L'identità in facciata

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L'IDENTITÀ IN FACCIATA Investigazione sull'identità del luogo tra narrazione e facciate mediatiche. Relatrice: Elisa Bertolotti Correlatrice: Maresa Bertolo POLITECNICO DI MILANO Scuola del Design C. d. L. M. Design della Comunicazione Anno Accademico 2013/2014 Michele Crivellaro

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L'IDENTITÀIN FACCIATA

Investigazione sull'identità del luogotra narrazione e facciate mediatiche.

Relatrice: Elisa BertolottiCorrelatrice: Maresa Bertolo

POLITECNICO DI MILANOScuola del Design

C. d. L. M. Design della ComunicazioneAnno Accademico 2013/2014

Michele Crivellaro

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Ai luoghi che amo,che ho amatoe che amerò.

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RINGRAZIAMENTI

Il ringraziamento più grande è alla mia famiglia. Mia mamma, che ha letto tutto e si è sopportata discussioni a proposito di ogni singolo problema che è emerso in questi mesi. Mio papà, che non ha mai smesso di sostenere che ce la potevo fare attraverso sms da training motivazionale. Mio fratello, che riesce a smantellare e risolvere ogni dub-bio esistenziale, comportamentale e professionale in una mezz'ora di dialogo.

Grazie alla mia relatrice, Maresa Bertolo e la mia corre-latrice, Elisa Bertolotti, per essere riuscite a mettermi davanti a una serie di difficoltà che mi hanno spinto a cambiare in meglio. Danke schön a tutte le persone di Brennerei ed in particolare ad Andrea Kuhfuß e Anne Ha-vliza, per il loro supporto nella fase embrionale di questa tesi. Grazie ad Alessandra, per quei dialoghi su quello che siamo e quello che vorremmo essere. Grazie ad Ela per i pomeriggi a studiare insieme, i piatti di pasta ai pistacchi e le infinite conversazioni in skype. Grazie a Stefano per sopportarmi e supportarmi, anche quando sono solo io la causa dei miei problemi. Grazie a Elisa per il supporto, ma soprattutto per avermi detto "quelle cose che non devono essere dette", che mi hanno fatto dare una mossa. Grazie a Federica, per esserci stata. Grazie a mia nonna Maria, per avermi chiesto, ogni volta che la vedevo, "ma allora ti laurei?" mettendomi addosso l'ansia da prestazione. Gra-zie a mia nonna Mariuccia, che mi ha lasciato usare, con stoica sopportazione, il salone (anche quando lasciavo in giro tutto il materiale).

Un grazie particolare a Onlyglass, Coltivando, Bovisa In-Canta e Biblioteca di Dergano-Bovisa, per l'aiuto e l'entu-siasmo mostrato nei confronti di un progetto su cui, ogni tanto, ho avuto dei dubbi.

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INDICE FIGURE 9ABSTRACT 23

1 ◆ ELEMENTI TEORICI 27 Introduzione 29 1.1 Città e identità 33 1.1.1 Un sistema complesso 37 1.1.2 Identità della città 41 1.1.3 Città e globalizzazione 59 1.2 Narrazione e Identità 63 1.2.1 Narrazione 65 1.2.2 Identità e narrazione 79 1.3 Partecipazione 93 1.3.1 Network Society 95 1.3.2 Design e partecipazione 102 1.3.3 Contenuto generato dagli utenti 109 1.4 Facciate mediatiche 117 1.4.1 Cosa sono 119 1.4.2 Medium e contenuto 134 1.4.3 Facciate mediatiche e città 142

INDICE

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2 ◆ ORIGINI 153 2.1 BRENNEREI next generation lab 157 2.2 URBANSCREEN 159 2.3 ONLYGLASS 160 2.3.1 Social Façade 162

3 ◆ ID:BVS 169 3.0 Concept 171 3.1 Dove 175 3.1.1 Inquadramento 177 3.1.2 Analisi 193 3.1.3 Bisogni 198 3.2 Come 207 3.2.1 Obiettivi 209 3.2.2 Installazione 213 3.2.3 Funzionamento 222 3.3 Chi 227 3.3.1 Contenuti diretti 229 3.3.2 Contenuti ibridi 234 3.3.3 Contenuti intermediati 241 3.3.4 Target 254

CONCLUSIONI 257

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APPENDICI 259 A.1 Casi Studio 261 A.1.1 Blinkenlights 263 A.1.2 Cantforget.it(aly) 267 A.1.3 CASZuidas 271 A.1.4 City Bug Report 275 A.1.5 Egoscopio 279 A.1.6 FedTV 283 A.1.7 Gates of light 287 A.1.8 Glimpses of the USA 291 A.1.9 Imo 295 A.1.10 555 Kubik 299 A.1.11 Life in a day 303 A.1.12 Light in the street 307 A.1.13 Nosy 311 A.1.14 People’s Portrait Project 315 A.1.15 Re-member 317 A.1.16 Re-site Project 319 A.1.17 SMSlingshot 321 A.1.18 Things change 323 A.2 Bibliografia 333 A.3 Sitografia 343

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1 ◆ ELEMENTI TEORICI1.1.1 Processo di adattamento negli elemen-

ti che formano un sistema complesso (Michele Crivellaro, 2014)

1.1.2 Coordinate dell’oscillazione tra poli positivi e negativi nello sviluppo della città (Michele Crivellaro, 2014)

1.1.3 Le Città Invisibili: Fedora (Colleen Cor-radi Brannigan, 2003)

1.1.4 Parti costitutive del senso del luogo (Michele Crivellaro, 2014)

1.1.5 Cause e conseguenze del senso della comunità (Michele Crivellaro, 2014)

1.1.6 Cause e conseguenze dell'attaccamen-to al luogo (Michele Crivellaro, 2014)

1.1.7 Firenze (Anonimo, Data incerta)1.1.8 Venezia (Anonimo, Data incerta)1.1.9 Rapporto tra memorie sociali e perso-

nali, ethos del luogo e luogo fisico (Mi-chele Crivellaro, 2014)

1.1.10 Roma (Anonimo, Data incerta)1.1.11 Duomo di Milano, 1386/1892, Milano, Ita-

lia (Stefano Costanzo, 2012)1.1.12 Giò Ponti, Grattacielo Pirelli, 1956/90, Mi-

lano, Italia (Luciano Morpurgo, 2008)1.1.13 Marco Mignani, Pubblicità per Amaro

Ramazzotti (Marco Mignani, 1987)

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1.1.14 Installazione “Neoreal Canon” presso la Triennale di Milano (giovanni_nova-ra, 2010)

1.1.15 Pont des Arts a Parigi (Benh LIEU SONG, 2010)

1.1.16 Scontri nelle Banlieue parigine nel 2005 (Pascal Le Segretain/Getty Ima-ges, 2005)

1.1.17 Pascall+Watson architects, Aeroporto Internazionale di Trivandrum, India (Gerald Pereira, 2013)

1.1.18 Angiolo Mazzoni, Gruppo Montuari Vitellozzi, Stazione di Roma Termini (Stri-pedCat, 2010)

1.2.1 Molteplici definizioni di narrazione (Michele Crivellaro, 2014)

1.2.2 Elementi costitutivi della storia (Mi-chele Crivellaro, 2014)

1.2.3 Hellboy (Mike Mignola, 1993)1.2.4 Maus (Art Spiegelman, 1986 - 1991)1.2.5 Sturmtruppen (Bonvi, 1968 - 1995)1.2.6 Relazioni tra le varie tipologie di mon-

di narrativi (Michele Crivellaro, 2014)1.2.7 Downton Abbey (Julian Fellowes, 2010 -

in corso)1.2.8 Firefly (Joss Whedon, 2002 - 2003)1.2.9 Camera Café (Bruno Solo - Yvan Le Bol-

loc’h - Alain Kappauf, 2001) 1.2.10 Caratteristiche dei mondi narrativi

(Michele Crivellaro, 2014)1.2.11 Narrazione vista come un processo co-

struttivista (Michele Crivellaro, 2014)1.2.12 Poster per The strange case of Dr. Jekyll and

Mr Hyde di Robert Louis Stevenson (Sco-

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nosciuto, 1886)1.2.13 Illustrazione per Mary Poppins di P. L.

Travers (Mary Shepard, 1934)1.2.14 Illustrazione per Oliver Twist di Charles

Dickens (J. Mahoney, 1875)1.2.15 Valzer con Bashir (Ari Folman, 2008)1.2.16 Persepolis (Marjane Satrapi, 2007)1.2.17 Rapporto tra realtà, percezione, narra-

zione e memoria (Michele Crivellaro, 2014)

1.2.18 Informazione di ritorno in Learning in and about complex systems, John Sterman, «System Dynamics Review» X/2-3 (1994) pp. 291 - 330: 296

1.2.19 Apparati Effimeri, La grande Illusione, 2013 Soncino, Cremona, Italia (Appa-rati Effimeri, 2013)

1.2.20 URBANSCREEN, Rice University Centen-nial, 2012 Huston, Texas, USA (URBAN-SCREEN, 2012)

1.2.21 La Sortie de l’usine Lumière à Lyon (Auguste e Louis Lumière, 1895)

1.2.22 Goodbye Lenin! (Wolfgang Becker, 2003)1.2.23 Der Himmel uber Berlin (Il cielo sopra Berlino,

Wim Wenders, 1987)1.2.24 Lola Rennt (Lola Corre, Tom Tykwer, 1998)1.3.1 Differenza tra la struttura del modello

rizomatico e quello gerarchico (Miche-le Crivellaro, 2014)

1.3.2 Differenza tra il modello comunicativo della televisione, quello della video-conferenza e quello di Internet (Miche-le Crivellaro, 2014)

1.3.3 Origini e finalità dell’innovazione so-

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ciale (Michele Crivellaro, 2014)1.3.4 Schema circolare di Maffei e Fuller

(Michele Crivellaro, 2014)1.3.5 Design community (Michele Crivella-

ro, 2014)1.3.6 Screenshot del videoclip Starships di Ni-

cky Minaj su YouTube (2014)1.3.7 Screenshot del video Causalità di Paul

Watzlawick su YouTube (2014)1.3.8 Screenshot del video The World’s Most

Funny Cats Videos 2013 di papiaanifails su YouTube (2014)

1.3.9 Screenshot del blog when-you-really-live-in-bremen.tumblr.com (2014)

1.3.10 Screenshot del blog iambremen.wordpress.com (2014)

1.4.1 Definizione delle facciate mediatiche come unione di cose e segni secondo Nake (BRENNEREI Next generation lab, 2013)

1.4.2 Cathédrale Notre-Dame de Chartres, Fran-cia, 1193/1220 (Mossot, 2010)

1.4.3 Jan Buijs, De Volharding Building, L’Aia, Paesi Bassi, 1927/28 (Anonimo, 1928)

1.4.4 New York City at Night (Anonimo, 1935)1.4.5 PTW Architects, Beijing National Acqua-

tics Center, Beijing, Cina, 2008 (Anoni-mo, 2010)

1.4.6 Boogertman Urban Edge + Partners & Populous, Soccer City Stadium, Johanne-sburg, South Africa, 2010 (Dheerja, 2010)

1.4.7 Atelier Brückner, State Grid Pavilion, Expo 2010, Shanghai, China (Roland

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Halbe - Martin Retschitzegger, 2010)1.4.8 Media Façade Timeline (Michele Cri-

vellaro, Brennerei Next Generation lab, 2013)

1.4.9 Asymptote Architecture, Yas Viceroy Abu Dhabi Hotel, Abu Dhabi, United Arab Emirates, 2009 (Anonimo, 2009)

1.4.10 Jean Nouvel - Architecture Studio, Insti-tut du monde arabe, Parigi, Francia, 1980 (Anonimo, Data incerta)

1.4.11 Kohn Pedersen Fox Associates, Lehman Brothers Building, New York City, New York, USA, 1999 (Gus Kubiak, 2013)

1.4.12 URBANSCREEN, Lighting the sails, 2012, Sydney Opera House, Sydney, Austra-lia (URBANSCREEN, 2012)

1.4.13 Modalità contenutistiche delle fac-ciate mediatiche (Michele Crivellaro, 2014)

1.4.14 ONLYGLASS, esterno ravvicinato (BRENNEREI Next Generation lab, 2013)

1.4.15 ONLYGLASS, esterno (BRENNEREI Next Generation lab, 2013)

1.4.16 ONLYGLASS, interno (BRENNEREI Next Generation lab, 2013)

1.4.17 Stratificazione della realtà (Michele Crivellaro, 2014)

1.4.18 BBC Big Screens, Leeds, UK (BBC, Data incerta)

2 ◆ ORIGINI2.3.1 Michele Crivellaro, Social Façade (BREN-

NEREI Next Generation lab, 2013)

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3 ◆ ID:BVS3.1.1 Mappa di Milano con evidenziate linee

metropolitane, linee ferroviarie e il quartiere di Bovisa (Michele Crivella-ro, 2014)

3.1.2 Mappa del quartiere di Bovisa con mez-zi pubblici e Piazza Schiavone in evi-denza (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.3 Vista aerea del quartiere di Bovisa (Anonimo, ca 1960)

3.1.4 Vista aerea del quartiere di Bovisa (Go-ogle Maps, 2014)

3.1.5 Vista aerea di Piazza Schiavone (Google Maps, 2014)

3.1.6 Mappa di Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.7 Muro in Piazza Schiavone subito dopo la tua ristrutturazione (Silvestri Archi-tettura, 2001)

3.1.8 Passaggio tra le due parti di Piazza Schiavone subito dopo la tua ristruttu-razione (Silvestri Architettura, 2001)

3.1.9 Abbattimento del muro in Piazza Schiavone (Comune di Milano, 2006)

3.1.10 Situazione attuale dove c’era il muro (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.11 Mappa degli scatti fotografici in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.12 Serie di scatti fotografici in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.13 Mappa con le direttrici di interesse in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

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3.1.14 Flussi di persone in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.15 Densità dell'uso di Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.16 Anziani in via Massara de’ Capitani (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.17 Extracomunitari in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.18 Studenti alla stazione di Milano Bovisa – Politecnico (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.19 Area abbandonata a fianco della sta-zione di Milano Bovisa – Politecnico (Michele Crivellaro, 2014)

3.1.20 Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

3.2.1 Obiettivi di ID:BVS (Michele Crivellaro, 2014)

3.2.2 Posizionamento del muro divisorio in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

3.2.3 Posizionamento di ID:BVS in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

3.2.4 Luogo di installazione di ID:BVS e mo-dalità di definzione delle sue dimen-sioni (Michele Crivellaro, 2014)

3.2.5 Ingombro di ID:BVS (Michele Crivella-ro, 2014)

3.2.6 Simulazione frontale di ID:BVS (Miche-le Crivellaro, 2014)

3.2.7 Simulazioni di ID:BVS da vari punti di vista, affiancate alle situazioni attuali (Michele Crivellaro, 2014)

3.2.8 Modalità contenutistiche di ID:BVS a confronto con le facciate mediatiche

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dei casi studio (Michele Crivellaro, 2014)

3.2.9 Relazioni tra le varie realtà coinvolte in ID:BVS (Michele Crivellaro, 2014)

3.2.10 Linea temporale sull'introduzione dei contenuti in ID:BVS (Michele Crivella-ro, 2014)

3.3.1 Divisione delle realtà coinvolte in ID:B-VS secondo la tipologia di contenuti da loro creati: diretti e/o intermediati (Michele Crivellaro, 2014)

3.3.2 Logo del Politecnico di Milano3.3.3 Selezione di fotogrammi del video Pe-

riferie (Mahsa Alimohammadi - Diego Barbolini - Stefano Galimberti - Mauro Maggioni - Gabriele Mellera, 2012)

3.3.4 Logo La Scighera3.3.5 Selezione di fotogrammi del video So-

stieni la Scighera (La Scighera, 2014)3.3.6 Logo Coltivando3.3.7 Logo Bovisa InCanta3.3.8 Biblioteca di Dergano-Bovisa (Michele Cri-

vellaro 2014)3.3.9 Screenshot delle foto con #Bovisa su

Statigram, sito di esplorazione dei con-tenuti Instagram (Statigram, 2014)

3.3.10 Visualizzazione dell’uso di Twitter nell’area metropolitana di Milano (Eric Fischer, 2010)

3.3.11 Screenshot dei tweet con l'hashtag #Bovisa su Twitter (Twitter, 2014)

3.3.12 Logo Comune di Milano 3.3.13 Screenshot dell'area delle notizie

all'interno del sito del Comune di Mi-

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lano (Comune di Milano, 2014)3.3.14 Screenshot pagina Facebook del Comu-

ne di Milano (Facebook, 2014)3.3.15 Logo Consiglio di Zona 93.3.16 Screenshot dell’area delle notizie

all'interno del sito del Consiglio di Zona 9 (Comune di Milano, 2014)

3.3.17 Simulazione di ID:BVS: uso di immagi-ni storiche di Bovisa (Michele Crivella-ro, 2014)

3.3.18 Simulazione di ID:BVS: evento, Coltivan-do (Michele Crivellaro, 2014)

3.3.19 Simulazione di ID:BVS: contenuti reali-tivi alla quotidianità (Michele Crivella-ro, 2014)

3.3.20 Simulazione di ID:BVS: uso di testi nar-rativi o saggistici (Michele Crivellaro, 2014)

3.3.21 Simulazione di ID:BVS: testi dei can-ti di Bovisa InCanta (Michele Crivellaro, 2014)

3.3.22 Simulazione di ID:BVS: contenuti di In-stagram 1 (Michele Crivellaro, 2014)

3.3.23 Simulazione di ID:BVS: contenuti di In-stagram 2 (Michele Crivellaro, 2014)

3.3.24 Simulazione di ID:BVS: contenuti pro-venienti da Twitter (Michele Crivellaro, 2014)

3.3.25 Simulazione di ID:BVS: contenuti te-stuali provenienti dal Comune di Mila-no (Michele Crivellaro, 2014)

3.3.26 Simulazione di ID:BVS: contenuti te-stuali provenienti dal Consiglio di Zona 9 (Michele Crivellaro, 2014)

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3.3.27 Target di ID:BVS (Michele Crivellaro, 2014)

APPENDICIA.1 Hermann Henselmann, Haus des Lehrers,

1962-64 (Philipp Eder, data incerta)A.2 Chaos Computer Club, Blinkenlights,

2001-02, Berlno, Germania (Chaos Computer Club, 2001)

A.3 Chaos Computer Club, Blinkenlights, 2001-02, Berlno, Germania (Chaos Computer Club, 2001)

A.4 Chaos Computer Club, Blinkenlights, 2001-02, Berlno, Germania (Chaos Computer Club, 2001)

A.5 Screenshot della homepage del sito Cantforget.it (Cantforget.it(aly), 2014)

A.6 Screenshot della pagina del video Ligu-ria in a lapse di Cantforget.it(aly) (Angelo Chiacchio, 2014)

A.7 Screenshot di Mini Matera di Cantforget.it(aly) (Timmy Henny, 2014)

A.8 CASZuidas (Xelorolex, 2007)A.9 CASZuidas (Sabine Mooibroek, 2008)A.10 Livinus & Jeep van de Bundt, Moiré,

1975 (CASZuidas, data incerta)A.11 City Bug Report (VisitAarhus, 2013)A.12 Aarhus, Danimarca (Trisha Gee, 2013)A.13 Aarhus University & Media Architectu-

re Institute, City Bug Report (Aarhus Uni-versity, 2013)

A.14 Giselle Beiguelman, Egóscopio, 2002, San Paolo, Brasile (DesVirtual, 2002)

A.15 Screenshot della homepage di Egóscopio (DesVirtual, 2014)

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A.16 Giselle Beiguelman, Egóscopio, 2002, San Paolo, Brasile (DesVirtual, 2002)

A.17 Giselle Beiguelman, Egóscopio, 2002, San Paolo, Brasile (DesVirtual, 2002)

A.18 FedTV (FedSquare, data incerta)A.19 Partita di calcio su FedTV (FedSquare,

data incerta)A.20 FedTV (FedSquare, data incerta)A.21 Il discorso di Paul Rudd sulla stolen gene-

ration viene mandato in onda su FedTV (virginiam, 2007)

A.22 Peter & Francis William Herter, Eldrid-ge Street Synagogue, 1887, New York City, NY, USA (Amanda Lederman, Deborah Watman, Marilyn Moy, Mimi Nissan, 2013)

A.23 Rose Bond, Gates of Light, 2004, Eldridge Street Synagogue, New York City, NY, USA (Rose Bond, 2004)

A.24 Rose Bond, Gates of Light, 2004, Eldridge Street Synagogue, New York City, NY, USA (Rose Bond, 2004)

A.25 Rose Bond, Gates of Light, 2004, Eldridge Street Synagogue, New York City, NY, USA (Rose Bond, 2004)

A.26 Charles & Ray Eames, Glimpses of the USA, 1959, Mosca, URSS (Anonimo, 1959)

A.27 Charles & Ray Eames, Glimpses of the USA, 1959, Mosca, URSS (Charles & Ray Eames, 1959)

A.28 Charles & Ray Eames, Glimpses of the USA, 1959, Mosca, URSS (Charles & Ray Eames, 1959)

A.29 Charles & Ray Eames, Glimpses of the USA, 1959, Mosca, URSS (Charles & Ray

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Eames, 1959)A.30 Charles & Ray Eames, Glimpses of the

USA, 1959, Mosca, URSS (Charles & Ray Eames, 1959)

A.31 Mariantonios, Imo, 2011, San Paolo, Brasile (Mariantonios, 2014)

A.32 Mariantonios, Imo, 2011, San Paolo, Brasile (Mariantonios, 2014)

A.33 Mariantonios, Imo, 2011, San Paolo, Brasile (Mariantonios, 2014)

A.34 Mariantonios, Imo, 2011, San Paolo, Brasile (Mariantonios, 2014)

A.35 URBANSCREEN, 555 Kubik, 2009, Am-burgo, Germania (URBANSCREEN, 2009)

A.36 URBANSCREEN, 555 Kubik, 2009, Am-burgo, Germania (URBANSCREEN, 2009)

A.37 URBANSCREEN, 555 Kubik, 2009, Am-burgo, Germania (URBANSCREEN, 2009)

A.38 URBANSCREEN, 555 Kubik, 2009, Am-burgo, Germania (URBANSCREEN, 2009)

A.39 Poster del film Life in a day (Ridley Scott, 2010)

A.40 Life in a day (Ridley Scott, 2010)A.41 Life in a day (Ridley Scott, 2010)A.42 Cecilia Westerberg, Light in the street,

2011, Copenhagen, Danimarca (Cecilia Westerberg, 2011)

A.43 Cecilia Westerberg, Light in the street, 2011, Copenhagen, Danimarca (Cecilia Westerberg, 2011)

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A.44 Cecilia Westerberg, Light in the street, 2011, Copenhagen, Danimarca (Cecilia Westerberg, 2011)

A.45 Christian Möller, Nosy, 2006, Tokio, Giappone (Christian Möller, 2006)

A.46 Christian Möller, Nosy, 2006, Tokio, Giappone (Christian Möller, 2006)

A.47 Christian Möller, Nosy, 2006, Tokio, Giappone (Christian Möller, 2006)

A.48 Christian Möller, Nosy, 2006, Tokio, Giappone (Christian Möller, 2006)

A.49 Zhang Ga, People’s Portrait Project, 2004, New York City, NY, USA (Zhang Ga, 2004)

A.50 Zhang Ga, People’s Portrait Project, 2004, New York City, NY, USA (Zhang Ga, 2004)

A.51 Francesco Fassone & Officina dello spettacolo, Re-member, 2011, Bardineto, Savona, Italia (Adrea Pesce, 2011)

A.52 Francesco Fassone & Officina dello spettacolo, Re-member, 2011, Bardineto, Savona, Italia (Luca Hacky, 2011)

A.53 Felix S. Huber & Florian Wüst, Re-site project, 2002/03, Monaco di Baviera, Germania (Re-site project, 2002)

A.54 Felix S. Huber & Florian Wüst, Re-site project, 2002/03, Monaco di Baviera, Germania (Re-site project, 2002)

A.55 Felix S. Huber & Florian Wüst, Re-site project, 2002/03, Monaco di Baviera, Germania (Re-site project, 2002)

A.56 Felix S. Huber & Florian Wüst, Re-site project, 2002/03, Monaco di Baviera, Germania (Re-site project, 2002)

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A.57 Screenshot del sito originale di Re-site project (Re-site project, 2002)

A.58 VR/Urban, SMSlingshot, 2012, Torino, Italia (Anonimo, 2012)

A.59 VR/Urban, SMSlingshot, 2011, L'Aia, Pa-esi Bassi (Haags Uitburo, 2011)

A.60 VR/Urban, SMSlingshot, 2013, Il Cairo, Egitto (Mostafa Abdel Aty, 2013)

A.61 VR/Urban, Fionda per SMSlingshot (VR/Urban, 2009)

A.62 Jo Peel, Things Change, 2012, Londra, Re-gno Unito (Jo Peel, 2012)

A.63 Jo Peel, Things Change, 2012, Londra, Re-gno Unito (Jo Peel, 2012)

A.64 Jo Peel, Things Change, 2012, Londra, Re-gno Unito (Jo Peel, 2012)

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ABSTRACTL'identità in facciata si pone come obiettivo quello di inve-stigare sulla possibile costruzione dell'identità del luogo usando come medium le facciate mediatiche e come mez-zi la narrazione e la partecipazione.Si è deciso di cominciare con la definizione di città secondo un approccio umanista e sistemico, che possa evidenzia-re nuove problematiche e potenzialità, quali la globaliz-zazione e il decentramento urbanistico. Questi fenomeni hanno infatti portato a un'attenzione sempre maggiore sul senso del luogo, inteso come tutte quelle tematiche che hanno a che fare lo spazio e l'essere umano che lo usa e ci abita. Partendo dalla stretta relazione presente tra ethos del luogo e memorie sociali e personali, si è proce-duto all'investigazione del tema della narrazione, intesa non solo come tecnica atta alla creazione di storie ma an-che come processo cognitivo che influenza la percezione del mondo che circonda la persona che lo compie e incide sull'immagine che questa ha di sé. Per compiere un per-corso comunicativo di memorie e narrazioni sul luogo, si è ritenuto opportuno lavorare sulla partecipazione, in modo tale che il risultato possa essere ritenuto il più inclusivo possibile. La partecipazione non è vista qui solo come la possibilità di permettere agli utenti di un mezzo di creare il proprio contenuto, ma permea l'idea progettuale stessa, al fine di coinvolgere più entità possibili nell'organizza-zione e nella definizione di contenuti. Si è scelto di lavora-re sulle facciate mediatiche perché le si ritiene un mezzo per sua natura pubblico e progettato per essere installato in un luogo urbano. Questa scelta, dettata anche dall'e-sperienza da me fatta presso BRENNEREI, ha determinato una riflessione ulteriore su quale potrebbe essere il ruolo di uno schermo in un luogo pubblico e urbano.

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Il progetto che si ipotizza in questa tesi, ID:BVS, si pone come percorso flessibile, partecipato e pubblico che pos-sa portare gli utenti del luogo a riflettere su cos'è il luogo in cui sono. La modifica della percezione di un elemento esterno potrebbe portare le persone a cambiare anche il modo in cui agiscono nel mondo reale, dando forma così a ciò che siamo abituati ad avvertire con i sensi. Il sorpren-dente interesse mostrato dalle realtà educative e associa-tive presenti nel quartiere scelto ha, da una parte, con-fermato l'esigenza di un lavoro sull'identità del luogo che vada al di là del branding e dell'urbanistica, mostrando dall'altra parte uno spontaneo sospetto sul ruolo commer-ciale che uno schermo del genere potrebe avere.

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1

CITTÀ E IDENTITÀ

1.1

NARRAZIONE E IDENTITÀ

1.2

PARTECIPAZIONE

1.3

FACCIATE MEDIATICHE

1.4

ELEMENTITEORICI

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INTRODesign, parola inglese derivata dal francese dessin e a sua volta derivata dall’italiano disegno, prende il suo significato dall’accezione figurata di quest’ultimo termine, che ha a che fare con la determinazione di un proposito, di un’in-tenzione o di un piano d’azione che può essere più o meno definito. Così, se si parla di disegno di legge oppure di disegno divino, si parla esattamente della progettazione di una real-tà funzionale a un determinato scopo. L’evoluzione nell’u-so e nella definizione della parola design parte dal significa-to relativo all’oggetto industriale agni inizi del XIX secolo e arriva alla fusione più contemporanea con altre discipli-ne, quali l’organizzazione dei processi o l’interazione tra esseri umani e sistemi informatici. In mezzo a questi due estremi può collocarsi la definizione del ben più ampio e complesso progetto, che ha a che fare con la programma-zione delle azioni da compiere e con il ruolo delle persone coinvolte per raggiungere uno scopo. Il design visto come la somma di cultura e tecnica, come indicato da Bell (1973), tratta invece in particolare il rapporto tra strumenti usati per la realizzazione di un artefatto (la tecnica) e il pensiero consapevole sulle finalità di ciò che si sta facendo (la cul-tura).Maffei (2009) spiega come per lui l’atto di progettare per il mondo reale consti nel processo di progettazione nel quale si pone particolare attenzione alla funzionalità di ciò che si sta realizzando, obiettivo che quindi non deve essere fine a sé stesso o, peggio, alla soddisfazione del designer. Progettare per il mondo reale significa in primo luogo os-servare e analizzare i problemi del mondo e della società che ci circondano e successivamente cercare di risolverli, attraverso un approccio ecologico e razionale, guardando avanti, verso l’innovazione tecnologica e sociale (Maffei 2009). Qui emergono due nuovi concetti: da una parte, la

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tensione verso l’innovazione e la sostenibilità, dall’altra l’integrazione di molteplici portatori di interessi (o sta-keholder) nel processo. Riguardo al primo aspetto, Simon (1998) definisce il design come il processo attraverso cui noi escogitiamo percorsi d’azione finalizzati al cambia-mento di situazioni esistenti in situazioni a nostro giu-dizio migliori. Questa idea di cambiamento in meglio è ripresa da più teorici, tra cui Friedman:

Design involves creating something new or transforming a less desiderable situation to a preferred situation. To do this, designers must know how things work and why. Understanding how thin-gs work and why requires explanation, and it sometimes requires prediction. To explain and predict, we must construct and test the-ories. (Friedman 2002, p.1)

L’approccio di questa tesi è quindi orientato al cambia-mento: in un mondo in continua mutazione la trasforma-zione si presenta come la possibilità più sensata. Il design della comunicazione fa proprie le definizioni e gli approc-ci di cui sopra per costruire progetti e artefatti che ruoti-no intorno alla comunicazione. Questa merita alcune ri-flessioni sulla sua pervasività e sull’impatto che potrebbe avere sulle persone. Finnegan (2009) sostiene come possa essere definita comunicazione tutto ciò che una persona percepisce, perché in ultima analisi non si può non comu-nicare. Munari (1996) non si discosta molto da questo tipo di approccio, anche se in termini di comunicazione visiva.

Non solo le immagini che fanno parte normalmente delle arti visive sono comunicazione visiva, ma anche il comportamento di una persona, il suo modo di vestire, l’ordine o il disordine di un ambiente, il modo in cui una persona usa un certo strumento, un insieme di colori o di materie possono dare un senso di miseria o di ricchezza. Ovvero, tutto ciò che vediamo ci comunica qualcosa, in maniera più o meno volontaria e porta a nuova conoscenza. Co-noscere le immagini che ci circondano vuol dire anche allargare le possibilità di contatto con la realtà; vuol dire vedere di più e capire di più. (Munari 1996, p.75)

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La città non sfugge a questa logica: comunica a tutti colo-ro con cui entra in contatto, siano questi persone, gruppi sociali o entità astratte. Il ruolo del designer della comu-nicazione, in questo specifico contesto, può essere defini-to come quello di comprendere l’insieme multiforme che chiamiamo città e metterlo in condizione di comunicare e narrare a sé stesso, accompagnando la trasformazione che può derivarne.

La parte teorica di questa tesi è organizzata secondo la struttura prospettata da Maffei: la comprensione del mon-do e della società in cui viviamo è essenziale per progettare qualcosa che possa avere senso. Il mondo in cui questa tesi è ambientata è quello della città (cfr 1.1), che si è tentato di comprendere e spiegare in termini sistemici, sociali, iden-titari e narrativi. La città presenta infatti diverse proble-matiche: identificata l’identità del luogo come questione principale si è seguito un approccio inclusivo e razionale. La narrazione (cfr 1.2) è vista in questo contesto sia come uno strumento progettuale sia come un processo cogniti-vo strettamente legato alla persona, che può influenzare il rapporto tra questa e il luogo in cui vive. La partecipazio-ne (cfr 1.3) è vista in termini sia progettuali, attraverso il coinvolgimento di molteplici entità presenti nel luogo, sia di produzione di contenuto, attraverso la possibilità che gli utenti creino del contenuto. Le facciate mediatiche (cfr 1.4) rappresentano il mezzo sfruttato al fine progettuale, medium che usato nel modo giusto può offrire moltissime potenzialità di innovazione tecnologica e sociale.

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35Elementi Teorici / Città e Identità

1.1

CITTÀE IDENTITÀ

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37Elementi Teorici / Città e Identità

Città (ant. cittade) s. f. [lat. civitas -atis “condizione di cittadino” e “insieme di cittadini”] – Centro abitato di una certa estensione, con sviluppo edilizio organizzato, che, per le sue funzioni ammini-strative, economiche, sociali, culturali ecc., è il punto di riferimen-to del territorio circostante. (Vocabolario Treccani 2013)

Iberall e Soodak (1987) descrivono la nascita della struttura delle città in Europa usando la metafora dell’acqua che, da uno stato liquido, si cristallizza e forma blocchi di ghiac-cio. Così come l’acqua, per centinaia d’anni le popolazio-ni hanno acquisito uno stato mobile, irrisolto a livello spaziale. Successivamente, prima e durante il Medioevo, nacque una compagine composta da città e paesi che ri-mase stabile fino alla rivoluzione successiva che portò alla creazione delle metropoli industriali del XX secolo. Que-sto processo, sostengono i due, determinò il più grande cambiamento nella conformazione delle città della storia attraverso lo sviluppo delle periferie e la disgiunzione del centro della città, frizzante e perfetto, dalle aree suburba-ne, messe sotto un’inedita pressione sociale e urbanistica. Furono costruiti trasporti sempre più efficienti creando il fenomeno del pendolarismo, costituito da persone che “scappano” da quelle che McLuhan (1967) chiama periferie oscure, per lavorare in una realtà cui non appartengono e che difficilmente possono influenzare. Gospodini (2002) spiega che gli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso hanno visto un progressivo deterioramento dell’ambiente urbano e della vita nelle grandi città causato da conflitti sociali, perdita d’identità e di senso di comunità. Negli anni due-mila, una rinnovata attenzione alla vita urbana ha solle-vato nuovi interrogativi, approcci e soluzioni spesso legati alla necessità delle città di attrarre persone e capitali.Secondo le Nazioni Unite, nel 2007 più della metà della popolazione mondiale viveva in città: si prevede che nel 2050 la percentuale salirà al 70% (United Nations, 2007). Questi dati possono fornire una misura di quanto le città siano importanti per la vita di miliardi di persone. Augé (2006, p. 32) sostiene come sia necessario agire subito e ri-discutere la città adesso, perché «Essa è il luogo in cui si

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concentrano le paure ma anche le speranze delle prossime generazioni». In questo senso, Mumford definisce la città come il teatro e l’ente che lo costruisce, perché in grado nello stesso tempo di mettere in scena le proprie storie e creare le condizioni perché questo avvenga.

The city in its complete sense […] is a geographic plexus, an eco-nomic organization, an Institutional process, a theater of social action, and an aesthetic symbol of collective unity. The city fosters art and is art: the city creates the theater and is the theater. (Mu-mford 2011, p.93)

La visione multidisciplinare della città è presente fin dal-la sua nascita, riuscendo a catalizzare su di sé attenzione da parte di molteplici aree di studi. La città verrà dunque affrontata in questa sede attraverso due approcci opposti: come un sistema composto da varie entità e come un’en-tità unitaria. Il primo approccio, la città come sistema complesso, tende a riunire in sé le due maggiori caratteri-stiche di questa tipologia di sistemi: la non prevedibilità e l’adattabilità. Il secondo approccio, la città come entità, si intreccia con gli studi relativi al luogo, sistema che tende a costruire le sue regole, i suoi valori e le sue abitudini.

39Elementi Teorici / Città e Identità

1.1.1 ◆ UN SISTEMA COMPLESSO

Cities can be regarded as the quintessential example of complexi-ty. (Batty, Barros & Alves 2004:2)

Laddaga (2011) definisce un sistema, riguardo la città, come un insieme di elementi autonomi le cui relazioni sono regolate da leggi generali e che, grazie alla loro in-terconnessione, sono in grado di agire come un ente sin-golo. Secondo Batty, Barros & Alves (2004) l’insieme degli elementi costitutivi non è solo maggiore della somma dei singoli, ma è anche profondamente diverso da questa, perché capace di agire come un’entità unitaria. Sostengo-no che in un sistema complesso, le azioni degli elemen-ti da cui è composto tendono a essere di breve raggio e con proprietà emergenti, ovvero con caratteristiche che, agendo all’interno del sistema, danno origine a compor-tamenti più complessi. A livello sociale la città è compo-sta principalmente da relazioni non lineari che tendono a rendere il sistema più complesso: in matematica sono quelle in cui i due elementi non hanno una proporzionali-tà diretta, ma al variare del primo il secondo potrebbe mo-dificarsi, per esempio, di un decimo o del triplo. Psyllidis e Biloria sostengono inoltre che le città siano dei sistemi aperti, perché interagiscono con l’ambiente e gli elementi circostanti secondo le stesse regole usate dai loro elementi costitutivi (Psyllis & Biloria 2013). Queste caratteristiche fanno sì che le città possano essere considerate in conti-nua trasformazione attraverso l’azione di due forze: la pri-ma è la rapida urbanizzazione che tende ad aumentare la sua complessità attraverso il cambiamento di dimensione e densità del tessuto urbano e architettonico; la seconda è la crescente pervasività di tecnologie dell’informazione all’interno della città, elemento che tende a causare un aumento della stratificazione dei dati fisici e virtuali (cfr 1.4.3).Se il cambiamento può essere considerato un elemento chiave nel mondo che ci circonda, sembra esserlo ancora

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di più nelle città, dove si verifica su base giornaliera: il sistema in cui abbiamo vissuto ieri è difficile sia lo stes-so di oggi. Il mutamento sembra rappresentare parados-salmente l’unico elemento stabile della città e che la sua stessa identità si basa in parte sul mutamento: Sterman radicalizza questo ragionamento affermando che il cam-biamento è l’unica vera costante dei tempi moderni.

The greatest constant of modern times is change. Accelerating changes in technology, population, and economic activity are transforming our world, from the prosaic - the effect of informa-tion technology on the way we use the telephone - to the profound - the effect of greenhouse gases on the global climate. Some of the changes are desirable; others defile the planet, impoverish the hu-man spirit, and threaten our survival. All challenge traditional institutions, practices, and beliefs. Most important, most of the changes we now struggle to comprehend arise as consequences, intended and unintended, of humanity itself. (Sterman 1994, p. 291)

Seguendo questa visione, le città sono in continuo dive-nire, si feriscono e cercano di guarirsi da sole, risolvono i loro problemi e affrontano i cambiamenti che attraversa-no, siano questi di natura sociale, economica o architetto-

Impulso esterno

↑ FIGURA 1.1.1 ◆ Processo di adattamento degli elementi che formano un sistema complesso attraverso un processo di influenza reciproca a quantità e qualità variabile (Michele Crivellaro, 2014)

41Elementi Teorici / Città e Identità

grf 11.01

Deg

rado

Obs

oles

cenz

a

Fermento socialeSituazione urbana vibrante

Controllo organizzativoimposto dall’alto

Cres

cita

Mig

lior

amen

to

↑ FIGURA 1.1.2 ◆ Coordinate dell’oscillazione tra poli positivi e negativi nello sviluppo della città (Michele Crivellaro, 2014)

nica. In una situazione di crescita economica rapida, sot-tolineano Juvarra e Buchanan (2012) la struttura della città sembra diventare sempre meno chiara e più offuscata an-che grazie alla migrazione interna ed esterna che tende a portare cambiamenti sociali nelle abitudini e negli stili di vita. Il ruolo di una città intesa come entità, sottolineano i due, è anche quello di gestire queste trasformazioni, af-frontarle e trovare nuove soluzioni ai nuovi problemi che il XXI secolo pone.Come già detto, i sistemi complessi hanno due caratteri-stiche principali, essenziali per la comprensione del fun-zionamento di una città: l’adattabilità e la non prevedi-bilità.

L’adattabilità è la caratteristica che rende la città ciò che vie-ne chiamato da Simmie (2010) un sistema adattivo complesso. Questo sistema non ha confini netti tra sé e l’ambiente che lo circonda, ma al contrario il confine è in costante mutamento e spesso non è facile da identificare. Questi sistemi tendono a cambiamenti scalari, cioè a mutazioni in cui la modifica di un impulso esterno innesca un cam-biamento del comportamento degli elementi con cui è in

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diretto contatto, che a sua volta si propaga fino a coinvol-gere tutto il sistema o larga parte di esso (Simmie 2010), come illustrato nella figura 1.1.1. Il progetto City Bug Report (crf A.1.4) nasce come un’installazione pubblica che pos-sa essere una visualizzazione dei collegamenti tra governo e cittadini, provocando una riflessione sull’interconnes-sione tra tutti gli attori presenti. Laddaga (2011) sostiene che la reattività è la caratteristica che permette ai sistemi complessi di evolversi attraverso andamenti oscillatori tra quattro estremi, rappresentati in figura 1.1.2. Su un’as-se del grafico proposto vengono visualizzati il degrado e l’obsolescenza opposta alla crescita e al miglioramento; sull’altra il controllo organizzativo imposto dall’alto op-posto al fermento sociale e a una situazione urbana vi-brante. Simmie (2010) mette in relazione l’interconnes-sione e l’interdipendenza degli elementi con la capacità del sistema di adattarsi e modificare sé stesso. Sostiene che maggiore è la connessione tra gli elementi costitutivi, maggiore è il controllo organizzato, e quindi maggiore è la sua rigidità e minore è la sua adattabilità, elementi che possono portare presto al degrado e all’obsolescenza. L’i-deale quindi sarebbe avere una città organizzata, in grado di mettere le persone a loro agio e in uno stato di sicurezza pur lasciando loro la libertà di agire e modificare la strut-tura stessa del sistema.La non prevedibilità rende molto difficile immaginare come il sistema potrebbe comportarsi in futuro a causa delle re-lazioni non lineari tra gli elementi che lo compongono: come mostrato in figura 1.1.1, i vari corpi tendono a in-fluenzarsi a vicenda in maniera disordinata. Per quanto possa essere possibile immaginare lo stato futuro di un de-terminato elemento, potrebbe essere considerato impossi-bile prevedere i cambiamenti che ha sugli altri elementi e sul sistema in sé.

43Elementi Teorici / Città e Identità

1.1.2 ◆IDENTITÀ DELLA CITTÀ

Grazie alla complessità relazionale vista fino a questo punto, la città tende a essere percepita come una specie di essere vivente, con i propri valori, regole e spirito. Fin dall’antichità è stata il soggetto di trattati filosofici e nar-razioni; la letteratura per prima e poi l’arte figurativa, l’a-nimazione, il cinema e infine internet narrarono e conti-nuano a narrare le storie delle città, cercando di coglierne l’unicità e il nucleo in qualsiasi modo. Facendo questo, gli autori non solo hanno documentato delle città che ora non sono più, ma hanno fatto notare i loro problemi e la loro complessità: elementi che forse sono la loro parte più affascinante. Bell & de-Shalit (2011) trattano proprio del perché l’identità di una città sia così importante nell’era globale. I due sostengono che le città stimolano il pensie-ro: la loro densità concettuale e relazionale aiuta a gene-rare non solo nuove idee, ma anche percorsi concettuali in grado di provocare la nascita di altre intuizioni. Propongo-no quindi una visione della città molto emotiva e traina-ta dalla collettività, intesa come insieme di memorie che contribuiscono a definirne l’identità. Low (1996), con ap-proccio simile, propone una visione dell’idea di città e del modo di viverla che, partendo da un approccio antropolo-gico, sfocia in una categorizzazione simile a quella di Bell & de-Shalit. Esempi di questo possono essere: la città di-visa, la città tradizionale, la città sacra, la città fortezza, la città deindustrializzata, la città globale, e così via. Va notato qui che tutti questi studiosi non intendono questa categorizzazione come una di tipo tangibile o fisico, ma al contrario tengono in forte considerazione gli aspetti per-cettibili e percepibili del luogo. Non è un caso quindi che tutti questi studiosi con un approccio umanistico e qua-si poetico al tema, citino, in maniera più o meno esplici-ta, Le città invisibili di Italo Calvino (1972). Questo romanzo, ispirato da Il Milione di Marco Polo, narra di come l’impera-tore dei Tartari Kublai Khan chieda al viaggiatore venezia-no di illuminarlo in merito alla natura degli enti urbani e

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45Elementi Teorici / Città e Identità

paesaggistici che compongono il suo impero. Grazie alla struttura descrittiva del romanzo non cronologica, Cal-vino ha fornito, forse in maniera involontaria, un modo nuovo, poetico ma stranamente fedele, di categorizzare le città secondo il loro carattere distintivo. Numerosi artisti hanno preso ispirazione da questo testo per le loro opere, tra cui Colleen Corradi Brannigan, che ha fatto una serie di rappresentazioni di alcune città usando varie tecniche, tra le quali c'è Fedora, mostrata nella figura 1.1.3.Addentrarsi nell’analisi della città come entità legata alla memoria e all’emotività dei suoi abitanti richiede una precisazione: in qualunque modo si parli di città, sarà pos-sibile trovare almeno due realtà diverse, sovrapposte. Da una parte quella oggettiva, o per lo meno descrivibile con termini neutri, dall’altra il mondo soggettivo, ovvero la percezione più o meno individuale di una realtà tangibile.Sotto la denominazione senso del luogo, rientrano quindi tutte le discipline che trattano del rapporto tra l’uomo e il luogo cui è attaccato, fisicamente o emotivamente: le relazioni tra queste sono mostrate in figura 1.1.4. Questo termine definisce non solo la famiglia di percezioni e rea-zioni soggettive che si instaurano tra un determinato luo-go e una persona, ma anche alcuni elementi strutturali del luogo, come l’architettura o l’urbanistica. Nel primo caso, si parla di senso della comunità, cioè del senso di appar-

memoriadel luogo

immaginedel luogo

ethos del luogo

senso del luogo

sensodella comunità

attaccamentoal luogo

↑ FIGURA 1.1.4 ◆ Parti costitutive del senso del luogo (Michele Crivellaro, 2014)← FIGURA 1.1.3 ◆ Le Città Invisibili: Fedora (Colleen Corradi Brannigan, 2003)

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tenenza a uno specifico gruppo sociale radicato in uno specifico luogo, e di attaccamento al luogo, cioè del legame di carattere affettivo e sociale che esiste tra una determinata persona e un luogo. Il secondo caso è un misto di caratteri-stiche emotive, architettoniche e urbanistiche, memorie personali e collettive e definizioni sociali che compongono l’ethos del luogo. L’identità del luogo, grazie a questa cate-gorizzazione, ne risulta definita e scomposta nei suoi ele-menti costitutivi. Può essere quindi definita come ciò che questo insieme di elementi comunica al mondo.

SENSO DELLA COMUNITÀ

Il senso di comunità, come definito da McMillan & Chavis (1986), invece, è l’insieme delle relazioni che le persone coltivano all’interno di un determinato luogo e di una cer-ta comunità sociale.

A feeling that members have of belonging, a feeling that members matter to one another and to the group, and a shared faith that members’ needs will be met through their commitment to be to-gether. (McMillan & Chavis 1986, p.6)

Un forte senso di comunità sembra quindi essere impor-tante non solo per il benessere dell’insieme sociale ma

Sensodella comunità

Relazioniinterpersonali

Senso dibenessere

Senso disicurezza

Senso dipartecipazione

Senso diresponsabilità civica

Senso diappartenenza

↑ FIGURA 1.1.5 ◆ Cause e conseguenze del senso della comunità (Michele Crivellaro, 2014)

47Elementi Teorici / Città e Identità

anche della singola persona che ne fa parte. Francis et al. (2012) lo associano a un maggiore senso di benessere, senso di sicurezza e partecipazione nelle decisioni della comunità e maggiore senso di responsabilità civica. In fi-gura 1.1.5 sono rappresentati gli elementi che concorrono alla creazione del senso di comunità e quelli favoriti da questa. Oggi sempre più studiosi si stanno interrogando sulle cause e sulle conseguenze del senso di comunità, rendendosi sempre più consapevoli dei benefici che que-sto potrebbe portare. Questa maggiore consapevolezza ha fornito gli strumenti per riuscire a misurare come questo sembri inesorabilmente in declino in tutto il mondo oc-cidentale. Francis et al. (2012) hanno ipotizzato le cause di questo deterioramento, tra cui sono presenti: nuclei familiari sempre più piccoli, suburbanizzazione, pendo-larismo e uso sempre più intensivo di media sociali non legati al territorio, come quelli online. Si può ipotizzare quindi che in una società più individualista, in cui le per-sone passano sempre più tempo da sole e sempre meno in gruppo, il senso della comunità possa scemare. Tuttavia, se da una parte il gruppo sociale legato al luogo sembra perdere importanza, il concetto di comunità virtuale po-trebbe acquisire maggiore rilevanza in quanto slegato dal luogo fisico in cui si risiede.

ATTACCAMENTO AL LUOGO

Con la locuzione attaccamento al luogo viene definito quel sentimento costituito dai legami che le persone sviluppa-no con i luoghi in cui vivono o hanno vissuto, creando una relazione soddisfacente tra i primi e i secondi. Lewicka (2008) spiega che le motivazioni di questo attaccamento possono essere molteplici, ma difficilmente intaccano la natura costruttiva del rapporto tra persona e luogo.

I may be attached to a place because my friends live here, or I spent my best years here, or my family roots are from here, and therefo-re the place is important to my personal identity. (Lewicka 2008, p.212).

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Il luogo cui siamo legati sembra quindi essere importante per la nostra identità personale, come riassunto in figu-ra 1.1.6: lo sviluppo di legami affettivi con i luoghi può essere quindi visto come un prerequisito per l’equilibrio psicologico e il bilanciamento della persona, può aiutare a superare crisi di identità, fornire alle persone il senso di stabilità di cui hanno bisogno in un mondo in continuo cambiamento e facilitare il coinvolgimento in attività lo-cali. In generale il luogo, sottolinea Lewicka (2008), è un mezzo per distinguere sé stessi dagli altri, di conservare un senso di comunità, di costruire autostima positiva e creare un senso di auto efficacia. Secondo Bell & de-Sha-lit (2011) sempre più persone non tendono più a scegliere dove vivere in base alla nazione ma piuttosto in base alle caratteristiche delle singole città. Queste ultime, sosten-gono, sono più flessibili nel cambiamento e riescono ad affrontare meglio le sfide che la società contemporanea, interconnessa e multiculturale pone, perché sono state storicamente messe di fronte a queste difficoltà. Secondo Lewicka (2008), più l’attaccamento al luogo è legato alla

Attaccamentoal luogoPersona

Equilibriopsicologico

Senso distabilità

Coinvolgimentoin attività locali

Senso dicomunità

Autostimapositiva

Senso diauto efficacia

Accettazionemulticulturalismo

Luogo

↑ FIGURA 1.1.6 ◆ Cause e conseguenze dell'attaccamento al luogo (Michele Crivellaro, 2014)→ FIGURA 1.1.7 ◆ Firenze (Anonimo, Data incerta)

49Elementi Teorici / Città e Identità

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→ FIGURA 1.1.7 ◆ Venezia (Anonimo, Data incerta)

città e meno alla nazione più la spinta all’accettazione di elementi multiculturali o multietnici potrebbe essere for-te.Generalmente per le persone sembra più facile creare le-gami affettivi con edifici storici: questi tendono a creare un senso di continuità con il passato e rappresentano il segno tangibile delle tradizioni del gruppo sociale. Più ci sono tracce storiche con una memoria stratificata e visi-bile, più forte potrebbe essere l’attaccamento: forse è per questo motivo che così tante persone amano l’Italia, la storia di questo paese è visibile agli occhi di tutti in cit-tà come Firenze, in figura 1.1.7. Lewicka, Low & Altman (1992) suggeriscono che la conoscenza della storia del luo-go potrebbe intensificare l’attaccamento della persona a questo. La prima fa notare tuttavia come potrebbe essere vero anche il contrario: se prendiamo in considerazione una persona che abbia vissuto un momento molto parti-colare ed emotivamente coinvolgente della sua vita legato a un luogo specifico, può darsi che la conoscenza della sto-ria del luogo vada a ridurre l’importanza della narrazione autobiografica e di conseguenza dell’attaccamento al luo-go (cfr 1.2). Un adulto che si insedia in un luogo a lui sco-nosciuto potrebbe essere molto interessato alla sua storia, come se avesse bisogno di sentirsi radicato nello spazio per trovare la propria identità. Al contrario, una persona che è già radicata in un determinato luogo da generazioni non sentirà un forte bisogno di fare questo tipo di ricerca per-ché ha già a sua disposizione le memorie sociali che gli permettono di interpretare la realtà circostante. Per que-sti motivi, sottolinea Xing (2011), l’attaccamento al luogo è essenziale in progetti di rivitalizzazione di luoghi abban-donati o in forte depressione.

ETHOS DEL LUOGO

L’ethos può essere considerato il cuore dell’identità del luogo e può essere definito come quell’insieme di regole di convivenza che costituiscono le basi del funzionamen-

51Elementi Teorici / Città e Identità

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to delle istituzioni politiche e sociali e della vita civile e religiosa in generale. Nel tempo queste regole tendono a trasformarsi in un insieme di valori che possono essere visti come parte integrante della società, delle persone e dell’individuo che ne fa parte. Bell & de-Shalit (2011) scri-vono dell’ethos come fosse la caratteristica principale del-la città, il suo nucleo, il suo spirito, l’elemento trainante della sua identità. L’ethos è assimilabile a quel concetto che Norberg-Shultz (1980) ha definito genius loci, utilizzato per descrivere l’impalpabile ma generalmente concordato carattere unico di un luogo. Lynch (1960) chiama questo concetto identità del luogo e sostiene che con questo termine si indichi identicità, distintività e unicità e possa essere attribuito alla somma di due elementi: il luogo e la sua percezione da parte di un individuo.Il primo significato, che chiamerò immagine del luogo si ri-ferisce alla serie di caratteristiche del luogo che gli garan-tiscono il carattere distintivo e la continuità nel tempo. Questa è la parte dell’ethos del luogo costituita dall’archi-tettura, dall’urbanistica, dagli elementi tangibili che con-tribuiscono all’arricchimento e alla continua definizione dell’ethos del luogo. Lynch (1960) fa notare come, benché questo possa rimanere stabile per un periodo, nei dettagli è in continua trasformazione. Si può esercitare un control-lo solo parziale sulla sua crescita e sulla sua forma, perché si potrebbe affermare che non esiste nessun risultato fina-le ma solo una continua successione di fasi e periodi diver-si. Concetto molto legato a quello dell’immagine del luogo è quello che Lynch definisce imageability, cioè la capacità di una città di farsi immaginare da una persona. Una città con un’alta imageability è Venezia, in figura 1.1.8, perché sia la città che l’ambiente che la circonda concorrono alla sua definizione e alla formazione di un’immagine menta-le emotivamente forte nell’osservatore.

Il secondo significato, che chiamerò la memoria del luogo, è usato dalla letteratura psicologica per definire l’immagi-ne del sé in relazione con l’ambiente fisico circostante. Lynch sostiene che in questo processo di definizione quasi

53Elementi Teorici / Città e Identità

tutti i sensi siano operativi, e l’immagine risultante è una miscellanea di tutti gli stimoli operanti. L’architetto fa notare come nulla è vissuto in sé, ma sempre in relazione all’ambiente circostante, alle sequenze di eventi che han-no portato a esso e alla memoria delle esperienze passate. Si potrebbe quindi sostenere che l’ethos della città abbia a che fare in larga misura con i ricordi umani, come illu-strato in figura 1.1.9. Questi ultimi, come sostiene Lewi-cka (2008), possono essere definiti fondamentalmente memorie sociali perché spesso quello che ricordiamo non è il prodotto di eventi da noi vissuti ma è incluso nelle no-stre strutture sociali. Ecco perché il luogo ha un ruolo così importante nella nostra vita: influenza le memorie socia-li, che a loro volta danno forma all’ethos di un luogo e ai nostri ricordi. Questa vicinanza suggerisce che si potrebbe parlare dell’immagine del luogo e della memoria del luogo come due cose indipendenti ma molto correlate. Mentre la prima è a lungo raggio temporale - pensiamo a Roma, figura 1.1.10, e a come la sua identità si basi ancora su edi-fici costruiti più di duemila anni fa - la seconda ha uno spettro molto più corto. Un caso interessante su quanto la memoria del luogo può essere modificata è Blinkenlight (cfr A.1.1), installazione mediatica del 2002 che ha usato come supporto un edificio, la Haus des Lehres in Alexander-platz a Berlino, pieno di memorie non positive. Facendo l’esempio di Milano, a livello architettonico la sua iden-tità è chiaramente definita dal Duomo, in figura 1.1.11, o dalla Galleria Vittorio Emanuele, dalla torre Velasca e

Memoriesociali

Ethosdel luogo

Luogo Ricordipersonali

↑ FIGURA 1.1.9 ◆ Rapporto tra memorie sociali e personali, ethos del luogo e luogo fisico (Michele Crivellaro, 2014)

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→ FIGURA 1.1.10 Roma (Anonimo, Data incerta)

dal Grattacelo Pirelli, in figura 1.1.12. Tuttavia le memorie sociali che contribuiscono a definirne l’ethos fanno parte di episodi molto recenti; l’ultimo grande evento che ci ha toccato è stata la seconda guerra mondiale, seguita dal boom economico, la Milano da bere, diventata pubblicità nella figura 1.1.13, tangentopoli, la moda e il design, in figura 1.1.14.Lewicka (2008) fa notare infatti come a livello collettivo sembra esserci sui luoghi una memoria a breve termi-ne: la maggior parte delle persone famose collegate a un luogo che gli abitanti riescono a ricordare sono vissute negli ultimi cento anni, il che significa che riusciamo a tornare indietro in maniera spontanea solo di due o tre generazioni per sapere chi è coinvolto nella storia di un luogo. Tutti questi autori sottolineano l’importanza dello sviluppo sostenibile dell’ethos della città nel mondo con-temporaneo. Bell & de-Shalit (2011) specificano però come non sia necessario sempre investire nella ricerca e nello sviluppo di un ethos a qualunque costo: a volte lo sforzo è controproducente e in alcuni casi potrebbe essere addirit-tura definito non etico. Quando il luogo si trova in una si-tuazione di estrema povertà o il compito più grande della popolazione è sopravvivere o vivere in un modo dignitoso, i due definiscono immorali gli investimenti istituzionali atti a sviluppare un ethos. Prendendo come esempio Parigi si può notare come nel momento in cui si tende a costru-ire un’immagine della città come quella in figura 1.1.15 senza considerare larghe parti di popolazione, prima o poi la prima tenderà a crollare, come è successo nel 2005 con gli scontri nelle Banielue, fotografati in figura 1.1.16. L’i-dentità delle aree depresse della città non dovrebbe essere in contraddizione con quella della città stessa: la spinta dovrebbe essere quella di includere tutte le parti nello svi-luppo del luogo. In alcuni casi, questa tipologia di quar-tieri può essere importante per l’identità della città, fino a diventare parte essenziale dell’immagine del luogo: si può pensare in questo senso alle favela di Rio de Janeiro, che sono diventate tanto importanti per l’immagine della

55Elementi Teorici / Città e Identità

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↑ FIGURA 1.1.11 ◆ Duomo di Milano, 1386/1892, Milano, Italia (Stefano Costanzo, 2012)↓ FIGURA 1.1.12 ◆ Giò Ponti, Grattacielo Pirelli, 1956/90, Milano, Italia (Luciano Morpurgo, 2008)

57Elementi Teorici / Città e Identità

↑ FIGURA 1.1.13 ◆Marco Mignani, Pubblicità per Amaro Ramazzotti (Marco Mignani, 1987)↓ FIGURA 1.1.14 ◆ Installazione “Neoreal Canon” presso la Triennale di Milano (giovanni_novara, 2010)

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↑ FIGURA 1.1.15 ◆ Pont des Arts a Parigi (Benh LIEU SONG, 2010)↓ FIGURA 1.1.16 ◆ Scontri nelle Banlieue parigine nel 2005 (Pascal Le Segretain/Getty Images, 2005)

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città da soppiantare a volte gli altri richiami iconografici e di significato.Bell & de-Shalit (2011) fanno una precisazione di carattere etico, parlando dello sviluppo dell’ethos del luogo: in una realtà globalizzata e aperta come la nostra, l’ethos di un luogo non dovrebbe mai basarsi sull’intolleranza o qua-lunque tipologia di odio, opponendosi all’apertura e alla solidarietà internazionale. Questi valori, sostengono i due, potrebbero determinare conflitti con il mondo ester-no ed eventualmente ritrovarsi in futuro a dover riscrivere il proprio ethos su nuove basi. Lewicka (2008), basandosi su studi sulla travagliata storia territoriale della Polonia nell’ultimo secolo, sostiene che se si compie un qualun-que tipo di repressione politica, sociale o ideologica su una popolazione, probabilmente si otterrà esattamente l’effetto contrario, consolidando le memorie che si vuole rimuovere.

Alcuni luoghi non hanno ethos; possiamo pensare ai non luoghi o a quelle città che, pur avendo un’identità, non è così forte da essere preponderante. I primi possono esse-re identificati con gli aeroporti, come in figura 1.1.17, le stazioni, in figura 1.1.18, gli spazi della circolazione, del trasporto e della comunicazione: quelli che non vogliono avere identità né relazione o storia e che, come scrive Augé (2006), sono specifici dell’epoca contemporanea. Nono-stante i benefici di un forte ethos, rimane un concetto per-cepito in maniera molto soggettiva, presentando il caso limite in cui una città con un’identità molto forte tende a polarizzare i giudizi su di essa e richiedere agli abitanti uno sforzo per la sua accettazione.

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↑ FIGURA 1.1.17 ◆ Pascall+Watson architects, Aeroporto Internazionale di Trivandrum, India (Gerald Pereira, 2013)↓FIGURA 1.1.18 ◆ Angiolo Mazzoni, Gruppo Montuari Vitellozzi, Stazione di Roma Termini (StripedCat, 2010)

61Elementi Teorici / Città e Identità

1.1.3 ◆ CITTÀ E LA GLOBALIZZAZIONE

La crescente globalizzazione non coinvolge più ormai solo l’economia o lo spostamento delle persone. Si può affer-mare infatti che la vera mobilità del 21° secolo è quella del-le idee, della comunicazione sempre più libera tra perso-ne sempre più lontane. Tuttavia in questo processo, più ci troviamo ad affrontare il cambiamento e delle culture diverse dalla nostra, più noi – come popolazione – tendia-mo ad avere bisogno di formare una struttura che possa stare di fronte all’altro, come lo definisce Augé (2006), affermando chi siamo senza dire ciò che non siamo. L’an-tropologo sostiene che, più che crisi d’identità, si deb-ba parlare di crisi spaziale e dell’alterità: all’improvviso l’altro non è più in un luogo diverso dal nostro e noi nel nostro, ma condividiamo tutti lo stesso luogo. People’s Por-trait Project (cfr A.1.14), installazione diffusa, globale e in-terattiva, aveva come obiettivo una riflessione su quanto le persone nelle città del XXI secolo siano simili, ponendo una serie di interrogativi su cos’è un luogo e chi sono le persone che lo abitano. La strategia per basare la propria identità sulla differenza con l’altro sembra essere quella di costruire lo straniero, inventare una categoria da cui ci si possa differenziare. Questa, afferma Augé (2006), è una strategia fallimentare sul lungo periodo, perché allo sparire dell’altro la nostra identità viene messa in crisi, portandoci a dover ridefinire chi e cosa siamo su basi di-verse. Nelle grandi città le diversità tendono a mescolarsi sempre di più, siano esse di carattere economico, etnico, culturale o religioso. Questo mescolamento di entità di-verse da noi tende a metterci in crisi, ci fa domandare chi siamo, ottenendo come risposta, spesso, “diversi da loro”. Ottenere una risposta la più possibile completa implica invece prendere in considerazione non solo l’immagine della città ma anche una visione più profonda, quella del-la memoria del luogo, e combinarle in modo tale da capir-ne l’ethos. La definizione dell’ethos di una città sta quindi diventando sempre più importante e, spesso, urgente.

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We want to suggest that cities have been increasingly the mech-anism by which people oppose globalization and its tendency to flatten cultures into sameness. (Bell & de-Shalit 2011, p.5).

Le persone in tutto il mondo tendono a scegliere sempre più spesso dove vivere e perché: l’ethos della città ci fa sele-zionare dove passare la nostra vita. Castells (1993) prevede-va come nel futuro le città europee si sarebbero orientate sempre più verso le loro culture e identità locali a causa di due fenomeni. Il primo sarebbe stata la crescente in-fluenza dell’Unione europea, che avrebbe teso a sfumare le identità nazionali e avrebbe reso le persone incerte circa chi detiene il potere. Il secondo sarebbe stata la continua migrazione verso le città europee, che le avrebbe gradual-mente trasformate in entità multiculturali ed eterogenee, proprio nel momento in cui l’identità dei luoghi sarebbe stata più minacciata. Il risultato di questi due fenomeni combinati sarebbe dovuto essere una tendenza verso l’o-mogeneizzazione di stili di vita, modelli economici e idee su larghe scale spaziali. Castells non aveva previsto quel-la che può essere considerata la più grande crisi di valori europei e di fiducia verso le istituzioni europee dalla sua costituzione a oggi. Simeoforidis (1998) ha sostenuto che questo fenomeno avrebbe portato le nostre città a emerge-re e a far diventare l’Unione Europea una comunità di cit-tà più che di nazioni. Se da una parte la tendenza sembra essere questa, anche alla luce dell’attuale crisi europea del debito sovrano, con le città che diventano a tratti più simili, dall’altra la rinascita dei nazionalismi cui stiamo assistendo sembra metterle al sicuro da possibili perdite di identità. Per stare di fronte a queste trasformazioni, sostengono Bell & de-Shalit (2011), bisognerebbe prendere in considerazione l’ethos della città non solo come una po-sizione fissa contro la globalizzazione, ma anche per ren-dere lo sviluppo delle città sostenibile per le loro identità. Gospodini (2002) afferma che potrebbe non essere suffi-ciente investire nell’innovazione sociale per assicurarsi sviluppo e crescita, ma bisognerebbe anche considerare di

63Elementi Teorici / Città e Identità

farlo all’interno di una conformazione valoriale che non contrastino con quelli della città, ma che anzi possano mettere in risalto quelli già esistenti. Evidenziare l’iden-tità di un luogo vorrebbe dire quindi farlo risplendere in modo tale da essere riconoscibile in un mondo in cui la lotta tra città per attrarre persone e capitali sta crescendo sempre più.I fattori per cui una città attrae o meno capitale umano stanno infatti cambiando: in Europa, la vivibilità di un luogo e i servizi che offre sembrano essere diventati i pre-requisiti essenziali per l’attrazione di fondi, attività e persone qualificate. Queste tendono a spostarsi sempre di più, con una libertà che deriva certamente da cambia-menti socio-politici come l’istituzione dell’Unione Euro-pea, ma soprattutto dal fatto che si considerino le città sempre più interscambiabili a livello economico. Gospodi-ni afferma che la valutazione delle città europee con para-metri standard le spinge in una competizione finalizzata alla crescita e al miglioramento, a volte portandole, sotto-linea Laddaga (2011), a mettere in secondo piano necessità urgenti della popolazione in favore di una valutazione po-sitiva da parte di un pubblico globale. Sotto questo punto di vista può essere quindi considerato essenziale per una città trovare il proprio bilanciamento tra il senso del luogo e l’essere inseriti in un mondo che tende a compararla in continuazione. Questo obiettivo potrebbe essere ottenuto adattando e declinando le proprie caratteristiche peculia-ri per renderle funzionali alla realtà di questo momento storico.

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65Elementi Teorici / Narrazione e Identità

Da quanto visto sinora, l’ethos della città pare dunque un elemento modellato in maniera rilevante da fattori non misurabili, soggettivi ed emozionali. Si può affermare che questi fattori siano legati alla parte più irrazionale e relativa alla memoria dell’essere umano, che può essere considerata una modalità di narrazione a se stessi. L’im-portanza della narrazione sembra essere sancita dal lega-me stretto che questa ha formato con la città, in manie-ra particolare con l’artefatto cinematografico, il quale ha spesso contribuito a modellare la percezione delle città in cui viviamo.

1.2NARRAZIONE

E IDENTITÀ

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67Elementi Teorici / Narrazione e Identità

1.2.1 ◆ NARRAZIONELa narrazione è una parola usata per definire una moltitu-dine di concetti, come mostrato in figura 1.2.1. Può essere considerata come prima cosa un processo cognitivo che costru-isce non argomentazioni logiche o induttive, ma storie e racconti attraverso l’interpretazione della realtà in chiave temporale e conflittuale. Questo processo richiede l’uso di una tecnica, chiamata anch’essa narrazione, inventata dall’uomo per la creazione, organizzazione e trasmissione del sapere, con precise strutture e regole che si sono per-fezionate sempre più fin dalla sua nascita. Il risultato è la narrazione come atto comunicativo che la persona può ri-volgere a sé stessa o ad altri, finalizzato alla trasmissio-ne dell’interpretazione della realtà in chiave temporale. In termini semiotici, la narrazione è un testo, inteso come un’articolazione di segni organizzati gerarchicamente se-condo una sintassi e una struttura interna precise.La narrazione richiede la presenza di due ruoli, che pos-sono essere ricoperti da persone diverse o dalla stessa. Da una parte c’è chi racconta la storia, comunica e ricopre il ruolo di narratore; dall’altra c’è chi la fruisce, il narratario. I ricordi e le memorie, per esempio, sono autonarrazioni, perché i due ruoli sono ricoperti dalla stessa persona; un medium come quello cinematografico al contrario richie-de due o più persone coinvolte. Pinardi (2010) sostiene che

realtà

realtà

storia

storia

testotesto

attocomunicativoattocomunicativo

processocognitivoprocessocognitivo

tecnicatecnica

↓ FIGURA 1.2.1 ◆ Molteplici definizioni di narrazione all'interno del processo che porta al racconto della realtà. (Michele Crivellaro, 2014)

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la narrazione è un testo che si riferisce a un conflitto, de-finendolo come lo scontro di forze che fa scaturire la storia e che porta alla superficie i mondi narrativi coinvolti. Non basta quindi definire la narrazione come testo, ma risulta necessario aggiungere come questa sia un dialogo su un conflitto, sulla sua preparazione, la sua esplosione, la sua fine o le sue conseguenze. Il conflitto può essere implicito o esplicito, fisico o mentale, ma si può affermare che sia sempre presente.

ELEMENTI COSTITUTIVI

Una narrazione può essere vista come composta di due parti: la storia, che è la concatenazione temporale di even-ti o azioni nel testo; il mondo che è l’insieme atemporale di caratteristiche fisiche e astratte che interagiscono con la narrazione.La storia è una serie di fatti che accadono a un personag-gio (eventi) o che sono prodotti dallo stesso (azioni), messi insieme in un rapporto di causa-effetto o in una esplicita sequenza temporale, la concatenazione. La storia può es-sere divisa in quattro livelli che partono dall’evento e dal conflitto e arrivano al testo narrativo, rappresentati in fi-gura 1.2.2.

intrecciointreccio

fabulafabula

modellonarrativomodellonarrativo

discorsodiscorso

3

C'era una volta un re che aveva tre figli: due erano intelligenti e avveduti, mentre il...

4 1 2 5

↑ FIGURA 1.2.2 ◆ Elementi costitutivi della storia: sull'asse orizzontale ci sono i vari livelli, su quella verticale sono poszionati determinati eventi e/o meccanismi che, a partire dal modello narrativo, vengono declinati e definiti sempre di più. (Michele Crivellaro, 2014)

69Elementi Teorici / Narrazione e Identità

Il modello narrativo è la struttura della storia, il suo schele-tro, quello che, nel caso delle fiabe, è stato analizzato da Propp (1976). Nel grafico questo è rappresentato dalle croci che sono gli avvenimenti astratti, come per esempio “uno stato canonico iniziale è violato”. Burke (1945) sostiene un approccio ancora più minimale, in cui il modello narrati-vo è composto da cinque elementi di un agente, un’azio-ne, un obiettivo, un’ambientazione, uno strumento e un problema, tutto il resto è la fabula, l’intreccio, il discor-so e le scelte di chi racconta, anche in termini mediatici. Bruner (1987) fa un esempio di modello narrativo base, che si può riscontrare in una moltitudine di casi: uno stato ca-nonico iniziale è violato, è tentato un risarcimento il qua-le, se non riesce, porta alla crisi; se questa non è risolta, porta alla fine a un nuovo ordine legittimo.La fabula è l’elenco di eventi che avvengono nella storia or-ganizzati in ordine cronologico e logico, cioè in una rela-zione sequenziale di causa-effetto. I cerchi neri della fa-bula nel grafico sono gli stessi avvenimenti del modello narrativo declinati nel mondo narrativo specifico e divisi in eventi esterni che agiscono sul protagonista (le frecce verso il basso) o effettuati da questo (la linea base che agi-sce sull’evento). Bruner (1987) tuttavia sostiene che la fa-bula non sia solo questo ma che sia anche la tematica di base della storia.

The timeless fabula is the mythic, the transcendent plight that a story is about: human jealousy, authority and obedience, thwar-ted ambition, and those other plights that lay claim to human universality. The sjuzet1 then incorporates or realizes the timeless fabula not only in the form of a plot but also in an unwinding net of language. (Bruner 1987, p.6)

L’intreccio si può definire infine come la struttura narrativa di un determinato racconto, ovvero la scelta dei vari mo-menti da raccontare, come questi vengono messi in rela-zione, il loro ordine e le implicazioni comunicative che ne derivano. Questo nel grafico sono i numeri che danno un

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↑ FIGURA 1.2.3 ◆ Hellboy (Mike Mignola, 1993)

↑ FIGURA 1.2.4 ◆ Maus (Art Spiegelman, 1986 - 1991)↓ FIGURA 1.2.5 ◆ Sturmtruppen (Bonvi, 1968 - 1995)

71Elementi Teorici / Narrazione e Identità

ordine agli eventi (i pallini neri della fabula).Il discorso è la forma della narrazione; nel caso in cui sia scritta, include per esempio le scelte lessicali o l’atmosfe-ra che crea. Questo porta in parte anche alla definizione del genere cui appartiene la storia. Un esempio può essere la seconda guerra mondiale nei fumetti: questa è stata in-fatti narrata attraverso il genere fantastico, come in Hel-lboy, di Mike Mignola, in figura 1.2.3; il genere biografico e metaforico, come in Maus di Art Spiegelman, in figura 1.2.4, o infine comico, come in Sturmtruppen di Bonvi, in figura 1.2.5.

I mondi narrativi, come illustrati in precedenza, possono essere definiti come le dimensioni atemporali, soggetti-ve o collettive, di cui sono composte le narrazioni. I con-flitti che queste ultime generano possono di conseguenza iniziare da uno scontro qaulunque tra uno qualsiasi dei mondi o dei personaggi. Secondo Pinardi (2010) ci sono tre tipologie di mondi, illustrati in figura 1.2.6: i mondi di sopra, i sottomondi e i mondi interiori.La prima tipologia, quella dei mondi di sopra, è quella che definisce l’universo narrativo, cioè i limiti massimi del-lo spazio sia fisico sia astratto in cui si svolge la storia. Esempio possono essere una determinata società, come in Dowton Abbey, in figura 1.2.7; una nazione; un pianeta; un

mondi interiorimondi interiori

nazionenazione

sottomondisottomondi

mondi di sopramondi di sopra

gruppo socialegruppo sociale

personapersona

↑ FIGURA 1.2.6 ◆ Relazioni tra le varie tipologie di mondi narrativi (Michele Crivellaro, 2014)

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↑ FIGURA 1.2.7 ◆ Downton Abbey (Julian Fellowes, 2010 - in corso)

↑ FIGURA 1.2.8 ◆ Firefly (Joss Whedon, 2002 - 2003)↓ FIGURA 1.2.9 ◆ Camera Café (Bruno Solo - Yvan Le Bolloc’h - Alain Kappauf, 2001)

73Elementi Teorici / Narrazione e Identità

universo, come accade in Firefly, in figura 1.2.8 o al con-trario una stanza, come narrato nel format Camera Café in figura 1.2.9. La seconda tipologia è quella dei sottomondi, nella forma plurale perché tendono a intersecarsi e a con-vivere in contemporanea: esempi sono il gruppo sociale, quello professionale o quello familiare. La terza tipologia sono i mondi interiori di ogni singola persona, composti di tutto ciò che rende una persona tale: valori, memorie, at-titudini e idee.Secondo Pinardi (2010) ogni mondo narrativo ha alcune caratteristiche, illkustrate in figura 1.2.10, che possono essere in una certa misura oggettive e altre che sono l’e-satto contrario. Nella prima tipologia rientrano: topos, il territorio; chronos, il tempo; logos, la lingua; e genos, l’in-sieme di relazioni di parentela e di discendenza. Nella se-conda categoria, cioè quelle prettamente soggettive, rien-trano le seguenti caratteristiche: epos, la memoria storica; ethos,2 i valori condivisi e telos, le finalità della comunità. La somma di tutti questi elementi dà il kosmos, il mondo narrativo, che a sua volta può essere di una delle tre ti-pologie sopra descritte. Più ciascuno di questi elementi è sviluppato in tutto il suo potenziale, più il mondo e la narrazione tenderanno a essere ricchi e sfaccettati. La so-vrapposizione e la stratificazione testuale e contenutistica della narrazione può quindi richiedere un grosso sforzo da

topostopos

chronoschronos

logoslogos

genosgenos

eposepos

ethosethos

kosmoskosmos

oggettivioggettivi soggettivisoggettivi

↑ FIGURA 1.2.10 ◆ Caratteristiche dei mondi narrativi (Michele Crivellaro, 2014)

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parte di chi la fruisce per comprenderla a fondo. Questo sforzo potrebbe di conseguenza portarlo all’attaccamento verso la narrazione o, al contrario, al suo distacco totale. Se l’interpretazione diventa troppo difficile, il rischio che il narratario voglia abbandonare il processo tende a cresce-re: da un calo di attenzione si potrebbe arrivare a lascia-re fisicamente il luogo dove avviene l’atto comunicativo, sancendo il fallimento del narratore e della narrazione.

IL RUOLO DELLA NARRAZIONE

Watzlawick (1977), sostenitore del costruttivismo radica-le,3 afferma che esistono due tipi di realtà, illustrati in figura 1.2.11: quella di primo e quella di secondo ordine. Quella di primo ordine, secondo la sua definizione, è la realtà propria degli attributi fisici, che però non possono essere percepiti, perché i sensi umani attribuiscono auto-maticamente senso a ciò che percepiscono. Nel momento in cui avviene questo processo di creazione di senso, so-stiene Watzlawick (1977), viene costruita la realtà di se-condo ordine, cioè una costruzione basata sulla percezio-ne della realtà fisica. Seguendo questa logica si potrebbe quindi sostenere che la narrazione è una metacostruzio-ne, in quanto una costruzione di senso basata su un’altra costruzione, che è la realtà di secondo ordine. Watzlawick

crea

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realtà di secondo ordinerealtà di secondo ordine(costruzione)(costruzione)

narrazionenarrazione(metacostruzione)(metacostruzione)

realtà di primo ordinerealtà di primo ordinedist

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one

distorsi

one

distorsi

one

↑ FIGURA 1.2.11 ◆ Narrazione vista come un processo costruttivista (Michele Crivellaro, 2014)

75Elementi Teorici / Narrazione e Identità

(1977) sostiene inoltre l’esistenza di un processo di creazio-ne della realtà che parte dall’elemento tangibile e arriva a quello astratto. Questo è lo stesso concetto che Bruner (1987) chiama costruzione di mondi.

A view that takes as its central premise that “world making” is the principal function of mind, whether in the sciences or in the arts. (Bruner 1987, p.1).

La visione di Bruner (1987) è stata anticipata da Goodman (1978), il quale sosteneva che la fisica, la pittura o la storia possano essere viste come modalità per costruire mondi,

per cui l’autobiografia, secondo il primo, potrebbe essere vista come un insieme di procedure per costruire la vita.

Entrambi sostengono infatti che la narrazione tenda ad influenzare la realtà di cui racconta attraverso la costru-zione di realtà virtuali che però non sono solo strettamen-te collegate a quelle tangibili, ma nella percezione uma-na possono coincidere. Se, seguendo questo approccio, le narrazioni tendono a costruire ciò che descrivono, allora si può dire che quelle legate a un luogo possano costituire la vera essenza della società, intesa come il gruppo di perso-ne di cui si sta narrando in rapporto a un determinato luo-go. In questo senso dunque libri come Dr. Jeckyll and Mr Hyde, in figura 1.2.12; Mary Poppins, in figura 1.2.13 e Oliver Twist, in figura 1.2.14 hanno contribuito a costruire certamente l’immagine che abbiamo di Londra.La visione costruttivista, sia della narrazione sia della re-altà, si basa sul presupposto che queste sovrastrutture si-ano giocoforza distorte perché filtrate automaticamente da una visione soggettiva di ciò che è percepito. Seguendo un approccio di questo tipo, Bruner (1987) sostiene che la vita, intesa come la storia dell’individuo, potrebbe esse-re vista come una costruzione dell’immaginazione uma-na così come lo è la narrazione: entrambe sono composte dall’essere umano con l’uso del raziocinio. Così come ogni narrazione sarebbe creata dal raziocinio perché soggetti-va, le memorie personali e collettive sarebbero costruite anch’esse perché, in quanto prodotti di una determinata

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↑ FIGURA 1.2.12 ◆ Poster per The strange case of Dr. Jekyll and Mr Hyde di Robert Louis Stevenson (Sconosciuto, 1886)→ FIGURA 1.2.13 ◆ Illustrazione per Mary Poppins di P. L. Travers (Mary Shepard, 1934)↓ FIGURA 1.2.14 ◆ Illustrazione per Oliver Twist di Charles Dickens (J. Mahoney, 1875)

77Elementi Teorici / Narrazione e Identità

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società o persona, non potrebbero essere oggettivizzate: Bruner (1987) ne fa un problema di funzionalità psicologi-ca della narrazione.

One did or did not visit Santander in 1956. Besides, it may have been Salamanca in 1953 and by certain criteria of narrative or of psychological adequacy even be “right” if untrue. (Bruner 1987, p.3)

Questo processo di adattamento e alterazione dei ricordi sembra essere molto frequente nelle memorie collettive, per loro natura molto suscettibili alle influenze esterne. Si può dire infatti che queste siano costruite con un siste-ma a incastro che coinvolge le vite l’una con l’altra, in un gioco labirintico e infinito di costruzione e rimodellazione della realtà, miscelata e filtrata da percezioni ed emozio-ni assolutamente soggettive. L’instabilità sembra essere quindi intrinseca alle memorie sia personali sia collettive, che vengono scritte e riscritte senza molti problemi, l’im-portante è che rispondano al bisogno del tempo presente.

Dare a un bambino (e a un adulto) una soluzione preconfezionata per un conflitto che egli vive non è risolverlo: spesso, tuttavia, con-tribuisce a crearne in lui un altro, forse ancora più grave. Le narra-zioni oneste sono liberatorie. (Pinardi 2010, p.38)

Una narrazione onesta, sostiene Pinardi (2010), è una che fa di tutto per non ingannare il suo pubblico, che cerca di rispettare il narratario e se stessa. È una narrazione che stabilisce le regole e le rispetta, che si prende come tale, che non ha deliri di onnipotenza o la pretesa di affermare la verità. Quest’ultimo concetto sembra essere particolar-mente importante nel momento in cui si lavora con la nar-razione sull’identità di un luogo. L’obiettivo non è quello di plasmare la percezione degli abitanti secondo una pro-pria idea: tutte le narrazioni create dagli abitanti del luo-go possono essere considerate vere per chi le racconta, ma potrebbero allo stesso tempo essere definite false perché, come sottolinea Bruner (1987), sono delle rappresentazio-

79Elementi Teorici / Narrazione e Identità

ni della realtà filtrate dal narratore e quindi soggettive. Gusdorf (1980) sostiene che nel momento in cui si decide di raccontare qualcosa, si riconosce che quella specifica storia merita di essere comunicata. Questa virtù è tale sia per il suo valore intrinseco legato alla consapevolezza del-la differenza tra passato, presente e futuro, sia per il pro-cesso che ha portato la persona in questione a riconoscere l’esistenza di elementi straordinari in contesti comuni. Si può sostenere quindi che la narrazione sia in grado di far diventare straordinario qualcosa di estremamente ordina-rio. Film d’animazione come Valzer con Bashir (figura 1.2.15) e Persepolis (figura 1.2.16) nascono da un forte radicamento alla realtà vissuta dal narratore, filtrata e rimodellata fino a farla diventare qualcosa di straordinario. Sotto questo punto di vista, possiamo vedere come sia fenomeni arti-stici come il realismo, sia fenomeni di social networking come Instagram riescano in questo intento, ovviamente con risultati a diversi livelli di raffinatezza espressiva.

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↑ 1.2.15 ◆ Valzer con Bashir (Ari Folman, 2008)↓ 1.2.16 ◆ Persepolis (Marjane Satrapi, 2007)

81Elementi Teorici / Narrazione e Identità

1.2.2 ◆ NARRAZIONE E IDENTITÀ

Ci sono due motivi per cui l’identità della città può essere considerata connessa con la narrazione. Il primo è lo spo-stamento delle sette caratteristiche dei mondi narrativi, illlustrate in figura 1.2.10, da questi ultimi a un luogo reale, trasformandole in domande cui rispondere per l’e-splorazione del luogo. Attraverso la definizione di queste, si potrebbe andare particolarmente a fondo con l’identifi-cazione delle caratteristiche del luogo e arrivare a definire quali siano i suoi elementi più qualificanti.Il secondo motivo, illustrato in figura 1.2.17, è la stretta re-lazione tra narrazioni e memorie, sia personali sia collet-tive: queste ultime infatti possono essere viste in ultima analisi come delle narrazioni di avvenimenti reali o che vengono percepiti tali. Si possono considerare l’identità di un luogo e l’attaccamento delle persone a questo come ele-menti cognitivi strettamente legati alle memorie e quin-di alle narrazioni. Esempi in questo senso posso essere le animazioni prodotte per Gates of light (cfr A.1.7) e Light in the street (cfr A.1.12) che hanno usato la narrazione per far ri-flettere gli utenti sulla storia e identità del luogo in cui sono state fatte. Se si prova a descrivere la storia di una città e la sua identità, sembra quasi impossibile non porre davanti al nostro narratario un ventaglio di conflitti, tutti legati al vissuto della città e dei suoi abitanti. Quando si parla di memoria, si parla quindi delle narrazioni che rac-contiamo a noi stessi sulla nostra vita, sulla vita degli altri e sulla realtà che ci circonda: le città non escono da questa logica. La memoria è legata in maniera molto stretta all’e-mozione sia positiva sia negativa: più questa è intensa, più la narrazione potrebbe essere legata a noi e contribu-ire a definirci, sostiene Lewicka (2008). Le emozioni pos-sono essere definite come delle reazioni dell’essere umano a uno stimolo esterno e di conseguenza si può affermare che tendono a creare una qualche tipologia di conflitto. Bruner (1987) scrive di come, quando si racconta la storia di una vita che ha a che fare con la propria cultura, si va ad

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attingere a piene mani nelle memorie collettive e si va ge-neralmente a descrivere anche in minima parte la propria percezione della cultura in cui si vive. Bruner (1987) sostie-ne che l’autonarrazione ha un ruolo molto meno poetico e romantico e molto più di carattere cognitivo e linguisti-co: è un processo necessario alla strutturazione dell’espe-rienza percettiva, all’organizzazione della memoria e alla segmentazione e costruzione degli eventi chiave della pro-pria vita. Per questo l’autonarrazione tende a contribui-re in maniera decisiva alla costruzione e alla definizione dell’identità delle persone, che a loro volta compongono la parte umana della città. Uno degli elementi che fanno cambiare la nostra percezione della realtà può essere in-fatti identificato nelle narrazioni, derivate da ricordi ed emozioni provate nel luogo: una strada stretta può essere deprimente o molto romantica, un edificio abbandonato può essere poetico o terrificante. Le narrazioni tendono a modificare le memorie sociali e individuali che a loro volta influenzano il modo in cui agiamo nel mondo reale; Bru-ner (1987) porta all’estremo questo ragionamento.

In the end, we become the autobiographical narratives by which we “tell about” our lives. (Bruner 1987, p.4)

L’influenza sulla realtà è il motivo principale per cui qui si ipotizza che lavorare attraverso le narrazioni sull’identità di un luogo potrebbe contribuire in maniera importante alla definizione delle memorie collettive legate al luogo,

realtà percezionedella realtà

narrazionedella percezione

memoriacollettiva

memoriapersonale

↑ FIGURA 1.2.17 ◆ Rapporto tra realtà, percezione, narrazione e memoria (Michele Crivellaro, 2014)

83Elementi Teorici / Narrazione e Identità

avendo di conseguenza un forte impatto sulla sua perce-zione e sull’azione dell’uomo su di esso. Alla base di que-sto processo dovrebbe tuttavia essere posta l’idea che come non esistono una narrazione e una memoria giuste, come non esiste neanche un’identità giusta. Anche se si pensasse a quali potrebbero essere le caratteristiche adeguate dell’i-dentità del luogo secondo un’etica comune, questo non ne garantirebbe l’inclusività.

IL RUOLO DEL DESIGN

L’approccio costruttivista come visto finora tende ad avere un procedere circolare: la realtà viene percepita, interpre-tata, narrata e trasformata in memoria, che a sua volta porta a un cambio di comprensione della realtà circostante e quindi anche dell’azione dell’uomo su di essa. Sterman ha teorizzato un meccanismo circolare, da me riportato in figura 1.2.18, che tende a ripetersi in continuazione, si-mile a quello di Fuller e Maffei nell’ambito del design (cfr 1.3.2), ma astratto dall’aspetto progettuale. Il processo in questione parte dal mondo reale, dal quale vengono elabo-rate delle informazioni di ritorno che portano (come an-che Maffei e Fuller sostengono) da una parte alle decisioni e dall’altra a dei modelli mentali del mondo reale, che a loro volta portano all’elaborazione di strategie, strutture e regole decisionali che conducono alle decisioni. Queste ultime possono agire in maniera più o meno rilevante sul mondo reale, che ne può quindi risultare cambiato e da cui si può cominciare un nuovo processo di informazio-ni di ritorno, modelli mentali e strategie (Sterman 1994). Psyllidis & Biloria (2013) chiamano questo processo di cambiamento e adattamento della realtà circostante un meta-sistema, perché sostengono che sia un apparato fina-lizzato al cambiamento del complesso della città. I due so-stengono che questo processo, se attuato in modo decen-tralizzato ma interconnesso, potrebbe portare ad avere un forte impatto su scala urbana, portando alla luce risultati non prevedibili. Aggiungono inoltre che se si interagisse in questo modo con i sistemi complessi adattivi delle cit-

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tà, questi potrebbero cominciare a mutare in meglio in base all’ambiente che li circonda per provvedere autono-mamente alle loro necessità. Questo approccio prospetta fondamentalmente una città che continua a migliorare l’efficienza dei propri servizi. Su questa struttura circolare si innestano quindi molti obiettivi, tra cui quelli legati al senso del luogo. Per innescare un processo del genere, l’a-nimatrice Rose Bond sostiene come il ruolo poetico della narrazione animata possa avere molto più impatto rispet-to all’informazione definita oggettiva.

The mix of architecture and animation […] has the potential then not only to illustrate events but also to actually resound or rever-berate with the past. (Bond 2011, p. 75)

La narrazione in combinazione con l’animazione potrebbe avere quindi la capacità, se usata con il medium e il lin-guaggio giusto, di scatenare le memorie emotive, che sono quelle che riescono a modificare a catena le altre. Instal-lazioni come quelle progettate da Apparati Effimeri in figura 1.2.19 e da Urbanscreen in figura 1.2.20 riescono con succes-so a combinare architettura, narrazione e animazione per risuonare con il passato del luogo in cui si svolgono. Esem-pi in questo senso possono essere anche Imo (cfr A.1.9), Ga-tes of Light (cfr A.1.7), Light in the Street (cfr A.1.12) e Things Chan-

mondo realemondo reale

informazionidi ritorno

informazionidi ritorno

modelli mentalidel mondo realemodelli mentalidel mondo reale

strategie, strutturee regole decisionalistrategie, strutturee regole decisionali

decisionidecisioni

↑ FIGURA 1.2.18 ◆ Informazione di ritorno in Learning in and about complex systems, John Sterman, «System Dynamics Review» X/2-3 (1994) pp. 291 - 330: 296→ FIGURA 1.2.19 ◆ Apparati E±meri, La grande Illusione, 2013 Soncino, Cremona, Italia (Apparati E±meri, 2013)↘FIGURA 1.2.20 ◆ URBANSCREEN, Rice University Centennial, 2012 Huston, Texas, USA (URBANSCREEN, 2012)

85Elementi Teorici / Narrazione e Identità 85Elementi Teorici / Narrazione e Identità

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87Elementi Teorici / Narrazione e Identità

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→ FIGURA 1.2.21 ◆ La Sortie de l’usine Lumière à Lyon (Auguste e Louis Lumière, 1895)

ge (cfr A.1.18): tutti e quattro uniscono narrazione, poesia e luogo per avere l’impatto maggiore possibile sull’utente dello spazio urbano. Un impianto metodologico di questo tipo potrebbe essere un ottimo modo per arrivare alla di-scussione e ridefinizione dell’ethos del luogo attraverso modalità il più democratiche e inclusive possibile, ma che abbia tuttavia ben presente dove vuole arrivare. Come sostiene Gospodini (2002), una discussione sull’ethos po-trebbe portare a una sua maggiore definizione, a cui cor-risponderebbe un più facile attaccamento al luogo che potrebbe far crescere il senso di comunità, il quale a sua volta potrebbe portare a una maggior cura verso l’ambien-te urbano, un maggiore coinvolgimento nell’attività pub-blica e a una crescente sicurezza reale e percepita.

NARRAZIONE AUDIOVISIVA E IDENTITÀ

Partendo dall’apparato teorico espresso finora si può com-prendere perché la narrazione sia così importante in am-bito urbano: può essere capace di ricucire ferite, spiegare fenomeni e dare voce a chi non ne ha. Lynch (1960) sostie-ne che la città, in maniera simile all’architettura, sia una costruzione spaziale di vasta scala e di conseguenza possa essere percepita solo nel corso di lunghi periodi. Il risul-tato prospettato è un insieme di sequenze temporali in-vertite, interrotte, abbandonate e tagliate che si possono manifestare con il degrado urbano. Comunicare queste se-quenze temporali in modo vivido e inclusivo potrebbe es-sere possibile perché sia il mezzo che l’argomento hanno a che fare con la gestione del flusso temporale. C’è stato da sempre un legame speciale tra città e narrazioni, di qua-lunque medium queste facessero uso: dai libri al cinema, dal teatro all’animazione, la città sembra sia sempre stata un luogo privilegiato. I primi film dei fratelli Lumière rac-contavano il loro tempo, il cambiamento e l’ambiente ur-bano: il treno che entra in stazione, i lavoratori che escono dalla fabbrica in figura 1.2.21, la colazione di un bambino, la demolizione di un muro o un gruppo di congressisti in

89Elementi Teorici / Narrazione e Identità

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arrivo in città. Questi erano e sono tuttora paesaggi e im-magini che tendono a richiamare immediatamente nel-la nostra mente la vita quotidiana della gente comune, e sono visioni che tendono a creare la struttura stessa della società, così come sostengono Galbiati et al.:

On one hand, the urban space found in the filmic image another instrument of analysis and representation of its own shape. On the other, cinema immediatly gazed on the nature of western me-tropolis, so that we can say that the filmic imagery itself, since its first appearence, was predominantly urban. (Galbiati et al. 2010)

In questo senso, il neorealismo ha contribuito, dopo la se-conda guerra mondiale, a costruire l’identità delle città di Milano e Roma attraverso i racconti delle storie di vita dei loro abitanti. Seguendo questa linea di pensiero, nel momento in cui si crea un artefatto audiovisivo che tratta della città è particolarmente difficile evitare di narrarne la struttura sociale, cosa che di conseguenza tende a mo-dificare la percezione del luogo di chi ha fruito l’artefatto. Esemplare in questo senso è l’immagine che abbiamo di Berlino, che è formata da Der Himmel über Berlin, in figura 1.2.22; Goodbye Lenin!,in figura 1.2.23; Lola rennt,in figura 1.2.24; i filmati della caduta del muro e i filmati di propa-ganda del nazismo. Queste narrazioni hanno tutte un ele-mento essenziale in comune: la drammatizzazione di un conflitto esistente in ambito urbano, facendolo diventare qualcosa di basilare per l’ethos del luogo. Questo è il vero punto di forza della narrazione audiovisiva, sostengono Galbiati et al.

Just like any other form of narrative expression, cinematographic storytelling does not record data of reality, but necessarily tells sto-ries through a mise en scène. To the objectivity of scientific descrip-tion audiovisual language opposes narrative subjectivity, which blends elements of real and imaginary ones in order to return a representation of reality that is not exact, but authentic - and the-refore likely and plausible - as we perceive it. (Galbiati et al. 2010).

91Elementi Teorici / Narrazione e Identità 91Elementi Teorici / Narrazione e Identità

↑ FIGURA 1.2.22 ◆ Der Himmel uber Berlin (Il cielo sopra Berlino, Wim Wenders, 1987)↓ FIGURA 1.2.23 ◆ Goodbye Lenin! (Wolfgang Becker, 2003)

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93Elementi Teorici / Narrazione e Identità

La drammatizzazione sembra essere quindi essenziale per permettere alle persone di sperimentare il conflitto emo-tivo da un punto di vista esterno e prendere parte alla nar-razione, assorbirla nella propria esperienza e poi usarla per migliorare la propria esperienza della realtà. Narran-do momenti, creando storie e lavorando sull’immaginario collettivo, i manufatti audiovisivi hanno creato non solo delle tracce di ciò che stava accadendo nel mondo, ma han-no gettato dei ponti tra quegli strati di realtà della città stessa che sono percettibili ma non percepibili (cfr 1.4.3). Questi strati, sottolinea Galbiati (2007), sono quelli fatti di credenze, valori, relazioni tra le persone, miti e azioni: sono quelli che creano, in congiunzione con l’immagine, l’ethos del luogo stesso. Nella narrazione del presente, del passato o del futuro della città vi può essere quindi la de-finizione della sua identità. L’interdipendenza tra narra-zione, memoria e percezione del luogo fanno sì che cam-biando uno qualsiasi di questi elementi si possa ottenere cambiamenti nel mondo reale sul periodo medio lungo. Va sottolineato, infine, che questo processo può essere difficilmente svolto da un gruppo ristretto di persone ma richiede una certa dose di partecipazione e apertura verso gli attori coinvolti nella realtà in cui si vuole intervenire.

1 Per Sjuzet Bruner intende l’intreccio.2 Da non confondere con l’ethos della città come definito in 1.1.2 / Ethos del luogo.3 Il costruttivismo radicale è una corrente epistemologica, nata negli anni settanta del

novecento, che parte dal rifiuto del concetto di “realtà obiettiva” e sostiene, di conse-guenza, che la realtà percepita dall’essere umano sia il risultato di processi cognitivi atti alla sua costruzione.

← FIGURA 1.2.24 ◆ Lola Rennt (Lola corre, Tom Tykwer, 1998)

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95Elementi Teorici / Partecipazione

Guardando al passato, si può notare come tendano ad av-venire intensi periodi di innovazione sociale in seguito alla diffusione di nuove tecnologie nella società o quan-do questa presentava problemi estesi da affrontare. Negli ultimi decenni sono entrate nell’uso comune della nostra società numerose nuove tecnologie, creando un poten-ziale sviluppo tecnologico che tuttavia è ancora in gran parte fermo. Questi cambiamenti stanno portando a una maggiore interconnessione sistemica e sociale e a una ri-definizione delle reti di relazioni in chiave democratica e paritaria. Il coinvolgimento degli utenti nella creazione di contenuti e nella costruzione della vita sociale comune è diventata qualcosa di essenziale nel momento in cui si vuole creare o ridiscutere qualcosa a livello sociale, soprat-tutto nelle città. Il ruolo del designer in questo insieme di cambiamenti viene costantemente ridefinito, perché spesso sia la sua autorità sia la sua autorialità sono messe in discussione.

1.3

PARTECIPAZIONE

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97Elementi Teorici / Partecipazione

1.3.1 ◆ NETWORK SOCIETY

The family circle has widened. The worldpool of information fa-thered by electric media […] far surpasses any possible influence mom and dad can now bring to bear. (McLuhan 1967, p.14)

McLuhan scriveva così nel 1967 sull’influenza che i media elettrici possono avere sulla persona, fenomeno che secon-do Castells (1996) si è esteso a tutta la società, portando lo studioso a coniare la definizione di Network Society. Que-sto termine indica una serie di fenomeni relativi ai cam-biamenti sociali, economici, politici e culturali causati dall’aumento pervasivo delle informazioni digitali e delle tecnologie della comunicazione. Flusser (2003) sostiene che questi fenomeni hanno portato a uno spostamento dell’attenzione pubblica senza precedenti nella storia da-gli oggetti fisici all’informazione e alla conoscenza. La co-seguenza di questo processo, sostiene McLuhan (1967) è la mutazione del nostro modo di pensare, agire e percepire il mondo, che a sua volta ha portato alla trasformazione della comunicazione in un’entità fluida, onnipresente e invadente, in cui il confine tra privato e pubblico si sfuoca sempre più. È stato suggerito che questo mutamento po-trebbe portare all’isolamento della singola persona e allo svuotamento del significato sociale di alcuni luoghi a fa-vore di quelli digitali. Tuttavia Galbiati & Piredda (2012) so-stengono come questo fenomeno non si stia verificando, perché l’essere umano ha una predisposizione sociale in-nata difficilmente verrà fermata dalla continua digitaliz-zazione avanzante, ma eventualmente mutata. In modo particolare le ultime generazioni, scrive McLuhan (1967), cercano nuovi modelli di comprensione della realtà circo-stante che possano essere inclusivi e non riduttivi della complessità del mondo. Questo approccio, scrive Meloni (2011), sta portando a una ridefinizione del concetto di co-munità che, da un’accezione legata alla fisicità del luogo e delle persone, sembra stia diventando un modello collet-tivo e astratto che si opera per la sostituzione delle logiche

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gerarchiche con quelle partecipative. La democratizzazio-ne della creazione, fruizione e condivisione di informazio-ni può essere quindi considerato un processo in atto che sta portando a cambiare come noi vediamo il mondo.

INTERCONNESSIONE

Rushkoff (2009) scrive di come agli inizi dell’era di inter-net larghe fasce della popolazione abbiano celebrato il decentramento di poteri derivato dalla nuova tecnologia, che credevano si sarebbe verificato (in seguito) a ogni livel-lo della società. Hanno visto nei nuovi media la nascita di una collettività vera, sociale, umana e organica, caratte-rizzata dall’applicazione del concetto di rizoma, invece di essere controllata e artificiosamente divisa da ideologie, confini di classe, nazioni, genere o ruolo. La struttura ri-zomatica è quella di alcune piante, come le ninfee, lo zen-zero o le fragole, che presenta caratteristiche orizzontali e non gerarchiche, in cui ogni parte è in grado di produr-re sia i germogli sia le radici di una nuova pianta. Nello stesso modo in cui ogni parte della pianta rizomatica è in grado di dare origine a un nuovo essere, un modello so-ciale rizomatico dovrebbe negoziare costantemente ruolo e significato, anziché assorbire questi ultimi da qualche autorità centrale, come illustrato in figura 1.3.1.McLuhan (1967) scrive di come nell’arco di qualche decen-nio il concetto di dialogo si sia spostato dall’essere fisico e

modello gerarchicomodello gerarchicomodello rizomaticomodello rizomatico

↑ FIGURA 1.3.1 ◆ Diµerenza tra la struttura del modello rizomatico e quello gerarchico (Michele Crivellaro, 2014)

99Elementi Teorici / Partecipazione

ristretto a un numero limitato di persone a una sua versio-ne digitale, mediatica e globale. Questo cambiamento, so-stiene, ha spostato i rapporti di forza perché nel momento in cui il dialogo aumenta, la propaganda tende a diminu-ire. Così, se l’influenza dei media e delle tecnologie per la comunicazione aumentasse, come effettivamente sembra stia avvenendo, il loro potere sulle decisioni delle persone potrebbe diminuire perché ne avrebbero fatto aumentare il potere di dialogo. La libertà di condivisione, di comuni-cazione e di informazione può essere considerata sempre più un principio non negoziabile soprattutto nella realtà urbana. Low (1996) scrive che in modo particolare nella città gli abitanti sono spinti a condividere informazioni a causa dell’ambiente che li circonda, composto da un’in-credibile densità di persone, informazioni, costruzioni e attività economiche. Per comprenderle a fondo gli esseri umani possono avere bisogno della maggiore condivisione di informazioni possibile: per orientarsi nello spazio, nel-le attività umane e nella società.La comunicazione in mobilità ha modificato drasticamen-te la percezione dello spazio e della distanza. La geoloca-lizzazione, cioè quell’informazione associata a un dato, che ne fornisce il luogo in cui è stato generato, permette di far avvicinare sempre di più la comunicazione digitale ai luoghi reali. Augé (2006) sostiene che queste innovazioni tecnologiche stiano ridefinendo la mobilità verso un con-cetto che non comprende più solo quella spaziale, ma si estende a quella temporale e di significato, facendo sì che l’informazione assuma caratteristiche che il filosofo defi-nisce “liquide”. L’uso di quest’ultimo termine si riferisce al fatto che le nuove tecnologie e mezzi di comunicazione pervasivi consentono nuovi tipi di connessioni, spingono a condividere di più e scuotere la nostra idea di privato e pubblico e di tempo e spazio, come scrive McLuhan:

Electric circuitry has overthrown the regime of “time” and “spa-ce” and pours upon us instantly and continuously the concerns of all other men. It has reconstituted dialogue on a global scale. (MgLuhan 1967, p.16)

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Passato e presente, vicino e lontano tendono quindi ad av-vicinarci sempre di più: gli eventi possono essere vissuti ovunque attraverso il mondo digitale e il passato, di con-seguenza, può venire continuamente riattualizzato. In questo contesto in rapido mutamento, abbiamo bisogno del maggiore scambio di conoscenze possibile per decidere come comportarci in una realtà che sembra muoversi sem-pre più velocemente. Nello stesso tempo accettiamo sem-pre di meno l’informazione confezionata, a favore di una condivisione peer-to-peer. Infatti, una persona può essere più incline a cambiare il suo comportamento se qualcuno intorno a lui che gode della sua fiducia ha già compiuto questo passo e ha avuto benefici da esso. La condivisione può avere quindi il ruolo di rendere più comprensibile una realtà circostante che sembra diventare sempre più com-plessa. Morin (2001) sostiene che la comprensione della complessità è diventata una capacità essenziale per vivere in questa realtà:

La necessità dell’era planetaria è quello di pensare di tutto, il rap-porto tra tutto e parti, la multidimensionalità, la complessità. (Morin 2001, p.64)

Il pianeta sembra essersi rimpicciolito: economia, cultura e società sono interconnesse le une con le altre come non lo sono mai state e Morin (2001) sottolinea come questo abbia reso l’interpretazione della realtà che ci circonda sempre più complessa. Tuttavia, le stesse tecnologie che ci permettono di aumentare la complessità dell’ambien-te che ci circonda, ci possono anche fornire gli strumen-ti per comprendere e relazionarci con questa crescente interconnessione fisica e concettuale. Il filosofo sostiene che la maggiore consapevolezza della persona, a proposi-to dell’interconnessione presente al mondo, può portare a uno spostamento delle opinioni della popolazione su scala globale, fenomeno che lui definisce controccorrente. Que-sta prevede un’inversione di idee, da quelle generalmente accettate ad altre, il cui nucleo principale è una visione

101Elementi Teorici / Partecipazione

ecologica, qualitativa e pacifica del mondo, con una forte resistenza allo stile di vita puramente utilitaristico e con-sumistico. Morin (2001) sostiene come questo fenomeno stia diventando sempre più importante nelle società occi-dentali, causando la crescita di una visione dialogica del mondo, caratterizzata da interazioni tra stati, persone ed entità. L’installazione simultanea in due luoghi diversi di SMSlingshot (cfr A.1.17) ha portato, contro ogni previsione, a un dialogo tra due luoghi e due culture diverse. Questo avvenimento può essere ritenuto sintomatico di una rin-novata disponibilità al confronto e alla discussione.

PARTECIPAZIONE

L’importanza, nel mondo digitalizzato, del coinvolgi-mento dell’utenza in azioni che siano sia di creazione di contenuto sia di interazione con lo stesso sembra crescere sempre più: oggi le persone, in particolare nelle società altamente informatizzate, si aspettano di poter intera-gire con gli artefatti o di partecipare alla loro creazione. La fruizione passiva sta lentamente declinando: Roberts (2013) scrive di come negli Stati Uniti d’America le persone che guardano i format televisivi a pagamento o gratuiti su qualunque medium sta diminuendo costantemente da parecchi anni a oggi. Un'analisi delle differenze tra i media pemette di coglierne le peculiarità, come mostrato in figura 1.3.2. I mezzi radiotelevisivi, come la televisione e la radio, sono stati utilizzati per forzare l’utente in un modello comunicativo “uno a tanti”, che tende a costrin-gere gli utenti a compiere solo una scelta: tenere il me-dium acceso o spento. Internet ci permette uno scambio bidirezionale del tipo “molti a molti”: le persone che scel-gono di accedere alla conoscenza di Wikipedia per esem-pio, sono potenzialmente le stesse che possono scriverla e modificarla. Tuttavia se da una parte è vero che internet ha offerto una piattaforma in grado di incoraggiare que-sta tipologia di strutture, dall’altra è grazie alle relazioni sociali delle persone che queste sono potute diventare di successo. Casi come Cantforget.it(aly) (cfr A.1.2) o Life in a day

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(cfr A.1.11) dimostrano come la partecipazione possa pro-durre artefatti qualitativamente elevati ed emotivamente coinvolgenti, grazie anche alle reti di relazioni umane.Le nuove modalità di creazione e uso di reti sociali possono generare modelli organizzativi ed economici basati sulle interazioni che erano difficili da immaginare fino a dieci anni fa. Un errore comune è la credenza per cui la parte-cipazione debba essere combattuta al fine di ottenere so-cietà organizzate. Laddaga (2011) sostiene che facendo così si rischia di trasformare le città nell’esatto opposto della situazione ottimale, cioè in ambienti funzionali ma rigidi a cui manca personalità, vibrazioni e vita urbana. La par-tecipazione attiva, scrivono Jégou & Manzini (2008), appa-re come possibile e in alcuni casi necessaria sia in struttu-re gerarchiche sia nella creazione di strutture innovative, perché capace di calamitare ampi numeri di persone inte-ressate e organizzarle con modalità rizomatiche al fine di costruire visioni e obiettivi comuni. I due sostengono che la società contemporanea, con le sue complessità e con-traddizioni, può essere vista come un enorme laboratorio di idee finalizzate a migliorare la vita di ogni giorno. Sem-bra che le persone stiano sperimentando nuove modalità di vivere la propria vita, come se non bastassero più i mo-delli sociali forniti fino a ora ma si sentisse l’esigenza di crearsene di nuovi, più sostenibili e più conformi all’idea di quello che il singolo ha della propria esistenza. Jégou & Manzini (2008) sostengono che per fare questo gli indi-vidui si stanno organizzando, associando e stanno speri-

televisione

uno a molti

videoconferenza

molti a uno

internet

molti a molti

↑ FIGURA 1.3.2 ◆ Diµerenza tra il modello comunicativo della televisione, quello della videoconferenza e quello di Internet (Michele Crivellaro, 2014)

103Elementi Teorici / Partecipazione

mentando nuove forme di composizione sociale e familia-re. Queste nuove modalità, sottolineano i due, tendono a sfidare le modalità di pensiero tradizionali e ad andare al di là delle polarità convenzionali su cui sono costruiti i modelli organizzativi comuni, come per esempio pubbli-co e privato, consumatore e produttore, locale e globale, bisogno e desiderio. In questo senso, Cantforget.it(aly) (cfr A.1.2) può essere ritenuto un caso rappresentativo: si trat-ta di una piattaforma web che comunica l’Italia attraverso contenuti generati da utenti principalmente non italia-ni e offre un servizio pubblico, quello di narrare i luoghi, pur essendo un’iniziativa privata. Le nuove tecnologie possono supportare gli sforzi degli utenti in tentativi di soluzione di problemi reali nel mondo reale, uscendo così dalla realtà virtuale e tecnologica. Se si rende il processo di scambio delle informazioni tra le persone più semplice e più facile, la volontà di queste di partecipare e di colla-borare potrebbe diventare sempre più forte. I processi de-stinati alla creazione attraverso la collaborazione, rispet-to a quelli che si basano sulla volontà di singole persone, tendono a essere inclusivi, ovvero possono coinvolgere più facilmente larghe fasce di popolazione nella loro creazio-ne. Non solo, ma Jégou & Manzini (2008) sottolineano che facendo così supportano le comunità creative e servizi di tipo collaborativo, innescando una spirale virtuosa che potrebbe influenzare anche la percezione che i singoli hanno del luogo in cui vivono.

We have just defined as social innovation: changes in the way in-dividuals and communities act to solve problems or to exploit new opportunities. (Jégou & Manzini 2008, p.31)

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1.3.2 ◆ DESIGN E PARTECIPAZIONE

The main activity of designers will be as social innovators. (Man-zini citato in Maffei 2009)

Manzini prende come definizione di innovazione sociale quella data dal programma EMUDE,1 che la descrive come l’insieme di cambiamenti nel modo in cui gli individui o le comunità agiscono per ottenere un determinato risul-tato. Viene specificato come in un primo momento queste innovazioni siano trainate più da cambiamenti compor-tamentali che tecnologici o commerciali, mentre in un secondo momento siano spinte tipicamente da processi di tipo bottom-up (Manzini 2006). Wikipedia definisce in-novazione sociale, i cui concetti sono illustrati in figura 1.3.3, come quell’insieme di strategie, concetti e idee nate da bisogni sociali potenzialmente di tutti i tipi, ma che tengano come obiettivo finale quello dello sviluppo e raf-forzamento della società civile e del senso di appartenen-za.2 Il senso di appartenenza va qui visto come un insieme dato sia dal senso di comunità sia dall’attaccamento al luogo (cfr 1.1.2). L’azione del design in questa direzione do-vrebbe essere quella di individuare un potenziale cambia-mento positivo e agire perché si realizzi. Per design sociale si può indicare quindi un progetto che ha come scopo quello dell’innovazione sociale: agire nella società con l’esplicito obiettivo di ottenerne un cambiamento in meglio. Smyth & Helgason (2013) sostengono che il design sociale ha il ruolo, come prima cosa, di riflettere la realtà, farne un’analisi critica e offrire all’utente una direzione per una possibile evoluzione.

Design plays a central part in our lives. It holds a mirror up to the human condition but it also points ahead to how things could be. (Smyth & Helgason 2013, p.1)

È quindi compito del design raccogliere del materiale che abbia a che fare con il mondo reale ed elaborarlo in qual-

105Elementi Teorici / Partecipazione

cosa che sia strettamente legato alla realtà e in contem-poranea riesca a proiettarla in un mondo di possibilità in cui le cose sono diverse e migliori. Galbiati et al. (2007) sostengono che il design sociale dovrebbe essere in grado di dar forma ai vari mondi soggettivi e definire le aspetta-tive e i bisogni delle persone coinvolte attraverso l’appro-priazione di immagini e stili di vita in grado di orientare le scelte delle persone. Per fare questo, il design dovrebbe essere in grado di discutere tutto il possibile, assumendosi pienamente un ruolo che gli appartiene, secondo le parole di Ettore Sottsass riportate da Dormer.

[Design] is a way of discussing society, politics and eroticism, food and even design. At the end it is a way of building up a possible figurative utopia or metaphor about life. (Dormer 1993, p.10)

Il design sociale ha già dimostrato alcune delle sue capaci-tà nel cambiare il comportamento di parti della popolazio-ne, o di far sì che alcune domande vengano in superficie, permettendo dialoghi e discussioni. Puggelli & Sobrero (2010) sostengono che il design debba stupire, sorpren-dere, far riflettere e discutere. Flusser (2003) sottolinea a proposito che, per quanto quello che si sta comunicando possa essere una visione ampiamente condivisa di cosa è giusto o sbagliato, si sta comunque spingendo verso una certa idea di ciò che si pensa essere buono. Questo ap-punto interessa particolarmente questa tesi perché, nel momento in cui si lavora sull’identità del luogo, sarebbe

strategie

sviluppo e rafforzamentodella società

bisogni sociali

ideeconcetti

senso diappartenenza

↑ FIGURA 1.3.3 ◆ Origini e finalità dell’innovazione sociale (Michele Crivellaro, 2014)

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opportuno non escludere in automatico valori che non ri-entrano nei canoni prestabiliti come una trascurabile mi-noranza. Andrebbero presi in considerazione, per poter eventualmente escluderli successivamente con la maggio-re consapevolezza possibile. Alla luce di ciò, la mediazione tra le persone coinvolte in un progetto, sembra diventare un elemento essenziale. Non solo perché può essere con-siderata uno strumento vitale per riuscire a far comunica-re tutte i vari individui coinvolti nel progetto, ma anche perché dovrebbe riuscire a mettere insieme in un unico artefatto un gran numero di visioni soggettive a volte pro-fondamente diverse.Maffei (2010), a proposito, definisce l’approccio al design che ne fa uno strumento atto non alla creazione di arte-fatti, ma all’organizzazione dei processi, come interazioni-sta. Un’interpretazione di questo tipo sembra condivisa da Friedman (2002) e Maldonado (1991) parte dal presupposto che una qualunque tipologia di progetto è fondamental-mente un processo di organizzazione di vari elementi tra cui attori, competenze, abilità, obiettivi e risorse.

Il progetto di design è dunque parte di un processo complesso di definizione della struttura, della forma, dell’uso, delle caratteri-stiche materiali e produttive, del senso simbolico culturale e so-ciale che il designer deve negoziare con altri attori in un processo

obiettivonegoziazione

praticacreazione

rigenerazioneattuazione di un processo

FullerMaffei

ambientedipendenza

interdipendenza

↑ FIGURA 1.3.4 ◆ Schema circolare di Maµei e Fuller (Michele Crivellaro, 2014)

107Elementi Teorici / Partecipazione

di evoluzione storica continua (che comprende sia l’artefatto che il sistema che lo specifica). (Maldonado 1991)

Parlare di design significa quindi, secondo questa visione, riferirsi a un processo di ideazione e pianificazione di atti-vità ben strutturate, funzionali al raggiungimento di un obiettivo. Cross (2000) sostiene come il ruolo del design sia quello di fornire una piattaforma di comunicazione libera ma mediata, comune alle arti, le scienze e la tecnologia. Il design, sostiene, dovrebbe essere uno studio accessibile a tutte le persone coinvolte nell’attività di creazione di mon-di artificiali, sia nel significato comunicativo, sia in quel-lo narrativo (cfr 1.2.1). Fuller (1969) suggerisce un “percor-so circolare”, visualizzato in figura 1.3.4, in cui il design si pone come mezzo non di creazione di artefatti ma di strut-turazione del processo. La sequenza prospettata ha origine dalla finalità, l’obiettivo a cui tende il processo, passa per la pratica e arriva infine alla rigenerazione. Quest’ultima fase dovrebbe portare a risultati che hanno come obiettivo quello di ricominciare il processo stesso. In una situazione ottimale questa ristrutturazione continua dovrebbe avere a che fare sia con le metodologie usate sia con il contenuto di cui ci si occupa, rendendo il designer responsabile delle sue scelte e, di conseguenza, data la forte vocazione uma-nistica prospettata da Fuller (1969), del rapporto tra design

ambiente urbano

design community

personaprogetto

interdipendenzainterdipendenza

↑ FIGURA 1.3.5 ◆ Relazioni tra la design community, l'ambiente circostante e tra gli elementi che ruotano intorno alla prima (Michele Crivellaro, 2014)

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e cultura. Maffei (2010) definisce un percorso simile che, partendo da un processo di negoziazione sull’artefatto, coinvolga tutti i possibili attori e in seguito continui con la definizione e la creazione dell’artefatto, per finire con l’attuazione di un processo a partire da quest’ultimo.Sia Fuller sia Maffei sostengono ci sia una connessione in-trinseca del progetto con l’ambiente circostante in cui va ad agire e in cui è stato sviluppato. Questo potrebbe porta-re a una dipendenza del primo verso il secondo nella pri-ma fase del progetto, cioè l’identificazione degli obiettivi, mentre nell’ultima fase, la ristrutturazione concettuale, si instaurerebbe un’interdipendenza. All’interno del per-corso di questa tesi, l’ambiente esterno è considerato quel-lo urbano, vissuto ed esperito da persone che lo influenza-no e instaurano un dialogo sopra di esso.Design community, visualizzata nella figura 1.3.5, è il nome che Maffei (2010) dà all’insieme di attori che ruotano e agiscono sul progetto: il ruolo del designer viene defini-to come quello di attivare il procedimento di attivazione dei processi che avvengono all’interno del gruppo. Questo obiettivo, fulcro dell’azione progettuale, può essere rag-giunto attraverso la creazione di una piattaforma comu-nicativa comune a tutti gli attori e la definizione di ruoli, meccanismi e ambiente progettuale.

Gli attori coinvolti costituiscono intersoggettivamente una comu-nione di linguaggi, condividono significati e accordi sociali, e dan-no un orientamento condiviso al proprio agire. Quindi, nell’azione progettuale è insita la negoziazione, che sta alla base della costi-tuzione e dell’agire della design community. (Maffei 2010, p.277)

Maffei (2010) descrive le componenti proprie dell’azione progettuale se considerata parte di un processo che coin-volge la design community:- L’essere situato, cioè la dipendenza del progetto da risorse intangibili, non misurabili e non trasferibili e da condi-zioni esterne che rendono unica ma replicabile l’azione di design;- La dipendenza dal percorso, cioè la connessione tra il percorso

109Elementi Teorici / Partecipazione

progettuale, mai del tutto programmabile, e il risultato finale;- La multiattorialità, cioè la caratteristica relativa al fatto che il processo implica necessariamente l’agire collettivo, l’intersoggettività e l’interdipendenza tra gli attori della design community;- La multiscalarità, cioè il fatto che le azioni di design tendo-no a produrre conseguenze scalari a domino, coinvolgen-do entità non prevedibili e rendendo di conseguenza non del tutto definibile a priori il risultato.Galbiati et al. (2012) sostengono che un processo proget-tuale di questo tipo faccia sì che la sfida per il design della comunicazione sia duplice. Da una parte dovrebbe riusci-re a riunire all’interno di un progetto la forma e la funzio-ne attraverso un coinvolgimento emozionale significativo da parte dell’utente. Dall’altra far sì che il maggior nu-mero possibile delle parti interessate nella realizzazione dello stesso possano comunicare in modo migliore e più efficiente.

Design culture and practice then is intended as a social process that enables the potential strength of consumers, critical consu-mption and co-production by creative communities, collaborati-ve networks and new forms of partnership and assumes the role of mediator and facilitator for this social process. (Galbiati et al. 2012, p.8)

Si sta suggerendo quindi un approccio per cui il design si pone come strumento di investigazione collaborativa indiretta dell’essere umano e delle relazioni che questo intreccia con le realtà circostanti, tangibili e non. Que-sta visione del rapporto tra design e mondo circostante si può riscontrare in Egoscópio (cfr A.1.5), installazione che ha come obiettivo quello di fare creare a una comunità un ente valoriale, attuando allo stesso tempo un’investi-gazione sul gruppo di persone che lo creano. In quest’ot-tica, si può considerare come obiettivo ideale quello di creare una piattaforma utile agli utenti per individuare, dialogare e riflettere su temi emergenti e problematiche

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comuni. L’artefatto comunicativo, secondo Smyth & Hel-gason (2013), dovrebbe riuscire a generare un processo di esternalizzazione dei pensieri e delle riflessioni, in modo tale da permettere nuovi processi percettivi basati sulla riflessione e la critica. In questo percorso, le narrazioni e le visualizzazioni agirebbero con l’intento esplicito di generare reazioni negli utenti e offrire spunti di rifles-sione finalizzati a portare una maggiore consapevolezza e comprensione a proposito di determinati fenomeni so-ciali e spaziali. Questo obiettivo è quello a cui punta Dun-ne (2005), il quale sostiene che il design potrebbe essere definito come un catalizzatore o una provocazione per il pensiero. In questo senso, la messa in discussione di luo-ghi comuni, rituali sociali, modelli personali, relazioni interpersonali e spaziali, potrebbe essere essenziale per lo sviluppo di una società consapevole delle proprie poten-zialità, come sostengono Smyth e Helgason.

The challenge facing design is how to make us more critical of our shared futures and to prompt us to question whose futures these really are and what form they might take; in short, to acknowled-ge that design can be a political act. (Smyth & Helgason 2013, p. 2)

L’atto politico di cui parlano i due va considerato con il si-gnificato del termine più ampio possibile, cioè relativo al vivere civile, alla vita associata, con riferimento alle nor-me che la regolano e all’azione propria di chi partecipa alla vita pubblica con azione, studio e impegno (Vocabola-rio Treccani 2013). Se si permette alle persone di coopera-re in un progetto reale comune, suggerisce Meloni (2011), queste potrebbero arrivare a fidarsi reciprocamente tanto da creare qualcosa che rifletta la fiducia stessa che le lega. A proposito, McLuhan (1967) afferma che il dilettantismo, inteso come processo sperimentale di apprendimento, po-trebbe portare allo sviluppo della consapevolezza critica complessiva dell’individuo e del gruppo verso le regole di base della società, attraverso un percorso di esplorazione.

111Elementi Teorici / Partecipazione

1.3.3 ◆ CONTENUTO GENERATO DAGLI UTENTI

Contenuto generato dagli utenti (user-generated content) è il nome che si dà a contenuti di qualunque tipologia che vengono prodotti da persone che possono essere allo stesso tempo i loro fruitori. Viene attivato su una piattaforma, generalmente web, sulla quale gli utenti possono caricare il loro artefatto e fruire di quelli degli altri. I limiti posti alla libertà di mettere online determinati contenuti pos-sono essere di tipo legale e contenutistico, con diversi gra-di di rigidità. Scopo di tale condivisione può essere di pro-durre qualcosa di utile ai più, far vedere al pubblico cosa si produce o semplicemente far divertire.Una caratteristica interessante di questa tipologia di ser-vizi è il loro potere di livellamento culturale intrinseco: si potrebbe affermare, infatti, che non esiste un contenuto che è ritenuto più colto di altri. Gli elementi presenti sul-la piattaforma sono miscelati in maniera eterogenea in modo tale da far sì che le persone che li usano diventino in larga parte responsabili delle proprie scelte di utilizzo ed eventualmente di produzione, rendendo questa tipolo-gia di piattaforme quasi degli specchi di ciò che gli uten-ti pensano e fanno. La riflessione di una realtà che non è quella fisica, si realizza attraverso le scelte di fruizione dell’utente stesso, che determina quali informazioni deci-de di fare proprie. Esempio è YouTube, piattaforma globale di condivisione video di proprietà di Google, in cui è pos-sibile trovare clip musicali di Nicki Minaj, in figura 1.3.6; interviste a Paul Watzlawick, in figura 1.3.7; video sui gat-ti, in figura 1.3.8, alla stessa distanza di qualche parola digitata e un click.Lo sforzo maggiore in questa tipologia di piattaforme è quello teso alla trasformazione di un’enorme quantità di dati in qualcosa che abbia caratteristiche qualitative. Un tentativo in questo senso è Life in a day (cfr A.1.11), lungo-metraggio in cui la produzione video è stata affidata agli utenti di YouTube, mentre la postproduzione è stata fatta

112112

↑ FIGURA 1.3.6 ◆ Screenshot del videoclip Starships di Nicky Minaj su YouTube (2014)

↑ FIGURA 1.3.7 ◆ Screenshot del video Causalità di Paul Watzlawick su YouTube (2014)↓ FIGURA 1.3.8 ◆ Screenshot del video The World’s Most Funny Cats Videos 2013 di papiaanifails su YouTube (2014)

113Elementi Teorici / Partecipazione

in studio, arrivando a una qualità visiva e narrativa sor-prendente.La partecipazione simmetrica, ovvero la capacità di invia-re e ricevere potenzialmente la stessa quantità di infor-mazioni, sta diventando qualcosa di molto importante, se non necessario, nella percezione di un servizio. Hecht & Gergle (2010) fanno notare come il contenuto generato dagli utenti è diventato una fonte essenziale per la raccol-ta di informazioni geografiche e sociali: dai luoghi di in-teresse a intere narrazioni su determinate città. Inoltre il fenomeno è stato in grado di rendere esplicito il potere che una moltitudine di persone ha di creare contenuti, spesso di qualità molto più alta di quella che ci si sarebbe aspet-tato, come nel caso di Wikipedia.L’intersezione tra design e contenuto generato dagli uten-ti è quella che Armstrong & Stojimirovic (2011) chiama no Partecipatory Design, cioè design partecipato. Questo comporta un certo grado di perdita di controllo da parte del designer a favore di una visione per cui il suo ruolo è quello di creare sistemi aperti in cui l’utente ha un ruo-lo attivo. Muovendosi in questa direzione, sottolineano Jégou & Manzini (2008), i progettisti dovrebbero essere in grado di proporsi quali specialisti di progettazione e col-laborare con una varietà di interlocutori interagendo con loro in modalità peer-to-peer. Più in generale, dovrebbe-ro considerarsi parte di una complessa tessitura di nuove reti fisiche e multimediali di progettazione che includono persone singole, aziende, organizzazioni no-profit, isti-tuzioni locali e globali, social network e piattaforme per contenuto generato dagli utenti. Queste reti dovrebbero utilizzare la loro creatività e imprenditorialità per pren-dere qualche concreto passo verso la sostenibilità, facendo così convergere innovazione sociale e contenuti generati dagli utenti.Galbiati & Piredda (2012) sostengono che il ruolo del desi-gn in un’ottica di questo tipo è quello di raccogliere im-magini, sentimenti e concetti comuni al fine di aiutare gli utenti a condividere le loro idee nei confronti di un determinato argomento e sviluppare un comune senso di

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benessere e appartenenza al luogo. Sia nella raccolta che nella produzione di contenuti, il coinvolgimento delle persone che hanno a che fare con l’argomento può essere essenziale per cogliere e analizzare aspetti altrimenti invi-sibili. Nel momento in cui l’utente è spinto alla riflessio-ne su un determinato argomento e riesce a comunicarla, ci si potrebbe muovere verso la creazione di una consape-volezza e opinione comune. Rendere tutte le parti interes-sate responsabili della generazione di contenuti potrebbe essere utile per creare qualcosa che non è pubblico solo perché la maggioranza coincide con l’utenza, ma anche perché è realizzato da quest’ultima. Dunque sia i proget-tisti sia gli utenti hanno la stessa ragione di essere coin-volti in una modalità progettuale di questo tipo: rendersi vicendevolmente consapevoli di qualcosa e farsi partecipi del processo di sviluppo della società. L’obiettivo potreb-be essere definito come una situazione in cui design della comunicazione sia il centro di un processo di scambio e creazione di contenuti che è aperto e coinvolge la maggior parte dei possibili utenti dell’artefatto finale.

CITTÀ E CONTENUTO GENERATO DAGLI UTENTI

La partecipazione nella creazione di contenuti da parte de-gli utenti nel contesto cittadino ha difficilmente contorni ben definiti, bianchi o neri, ma dipende da meccanismi complessi, scrivono Jégou & Manzini (2008). I contenuti creati direttamente dalle persone interessate attraverso meccanismi bottom-up sono spesso sostenuti da orga-nizzazioni con meccanismi partecipativi di quest’ultimo tipo, da vari tipi di intervento istituzionali e associativi e da imprese di tipo top-down. Secondo i due, per facilitare la comunicazione e la creazione di nuove realtà all’interno di questo quadro particolarmente complesso, l’ambiente in cui si va ad agire dovrebbe essere tollerante sia a livello sociale che giuridico, eventualmente attraverso modalità di amministrazione partecipativa. Non si sta parlando di flessibilità e partecipazione quasi anarchica, ma l’esatto opposto: si sta cercando di aumentare la libertà di espres-

115Elementi Teorici / Partecipazione 115Elementi Teorici / Partecipazione

↑ FIGURA 1.3.9 ◆ Screenshot del blog when-you-really-live-in-bremen.tumblr.com (2014)↓ FIGURA 1.3.10 ◆ Screenshot del blog iambremen.wordpress.com (2014)

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sione, ampliandola al maggior numero possibile di perso-ne, ma sempre tenendo d’occhio lo scopo finale. La flessi-bilità data da una partecipazione ampia, quindi, non deve essere vista come un’idea poco definita. Una reale capaci-tà di adattamento richiede uno scopo reale: Laddaga (2011) afferma che un artefatto può essere considerato adattabile nel momento in cui soddisfa uno scopo iniziale, consen-tendo allo stesso tempo trasformazioni future.Nel momento in cui lo scopo della condivisione di con-tenuti è quello di definire l’identità di un certo luogo at-traverso le persone che lo abitano, bisognerebbe tendere all’instaurazione di un dialogo tra la maggior parte delle differenti visioni individuali. Come visto in precedenza (cfr 1.1.1), il cambiamento, inteso come la trasformazio-ne dinamica derivante da processi evolutivi prodotti dalle azioni e movimenti, si verifica in ambienti urbani su base giornaliera. Le persone tendono ad adattarsi alle condizio-ni esistenti e a modificarle per soddisfare bisogni socia-li, economici e culturali, partecipando così alla creazione della città. Laddaga (2011) sottolinea che espressioni cul-turali pubbliche, attività non pianificate, usi temporanei e narrazioni pubbliche della realtà urbana possono essere visti come manifestazioni della volontà delle persone di trasformare i luoghi in cui vivono. Esempi in questo sen-so sono when-you-really-live-in-bremen.tumblr.com, mostrato in figura 1.3.9, e iambremen.wordpress.com, presentato in figura 1.3.10, i quali narrano la città di Brema secondo una visio-ne vivida e soggettiva, anche se spesso condivisa. Harvey (1989) sostiene che maggiore è il coinvolgimento in attivi-tà pubbliche, maggiore potrebbe essere l’attaccamento al luogo.

If everybody from the punks and rap artists to the yuppies and the haute bourgeoisies can participate in the production of an urban image through the production of social space, then all can at least feel some sense of belonging to that place. (Harvey 1989, p. 58)

L’esempio dato dal progetto Re-member (cfr A.1.15) va esat-tamente nella direzione di costruire l’ethos del luogo in

117Elementi Teorici / Partecipazione

1 http://www.sustainable-everyday-project.net/emude/2 http://en.wikipedia.org/wiki/Social_innovation

un senso partecipato, collettivo e pubblico attraverso l’in-stallazione di pannelli con frasi apparentemente banali. La partecipazione potrebbe quindi aumentare il senso di appartenenza, perché una persona in questo modo non guarderebbe o userebbe un determinato artefatto comu-nicativo solo perché interessante, ma perché potrebbe produrre qualcosa attraverso di esso, rilevare che uso ne hanno fatto le persone che conosce e di cui ha fiducia e os-servarne l’effetto nei luoghi in cui vive. Una possibile con-seguenza, prospettata da Jégou & Manzini (2008), della partecipazione in ambito urbano è quindi il rafforzamen-to del tessuto sociale e la generazione e messa in pratica di nuovi stili di vita più sostenibili.

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119Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

Nel periodo storico che stiamo vivendo, come visto in pre-cedenza, si sta assistendo a una nuova fase di impatto del-la tecnologia sulla società. La vita analogica e quella di-gitale sembrano intrecciarsi sempre più l’una con l’altra, sia nella sfera individuale sia in quella collettiva. I nostri telefoni cellulari riescono a mantenerci costantemente online e capaci di condividere quello che avviene nelle no-stre vite. Il concetto primario di hic et nunc, qui e ora, sem-bra essere di conseguenza sempre più difficile da definire.Le città in cui viviamo sono sempre più coperte da schermi che trasmettono messaggi commerciali e persuasivi mol-to specifici, rendendo l’esperienza urbana più sfaccettata e complessa che mai. Sembra le città stiano portando a un nuovo confronto il mondo digitale e quello analogico, mettendoli a contatto tanto stretto da forzare un dialogo. Si può affermare che le facciate mediatiche rappresentino un elemento che simbolizza in maniera esemplare questa nuova tensione tra analogico e digitale.

1.4FACCIATE

MEDIATICHE

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121Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

1.4.1 ◆ COSA SONOPer facciate mediatiche si intendono degli elementi architet-tonici o urbanistici che incorporano in sé dei media atti alla veicolazione di immagini in movimento. Una carat-teristica fondamentale delle facciate mediatiche è quindi la loro dualità: Nake, le definisce il luogo in cui avviene lo scontro tra analogico e digitale, visualizzato in figura 1.4.1.

The Media Façade is the locus of the struggle between things and signs. (Nake 2013, p.2)

Una parte chiamata le cose, che in termini semiotici può es-sere identificata con l’oggetto dinamico, ha a che fare con l’aspetto tangibile e fisico di questa tipologia di supporti: l’architettura e lo spazio urbano. L’altra parte, i segni, può essere associata al concetto semiotico di segno e interpre-tante e si occupa di tutto il mondo digitale e mentale, che non è tangibile ma è percepibile e percettibile.

+ !!

=architecture media media façade

clash

things signs thing & sign

↓ FIGURA 1.4.1 ◆ Definizione delle facciate mediatiche come unione di cose e segni secondo Nake (BRENNEREI Next generation lab, 2013)

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BREVE STORIA

Struppek (2002) sostiene che il primo utilizzo della luce nello spazio pubblico per scopi comunicativi finalizzati all’influenza del comportamento delle persone potrebbe essere considerato quello delle narrazioni nelle vetrate go-tiche, come quelle, ad esempio, della Cattedrale di Notre-Da-me a Chartres, mostrata in figura 1.4.2. Compiendo un salto temporale di parecchi secoli, Brianza e Favini affermano invece che il primo utilizzo dell’illuminotecnica artificia-le applicata agli edifici e all’ambiente urbano può essere rintracciato a Berlino e nelle grandi città europee negli anni Venti, come nel caso del De Volharding Building a L’Aia, mostrato in figura 1.4.3.

Il termine Lichtarchitektur, o architettura della luce, è apparso per la prima volta nel 1927 sulla rivista “Licht und Lampe” a cura di Joachim Teichmüller. Il senso del vocabolo risiedeva nella nascita di una nuova epoca in illuminotecnica, dopo che già la lampada elettrica a incandescenza aveva aperto la strada alla nuova era. (Brianza & Favini 2010 p.21)

L’utilizzo dell’illuminotecnica nello spazio pubblico per scopi comunicativi è entrato in uso comune a New York negli anni trenta come si può notare in figura 1.4.4 attra-verso l’installazione di molte pubblicità sugli edifici, re-alizzate con luci al neon. Per capire la portata di questo cambiamento, bisognerebbe immaginare i visitatori che da città generalmente poco illuminate arrivino a Times Square trovandosi di fronte uno spettacolo di luci, un bombardamento visivo e cromatico difficilmente imma-ginabile e riproducibile all’epoca. Nel dopoguerra, nelle grandi città, soprattutto del mondo occidentale, divenne comune la costruzione di grandi magazzini attraverso un processo sempre più esplicito di cattura dell’attenzione dell’utente nello spazio urbano. Le Olimpiadi del 2008

→ FIGURA 1.4.2 ◆ Cathédrale Notre-Dame de Chartres, Chartres, Francia, 1193/1220 (Mossot, 2010)↘ FIGURA 1.4.3 ◆ Jan Buijs, De Volharding Building, L’Aia, Paesi Bassi, 1927/28 (Anonimo, 1928)↘ ↘ FIGURA 1.4.4 ◆ New York City at Night (Anonimo, 1935)

123Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

124124

125Elementi Teorici / Facciate Mediatiche 125Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

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a Pechino, i mondiali di calcio del 2010 in Sudafrica, e l’Expo 2010 a Shanghai hanno lasciato nelle città in cui si sono svolti un numero rilevante di facciate mediatiche, come mostrato nelle figure 1.4.5, 1.4.6 e 1.4.7, sancendo la propensione verso un’interazione sempre più stretta tra architettura, media e comunicazione visiva.A livello tecnico, prima i neon e poi l’utilizzo di schermi a cristalli liquidi LCD hanno messo a disposizione una fles-sibilità contenutistica in precedenza sconosciuta. In se-guito, i nuovi usi fatti dei diodi a emissione luminosa LED hanno fornito non solo più sostenibilità del mezzo attra-verso un consumo energetico decisamente più basso, ma anche una maggiore flessibilità d’utilizzo.Durante l’esperienza fatta presso BRENNEREI next generation lab (cfr 2.1), il gruppo di lavoro ha svolto una ricerca di tipo quantitativo sulle facciate mediatiche. Al fine di avere una panoramica delle tecniche, dei luoghi e degli usi usa-ti, sono state raccolte più di centoquaranta facciate mul-timediali, i loro progettisti, l’anno e altre informazioni essenziali, quali il luogo dell’installazione, la tecnologia impiegata e l’uso dell’edificio. Tale lavoro mi ha portato a realizzare una visualizzazione, qui riportara in figura 1.4.8, dei dati raccolti su scala temporale che è riuscita a offrire a colpo d’occhio le dimensioni di crescita quasi esponenziale che questo tipo di installazioni sta avendo nel mondo, con una varietà notevole di tecnologie e conte-nuti. La linea temporale del grafico è divisa in due parti: quella superiore raccoglie le facciate mediatiche perma-nenti, mentre in quella inferiore sono posizionate le in-stallazioni temporanee. Ogni facciata mediatica è stata rappresentata con un quadrato, il cui colore indica il con-tinente, il simbolo al centro raffigura la tecnica utilizzata per veicolare i messaggi mentre la texture di fondo mostra se è presente pubblicità, alta definizione e interattività. Lungi dall’essere una ricerca completa, questa visualizza-zione vuole essere un tentativo di offrire una visione d’in-sieme su dove le installazioni sono localizzate, la tecnica utilizzata e, soprattutto, il trend in crescita.

127Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

↑ FIGURA 1.4.5 ◆ PTW Architects, Beijing National Acquatics Center, Beijing, Cina, 2008 (Anonimo, 2010)

↑ FIGURA 1.4.6 ◆ Boogertman Urban Edge + Partners & Populous, Soccer City Stadium, Johannesburg, South Africa, 2010 (Dheerja, 2010)↓ FIGURA 1.4.7 ◆ Atelier Brückner, State Grid Pavilion, Expo 2010, Shanghai, China (Roland Halbe - Martin Retschitzegger, 2010)

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LEGENDA

asia

australia

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pubblicità

interazione

alta definizioneeuropa

lcd

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lampada a fluorescenza

proiezione

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↓ FIGURA 1.4.8 ◆ Media Façade Timeline, visualizzazione di dati realizzata da me all'interno di BRENNEREI. Il grafico è diviso in due parti: quella superiore cataloga le installazioni permanenti, mentre la zona inferiore riunisce quelle temopranee. Ogni quadrato indica un'installazione, categorizzando il continente in cui è, la tecnica utilizzata e se contiene pubblicità, prevede interazione o è in alta definizione. Da notare che, negli anni tra il 2008 e il 2012, la quantità di installazioni esce dallo spazio del grafico, pur non essendo rappresentate tutte. (Michele Crivellaro, BRENNEREI Next Generation lab, 2013)

129Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

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→ FIGURA 1.4.9 ◆ Asymptote Architecture, Yas Viceroy Abu Dhabi Hotel, Abu Dhabi, United Arab Emirates, 2009 (Anonimo, 2009)

TERMINOLOGIA E CARATTERISTICHE

Sebbene il fenomeno delle facciate mediatiche possa es-sere definito relativamente nuovo, è stato chiamato con molti nomi diversi a causa della sua notevole capacità di adattamento. A causa di questo continuo adattamento e fluidità nell’uso di tecnologie, la terminologia qui esposta non è fissa, in quanto vuole evidenziare delle tendenze in atto, senza la pretesa di codificarne l’uso. Media architecture è la definizione che si tende a dare a un edificio che fin dal-la sua progettazione prevede qualche tipo di medium lu-minoso, come lo Yas Viceroy Adu Dhabi Hotel, in figura 1.4.9). Schermo urbano è un termine che definisce gli schermi, ge-neralmente a cristalli liquidi, installati in modo aderente alla facciata: presente in maniera massiccia nelle metro-poli odierne, un caso interessante del suo utilizzo è il Lehr-man Brothers Building a New York, ora di proprietà Barclays, in figura 1.4.10. Le facciate dinamiche descrivono edifici in cui il medium è rappresentato dal movimento meccanico, il caso più indicativo in tal senso è l’Institute du Monde Arabe a Parigi, in figura 1.4.11. Infine, si fa riferimento a projection mapping laddove il contenuto multimediale è proiettato sulla facciata e di conseguenza non richiede l’installazio-ne di una struttura fisica sull’edificio. Quest’ultima tec-nica è utilizzato principalmente per i progetti temporanei con una forte tendenza artistica a scapito di quella com-merciale, come nell’installazione di Urbanscreen Lightning the sails sulla Sydney Opera House, in figura 1.4.12.Secondo Brianza & Favini (2010) i caratteri peculiari che contraddistinguono le facciate mediatiche sono sei.- La smaterializzazione dell’edificio in sé, che tende ad essere ancora più accentuata nel momento in cui questo non è isolato, ma è attorniato da costruzioni dello stesso tipo;- L’informazione veicolata dal medium, che va ad aggiunger-si all’informazione che l’edificio trasmette di per sé;- La personalizzazione, intesa come fluidità dell’aspetto e del-la sensazione che il medium può trasmettere all’utente.

131Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

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133Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

- L’interattività, che può essere implementata proprio grazie al fatto che si sta parlando di schermi o di una loro deri-vazione;- La flessibilità intesa come potenziale tecnico e comunicati-vo maggiore e difficilmente contenibile;- La sensorialità: la maggior parte di queste installazioni è a carattere visivo e ha a che fare con la vista in maniera molto più rilevante dell’edificio statico. Nonostante que-sto, alcune sperimentazioni hanno integrato elementi in-terattivi giocando con la luce, con il movimento o con il tocco.L’ultima caratteristica delle facciate mediatiche è che spesso devono funzionare senza emissioni sonore di ac-compagnamento all’immagine, perché generalmente, fa notare Struppek (2002), le leggi sull’inquinamento acusti-co non ne permettono l’uso in maniera costante. Eccezio-ni in questo senso possono essere artefatti come Fed TV (cfr A.1.6) e 555 Kubik (cfr A.1.10): il secondo perché un’instal-lazione temporanea, mentre il primo perché posizionato in una piazza circondata da edifici a uso commerciale o ricreativo. La mancanza della dimensione sonora fa uscire le facciate mediatiche dalla logica dell’artefatto audiovisi-vo, obbligandole spesso a veicolare contenuti con linguag-gi puramente visivi. Nonostante questo limite, nel caso di CASZuidas (cfr A.1.3) il supporto audio è stato fornito per mezzo dell’uso del proprio telefono cellulare, attraverso la creazione di un numero verde apposito.

← FIGURA 1.4.10 ◆ Jean Nouvel - Architecture Studio, Institut du monde arabe, Parigi, Francia, 1980 (Anonimo, Data incerta)↘ FIGURA 1.4.11 ◆ Kohn Pedersen Fox Associates, Lehman Brothers Building, New York City, New York, USA, 1999 (Gus Kubiak, 2013)↘ ↘ FIGURA 1.4.13 ◆ URBANSCREEN, Lighting the sails, 2012, Sydney Opera House, Sydney, Australia (URBANSCREEN, 2012)

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135Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

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1.4.2 ◆ MEDIUM E CONTENUTOIn qualsiasi tipo di comunicazione visiva sono presenti al-meno due elementi: il medium e il contenuto. L’uso che si fa del primo può essere ritenuto importante perché non si tratta solo di scegliere il mezzo in grado di comunica-re al meglio un determinato messaggio, ma anche quello che permette al contenuto di prendere forma al meglio e il cui messaggio implicito possa andare in accordo con quel-lo del contenuto. È importante utilizzare un medium che consenta al design della comunicazione di essere flessi-bile per adattarsi ai diversi obiettivi progettuali: il mezzo deve essere al servizio del design e non il contrario, sostie-ne Munari (1996). Quest’ultimo fa notare come qualsiasi mezzo deve essere utilizzato per le sue caratteristiche e le sue possibilità: forzare un supporto può portare a risulta-ti interessanti oppure disastrosi. Lupton & Phillips (2008) fanno notare che Albers e Moholy-Nagy avevano visto come l’arte e il design vengano trasformati dalla tecnolo-gia e dai nuovi media che questa crea. Nonostante questa mutazione, tuttavia, le loro idee erano rimaste profonda-mente umanistiche, sempre sottolineando il ruolo dell’in-dividuo sopra qualunque autorità. Questo approccio è sostenuto da Steiner (1978), che ha rilevato come i nuovi media possano permettere la riproducibilità dell’artefatto in copie potenzialmente infinite senza perdita di qualità. Il designer milanese sosteneva che il risultato di questa potenzialità doveva essere l’assunzione di una responsa-bilità maggiore da parte dei suoi autori: l’aumento del nu-mero di artefatti si può tradurre in visibilità nei confronti del pubblico e quindi, in una possibile maggiore influen-zabilità di quest’ultimo. Steiner (1978) aveva una visione sotto alcuni aspetti radicale: sosteneva che tutto dovesse essere coerente ed etico, facendo rientrare in questa defini-zione il rispetto per il destinatario, soprattutto nel momen-to in cui con relativamente poco sforzo masse rilevanti di persone avrebbero potuto usufruire di un messaggio visivo ed esserne influenzate. È una presa di responsabilità da parte di chi comunica condivisa sia da Manzini (citato in

137Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

Maffei 2009) sia da Simon (1998), i quali sostengono che il design sia fondamentalmente un processo teso a rendere il mondo un posto migliore per noi e per gli altri, avendo la consapevolezza di non riuscirci del tutto in nessun caso, come specificato da Flusser (2003). Schuijren interviene sul tema in un’intervista a proposito di CASZuidas, di cui è curatore.

If eighty percent of your possible audience is returning more than four days a week, you have to be really careful what you ask from them. And, of course, you also have to carefully decide what you offer to them, and how you offer it to them. (Schuijren 2009, p.147)

Con l’innovazione tecnologica degli ultimi decenni, il me-dium si è trasformato in un elemento molto rilevante in qualunque tipo di comunicazione: questa è un’evoluzione prevista già da McLuhan nel 1967, il quale affermò che non solo il messaggio ma anche l’intera società sono influen-zati dai media. Per questo motivo si ritiene è importante cercare di fare un’analisi delle facciate mediatiche, le qua-li possono essere considerate degli schermi paragonabili, con i dovuti distinguo, ai televisori. Questi, come tutti i media che funzionano attraverso l’energia elettrica, han-no la caratteristica di dover essere accesi per essere vivi: senza elettricità, il televisore diventa una scatola nera, un elemento nullo e quasi disturbante a livello spaziale che è nettamente in contrasto con il contenuto brillante il cui scopo è anche quello di far sognare e provare emozioni.

In television, images are projected at you. You are the screen. The images wrap around you. You are the vanishing point. (McLuhan 1967).

McLuhan (1967) scrive che la televisione è un mezzo di co-municazione che isola le persone che ne fanno uso nelle loro individualità e basa molto del suo potere sul fascino che gli utenti sviluppano per la propria mancanza di con-trollo e volontà decisionale su cosa deve essere percepito. Attraverso la sua penetrazione decennale nella struttura

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sociale e immaginativa si può sostenere che la televisione ha preparato il pubblico alla visione di immagini estrema-mente complesse, artificiali, con una forte distanza dalla percezione visiva naturale, nonostante gli sforzi continui verso tentativi di verosimiglianza. Per ogni tecnica capace di rendere più realistica una situazione, sembra ne siano nate altre capaci di andare nella direzione opposta. Brian-za & Favini (2010), a proposito, suggeriscono che la fine del secolo scorso ha segnato la nascita di una nuova cul-tura del vedere, caratterizzata da immagini frammentate e transitorie, informazioni brevi e modulari: pubblicità, brandelli di notizie, brani di informazioni, spezzoni pub-blicitari e riviste sempre più specializzate. Queste schegge di informazioni e di input tendono a rimanere, interagi-re, ricollegarsi e ricomporsi, andando verso un amalgama di cultura percettiva. Esempio in questo senso può essere considerato Re-site Project (cfr A.1.16), che collega spezzoni di vita reale con scene tratte da film più o meno famosi. L’utente medio informatizzato sembra sempre più abi-

Gates of lightGates of light

Re:siteProjectRe:siteProject

NosyNosy

City Bug ReportCity Bug Report

SMSlingshotSMSlingshot

uno a moltiuno a molti

interattivointerattivo

reattivoreattivo

organicisticoorganicistico

top-downtop-down bottom-upbottom-up

BlinkenlightsBlinkenlights

ImoImo

Light in the streetLight in the streetThings changeThings change

Fed TVFed TV

Glimpses of the USAGlimpses of the USA

KubikKubikCASZuidasCASZuidas

Life in dayLife in day

Re-memberRe-member

EgoscopioEgoscopioPeople’s Portrait ProjectPeople’s Portrait Project

↑ FIGURA 1.4.13 ◆ Modalità contenutistiche delle facciate mediatiche (Michele Crivellaro, 2014)

139Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

tuato a un bombardamento di immagini in movimento di breve o media durata, che richiedono una soglia di at-tenzione medio bassa. Glimpses of the USA (cfr A.1.8) usa la frammentazione sia temporale che spaziale per due fina-lità: da una parte veicolare una quantità di informazioni altrimenti impossibile, dall’altra sopraffare l’utente con un forte impatto emotivo. I trailer cinematografici, la te-levisione e le facciate mediatiche tendono ad avere un im-patto visivo forte e puntano a intercettare l’utente dello spazio urbano qualunque cosa stia facendo, per qualunque durata temporale la persona sia disponibile. Questa brevi-tà dei contenuti, pur andando incontro alle esigenze della vita quotidiana, rende difficile un’attenzione prolungata verso un medium, cosa che tende a supportare il pensiero associativo a scapito di uno più ragionato. Dorfles, a pro-posito di questo tema controverso, pone l’accento sull’im-patto negativo del bombardamento dell’informazione.

La sensorialità dell’uomo contemporaneo viene minata dal bom-bardamento immaginifico di cartelloni pubblicitari e spot televi-sivi, cosicché l’ambiente contemporaneo è saturo di colori e luci ventiquattro ore su ventiquattro. (Dorfles 1997)

La perdita di sensorialità dell’uomo di cui parla Dorfles sembra molto dipendente dalla tipologia di sistema con cui i contenuti delle facciate mediatiche vengono creati. Wachlowsky (2011) struttura le varie tipologie di approc-cio contenutistico delle facciate mediatiche sia in base a chi produce un determinato contenuto, sia in base a come questo interagisce con l’utente, da me visualizzate in fi-gura 1.4.13. La prima, più semplice, è quella uno a mol-ti, in cui contenuti predefiniti sono mostrati, eventual-mente a rotazione, sul medium. La modalità interattiva si basa sull’interazione da parte degli utenti con la faccia-ta mediatica, usando altri strumenti, come ad esempio i cellulari. La modalità reattiva si basa sull’uso di sensori che si attivano con l’azione delle persone circostanti e par-tendo dai dati raccolti elaborano artefatti video basati sui dati in ingresso con livelli variabili di alterazione. Infine,

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la modalità organicistica si basa invece su un approccio ambientale, in cui una serie di sensori di diversa tipologia registrano la realtà circostante, la trasformano in dati ed elaborano delle visualizzazioni. A livello contenutistico, essendo, di base, media comparabili a schermi, possono essere usati per produrre contenuti sia attraverso una si-stema top-down, sia con uno bottom-up.

ONLYGLASS

Le facciate mediatiche prese considerazione sono quelle che offrono, in qualche misura della trasparenza, cioè dei media la cui tecnologia permette di vedere attraverso di essi e in contemporanea percepirne il contenuto. Non de-gli schermi urbani quindi ma degli elementi architetto-nici o urbanistici che permettono di trasmettere dei mes-saggi in maniera volontaria attraverso artefatti visivi in movimento. Questa è la tipologia di facciata mediatica di ONLYGLASS (cfr 2.3), un prodotto che combina due pannel-li di vetro tra i quali sono posizionati dei circuiti verticali larghi 4mm su cui sono installati i LED, che illuminano quindi solo da un lato. I pixel sono dei led quadricromi (RGB e bianco) e la risoluzione per metro quadrato è data dalla distanza tra questi, come si può notare in figura 1.4.14. Quella minima offerta da ONLYGLASS è di 20mm, che permette di avere l’altra risoluzione su una superficie di 28 metri quadrati. La distanza tra i circuiti assicura il 90% di trasparenza da entrambi i lati a medium spento, come mostrato in figura 1.4.16, mentre quando è acceso, data la luminosità emessa da un lato, è difficile percepi-re cosa ci sia dietro di esso se si osserva il suo contenuto, come si può osservare in figura 1.4.15. La particolarità di questo medium è quindi il suo essere uno schermo che è anche trasparente, caratteristica che offre al prodotto la possibilità di essere molto poco invasivo nel momento in cui non è acceso, perché diventa poco più che una superfi-cie di vetro. Questa trasparenza porta a una percezione so-vrapposta che, se da una parte può essere confusionaria, dall’altra può offrire opportunità comunicative inedite,

141Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

sia se si utilizza ONLYGLASS in abito architettonico, cioè come sostituto mediatico delle pareti vitree di un edificio, sia se usato come oggetto fisico posizionato in uno spazio urbano. La sua trasparenza permette di sovrapporre in tempi molto veloci la realtà tangibile del luogo in cui il medium è installato e la realtà digitale o quella dei pensie-ri, resa pubblica attraverso artefatti di comunicazione vi-siva. Per percepire questa sovrapposizione con altre moda-lità è necessario indossare degli occhiali, usare smartphone o tablet, in altre parole farlo di proposito, usare uno stru-mento per avere informazioni, per vivere un’esperienza. ONLYGLASS permette alla persona di vivere questa tipolo-gia di percezione semplicemente trovandosi nel luogo in cui è installato.

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143Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

↑ FIGURA 1.4.15 ◆ ONLYGLASS, esterno (Brennerei Next Generation lab, 2013)← FIGURA 1.4.14 ◆ ONLYGLASS, esterno ravvicinato (Brennerei Next Generation lab, 2013) ↓ FIGURA 1.4.16 ◆ ONLYGLASS, interno (Brennerei Next Generation lab, 2013)

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1.4.3 ◆ FACCIATE MEDIATICHE E CITTÀ

Il rapporto tra media e spazio pubblico urbano porta con sé una serie di problematiche molto dibattute: McLuhan (1967) sostiene che i media tendano ad alterare l’ambien-te estendendo i nostri sensi e mutando il nostro modo di pensare, agire e percepire il mondo. Struppek (2002) sotto-linea che finora uno dei principali obiettivi delle facciate mediatiche è stato quello commerciale, quello di influen-zare il comportamento dei consumatori per ottenerne un vantaggio. Sempre più studiosi e progettisti si sono chiesti come poter utilizzare questi media per scopi socia-li, pianificando installazioni nello spazio urbano con un approccio centrato sull’essere umano, impiegando questa tecnologia per migliorare la vita degli abitanti.

STRATIFICAZIONE

Uno dei risultati delle numerose trasformazioni sociali e tecnologiche avvenute negli ultimi anni è l’affermazione del concetto di stratificazione della realtà, con il quale si va verso la ridefinizione del concetto di spazio, che sembra diventare un’entità astratta e composta da più elementi più o meno fisici, visualizzati in figura 1.4.17 (cfr 1.3.1). Questo fenomeno può essere spiegato con una visione tri-partita della realtà, che va dallo stato più materico a quel-lo più astratto. Alla base si piò affermare ci sia il mondo fi-sico, tangibile, del luogo; cui si può sovrapporre il mondo digitale, percepibile, che è formato da tutti quei dati che hanno a che fare con il luogo fisico. Infine c’è il mondo delle idee, formato dalle percezioni soggettive del luogo e dalle memorie sociali e personali relative a questo (cfr 1.1.2).Questa modalità di interpretazione della realtà si può so-stenere si sia verificata a partire dal momento in cui esi-stono le memorie del luogo e la possibilità di comunicarle

145Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

attraverso un medium. La novità è la profonda connessio-ne tra il mondo fisico, quello digitale e quello delle idee, la cui causa prima può essere identificata nell’introduzione nelle nostre vite private e pubbliche di alcuni cambiamen-ti tecnologici che hanno portato a cambiamenti scalari. Le città sembra siano invase da tecnologia e schermi: smar-tphone, internet mobile, schermi urbani e geolocalizza-zione occupano gli spazi digitali e fisici nelle città. Queste tecnologie hanno spinto alla creazione di nuove connes-sioni spazio temporali e tendono a farci vivere meno nel qui e ora e più in altri tempi e in altri luoghi. La realtà sembra essere percepita sempre di più come un’entità stratificata e composita a livello sia spaziale sia tempora-le. Psyllidis & Biloria (2013) suggeriscono una visione in cui gli strati di significato di cui sopra si compenetrano, creando ciò che l’essere umano percepisce. Questa visione è condivisa da Struppek (2002), che sostiene come l’ideale sarebbe cercare di unire gli spazi urbani con quelli virtua-li e ridefinire quello che è lo spazio pubblico mettendo al centro l’essere umano che lo vive. Il risultato di questa fu-sione tra mondo fisico e digitale può essere descritta come una serie di realtà composite e sempre più intrecciate, che secondo Galbiati & Piredda (2012) faranno molta fatica d’o-ra in poi a fare meno l’una dell’altra.

mondo fisico luoghimondo fisico luoghi

mondo digitale dati geolocalizzati o relativi a luoghimondo digitale dati geolocalizzati o relativi a luoghi

mondo delle idee memoria del luogo, ethosmondo delle idee memoria del luogo, ethos

tangibiletangibile

percepibilepercepibile

percettibilepercettibile

↑ FIGURA 1.4.17 ◆ Stratificazione della realtà (Michele Crivellaro, 2014)

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Abbiamo quindi identità ibride, esistiamo anche su altri e nuovi piani, e percepiamo lo spazio che ci circonda non solo con i cinque sensi della fisicità ma anche con la consapevolezza del digitale che potrebbe col tempo evolversi in un insieme di sensi altri. Lo spazio urbano si popola di possibilità. Ai nostri occhi, la città diventa uno spazio di opportunità non solo per l’esplorazione e l’interazione fi-sica, ma anche da arricchire e vivere con gli altri tipi di esperienze e modalità. La viviamo e la esploriamo infatti anche attraverso la mediazione dei nostri dispositivi tecnologici portatili, che rilevano luoghi e posizioni, rendendoli diversi e modificabili, lasciando tra-sparire informazioni precedentemente inaccessibili se non attra-verso schermi domestici o del tutto inesistenti. (Galbiati & Piredda 2012, p.193)

Questa moltitudine di strumenti di elaborazione, com-prensione e comunicazione della realtà sembra fornirci nuove modalità per interpretarla, rendendo al contempo il processo di comprensione del mondo sempre più diffi-cile. Questa difficoltà deriva, secondo Wachlowsky (2011) dal fatto che le persone, alimentate da maggiori intera-zioni e correlazioni di natura sia fisica sia digitale, ten-dono a costruire, decostruire e ricostruire le realtà ibride, limitando di conseguenza la nostra capacità di prevedere cosa potrebbe accadere in futuro e mutando in profondità le nostre modalità interazionali.

Prendiamo un ragazzo d’oggi. Sembra che non possa vivere senza il telefono portatile e altri accorgimenti elettronici. Questi strumen-ti, che lo fasciano come un vestito, gli sono indispensabili per met-terlo in contatto con il mondo circostante, per farlo stare all’inter-no di un circuito. (Ito, 2001)

Il cambio di paradigma sembra quindi essere quello da una costruzione di entità in cui l’accento è posto sui loro elementi costitutivi, a un approccio in cui l’attenzione è posta sul rapporto tra un’entità e l’altra, passando attra-verso quella che Ito chiama epidermide. Secondo l’architet-to, questa è un rivestimento mediatico composto da tutti gli strumenti che ci portiamo addosso, che permette alle

147Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

persone di interagire con il resto del mondo. L’ambiente circostante viene definito da McLuhan (1967) non un in-volucro passivo, fermo e pronto per essere afferrato, ma qualcosa d’invisibile, attivo e in continua trasformazio-ne. L’ambiente in cui viviamo, stratificato e modificato dall’essere umano, influisce sull’uomo, che a sua volta può modificare la sua azione sulla realtà.

SPAZIO PUBBLICO E FACCIATE MEDIATICHE

Lo spazio pubblico potrebbe essere considerato il medium che la città usa per la comunicazione con se stessa, la sua storia e con il nuovo, lo sconosciuto e i conflitti che posso-no sorgono tra questi elementi. Struppek (2002) definisce lo spazio pubblico come il moderatore della società urbana in una città di liberi attori. Facendo riferimento al concet-to di agorà greca, lo spazio pubblico urbano, inteso come spazio aperto e civile, è un elemento chiave nello sviluppo della società europea. Lo spazio pubblico offre uno spazio libero per l’incontro, la rappresentazione sociale e la cul-tura attraverso il commercio, lo scambio e la discussione. Wachlowski (2011) sostiene che lo spazio pubblico urbano è nato come medium umano e rimane tale: uno spazio in cui le persone narrano e si narrano ad altre persone, con-dividendo conoscenze e costruendo sia l’identità del luogo sia la propria, di generazione in generazione. Il termine pubblico fino a qualche decennio fa si limitava a un’acce-zione spaziale: il mercato, la chiesa e la piazza sono tutti elementi fisici, esperibili con tutti i sensi. Wachlowsky (2011) sottolinea che l’informazione globale non esisteva, e se era riscontrabiile una certa quantità di informazione che si muoveva nello spazio era confinata ad una strettis-sima cerchia di persone, distorta da interpretazioni e tra-scrizioni. La digitalizzazione ha fatto sì che fosse neces-saria una rinnovata attenzione verso l’uomo inteso come utente fisico di uno spazio altrettanto tangibile. Struppek (2002) vede quest’ultimo come uno strumento usato e reso vivo dalle persone e dalle loro interazioni: all’interno delle aree pubbliche, sostiene, è presente un costante processo

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→ FIGURA 1.4.18 ◆ BBC Big Screens, Leeds, UK (BBC, Data incerta)

di rinnovamento e di negoziazione, che alimenta in ma-niera tenace lo sviluppo della società urbana.

Public space is the glue that holds urban society together. (Strup-pek 2002, p. 110)

Ogni volta che si integra un nuovo medium nello spazio pubblico della città, sarebbe quindi una buona pratica ri-flettere sul suo impatto sulla società urbana. Non ci si può permettere, sostiene Struppek (2002), di agire senza chie-dersi quali possano essere le conseguenze di questo agire, perché lo spazio pubblico ha un ruolo abbastanza impor-tante per la società e l’identità della città da meritare que-ste e altre attenzioni. Il dialogo tra un artefatto e il luogo in cui viene installato e quello tra quest’ultimo e gli abi-tanti sono tutte realtà di cui il design della comunicazione deve tenere conto, soprattutto quando l’obiettivo è altera-re la percezione del luogo in cui si trova. Questa altera-zione potrebbe avvenire in ogni caso: nel momento in cui un medium è installato tende a instaurare un’immediata interazione con la città e con lo spazio pubblico e tende di conseguenza ad alterare la percezione degli utenti nei confronti del luogo. Infatti, si può sostenere ci sia un forte contrasto tra quello che dovrebbe essere legato al posto, lo-cale (lo spazio urbano) e qualcosa che è generalmente mol-to globalizzato (la facciata mediatica). Per questo motivo appare sempre più evidente la necessità di sviluppare un nuovo linguaggio mediatico urbano in continua evoluzio-ne che abbia i suoi segni e simboli, sostiene Struppek. La ricercatrice intende così liberarsi da una visione delle fac-ciate mediatiche come definita da Manovich (2011), «car-telloni pubblicitari in movimento» andando a toccare un punto critico dell’interazione tra spazio pubblico e bom-bardamento di immagini, su cui interviene anche Augé.

Immersi in questo mondo di immagini, ci capita spesso di sentirci ac-cecati: la coesistenza del mondo-città e della città-mondo ha infatti come primo effetto quello di offuscare le immagini. (Augé 2006, p.14)

149Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

150

Per uno sviluppo socialmente e fisicamente sostenibi-le della città sembra sia quindi necessario andare oltre a una visione dipendente dalla pubblicità, per trasformare le facciate mediatiche in mezzi che possano contribuire alla costruzione dello spazio pubblico. Per ottenere que-sto risultato, bisognerebbe riflettere sulla responsabilità verso la società di chi progetta le installazioni in luoghi comuni. Avendo in mente questo ruolo, Struppek (2006) sostiene che le facciate mediatiche abbiano il potenziale di riportare al suo significato originale lo spazio pubblico, cioè un luogo di socializzazione in cui il potere comunica-tivo giace più nelle mani degli abitanti che in quelle di chi possiede i mass media. Per attuare tale processo, sareb-be necessaria la creazione di nuove tipologie di contenu-ti attraverso la partecipazione attiva degli attori presenti nel luogo, i quali potrebbero offrire approcci inediti per la loro creazione attraverso l’uso di nuove tecnologie. Se-condo Fassi (2012), obiettivo di un intervento progettuale nell’ambiente urbano sarebbe quello di creare «una forma di resistenza contro la desertificazione urbana e culturale» e di sviluppare i poteri socializzanti dello spazio pubblico. In questo contesto, aggiunge Struppek (2006), internet potrebbe essere visto come uno dei possibili meccanismi di distribuzione finalizzati al cambiamento degli spazi urbani e alla loro riappropriazione da parte dei cittadini.

La ricercatrice ipotizza che l’apertura di questi spazi, fisi-ci o virtuali, a contenuti di tipo culturale o informativo a scapito delle forze del mercato potrebbe portare a un mag-giore attaccamento degli abitanti verso il luogo. Le inizia-tive che hanno seguito tale approccio hanno beneficiato della caratteristica delle facciate mediatiche di creare un auditorium nell’area urbana, parallelo a quello ancora più ampio del web. BBC Big Screens, mostrato in figura 1.4.18, e Fed TV (cfr A.1.6) dimostrano come sia possibile instal-lare schermi che possano combinare la funzione pubblica a quella del commercio e dello scambio. Questo obiettivo sembrerebbe quindi raggiungibile supportando l’idea che lo spazio pubblico sia un luogo finalizzato alla creazione e lo scambio di cultura e alla formazione della sfera pubbli-

151Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

ca, tesi sostenuta da Fassi e messa in pratica con l’instal-lazione CASZuidas (cfr A.1.3).

La mescolanza tra arte, cultura e spettacolo offre una importante occasione al designer degli spazi che trasforma la città in una ‘’of-ficina dell’intrattenimento”. Un luogo, cioè, che porta ad aggre-gazione, integrazione e che genera in alcuni casi forme di moderno nomadismo. (Fassi 2012, p. 129)

IDENTITÀ DELLA CITTÀ E FACCIATE MEDIATICHE

La sempre maggiore tendenza alla globalizzazione di stili visivi può portare a interrogarsi sul rapporto tra un me-dium che può essere considerato neutro a livello valoriale e un luogo nel quale sarebbe installato. Questa sua neu-tralità può rendere il contenuto mostrato sulle facciate mediatiche più importante del medium stesso. Una del-le possibili conseguenze infatti è l’alterazione continua dell’aspetto dell’edificio o spazio urbano in cui il medium è installato. Questa possibilità non deve essere necessaria-mente negativa: Nosy (cfr A.1.13) è un’installazione media-tica in spazi densamente abitanti, ma progettata con lo scopo dichiarato di far riflettere gli abitanti sullo spazio e su loro stessi. Ciò che viene visualizzato potrebbe essere quindi in grado sia di radicare l’istallazione al luogo in cui è o l’esatto contrario. Il contenuto delle facciate mediati-che sembra dunque essere la chiave per far sì che queste possano essere percepite come elementi appartenenti alla zona in cui sono installate. Posizionate preferibilmente in modo da rendere partecipe parti rilevanti della popolazio-ne, queste installazioni potrebbero alimentare il senso del luogo attraverso la condivisione di esperienze, sostiene Struppek (2002). Infatti, il loro uso per il supporto della cultura locale potrebbe portare allo sviluppo di memorie personali e collettive legate al luogo stesso. Se l’installa-zione di questi media nello spazio pubblico fosse legata all’inclusione di contenuti culturali, questi media potreb-bero dunque diventare un’arena per la sperimentazione sociale, artistica e comunicativa. Una visione di questo

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tipo trova riscontro in Steiner (1978), il quale sostiene che l’artefatto di design dovrebbe includere per definizione un contributo culturale al mondo in modo tale da contribuire alla diffusione della conoscenza.

Experience so far has demonstrated that only sustained and deter-mined joint efforts by artists, architects, cultural operators, and a concerned and well informed public will create the necessary con-ditions to appropriate urban screens from exclusive commercial use. (Struppek 2009, p. 4)

Come nuovo media, afferma quindi Struppek, le faccia-te mediatiche potrebbero offrire nuovi orizzonti e nuove sfide sociali e comunicative. Se queste nuove potenzialità venissero integrate con quelle della partecipazione e della narrazione sull’identità della città, potrebbero portare a cambiamenti importanti nella percezione della società e del luogo. Le narrazioni su quest’ultimo potrebbero riu-scire a rimettere al centro il concetto di spazio pubblico, fisico o virtuale, come piazza finalizzata alla creazione e allo scambio di cultura, dando più potere alle economie locali e al tessuto culturale. Se si combinasse una piatta-forma di questo tipo con meccanismi di contenuto genera-to degli utenti, si potrebbe spingere i cittadini a prendere parte attivamente alla formazione dello spazio pubblico e delle loro interazioni sociali. Questi cambiamenti, so-stiene Struppek, potrebbero infine portare a un maggiore attaccamento al luogo, contribuendo al contempo alla de-finizione e ridiscussione del suo ethos.

153Elementi Teorici / Facciate Mediatiche

154

155

2

BRENNEREI Next Generation Lab

1.1

URBANSCREEN

1.2

ONLYGLASS

1.3

ORIGINI

156

157

INTROIl progetto di questa tesi può essere considerato l’evoluzio-ne del concept individuale per ONLYGLASS da me realizzato all’interno di BRENNEREI next generation lab. All’interno di questo programma, avevo scelto di focalizzarmi sulle pos-sibilità comunicative del medium e sul suo contenuto, per-ché credevo che questo mezzo avrebbe potuto offrire delle caratteristiche comunicative inedite e molto interessanti, soprattutto in relazione alle tematiche affrontate in Things to consider when dealing with Media Façades (BRENNEREI 2013). Questa ricerca si è combinata bene con i progetti sviluppa-ti da anni all’interno del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano1 sulla città, la sua comunicazione e la possibilità di offrire servizi al cittadino. Una delle maggiori criticità riscontrate da ONLYGLASS infatti è stata la vendita non solo di un medium, ma anche di un’idea e una visione su come questo avrebbe potuto essere utilizzato per contenuti in-novativi. I produttori di ONLYGLASS, Frerich Glas, erano con-sapevoli infatti di aver creato qualcosa che non è solo uno schermo. Social Façade, il progetto realizzato da me, nasce da alcune riflessione sui luoghi problematici delle città e di come potrebbe essere possibile migliorare la situazione usando ONLYGLASS. Si inserisce sulle riflessioni estrema-mente multidisciplinari a proposito di media all’interno dell’ambente urbano, l’impatto che hanno sugli utenti di questi spazi e come i media possano essere utilizzati per esaltare l’identità e la storia del luogo.

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2.1 ◆ BRENNEREI NEXT GENERATION LAB

BRENNEREI next generation lab2 ha le sue radici in un progetto simile ma su scala nazionale avviato nel 1995 a Bremerha-ven: Design Labor.3 Questa città fa parte del land di Brema, sul mare del nord e una delle città più povere della Ger-mania: Design Labor era un tentativo di creare un polo di eccellenza, ricerca e innovazione che potesse fungere da volano per il suo rilancio. Nel 2012, Anne Havliza, diret-trice di Design Labor è stata chiamata a fondare BRENNEREI a Brema chiudendo l’esperienza precedente. Le è stata af-fiancata Andrea Kuhfuss, che ha un’esperienza di lavoro in ambito museale, creando un progetto di respiro molto più ampio che potesse attrarre giovani da tutta l’Unione Europea, grazie anche alla città di Brema, che in questo momento sta vivendo un piccolo boom di imprenditoria creativa. All’interno di questo scenario, BRENNEREI ha la sua sede in Alte Schnapsfabrik,4 uno spazio per l’imprendito-ria creativa che offre spazi di coworking e uffici in affitto a prezzi agevolati, anche di dimensioni importanti, come quello di BRENNEREI e di URBANSCREEN.BRENNEREI è un laboratorio finanziato dal Wirtschaftsförder-ung Bremen GmbH5 (la Corporazione per lo Sviluppo Economi-co di Brema) con fondi dell’Unione Europea. Il suo obietti-vo è in primo luogo quello di dare a laureandi e neolaureati l’opportunità di lavorare su progetti reali e, nello stesso tempo, di immettere nell’economia nuove energie creati-ve, fornendo alle aziende strumenti di innovazione e met-tendole in contatto con potenziali collaboratori qualificati. Le domande e i problemi progettuali sono in questa realtà risolti in modo pratico, attraverso il lavoro individuale o di gruppo, all’interno di laboratori orientati all’innova-zione: i rappresentanti delle aziende lavorano insieme a esperti e partecipanti al progetto per trovare soluzioni a problematiche relative allo sviluppo delle loro realtà. Du-rante la mia permanenza sono stati tenuti workshop per esplorare tematiche relative a social media, sviluppo di

Origini

160

brand e marketing. BRENNEREI seleziona ogni anno otto persone tra neolaureati e laureandi che rispondano alle qualifiche richieste dai clienti che si sono proposti di col-laborare al progetto. Nel 2013 la formazione era composta da otto persone: Muhammed Zaid Alam, studente di arti multimediali con un background nel campo dell’ingegne-ria; Jana Beckmann, architetto d’interni e spazi pubblici; Alessandra Meloni, titolare di un master in imprendito-ria creativa con un backgroud negli studi umanistici; Ema Sauramo, architetto e grafica; Holger Schoefer, architetto e falegname; Michael Dreisigacker, studente di scienze politiche con ampie competenze nell’ambito delle pub-bliche relazioni; Yamuna Peters, designer integrato; e il sottoscritto.Il programma era diviso in maniera informale in due parti: la prima orientata alla ricerca sul prodotto o sulla compa-gnia; la seconda focalizzata alla visualizzazione di possibi-li sviluppi e scenari che potessero rispondere alle necessità degli stessi. Questo processo è stato supervisionato da due coordinatrici, Anne Havliza e Andrea Kuhfuss, che hanno monitorato gli aspetti relazionali all’interno del gruppo e verso l’esterno. Erano inoltre presenti tre mentori, esperti negli specifici ambiti di intervento delle tre aziende coin-volte. Anne Havliza ha seguito il progetto Bürgerpark,6 la cui fondazione che si prende cura e amministra un parco pub-blico a nord di Brema, quello più antico della città, che so-pravvive senza fondi pubblici. La dottoressa Anne Havliza ha inoltre coordinato il programma HEC7, dedicato a una compagnia di ingegneria informatica che sta vivendo un momento di profonda trasformazione della sua strategia di vendita. Andrea Kuhfuss ha seguito il gruppo di lavoro in ONLYGLASS, il progetto da cui ha avuto origine questa tesi.

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2.2 ◆ URBANSCREEN

Il gruppo di mentori che si sono occupati di ONLYGLASS fa-cevano parte di da URBANSCREEN8 ed erano guidati dal suo fondatore Thorster Bauer. Nata nel 2005 a Brema, ha sede ad Alte Schapsfabrik e la loro squadra è attualmente compo-sta da otto collaboratori provenienti da diverse discipline: architettura, musica, scenografia e arti multimediali. Il campo di attività è la proiezione su superfici architetto-niche e urbane di grande scala. URBANSCREEN produce installazioni multimediali site-specific su misura, utiliz-zando un approccio interdisciplinare. L’obiettivo princi-pale di questo approccio è di assorbire nell’installazione il contesto tematico, le strutture architettoniche esistenti e tutto quello che le attornia. Le procedure di proiezione adottate consentono di connettere vari media - quali im-magini generate al computer, illuminazione artificiale, teatro o danza - al fine di esaltare l’architettura e la versa-tilità espressiva che può essere sperimentata confrontan-dosi con l’edificio come fosse un’entità autonoma. Il ruolo degli esponenti di URBANSCREEN nel progetto ONLYGLASS è stato quello di supervisionare, attraverso la loro cono-scenza sul campo e la volontà di andare oltre alle proprie conoscenze sul tema, il processo di ricerca e progettuale. Il ruolo di Andrea Kuhfuss è stato quello di controllare che tutto procedesse come programmato a livello organizzati-vo e di gestione delle dinamiche di gruppo. Quello di Tho-stern Bauer è stato molto più tecnico: ha fatto in modo di guidarci, suggerirci strumenti di ricerca e organizzazione (Prezi) e organizzare incontri con personalità che hanno aumentato le nostre competenze sul tema. La sua guida è stata essenziale per comprendere le necessità di bilancia-mento tra libera espressione creativa e necessità commer-ciale in un contesto di produzione artistica strettamente connesso ai bisogni aziendali dei finanziatori.

Origini

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2.3 ◆ ONLYGLASS

ONLYGLASS9 è un prodotto di Frerichs Glas10, una storica azien-da nel settore lavorazione del vetro con sede a Verden, fon-data nel 1876. Frerichs Glas, dopo decenni di esperienza nella manifattura di facciate isolanti, ha aperto la strada allo sviluppo di sistemi mediatici per facciate. ONLYGLASS è la dimostrazione della possibilità di simbiosi tra vetro e LED, tra la facciata di un edificio e le potenzialità comu-nicative di uno schermo. L’attenzione della compagnia si è spostata dal suo core business, la lavorazione e vendita del vetro, alla creazione e vendita di facciate mediatiche. Questo cambiamento ha determinato la necessità di en-trare nel mondo dei media compiendo uno sforzo notevole per coglierne a fondo potenzialità e problematiche. In tale contesto i dirigenti dell’azienda hanno riscontrato note-voli difficoltà non tanto dal punto di vista tecnico quan-to dal punto di vista progettuale: per quanto specializzati nella lavorazione del vetro, questa loro competenza ma-nifestava aspetti marginali nella progettazione dei nuovi prodotti. La scarsa formazione nell’ambito degli studi sui fenomeni mediatici lasciava perplessi i dirigenti sulla na-tura stessa del proprio prodotto e sulle migliori modalità di promozione e vendita. È questa è la ragione principale per cui hanno chiesto a BRENNEREI di effettuare ricerca per loro. L’azienda necessitava di esperienze e conoscenze specifiche nell’ambito del design, architettura o studi cul-turali. La maggiore preoccupazione pareva quella di taglio commerciale: la produzione pronta ma scarse competenze e capacità di vendita. Il prodotto su basa infatti su una tec-nologia molto costosa che richiede un’installazione com-plessa e fa sì che i possibili clienti siano molto titubanti nel procedere con l’acquisto a cuor leggero. Il nostro obiet-tivo era di immergerci completamente nel prodotto, com-prendere e prevedere i possibili usi futuri. Ci siamo quindi armati per approfondire le nostre conoscenze in merito agli attuali schermi urbani e alle facciate multimediali, ponendoci some obiettivo la definizione di questo feno-

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meno, prestando particolare attenzione alla sua relazione con lo spazio pubblico. L’installazione di facciate media-tiche in questa tipologia di luoghi e su edifici tendono a influire sull’architettura e sulla percezione dello spazio urbano attraverso la scelta e la gestione del contenuto. La relazione tra questi elementi ha portato alla luce, all’in-terno della ricerca, problematiche concernenti l’identità dell’edificio e del luogo.URBANSCREEN, attraverso Thorsten Bauer, ha supervisio-nato il percorso di ricerca e progettuale, prestando parti-colare attenzione ad una visione il più globale possibile, spingendoci a prendere in considerazione un approccio fortemente interdisciplinare. BRENNEREI, offrendonci strumenti tecnici e progettuali, ci ha consentito ampi ap-profondimenti, specialmente grazie alla frequentazione di workshop specifici.11 In essi ci è stata fornita sia una una visione ampia e globale delle caratteristiche dei nuovi media, grazie al contatto con Frieder Nake, professore alla Universität Bremen12. L’apporto di Mirjam Struppek,13 stu-diosa del ruolo degli schermi nell’abito sociale urbano, e Eberhard Zyring, professore alla Hochschule Bremen, hanno in-fine completato il nostro assetto formativo offrendoci l’a-nalisi di alcuni casi specifici.14

Il progetto all’interno di BRENNEREI per ONLYGLASS si è quindi sviluppato in due fasi: la prima di ricerca, la se-conda di progettazione di prototipi e concept.15 L’oggetto di ricerca è stato analizzato, in primis, in relazione a cate-gorie legate all’architettura (come le facciate mediatiche in-fluiscono su di essa?), ai media (quale impatto garantisce questo medium in termini comunicativi considerando la sua installazione in uno spazio pubblico e la sua peculiare trasparenza?), e, infine, agli studi umanistici (quali spunti trarre dalla trasformazione della città e dalle sue moda-lità comunicative così come immaginate in letteratura e filosofia?). Alla fine del percorso di ricerca questi elementi hanno mostrato di influenzarsi e reggersi vicendevolmen-te, consentendoci di esperire una visione globale dell’ar-gomento trattato. Dopo l’analisi teorica e l’acquisizione delle conoscenze necessarie, si è provveduto alla costruzio-

Origini

164

ne di modelli e prototipi. Questi si sono sviluppati in tre direzioni principali, ossia seguendo considerazioni legate di volta in volta maggiormente all’aspetto architettoni-co (come potrebbe essere usato il mezzo nell’ambito della progettazione di un edificio), alla capacità di ONLYGLASS di funzionare come prodotto commerciale self-standing (creazione di artefatti staccati dal progetto architettoni-co e indipendenti a livello spaziale), alla progettazione di contenuti ad hoc per il medium. Tutte le soluzioni creati-ve sviluppate in questo contesto hanno mostrato di avere per base un insieme più o meno omogeneo di almeno due o tutti i bacini di competenze nati in rapporto alle direzio-ni intraprese. Un progetto architettonico, quindi, non ha previsto solo l’inserimento di un medium sulla facciata di un edificio, ma anche l’elaborazione di un concept per il suo contenuto; in Social Façade, il mio progetto, l’aspetto spaziale avrebbe dovuto essere assente, per come concepi-to il suo sviluppo originariamente, tuttavia esso è emerso in modo percepibile, seppur marginale.

2.3.1 ◆ SOCIAL FAÇADE

Gröpelingen, quartiere a nord ovest della città di Brema, è stato fin dagli inizi del novecento un fortissimo polo in-dustriale, grazie anche alla presenza di un porto sul fiu-me Weser, il secondo per importanza in Germania, dopo quello di Amburgo. Dagli anni ‘80 del XX secolo è avvenuta una progressiva delocalizzazione del settore primario, che ha portato alla chiusura della maggior parte degli stabi-limenti vicini al porto. Questo fenomeno ha causato un abbandono sempre maggiore del quartiere da parte di isti-tuzioni, aziende e abitanti. Si è così innescata una spira-le discendente di incuria, abbassamento del prezzo degli immobili e aumento degli immigrati da zone economi-camente sfavorite, con un aumento delle tensioni sociali all’interno della zona. Nonostante il quartiere sia ora si-curo e caratterizzato da notevole pulizia, non ha un’iden-tità chiara: deprivato della sua natura operaia, non riesca ancora ad essere un quartiere multiculturale con una viva-

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ce vita sociale, poco attraente per gli investitori e i nuovi abitanti. L’idea di intervento da me sviluppata aveva come obbiettivo quello di stimolare alla riflessione gli abitanti in merito spazio in cui vivono, sul perché della loro pre-senza nel quartiere, agevolando la nascita di un processo di definizione dell’identità dello spazio stesso.L’aumento della consapevolezza in merito al logo in cui si abita potrebbe infatti portare ad un maggiore attacca-mento ad esso (cfr 1.1.2), con una conseguente maggiore e crescente attenzione alla sua cura e alla partecipazione alla vita pubblica. Il progetto prevedeva quindi l’installazione di totem me-diatici realizzati con ONLYGLASS, posizionati alle “Porte di Gröpelingen”. Queste altro non sono che due edifici spe-culari che delimitano la parte abitata del quartiere dalla zona ex industriale, dove oggi è situato il WATERFRONT, un grosso centro commerciale.I contenuti forniti tramite i totem sono di carattere cultu-rale e locale. Per la loro produzione sono state previste sia meccaniche di tipo top-down che bottom-up. Sotto la gui-da di un gruppo di specifici curatori, i progettisti dovreb-bero fornire informazioni visive e contenuti sul quartiere, sulla sua storia e sulla sua gente. Gli abitanti di Gröpeling-en potrebbero collaborare fornendo ai propri concittadini la propria percezione del luogo attraverso artefatti testua-li, fotografici e video, utilizzati dai progettisti per bilan-ciare in modo crescente i contenuti da loro stessi creati. Grazie a questo continuo aumento dei contenuti offerti dagli abitanti (e al relativo bilanciamento con quanto pro-dotto esternamente), si intende infatti stimolare fenome-ni di discussione tra gli utenti del luogo, al fine di portare a un possibile cambiamento di percezione della realtà, cui conseguirebbero modificazioni generali di atteggiamento nella relazione tra le persone e l’ambiente urbano. Il rilan-cio di alcune parti della città, un tempo dotate di una forte identità storica indebolitasi o trasformatasi negli anni a causa di stati di abbandono, incuria o trasformazione ra-dicale d’uso, partirebbe così non da una forma imposta a livello urbanistico dalle municipalità, ma dalla crescente

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→ FIGURA 2.3.1 ◆ Michele Crivellaro, Social Façade (BRENNEREI Next Generation lab, 2013)

Erschließung

HauptverkehrZugStraßenbahn

Städtebauliche Analyse

HistorieUmgebungsanalyse

ParzellierungErschließungBautypologie

Städtebauliche Analyse

HistorieUmgebungsanalyse

ParzellierungErschließungBautypologie

HOME

I AMGRÖPELINGEN

I AMGRÖPELINGEN

I AMGRÖPELINGEN

CITIES COME AND GOLIFE AND DEADDISTANT TOWNS BERTHS CITY OF HIDING PLACESCITY OF BEER AND LOVE

Imam Setiaji Ronoatmojo

“WORK STOPS AT SUNSET. DARKNESS FALLS OVER THEBUILDING SITE. THE SKY IS FILLED WITH STARS. "THERE IS THE BLUE-PRINT," THEY SAY.”

Italo CalvinoInvisible Cities

I AMA METALWORKER

I AMRETIRED

WORKINGCLASS

UPCOMING

MULTICULTURAL

SHOW YOURSELF. MAKE A SELFIE!

VISIONS OF GRÖPELINGEN

SHOW YOURSELF. MAKE A SELFIE!MAPS

MAPS PHOTOS FROM THE PAST

PHOTOS FROM THE PAST

SHOW US YOU AND YOUR BEST FRIEND

WHICH JOB DO YOU DO?

DETAIL/EXT

SHOW US YOUR HOME

ONE WORD FOR GRÖPELINGEN

IDENTITY IMAGESWHAT DO YOU SEE FROM YOUR WINDOW?

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ONE WORD FOR GRÖPELINGEN

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WHICH JOB DO YOU DO?

SHOW YOURSELF. MAKE A SELFIE!

TEXTS ABOUT CITIES AND IDENTITY

MAPS ?!?

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TEXTS ABOUT CITIES AND IDENTITY

STORIES IN GRÖPELINGEN

STORIES IN GRÖPELINGEN

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experience of the user

USER-GENERATEDCONTENT

USERS

CURATORS

DESIGNERS

CONTENT

QUESTIONS

IDENTITYARCHIVE

GIVENCONTENT

WEBPLATFORM

IDENTITYOF THE PLACE

populationhistoryethossocial memorytangible tracespresent activities

PLACEATTACHMENT

human relationsidentification with the ethos

personal identityplace care

involvement in the public sphere

USER-GENERATEDCONTENT

USERS

CURATORS

DESIGNERS

CONTENT

QUESTIONS

IDENTITYARCHIVE

GIVENCONTENT

SOCIALFAÇADE

City neighborhoods are undergoing radical transformation. A significative example is Gröpelingen in the city of Bremen, Ger-many. As people are less bounded to physical space, the value of place identity declines. Thus, public places are often unde-vrestimated or simply neglected. SOCIAL FAÇADE aims at revi-ving such city parts as Gröpelingen. Its goal is to raise people’s awareness about their neighborhood while they take action in the creation of their surroundings. As studies show, this will lead to a stronger attachment to the place which then triggers a virtuous spiral of care of the place and - on a large scale - grea-

ter participation in public life. Under the curatorship of cultural experts, designers provide visual and content information about the place, its history and its people. In the second phase, inhabitants of Gröpelingen reflect their acquired (or not acquired) perception of the place in processed - mainly moving - images. This content is then re-calibrated again by designers to outline new images or put emphasis on some positive aspects of the content. Thanks to this new balance, the discus-sion of the inhabitants about the place changes and leads to a possible change of perception of reality.

Project by: Michele Crivellaro

consapevolezza e ricerca identitaria degli abitanti. Il pro-getto ha comportato non solo numerosi sopralluoghi nel quartiere, ma anche la creazione di una rete informatica con associazioni culturali radicate sul luogo, allo scopo di avere feedback e suggerimenti costanti utili all’imple-mentazione delle idee man mano sviluppate. Nell’ambito di questo lavoro è nato, a scopo esplicativo, un poster, qui mostrato in figura 2.3.1.

Partendo dalle esperienze compiute nello sviluppo di Social Façade e grazie alle competenze acquisite presso BRENNE-REI nell’ambito del progetto ONLYGLASS, è possibile imma-ginare l’importazione del concept da Gröpelingen a Bovi-sa, per le notevoli somiglianze tra i due contesti urbani. La zona di Bovisa sta infatti riscrivendo la propria identità: da un passato altamente industriale e proletario, grazie alla presenza sul territorio del Politecnico di Milano, sta mutan-do velocemente natura. La popolazione sembra non volere una eliminazione del passato del quartiere, forse perché gli abitanti di lunga data hanno un forte attaccamento al luogo, le cui cause vanno in parte intese come reazione ai cambiamenti (alcuni dei quali imposti) cui hanno as-sistito negli ultimi cinquant’anni. Bovisa e Gröpelingen paiono zone ai margini della società cittadina, quartieri lontani dal centro storico, quasi dei paesi a sé stanti, cui manca però l’energia sufficiente per staccarsi dall’orbita del centro metropolitano e sviluppare un’identità propria.

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Erschließung

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human relationsidentification with the ethos

personal identityplace care

involvement in the public sphere

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SOCIALFAÇADE

City neighborhoods are undergoing radical transformation. A significative example is Gröpelingen in the city of Bremen, Ger-many. As people are less bounded to physical space, the value of place identity declines. Thus, public places are often unde-vrestimated or simply neglected. SOCIAL FAÇADE aims at revi-ving such city parts as Gröpelingen. Its goal is to raise people’s awareness about their neighborhood while they take action in the creation of their surroundings. As studies show, this will lead to a stronger attachment to the place which then triggers a virtuous spiral of care of the place and - on a large scale - grea-

ter participation in public life. Under the curatorship of cultural experts, designers provide visual and content information about the place, its history and its people. In the second phase, inhabitants of Gröpelingen reflect their acquired (or not acquired) perception of the place in processed - mainly moving - images. This content is then re-calibrated again by designers to outline new images or put emphasis on some positive aspects of the content. Thanks to this new balance, the discus-sion of the inhabitants about the place changes and leads to a possible change of perception of reality.

Project by: Michele Crivellaro

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1 http://www.dipartimentodesign.polimi.it/2 http://brennerei-lab.de/3 http://www.designlabor.com/4 http://www.alte-schnapsfabrik.de/5 http://www.w¹-bremen.de/en/w¹-wirtschaftsfoerderung-bremen6 http://www.buergerpark.de/7 http://www.hec.de/8 http://www.urbanscreen.com/9 http://www.onlyglass.de/10 http://www.frerichs-glas.de/11 http://lab2013.brennerei-lab.de/onlyglass.html#to-412 http://www.uni-bremen.de/13 http://www.urbanmediaresearch.org/14 http://www.hs-bremen.de/internet/de/15 http://lab2013.brennerei-lab.de/onlyglass.html#to-1

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170

171

3

DOVE

3.1

COME

3.2

CHI

3.3

ID:BVS

172

173

CONCEPTGli obiettivi che il progetto oggetto di questa tesi si pone corrono su due binari paralleli: il primo è legato all’instal-lazione di una facciata mediatica, utilizzando ONLYGLASS (cfr 2.3), in un’area pubblica; il secondo è legato ai conte-nuti forniti tramite il medium. Questi vorrebbero spinge-re alla rielaborazione da parte degli utenti del senso del luogo di Bovisa, incentivando forme di dialogo sociale at-traverso modalità partecipative. Il progetto risponde sia al bisogno del quartiere di vedere utilizzati spazi pubblici sottovalorizzati, sia alla necessità di creare connessioni tra tre principali gruppi sociali del quartiere, ossia quel-lo degli abitanti di lunga data, quello degli immigrati, e quello degli studenti.Attraverso l’installazione di un pannello di ONLYGLASS in Piazza Schiavone, posizionato in modo tale da non essere percepito come invasivo, si attua la prima fase progettua-le, legata alla valorizzazione fisica degli spazi. La scelta dell’uso di ONLYGLASS deriva dall’esperienza fatta presso BRENNEREI next generation lab (cfr 2.3.1), e risponde a linee guida dettate dall’impianto teorico del Politecnico di Mi-lano, che ha fatto propri i concetti di innovazione socia-le e responsabilizzazione del progettista come cardini per la mediazione con il prodotto commerciale. L’uso inedito della facciata mediatica, infatti, come supporto neutro in grado di trasmettere molteplici tipologie di contenuti, non esclude benefici di natura commerciale, pur in un conte-sto primariamente legato alla comunicazione del luogo, all’aumento del dialogo sociale, allo stimolo alla parteci-pazione dei singoli al progetto, alla promozione delle varie realtà presenti in zona. L’aumento di comunicazione deri-vante dall’installazione di ONLYGLASS potrebbe portare a una ridefinizione dell’identità del luogo e, da parte degli abitanti, a un aumento dell’attaccamento al quartiere e

174

del senso di comunità. I contenuti che dovrebbero portare a questi obiettivi dovranno essere frutto della collabora-zione tra molte entità: il progettista, gli utenti, le istitu-zioni (quali il Comune di Milano e il Consiglio di Zona 9), il Politecnico di Milano e le realtà di tipo associativo o sociale presenti, quali la Biblioteca di Dergano-Bovisa, il circolo Arci La Scighera e Coltivando. La gestione contenutistica dell’instal-lazione dovrebbe essere affidata a un gruppo formato da un progettista e alcuni esponenti afferenti a queste realtà. Il loro ruolo dovrebbe essere quello di facilitare il dialogo tra enti, dare vita a contenuti, visualizzarne o filtrarne al-tri provenienti dall’esterno e, di conseguenza, determina-re una programmazione delle trasmissioni su pannelli. In questo contesto sarà opportuno valorizzare la comunica-zione di eventi organizzati dalle varie realtà coinvolte e le loro visioni del quartiere, coinvolgere gli utenti nella nar-razione del luogo e nella sua rappresentazione e rivolgersi direttamente ad essi per creare legami strutturati di con la gestione dell’installazione.Il risultato che si prospetta è uno schermo che possa di-ventare specchio della realtà tangibile del quartiere, così come percepita da chi lo vive e vi lavora. Da questa finalità nasce il nome dell’installazione, che unisce il concetto di ethos del luogo con il nome del quartiere: ID:BVS (identità : Bovisa).

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176

177ID:BVS / Dove

3.1

DOVE

L’intervento progettuale prospettato ha un forte legame con il luogo, che può essere visto da due punti di vista dif-ferenti. Il primo identifica il luogo come entità astratta che si relaziona con l’essere umano che la abita, intessen-do relazioni di carattere emozionale. Il secondo punto di vista identifica il luogo come quell’insieme di elementi che lo rendono unico e non replicabile: al contrario del primo approccio, generico e poetico in senso etimologico, in questo caso si parla di concretizzazione di atti in uno spazio specifico. L’area su cui si è voluto intervenire è il quartiere di Bovisa, che ha caratteristiche particolarmen-te interessanti sotto il punto di vista storico, sociale e as-sociativo.

178

179ID:BVS / Dove

3.1.1 ◆ INQUADRAMENTO

BOVISA

Come mostrato in figura 3.1.1, Bovisa è un quartiere a nord di Milano, e si trova a ridosso dell’incrocio tra la linea fer-roviaria che porta alla stazione di Milano Porta Garibaldi, quella che porta a Milano Cadorna, e la cintura ferroviaria nord che da Torino porta a Milano Centrale e poi a Lam-brate. Queste tre linee di binari, come si può osservare in figura 3.1.2, delimitano dai primi anni del Novecento i confini nord, sud e ovest del quartiere, mentre a est il limite sembra essere più sfumato e può essere identificato in via Maffucci. Il nome del quartiere trae origine dagli

MM 1MM 2MM 3MM 5

passante ferroviariolinee ferroviarie

duomo

bovisa

milano

↓ FIGURA 3.1.1 ◆ Mappa di Milano con evidenziate linee metropolitane, linee ferroviarie e il quartiere di Bovisa (Michele Crivellaro, 2014)

180

allevamenti di buoi che, insieme ai campi di lamponi, ne caratterizzarono il territorio fino alla fine del XIX secolo. Dalla fine dell’Ottocento, quando ancora faceva parte del comune di Affori, Bovisa è stata sede di un grande inse-diamento industriale, che ne ha plasmato l’identità e la storia. Giuseppe Candiani vi ha fondò la prima fabbrica chimica della zona nel 1882: a lui è stata intitolata la lun-ga via che porta dalla stazione al limite nord est del quar-tiere. Nell’area compresa tra le Ferrovie Nord e le Ferrovie dello Stato, soprannominata la goccia per la sua forma, la Union de Gaz iniziò nel 1905 la costruzione delle Officine del gas della Bovisa, capaci di trasformare il carbon fossile in gas, usato da tutta la città di Milano per l’illuminazione e, successivamente, la cottura e il riscaldamento. Nell’arco dei primi trent’anni del XX secolo si installarono nell’area un numero rilevante di fabbriche, tra cui: Armenia Films, Carlo Erba, Mapei, Sirio, Smeriglio, Broggi, Origoni, Fer-net Branca, Montecatini e la Fabbrica della Scala. Un altro

bus 82bus 92tram 2

linee ferroviariepassante ferroviariobus 90/91

PiazzaSchiavone

PiazzaSchiavone

bovisa FNM

villapizzone fs

↓ FIGURA 3.1.2 ◆ Mappa del quartiere di Bovisa con mezzi pubblici e Piazza Schiavone in evidenza (Michele Crivellaro, 2014)

181ID:BVS / Dove

elemento caratteristico del contesto sono state le nume-rose sedi di corrieri espressi, che si installarono qui nello stesso periodo storico e che, fino agli anni ’80, occupava-no le strade del quartiere ogni giorno. Nel 1923, il comune di Affori venne annesso al comune di Milano, e vennero costruite strade e piazze per collegare il quartiere al resto della città, tra cui via Imbriani, Piazza Bausan e via Mas-sara De Capitani, che porta in uno spazio pubblico creato dal nulla in quegli anni: piazza Schiavone. Nello stesso ventennio la Union de Gaz lasciò spazio alla Edison, che am-modernò gli impianti e ne costruì di nuovi, ancora visibili nella goccia. La crescita industriale della zona raggiunse il suo apice durante il boom economico del dopoguerra, visi-bile nella foto aerea in figura 3.1.3, e negli anni ‘60 comin-ciò a calare: un fenomeno che accelerò brutalmente negli anni ’70. Entro la fine del decennio, infatti, quasi tutte le attività industriali presenti in zona chiusero, lasciando enormi aree e edifici vuoti. Nel 1963 era avvenuta intanto la nazionalizzazione del settore energia, e l’Edison se ne era andata da Bovisa, lasciando i propri impianti all’AEM, ora A2A. Il gas da carbone era tuttavia stato superato da quello naturale, il metano: questo fatto portò alla lenta fine dei movimenti respiratori dei gasometri, che avevano carat-terizzato la zona per quasi novant’anni. Il processo venne abbandonato definitivamente nel 1994. Negli anni ’80 la depressione del quartiere raggiunse il punto massimo: ed è in questo momento avvenne la presa di coscienza da par-te del Comune di Milano e di altre realtà che quest’area de-pressa e periferica avrebbe potuto offrire grosse potenziali-tà di sviluppo. Qualche vecchia fabbrica venne abbattuta, la stazione di Bovisa venne completamente riedificata, i vari passaggi a livello vennero tolti, sorse un cavalcavia su via Bovisasca in modo da agevolare l’ingresso a Milano da Bollate e Novate, ed iniziarono i lavori per la realizzazione del Passante Ferroviario. Gli anni ’80 coincisero anche con una nuova coscienza sociale: nacquero nell’area associa-zioni e gruppi di persone che da una parte cominciarono a interrogarsi sul futuro del quartiere, dall’altra intrapre-sero azioni collettive, come nel caso della cooperativa che

182

↑ FIGURA 3.1.3 ◆ Vista aerea del quartiere di Bovisa (Anonimo, ca 1960)↗ FIGURA 3.1.4 ◆ Vista aerea del quartiere di Bovisa (Google Maps, 2014)

183ID:BVS / Dove 183ID:BVS / Dove

Si può notare, confrontando le due immagini, come le ampie aree verdi ora presenti non sono altro che che zone industriali abbandonate: non si tratti infatti di parchi fruibili dagli abitanti ma di aree chiuse e interdette al pubblico, spesso perché possono essere pericolose.

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portò alla costruzione di Bovisa 90 - La casa ecologica negli spa-zi dell’ormai chiusa Armenia Films. Nei primi anni ‘90 sorse la prima sede del polo di Bovisa del Politecnico di Milano, negli ex stabilimenti della Ceretti & Tanfani, fabbrica di im-pianti di sollevamento e trasporto. Questo fatto determinò l’arrivo nel quartiere di parte di circa diecimila studenti, che negli ultimi vent’anni hanno frequentato in modo crescente l’area di Bovisa, riscrivendone parzialmente l’i-dentità. Oggi essa si presenta come un quartiere con una vivace attività associativa e culturale, ben collegato al re-sto della città dal passante ferroviario, alcune linee di bus e una linea di tram, come si può notare in figura 3.1.2. La storia del quartiere ha portato Antonia Grigetti, coinvolta a livello associativo sia ne La Scighera sia in Bovisa Incanta, alla definizione di Bovisa come un “prisma morbido”, in-tendendo con prisma un’entità che, trapassata da luce ed energia, è in grado di dare vita a qualcosa di bellissimo, morbido, modificabile, flessibile1.

CRITERI

Partendo dalle caratteristiche di ONLYGLASS (cfr 2.3) si è cercato un luogo in Bovisa che, per caratteristiche socia-li, identitarie e urbanistiche potesse supportare al meglio l’installazione. I criteri presi in considerazione per la scel-ta sono stati sia di tipo urbanistico e architettonico, che di tipo sociale, incentrandosi sull’uso che gli abitanti e gli utenti fanno dell’area.

1. La condizione ritenuta essenziale per la buona riuscita del progetto è stata la presenza di un’area pedonale, in cui le persone possano raccogliersi e, nella migliore ipotesi, sedersi per fruizione prolungata dell’installazione.2. Quest’area deve essere un luogo di passaggio piuttosto frequente, preferibilmente a piedi e in bicicletta, in modo tale da poter intercettare il maggior numero di utenti pos-sibile in grado di fermarsi spontaneamente.3. L’area deve essere riconoscibile ma non del tutto riusci-ta a livello urbanistico, architettonico o sociale, perché si

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vuole evitare di modificare qualcosa che già svolga un ruo-lo premiante per il quartiere.4. Pur avendo un impatto significativo sull’ambiente cir-costante, l’installazione dovrà arrecare il minor disturbo possibile ai residenti, pur rendendo impossibile il passag-gio per il luogo senza notare che qualcosa vi sta avvenen-do.

L’area in Bovisa che risponde maggiormente a questi cri-teri è parsa Piazza Schiavone, poiché offre caratteristiche e potenzialità peculiari, e risulta particolarmente sottou-tilizzata.

PIAZZA SCHIAVONE

Piazza Schiavone nasce nell’immediato dopoguerra, quan-do la ricostruzione e il boom economico avevano creato la necessità di nuovi edifici abitativi a Milano. È sempre sta-ta la piazza del quartiere e dei residenti, quella in cui le persone del posto andavano a fare due passi, a portare a passeggio il cane e a mangiare un gelato. Con la chiusura delle fabbriche e l’aumento esponenziale delle auto, dagli anni ’60 in poi, piazza Schiavone si trasformò in una via di mezzo tra una rotonda e un parcheggio, pur mantenendo grossi alberi al centro. Alla fine degli anni ’90 gli abitanti cominciarono a chiedere un intervento da parte del comu-ne per la riqualificazione della piazza e delle vie che vi por-tavano, cosa che avvenne nel 2001. Un’abitante di Piazza Schiavone descrive così, su un blog, la riqualificazione.

E’ in un clima agitato di rinnovamenti desiderati e poi prete-si, promessi e sempre rimandati e ora finalmente imminenti […] che nell’estate del 2001 ruspe, cavalletti, camion di terra, e operai vari chiudono le strade che portano in Piazza Schiavone, da Via Varchi a Via De Capitani, buttando letteralmente tutto all’aria. […] C’è grande fermento intorno all’inizio dei lavori, i residenti si complimentano per le scelte politiche fatte “Ci voleva Albertini, ci voleva”, “Finalmente una giunta che guarda anche alla perife-ria”, “Ecco, anni di voto a sinistra, arriva la destra e ti fa questo...

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↑ FIGURA 3.1.5 ◆ Vista aerea di Piazza Schiavone (Google Maps, 2014)

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↑ FIGURA 3.1.6 ◆ Mappa di Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

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↑ FIGURA 3.1.7 ◆ Muro in Piazza Schiavone subito dopo la tua ristrutturazione (Silvestri Architettura, 2001)↓ FIGURA 3.1.8 ◆ Passaggio tra le due parti di Piazza Schiavone subito dopo la tua ristrutturazione (Silvestri Architettura, 2001)

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A questo punto, se la destra “fa”, meglio votare la destra” e via dicendo. […] I lavori continuano imperterriti, sulla base di un pro-getto presentato al Comune di Milano da un architetto genovese, scelto tra altri progetti (visto i risultati di questo chissà com’erano gli altri) e presentato in un consiglio di zona aperto alla parteci-pazione della cittadinanza; e la cittadinanza? Quando arriviamo verso la fine, e incominciano a essere evidenti quali sono le “mi-gliorie” e le “riqualificazioni”, i residenti incominciano ad agitarsi, a lamentarsi, a riunirsi e a protestare; risposta? “Dovevate parte-cipare alla riunione del consiglio e dire la vostra, nessuno l’ha fatto e adesso vi tenete la piazza rifatta così com’è”. Chi può contraddire questa affermazione? Nessuno dei residenti della Piazza, nessuno ha partecipato, probabilmente nessuno sapeva o si era informato che ci fosse una assemblea del consiglio di zona, nessuno si è inte-ressato ma tutti, TUTTI si sono fidati; come sempre. […] I risultati sono deludenti e scoraggianti; così, all’euforia della lieta novella di una periferia alla ribalta, di un incremento di valore degli immobili presenti in una zona riqualificata è seguita l’immensa delusione della scoperta che in fondo si stava meglio quando si stava peggio.2

La riqualificazione era parte di un progetto più grande, proposto dallo studio Silvestri Architettura,3 che prevedeva in-terventi in Piazza Schiavone, Piazza Bausan e Via Massara De Capitani. La piazza fu tagliata in due, creando un’area totalmente verde a nordest, con una collinetta e degli al-berelli, e un’area in cemento simile a un anfiteatro a su-dovest, come visuallizzato in figura 3.1.6. Queste due se-zioni erano divise da un muro alto due metri, mostrato in figura 3.1.7, che nei progetti avrebbe dovuto essere coperto di edera. Questo percorreva tutta la piazza, interrotto solo in un punto, fotografato in figura 3.1.8, per consentire il collegamento tra le due parti. Le proteste furono imme-diate: in piazza Schiavone si susseguirono manifestazio-ni contro una riqualificazione neanche lontanamente accettata dagli abitanti. In via Massara De Capitani, che doveva essere nobilitata da un filare di alberi, questi non vennero mai neanche piantati, perché avrebbero interfe-rito con le tubature e, lungo lo stesso lato della strada, i lampioni nuovi e piuttosto ingombranti furono impian-

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↑ FIGURA 3.1.9 ◆ Abbattimento del muro in Piazza Schiavone (Comune di Milano, 2006)↓ FIGURA 3.1.10 ◆ Situazione attuale dove c’era il muro (Michele Crivellaro, 2014)

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tati e subito rimossi perché le bancarelle del mercato loca-le non riuscivano più a posizionarsi. Dopo qualche anno, il muro in Piazza Schiavone fu abbattuto, come da figura 3.1.9, e sostituito con una ringhiera in metallo alta poco più di un metro, mostrata in figura 3.1.10. Nonostante ciò, la divisione in due parti della piazza è ancora molto visibile, come si può notare sia in vista satellitare di figura 3.1.5 sia nella serie di foto di visione d’insieme a terra di figura 3.1.12. La ricostruzione della piazza è ancora oggi piuttosto dibattuta: c’è chi ritiene fosse meglio prima de-gli interventi e chi, pur critico sul progetto, ne apprezza l’intenzione di fondo e le forme, che ne potrebbero fare un ottimo luogo di aggregazione.

Nonostante una storia recente piuttosto travagliata e un aspetto molto dibattuto, piazza Schiavone gode di una relativa vita sociale e associativa. La prima si concentra nell’area “morbida” della piazza dove, con l’adeguamento da parte del comune alle richieste dei cittadini, fu creata un’area giochi per bambini. Unico momento in cui la par-te “dura” della piazza sembra essere viva è la sera, con al-cuni gruppi di persone che vi si ritrovano, spesso giocando a carte, in estate. La vita associativa locale ha spesso come obiettivo quello di portare i cittadini alla riappropriazione degli spazi pubblici, attraverso iniziative più o meno com-plesse. Il Cantamaggio Bovisa,4 evento organizzato da La Sci-ghera in collaborazione con Bovisa InCanta, Voci di Mezzo e Col-tivando, rientra in questa logica, e si attua nelle esibizioni dei partecipanti che si spostano per il quartiere cantando canzoni tradizionali e ballando.

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↑ FIGURA 3.1.11 ◆ Mappa degli scatti fotografici in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)→ FIGURA 3.1.12 ◆ Serie di scatti fotografici in Piazza Schiavone. Si può notare come, anche vista a terra, la piazza risulta divisa nelle due parti che la compongono e, eccetto l'accesso visto nella parte d, l'area "dura" sembra isolata. Da nordest (parte a-b-c) questa percezione è causata dalla presenza degli alberi, mentre da sudovest (parte e-f-g) è causata dalla presenza delle macchine parcheggiate e dei muretti in cemento. (Michele Crivellaro, 2014)

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3.1.2 ◆ ANALISI

I grafici qui riportati e quelli seguenti sono frutto di rileva-zioni in giornate soleggiate e lavorative, e vogliono essere un esempio non completo di come e quanto venga utiliz-zato il luogo. Il primo grafico di figura 3.1.13 indica i mez-zi pubblici più vicini a Piazza Schiavone e le direzioni per raggiungere luoghi importanti, quali il Politecnico di Mi-lano. Il secondo, figura 3.1.14, mostra i percorsi più usati dalle persone che attraversano la piazza. Il terzo, figura 3.1.15, propone un tentativo di mappatura delle aree della piazza in cui gli utenti tendono a stazionare di più.La circolazione delle persone nella piazza sembra animata da due atteggiamenti fondamentali: la quotidianità dei passaggi, scandita indicativamente dagli orari di punta, e la divisione piuttosto netta tra luoghi di passaggio e spazi in cui raramente si risconta la presenza di persone. Piaz-za Schiavone è al centro di una zona densamente abitata, ma non ha mezzi pubblici che la attraversano, fenomeno mostrato in figura 3.1.13. Questa caratteristica fa sì che la piazza abbia dei flussi di passaggio molto collegati ai ritmi quotidiani. Gli orari dei movimenti sono spesso dettati da quelli degli uffici, delle scuole e da eventi come il merca-to, dando alla piazza un’atmosfera ritmata dalle necessità della vita quotidiana. La mattina è riscontrabile un note-vole flusso di persone che dal quartiere di Bovisa procedo-no verso Via Varchi, da cui è possibile raggiungere le linee 90 e 91 dei mezzi pubblici. Nel tardo pomeriggio il flusso si inverte, e da Via Varchi procede verso nord. Il dato più in-teressante emerso dalle osservazioni in situ è la differente presenza di persone nella parte “dura” e in quella “molle” della piazza: mentre quest’ultima è quasi sempre anima-ta, la prima ospita pochi individui alla volta, e per poco tempo, fatte salve alcune rare eccezioni.Il problema principale della fruizione di Piazza Schiavone pare quindi lo scarso uso dell’area a sudovest, che i proget-tisti hanno definito “dura”: pur avendo tutte le caratteri-stiche per essere un luogo vivo, è usata di fatto come zona

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di passaggio, al pari di un marciapiede, come visualizzato in figura 3.1.14, senza negozi e con un vicolo cieco a coro-namento, via Claudia. Inoltre, la presenza di uno slargo calpestabile come quello della parte “dura” della piazza invita gli utenti ad attraversarlo, piuttosto che girarci in-torno camminando sui marciapiedi. A causa di questi fe-nomeni, la parte “dura” si configura come un luogo scar-samente utilizzato, che si pone soprattutto come punto di incontro o luogo per sostare seduti sui blocchi di cemento che la caratterizzano, ma solo quando non fa né troppo freddo né troppo caldo, come mostrato in figura 3.1.15.L’area nordest della piazza, al contrario, è percorsa da mol-te persone, grazie anche alla presenza del mercato in Via Massara De Capitani e all’angolo parco giochi. L’uso mag-giore di questa parte della piazza sembra essere dovuto in primo luogo alla presenza di alberi, che nelle giornate assolate attraggono molte più persone rispetto al cemen-to. In secondo luogo la presenza di alcune attività aiuta l’aggregazione a nordest: un bar alla fine di Via Massara De Capitani, il parco giochi per bambini, che tende ad at-trarre molte più persone che quelle relative al suo target, e, infine, una serie di panchine sotto gli alberi tra Via De Capitani e Via Ricotti.

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↑ FIGURA 3.1.13 ◆ Mappa con le direttrici di interesse in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

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↑ FIGURA 3.1.14 ◆Flussi di persone in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

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↑ FIGURA 3.1.15 ◆ Densità dell'uso di Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

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3.1.3 ◆ BISOGNIL’analisi del quartiere e della piazza ha portato all’iden-tificazione di alcuni bisogni su cui il presente progetto desidera intervenire. Come già accennato in apertura di questa tesi, le problematiche legate all’identità del luogo e all’attaccamento ad esso stanno diventando sempre più importanti (cfr 1.1.2). Bovisa sembra avere una forte iden-tità storica che tuttavia appare indebolita e trasformata negli anni a causa dell’abbandono da parte di industrie e istituzioni e della trasformazione radicale d’uso delle vec-chie strutture, oltre che dalla differente caratterizzazio-ne degli abitanti, spesso appartenenti a categorie sociali molto diverse.

1. COMUNICARE E DISCUTERE IL LUOGO

Le continue trasformazioni sociali e identitarie che sono avvenute in Bovisa negli ultimi cinquant’anni hanno por-tato a quello che può essere identificato un bisogno ge-neralizzato e intergenerazionale di dialogo su cosa sia il quartiere, sulla sua storia, su cosa sia avvenuto e su cosa potrebbe ancora avvenire in esso. Quando si svolsero le consultazioni per il rifacimento di Piazza Schiavone, po-chissime persone parteciparono, evidente segno di man-canze in tal senso. La problematica principale emersa è la netta divisione tra coloro che partecipano alla vita sociale e associativa del quartiere e coloro che non lo fanno. Nel primo gruppo sono evidenti un fortissimo attaccamen-to al luogo e un deciso senso di comunità, elementi che, per loro natura, portano a discutere e cercare di definire il quartiere attraverso l’azione. Nel secondo gruppo tutto ciò pare assente, e la percezione diffusa di Bovisa è quella di un quartiere-dormitorio.

2. UNIRE LE TRE ANIME DEL QUARTIERE

Bovisaschi ed ex operai in pensione, fotografati in figura

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↑ FIGURA 3.1.16 ◆ Anziani in via Massara de’ Capitani (Michele Crivellaro, 2014)

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↑ FIGURA 3.1.17 ◆ Extracomunitari in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

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3.1.16, convivono con una forte componente di immigrati, in figura 3.1.17, e una crescente comunità di studenti del Politecnico di Milano, immortalati in figura 3.1.18. Que-sti tre gruppi sociali sembrano vivere isolati gli uni dagli altri. Una riflessione su questo fenomeno deriva dai dati offerti da Francesco Cosenza, impiegato presso la Biblioteca di Dergano-Bovisa: l’utenza fissa di questa realtà è formata da una parte italiana composta quasi esclusivamente da studenti, e da un’altra composta da appartenenti ad un totale di 95 nazionalità differenti.5 Un elemento che sem-bra portare integrazione tra le prime due categorie sono i bambini perché, come fatto notare da Alessandro Sachero di Coltivando, sono quelli che offrono occasioni di incontro tra le persone6. Il dialogo sociale è stato identificato come un bisogno essenziale per questo quartiere, tanto da far ruotare intorno a esso molti progetti locali in tal senso. Risultati positivi sono stati raggiunti da eventi come il Sa-bato della Bovisa7, Coltivando8 e dalle iniziative promosse dal circolo Arci La Scighera.9

3. USARE SPAZI PUBBLICI SOTTOUTILIZZATI

L’uso degli spazi urbani può essere considerato un punto critico per Milano in generale, ma a Bovisa questo elemen-to è la cartina tornasole atta a indicare come e quanto la crisi sociale e identitaria del quartiere si sia manifestata. Sono presenti grandi aree abbandonate, quale quella sita tra la stazione di Bovisa e Via Bellagio, in figura 3.1.19; parchetti sottoutilizzati; piazze il cui scopo aggregativo non è stato mai raggiunto, come Piazza Schiavone in figu-ra 3.1.20. Lo scarso utilizzo degli spazi pubblici del Politec-nico di Milano da parte degli abitanti, pur essendo questi spazi pubblici, è stata la spinta iniziale dei progetti legati a Coltivando. Alessandro Sachero descrive così l’interazione con gli abitanti:

In realtà la base era dire “guardate che è uno spazio pubblico, ci potete venire”. Addirittura adesso la gente ci scrive per venire a fare i pic-nic qua nel prato e scrive a noi di Coltivando dicendo “ma

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↑ FIGURA 3.1.18 ◆ Studenti alla stazione di Milano Bovisa – Politecnico (Michele Crivellaro, 2014)

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possiamo” e noi “certo”. Ecco queste sarebbero cose belle da tra-smettere. […] Dire “ma guardate che se volete potete usarlo come parco”, e questa è una cosa che la gente non si aspetta mai, “posso fare la festa di mio figlio lì”.10

Piazza Schiavone può essere considerata come l’unica area pedonale nel quartiere abbastanza grande da poter svolge-re la funzione sociale della piazza: permettere l’incontro, la sosta, il raggruppamento più o meno spontaneo di per-sone, la manifestazione di idee e la discussione pubblica. Questo potenziale, più di ogni altra cosa, ha fatto sì che il luogo di ID:BVS sia proprio Piazza Schiavone.

1 Intervista ai partecipanti di Bovisa InCanta in data 3 giugno 20142 viaggi.ciao.it/Da_Vedere__Opinione_5081823 www.silvestri.info4 http://www.lascighera.org/il-cantamaggio-della-bovisa-festa-itineran-

te-per-le-vie-del-quartiere5 Intervista fatta a Franceso Cosenza in data 04 giugno 20146 Intervista fatta a Alessandro Sachero in data 31 maggio 2014.7 https://www.facebook.com/ilsabatodellabovisa8 http://www.coltivando.polimi.it/9 http://www.lascighera.org/10 Intervista fatta a Alessandro Sachero in data 31 maggio 2014.

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↑ FIGURA 3.1.19 ◆ Area abbandonata di fianco alla stazione di Milano Bovisa – Politecnico (Michele Crivellaro, 2014)

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↑ FIGURA 3.1.20 ◆ Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

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3.2

COME

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3.2.1 ◆ OBIETTIVII bisogni del quartiere di Bovisa, combinati con le poten-zialità delle facciate mediatiche, hanno portato alla indi-viduazione di due tipologie di obiettivi, strettamente con-nesse a partecipazione, identità del luogo e innovazione sociale. Questi obiettivi, illustrati in figura 3.2.1, tendono a influenzarsi vicendevolmente, e proprio grazie a questa interdipendenza possono essere considerati più facilmen-te raggiungibili, sia che essi siano individuati come rea-lizzabili a breve e medio termine, sia come realizzabili a lungo termine. ID:BVS viene visto come un lungo processo che parte da una situazione in cui il luogo è concettual-mente poco definito, con uno scarso attaccamento verso di esso da parte degli utenti e la presenza di sintomi di scarsa cura dell’ambiente urbano. L’obiettivo finale di ID:BVS è un lavoro sul senso del luogo attraverso la partecipazione e la creazione di una nuova piattaforma culturale che agisce nello spazio urbano e sulla società, suoi temi principali.

BREVE E MEDIO TERMINE

Gli obiettivi a breve e medio termine che ID:BVS si pone hanno a che fare con il luogo fisico in cui esso verrà instal-lato, con il modo in cui le persone lo usano e lo percepisco-no e, infine, con il modo in cui gli utenti interagiscono gli uni con gli altri.

Modificare il luogo fisicoAttraverso l’uso delle facciate mediatiche in uno spazio ur-bano pubblico si punta a ottenere un impatto positivo sul-la percezione dello stesso. La modifica del luogo dovrebbe avvenire tuttavia in modo discreto, così da proiettare lo spazio verso il futuro cercando di mantenerne gli elementi che lo definiscono. Volendo agire nel modo più sostenibile possibile a livello spaziale e identitario, si realizza un ma-nufatto che possa reggere l’impatto con il tempo e che non venga visto come un’ulteriore violazione dello spazio così come è percepito dalla popolazione.

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Comunicazione del luogoObiettivo di ID:BVS a livello comunicativo è quello di crea-re dei contenuti che possano narrare cosa è successo, cosa succede e cosa potrebbe succedere a Bovisa: narrare il luo-go, discuterlo e rappresentarlo, facendo sì che gli utenti si possano specchiare nelle storie e nei luoghi narrati. L’istallazione, in questo senso, dovrebbe essere uno spec-chio, a volte esatto e a volte deformante, della realtà che ci circonda, passata, presente, futura, tangibile, percepibile o percettibile.

Dialogo SocialeCome accennato è opportuno sviluppare il dialogo socia-le in una logica inclusiva. Questo obiettivo, strettamente legato alla partecipazione, andrebbe a incidere diretta-mente nell’ambito sociale e umano del quartiere, anche spingendo le persone a partecipare agli innumerevoli eventi presenti in Bovisa. La maggiore visibilità degli enti culturali che interessano il quartiere potrebbe portare alla creazione di un luogo fisico e virtuale che dia spazio alla cultura in modo nuovo e democratico, stimolando a sua volta la creazione di nuove tipologie di contenuti.

PartecipazionePartecipazione

Comunicazionedel luogo

Comunicazionedel luogo

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Attaccamentoal luogoAttaccamentoal luogo

Modificareil luogo fisico

Modificareil luogo fisico

medio e lungo terminemedio e lungo terminebreve e medio terminebreve e medio termine

Dialogo SocialeDialogo Sociale

↑ FIGURA 3.2.1 ◆ Obiettivi di ID:BVS (Michele Crivellaro, 2014)

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PartecipazioneLa partecipazione è qui intesa come la creazione di una piattaforma collaborativa il cui scopo è quello di includere enti privati e pubblici, associazioni e utenti nella produ-zione di contenuto. Questo potrebbe portare a effetti po-sitivi sul modo in cui gli abitanti partecipano alla vita e alla definizione dell’identità del quartiere. Connettere i mondi digitali personali, quali quelli dei social network, con lo spazio pubblico dovrebbe portare un maggiore coin-volgimento dell’utente sia verso l’installazione che verso il luogo stesso. Ulteriore obiettivo in questo senso è fare in modo che l’installazione sia vista dagli abitanti come un qualcosa di proprio.

MEDIO LUNGO TERMINE

Tutti gli obiettivi a medio e lungo termine di questo pro-getto sono connessi con il senso del luogo (cfr 1.1.2): le va-rie tipologie di contenuti, generati dagli utenti o forniti da entità istituzionali o associative, dovrebbero riuscire da una parte a rappresentare al meglio la realtà di Bovi-sa, dall’altra spingere più utenti possibili alla creazione di contenuti. Grazie a queste due forze combinate, la discus-sione sul luogo da parte di chi lo vive potrebbe cambiare, mutare e portare a un eventuale inversione di rotta nella percezione della realtà. Nel momento in cui si conosce di più il luogo in cui si vive e si partecipa di più alla sua crea-zione, è evidente un aumento dell’attaccamento al luogo. Questo cambiamento potrebbe innescare una spirale vir-tuosa di cura degli spazi, di maggiore partecipazione alla vita pubblica e all’installazione stessa, divenuta fulcro di un circolo virtuoso.

Ethos del luogoObiettivo principe di questo progetto è di sviluppare un dialogo a livello sociale e una discussione comune su cosa sia il luogo che le persone vivono, fenomeno che potrebbe portare a una maggiore definizione dei valori e dell’ethos del quartiere. Questi due elementi sono qui considerati

214

molto importanti perché di fatto compongono la piatta-forma concettuale su cui gli utenti del luogo costruiscono la propria percezione di quest’ultimo e su cui basano la loro azione nello spazio pubblico.

Attaccamento al luogoMaggiore partecipazione nella creazione di contenuti pubblici, maggiore comunicazione del luogo e l’aumen-to del dialogo sociale potrebbero influire positivamente sull’attaccamento al luogo. Un aumento di quest’ultimo potrebbe essere anche la base per desiderarlo migliore e stimolare una maggiore partecipazione quando l’intera comunità è chiamata a prendere delle decisioni, andando nella direzione di evitare ciò che successe nel 2001 nelle consultazioni per il rifacimento della piazza.

Senso della comunitàLa partecipazione, il dialogo sociale e l’attaccamento al luogo che deriverebbero da ID:BVS potrebbero portare a un maggiore senso di comunità e maggior senso di appar-tenenza da parte del gruppo di utenti del luogo. Questa crescente coesione sociale richiede un processo inclusivo che tenda a evitare la radicalizzazione dei tre gruppi che costituiscono il tessuto sociale del quartiere (illustrati in precedenza) ma, al contrario, riesca a farli interagire e partecipare alla creazione di contenuti.

215ID:BVS / Come

3.2.2 ◆ INSTALLAZIONEAnalizzando l’uso di Piazza Schiavone da parte degli utenti e la storia di questo luogo, si è deciso di ricostruire il muro divisorio tra la parte “molle” e quella “dura” della piazza, mostrato in figura 3.2.2. Il posizionamento dello scher-mo che dà verso l’anfiteatro, come visualizzato in figura 3.2.4, vorrebbe dare nuova vita a un’area che a volte pare usata solo come spazio di transito. Il luogo di intervento è delimitato dal muretto sormontato da una ringhiera che divide la piazza, al cui centro sono allocate le due vasche unite della fontana. L’installazione vuole sostituire la rin-ghiera metallica con un pannello di ONLYGLASS, con il lato illuminato rivolto verso sudovest.

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via Varchivia Claudia

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↙ FIGURA 3.2.2 ◆ Posizionamento del muro divisorio in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)↘ FIGURA 3.2.3 ◆ Posizionamento di ID:BVS in Piazza Schiavone (Michele Crivellaro, 2014)

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Le dimensioni dello schermo derivano dagli elementi strutturali di Piazza Schiavone, in modo tale da rendere l’installazione la più organica possibile con il resto del paesaggio urbano. Il muretto con la ringhiera che divide piazza è stato usato come base su cui lo schermo verrebbe installato, fornendone così la lunghezza di 32,59 metri. L’altezza variabile dell’elemento separatore della piazza fa sì che, posizionando su di esso lo schermo e volendo man-tenere il suo limite superiore a un’altezza costante, quella dello schermo deve variare. La posizione in cui quest’ulti-mo è più basso coincide quindi con quella in cui il muretto è più alto, e viceversa. Al centro della struttura in cemen-to, sul lato opposto della piazza, è presente, infatti, la fon-tana, che crea un gradino in altezza sul resto del muretto. La misura di questa differenza, 1,21 metri, è anche quella dello schermo sopra di essa, che fornisce il limite superio-re di tutto lo schermo, a 3,73 dal suolo, come mostrato in figura 3.2.4/c. Portando questa misura alle due estremità del muretto si ottengono le dimensioni finali dell’instal-lazione, visualizzate in figura 3.2.4/e: lunghezza 32,59 metri, altezza variabile da un minimo di 1,21 metri a un massimo di 2,82 metri. Questo procedimento ha determi-nato le dimensioni dello schermo, che può sembrare spro-porzionato rispetto alla piazza. Tuttavia, la scarsa defini-zione dello schermo e la trasparenza al 90% fanno sì che la sua presenza venga notata ma che non sia di particolare disturbo, come si può noatre dalla figura 3.2.7. La presen-za di molti alberi nella parte molle della piazza, incorni-ciano l’installazione quando è vista da sudovest, mentre se vista da nordest la nascondono quasi totalmente. Que-sti elementi fanno sì che ID:BVS possa essere una presenza molto visibile e nello stesso tempo leggera e non invaden-te nello spazio urbano.A livello mediatico, ID:BVS potrebbe venire associato in maniera spontanea ai totem digitali che mostrano pubbli-cità commerciale, sempre più presenti a Milano: la scom-messa di ID:BVS è di riscrivere questo collegamento men-tale spontaneo, facendo percepire l’installazione come qualcosa fortemente legata al luogo.

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↑ FIGURA 3.2.4 ◆ Luogo di installazione di ID:BVS e modalità di definzione delle sue dimensioni (Michele Crivellaro, 2014)

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761 x 121380px x 60px

a

b

c

d

e

218218

↑ FIGURA 3.2.5 ◆ Ingombro di ID:BVS (Michele Crivellaro, 2014)

219ID:BVS / Come

↓ FIGURA 3.2.6 ◆ Simulazione frontale di ID:BVS (Michele Crivellaro, 2014)

219ID:BVS / Come

220

↑ FIGURA 3.2.7 ◆ Simulazioni di ID:BVS da vari punti di vista, a±ancate alle situazioni attuali (Michele Crivellaro, 2014)a - b ◆ vista da sudovest

a

b

221ID:BVS / Come

c - d ◆ vista da nordovest

c

d

222

e - f ◆ vista da nord

e

f

223ID:BVS / Come

g - h ◆ vista da ovest

g

h

224

3.2.3 ◆ FUNZIONAMENTOID:BVS vuole essere una piattaforma dialogica e proget-tuale aperta e in continua evoluzione. Non sono presen-ti strutture statiche ma al contrario è stato delineato un percorso che parte dal coinvolgimento delle entità e de-gli utenti presenti sul territorio e dovrebbe terminare nel momento in cui la piattaforma è autosufficiente. Questo percorso ruota intorno alla partecipazione e alla collabora-zione, viste come strumenti per la creazione di contenuto di tipo sia bottom-up sia top-down, utile agli abitanti del luogo. Nel posizionamento all’interno dello schema sui casi studio mostrato in figura 3.2.8, che esplicita come i loro contenuti vengono generati, ID:BVS si colloca all’in-crocio tra i media che usano una modalità di comunica-zione uno a molti e interattiva, con artefatti in parte di provenienza top-down e in parte bottom-up. Si può nota-re, infatti, come i casi studio vicini alla posizione di ID:BVS hanno contenuti o approcci progettuali molto simili ad al-

Gates of lightGates of light

Re:siteProjectRe:siteProject

NosyNosy

City Bug ReportCity Bug Report

SMSlingshotSMSlingshot

uno a moltiuno a molti

interattivointerattivo

reattivoreattivo

organicisticoorganicistico

top-downtop-down bottom-upbottom-up

BlinkenlightsBlinkenlights

ImoImo

Light in the streetLight in the streetThings changeThings change

Fed TVFed TV

Glimpses of the USAGlimpses of the USA

KubikKubikCASZuidasCASZuidas

Life in dayLife in day

Re-memberRe-member

EgoscopioEgoscopioPeople’s Portrait ProjectPeople’s Portrait Project

↓ FIGURA 3.2.8 ◆ Modalità contenutistiche di ID:BVS a confronto con le facciate mediatiche dei casi studio (Michele Crivellaro, 2014)

225ID:BVS / Come

cune idee suggerite in questa tesi. Blinkenlight (cfr A.1.1), in particolare, condivide lo stesso posizionamento di ID:BVS perché prevede molte modalità di creazione di contenuto da parte di un numero alto di diversi enti.In figura 3.2.9 è stato visualizzato il nucleo della struttura organizzativa che ID:BVS si pone è un gruppo di persone, provenienti dalle realtà attive in Bovisa in collaborazione con il progettista: esse si occupano di gestire i contenu-ti, facilitare la comunicazione fra le varie entità, creare una programmazione e occuparsi della comunicazione di ID:BVS. Questo compito dovrebbe avvenire avendo chiaro che l’approccio dell’installazione verso i contenuti deb-ba essere il più possibile neutro e inclusivo: lo scopo è far emergere ciò che succede nel quartiere e ciò che le persone pensano, non imporre dall’alto idee sul luogo, per quan-to condivisibili esse possano essere. Questa apertura do-vrebbe avere dei limiti nel momento in cui non si rispetta la legge, si offendono determinati gruppi sociali o si pro-muove una politica intollerante (cfr 1.1.2) che porti il dia-logo a focalizzarsi sulla distanza con l’altro invece che sulla definizione del sé (cfr 1.1.3).Riguardo la gestione dei contenuti, il gruppo dovrebbe es-sere in grado di svolgere quattro ruoli: il primo è quello di

utenticuratori

entisul territorio

politecnicodi milano

comunedi milano

ID:BVS

consigliozona 9

↑ FIGURA 3.2.9 ◆ Relazioni tra le varie realtà coinvolte in ID:BVS (Michele Crivellaro, 2014)

226

negoziare ciò che dovrebbe essere mostrato con le realtà presenti in zona; il secondo è quello di filtrare i contenuti negoziati dagli utenti; il terzo è la creazione di alcuni for-mat informativi, come per esempio quelli provenienti dal Comune di Milano; il quarto è la creazione di contenuti legati alla comunicazione di ID:BVS e alla quotidianità del quartiere (cfr 3.3).Il gruppo di curatori avrebbe inoltre il compito di facilitare la comunicazione tra le varie realtà che creano contenu-ti, in modo tale da rendere possibili collaborazioni e au-mentare di conseguenza la qualità degli artefatti prodotti. Questo ruolo di facilitazione e mediazione viene ritenuto essenziale data la natura il più possibile inclusiva dell’in-stallazione.ID:BVS, infine, avendo un contenuto flessibile derivante dagli apporti di così tante entità, richiederebbe una pro-grammazione altrettanto adattiva, che dovrebbe essere bilanciata su quanto avviene nel quartiere e su ciò che vie-ne creato dalle varie realtà coinvolte.I rischi maggiori di un’installazione come questa sono le-gati da una parte alla mancanza di partecipazione, dall’al-tra alla percezione dell’installazione fisica e/o contenuti ivi trasmessi come qualcosa di estraneo al quartiere. Per evitare questa possibilità, si prevede una campagna di coinvolgimento, attiva già prima dell’installazione dello

inst

alla

zion

e

istituzionali

contenuti degli enti

inviti alla partecipazione

campagna di coinvolgimento

eventi

social network

politecnico di milano

quotidianeità

↑ FIGURA 3.2.10 ◆ Linea temporale sull'introduzione dei contenuti in ID:BVS (Michele Crivellaro, 2014)

227ID:BVS / Come

schermo, che possa comunicare sia con la maggior parte degli enti sia con gli abitanti del quartiere cosa sta avve-nendo e come tutti possano contribuire.Questo sforzo inclusivo non si prevede termini con l’in-stallazione dello schermo, ma continui invece anche in seguito per stimolare persone ed enti alla creazione di ar-tefatti, come mostrato in figura 3.2.10. In questa stessa fase è valutabile un periodo di adattamento, in cui avven-ga di fatto la presentazione di ID:BVS, tramite contenuti istituzionali e inviti alla partecipazione. Obiettivo di que-sta prima fase è un progressivo processo per rendere fami-liare ID:BVS e alzare l’attenzione delle persone verso ciò che sta avvenendo nel medium e nel quartiere. I contenuti de-rivati dai social network si prevede entrino in gioco subito dopo, seguiti da quelli del Politecnico di Milano. Questi primi contenuti trasmessi dovrebbero essere molto chia-ri, cercando di non dare nulla per scontato, con l’intento di illustrare le tematiche e introdurre gli utenti ad argo-menti che non è detto siano immediatamente comprensi-bili a tutti. Gli ultimi contenuti a essere inclusi nella pro-grammazione saranno poi quelli creati dagli enti, perché richiedono spesso una familiarità con ciò che avviene in Bovisa che non è scontata.Il percorso delineato sui contenuti parte dal presupposto che gli utenti seguano un percorso circolare simile a quel-lo prospettato da Maffei e Fuller (cfr 1.3.2), formato da una sequenza percezione – riflessione - decisione - creazione.La prima fase dovrebbe portare gli utenti a porsi nuove do-mande sul luogo e sulla loro appartenenza a esso. Scopo di questa spinta è la riflessione, ossia spingere le persone a chiedersi quale sia l’identità del luogo e quale possa essere il loro ruolo in essa. Dovrebbe quindi seguire negli utenti la nascita spontanea del bisogno di esprimere le proprie opinioni attraverso contenuti visivi che possano comuni-care emozioni, senso di appartenenza e ethos del luogo. Si ipotizza che la fase di partecipazione possa portare a una percezione diversa degli artefatti visti rispetto a quella precedente, innescando così, di nuovo, il percorso circola-re qui esemplificato.

228

229ID:BVS / Chi

In questo capitolo saranno analizzate le varie tipologie di contenuti che alcune realtà di Bovisa potrebbero creare attraverso la partecipazione a ID:BVS. Le idee qui proposte sono in larga parte frutto di interviste e dialoghi avuti con gli enti presenti nel quartiere, comprendendo quindi uno spettro di approcci, derivanti dai vari background delle persone coinvolte, che hanno portato a proposte frutto sia di una piena comprensione delle potenzialità del mezzo sia della loro non completa comprensione. Come visualiz-zato in figura 3.3.1, le realtà che si prevede di coinvolgere possono essere divise in due gruppi, relati alla tipologia di contenuto che potrebbero creare: diretti, coloro in grado di fornire a ID:BVS degli artefatti pronti alla trasmissione; intermediati, cioè coloro che possono fornire dati, imma-gini o testi che sia necessario poi adattare al medium per merito di terzi. I contenuti diretti possono essere creati dal Politecnico di Milano, dal gruppo di curatori e, poten-zialmente, dagli enti. Quelli intermediati possono essere creati dal Comune di Milano, dal Consiglio di Zona 9, da-gli utenti e in parte dagli enti.

3.3

CHI

230

diretti

comunedi Milano

intermediati

utenti

curatori

enti

politecnicodi milano

consigliodi zona 9

↑ FIGURA 3.3.1 ◆ Divisione delle realtà coinvolte in ID:BVS secondo la tipologia di contenuti da loro creati: diretti e/o intermediati (Michele Crivellaro, 2014)

231ID:BVS / Chi

3.3.1 ◆ CONTENUTI DIRETTI

CURATORI

Il gruppo di persone che si prospetta come curatori avreb-be a che fare con quattro tipologie differenti di contenuti: la prima è formata da elementi individuati e resi tangibili dal gruppo stesso a partire da stimoli forniti loro da va-rie realtà; la seconda è composta da quelli negoziati con le entità del quartiere; la terza da quelli creati dagli utenti; la quarta, infine, ormata dai contenuti creati dal gruppo stesso.Riguardo la prima, i curatori dovrebbero essere in grado di produrre contenuti visivi partendo dalle informazioni fornite dal Comune di Milano, dal Consiglio di Zona 9 e dalle associazioni presenti in zona. Un possibile esempio delle responsabilità dei curatori potrebbe essere in tal sen-so la creazione di un format in cui si mostrino delle imma-gini della vecchia Bovisa, come ipotizzato in figura 3.3.16 a fine capitolo. La Biblioteca di Dergano-Bovisa sarebbe un al-leato prezioso nel reperire le immagini ed eventualmen-te associarle con del testo, affiancata in questo progetto dall’Archivio AEM e da La Scighera. Si prevede, inoltre, la cre-azione di un format standard, progettato dei curatori, per la comunicazione di ciò che avviene nel quartiere, come quello proposto nella simulazione per Coltivando, in figura 3.3.17 a fine capitolo.La seconda tipologia di contenuti ha a che fare con la pro-duzione del Politecnico di Milano, delle varie associazioni e dei gruppi informali di persone attivi in Bovisa. Il ruolo dei curatori sarebbe quello di lavorare in una prima fase in collaborazione con un referente di progetto, in modo da dar vita a risultati condivisi e rispondenti agli obiettivi di ID:BVS. Questa tipologia di negoziazione potrebbe sti-molare la rete di scambio di competenze tra i vari enti in merito alle conoscenze tecniche per produrre artefatti di qualità.La terza tipologia di contenuti è quella creata dagli utenti

232

attraverso social network o altre piattaforme. Il ruolo del gruppo di curatori in questo ambito è quello di filtrare i contenuti creati, dare ad essi una programmazione e sti-molare gli utenti alla partecipazione attraverso campagne di coinvolgimento e azioni comunicative all’interno dei social network.La quarta tipologia di contenuti è legata alla quotidiani-tà e ai flussi di persone che percorrono giornalmente la piazza per motivi legati al lavoro o all’istruzione. In que-sto caso ID:BVS si potrebbe rivolgere direttamente a que-ste persone, assecondando i movimenti degli utenti con contenuti relativi a ciò che questi stanno facendo. Nella figura 3.3.18, a fine capitolo, si può trovare un'ipotesi di contenuto con informazioni relative alla giornata che sta cominciando.

↓ FIGURA 3.3.2 ◆ Logo del Politecnico di Milano

233ID:BVS / Chi

POLITECNICO DI MILANO

L’idea della una collaborazione tra ID:BVS e il Politecnico di Milano (figura 3.3.4) si basa su un principio di scambi po-sitivi per entrambi: ID:BVS offrirebbe contenuti di qualità da mostrare agli utenti del luogo, e il Politecnico potrebbe avere, finalmente, uno spazio su cui mostrare una serie di artefatti comunicativi sul tema della città. Tuttavia, gli studenti dovrebbero compiere uno sforzo maggiore, ri-spetto al medium televisivo, per creare contenuti che si possano adattare al medium di ID:BVS. Questo potrebbe essere considerato il prezzo da pagare per avere un luogo dove mostrare realmente gli artefatti realizzati e testarne l’impatto sul quartiere. Un approccio sperimentale nei confronti del mezzo potrebbe portare inoltre all’istituzione di un laboratorio creativo per l’esplorazione di ONLYGLASS, cercando nuove modalità d’uso per ID:BVS. La narrazione può essere qui considerata la parola chiave. I contenuti do-vrebbero seguire un percorso tematico che ruota intorno al concetto di luogo, il rapporto tra essere umano e luogo, l’idea di casa e il quartiere di Bovisa. Questi sono temi su cui il Politecnico di Milano lavora da molto tempo: labora-tori sulla comunicazione della città come quelli condotti dalla professoressa Piredda e Galbiati potrebbero fornire contenuti preziosi a ID:BVS e di conseguenza al quartiere. In figura 3.3.3 sono presenti alcuni fotogrammi del video Periferie, realizzato all'interno dell'edizione 2011/12 del La-boratorio di Sintesi Finale Immagina Milano tenuto da Pired-da e Galbiati, in quell'anno accademico sul tema Racconti di Strada.

234234

FIGURA 3.3.3 ◆ Selezione di fotogrammi del video Periferie (Mahsa Alimohammadi - Diego Barbolini - Stefano Galimberti - Mauro Maggioni - Gabriele Mellera, 2012)

235ID:BVS / Chi

236

3.3.2 ◆ CONTENUTI IBRIDI

ENTI

Il ruolo delle associazioni presenti sul territorio sarebbe duplice: da una parte potrebbero fornire informazioni su eventi e iniziative sul territorio, mentre dall’altra po-trebbero farsi carico della creazione di contenuti frutto di negoziazioni tra di esse e i curatori. Nel primo caso la visualizzazione sarebbe a carico dei curatori. Nel secondo caso, invece, la situazione potrebbe variare molto di ente in ente, si presenteranno qui alcuni casi: La Scighera, Colti-vando, la Biblioteca di Dergano - Bovisa e Bovisa InCanta.

Il circolo Arci La Scighera,1 in via Candiani 131, ospita una serie di iniziative ed eventi molto vari, che vanno dalla musica al teatro, passando per rassegne d’arte. La varietà delle iniziative offerte fa sì che questa realtà possa offrire moltissime energie creative a ID:BVS, proprio per la gran-de esperienza maturata dai volontari sia nella gestione di eventi sia nella collaborazione con le realtà presenti nel quartiere. I bisogni di questo circolo possono essere ri-assunti nel maggiore coinvolgimento del pubblico agli eventi che organizza e nella necessità di un migliore so-stegno finanziario. La Scighera ha recentemente pubblicato sul suo sito un video in animazione, in figura 3.3.5, rea-lizzato da alcuni iscritti al circolo,2 dimostrando capacità tecniche e interesse riguardo la realizzazione di contenuti autonomi.

Un’altra realtà che potrebbe farsi carico della creazione di contenuti è Coltivando, iniziativa promossa dal Politecnico di Milano. La sua finalità è la creazione di un orto socia-le, aperto al pubblico, nel parco dell’università in via Can-diani 32. Il progetto soffre di scarsa visibilità e sensibilità nel suo uso, nonostante le campagne cartacee in questo senso. In tal caso, gli stessi contenuti proposti su carta po-trebbero essere riadattati al mezzo, così come suggerito da

237ID:BVS / Chi

↑ FIGURA 3.3.4 ◆ Logo La Scighera↓ FIGURA 3.3.6 ◆ Logo Coltivando

238

FIGURA 3.3.5 ◆ Selezione di fotogrammi del video Sostieni la Scighera (La Schigera, 2014)

239ID:BVS / Chi

240

↑ FIGURA 3.3.7 ◆ Logo Bovisa InCanta

Alessandro Sachero, cofondatore dell’iniziativa. Davide Fassi, professore responsabile, suggerisce altri contenuti possibili, di più ampio respiro, come un servizio strea-ming live dell’orto il sabato, e un gioco di interazione che parta da ID:BVS e finisca a Coltivando.

La Biblioteca di Bovisa-Dergano, in figura 3.3.8, ha suggerito un approccio a ID:BVS umanistico e sociale attraverso le parole di Francesco Cosenza. Nel lungo dialogo tra me e quest’ultimo, si è partiti dall’idea che un ente che svolge un servizio pubblico non debba usare lo stesso linguaggio pubblicitario di un ente privato, puntando a una serie di possibili contenuti che hanno nella lentezza della lettura la propria forza. La paura dell’impatto negativo di ID:BVS a livello mediatico ha fatto sì che la Biblioteca di Dergano-Bovi-sa si orientasse verso contenuti testuali medio-lunghi, in modo tale da richiedere un uso attento e consapevole del mezzo, che possa ribaltare un certo tipo di fruizione “pas-siva” come quella del medium televisivo. Un'ipotesi in tale direzione è presentata in figura 3.3.19, con testi sulla storia del quartiere.

Bovisa InCanta è un coro multiculturale e multietnico che si occupa della diffusione di canti popolari originari di molte regioni d’Italia e di alcune parti del mondo. Ogni persona che ne fa parte è invitata alla condivisione delle canzoni che conosce, in qualunque lingua esse siano: il coro ha fatto infatti dell’inclusione e dell’accettazione del diverso i suoi valori portanti. Il coro ha come difficoltà principale di non riuscire ad attrarre così tante persone come vorreb-be, in particolare quelle di nazionalità non italiana. I con-tenuti che si prospettano in questo caso sono da un parte

241ID:BVS / Chi

pubblicità dell’iniziativa, dall’altra campagne di coinvol-gimento ad hoc su specifici target culturali. In questo sen-so, dato l’uso che il coro già ha fatto di Piazza Schiavone, potrebbe essere interessante mostrare i testi delle canzoni in tempo reale, su ID:BVS, durante questi eventi, in modo tale da coinvolgere i passanti nel canto, come ipotizzato in figura 3.3.20.

242242

243ID:BVS / Chi

3.3.3 ◆ CONTENUTI INTERMEDIATI

UTENTI

Gli utenti del luogo potrebbero creare contenuto attraver-so molteplici modalità: si ritiene interessante l’uso di In-stagram e Twitter, ma non si escludono altre modalità come il concorso pubblico o l’interazione con un possibile sito web di ID:BVS. Le prime due proposte richiedono relativa-mente poco sforzo da parte dell’utente, qualche minuto al massimo, e sono legate ad applicazioni che vengono già usate abbondantemente nella zona di Bovisa.

Le foto di Instagram taggate #bovisa, anche se non stret-tamente legate al quartiere, possono funzionare da spec-chio del luogo fisico, di ciò che le persone sono e di quali azioni compiono nello spazio urbano. Si è scelto di usare Instagram per due motivi: gli utenti di Bovisa ne fanno uso quotidiano ed è un mezzo che ha la capacità di riflettere la realtà deformandola attraverso i filtri visivi, i quali pos-sono influenzare anche il messaggio che l’immagine vei-cola. L’uso del tag #bovisa, come accennato, ha mostrato due tendenze: da una parte la pubblicazione di fotografie del luogo, dall’altra l’uso più intenso di tag non necessa-riamente collegati al contenuto dell’immagine fatto da utenti più esperti. Infatti, guardando l’esempio formato da foto taggate #Bovisa in figura 3.3.9, si può notare come siano presenti foto di gatti accostate a scatti dei gasome-tri, che forse sono l’elemento più identificativo degli spa-zi in questione. Una ricerca sulla geolocalizzazione delle foto scattate nel quartiere (ma non taggate #bovisa o tag correlati) ha mostrato come ci sia una discreta attività di produzione di contenuti di questo tipo nella zona.Per mostrare le diversità di Bovisa a livello umano potrebbe essere interessante lanciare specifici hashtag su Instagram, in modo tale da spingere gli utenti a mostrare il proprio

← FIGURA 3.3.9 ◆ Screenshot delle foto con #Bovisa su Statigram, sito di esplorazione dei contenuti Instagram (Michele Crivellaro, 2014)

244

viso in pubblico, mostrandone la diversità. Un'ipotesi di visualizzazione dei tweet degli utenti si ID:BVS è mostrata in figura 3.3.22/23 a fine capitolo.

L’uso di Twitter in Bovisa è, tra le zone periferiche di Mila-no, secondo solo all’aeroporto di Linate e allo stadio Me-azza, come visualizzato in figura 3.3.10. Se il meccanismo di tag è lo stesso di Instagram, in questo caso si renderebbe necessario l’uso di filtri più ricercati sui contenuti. Que-sta necessità è dettata dalla presenza di moltissimi tweet indesiderati, come quelli politici e di annunci di vendita di case, come si può osservare in figura 3.3.13. Per ovvia-re questa problematica, potrebbe essere utile lanciare un tag apposito come #IDBVS, che permetterebbe un primo filtro da lasciare in mano agli utenti. Questo non evite-rebbe il bisogno di un controllo manuale di tutti i tweet, ma potrebbe essere un buon modo per stimolare le perso-ne alla partecipazione, per esempio attraverso la richiesta di racconti di ricordi personali su Bovisa, come suggerito da Francesco Cosenza della Biblioteca di Dergano - Bovisa. Una possibile simulazione è mostrata in figura 3.3.24 a fine ca-pitolo.

→ FIGURA 3.3.11 ◆ Screenshot dei tweet con l'hashtag #Bovisa su Twitter (Twitter, 2014)

245ID:BVS / Chi 245ID:BVS / Chi

246

↑ FIGURA 3.3.10 ◆ Visualizzazione dell’uso di Twitter nell’area metropolitana di Milano. Il cerchio nero evidenzia il quartiere di Bovisa. (Eric Fischer, 2010)

247ID:BVS / Chi

COMUNE DI MILANO

Al Comune di Milano si richiede la comunicazione ai cu-ratori dei contenuti che ritiene più importanti. Non solo quindi le notizie che appaiono sul sito del Comune di Mila-no,3 mostrato in figura 3.3.13 ma informazioni e comuni-cazioni alla cittadinanza. Si potrebbero usare i contenuti, mostrati in in figura 3.3.14, che il comune pubblica sulla propria pagina di Facebook4 piuttosto attiva, ad esempio, che verrebbero riadattati per il medium in questione dal gruppo di curatori. I contenuti potrebbero essere sia tec-nici (lavori in corso, ecc.), sia informativi (eventi e incon-tri aperti al pubblico in zona e in città, ecc.): un'ipotesi di contenuto è in figura 3.3.25, a fine capitolo.

↓ FIGURA 3.3.12 ◆ Logo Comune di Milano↘ FIGURA 3.3.13 ◆ Screenshot dell'area delle notizie all'interno del sito del Comune di Milano (Comune di Milano, 2014)↘ ↘ FIGURA 3.3.14 ◆ Screenshot della pagina Facebook del Comune di Milano (Facebook, 2014)

248248

249ID:BVS / Chi 249ID:BVS / Chi

250

↑ FIGURA 3.3.15 ◆ Logo Consiglio di Zona 9→ FIGURA 3.3.16 ◆ Screenshot dell’area delle notizie all'interno del sito del Consiglio di Zona 9 (Comune di Milano, 2014)

CONSIGLIO DI ZONA 9

Al Consiglio di Zona 9 si chiede uno sforzo simile a quello del Comune di Milano, legato alla seleziona di contenuti rilevanti per l’utenza del luogo a partire dalla pagine di informazione ufficiale,5 in figura 3.3.16. La differenza di competenze tra i due enti è determinata l’area geografi-ca di interesse: mentre il comune di Milano si occupa in-formazioni connesse a tutta l’area cittadina, il consiglio di zona è legato a un territorio molto più piccolo, conosce bene le sue esigenze, la sua storia e i suoi possibili svilup-pi. Un possibile contenuto su ID:BVS è visuallizato in figu-ra 3.3.26 a fine capitolo.

251ID:BVS / Chi 251ID:BVS / Chi

252

PIAZZABAUSAN

STAZIONEDI MILANO NORD BOVISA

BUONGIORNO! 28 MARZO 2013ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

COLTIVANDO Ogni Sabato, 10/14Politecnico di Milano, Via Candiani 64

↑ FIGURA 3.3.17 ◆ Simulazione di ID:BVS: uso di immagini storiche di Bovisa (Michele Crivellaro, 2014)↓ FIGURA 3.3.18 ◆ Simulazione di ID:BVS: evento, Coltivando (Michele Crivellaro, 2014)

La bella la va al fossola bella la va al fossoravanei remolazz barbabietul e spinazztri palanchi al mazzla bella la va al fosso

LA BELLA LA VA AL FOSSO

Il quartiere Bovisa trae le sue origini dal passato agropastorale che caratterizzava la pianura lombarda dei primi del secolo diciannovesimo; lo stesso nome 'Bovisa' trova le sue radici nella parola 'Boves', 'Buoi' che richiama il ricordo dei pascoli intorno alla città.

Tra le aziende di quel periodo si ricordano la Montecatini, la Sirio, la Smeriglio, la De Giovanni (argenteria), la De Andreis (tipografia), la Ceretti e Tanfani (gru e cavi funivia), la Moretti (tendi militari e civili), la Fernet Branca, la Tibiletti (ora Dulcistar, semilavorati per pasticceria), la Fratelli Livellara (ancora in attività).

↑ FIGURA 3.3.19 ◆ Simulazione di ID:BVS: contenuti realitivi alla quotidianità (Michele Crivellaro, 2014)↓ FIGURA 3.3.20 ◆ Simulazione di ID:BVS: uso di testi narrativi o saggistici (Michele Crivellaro, 2014)

↓ FIGURA 3.3.21 ◆ Simulazione di ID:BVS: testi dei canti di Bovisa InCanta (Michele Crivellaro, 2014)

253ID:BVS / Chi

PIAZZABAUSAN

STAZIONEDI MILANO NORD BOVISA

BUONGIORNO! 28 MARZO 2013ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

COLTIVANDO Ogni Sabato, 10/14Politecnico di Milano, Via Candiani 64

La bella la va al fossola bella la va al fossoravanei remolazz barbabietul e spinazztri palanchi al mazzla bella la va al fosso

LA BELLA LA VA AL FOSSO

Il quartiere Bovisa trae le sue origini dal passato agropastorale che caratterizzava la pianura lombarda dei primi del secolo diciannovesimo; lo stesso nome 'Bovisa' trova le sue radici nella parola 'Boves', 'Buoi' che richiama il ricordo dei pascoli intorno alla città.

Tra le aziende di quel periodo si ricordano la Montecatini, la Sirio, la Smeriglio, la De Giovanni (argenteria), la De Andreis (tipografia), la Ceretti e Tanfani (gru e cavi funivia), la Moretti (tendi militari e civili), la Fernet Branca, la Tibiletti (ora Dulcistar, semilavorati per pasticceria), la Fratelli Livellara (ancora in attività).

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img 23.24CLAU

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G_DE

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KYOC

AFE

LEMONWRINDopo una colazione così, dono solo amore #todomodo #bovisa #polimi #Buongiorno

PAOLAMELONIEccoci in #bovisa all'evento di via dolce via

AREA CCOMUNE DI MILANO DAL 7 APRILE CHI REGOLARIZZA LA SANZIONE ENTRO 7

GIORNI PAGHERÀ 15 EURO ANZICHÈ 30

CONSIGLIO DI ZONA 9M3 COMASINAAL VIA I LAVORI DEL PARCHEGGIO DI INTERSCAMBIO TRA VIA RUBICONE E VIA COMASINA

↑ FIGURA 3.3.22 ◆ Simulazione di ID:BVS: contenuti di Instagram 1 (Michele Crivellaro, 2014)↓ FIGURA 3.3.23 ◆ Simulazione di ID:BVS: contenuti di Instagram 2 (Michele Crivellaro, 2014)

↑ FIGURA 3.3.24 ◆ Simulazione di ID:BVS: contenuti provenienti da Twitter (Michele Crivellaro, 2014)↓ FIGURA 3.3.25 ◆ Simulazione di ID:BVS: contenuti testuali provenienti dal Comune di Milano (Michele Crivellaro, 2014)

↓ FIGURA 3.3.26 ◆ Simulazione di ID:BVS: contenuti testuali provenienti dal Consiglio di Zona 9 (Michele Crivellaro, 2014)

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LEMONWRINDopo una colazione così, dono solo amore #todomodo #bovisa #polimi #Buongiorno

PAOLAMELONIEccoci in #bovisa all'evento di via dolce via

AREA CCOMUNE DI MILANO DAL 7 APRILE CHI REGOLARIZZA LA SANZIONE ENTRO 7

GIORNI PAGHERÀ 15 EURO ANZICHÈ 30

CONSIGLIO DI ZONA 9M3 COMASINAAL VIA I LAVORI DEL PARCHEGGIO DI INTERSCAMBIO TRA VIA RUBICONE E VIA COMASINA

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3.3.4 ◆ TARGETID:BVS è uno schermo posizionato nello spazio pubblico ur-bano. Questo significa che potenzialmente chiunque po-trebbe vederne i contenuti e di conseguenza rientrare nel suo target. Al contrario della fruizione, la partecipazione pone dei limiti di informatizzazione, volontà e allinea-mento con il linguaggio visivo di ID:BVS, come mostrato in figura 3.3.27. In questo senso, il progetto pone come inter-locutori privilegiati riguardo alla creazione di contenuto le persone dai 18 ai 35 anni. Riguardo la fruizione di conte-nuto, ID:BVS prevede di allargare sensibilmente lo spettro di persone coinvolte, che andrebbero dai 15 ai 60 anni, con attenzione particolare alla fascia tra i 25 e i 45 anni. Fa-cendo così si possano identificare tre fasce demografiche di interesse: la prima è quella dai 18 ai 25 anni, la seconda (quella principale) è quella dai 26 ai 35 anni, la terza è quel-la dai 36 ai 45 anni.

18/24Sono studenti del Politecnico di Milano e giovani in età universitaria e post liceale. Questo target è quello per cui la partecipazione e la creazione di contenuto è naturale: i suoi componenti non avrebbero difficoltà a comprendere i meccanismi di funzionamento e potrebbero partecipare, soprattutto con i social network, in maniera massiccia.

25/35Sono giovani adulti nell’età di transizione tra la formazio-ne e il lavoro, con l’esigenza crescente di avere una casa propria e creare una propria famiglia. È inoltre una fascia d’età decisamente informatizzata pur non potendo essere considerata parte dei nativi digitali. Questo può essere con-siderato il target centrale, perché potrebbero usare le mo-dalità partecipative di ID:BVS in maniera intensiva e per-ché hanno potenzialmente capacità tecniche, creative e la maturità per comunicare in maniera interessante la loro percezione del luogo e della realtà circostante.

257ID:BVS / Chi

36/45Sono genitori di bambini che stanno crescendo in Bovisa, sono informatizzati e ben inseriti nel mondo contempora-neo ma anche, spesso, preoccupati per dove vivono e come crescono i propri figli. Si può ipotizzare una tendenza alla partecipazione per due motivi: il primo è relativo alle fu-ture generazioni, volendo far sì che queste possano cresce-re nel miglior modo possibile; il secondo è relativo al fatto che questa fascia d’età sia in grado di ricordare molti dei cambiamenti avvenuti in Bovisa, memorie che possono portare a una maggiore volontà di comunicarle. Questa fascia d’età, inoltre, è quella che ho potuto riscontrare maggiormente nelle realtà associative.

↑ FIGURA 3.3.27 ◆ Target di ID:BVS (Michele Crivellaro, 2014)

fruizione

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65

partecipazione

1 http://www.lascighera.org/2 https://www.youtube.com/watch?v=MjtrAgJx00Q3 https://www.comune.milano.it/portale/wps/portal/CDM?WCM_GLOBAL_CON-

TEXT=/wps/wcm/connect/contentlibrary/Giornale/Giornale/Tutte+le+notizie+NEW/4 https://www.facebook.com/comunemilano5 http://www.comune.milano.it/portale/wps/portal/!ut/p/c0/04_SB8K8xLLM9MS-

SzPy8xBz9CP0os3hHX9OgAE8TIwP_kGBjAyMPb58Qb0tfYwMDA_2CbEdFAJbR-REs!/?WCM_GLOBAL_CONTEXT=/wps/wcm/connect/ContentLibrary/in+comune/in+comune/i+consigli+di+zona/zona+9/zona9_homepage

258

259

Un elemento emerso con forza durante la scrittura di que-sta tesi è l'incredibile multisciplinarietà richiesta per svi-scerare a fondo una tematica che intreccia architettura, media, comunicazione, psicologia, sociologia, urbanisti-ca e studi letterari. Questo ha portato a ipotizzare un in-tervento progettuale che si pone più come potenzialità che come programma attuabile nell'immediato.Questa incertezza permea il lavoro da me svolto, perché si voleva evitare di dare risposte certe e incontrovertibili a tematiche che spesso si presentavano come troppo sog-gettive, troppo umane, per essere risolte con un progetto di una facciata mediatica. In questo senso, la narrazione si è posta come lo strumento comunicativo principe, per-mettendomi di raccogliere impressioni, ipotesi, memorie e racconti. Questi ultimi, in particolare, hanno fatto sì che sia stato io il primo a vedere Bovisa con occhi diversi una volta conosciuta la sua storia attraverso l'amore che gli abitanti provano nei confronti di questo quartiere.La città si è palesata a me come davvero interconnessa, facendo sì che ogni volta che accadeva qualcosa, la realtà corcostante reagiva e si adattava in modi, a volte, sorpren-denti. La partecipazione, di fronte a tanta mobilità, si è dimostrata come uno strumento non solo preferibile, ma assolutamente necessario.Le potenzialità di un lavoro costante sul luogo e sulla sua percezione da parte degli abitanti, infine, sono sembrate realistiche, raggiungibili e, in alcuni casi, elettrizzanti.

CONCLUSIONI

260

261

CASI STUDIO

A.1

BIBLIOGRAFIA

A.2

SITOGRAFIA

A.3

APPENDICI

262

263

A.1

CASI STUDIO

264

265Appendici / Casi Studio

A.1.1 BLINKENLIGHTS

Progettista: Chaos Computer ClubFinanziatore: AutoprodottoDove: Berlino, GermaniaQuando: 11 settembre 2001 – 23 febbraio 2002Sito web: www.blinkenlights.netInterazione: SiPartecipazione: SiLog line: Le finestre di un edificio altrimenti anonimo di-ventano i pixel di un’installazione pubblica e partecipata.

TECNICA

Blinkenlights è stata un’installazione temporanea inaugura-ta a Berlino il 23 febbraio 2002 e durata per 23 settimane e 5 giorni in totale. L’apparato fisico era composto da 144 lampade connesse a un computer e posizionate in tutte le finestre fontali degli otto piani superiori dell’edificio, cre-ando una matrice di 18 pixel per 8. Attraverso il controllo dell’accensione, era possibile creare forme e semplici ani-mazioni, dando vita a quello che gli autori hanno defini-to il più grande schermo interattivo al mondo. Il software alla base dell’installazione è stato costantemente miglio-rato dall’inizio dell’installazione alla sua rimozione: all’i-nizio permetteva solo di mostrare animazioni create dai responsabili dell’installazione, mentre successivamente, data la semplicità dello schema, è stato permesso a chiun-que di inviare la propria animazione. Questo ha permesso una crescita esponenziale di contenuti, infatti, attraverso la distribuzione del software libero Blinkenpaint mostrato in figura A.4, tutte le persone con un computer potevano cre-are delle animazioni, esportarle in un formato apposito ed inviarle. L’ultima innovazione, a livello temporale, è stata l’introduzione di semplici giochi interattivi i cui controlli erano i cellulari degli utenti, come Pong.

266

↑ FIGURA A.1 ◆ Hermann Henselmann, Haus des Lehrers, 1962-64 (Philipp Eder, data incerta)↓ FIGURA A.2 ◆ Chaos Computer Club, Blinkenlights, 2001-02, Berlno, Germania (Chaos Computer Club, 2001)

267Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.3 ↓ FIGURA A.4 ◆ Chaos Computer Club, Blinkenlights, 2001-02, Berlno, Germania (Chaos Computer Club, 2001)

268

CONTENUTI

I contenuti, totalmente privi di pubblicità, sono stati in-fluenzati moltissimo dalla ridotta griglia di pixel, che da una parte ha permesso uno schema molto semplice per la creazione di contenuto da parte degli utenti, dall’altra ha ridotto notevolmente le possibilità espressive. I risultati dell’apertura alle collaborazioni con gli utenti sono state estremamente variegate: si va da animazioni geometriche astratte a forme simboliche. Tutti i contenuti hanno un’e-stetica pop e poco pretenziosa. Il fatto di poter mostrare anche messaggi scritti ha dato via al fenomeno di fare di-chiarazioni d’amore di fronte a tutta la città, rafforzando ulteriormente l’attaccamento al luogo delle persone, cre-ando potenti nuove memorie.

LUOGO

Blinkenlights è stata un’installazione che ha segnato posi-tivamente l’identità di un luogo precedentemente non percepito in maniera particolarmente positiva, la Haus des Lehres (casa dei maestri) in Alexanderplatz, a Berlino. A livello architettonico questa piazza è stata, ed è sotto alcuni aspetti tutt’ora, uno dei simboli del socialismo in Germania dell’est. Per questo motivo, quando nel 2001 si poté giocare a pong e inviare messaggi che venivano vi-sualizzati in tempo reale sulla facciata dell’edificio, fu un cambio percettivo notevole, una riscrittura delle memorie degli abitanti, che tutt’ora lo ricordano. Si può ipotizzare, infine, che questa installazione ha portato a un maggiore attaccamento delle persone all’edificio e al luogo.

269Appendici / Casi Studio

Progettista: Mikaela BandiniFinanziatore: Cooking with Nonna, Ente Parco Nazionale delle Cinque Terre, CNA Toscana, APT Servizi Emilia-Ro-magna, Unioncamere, Boscolo, Mirabilia, WTC Genova, World Nomads, Liguria, Radio Capital, Lonely Planet, ENIT, IBC Emilia-Romagna, Milan Expo Tours, Casa Artu-si, RCS, FFC Presents, Trentino Valley, Struttura di Mis-sione per il rilanciodell’immagine dell’Italia, Museo del Balsamico Tradizionale Spilamberto, Langhe Roero, Ado-rable Belluno, GHnet, Trentino Marketing, APT Basilica-ta, Turismo Friuli Venezia Giulia, Urban Italy.Dove: Web, ItaliaQuando: 2011 – In corsoSito web: www.cantforget.itInterazione: NoPartecipazione: SiLog line: Un diario visivo, digitale e partecipato di innu-merevoli viaggi in Italia.

TECNICA

Cantforget.it(aly) è un’idea di Mikaela Bandini, che ha avu-to origine in Basilicata a seguito di un progetto pilota per l’APT locale. È una piattaforma web, e un format di web tv con contenuto generato dagli utenti fortemente filtrato e di ottima qualità comunicativa e visiva, che ha come sco-po quello di creare “the coolest visual stories of Italy” e far-lo con l’aiuto di giovani fotografi, blogger, videomaker e creativi appassionati di nuovi media, tutti sotto i 35 anni.1

A.1.2 CANTFORGET.IT(ALY)

270

271Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.6 ◆ Screenshot di una pagina del video Liguria in a Lapse di Cantforget.it(aly) (Angelo Chiacchio, 2014)← FIGURA A.5 ◆ Screenshot della homepage del sito Cantforget.it (Cantforget.it(aly), 2014) ↓ FIGURA A.7 ◆ Screenshot di Mini Matera di Cantforget.it(aly) (Timmy Henny, 2014)

272

CONTENUTI

La nostra intenzione è mostrare la vera anima dell’Italia attra-verso esperienze di vita reale e storie di viaggio raccolte in tempo reale, con persone vere: scandagliamo i luoghi e saltiamo da un posto all’altro, conosciamo nuovi amici e facciamo sempre cose interessanti e divertenti. Raccogliamo emozioni di prima mano e le riversiamo nei nostri diari digitali. […] Su e giù per lo stivale, stiamo per raccontarvi finalmente l’Italia contemporanea. Dopo-tutto, l’Italia se lo merita! (canforget.it(aly) 2011)

Tutto il concept si basa sull’idea di un diario digitale, qual-cosa che possa raccontare la realtà circostante in maniera intima e emotivamente coinvolta, con l’uso principale di foto e video. Lo scopo è quello di mostrare angoli dell’Italia in modi che non sono quelli pubblicitari e che possano co-municare l’attaccamento al luogo di chi li realizza.

LUOGO

La piattaforma web presenta contenuti realizzati in tutte le regioni italiane, con uno stile fondamentalmente po-etico e nessuna pretesa di totalità: al contrario cerca di narrare al meglio un piccolo pezzo di realtà, così come è percepita da chi realizza l’artefatto comunicativo. Il sito descrive così il ruolo dei giovani narratori nei confronti dei luoghi italiani:

Appena i videomaker e gli artisti compongono la squadra, appro-dano nelle città e nei luoghi da raccontare integrandosi e diver-tendosi alla scoperta del territorio e della comunità. Infatti, una volta arrivati, si mescolano con la gente del luogo, mangiano nelle osterie, cucinano a casa delle persone e bevono con gli altri ragazzi al Bar dello Sport, costatando e assaporando il piacere della vita in Italia. (canforget.it(aly) 2011)

273Appendici / Casi Studio

Progettista: Jan SchuijrenFinanziatore: Virtueel Museum Zuidas, Foundation for Art and Public Space, Consiglio Comunale di Amsterdam, Distretto Zuidas.Dove: Zuidplein in Zuidas, Amsterdam, Paesi Bassi.Quando: 2007 – In corsoSito web:Interazione: NoPartecipazione: NoLog line: Arte in movimento, su uno schermo di 40 metri in un quartiere in forte espansione.

TECNICA

Nel 2005 è stato chiesto a Jan Schuijren, studioso di media sociali, di sviluppare una piattaforma contenutistica per uno schermo da installare in Zuidplein a Zuidas, un quar-tiere in forte espansione alla periferia di Amsterdam. È stato finanziato e creato da vari enti tra cui: Virtueel Museum Zuidas (Museo Virtuale Zuidas), Foundation for Art and Public Space, il Consiglio Comunale di Amsterdam e il distretto competente della città. CASZuidas presenta immagini in movimento nello spazio pubblico 18 ore al giorno, 365 gior-ni l’anno senza offrire interazione di nessun tipo, tutta la programmazione è di tipo top-down. Schuijren (2009) spiega come il motivo di questa scelta sia dettato dall’al-ta frequentazione di persone che devono utilizzare quella piazza ogni giorno per andare a casa, al lavoro o all’univer-sità e, sostiene il progettista, non debbano essere invitate a interagire cinque giorni a settimana.

A.1.3 CASZUIDAS

274

275Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.9 ◆ CASZuidas (Sabine Mooibroek, 2008)← FIGURA A.8 ◆ CASZuidas (Xelorolex, 2007)↓ FIGURA A.10 ◆ Livinus & Jeep van de Bundt, Moiré, 1975 (CASZuidas, data incerta)

276

CONTENUTI

CASZuidas si trova di fronte a una stazione, facendo sì che siano presenti moltissimi pendolari, cui non si vuole chie-dere molto ma offrire un servizio di tipo artistico, come mostrato nelle figure A.8/9/10. La presenza di questo pub-blico “normale” ha spinto il progettista a lavorare per loro. Se l’ottanta per cento del pubblico possibile frequenta il luogo più di quattro giorni a settimana, sostiene Schui-jren (2009), bisogna essere molto attenti a ciò che si chie-de da loro, cosa si offre a loro e in che modo questi conte-nuti vengono veicolati. Quello che si è provato a fare non è tanto l’esperienza reale che si ha nel momento in cui ci si confronta con un’opera d’arte, ma più su ciò che l’opera d’arte lascia dietro di sé e ciò che evoca. Questo obiettivo è reso possibile da un pubblico che viene ogni giorno della settimana, dedica tempo e ancora tempo a allo schermo e permette ai curatori di costruire qualcosa nel lungo termi-ne. Nonostante l’attenzione agli utenti, CASZuidas non è destinata a essere una schermata di comunità perché con-cepita per essere un palcoscenico per le arti: da installazio-ni video a rassegne fotografiche.

LUOGO

Scopo di CASZuidas è quello di intervenire con la programmazione artistica durante tutto il periodo di sviluppo della Zuidplein a Zuidas, un nuovo quartiere che collega l’aeroporto di Schiphol con il centro della città di Amsterdam. L’installazione nasce dall’esigenza di comu-nicare con le persone che frequentano il luogo in maniera non invasiva, perché l’80% dell’utenza media è formata da pendolari che attraversano la piazza cinque volte la setti-mana.

277Appendici / Casi Studio

Progettista: Aarhus University; Media Architecture In-stituteFinanziatore: Media Architecture Institute, Aarhus Uni-versity, Partecipatory Information Tecnology (PIT), CAVI, AHL Media Façades.Dove: Aarhus, DanimarcaQuando: 2012 – In corsoSito web: www.citybugreport.projects.cavi.dkInterazione: NoPartecipazione: SiLog line: La visualizzazione pubblica di ciò che funziona e/o non funziona in città.

TECNICA

City bug report è un’installazione permanente formata da una parte hardware molto semplice, 5000 led a quadri-cromia su tre strisce sopra la torre del municipio. La parte software, di generazione del contenuto, è una piattafor-ma web e mobile sulla quale i cittadini possono esprimere le proprie idee su quello che funziona o no nell’ammini-strazione della città.

CONTENUTI

La visualizzazione si basa sui problemi e le proposte di mi-glioramento segnalati dai cittadini dal 2008, in modo tale da mandare il messaggio che chiunque ha la possibilità di rendere Aarhus un posto migliore in cui vivere. L’idea alla base è rompere un’idea fissa per cui i cittadini per comu-nicare con le autorità debbano scrivere lettere che nessu-no sa da chi sono lette e se servono davvero a qualcosa. Le informazioni inviate dagli utenti sono visualizzate attra-verso cerchi colorati in modo tale da comunicare che c’è

A.1.4 CITY BUG REPORT

278

279Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.11 ◆ City Bug Report (VisitAarhus, 2013) ← FIGURA A.12 ◆ Aarhus, Danimarca (Trisha Gee, 2013)↓ FIGURA A.13 ◆ Aarhus University & Media Architecture Institute, City Bug Report (Aarhus University, 2013)

280

sempre qualcosa che sta succedendo in città e da spingere sempre più persone a comunicare i propri suggerimenti e le proprie lamentele sul portale messo a disposizione del comune. Più che il fattore informativo, in questo progetto la parte importante è l’evocazione dell’idea che “si possa fare” in modo egualitario e democratico attraverso un con-tinuo movimento di idee e suggerimenti.

LUOGO

City Bug Report nasce all’interno della Media Architecture Bien-nale (MAB) 2012, attraverso la trasformazione del campani-le del municipio costruito nel 1941 in qualcosa che potesse comunicare che qualcosa stesse avvenendo in città. Que-sto edificio è uno dei più alti di Aarhus, fatto che rende leggibili le informazioni mostrate su di esso da buona par-te della città. L’aspetto simbolico qui è importante: sono proprio le istituzioni che in questo caso ad aprirsi, a dare l’impressione che chiunque possa partecipare.

281Appendici / Casi Studio

Progettista: Giselle BeiguelmanFinanziatore: DesVirtualDove: San Paolo, BrasileQuando: 5 agosto 2002 – 20 agosto 2002Sito web: www.desvirtual.com/egoscopio/clipes/cli-pe01.htmInterazione: NoPartecipazione: SiLog line: La creazione pubblica e partecipata di un’entità virtuale sugli schermi urbani usando solo URL.

TECNICA

Egoscópio è un progetto di libera associazione mentale nel campo delle immagini con contenuto generato dagli uten-ti, con lo scopo collettivo di creare un personaggio fittizio. Dal 5 al 20 agosto 2002, sulla piattaforma web del progetto gli utenti sono stati invitati a inviare URL che potessero rispondere a una serie di domande: cosa legge Egoscópio? Cosa ascolta? Vive in un appartamento? Ha una macchina o una moto? Che vestiti indossa? Mangia fast food? In che tipi di ristorante va? È dipendente da qualcosa? Dove va e cosa fa la notte? Non era obbligatorio rispondere a queste domande, i partecipanti erano liberi di inviare qualunque tipologia di link. Il filtraggio era di carattere tecnico e su determinati contenuti: abuso di minori, omofobia, raz-zismo e xenofobia. Tuttavia, fa notare l’autrice, nessuno ha inviato questa tipologia di materiali. Come prima cosa avveniva la pubblicazione delle domande, poi gli utenti inviavano degli URL al sito di Egoscópio, dove avveniva il controllo delle caratteristiche tecniche e contenutistiche e l’invio al database. Successivamente il contenuto veniva convertito in formato VGA e poi AVI e infine veniva pub-blicato su due schermi urbani, generalmente usati a scopi

A.1.5 EGOSCÓPIO

282

↑ FIGURA A.14 ◆ Giselle Beiguelman, Egóscopio, 2002, San Paolo, Brasile (DesVirtual, 2002)↓ FIGURA A.15 ◆ Screenshot della homepage di Egóscopio (DesVirtual, 2014)

283Appendici / Casi Studio

pubblicitari. Tutto il materiale mostrato sugli schermi e il modo in cui ha interagito con la pubblicità è stato cattura-to da delle webcam posizionate in modo da catturare tutti gli esiti del progetto.

CONTENUTI

Il pubblico è stato invitato a partecipare alla creazione di un’antibiografia, così come l’ha definita l’autrice, map-pando un essere di nome, età o genere non identificato, un “post-soggetto disincarnato”, che non è riconosciuto in nessuno spazio oltre a quello delle telecomunicazioni. La maggior parte dei partecipanti non ha seguito gli scena-ri prestabiliti, accentuando il carattere di Egoscópio come alter ego della cultura urbana del 21° secolo, un’entità di-sincarnata fatta di frammenti di pubblicità, di consumo e del ritrattamento di quello che lui / lei assorbe e dige-risce. Combinando le più di 2200 risorse di internet che

↓ FIGURA A.16 ↘ FIGURA A.17 ◆ Giselle Beiguelman, Egóscopio, 2002, San Paolo, Brasile (DesVirtual, 2002)

284

sono state inviate, Egoscópio ha generato un interessante database di tutte le possibili identità di questo personag-gio senza corpo. Il progetto non ha discusso solamente la soggettività in un nuovo formato, ma ha anche condiviso pratiche di autorialità e ricezione caratterizzate dall’en-tropia e dall’accelerazione. Un elemento su cui il progetto voleva giocare molto era il concetto di ibrido: mischiando qualcosa di commerciale e informativo attraverso un’in-stallazione artistica, voleva mostrare quanto i confini tra tutti questi elementi fossero discutibili. Paradossalmen-te, solo ora che tutto il materiale è su un database statico si può provare a percepire Egoscópio come entità unitaria, che tuttavia non potrà mai comporre un’immagine coe-rente, strutturata. Anche se statica, l’identità di Egoscópio è mutevole: è un post-soggetto, ha molte facce e identità, è multiplo, frammentato e distibuito. Egoscópio è un perso-naggio mediatico e mediato.

LUOGO

I due schermi di 20 metri quadrati ognuno, erano sta-ti posizionati in Avenida Faria Lima, di fronte al centro commerciale Iguatemi, dove circa 120 mila persone passano ogni giorno. Le inserzioni erano di 10 secondi ogni 3 minu-ti, fino ad un massimo di 90 inserzioni al giorno: alcuni contenuti sono stati ripetuti, mentre altri non sono stati mostrati per niente perché le inserzioni erano finite. Alla vista, si poteva facilmente riconoscere che alcuni conte-nuti di questi schermi, generalmente utilizzati per inser-zioni pubblicitarie, non lo erano. È interessante notare come gli utenti dello spazio pubblico sono stati messi di fronte allo stesso processo interattivo e passivo cui è stato messo di fronte Egoscópio.

285Appendici / Casi Studio

Progettista: Fed Square Pty LtdFinanziatore: Fed Square Pty LtdDove: Melbourne, AustraliaQuando: 2002 – In corsoSito web: www.fedsquare.comInterazione: SiPartecipazione: NoLog line: Una televisione pubblica e sociale in un luogo importante e centrale di Melbourne

TECNICA

Federation Square a Melbourne è stato un progetto di riqua-lificazione urbana in un’area centrale della città, con la costruzione di edifici finalizzati principalmente ad attivi-tà ricreative e culturali con, al centro, una grande piazza pubblica. La cosa importante in questo caso è l’uso di un mega schermo che spesso e volentieri catalizza l’attenzio-ne degli utenti e un altro schermo all’interno di un edi-ficio. Per mitigare l’inquinamento luminoso e l’impatto sugli abitanti, la programmazione serale presenta opere video in colori più scuri con variazioni di illuminazione meno frenetiche. Il programma giornaliero di più di 12 ore consecutive di contenuti, è gestito da Fed Square Pty Ltd, un ente misto pubblico e privato.

CONTENUTI

La programmazione dello schermo riesce a bilanciare dei contenuti pubblicitari, necessari alla sua sopravvivenza, con artefatti creati da videomaker locali, festival d’arte, workshop di giovani artisti multimediali e installazioni interattive. La programmazione include eventi sportivi; le previsioni del tempo; corti e mediometraggi; videogio-

A.1.6 FED TV

286

↑ FIGURA A.18 ◆ FedTV (FedSquare, data incerta)↓ FIGURA A.19 ◆ Partita di calcio su FedTV (FedSquare, data incerta)

287Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.20 ◆ FedTV (FedSquare, data incerta)↓ FIGURA A.21 ◆ Il discorso di Paul Rudd sulla stolen generation viene mandato in onda su FedTV (virginiam, 2007)

288

chi e discorsi politici importanti. Un esempio dell’ultimo caso è stato quello del primo ministro Kevin Rudd che nel 2008 fece un discorso di scuse per la stolen generation,6 even-to che attirò migliaia di persone nella piazza e che, suc-cessivamente, permise alle persone presenti di mostrare attraverso lo schermo il loro messaggio di solidarietà e supporto inviando SMS con il proprio telefono cellulare. Grazie alla grande cura per la diversità e l’inclusività di tutte le parti sociali, Fed TV ha fatto in modo di attrarre sempre utenti in Federation Square.

LUOGO

Federation Square a Melbourne, con l’obiettivo esplicito di costruire la comunità circostante, è un ottimo esem-pio di come i progetti di schermi urbani possano costru-ire relazioni durature tra cittadini culturalmente diversi all’interno di una città vibrante e moderna. In questo caso è interessante notare come questa piazza, all’inizio no-tevolmente non benvoluta dai cittadini sia diventata un elemento sociale, grazie a una programmazione partico-larmente attenta. Lo sforzo contenutistico sembra essere riconosciuto dagli abitanti, i quali hanno fatto sì che la piazza sia diventata un luogo di raggruppamento sponta-neo. Fed TV è diventata un elemento aggregativo molto po-tente, capace di uscire dalla sfera digitale per influenzare quella tangibile di fronte a sé.

289Appendici / Casi Studio

Progettista: Rose BondFinanziatore: Eldridge Street Project, Bloomberg LP, Jef-frey Gural and Barbara Koz Paley.Dove: New York City, NY, USAQuando: 2004 – 2004Sito web: www.rosebond.com/work/gates-of-light-2004-2007Interazione: NoPartecipazione: NoLog line: La narrazione animata, proiettata sulle fine-stre di una sinagoga, di un quartiere e delle persone che ci hanno vissuto.

TECNICA

Gates of light è un’installazione temporanea realizzata da Rose Bond commissionata da Michael Bloomberg, ex sin-daco di New York, per la sinagoga di Eldridge street. Una volta che è stata rimossa, è diventata installazione perma-nente al Museum’s Gural-Rabinowitz Family History Center della stessa via a New York. Gates of light consiste in un corto in animazione tradizionale proiettato sul rosone e alcune fi-nestre centrali della sinagoga. I personaggi rappresentati sono quasi sempre contro luce, come se servissero a rap-presentare non una persona fisica ma una moltitudine di individui che hanno compiuto un’azione. La colonna so-nora, scritta dal gruppo musicale 3 Leg Torso, usa frequente-mente i rumori ambientali della narrazione, dando loro, spesso, un ruolo evocativo e metaforico, come per esempio i canti religiosi o una porta che sbatte.

A.1.7 GATES OF LIGHT

290

↑ FIGURA A.22 ◆ Peter & Francis William Herter, Eldridge Street Synagogue, 1887, New York City, NY, USA (Amanda Lederman, Deborah Watman, Marilyn Moy, Mimi Nissan, 2013)↓ FIGURA A.23 ◆ Rose Bond, Gates of Light, 2004, Eldridge Street Synagogue, New York City, NY, USA (Rose Bond, 2004)

291Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.24 ↓ FIGURA A.25 ◆ Rose Bond, Gates of Light, 2004, Eldridge Street Synagogue, New York City, NY, USA (Rose Bond, 2004)

292

CONTENUTI

La narrazione vuole evocare più di 120 anni di storia dell’e-dificio, del quartiere e del gruppo sociale coagulato intorno a questo, tradizionalmente caratterizzato da una popola-zione dinamica di immigrati. All’interno di questa storia c’è quella della città di New York intera, fatta da grandi gioie, grandi speranze e grandi dolori nei quali tutto cam-bia. Prendendo come marcatori cronologici le grandi crisi del 1850, 1890, 1930 e 1970 la città riesce a nascere di nuovo reincarnarsi in qualcosa di diverso, irriconoscibile alla ge-nerazione precedente. L’installazione di Rose Bond riesce a catturare questa caratteristica della città in 20 minuti: riesce a far alzare lo sguardo dell’abitante e far sì che que-sto rifletta sul luogo in cui abita, che usa e ama. La storia narrata da Rose Bond si sovrappone alla storia che comu-nica la sinagoga in sé, un monumento nazionale che ap-partiene a un’epoca passata. L’animazione si focalizza su elementi a volte metaforici e a volte emblematici, ma mai didascalici, di alcuni eventi cui la sinagoga ha assistito.

LUOGO

La relazione tra immigrazione e Lower East Side ebbe ini-zio come zona abitata in larga parte da tedeschi e irlande-si, che lasciarono spazio alla fine del XIX secolo agli ebrei provenienti principalmente dall’Europa dell’est, tanto da farne un’enclave ebrea in continua crescita. Nel 1887 fu costruita la sinagoga di Eldridge Street, una delle prime negli USA e ora protetta come National Historic Landmark. Ai giorni l’edificio il Lower East Side è diventato Chinatown, facendo sì che la sinagoga sia ora circondata da negozi con insegne in cinese. Questo connubio rende l’identità del luogo estremamente stratificata e mobile, rendendo ne-cessaria l’esigenza di riconnettersi alle radici cui Gates of light vuole rispondere.

293Appendici / Casi Studio

Progettista: Charles e Ray EamesFinanziatore: Federal government of the United States.Dove: Mosca, URSSQuando: 24 luglio 1959 – 4 settembre 1959Sito web: NessunoInterazione: NoPartecipazione: NoLog line: Sette proiezioni di immagini statiche sincroniz-zate tra loro, con la musica e con la voce narrante, per ce-lebrare gli USA.

TECNICA

Glimpses of the USA è un’installazione temporanea, proget-tata da Charles e Ray Eames e composta da sette schermi, ognuno di dei quali sei metri per nove, che trasmettono principalmente immagini statiche con alcune eccezioni

A.1.8 GLIMPSES OF THE USA

↓ FIGURA A.26 ◆ Charles & Ray Eames, Glimpses of the USA, 1959, Mosca, URSS (Anonimo, 1959)

294294

↑ FIGURA A.27 ↓ FIGURA A.28 ◆ Charles & Ray Eames, Glimpses of the USA, 1959, Mosca, URSS (Charles & Ray Eames, 1959)

295Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.29 ↓ FIGURA A.30 ◆ Charles & Ray Eames, Glimpses of the USA, 1959, Mosca, URSS (Charles & Ray Eames, 1959)

296

in movimento che descrivono gli Stati Uniti d’America. La proiezione era accompagnata dalla colonna sonora di El-mer Bernstein. Forse la prima volta si era cercato l’effetto multischermo, in modo tale da confondere lo spettatore e fargli fare delle scelte di attenzione e spaziale.

CONTENUTI

L’installazione si componeva di più di 2.200 immagini sta-tiche e in movimento, quasi tutte realizzate da Charles e Ray Eames, sincronizzate e pensate per fornire una espres-sione visiva della complessità e della diversità della vita statunitense. Gli autori hanno poi affermato come “mul-tiple projection of images… was not simply a trick, it was a method to employ all the viewer’s senses. The reinforce-ment by multiple images made the American Story seem credible.”7 Proprio questa credibilità visiva ed emotiva ha fatto sì che questa installazione diventasse il punto foca-le della propaganda statunitense nell’URSS, per lo meno all’interno di quella specifica Esposizione Americana.

LUOGO

Glimpses of the USA è stata un’installazione per l’introdu-zione dell’Esposizione Nazionale Americana a Mosca per lo scambio URSS – USA del 1959 nel Parco Sokolniki. Gli schermi erano posizionati all’interno di una cupola geo-detica di 250 metri di diametro progettata da Buckminster Fuller, da cui tutti dovevano passare per entrare nell’espo-sizione. Il risultato era un effetto disorientante, da una parte perché ci si trovava in questa struttura molto grande e affascinante, e dall’altra perché i sette schermi mostra-vano cose diverse, sincronizzate con la musica e la voce narrante.

297Appendici / Casi Studio

Progettista: MariantoniosFinanziatore: AutoprodottoDove: San Paolo, BrazilQuando: 2011Sito web: Interazione: NoPartecipazione: NoLog line: Animazione legata ai luoghi di cui narra e su cui è proiettata.

TECNICA

Corto sperimentale, è stato realizzato filmando delle pro-iezioni in spazi esterni ed interni, a seconda del contenu-to dell’animazione. Questa è di due tipologie: la prima è una semplice silhouette non realistica di una donna e un uomo che corrono, mentre la seconda è quella, ben più elaborata, di una donna che cucina. In entrambi i casi è interessante vedere il rapporto della proiezione: le perso-ne che corrono sono proiettate a bordo strada da una mac-china in movimento e riprese, mentre nel secondo caso gli ambienti interni su cui viene proiettata l’animazione sono diversi per ogni inquadratura e interagiscono con la narrazione.

CONTENUTI

Il corto segue tre narrazioni parallele: la prima è costituita dall’animazione, proiettata a bordo strada, di un uomo e una donna che corrono; la seconda, proiettata in un am-biente chiuso, rappresenta una donna che cucina. Nel primo caso i due personaggi sono sempre in inquadrature diverse e non si incontrano mai: l’unica cosa che mostra una variazione è il loro fiato che accusa la fatica della cor-

A.1.9 IMO

298

↑ FIGURA A.31 ↓ FIGURA A.32 ◆ Mariantonios, Imo, 2011, San Paolo, Brasile (Mariantonios, 2014)

299Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.33 ↓ FIGURA A.34 ◆ Mariantonios, Imo, 2011, San Paolo, Brasile (Mariantonios, 2014)

300

sa. La sequenza con la donna che cucina è più variata nelle inquadrature, nella narrazione e nelle superfici su cui è proiettata. Non si vede mai l’intera figura, mentre si fa largo uso di dettagli evocativi, accentuati dalla colonna sonora: una mosca, le mani, un sospiro.

LUOGO

Nella tecnica usata è presente una fortissima sovrappo-sizione di immagini: da una parte il supporto della pro-iezione, che continua a cambiare in ogni inquadratura; dall’altra l’animazione. Nel caso delle sequenze su cui è proiettata l’animazione di corsa, è interessante vedere come i luoghi che dovrebbero essere ben distinti di giorno si confondono e diventano un unicum spaziale, facendo diventare la città tutta uguale. Nelle inquadrature concer-nenti la donna che cucina, invece, le superfici su cui viene proiettata l’animazione interagiscono molto con quest’ul-tima: persone entrano ed escono dallo spazio fisico e le su-perfici contribuiscono a definire l’emotività della scena.

301Appendici / Casi Studio

Progettista: UrbanScreenFinanziatore: MancanteDove: Amburgo, GermaniaQuando: 2009 – 2009Sito web: www.urbanscreen.com/usc/41Interazione: NoPartecipazione: NoLog line: Projection mapping che riflette sull’architettu-ra dell’edificio su cui è proiettato.

TECNICA

555 Kubik è stata un’installazione temporanea di projection mapping sulla Kunsthalle di Amburgo. Questa tecnica per-mette una risoluzione molto alta dell’immagine sulla parete e l’interazione della proiezione con gli elementi strutturali dell’edificio, cosa che gli autori in questo caso hanno sfruttato fino in fondo. Le tecniche usate per gene-rare i contenuti che sono stati proiettati sono varie: si va dal filmato alle animazioni in 3D, tutto molto ben amal-gamato.

CONTENUTI

L’installazione, senza pubblicità né interazione, parte dall’ipotesi “How it would be if a house was dreaming”. Il punto di partenza era un edificio molto strutturato e ge-ometrico, l’idea di base della narrazione è stata quella di dissolverlo e sfondare la sua rigida architettura. Attraver-so questo processo, la facciata fisica scopre diverse inter-pretazioni della geometria e dell’estetica espressi attraver-so la grafica e il movimento. Si basa tutto su quest’ultimo principio: le ripetizioni delle finestre, le mani che giocano con le piastrelle, la dissoluzione dell’edificio e i giochi di

A.1.10 555 KUBIK

302

↑ FIGURA A.35 → FIGURA A.36 ↓ FIGURA A.37 ◆ URBANSCREEN, 555 Kubik, 2009, Amburgo, Germania (URBANSCREEN, 2009)

303Appendici / Casi Studio

304

linee colorate che proiettano nuove geometrie sull’edifi-cio, nelle figure A.36/37 hanno sempre a che fare con la reinterpretazione di ciò che già era presente nell’ambito fisico, tangibile.

LUOGO

La concezione di questo progetto deriva dallo schema visi-vo dell’architettura della Kunsthalle di Amburgo, facendola diventare qualcosa di iconico e attraendo molte persone nella piazza di fronte. Questa fortissima connessione tra edificio e animazione ha permesso l’attivazione emotiva del pubblico e la comprensione della struttura spaziale della Kunsthalle. Sotto alcuni punti di vista si potrebbe af-fermare che ha tentato di riscrivere la percezione e l’iden-tità dell’edificio, reinterpretandolo in un’azione poetica ed emotiva.

↓ FIGURA A.38 ◆ URBANSCREEN, 555 Kubik, 2009, Amburgo, Germania (URBANSCREEN, 2009)

305Appendici / Casi Studio

Progettista: Ridley Scott, Kevin MacdonaldFinanziatore: Liza Marshall, Ridley Scott, Scott Free Pro-ductions, YouTube Inc., LG Corp.Dove: Web, USAQuando: 2010Sito web: www.youtube.com/user/lifeinadayInterazione: NoPartecipazione: SiLog line: La narrazione di un giorno nella vita della po-polazione del mondo realizzato con filmati inviati dagli utenti.

TECNICA

Il 24 luglio 2010, gli utenti della community di YouTube, hanno avuto 24 ore di tempo (esattamente dalle 00:01 alle 23.59) per immortalare uno spaccato della propria vita con una videocamera che poi hanno inviato il proprio file al canale YouTube del progetto entro il 31 luglio 2010. Ridley Scott, produttore esecutivo, ha fatto selezionare i filmati dal regista Kevin Macdonald, già Premio Oscar al miglior documentario nel 2000, e montare i video selezionati da Joe Walker.

CONTENUTI

Essendo frutto della raccolta e del montaggio in un film unico da un’ora e mezza di migliaia di filmati provenienti da 80.00 utenti di YouTube e 140 nazioni si è riuscito a cre-are qualcosa, com’era nelle intenzioni del produttore, che riuscisse a rappresentare un giorno della società umana nel 2010. La cosa interessante di questo progetto è la por-tata globale; il fatto che tutto il materiale è generato dagli utenti e il senso di appartenenza e inclusività che il lun-

A.1.11 LIFE IN A DAY

306

307Appendici / Casi Studio 307Appendici / Casi Studio

← FIGURA A.40 ◆ Poster del film Life in a day (Ridley Scott, 2010) ↑ FIGURA A.41 ↓ FIGURA A.42 ◆ Life in a day (Ridley Scott, 2010)

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gometraggio riesce a ottenere. Il film mostra vari momen-ti del nostro esistere, sottolineando come questi facciano parte della nostra natura umana: dalla nascita alla malat-tia, il risveglio, il bagno di prima mattina, fare la barba, il lavoro, il pranzo, i riti religiosi, la famiglia, il bambino, il singolo, l’uomo.

LUOGO

Dopo una breve distribuzione nei cinema, i produtto-ri hanno reo la fruizione di Life in a day libera attraverso il canale YouTube relativo, sottotitolato anche in italiano. Il progetto rappresenta qualcosa di unico, un film che si è deciso di rendere fruibile gratuitamente, realizzato con contenuto generato dagli utenti, senza protagonista né trama, un insieme di momenti che riescono a farci sen-tire partecipi e emotivamente attaccati a questa terra, di qualunque nazionalità e popolazione noi possiamo esse-re. Questa non consistenza di lingue, luoghi, colori della pelle, usi e costumi rispecchia perfettamente il suo essere generato su internet, un luogo che non è ma a cui sentia-mo di far parte.

309Appendici / Casi Studio

Progettista: Cecilia WesterbergFinanziatore: AutoprodottoDove: Copenhagen, DanimarcaQuando: 2011 – 2011Sito web: www.ceciliawesterberg.com/projects/lys-i-gadenInterazione: NoPartecipazione: NoLog line: Animazione che narra il luogo nel quale è pro-iettata.

TECNICA

Light in the street (Lys I gaden in danese) è un’installazione temporanea progettata da Cecilia Westerberg costituita dalla retroproiezione di un’animazione su tre finestre al piano terra di un edificio in piazza Blågårds nel centro di Copenhagen. La proposta di installazione ha vinto un pre-mio dal fondo nazionale danese delle arti in una competi-zione sull’arte negli spazi urbani nel 2009.

CONTENUTI

L’installazione è stata progettata in stretta relazione con il luogo in cui si trova: narra infatti la storia dell’area circo-stante, dalla resistenza nazista ai caffè, dalle manifesta-zioni negli anni ‘70 all’uso ricreativo dell’area negli ultimi anni. Tutto ciò è stato fatto attraverso uso di frammenti narrativi visuali che portano in superficie le memorie so-ciali del luogo, dagli eventi più drammatici a quelli della vita quotidiana. Facendo così, la narrazione riesce a far connettere l’utente con il passato e far notare come la ri-petizione della narrazione nella storia è qualcosa di asso-lutamente normale.

A.1.12 LIGHT IN THE STREETS

310

↑ FIGURA A.42 ↓ FIGURA A.43 → FIGURA A.44 ◆ Cecilia Westerberg, Light in the street, 2011, Copenhagen, Danimarca (Cecilia Westerberg, 2011)

311Appendici / Casi Studio

312

Quest’ultima riflessione sulla storia era uno degli scopi espliciti dell’autrice: Cecilia Westerberg voleva investiga-re sull’ipotesi di esistenza di una “storia unica”, su come narrarla e se questo atto potesse essere utile alla storia in sé. Com’è possibile amplificare la narrazione e visualizza-re qualità come l’atmosfera e le emozioni? Molte, troppe persone, scrive l’autrice, non sono consapevoli della sto-ria della piazza: forse questa visione può aiutarli a crea-re un’immagine personale più completa dei luoghi che si abitano e dei conflitti che qui si sono sviluppati e che tutt’ora sono presenti.

LUOGO

Circondata dal rumore della città, piazza Blågårds è un’area che respira, dove non c’è spazio per nessun’altro tipo di traffico se non quello delle biciclette, pedoni e pattinaggio sul ghiaccio. È un’area con alcuni problemi sociali, un punto di ritrovo per alcolizzati e gruppi giovanili non sempre pacifici. Tuttavia, insieme a questa realtà c’è quella d un ritrovo per famiglie, ragazzi che giocano a calcio e picnic nei pomeriggio d’estate. È sicuramente una zona della città viva e vivibile, con una forte memoria sociale che rende interessante l’idea di ricordare quello che è successo attraverso l’installazione di Cecilia Wester-berg. L’autrice spera che questa animazione possa portare ad una percezione dei conflitti presenti nel luogo un po’ più sfumata e non così polarizzata, portando in superficie e facendo nascere una discussione sulle memorie relative al luogo.

313Appendici / Casi Studio

Progettista: Christian MöllerFinanziatore: NANJO and Associates, Tetsu Nagata.Dove: Osaki City, Tokio, GiapponeQuando: 2006Sito web: www.christianmoeller.com/NosyInterazione: SiPartecipazione: NoLog line: Una videocamera riprende, elabora e trasmette ciò che succede in una zona residenziale.

TECNICA

Nosy è stata un’installazione temporanea fatta nel 2006 a Tokio attraverso l’installazione di due videocamere robo-tiche che, muovendosi, catturavano casualmente il pa-esaggio e le persone circostanti. Queste immagini video sono trasformate in tempo reale in bitmap (quindi in pixel bianchi o neri) e poi visualizzate su tre torri coperte di LED bianchi e pannelli di vetro smerigliato. Il risultato, a li-vello visivo, è interessante perché rende riconoscibili pa-esaggi e visi ma senza fotocopiarli, rendendo esplicita la trasformazione attuata dai media.

CONTENUTI

I contenuti erano privi di pubblicità ma con l’elemento in-terattivo non controllato delle reazioni delle persone alla vista delle loro facce modificate e trasmesse in gigantogra-fia di fianco al luogo in cui vivevano. Da una parte il pro-getto riprendeva i paesaggi circostanti, facendo riflettere sulla relazione tra gli edifici e il luogo; dall’altra riprende-va le persone, che spesso reagivano, facendo così un’affer-mazione pubblica sull'esistenza di persone all'interno di quei blocchi di cemento.

A.1.13 NOSY

314

↑ FIGURA A.45 ↓ FIGURA A.46 ◆ Christian Möller, Nosy, 2006, Tokio, Giappone (Christian Möller, 2006)

315Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.47 ↓ FIGURA A.48 ◆ Christian Möller, Nosy, 2006, Tokio, Giappone (Christian Möller, 2006)

316

LUOGO

Nosy è nato per combattere la spersonalizzazione in atto nei luoghi attraverso una riflessione sui loro abitanti: scopo era associare agli edifici le persone e i panorami circostan-ti, in modo tale da renderli meno asettici e più vivi. Que-sta è una problematica chiave dei quartieri-dormitorio di qualunque città: tutti uguali, forniscono un solo servizio alle persone che ci abitano e solo raramente riescono ad avere un’identità propria. Questo progetto va proprio nel-la direzione di avvicinare, sia a livello di immagine sia di significato, le persone ai luoghi.

317Appendici / Casi Studio

Progettista: Zhang GaFinanziatore: Times Square Alliance, Parsons School of Design, Reuters North American, Multimedia Art Asia Pacific, Dutch Electronic Art Festival 2004Dove: New York, USA; Singapore; Rotterdam, Paesi bassi; Linz, Austria; Brisbane, AustraliaQuando: 31 dicembre 2004Sito web: www.medienkunstnetz.de/works/peoples-portrait/Interazione: SiPartecipazione: NoLog line: Una riflessione su chi abita le città globali del XXI secolo.

TECNICA

Peoples’ Portraits Project di Zhang Ga è un’installazione tem-poranea fatta simultaneamente in più luoghi. Il funzio-namento è piuttosto semplice: in ognuna di queste città sono state installate delle cabine connesse a internet in cui ogni persona può farsi una foto. Queste vengono in-viate in un database che nel fa una selezione casuale da mostrare nei media delle città, i quali possono essere pro-iezioni, come nel caso di Linz, o schermi, come nel caso di New York. In quest’ultima città, i ritratti sono stati mo-strati per venti minuti ogni ora, dalle 6 del mattino alle 2 della notte del 31 dicembre 2004.

CONTENUTI

I contenuti sono di un solo tipo: fotografie di persone che provengono da cinque città diverse. Il rimescolamento dei contenuti ha molto a che fare con il luogo e l’identità. Pur essendo un contenuto sotto alcuni aspetti banale, il viso

A.1.14 PEOPLE’S PORTRAIT PROJECT

318

umano è abbastanza potente, a livello visivo, da poter par-lare da solo al suo pubblico, soprattutto se entra in relazio-ne con il luogo che lo circonda.

LUOGO

Il risultato è una riflessione sull’individualità e le diffe-renti culture che rafforzano la comprensione del concetto moderno di glocalità. Le città si sarebbero dovute annul-lare da questo fenomeno di rimescolamento, ma la cosa sorprendente è che l’identità della città ne esce rafforzata: in questa epoca in cui chiunque potrebbe vivere ovunque, scegliere alcune città molto globalizzate vuol dire non fare nessuna differenza di popolazione, mettere tutti sullo stesso livello e vedere cosa succede. In un qualche modo, è un atto democratico in cui chi vince è il luogo fisico in cui è mostrato il contenuto, sia questo in mezzo ad una strada iconica come nel caso di New York oppure sui muri di un museo d’arte contemporanea come a Linz. Quando le diversità si annullano, quello che emerge è l’unica cosa ferma, stabile: il luogo.

↓ FIGURA A.49 ↘ FIGURA A.50 ◆ Zhang Ga, People’s Portrait Project, 2004, New York City, NY, USA (Zhang Ga, 2004)

319Appendici / Casi Studio

A.1.15 RE-MEMBER

Progettista: Francesco Fassone e Officina dello spettaco-loFinanziatore: Balla coi Cinghiali, Officina dello spetta-coloDove: Bardineto, Savona, ItaliaQuando: Agosto 2011Sito web: www.facebook.com/events/256955274320338/?hc_location=streamInterazione: NoPartecipazione: SiLog line: La stesura collettiva di un decalogo laico di frasi poi attaccate sugli edifici del paese.

TECNICA

Re-member è un’installazione urbana messa in scena a Bar-dineto, Savona, Italia, nell’agosto 2011, nata da un’idea di Francesco Fassone e realizzata da Officina dello spettacolo. Su Facebook è stata creata la pagina dell’evento che chiedeva ai partecipanti di scrivere delle frasi significative. Le dieci più belle sono diventate il messaggio dell’installazione e trasformate poi in enormi post-it di un metro quadrato, realizzati in plexiglass curvato a caldo e ancorati lungo le vie sulle pareti degli edifici del paese.

CONTENUTI

Non c’è stato dato alcun limite contenutistico: la richiesta era molto semplice, fornire delle frasi che potessero dire qualcosa, dei comandamenti poetici e laici, delle certez-ze che sarebbe stato bello ricordare ai passanti, per alcuni giorni. Il progetto ha aiutato a riflettere sulla necessità di progettare dei doni imprevisti, cioè qualcosa di bello che le persone possano trovare senza per forza dover cercare.

320

Lo scopo era di provocare delicatamente in pubblico, in-nescando percorsi mentali imprevisti che possano far ri-emergere certezze e identità dimenticate, ridando forza alla società.

LUOGO

Interessante è vedere come le frasi scelte possano essere considerate banali, ma inserite in uno specifico contesto, su determinate superfici e appese a particolari edifici ab-biano assunto all’improvviso tutto un altro valore, come se la frase possa dire poco in sé, ma possa toccare emotiva-mente se sfruttata nel modo giusto. In alcuni casi, come quelli delle immagini, le frasi risuonano con l’immagi-nario comune che noi abbiamo associato a determinati edifici e paesaggi. La frase “anche mio nonno aveva un nonno” in sé è un’ovvietà ma risuona a livello emotivo nel momento in cui è associata a edifici che appartengono a un’altra generazione, quasi un’altra era.

↓ FIGURA A.51 ◆ Francesco Fassone & O±cina dello spettacolo, Re-member, 2011, Bardineto, Savona, Italia (Andrea Pesce, 2011)↘ FIGURA A.52 ◆ Francesco Fassone & O±cina dello spettacolo, Re-member, 2011, Bardineto, Savona, Italia (Luca Hacky, 2011)

321Appendici / Casi Studio

Progettista: Felix S. Huber, Florian WüstFinanziatore: M”net - Telekommunikation für München und Bayern, SynergyOnline, Quax - Zentrum für Freizeit und kulturelle Bildung - Messestadt Riem.Dove: Monaco di Baviera, GermaniaQuando: 2002-2003Sito web: www.fshuber.net/projects/resite_web/info.en.htmlInterazione: SiPartecipazione: SiLog line: Una riflessione multimediale, interattiva e par-tecipata sull’identità di un quartiere in costruzione.

TECNICA

Re:site Project è un progetto temporaneo di creazione e fruizione di artefatti video su schermo urbano, web e pro-iezione realizzato in contemporanea con l’edificazione di un nuovo quartiere a Monaco di Baviera. La parte hardwa-re dell’installazione è composta da videocamere, schermi e un proiettore. Le due videocamere digitali sono posi-zionate nell’ambiente urbano, con l’area interessata alla ripresa marcata per terra. Gli schermi sono posizionati nella strada principale del progetto ed infine la proiezione è all’interno della vicina stazione della U-Bahn di Messe-stadt West. La parte software miscela varie metodologie di creazione di contenuti. Come prima cosa c’è un portale web da cui passano tutti i contenuti, alcuni con una mo-dalità pubblica e alcuni no. Da una parte, ci sono le riprese delle videocamere, che possono essere trasmesse in tempo reale o meno. Dall’altra esistono una serie di contenuti di varia provenienza che vengono trasmessi intervallando le riprese in tempo reale: questi sono di natura testuale o video. Nel primo caso sono estratti dalla chat pubblica

A.1.16 RE:SITE PROJECT

322

↑ FIGURA A.53 ↗ FIGURA A.54 ↓ FIGURA A.55 ↘ FIGURA A.56 ◆ Felix S. Huber & Florian Wüst, Re-site project, 2002/03, Monaco di Baviera, Germania (Re-site project, 2002)

323Appendici / Casi Studio

presente sul sito, che poi vengono salvati in un archivio accessibile pubblicamente e sparpagliati automaticamen-te e casualmente nei video. Nel secondo caso, ci sono dei contenuti scelti da un gruppo di curatori e dei contenu-ti che sono frutto della collaborazione con abitanti o in-viati direttamente da utenti e/o enti sul territorio. Tutti i contenuti video che non sono in tempo reale vengono racconti in un database web e per ogni clip sono effettuate delle associazioni semantiche basate sugli opposti, come giorno/notte, statico/in movimento, una persona/molte persone. Grazie a un programma di analisi automatica dei filmati in tempo reale, le clip di cui sopra sono associate automaticamente a ciò che avviene nella realtà.

↓ FIGURA A.57 ◆ Screenshot del sito originale di Re-site project (Re-site project, 2002)

324

CONTENUTI

La base di tutto il flusso video sono le immagini in tem-po reale del quartiere, che vengono interrotte ad intervalli non regolari ed in maniera automatica da altri contenuti. Questi possono essere clip di film più o meno famosi e vi-deo di laboratori condotti con i giovani residenti del luogo. Questo progetto è un tentativo di affrontare e documen-tare il cambiamento fisico e sociale nel luogo offrendo ai residenti e ai visitatori l’opportunità di produrre i propri commenti, creare le proprie immagini e di conseguen-za dare forma all’immaginario comune del luogo. Re:site project cerca di presentare la vita come fosse una narrazio-ne cinematografica: noi percepiamo il mondo in termini di memoria sociale, che negli ultimi anni è stata deter-minata in larga misura dai film e televisione. Re:site project vuole provare a generare un complesso collage di istanta-nee del tempo presente, passato e futuro.

LUOGO

Re:site Project fa parte di un programma di arti speciali per la crescita e lo sviluppo di una nuova comunità urbana nei pressi di Monaco di Baviera nel quale stanno avvenendo dei grossi cambiamenti urbani e sociali. L’intenzione qui è di documentare questi sviluppi e offrire ai residenti la possibilità di relazionarsi più strettamente al nuovo quar-tiere. Lo scopo ultimo è quello di creare sia l’identità del luogo sia l’attaccamento delle persone al luogo attraver-so associazioni mentali, partecipazione e creazione di un immaginario comune. Soprattutto quest’ultimo obiettivo si basa in larga parte sulle associazioni mentali tra i clip video catturati e quelli tratti da film più o meno famosi.

325Appendici / Casi Studio

Progettista: VR/UrbanFinanziatore: AutoprodottoDove: Berlino, GermaniaQuando: 26 ottobre 2010Sito web: www.vrurban.org/smslingshot.htmlInterazione: SiPartecipazione: SiLog line: Graffiti digitali di pensieri personali in ambito sociale.

TECNICA

SMSlingshot è un’installazione temporanea creata da VR/Urban il cui primo evento è stato a Berlino nel 2010. È costituito da due componenti hardware: da una parte è presente un proiettore puntato sulla facciata di un edifi-cio; dall’altra c’è una fionda in legno al cui interno c’è una radio, una scheda Arduino, un laser e delle batterie. I mes-saggi di testo possono essere digitati sulla tastiera nume-rica di legno integrata. Una volta finito di scrivere il mes-saggio, l’utente mira alla facciata con il puntatore laser e lascia l’elastico della fionda: il messaggio è istantanea-mente inviato a Twitter e appare sulla facciata una macchia di colore con il messaggio scritto al centro. L’interfaccia grafica è cambiata con il tempo: nella prima edizione, le macchie erano di colori diversi ma di forma molto simile con, al centro, la frase con una font a pixel. In seguito gli autori hanno migliorato l’animazione degli schizzi, fil-mando dei veri palloncini di vernice tirata contro un muro in modo tale che l’interfaccia fosse più organica e realisti-ca, inoltre la font è diventata un bastoni maiuscolo, per rendere il testo più leggibile.

A.1.17 SMSLINGSHOT

326

↑ FIGURA A.58 ◆ VR/Urban, SMSlingshot, 2012, Torino, Italia (Anonimo, 2012)↓ FIGURA A.39 ◆ VR/Urban, SMSlingshot, 2011, L'Aia, Paesi Bassi (Haags Uitburo, 2011)

327Appendici / Casi Studio

↑ FIGURA A.60 ◆ VR/Urban, SMSlingshot, 2013, Il Cairo, Egitto (Mostafa Abdel Aty, 2013)↓ FIGURA A.61 ◆ VR/Urban, Fionda per SMSlingshot (VR/Urban, 2009)

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CONTENUTI

SMSlingshot nasce dalla necessità da una parte di rendere lo spazio urbano accessibile a livello comunicativo, dall’al-tra a riconnettersi a fenomeni quali le tag sui muri e il bisogno dell’uomo di commentare. L’idea alla base è che gli abitanti debbano avere un ruolo attivo nella comuni-cazione pubblica, occupando gli schermi urbani, creando i propri contenuti. Ciò che le persone comunicano non è prevedibile e varia moltissimo dal luogo in cui è installato e da ciò di cui quello di cui le persone parlano, ciò che sta loro a cuore nel qui e ora. Quest’ultimo elemento è stato particolarmente evidente quando gli autori hanno portato l’installazione a Il Cairo nel 2012, offrendo alla popolazio-ne l’opportunità di rendere esplicite emozioni e pensieri politici presenti in città. La sovrapposizione e l’uso di spa-zi pubblici fa sì che gli argomenti tendano ad associarsi, a sovrapporsi e a essere trattati a ondate.

LUOGO

Il forte legame che si sviluppa tra l’installazione e il luogo tende a far crescere nelle persone la volontà di comunica-re qualcosa connesso a esso. Le persone che hanno preso parte all’installazione hanno cominciato a spiegare tra di loro il funzionamento di questa installazione, arrivando al punto in cui le persone incaricate di aiutare gli uten-ti nell’uso del mezzo erano rimossi dal loro ruolo, perché il coinvolgimento emotivo era talmente elevato da rom-pere una serie di barriere comunicative, sia dal vivo che con persone in un’altra nazione. Sono stati fatti due even-ti SMSlingshot: il primo è il tour che ha toccato San Paolo, Berlino, Liverpool, Madrid, Palma, Eindhoven e Vienna, in cui i contenuti si sono sviluppati intorno al luogo e a tematiche personali. Il secondo è stato un esperimento di installazione simultanea a Berlino e Liverpool, in cui i messaggi proiettati erano gli stessi, ma lanciati da due luoghi diversi. Questo ha creato un dialogo tra i vari lanci e tra due città, due lingue e due nazioni diverse.

329Appendici / Casi Studio

Progettista: Jo PeelFinanziatore: AutoprodottoDove: Londra, Regno UnitoQuando: 2012Sito web: www.jopeel.com/2012/04/things-change/Interazione: NoPartecipazione: NoLog line: Animazione che tratta dei luoghi abitati dall’uo-mo dipinta fotogramma per fotogramma su un muro pub-blico.

TECNICA

Things Change è un’animazione tradizionale realizzata da Jo Peel che usa come supporto fisico una parete a Shoreditch, a Londra. La realizzazione è durata tre settimane che sono state condensate in un’animazione di tre minuti. Il fatto che l’autrice abbia animato non solo attraverso la pittura ma anche attraverso il posizionamento di alcuni elemen-ti già presenti nella strada rende quest’opera qualcosa a metà tra un’animazione tradizionale ed una a passo uno.

CONTENUTI

La narrazione può essere considerata come una visione ot-timista sulla permanenza e l’influenza umana sulla terra. Gli edifici sono creati e poi cedono il passo alla forza del-la natura, ancora una volta. L’animazione è divisa in tre parti che coincidono con un cambio di registro musicale. La prima parte, melodica, dolce ed evocativa, inizia con l’animazione di una farfalla che introduce la base della scenografia e si conclude con la nascita dei primi edifici. Nella seconda parte, caratterizzata da una musica rock ve-loce e con una voce che canta, c’è la costruzione di edifici,

A.1.18 THINGS CHANGE

330330

↑ FIGURA A.62 ↗ FIGURA A.63 ↓ FIGURA A.64 ◆ Jo Peel, Things Change, 2012, Londra, Regno Unito (Jo Peel, 2012)

331Appendici / Casi Studio 331Appendici / Casi Studio

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infrastrutture, negozi, uffici, industrie. La terza parte, con la stessa voce della seconda più dolce, corrisponde con il declino della società e degli edifici ad essa connessi.

LUOGO

L’animazione è stata realizzata sulla parete esterna del Vil-lage Underground Arts Space a Shoreditch, Londra. Il più gros-so collegamento visivo tra l’animazione e il suo supporto fisico sono i mattoni: la superficie su cui Jo Peel dipinge sono mattoni e la maggior parte degli edifici nell’anima-zione sono dello stesso materiale. Questo forse per sottoli-neare la stretta connessione tra rappresentazione e luogo circostante.

1 http://www.cantforget.it/what-we-do/how-we-do-it2 http://www.cantforget.it/what-we-do/how-we-do-it3 http://www.cantforget.it/what-we-do/how-we-do-it4 Per stolen generation (generazione rubata) si intendono quei bambini australiani

aborigeni che furono allontanati dalle loro famiglie da parte dei governi federali australiani e missioni religiose nel periodo tra il 1869 gli anni ’70 del secolo scorso.

5 http://www.loc.gov/exhibits/eames/culture.html

333Appendici / Casi Studio

334

335

A.2

BIBLIOGRAFIA

336

337Appendici / Bibliografia

Armstrong H. - Stojmirovic Z., Participate: Designing with user-ge-nerated content, Princeton Architectural Press, New York, 2011.

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