Le navi di Roma - Per mare con gli antichi Romani (2004)

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NUMERO Brioni. Uno stile tutto italiano Per mare con gli Antichi Romani I Giorgio Albertazzi automobili

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N U M E R O Brioni. Uno stile tutto italiano Per mare con gli Antichi Romani I Giorgio Albertazzi a u t o m o b i l i

Domenico
Rettangolo

newstar Annoterzo I numerocinque I aprile2004

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inquestonumeiv.

arte I OS I Sapore di design. di Marina De Benedictis

Brioni. Uno stile tutto italiano. di Kaemi Controneri

Le navi dell'Antica Roma. di Domenico Carro

automobili I 34 1 Nuova Range Rover: l'automobile diversa. di Pierluigi Mauro Boccanelli

intervista ! < 4 0 I Quando si è qualcuno. Intervista a Giorgio Albertazzi di Giuseppe Distefano

valori I < 4 G I Henry Ford: l'uomo e l'imprenditore. di Fabio Massimo Arati

itinerari I 52 I Itinerari da sogno. di Marina De Benedictis

o m o b i l i I BO I Queste piccole grandi Volvo. di Maurizio Svizzeretto

inomia I 6 9 I Frutti preziosi. di Giacomo Dente

numerocinque I annoterzo I aprile2004

Domenico
Rettangolo

Per mare con gli antichi rom, «Navigare Necesse Est!», ruggì il vecchio Pompeo, trattenendo l'ampio mantello agitato dal vento

impetuoso; ed aggiunse, ringhiando fra i denti: «vivere non est necesse!», mentre i suoi comandanti

lo guardavano allibiti. Poi diede l'ordine di salpare immediatamente, ed egli stesso fu il primo a

prendere il mare, ponendosi alla testa del convoglio, incurante della tempesta.

testo di Domenico Carro [Et

foto Archivi Alinari Firenze m

Scultura in marmo raffigurante la O

poppa di una nave, rinvenuta

durante gli scavi archeologici della

Villa di Tiberio a Sperlonga.

(foto di Claudia Primangeli)

È più o meno così che dovremmo immaginare quella terribile scena. Pompeo Magno era ormai giunto alla cinquantina, ed era carico di gloria per gli strepitosi successi conseguiti su tutte le sponde del nostro mare, dalla Spagna alla Palestina. Dieci anni prima egli l'aveva completamente ripuli-to, tutto quel mare, dalla più insidiosa delle minacce. Miriadi di flottiglie di pirati, sotto l'impulso del re Mitridate, nemico dei Romani, si erano riversate in tutto il Mediterraneo, depredando il traffico mercantile, paralizzando per lunghi decenni la navigazione, e riducendo Roma ai limiti della so-pravvivenza per la mancanza di rifornimenti. Ma Pompeo, nominato comandante supremo delle forze romane, con una flotta di cinquecento navi da guerra riuscì in meno di tre mesi a rastrellare tutte le acque, purgandole definitivamente dai pirati e ripristinando in tal modo la libertà di navi-gazione. Poi, avendo bloccato con quelle stesse navi tutte le coste orientali, dalla Fenicia alla Cri-mea, costrinse Mitridate ad una fuga verso la propria perdita.

A distanza d'un decennio, poiché le provviste di viveri a Roma si erano pericolosamente assotti-gliate in seguito ad una grave carestia, Pompeo era stato nominato responsabile dell'annona, ossia dell'approvvigionamento dei principali generi alimentari necessari alla popolazione dell'Urbe. Egli aveva allora mobilitato tutte le navi mercantili romane ed aveva fatto vela per la Sardegna, la Sicilia, e l'Africa, raccogliendo cereali ed altre derrate. Poi, al momento di salpare per il rien-tro ad Ostia, i suoi comandanti gli avevano rappresentato l'opportunità di rinviare la partenza a causa delle avverse condizioni del mare. Ma qualsiasi ritardo parve inaccettabile al Magno, e fu per questo ch'egli li sferzò con quella frase sbalorditiva e solo apparentemente paradossale. In effetti le loro vite, per quanto importanti, non erano indispensabili, mentre la navigazione era realmente un'esigenza vitale per Roma. In altre parole, il flusso dei rifornimenti marittimi aveva una priorità talmente elevata da giustificare anche il rischio di perdere qualche nave ed i relativi uomini di equipaggio.

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Il dio del mare Nettuno guida due IH

cavalli marini. Particolare dei

mosaici pavimentali nelle Terme

di Nettuno presso l'area

archeologica di Ostia antica.

Non vi era peraltro nulla di nuovo nell'uso delle navi per le necessità primarie della Città eter-na. Senza queste e senza una ferrea determinazione nello sfruttare i molteplici vantaggi della navigazione, i Romani non avrebbero potuto lasciare nemmeno il loro nome nella storia. Fin dalle loro più antiche origini, infatti, essi non sarebbero riusciti ad affrancarsi dal possessivo condizio-namento degli Etruschi, né a resistere al soffocante accerchiamento delle città latine. Successi-vamente, sarebbe stato loro impossibile associare a sé l'intera Italia, sfidare e vincere i potentis-simi Cartaginesi sul mare, nonché imporsi sulle più rinomate ed esperte potenze navali del mondo ellenistico. Per finire, essi non sarebbero certamente pervenuti a conquistare, pacificare ed am-ministrare in piena sicurezza un impero che estendeva in massima parte lungo l'intero perime-tro di questo nostro "mare Immenso", quale era il Mediterraneo per gli antichi (secondo l'espressione usata da Cicerone in una sua celebre orazione).

Lastra a rilievo con raffigurazione 0 1

di una bireme romana con i

classiarii, ovvero i legionari di

marina, schierati per predisporsi

all'arrembaggio; l'opera è

conservata ai Musei Vaticani.

Si tratta di una realtà che traspare con la massima evidenza dall'analisi di tutte le tappe fonda-mentali dell'ultramillenaria storia dell'antica Roma. Se ne hanno anche infinite conferme nei ri-trovamenti archeologici disseminati nelle estese aree marittime dell'impero, così come lungo i suoi principali fiumi e presso ogni altra via o specchio d'acqua che i Romani solcarono con le loro imbarcazioni. Basti pensare, al riguardo, che perfino il piccolo lago vulcanico di Nemi fu la sede di due gigantesche navi imperiali, dalle caratteristiche tecniche certamente non inferiori a quelle delle grandi navi marittime.

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Per mare con gli antichi romani.

Nell'esaminare questi aspetti affiora spontaneamente il ricordo di un vecchio ritornello che compariva in molti dei nostri testi di storia. Abbiamo sentito ripeterci ossessivamente che, date le loro origini pastorali ed agresti, i Romani riuscirono ad essere potentissimi solo sulla terrafer-ma, mentre si mantennero sempre piuttosto incompetenti nelle questioni navali, e comunque talmente a disagio sul mare da trovarsi costretti a dotare le proprie navi di accorgimenti atti a "trasformare la battaglia navale in battaglia terrestre".

A tal proposito, basta avere una minima conoscenza delle cose di mare per capire che chiunque riesca ad arrembare una nave nemica ed a catturarla in alto mare, non ha combattuto una batta-

glia terrestre, ma ha compiuto una delle imprese navali più felici e più autenticamente marinare-sche. E poco importa se ha effettuato il trasbordo con l'auljliodi ramponi o di passerelle fisse o mobili, perché-tutta la condotta dell'azione, dall'avvicinamento all'affiancamento, all'abbordaggio ed all'arrembaggio denota una capacità tattica superiore a quella del nemico. È allora lecito tagliar corto, dicendo che, per stabilire quale sia stata l'abilità dei Rò'mani sul mare, è sufficiente giudica-re in base ai risultati: essi si sono confrontati con tutte le più esperte marinerie del mondo antico ed hanno sempre conseguito il successo finale, come può fare solai chi sa individuare e porre in atto la migliore strategia marittima, possedendo altresì i migliori equipaggi.

Sarebbe però riduttivo credere che tutto il pregio delle navi romane risieda in una supremazia militare, mirata a rafforzare l'egemonia di Roma ^ ad assicurare il commercio marittimo neces-sario all'approvvigionamento della città. . '

v ; A H t f s e $ u e '••'••

£3 Scultura di epoca romana raffigurante

la prua di una nave con protome di

cinghiale e rilievo dell'idra. L'opera

era parte di un'antica fontana ed è

ora conservata presso i Musei

Capitolini di Roma.

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Particolare di un rilievo E]

della Colonna Traiana.

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In realtà, la sequenza storica degli eventi marittimi evidenzia un altro aspetto poco noto del mondo romano. In origine, come si è detto, i Romani iniziarono a navigare, prima sul Tevere e poi sul Tirreno, per importare i propri rifornimenti vitali nonostante l'accerchiamento dei nemici. Poi, non appena ne ebbero la possibilità, essi svilupparono dei traffici più ampi, con delle finalità puramente commerciali. Trattandosi di un'attività che era tanto più redditizia quanto maggiori erano i rischi, la ricerca di buo-ni affari portò gli armatori ad estendere sempre più le proprie rotte al di là delle aree soggette all'influenza romana. Pertanto le navi contribuirono alla straordinaria vitalità della politica estera dell'Urbe, precedendo, incentivando e rendendo possibili le progressive conquiste militari.

D'altra parte, tale espansione è avvenuta innanzi tutto e prevalentemente per via marittima. Infatti, dopo aver acquisito il controllo della nostra Penisola, i Romani sbarcarono prima in Sicilia, in Sardegna ed in Corsica, poi sulla sponda occiden-tale della penisola balcanica, quindi sulle coste iberiche, successivamente in Africa, per poi proiettarsi sulle rive del Medi-terraneo orientale, ad iniziare dalla Grecia e dall'Asia minore. Tutte queste operazioni avvennero naturalmente con l'impiego di immani flotte da guerra, oltre che con centinaia e centinaia di navi da trasporto per l'imbarco delle legioni, delle armi, delle macchine belliche, dei cavalli e dei rifornimenti. Solo dopo essere approdati sulle predette coste i Romani iniziarono a pensare alla Gallia transalpina e ad altre conquiste prettamente terrestri. E comunque, anche nelle campagne continen-tali, essi seppero usare molto opportunamente le loro imbarcazioni: costruirono delle grandi flotte oceaniche per poter as-sumere il controllo di alcune regioni, come la penisola della Bretagna durante la guerra Gallica, o per aggirare dal mare le resistenze nemiche, come fecero più volte a nord della Germania, sotto il comando di Druso, di Tiberio e di Germanico. Queste stesse flotte vennero successivamente potenziate per gli sbarchi di Cesare e Claudio in Britannia.

Con l'avvento dell'impero, tuttavia, il ruolo delle navi subì un'ulteriore evoluzione. Valorizzando l'opera del suo grande ammiraglio Agrippa, Augusto diede l'avvio alla costituzione di quelle flotte militari permanenti che vigilarono sul rispetto della legalità in mare per tutta la durata dell'impero. Altre flotte vennero poste sui due grandi fiumi di confine, il Reno ed il Danubio, con funzioni di controllo e dissuasione.

Nel frattempo, approfittando della durevole situazione di pace che si era instaurata, i traffici marittimi vennero potenzia-ti, dando un deciso impulso alle costruzioni navali, creando nuovi porti, ampliando quelli vecchi, migliorando la rete dei fari e le infrastrutture. La navigazione nelle acque interne subì anch'essa un analogo incremento, sia sul Tevere, per i ri-fornimenti di Roma dal mare e dall'entroterra, sia in tutti gli altri grandi fiumi e lungo un buon numero di canali naviga-bili scavati dagli ingegneri romani.

Le fiorenti attività navali mercantili costituirono certamente un importante fattore di benessere, favorendo altresì, attraver-so gli scambi commerciali ed i viaggi, il processo di progressiva integrazione di tutte le province dell'impero. Parallela-mente, le migliorate condizioni di sicurezza lungo tutte le coste consentirono il moltiplicarsi delle attività dei pescherec-ci e delle unità da diporto, queste ultime a certa testimonianza di quanto forte fosse, presso molti Romani, l'amore per il mare e per la navigazione.

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Trasbordo di anfore fra due IH

navi; mosaico pavimentale

del Piazzale delle

Corporazioni nell'Area

archeologica di Ostia antica.

Le imbarcazioni stesse, le cui tecniche di costruzione beneficiarono ampiamente della solida competenza e della genialità dell'ingegneria romana, furono particolarmente amate. I Romani le considerarono infatti delle vere e proprie opere d'arte, prescindendo dalla presenza o meno di decorazioni, purché esse possedessero i migliori requisiti nautici ai fini della navigazione. Ci-cerone, parlando delle parti fondamentali di una nave, come la carena, la prora, la poppa, l'albero, i pennoni e le vele, disse che esse offrivano uno spettacolo di tale eleganza da far pensare che fossero state progettate non solo per la sicurezza, ma anche per fini estetici. A sua volta Seneca volle sottolineare in tal modo i reali pregi di una nave:

«La nave che viene giudicata buona non è quella dipinta con colori preziosi, o dal rostro argen-

tato o dorato, né è quella con la divinità protettrice scolpita in avorio, o carica di tesori o di altre

ricchezze regali, ma è la nave ben stabile e robusta, con giunture saldamente connesse ad im-

pedire ogni penetrazione dell'acqua, tanto solida da resistere agli assalti del mare, docile al ti-

mone, veloce e non succube dei venti.» I H

numerocinque aprile2004

11 porto romano di Pagliano

Testo di Kaemi Controneri 0

Foto per gentile concessione della Tenuta di Corbara f j j j J

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