata
22
nei pressi del letto della fiumara, che
contraddistingue quella porzione di territorio. 4
Facendo riferimento a quest’ultima struttura, vale la
pena dedicare qualche parola in più.
Completamente devastata all’esterno da interventi di
varia natura voluti per il consolidamento della stessa
e, volendo, estremamente discutibili, all’interno
conserva ancora la struttura originaria, a navata
semplice con una serie di affreschi riconducibili
all’arte bizantina estremamente interessanti nel
contesto del discorso di mare come museo diffuso.
4 Da alcuni anni una porzione di terreno, destinata a lottizzazione, situata ai margini dell’abitato di Isca Marina è oggetto d’indagine archeologica da parte della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Calabria. Le ricerche, condotte con l’ausilio di volontari, hanno posto in luce una zona di una villa romana caratterizzata da strutture di servizio, probabile cucina, collegate alla stessa struttura abitativa romana. Lasciando la strada statale 106 e dirigendosi in direzione di Santa’Andrea dello Jonio, si notano sulla sinistra dei ruderi e una strada che dirige verso gli oliveti tipici della zona. Proseguendo lungo la strada si giunge alla struttura della Chiesa di Campo. L’edificio, oggetto di discutibili restauri esterni, si presenta completamente isolato e prospiciente la fiumara. In tal senso ha una posizione strategica, potendo usufruire di abbondante acqua doveva essere un punto di appoggio per la sosta dei viandanti e mercanti che provenienti dalla zona costiera erano diretti al paese di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio posto in posizione elevata sulle colline sovrastanti.
23
La teoria degli affreschi, datati all’XI secolo
rappresentati lungo la parete destra dell’edificio
hanno per oggetto, anche, la miracolosa
navigazione di Giona e il suo salvarsi per
intercessione del divino. 5
La tradizione agiologica lega il Santo alla miracolosa
sopravvivenza in mare e al suo giungere a terra
dopo essere stato inghiottito da una balena, a
seguito di un ammutinamento dell’equipaggio.
La scelta della teoria di affreschi che illustrano il
mito di Giona non è estremamente diffusa, quindi
potrebbe sorgere spontanea la domanda del perché
5 Il Profeta Giona compare due volte citato nel Vecchio Testamento, la leggenda racconta che Dio gli ordina di andare a predicare a Ninive, invece che eseguire il volere di Dio, fugge a Tarsis imbarcandosi su di una nave che si trova all’interno di una bufera. Giona confessa all’equipaggio che tutto ciò deriva dalla sua disobbedienza e per reazione viene gettato in mare. Qui viene inghiottito da un grande pesce in cui rimane tre giorni e tre notti, periodo nel quale prega intensamente Dio che ordina al pesce di vomitare il Profeta sulla spiaggia. Solo ora Giona dà seguito all’ordine di Dio di andare a predicare, con successo, a Ninive.
24
proprio a Sant’Andrea l’anonimo artista ha deciso di
raffigurare questa leggenda agiologica.
Tra le tante risposte plausibili, come era costante e
diffusa tradizione pastorale nella cristianità, in
particolare dei primi secoli, l’affresco risponde a una
qualche esigenza di formazione religiosa del popolo
che, evidentemente, ha una sua tradizione di
rapporto con il mare, in quel momento storico
preciso, che incute timore, che domina l’uomo e le
sue attività.
Uomo che ha come vera risorsa la fede per cercare
di difendersi da queste forze che non può dominare
diversamente se non con l’aiuto del soprannaturale,
del divino.
In altri termini la raffigurazione pittorica, altro non
è che un mezzo utilizzato per rendere facilmente
comprensibili al popolo di Dio misteri, e dogmi,
piuttosto che messaggi e insegnamenti della fede,
sia per poterlo meglio avvicinare alla
pastorale, passando tramite racconti e fatti concreti,
25
che ne possano combattere le paure e far percepire
meno ostili e terribili le forze della natura, in questo
caso il mare, in altri casi le malattie o altro.
Tutti fattori che possono essere dominati con la fede
in Dio e la sicurezza del rapporto fra questo e i
fedeli, per il tramite degli esempi guida della
cristianità come le figure eccelse dei Santi o dei
virtuosi in generale.
Del resto l’agiografia cristiana, intendendola scevra
dalle diversità fra cattolici e ortodossi, ci presenta
altri e svariati esempi di questo tipo, periodicamente
proposti per risolvere problematiche di momenti
storici peculiari.
Nel caso del controverso rapporto con il mare vi
sono vari casi fra cui la vira di San Ranieri, Patrono
della Repubblica Marinara di Pisa, prima mercante e
poi Santo, che con la sua intercessione salva vari
equipaggi di marinai incappati nelle intemperanze
del mare al largo di Messina, ma anche San Nicola
di Bari, le cui reliquie giungono in occidente a
26
seguito delle crociate del XII secolo e non ultimo
San Francesco di Paola con il miracoloso
attraversamento dello Stretto di Messina, non a caso
da sempre tratto di mare periglioso per gli antichi
naviganti. 6
6 San Ranieri: nato a Pisa nel 1118, da una famiglia di ricchi commercianti. A 19 anni, dopo l’incontro con un eremita trasferitosi dalla Corsica, abbraccia la fede e si reca in pellegrinaggio in Terrasanta ove opera numerosi miracoli. Torna a Pisa nel 1154 già in odore di santità, città nella quale muore il 17 giugno del 1161. Molti dei suoi miracoli sono legati all’acqua e al mare per la cui intercessione molte navi si salvano da fortunali violenti. San Nicola: nato alla fine del III secolo a Patara di Licia, nell’attuale Turchia, morirà nel 343 a Myra, dove fu anche Vescovo. Da famiglia benestante di mercanti. Operò in favore del popolo cercando anche di tutelarne gli interessi contro l’Imperatore. Di grande nel corso del medioevo per i miracoli riconosciuti a favore di poveri. Alla caduta di quella porzione di territorio in mano ai mussulmani si cerca di recuperarne le spoglie per poterle trasferire in occidente. Nel 1087 una sessantina di marinai baresi riuscirono a recuperare circa metà dello scheletro e a traslarlo nella città pugliese. Parimenti, nel corso della prima crociata una stessa azione dei veneziani consentì il recupero e la traslazione di altre parti del corpo fra il 1099 e il 1100. Un’ulteriore traslazione da Bari in Francia di una reliquia del Santo, ne importa il culto anche in quel territorio. La sua iconografia risponde al canone del Vescovo Santo, figura che ha una sua collocazione storica ben precisa, ma oltre a ciò le sue “vicende marinare”, che ne hanno portato in occidente le reliquie, legano la figura del Santo anche al mondo dei naviganti concentrandone molti luoghi di culto e toponomastici proprio in località prospicienti il litorale marino. San Francesco di Paola: nato nella località cosentina nel 1416 da una famiglia estremamente devota. Circa attorno al 1530, entrato nell’ordine francescano, si ritira in eremitaggio, caratterizzando il suo essere mistico, quando già era stato autore di vari miracoli. Raccogliendo attorno a sé una serie di devoti diede di fatto inizio all’ordine dei Minimi. Il suo miracolo più “famoso” resta comunque l’attraversamento dello stretto di Messina sul suo stesso mantello dopo che un barcaiolo si era rifiutato di traghettarlo, dando alla figura del Santo anche una valenza di protettore dei naviganti. Morì in Francia a Plessis les Tours il 2 aprile 1507.
27
Segni posti a terra che manifestano un chiaro
richiamo al rapporto fra l’uomo e il mare e con il
mare stesso.
Un altro segno ci viene poi offerto, giungendo al
centro del piccolo golfo di Soverato.
Nella località denominata San Nicola, che occupa la
parte settentrionale del golfo stesso, nella zona in
cui le condizioni meteo- marine sono ottimali per
quasi tutto l’anno, è forse un caso anche in questo
contesto il richiamo alla figura di una Santo che nel
suo racconto agiologico ha un forte richiamo alla
navigazione e alla vita sul mare, si individuano i
chiari resti di una cava, oggi parzialmente
sommersa, la cui lavorazione di estrazione era
dedicata a materiali
28
edilizi e macine di cui alcuni esemplari e parti delle
stesse si rinvengono sulle fasi di superficie del borgo
di Soverato Vecchia abbandonato dopo il terremoto
del 1783.
29
identificativi che consentono un preciso
inquadramento cronologico, ma nella fattispecie
vengono in aiuto le analisi e gli studi geologici, che
dimostrano come l’abbassamento medio della costa
ionica in ordine temporale è di circa 3 - 3,5 metri
rispetto all’età storica.
In altri termini quanto era emerso nel periodo
greco-romano oggi si rinviene a una profondità
media compresa fra i tre e i quattro metri.
Se si considera che i tagli di cava presenti nell’area
di San Nicola e alcuni dei manufatti ancora leggibili
partono dalla linea di costa per giungere alla
profondità di 4 metri, esclusione fatta per una bitta
realizzata a fungo posizionata a 7,5, quota alla quale
può essere giunta anche per rotolamento, si può
ragionevolmente ipotizzare un inizio dello
sfruttamento della stessa in quel momento storico.
Inoltre lo stesso punto, seppur non ben protetto dai
venti dominanti, presenta per la maggior parte
dell’anno delle condizioni meteo marine adatte alla
32
navigazione e al riparo sotto costa, tanto da
riportare ancora oggi il toponimo di Sottovento.
Allo stato attuale questo contesto è sottoposto a
vincolo archeologico che ne vieta le immersioni in
A.R.A., consentendo di contro le immersioni in
apnea e le altre attività balneari, nel rispetto delle
indicazioni dettate dall’Ufficio Circondariale della
Guardia Costiera. 7
Riprendendo ora la navigazione, dirigendo la prua a
settentrione, il paesaggio costiero ha una
mutazione: non più basse coste sabbiose, ma
speroni rocciosi che si protendono verso il mare
dando alla costa la caratteristica dello strapiombo,
offrendo alla vista diversi colori e trasparenze dello
specchio acqueo, sfilando a ridosso del sito di
Pietragrande e la grotta di San Gregorio, si giunge
7 Con l’acronimo A.R.A., si intende il sistema di respirazione usato dai subacquei. Nello specifico si tratta di un Autorespiratore ad Aria che utilizza la compressione di aria, a mezzo di un compressore, in una bottiglia di acciaio, bombola, a cui si attacca un erogatore che riducendo la pressione dell’aria, portandola a una pressione respirabile, consente all’operatore di compiere normali atti respiratori, per lungo tempo, in completa immersione in acqua.
33
fino alla caletta, caratterizzata dall’essere coronata
da una serie di scogli, aguzzi, a picco sul mare e
denominata “ Le Vasche di Cassiodoro “. 8
8 Come Vasche di Cassiodoro si intende indicare i resti delle vasche di piscicoltura, nelle quali si allevavano i pesci destinati al consumo e al commercio.
34
Questa, già nota in letteratura per essere stata la
sede del Vivarium Cassiodoreo, si caratterizzava per
le vasche di allevamento ittico descritte in alcuni
manoscritti e pubblicati in più occasioni dai singoli
studiosi. 9
A differenza delle indagini svolte a terra che sono
state nel corso degli anni approfondite e ripetute,
l’aspetto subacqueo non era mai stato troppo preso
in seria considerazione, quanto meno in termini di
attività meramente operativa, celando una serie di
dati venuti in luce negli ultimi anni.
Se è vero che l’area delle Vasche doveva essere
considerata come la parte produttiva del Vivarium,
questa doveva necessariamente avere uno sbocco a
mare atto a consentirne la commercializzazione
9 Come Vivarium di Cassiodoro, si intende la struttura messa in piedi dallo Squillacese Cassiodoro (485-580) al suo rientro in Calabria dopo un lungo periodo di servizio al fianco dei re ostrogoti e successivamente dell’Impero Romano d’Oriente. Al termine della guerra greco- gotica rientrò definitivamente a Squillace, probabilmente attorno al 554. Il Vivarium si caratterizzava per la grande attività culturale come la raccolta e la trascrizione di documenti antichi e lo studio degli stessi. Di un certo interesse l’insieme delle strutture logistiche e di supporto che nacquero attorno a questo per garantirgli una sussistenza alimentare ed economica, strutture di cui alcune tracce si stanno ora rinvenendo in mare.
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considerando anche la particolare posizione che la
stessa zona ha nel contesto geo-morfologico.
Quindi era logico ipotizzare la presenza di parte
delle strutture produttive e di commercializzazione
del prodotto finito nell’area, anche se con tutta
probabilità il Vivarium si appoggiava a strutture pre-
esistenti, probabilmente di origine romana come
ipotizzato, a ragion veduta, da studiosi e archeologi.
Le spiagge, di carattere sabbioso che si collocano
sia a nord che a sud della piccola baia sebbene
appaiano adatte alla pratica dello spiaggiamento,
non consentivano una adeguata protezione dalle
condizioni meteo marine dominanti nel corso
dell’anno.
A conseguenza di ciò un’eventuale struttura
portuale, se così la si vuol chiamare per comodità di
termini, non poteva che essere al centro della
piccola baia rocciosa delle Vasche.
E in effetti le ricognizioni condotte per conto della
Soprintendenza Archeologica, nel 2010, hanno posto
37
in luce tutta una serie di elementi che riconducono a
questo ipotetico punto d’approdo. 10
Nello specifico si tratta dei resti di una scaletta
scavata nella roccia, di cui si leggono pochi gradini,
che dà l’accesso ad un banco di roccia, oggi posta
alla media di 1,5 metri di profondità, il quale si
protende con andamento perpendicolare alla linea di
costa, per circa 60 metri e che termina con una bitta
d’ormeggio realizzata a foro con un diametro di circa
10 cm.
Inoltre lo stesso banco roccioso è caratterizzato da
tutta una serie di buchi, con andamento
sufficientemente regolare e distanziati che possono
essere analizzati e interpretati come buchi di palo,
atti a sostenere quella che doveva essere la
passerella lignea utilizzata a guisa di molo.
Ai lati della stesso banco si individuano due vasche
dal diametro, alla bocca, di circa un metro e
10 Nel 2010 la Soprintendenza Archeologica della Calabria autorizzava lo svolgimento di una serie di ricognizioni subacquee tendenti alla verifica dello stato delle cose e che hanno portato all’individuazione di una serie di manufatti chiaramente riconducibili alle strutture asservite al Vivarium.
38
profonde circa 1,5 metri che potrebbero essere o
resti delle vasche di lavorazione del garum, quanto,
piuttosto strutture scavate e atte ad assolvere la
funzione di quello che dovevano essere dei silos per
lo stoccaggio delle merci piuttosto che di liquidi. 11
11 Parola di etimologia incerta, con il termine garum si intende una salsa a base di pesce salato e di interiora dello stesso che aveva una grande valenza nella cucina romana divenendo una condimento per moltissime pietanze.
39
Giungendo all’altezza della bitta e piegando sulla
sinistra, si cominciano a notare tutta una serie di
elementi fittili concrezionati allo scoglio e composti
da tegole piuttosto che porzioni di tubuli riconducibili
a un periodo storico precedente alla presenza
attestata della stesso Cassiodoro, che, quindi,
avvalora l’ipotesi del Vivarium edificato, sfruttando
la presenza delle strutture preesistenti
40
Come siano giunti in quel punto, a una profondità di
circa sette metri, è ancora tutto da comprendere.
Difficilmente, proprio per la collocazione degli stessi
materiali, è ipotizzabile la risultanza di un naufragio;
è più facile pensare a un butto a mare di questo
materiale che potrebbe essere avvenuto in età
storica per motivi non chiari, quanto, purtroppo, in
età contemporanea a seguito di sbancamenti
destinati all’edilizia privata locale sovrastante,
fenomeno, purtroppo, non nuovo in Italia e nella
nostra regione in particolare.
Terminata anche questa piccola sosta, riprendiamo il
mare sfilando al largo di Catanzaro Lido e il
panorama torna a essere contrassegnato da lunghe
distese di spiagge bianche, sabbiose, più o meno
profonde dove la mano dell’uomo è visibile quasi in
maniera discreta anche se diversificata nelle forme e
nei colori che sono evidenti.
Sfiliamo Cropani Marina, con l’imponente torre di
controllo marittimo cinquecentesca, Botricello, e
l’ampio golfo di Steccato di Cutro, ancora oggi luogo
41
privilegiato, al pari di Soverato, per il ricovero delle
moderne unità navali in caso di mare grosso, per un
ormeggio in sicurezza, in mare aperto.
Doppiata la punta di Praia Longa si staglia di fronte,
all’orizzonte, neanche troppo lontano, la massa del
Castello angioino-aragonese del Borgo di Le
Castella. 12
Si aprono così dei nuovi scenari già entrando nel
piccolo porto turistico, alla cui destra del lato
d’ingresso si notano i resti di una cava databile al
periodo greco. 13
12 L’impianto attualmente visibile del castello di Le Castella, è frutto delle realizzazioni angioine e aragonesi, terminando il suo munizionamento attorno al XVI secolo. Di sicuro, da fonti letterarie e archeologiche, la sua edificazione insiste su delle pre esistenti strutture bizantine e probabilmente greco- romane, in base a quanto si verifica, anche, come presenze di manufatti subacquei. 13 I tagli nella roccia, la presenza di piccole bitte scavate nella roccia in forma di anelli, nonché una serie di dati noti in letteratura archeologica, individuano l’area dell’attuale porto turistico di Le Castella, come realizzato sfruttando un’insenatura e area produttiva estrattiva già attiva in età greca.
42
Giungere a Le Castella e respirare l’aria, nonché
sentire il profumo della cultura del mare che da
secoli caratterizza il contesto, poter vedere, toccare
con mano questo connubio, crea un’esperienza
sensoriale unica, che prende nell’intimo e porta a
visitare e vivere intimamente quanto la località è in
grado di offrire.
Vedere i vicoli che sfogano nella visione della
fortezza angioina-aragonese, piuttosto che nella
statua del pirata mussulmano, calabrese, cristiano
rinnegato, Uccialì, non fa altro che confermare
l’intimo legame che l’uomo ha avuto con il mare in
43
questa tratto di costa jonica della nostra regione nel
corso dei secoli, lasciando varie tracce che
aspettano di venire alla luce in maniera compiuta,
per essere studiate, per offrire nuovi spunti di
ricerca per la storia locale,e soprattutto per essere
goduti dagli ultimi fruitori, i turisti e gli appassionati
in generale. 14
Il vero fascino che è insito nell’archeologia
subacquea, non è tanto la sfida fra l’uomo, il
ricercatore, e il mare, bensì quanto e come lo
studioso possa essere presente e veloce nel saper
cogliere, leggere e interpretare, ciò che il mare
decide di far scorgere, decide di restituire alla
memoria umana un momento preciso della sua
storia, scegliendo fra i tanti tesori che conserva.
14 Giovan Dionigi Galeni, nato a Le Castella nel 1519 e morto a Istanbul il 21 giugno 1587. Catturato giovane nel corso di un’incursione araba nel centro calabrese, rinnegò il cristianesimo per abbracciare l’Islam, per mutare il suo nome in Uluc Ali Pascia. In breve iniziò la sua carriera di corsaro contro le forze cristiane e i centri costieri del sud Italia, raggiungendo alti gradi nella flotta turca, fino ad essere nominato governatore di Tripoli. Partecipò alla battaglia di Lepanto nel 1571, comandando l’ala sinistra dello schieramento turco riuscendosi a salvare dalla sconfitta e a riportare indietro una trentina di navi.
44
Per quanta tecnologia possa essere a disposizione,
per quanto sapere vi possa essere nel ricercatore, è
sempre il mare che decide cosa mostrare di sé,
costituendo il vero fascino intrinseco della disciplina
che si chiama archeologia subacquea, in una sorta
di rapporto di odio – amore verso l’elemento
acquatico che ci ricorda come noi uomini siamo
parte della natura e non i suoi dominatori come alle
volte, in maniera presuntuosa, crediamo di essere.
Queste le sensazioni che sà trasmettere la visita del
centro di Le Castella, il contesto tutto dell’Area
Marina Protetta, giungendo ad avvertire l’apice di
questa emozione nell’area di Capo Colonna, estremo
confine settentrionale della stessa Area Marina
Protetta e caratterizzata dalle vestigie dell’antico
tempio di Hera Lacinia di cui rimane in elevato solo
una colonna.
In dubbiamente la ricchezza e varietà del patrimonio
archeologico sommerso conservato in quest’area è
la chiara testimonianza di questa ricchezza e del
45
Nei fatti il connubio che si crea fra la varietà di flora
e fauna con le varie tracce archeologiche che
caratterizzano il fondale rendono bene l’immagine
delle peculiarità dell’area stessa.
Due sono i fattori, principali, che hanno
caratterizzato il fenomeno di antropizzazione di
questo tratto di costa nel corso dei secoli.
47
La particolare ricchezza dell’entroterra e la pescosità
del mare, agevolata dalle ridotte batimetriche per
lunghi tratti, anche a una certa distanza dalla costa,
hanno consentito una serie di insediamenti
autoctoni, in prima istanza, e di popolazioni
immigrate, tutte caratteristiche che porteranno, al
momento di apice, all’inizio della colonizzazione
greca del VI secolo a.C..
Il secondo fattore, non completamente disgiunto dal
primo, risiede nella caratteristica di base tipica della
navigazione antica, fino a quasi tutto il XVI secolo,
indipendentemente dal cabotaggio delle unità
impiegate e che avveniva sottocosta.
48
Ma in più, le rotte utilizzate, si caratterizzavano con
direzione sud-nord, nel corso della “bella stagione”,
sfruttando i venti e le correnti dominanti,
unitamente al fattore tecnico che gli stessi viaggi
avvenivano con un andamento sotto costa, anche in
considerazione del fatto che la giornata nella
49
navigazione antica era calcolata, secondo gli studi
del prof. Avilia, in 11 ore. 15
Il precipuo aspetto della navigazione sotto costa
portava a individuare, grazie anche all’esperienza
maturata dai comandanti e dai nocchieri, tutta una
serie di punti di approdo e porti che consentivano
agevoli soste facilitando la nascita di punti di
scambio commerciale, anche di tipo temporaneo,
cioè non caratterizzato da strutture portuali fisse
vere e proprie.
Che tutto ciò potesse avvenire anche sulla costa
calabrese è lapalissiano, con un particolare interesse
per la costa ionica, punto obbligato di transito verso
gli importanti scali commerciali dell’alto adriatico e
come punto di unione fra la Grecia, il mondo nord
africano e il resto del mondo conosciuto fino ad
allora e ciò anche dopo, a partire dal VII secolo
d.C., quando, cioè gli storici degli Annales,
individuano la rottura economica e commerciale del
15 Il professor Filippo Avilia è noto per una serie di studi che hanno per oggetto l’archeologia subacquea e navale. Di recente pubblicazione un manuale tecnico sullo scavo archeologico subacqueo.
50
mediterraneo, con l’affermazione politica e religiosa
di Maometto e la conseguente spinta espansionistica
dell’Islam. 16
Allo stato attuale della ricerca, il problema che si
pone è la mancanza di una precisa ed esauriente
mappatura di questi punti di approdo, esulando
dalle già ben note colonie e porti principali, per così
dire di secondaria importanza.
Nei dati di fatto vi sono tutta una serie di indizi che
fanno portare l’attenzione su siti, per così dire,
minori come Santa Caterina dello Jonio, Badolato,
Soverato, area di San Nicola, Stalettì, con la zona
delle Vasche di Cassiodoro, oltre che la stessa
Catanzaro, per la quale si hanno testimonianze in
letteratura di un porto alla foce del Corace.
Al pari di queste, degne di nota sono ancora
Botricello e Steccato di Cutro, dove, al pari della
porzione del golfo di Soverato, ancora alla data
16 Georges Duby, allievo di Marc Bloch e Lucien Febvre, con il suo “Maometto e Carlo Magno”, pone in luce come l’avanzata islamica iniziata con il VII secolo, porta alla rottura economica e commerciale del Mediterraneo e a una nuova visione dei rapporti fra e due sponde europea e nord africana.
51
odierna trovano rifugio e riparo le più grosse unità
moderne.
Nel contesto del quadro descritto, diviene di
fondamentale importanza la posizione e la funzione
del borgo di Le Castella e del promontorio di Capo
delle Colonne.
52
Funzioni similari in diversi contesti cronologici,
dimostrano, ancora una volta di più, la continuità di
frequentazione antropica di una stessa, area
caratterizzata dalla necessità del soddisfacimento
delle esigenze umane del momento.
Di fatti, con la perdita di importanza della punta di
Capo Colonna, aumenta la valenza economica,
commerciale e militare, come, forse, non ultima
anche religiosa del borgo di Le Castella; soprattutto,
e bisogna sottolinearlo, cresce di valenza la natura
militare divenendo il vertice difensivo meridionale
del sistema organizzato e strutturato per la difesa
della stessa Crotone, sistema che comunque in
alcuni momenti storici risulterà deficitario.
Quanto al sistema difensivo medioevale e di età
moderna del tratto di costa il cui perno è la stessa
città di Pitagora, e senza avere la pretesa di offrire
alcuna interpretazione più o meno definitiva, si
53
vuole cogliere l’occasione per alcune osservazioni di
carattere generale.
Nei fatti, inserito nel contesto delle torri costiere che
caratterizzano il tratto di costa preso in
considerazione e prendendo come perno proprio la
città d Crotone, il sistema sul quale ci si concentra
maggiormente appare proprio quello meridionale,
con l’imponente impianto del castello angioino –
aragonese, posto a circa 18 miglia nautiche (circa
32 km), dalla città capoluogo; distanza ottenuta
calcolando una serie di rotte, sebbene rettificate,
che hanno un andamento sottocosta.
La concentrazione difensiva messa in opera sul
versante meridionale, è sicuramente connessa e
dettata dalla maggior percentuale di rischio di
aggressioni militari provenienti da quel settore dello
Ionio e del mediterraneo in generale.
E non è un caso che si documentano varie incursioni
operate da unità navali musulmane praticamente
54
fino a tutto il XVII secolo, pur nel loro diminuire di
frequenza e intensità, man mano che ci si avvicina
cronologicamente ai giorni nostri.
Di contro un tale fenomeno di munizionamento delle
coste è chiaro indice di un prolungato sfruttamento,
nel tempo, del mezzo nautico per gli spostamenti di
uomini e merci.
I frequenti rinvenimenti subacquei sono un chiaro
indice di tutto ciò.
Allo stato attuale delle conoscenze sono numerosi i
siti sommersi contestualizzati e che, in linea
generale, presentano numerose e frequenti
sovrapposizioni cronologiche.
Ovviamente in questa sede non è possibile
analizzarli tutti ed in maniera esaustiva, ma ve ne
sono alcuni, più o meno noti, che per tipologia e
collocazione temporale, appaiono fra i più
significativi nell’illustrare la varietà presente nelle
acque interessate dall’Area Marina Protetta.
55
Usciamo con la nostra imbarcazione e facciamo una
piccola deviazione verso sud.
Fuori dalla diga foranea, che chiude e protegge dalle
mareggiate il porticciolo turistico di Le Castella, si
staglia imponente la struttura del castello realizzato
sulla piccola penisola, che lo rende una struttura
quasi distaccata dalla linea di costa e isolato in
mezzo al mare.
La sua porzione meridionale fu oggetto di varie
attività di ricerca e documentazione nel 1996 ad
opera dell’equipè della cooperativa Acquarius di
Alice Freschi, a seguito di segnalazioni operate da
Gino Cantafora, subacqueo crotonese, protagonista
di svariate scoperte e relative comunicazioni alla
Soprintendenza dei Beni Archeologici della
Calabria17.
17 La cooperativa Acquarius è stata per anni una delle poche strutture atte alla fattiva collaborazione con le Soprintendenze nell’ambito dell’Archeologia Subacquea, andando a verificare e documentare le segnalazioni che giungevano
56
Nel corso delle stesse attività venivano individuati e
censiti una serie di manufatti e resti strutturali,
anche di notevole dimensioni, cronologicamente
disomogenei.
Fra questi si pone in luce un pesante crogiolo in
pietra, una scala scavata nella roccia in forma di
grande blocco squadrato, tagli di cava e manufatti
derivati da questi stessi tagli, elementi architettonici
nonché tracce di horrea, buchi di palo e altro.
da subacquei ricreativi che, come il citato Cantafora, subacqueo originario di Crotone, hanno caratterizzato quasi l’ultimo trentennio.
57
In generale, è di un certo interesse la mancanza di
elementi “leggeri” o minuti nelle dimensioni, come
resti anforacei e quant’altro, forse segno di un loro
depredamento in periodi precedenti, anche moderni.
61
La disomogeneità cronologica, ci indica la lunga
frequentazione dell’area, ma offre anche un secondo
dato di notevole interesse.
Riprendendo l’analisi sopraccennata, si ribadisce
l’assenza di materiale ceramico se non saldamente
concrezionato agli scogli o riutilizzati a riempimento
di tratti di muro, per lo più realizzati con la tecnica a
sacco, mentre la gran parte dei manufatti individuati
sono riconducibili a strutture produttive o
commerciali che si inseriscono nei vari momenti
cronologici di frequentazione umana del
promontorio stesso nonché del territorio di Le
Castella.
La motivazione per la quale si trovino ora
sott’acqua, ad una profondità media che varia fra i
due e i quattro metri, è sicuramente legata alle
mutazioni geo-morfologiche che l’area ha subito nel
corso dei secoli, con una certa accelerazione nel
periodo storico, cioè con l’incremento
62
dell’antropizzazione della porzione di territorio che
ne ha alterato l’antico equilibrio.
Non è un caso che, vari studi recenti hanno
dimostrato come i versanti meridionali, sono i più
esposti all’azione erosiva a seguito della dominanza
dei venti e dei conseguenti moti marini più violenti
da questi scatenati.
Questa situazione geo - morfologica ha portato, ad
esempio, nell’area di Capo Colonna, ad un’
arretramento della linea di costa di circa 300 metri e
a una sommersione della stessa, più antica, di circa
3,5 metri.
63
Probabilmente queste mutazioni nell’area del
promontorio di Le Castella hanno avuto delle
variazioni, nelle sue linee generali, grazie all’effetto
di protezione offerto da antichi isolotti o secche, che
appaiono ben documentate nella cartografia storica.
Ma il risultato finale è quello offerto dall’attuale
percorso archeologico subacqueo, conseguenza del
dilavamento e del rotolamento di parte delle
strutture antiche in acqua.
Il percorso, realizzato e strutturato dalla stessa
equipe della Freschi, ha subito varie vicissitudini,
abbandonato e lasciato a sé stesso, ha avuto breve
vita, per lo più per la carenza di adeguate
manutenzioni.
Ripristinato nel 2010 grazie alla volontà del Centro
Sub Le Castella, in ausilio tecnico logistico alla
competente Soprintendenza Archeologica della
Calabria, è allo stato attuale nuovamente
67
smantellato in attesa di una sua rinascita che ci si
augura definitiva. 18Purtroppo non sempre le migliori
aspettative si realizzano, tanto che ancora nel 2014,
nuovamente il Centro Sub Le Castella, offre il
necessario supporto alla Soprintendenza per il
nuovo ripristino, senza però avere le necessarie
coperture per la sua definitiva sistemazione nonché
implementazione, potendolo rendere anche fruibile a
subacquei non vedenti.
Mollato l’ormeggio dalla boa posizionata dall’Area
Marina Protetta ci si dirige verso nord, facendo una
breve digressione verso est, un po’ più al largo.
La zona di mare inclusa nel contesto dell’Area
Marina Protetta, ha, logicamente, una
frequentazione prolungata nel corso del tempo,
anche in età moderna e contemporanea, come testo
18 Il Centro Sub Le Castella è il centro subacqueo per certi versi storico che opera nella località di Le Castella. Dotato di una notevole organizzazione logisitica e tecnica si interessati da presenze archeologiche dell’Area Marina Protetta.pone come il naturale interlocutore della Soprintendenza Archeologica per le necessarie operazioni da svolgere nei punti di mare interessati da presenze archeologiche dell’Area Marina Protetta.
68
miniano i vari relitti oggetto d’immersioni dei divings
locali e che, comunque, per la gran parte, in base
all’anno di varo e ai sensi della normativa vigente
sui Beni Culturali, ricadono sotto la tutela degli
organismi del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali.
69
Apparentemente la presenza di un relitto nel
contesto di una zona marina tutelata può apparire
un controsenso “ecologico”, un danno nonché
un’alterazione dell’ambiente.
In effetti quest’aspetto non è del tutto trascurabile,
soprattutto pensando all’età contemporanea con la
dispersione nell’ambiente di idrocarburi, olii e vari
altri elementi inquinanti.
Nella realtà il relitto, una volta bonificato, ha una
duplice valenza sia storica che ecologica.
Dal punto di vista prettamente storico, e quindi
anche archeologico, il relitto segna uno specifico
momento storico, un fatto, un accadimento, sia esso
generato da una specifica azione antropica, come ad
esempio un evento bellico, sia originato da un
momento meteo-marino specifico.
Un relitto conserva un’innumerevole serie di dati
come la provenienza dell’unità navale, ad esempio,
71
la percentuale degli scambi in essere con una
specifica zona del Mediterraneo in luogo di altre,
unitamente a quali tipologie di merci erano
scambiate in quel preciso momento storico e per
rispondere a quali esigenze logistiche piuttosto che
commerciali.
Inoltre, traccia una delle più probabili rotte
frequentate in quello specifico momento storico,
come il tipo di navigazione che poteva caratterizzare
la zona, per esempio la natura del cabotaggio,
piccolo, medio, militare, sacro o di qualsivoglia
natura.
Considerando l’aspetto ecologico, si può dire che, di
norma, esaurita la prima emergenza legata
all’impatto ambientale, e debitamente bonificato il
tutto, un relitto diviene un polo di attrazione per
flora e fauna subacquea, dai tratti veramente unici e
interessanti.
La natura si reimpossessa del suo spazio e in breve
il manufatto diviene parte integrante del panorama
72
sommerso ricoperto di alghe e frequentato da una
variegata fauna che nei resti della nave trova rifugio
e abbondanza di cibo.
Questo è il caso anche del “relittino” di Le Castella19.
19 Spesso i differenti punti d’immersione curati dai locali centri subacquei, portano dei “nomignoli” atti a identificarli rapidamente. Nel nostro caso esistono due punti che fanno riferimento a differenti unità navali naufragate nel corso degli anni e la dicitura “relittino” si distingue dal “relittone” solo ed esclusivamente per l’estensione dello stesso sito d’immersione.
73
Si tratta di un piccolo cargo da trasporto, di
concezione dei primi del XX secolo, affondato in
assetto di navigazione e posto ad una profondità di
circa dieci metri.
74
Perduto, o quanto meno non più visibile, il carico
dell’unità, rimangono parti del vano motore, con
ancora la ruota di babordo, oltre che una sezione di
prua e della zona di governo.
75
Si tratta, nella sostanza, di una delle aree
d’interesse sommerse fra le più interessanti proprio
per il connubio manufatto umano – natura con una
grande varietà di pesci che si offrono al visitatore e
la facilità tecnica della stessa immersione.
Spostandosi in direzione nord, si accede all’ampia
baia che si apre e caratterizzata dal toponimo di
Santa Domenica, nonché dalla presenza del villaggio
il Tucano, chiaro segno dell’antropizzazione della
zona anche se non eccessivamente invasiva.
E’ questa un’ulteriore zona che, nel corso degli
ultimi anni, ha dato vari segnali di materiali e reperti
custoditi dal mare, che in alcuni momenti riaffiorano
a seguito dei movimenti del fondale anche, e
soprattutto, a basse quote.
In questa zona il materiale che costituisce il fondo si
caratterizza per essere di natura sabbiosa, con
andamento costante e dolcemente degradante verso
76
le quote maggiori, intervallato da scogli affioranti
sufficientemente distanti tra di loro.
Fra il 2010 e il 2013 l’area ha restituito alcuni
segnali di cultura, materiale di un certo interesse e
rilievo anche per la minima quota alla quale erano
posizionati.
Nell’agosto del 2010 alcuni bagnanti segnalavano
l’individuazione dei resti di un’imbarcazione con lo
scafo ligneo, a circa 1,7 metri di quota.
Dello stesso apparivano affioranti alcuni degli
elementi portanti dello scafo, relativamente a delle
sezioni delle murate di babordo e di tribordo,
nonché una sezione del paramezzale che delineava
la linea della chiglia.
Su alcuni degli elementi lignei, si notavano le
colature di ferro utili a fissare e rinforzare i chiodi
destinati a bloccare il fasciame, nonché alcuni fori a
77
sezione quadrata dove alloggiavano gli stessi chiodi
con una testa di circa due centimetri.
Da una prima analisi visiva, il relitto presentava una
lunghezza di poco meno di trenta metri e una
larghezza di circa quattro.
Attualmente, il relitto è nuovamente insabbiato, in
attesa che il mare decida di riscoprirlo, rendendo
estremamente difficoltosa l’indagine archeologica e
la determinazione dell’area, proprio a causa della
scarsa profondità.
Vi è da aggiungere che, nel caso specifico non si
sono potuti individuare degli elementi diagnostici tali
da poter tentare una collocazione cronologica del
relitto stesso, anche se, un dato si intuisce
chiaramente dalla posizione degli stessi resti dello
scafo.
Questo è affondato o, forse, abbandonato sul posto
in assetto di navigazione con l’asse prua – poppa
78
allineato con andamento perpendicolare rispetto alla
linea di terra, come si trattasse di un’azione voluta
di spiaggiamento, approfittando di un tratto di costa
conosciuto e agevole alle manovre marittime
necessarie al rifornimento piuttosto che ad eventuali
scambi di merci.
Del resto, tutta una serie di indizi posti a terra,
collocano tutto questo tratto di costa con frequenti
tracce di attività umana di varia natura, favorite
anche dalla presenza di varie sorgive naturali,
avendo, tra le altre cose, individuato chiari segni di
una cava che oggi sono prospicienti la spiaggia.
Sempre nel mese di agosto, ma del 2013, la stessa
area è stata nuovamente oggetto di un’azione di
recupero di notevole interesse.
Nuovamente a seguito di una segnalazione da parte
di alcuni bagnanti, venivano identificati due
manufatti, realizzati in ferro, a una batimetrica di
poco superiore ai due metri di profondità.
79
Sebbene posizionati a ridotta distanza dal relitto
precedentemente descritto, non sussistono elementi
oggettivi che possano, ragionevolmente collegare i
due contesti.
Nella fattispecie i reperti si caratterizzano nell’essere
due piccoli petrieri a retrocarica, privi di mascolo,
ancora perfettamente conservati e ben leggibili nei
loro tratti morfologici e recentemente oggetto di
presentazione all’ 8th Simposio di Ricerca
Archeologica tenutosi a Procida.20
Anche in questo caso vi sono delle notevoli difficoltà
nella loro attribuzione cronologica, difficoltà che
derivano da una serie di motivazioni puramente
tecniche.
20 Si tratta di due piccoli cannoni in ferro, atti a sparare munizioni in pietra, di produzione a partire dalla fine del XV secolo, e che potevano essere caricati dalla parte posteriore della stessa arma. Introdotto il proiettile e la carica di lancio il cannone veniva chiuso con un perno ligneo che doveva tenere chiusa la camera di scoppio, perno il cui none tecnico è mascolo. Il rinvenimento del luglio del 2013 è già stato oggetto di pubblicazione scientifica nell’ambito dell’8° Simposio Internazionale di Archeologia Subacquea che si è recentemente tenuto a Procida.
80
In generale si può comunque affermare che una
simile produzione di artiglierie nasce con la fine del
XV secolo per protrarsi praticamente fino a tutto il
XVIII secolo.
A questo dato, vi è da unire l’ annotazione di come,
le ricognizioni effettuate nell’area del rinvenimento,
non hanno evidenziato materiale utile ad offrire un
quadro cronologico sensato al contesto, al punto
che, la repertazione ceramica si presentava
totalmente priva di decorazioni, al pari di altri
elementi diagnostici, tali da non poterla rendere
precisamente databile.
Di sicuro per la tipologia dell’impasto della stessa
repertazione e la sua purezza pare potersi riferire ad
una produzione riconducibile al XVI-XVII secolo.
L’ottimo stato di conservazione dei due cannoni e la
scarsa concrezione, induce a pensare a un lungo
periodo di giacitura e conservazione in sito e in
ambiente anerobico, sotto la sabbia, per svariati
81
secoli, facendo così escludere la possibilità che gli
stessi reperti possano essere stati trascinati o
spostati fino al luogo del rinvenimento, ponendo in
tal modo in luce un chiaro segnale della presenza di
un relitto del quale, però, allo stato attuale, non si
individuano i resti dello scafo.
Ipotesi avvalorata anche dal fatto che gli stessi
erano saldamente concrezionati al fondo.
Altra problematica connessa è cercare di
comprendere di quale tipologia di unità si trattasse.
Le due armi da fuoco si presentano esattamente
eguali, come fossero parte di una dotazione
standardizzata, più tipica delle unità da guerra, in
luogo del classico mercantile armato, anche se solo
ulteriori dati di ricerca potranno far meglio
comprendere il contesto.
Allo stato attuale delle cose, si può pensare a un
“legno” destinato a svolgere azioni di interdizione e
contenimento militare.
82
Ancora un buon tratto di navigazione in direzione
nord e il senso della definizione del mare come
museo aperto trova la sua più completa
caratterizzazione e significato.
Si sta accennando, e diversamente non potrebbe
essere, allo stato attuale delle cose, a una ristretta
porzione di mare, con una profondità compresa fra i
4 e i 10 metri, che sta restituendo una notevole
quantità di materiali, di vario genere,
cronologicamente distanti fra di loro, e che proprio
per questa caratteristica, forse meglio di altri punti
della costa chiarisce le tappe e l’intensità delle
frequentazioni umane dell’area.
Anche in questo caso è necessaria una premessa.
Fino ad ora, nel presente lavoro, si è parlato di aree
che in linea generale sono già note e pubblicate, a
vario titolo, da articoli di giornali quotidiani, periodici
piuttosto che a livello scientifico ed accademico,
83
unica vera sede naturale per l’esatta e corretta
divulgazione delle notizie e dei dati scientifici.
84
Diversamente la zona che si và a descrivere è
ancora oggetto d’indagine scientifica, e la varietà dei
materiali che sta restituendo, compreso un
manufatto bronzeo di particolare pregio, oggetto di
prossima pubblicazione scientifica, non consente in
questa sede e allo stato attuale delle cose di rende
note tutta una serie di caratteristiche nonché di geo
referenziazioni, proprio per garantire la giusta tutela
dello stesso.
86
Nuovamente, in questo caso le indagini hanno avuto
origine da un incontro fortuito da parte di un
pescatore apneista con un manufatto di bronzo
collocato a circa 9,5 metri di profondità,
ottimamente conservato, i cui elementi diagnostici
offrono una serie di dati unici nel loro insieme e,
almeno allo stato attuale, di notevole importanza
per il bacino orientale del mediterraneo.
In questa sede si può dire che il reperto è databile
al XVI secolo e che la sua committenza, destinata
per rispondere a delle specifiche esigenze , fa chiaro
riferimento a un ordine cavalleresco, oggi non più
esistente.
Ma, al di là del mero recupero del reperto, più
significativo in quanto eclatante, i dati veramente
interessanti provengono dalle indagini svolte
nell’arco del 2014.
87
Allo stato attuale si sono potuti catalogare oltre 90
reperti notevoli, per lo più ceramici, in ottime
condizioni di conservazione, che hanno messo in
luce lunghi periodi di giacitura in sito, ricoperti dalla
sabbia o protetti dalla matta di poseidonia e che
offrono un range cronologico compreso nel periodo
fra l’VIII sec. a.C. fino a tutto il XVII, e con
materiale che è chiaramente proveniente da altri siti
del bacino del mediterraneo.
L’insieme dei materiali, mostra chiaramente come si
tratti di una zona utilizzata nel corso dei secoli,
come area di sosta e di ormeggio, operazioni
garantite dalle condizioni ottimali di protezione dagli
agenti meteo marini dominanti nonché di facili e
abbondanti approvvigionamenti.
Lasciamo gli archeologici lavorare e aspettiamo che
si concludano le dovute indagini, ora in corso
d’opera, per saperne qualcosa di più e lentamente
ripartiamo verso nord in direzione di Capo Bianco
nelle cui prossimità si ha l’ennesima sorpresa.
88
Alla profondità media, compresa fra i 3 e i 4,5 metri,
si ha l’evidenza di un imponente carico di marmi,
semi lavorati, chiara testimonianza del naufragio di
un’unità da trasporto di questi materiali affondata in
quel punto, forse a causa della presenza del banco
di secche antistanti lo stesso tratto di mare.
Queste evidenze archeologiche, furono segnalate
alla competente Soprintendenza nel 1991 e l’area fu
subito oggetto di una prima indagine, condotta dalla
cooperativa Acquarius.
89
Recentemente, la situazione è stata ripresa da
un’equipe di ricercatori coordinati dall’Università di
Venezia, la quale è riuscita a inquadrare
cronologicamente il contesto.
Apparentemente non vi sono chiari elementi utili a
datare il giacimento che ha un’estensione di 144
mq, ma in questo caso è venuta in aiuto la moderna
tecnica di studio. Di fatto, le analisi petrografiche di
54 elementi lapidei hanno dimostrato che le cave
d’estrazione originali sono comprese nell’area
geografica fra la Francia meridionale e la Liguria,
con la peculiarietà che una tipologia dei marmi
utilizzati si comincia a cavare per la
commercializzazione solo a partire dal XVII secolo.
Considerando questo elemento e il fatto che la
marineria più attiva in questo periodo era la ligure,
si può ragionevolmente ipotizzare il naufragio di un
“legno” proveniente dalla repubblica genovese, forse
92
spezzina, nell’arco temporale compreso fra il XVII e
il XIX secolo.
Questo aspetto pone in luce due fattori di non poco
conto.
Il primo è quello che evidenzia i rapporti
commerciali esistenti fra la Calabria e la Liguria, e
come la marineria ligure sia ancora una delle più
attive, quanto meno dal punto di vista commerciale.
A questo aspetto và unita e tenuta in considerazione
anche una certa vitalità economica dell’area
crotonese, al punto tale che nel territorio esiste una
committenza economicamente forte da potersi
permettere di finanziare l’acquisto e consentire il
trasporto di materiali così preziosi.
Molliamo l’ancora e sfruttando la leggera brezza si
riprende il viaggio e con la navigazione lenta
possiamo ammirare un tratto di costa che ancora
conserva alcuni tratti selvaggi, non toccati dall’uomo
se non in maniera molto marginale, e che
riconducono l’immaginazione a far vedere quello che
93
poteva essere il panorama tipico della prima età
moderna fino ad almeno il XIX secolo e che si
caratterizza per la presenza del sistema difensivo
voluto da Carlo V, caratterizzato dalla presenza di
una serie di torri di controllo costiero, che spesso
riutilizzano e adeguano alle nuove esigenze strutture
più antiche, e che, nel momento in cui perdono il
valore prettamente militare, si trasformano in edifici
con altre funzioni, non ultime abitative. 21
Nel corso dello spostamento in direzione di Capo
Colonna, si sfila sul lato sinistro la località La
Marinella e si giunge in vista del Palazzo Lucifero.
Nuova immersione e ancora i chiari segni del
passaggio dell’uomo in quel tratto di mare.
21 Carlo V d’Asburgo,(1500-1558) fu Re di Spagna e Imperatore del Sacro Romano Impero. Militarmente impegnato contro l’avanzata turca e la Francia, che per un certo periodo stringe alleanza militare con i mussulmani proprio in chiave anti spagnola, si adopera per rinforzare i sistemi difensivi del sud Italia andando a rammodernare se non costruire ex novo tutta una serie di torri costiere che poste in modo da essere una visibile con l’altra potevano rapidamente dare il necessario allarme in caso di attacco nemico. Riorganizzò l’impero con una serie di vice regni, tra i quali uno dei più importanti, proprio per la posizione strategica in funzione anti turca, era il viceregno che inglobava in sé la Calabria e la Sicilia.
94
Nell’area detta di Alfieri, posizionata a una
profondità media di 4 metri, poggianti su di un
fondale sabbioso caratterizzato dalla presenza di
una serie di scogli, radi, di medie dimensioni,
appaiono una serie di macine disposte in maniera
apparentemente caotica, ma anche chiaro indice di
un carico essendo molte di queste come accatastate
e poggianti l’una sull’altra nel senso della parte del
lato largo del disco realizzato e per lo più infisse
nella sabbia per la porzione del taglio.
95
Di notevoli dimensioni, circa 1,70 m di diametro con
un foro centrale di 30 cm, i materiali sembrerebbero
cavati in zona, anche in base alla tipologia del
materiale litico utilizzato, mentre meno chiara
appare la funzione finale e la località di
destinazione.
Anche in questo caso non vi sono precisi elementi
atti a datare il contesto e ciò malgrado il fatto che
nel corso delle immersioni del 2011, nel versante
settentrionale del giacimento sia stata individuata,
semi insabbiata, un’ancora in ferro, molto ben
conservata, priva di concrezioni e di dimensioni
medie, stimate circa un metro e mezzo di lunghezza,
di tipo ammiragliato e di cui spuntavano dalla sabbia
le marre.
Se la stessa, come appare molto probabile, è
consona al relitto, lo stesso potrebbe essere databile
al periodo compreso fra la fine del XIX secolo e i
primi del XX secolo.
Lasciamo l’area Alfieri e puntiamo verso l’ultima
tappa del nostro viaggio, Punta Scifo.
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Le sue acque, ancora una volta a bassa profondità,
nascondono uno dei beni archeologici subacquei fra
i più affascinanti e interessanti.
Si stà accennando a quello che viene definito il
relitto Paolo Orsi.
Si tratta di uno dei relitti, della zona, fra i più
indagati a partire già dai primi del XX secolo, 1915
per la precisione, e sul quale gli studi si sono
succeduti fino ai giorni nostri, ponendolo, oggi, al
centro di un progetto che prevede la realizzazione di
un secondo percorso archeologico subacqueo che
caratterizzerebbe il contesto dell’Area Marina
Protetta.
Si tratta di un carico di marmi semi – lavorati
provenienti dall’area medio – orientale, ben
leggibile, a differenza dello scafo, ora non più
identificabile, e del quale alcune porzioni, forse,
rimangono ancora sotto parte del carico.
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Solo recentemente, studi più approfonditi hanno
potuto calcolare il peso del carico trasportato che
risulta essere nell’ordine delle 350 tonnellate,
caricato a bordo di un’unità lunga almeno 40 m, un
vero colosso se si pensa che il tutto è datato a circa
il II secolo d.C.
E’ la fine della nostra piccola navigazione, fatta alla
moda degli antichi naviganti, lenta, rispetto a come
siamo abituati oggi, eseguita sotto costa e che ha
riservato una serie di piccole e grandi sorprese, ma
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tutte testimonianze dello stretto rapporto uomo –
mare che caratterizza la frequentazione dello jonio
calabrese.
Concludendo possiamo affermare che, ogni
pubblicazione che meriti, ha sempre un paragrafo
come questo, nel quale si dovrebbero trarre delle
conclusioni da quanto si è scritto.
In questo caso non è un’operazione facile, anche
perché il testo non ha una finalità scientifica, ma
puramente divulgativa, ma in un ambito divulgativo
che è, anche, necessariamente, scientifico e tecnico.
Quindi rimanendo nell’alveo puramente divulgativo,
cercherò di dare alcuni input che potrebbero far
parte di una conclusione di un lavoro.
Il primo aspetto di cui tener presente è quella che
potremmo definire come continuità di
frequentazione antropica.
I quasi 180 chilometri di costa che abbiamo cercato
di presentare sono caratterizzati da una serie di
presenze chiare e ben documentabili che non
101
devono essere considerate fine a sé stesse,
circoscritte al contesto in cui si sono individuati,
bensì devono essere inquadrati in contesto ben più
ampio, nel contesto dell’antropizzazione di un
territorio inteso nella sua globalità.
E nel nostro caso, la globalità del territorio prevede
anche l’impatto con l’ambiente mare che caratterizza
la vita delle popolazioni calabresi sia nel bene,
(sfruttamento delle vie di comunicazioni e dei beni
alimentari che questo poteva offrire), ma anche nel
male, con la paura di veder comparire una vela
musulmana, più o nemica, comunque creando uno
spopolamento degli abitati costieri, con le genti che
si rifugiano nelle zone immediatamente
pedemontane, un rapporto che può essere definito
di odio – amore che si protrae nei secoli.
Ma quanto tutto ciò, questo peculiare aspetto
culturale è conosciuto dai cittadini e fruibile dagli
stessi?
Quanto di questo rapporto permane nella coscienza
collettiva degli abitanti?
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In questo caso dovrebbero subentrare gli
antropologi, con le loro analisi e i loro studi, ma in
assenza di tali dati, possiamo sottolineare alcuni
aspetti non di poco conto.
Il primo, che potrebbe apparire banale, è quello
gastronomico.
Quasi ogni paese della zona rivierasca, ha una sua
propria tradizione nella lavorazione del pesce, nella
sua conservazione e degustazione. Basterebbe
pensare alla sardella della zona di Cirò Marina, solo
per citare uno fra i casi più conosciuti unendo non di
rado i prodotti frutto della pesca e del lavoro
marittimo con i prodotti tipici dell’entroterra.
Ma, al pari di ciò, ogni paese ha le sue tradizionali
tecniche di pesca, adattate al tratto di mare sul
quale affacciano, come dimostra, ad esempio, la
pesca e lavorazione del pescespada a Pizzo Calabro
e nella zona del reggino tirrenico, più in generale, e
che ha portato alla realizzazione, ad esempio di una
specifica imbarcazione per questa tipologia di pesca.
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Tutte testimonianze di un rapporto plurisecolare fra
l’uomo e il mare, un rapporto che è anche devozione
e religione, come testimoniano le varie tradizioni di
processioni svolte con le barche, per lo più dedicate
a Maria ( Soverato, Catanzaro etc), ma anche con
dediche che potremmo definire “anomale”, nel
contesto generale come quelli dei Santi medici
Cosma e Damiano a Riace.
In tutto ciò come si inserisce la disciplina
dell’archeologia subacquea?
A rigor di logica e secondo metodo scientifico si
dovrebbe inserire a pieno titolo e dovrebbe avere, in
una regione come la nostra, una posizione di rilievo.
Nei fatti questo non accade, quanto meno non nei
termini in cui sarebbe auspicabile e ciò per vari e
svariati motivi.
Il primo è quanto la disciplina sia poco apprezzata
dagli organi di controllo e governo politico
territoriale, frutto del “danno” conseguente al
recupero dei Bronzi di Riace.
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Di fatti nella mentalità collettiva la disciplina è legata
a quell’episodio, che comunque fu una mera e
semplice operazione di recupero e non altro, e tutto
ciò che non ha la stessa risonanza mediatica non ha
interesse e viene lasciata in secondo piano.
Inoltre la disciplina ha un’ulteriore handicap: i costi.
E questo è un tasto, che, soprattutto nel momento
economico attuale, in cui versa l’Italia, penalizza
enormemente l’ambito dell’archeologia, soprattutto
se il lavoro svolto non ha un immediato riscontro di
fruizione turistica, situazione che oramai è diventata
l’unico scopo dei vari ministri ai Beni e Attività
Culturali, e la ricerca?
Accantonata a meno che non intervengano fattori
esterni, privati. La ricerca? Alle volte sembra di
leggere, fra le righe dei vari Ministri o organismi
politici, che abbiamo talmente tanto di quel
materiale e siti noti che non vale la pena di
individuarne e indagarne di nuovi.
Che dire?
Meglio un flemmatico "no comment". 105
Svolgere un’attività archeologica subacquea significa
movimentare barche, attrezzature specifiche,
operatori e parametri di sicurezza tali che i costi
lievitano a dismisura costi che spesso sono assorbiti
dagli stessi operatori che svolgono le operazioni, in
forma di auto finanziamento, fatto salvo vedere poi
le solite passerelle politiche che ringraziano,
apprezzano lo sforzo, promettono il massimo
interesse e attenzione, ma fanno “spallucce” quando
si giunge a chiedere una copertura finanziaria
minima per lo svolgimento delle operazioni, e potrei
raccontare decine di episodi al riguardo, preferendo
finanziare la sagra della patata silana, piuttosto che
della sardella di una qualsiasi località, più o meno
turistica, con cifre che sono tre o quattro volte
esponenziali rispetto a quanto servirebbe per una
prima campagna di ricerca archeologia subacquea.
Indubbiamente la sagra della situazione è più
spendibile, più facilmente comprensibile e di impatto
visivo, ma nessuno si chiede quanto può essere il
turismo culturale e subacqueo?
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E questo aspetto turistico richiede sempre nuove
prospettive di offerta che esulano dalla classica tana
della cernia piuttosto che del cavalluccio marino, ma
che sono intimamente legate all’aspetto della ricerca
e che può offrire una scelta variegata di offerta
come già accade in altre regioni d’Italia.
107
POSTFAZIONE
A cura dell' Avv. Pietro PITARI
Presidente del Rotary Club
CROPANI RITA LEVI MONTALCINI
108
L'uomo, il mare e la sua storia.
Nel leggere il saggio di LARATTA, sembra di
viaggiare a bordo di una barca che naviga, non solo
per i lidi del Golfo di Squillace, ma anche e
sopratutto tra il presente ed il passato
E' un'esigenza irrinunciabile quella di conoscere la
risposta all'antico ed irrisolto tema del "chi siamo "
che non può prescindere dall'essenziale
interrogativo del "da dove veniamo".
Solo avendo contezza della nostra storia, avremo
un'idea dell'uomo e delle sue risorse.
E' un'idea spesso e troppo impunemente
abbandonata.
La storia, però, lì, testarda come i fatti.
E' lì, nascosta e quasi avvolta da morbido velluto
azzurro, come il volto di una donna dal quale si
scorgono solamente gli occhi in tutto il loro
splendore; ci interrogano e ci sollecitano alla
110
scoperta, lasciandoci intendere che la gioia per "il
nuovo antico" sarà infinita.
Mai avaro e mai monotono sarà il cammino nel
passato.
Non c'è possibilità di fare a meno di spingerti alla
scoperta e Laratta, con le sue notizie colme di
competenza e curate dall'esperienze, riesce a
condurci nei fondali, per indicarci il velo da scoprire.
Scoprire con dolcezza e col rispetto che si deve alle
delicate pagine che, una ad una, si sfogliano e si
rivelano.
Laicamente, sarà necessario prendere atto di quello
che il mare ha conservato con cura senza sciuparlo
e senza dimenticare che, quello è il nostro "essere
stato", il nostro IO che è trascorso e che non può
essere ignorato, se vogliamo trovare la strada per
sapere dove andare.
Il saggio di Laratta è anche la prova che, il litorale
del Golfo di Squillace è uno scrigno che straborda di
111
gioielli che meriterebbero maggiore attenzione da
parte di tutti.
Maggiore attenzione dovrebbero prestare i cittadini
che dovrebbero imparare a conoscerli e difenderli
per ritrovare l'orgoglio della nostra terra che fu la
culla della cultura e la patria dell'Italica gente. Basti
pensare a Pitagora e agli Italici che erano gli uomini
liberi che abitavano la nostra terra.
Più attenzione e più sensibilità dovrebbe prestare la
politica che, troppo spesso e troppo
superficialmente, relega questa terra al rango che
non gli spetta.
Quanti e quali splendidi tesori rimangono nascosti
per evitare di doverli portare alla luce, magari
solamente per non dover dedicare un apposito
capitolo di bilancio.
E allora, è necessario che la risposta arrivi da
ognuno di noi, da tutti, per trovare un'idea e magari
uno strumento per sopperire alla colpevole inerzia
112
che maliziosamente auspica immobilismo e
perniciosa apatia.
In tale situazione un ruolo devono trovarlo le
associazioni e, il Rotary International con i suoi
Clubs, con l'aiuto della Rotary Fondation, deve
esaltare il suo scopo primario che è il servizio.
Al fianco delle Istituzioni, ma anche insieme e tra la
gente per stimolare, informare, denunciare e, io
ritengo, dare prova che si può fare e si deve fare.
Si può fare della nostra storia e delle testimonianze
che l'attestano, una locomotiva che aiuti il nostro
territorio a smuoversi dallo stagno e mostrarsi al
mondo in tutto il suo splendore.
Dobbiamo essere da esempio per evitare che, quello
che è possibile realizzare non rimanga una
montagna da spostare.
Il cittadino non deve sentirsi solo, ma deve sentire
la vicinanza dello Stato e, accanto ad esso, il Rotary
Intenational e la Rotary Fondation che lottano
113
contro il pernicioso clima soporifero che invita e
incita al servizio dando prova esso stesso che, la
cultura va difesa e divulgata, ma prima ancora deve
essere scoperta e amata.
Basta davvero un piccolo contributo minimo di
ognuno di noi, per consentire che, scoperte e
traguardi come quelli raggiunti dai tanti Laratta che,
con amore e dedizione per il loro lavoro, diventino
cellule importanti per la rinascita della nostra terra
che, deve riscoprire l'orgoglio e la fierezza della
propria storia e della propria identità.
In questa direzione si attiva il nostro Rotary Club
Cropani Rita Levi Montalcini, con il supporto della
Rotay Fondation, si propone di accendere al
massimo splendore i riflettori sul nostro territorio
che è pieno di testimonianze, di storia e tradizione.
Basta farle emergere dai fondali o scavarle tra le
rocce per riappropriarci delle origini che sono un
tutt'uno col nostro presente.
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Riferimenti bibliografici
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
-QUOTIDIANI: GAZZETTA DEL SUD,
IL DOMANI,
IL QUOTIDIANO
http:/GOOGLE ESRTH
AISA – LARATTA, COPANELLO DI STALETTI’,IL PORTO DEL VIVARIUM DI CASSIODORO, IMMERSIONI 2011 – 2012, ED. SALTERNUM, SALERNO 2013
AISA – LARATTA, POSTER 8TH SIMPOSIO DI ARCHEOLOGIA SUBACQUEA PROCIDA, 2014, IN CORSO DI PUBBLICAZIONE.
BELTRAME – MEDAGLIA, IL RELITTO DI CAPO BIANCO (ISOLA DI CAPO RIZZUTO, CROTONE), UN CASO DI TRASPORTO TRANSMARINO DI MARMO FRA 700 E 800.ED. DAIDALOS, VITERBO, 2009
FLACCADORI, CALABRIA TARDO ANTICA, STORIA DELLA CALABRIA,ED. GANGEMI, ROMA, 1994
LARATTA, RELAZIONI DI RICOGNIZIONE, SOPRINTENDENZA BB.AA. DELLA CALABRIA.
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