L'analisi della conversazione di H.J. Sacks

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA CALABRIA Facoltà di Scienze Politiche ________________________________________________________________ Corso di Laurea in Scienze Politiche TESI DI LAUREA L’analisi della conversazione di H. J. Sacks. RELATORE CANDIDATO Ch.mo Prof. Alessandra Zunino Paolo Jedlowski Matricola: 122916 ANNO ACCADEMICO 2010-2011 1

Transcript of L'analisi della conversazione di H.J. Sacks

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA CALABRIA

Facoltà di Scienze Politiche

________________________________________________________________Corso di Laurea in Scienze Politiche

TESI DI LAUREA

L’analisi della conversazione di H. J.Sacks.

RELATORE CANDIDATO

Ch.mo Prof. Alessandra Zunino

Paolo Jedlowski Matricola:

122916

ANNO ACCADEMICO 2010-2011

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Indice

Introduzione p. 3

Cap. 1 Chi era H. J. Sacks? p. 5

Cap. 2 L’analisi della conversazione di H.J. Sacks. p. 24

Cap. 3 Osservazioni sull’analisi della conversazione. p. 44

Riferimenti bibliografici p. 59

2

Introduzione

Harvey J. Sacks è da molti ritenuto uno dei più importanti scienziati sociali dello

scorso secolo; nonostante la scomparsa prematura il suo lavoro è stato fondamentale

all’interno della scuola etnometodologica; contribuendo in maniera determinante alla

chiarificazione di molti interrogativi che tormentavano la neonata disciplina. Il suo

merito è quello di aver dato vita all’analisi della conversazione: uno strumento

teorico-metodologico attraverso cui indagare le regolarità nella struttura

conversazionale così da poter osservare in che modo gli individui si rapportano a

questi elementi rituali, come nell’interazione vengono posti in essere e come, sempre

nell’interazione, vengono riprodotti.

L’obbiettivo di questo lavoro di ricerca è quello di riuscire a fornire un quadro

su H. J. Sacks e la sua analisi della conversazione, e infine di guardare con criticità

agli aspetti che secondo la mia opinione non sono stati da Sacks sviscerati

attentamente, in modo da rivedere il rapporto tra l’analisi della conversazione e gli

elementi tipici del discorso sociologico: struttura sociale, sistemi di potere e ruoli

sociali. Il mio interesse per Sacks è dovuto soprattutto al fatto che su di lui, così come

sulla sua analisi della conversazione, nel nostro paese esiste una letteratura molto

esigua e difficilmente reperibile; essendo la metodologia sacksiana molto utile

3

rispetto ad alcuni tipi di ricerche ritengo sia utile riuscire a fornire una chiarificazione

del suo metodo d’indagine così che, al pari delle metodologie qualitative classiche,

anche l’analisi della conversazione possa essere usata all’interno di diversi contesti di

ricerca e rispetto a differenti scopi analitici.

Il primo capitolo è un approfondimento sulla biografia culturale di Sacks, che

credo possa servire a contestualizzare l’analisi della conversazione e a comprendere a

pieno i suoi riferimenti teorici.

Il secondo capitolo invece, operando una rilettura dei saggi presenti nel volume

L’analisi della conversazione1 si concentra specificatamente sulle “scoperte”

sacksiane cercando di rendere immediatamente comprensibili le loro modalità di

applicazione.

All’interno dell’ultimo capitolo guarderemo alle critiche poste a Sacks da altri

sociologi così come ai meriti riconosciutigli, muoveremo un’embrionale

comparazione tra l’analisi del discorso e l’analisi della conversazione e infine,

prendendo a modello la teoria foucaultiana della “metafisica del potere” guarderemo

a quelle che io considero essere “lacune” dell’analisi della conversazione, cercando di

intravedere una possibile soluzione teorica.

1 H. J. Sacks, L’analisi della conversazione, Armando editore, Roma 2007.

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1. Chi era H. J. Sacks?

1.1 Biografia

Harvey J. Sacks (1935-1975) inizia la sua carriera accademica conseguendo nel

1955 la laurea in discipline umanistiche alla Columbia University. Successivamente

intraprende gli studi in legge nella prestigiosa università di Yale; più interessato alla

struttura del discorso giuridico che alla giurisprudenza in sé, dopo essersi laureato nel

1959 si sposta ad Harvard per seguire le lezioni del sociologo Talcott Parsons. Lì

conosce l'etnometodologo Harold Garfinkel e decide di seguirlo in California,

all'università di Berkeley, e lì proseguire gli studi.

Nel 1962 lavora con David Sudnow ed Emmanuel Schegloff al “Centre for the

Scientific Study of Suicide” di Los Angeles: questa esperienza sarà determinante per

la formazione sociologica di Sacks; sarà infatti sull'analisi delle conversazioni

telefoniche avvenute tra operatori e pazienti che incentrerà la sua dissertazione di

dottorato.

Nel 1964 grazie all'interessamento di Garfinkel diventa Assistant Professor di

sociologia presso l'UCLA, dove insegnerà fino al 1968 registrando le sue lezioni e

offrendone la trascrizione a chiunque le richiedesse; è anche grazie ad esse che

5

l'allieva di Sacks Gail Jefferson potrà pubblicare nel 1995 i due volumi “Lectures on

conversation” .

Nel 1966 Sacks consegue il Ph. D in sociologia, dopo che Aaron Cicourel ha

sostituito Goffman alla presidenza della commissione valutazione.

Nel 1968 lascia l'UCLA per trasferirsi all'università di Irvine, dove insegnerà

fino alla sua morte avvenuta nel 1975, mentre è in procinto di trasferirsi all'università

di Santa Barbara per fondare insieme a Schegloff un dipartimento interdisciplinare di

studi sul linguaggio.

1.2 Formazione culturale

La formazione culturale di Sacks deve essere situata all' interno del panorama

socio-culturale degli anni '50, particolarmente in quello statunitense; dal punto di

vista economico sono gli anni del fordismo avanzato, della crescita occupazionale e

del conseguente aumento del reddito medio pro-capite; dal punto di vista politico-

culturale sono gli anni dell'isterico anticomunismo dei presidenti Truman e

Eisenhower, dell'affermazione e della stabilizzazione dell'ideale di “sogno

americano” che la televisione, repentinamente diffusasi nel ceto medio, si occupa di

radicare nell'immaginario collettivo. La massima espressione della sociologia è

Talcott Parsons: il suo approccio, lo “struttural-funzionalismo” si occupa di

6

individuare la “struttura” di fondo della società e di analizzarla attraverso le

“funzioni” che ogni elemento svolge affinché una società risulti stabile e ordinata.

1.2.1 Orizzonte teorico della sociologia Americana negli anni '60

Negli anni '60 il paradigma parsoniano inizia a sfaldarsi sotto impulsi diversi tra

cui quello di un rinnovato interesse per la vita quotidiana come ambito nel quale

incentrare l'analisi sociologica; scuole di pensiero che sono diverse, accomunate da

una predilezione per l'analisi sistematica dei processi sociali nei quali gli attori

costruiscono attivamente la realtà attribuendole senso, e attraverso l'interazione con

l'altro mediata dal linguaggio. La ripresa e rielaborazione delle teorie del filosofo

sociale Alfred Schutz e dello psicologo Herbert Mead darà vita rispettivamente alle

scuole dell' etnometodologia e dell' interazionismo simbolico; la prima sarà cruciale

per lo sviluppo della sociologia della vita quotidiana, mentre a partire dalla seconda

prenderà corpo la cosiddetta “teoria dell'etichettamento”, fondamentale tappa per la

sociologia della devianza. Nonostante l'approccio di Sacks sia assolutamente

peculiare, tuttavia dalla sua opera si evince un chiaro interesse per la vita quotidiana

come ambito di indagine, ed è questo il principale tratto che lo accomuna ai sociologi

a lui contemporanei.

Alfred Schutz (Vienna, 1899 - New York, 1959) è il padre della sociologia

fenomenologica. Il suo approccio, sintesi della fenomenologia di Husserl e della

sociologia comprendente di Weber, espressamente antipositivista, concepisce la realtà

come una costruzione attiva dei soggetti, che definiscono reale ciò che percepisce

7

come reale; si tratta quindi di problematizzare il rapporto tra percezione soggettiva e

realtà sociale, indagando all'interno dei processi di attribuzione di senso e di agire

significativo che avvengono nella sfera della vita quotidiana2.

In questo contesto a muovere l'azione individuale per Schutz è il senso comune,

inteso come una serie di tipificazioni di condotte comprendenti comportamenti e

aspettative che il soggetto ha rispetto a se o ad altri; attraverso questo processo è

possibile l'interazione quotidiana così come la riproduzione della vita sociale.

Essendo la realtà un insieme di significati soggettivi, sono possibili secondo Schutz

infiniti ordini di realtà, a volte anche contrastanti tra loro, a cui corrispondono

“provincie finite di significato”, cioè la percezione che un individuo ha di una

determinata esperienza in un determinato tempo. L'aver aderito ad un ordine di realtà

presuppone la messa tra parentesi di tutti gli altri possibili significati; nella sfera della

vita quotidiana è specificatamente “il dubbio” ad essere sospeso; il senso comune

acquista carattere consuetudinario e pragmatico, e diventa associabile

all'atteggiamento con cui si dà il mondo per scontato.

I prosecutori diretti della sociologia fenomenologica di Schutz saranno Peter

Berger e Thomas Luckmann; la loro opera principale “La realtà come costruzione

sociale3” è una critica alle teorie classiche della sociologia della conoscenza che

evidenzia come ogni sfera di realtà abbia il proprio universo correlato di conoscenze,

2 Vedi anche Alfred Shutz, Don Chishotte e il problema della realtà, Armando Editore, Roma 1995.

3 Di P. Berger e T. Luckmann (1966), La realtà come costruzione sociale, ed. it. Il mulino, Bologna 1997.

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significati incorporati in schemi di tipizzazioni, che il soggetto acquisisce

fondamentalmente attraverso i processi di interazione.

Anche l'etnometodologia, corrente teorico-metodologica che fa capo ad Harold

Garfinkel, si rifà alla teoria schutziana; compiendo una radicalizzazione delle

possibilità che il dubbio riemerga nella sfera quotidiana4. Nell'etnometodologia il

senso comune diventa oggetto di studio: si tratta di un indagine bidirezionale, dove da

una parte si indagano i meccanismi con cui l'ordine di significati di senso comune

può essere messo in crisi, dall'altra i modi con cui il dubbio viene tempestivamente

sopito. Ad emergere è che la sfera del senso comune, così come le altre sfere di realtà,

è sorretta dalla continua significazione di fenomeni, che diventano dispositivi efficaci

solo se condivisi da un gruppo sociale.

I dati che vengono selezionati per svolgere questo tipo di analisi sono sempre

spontanei; è fondamentale che i soggetti siano immersi nei loro contesti quotidiani in

quanto la presenza di un ricercatore in alcune situazioni è in effetti una circostanza al

di fuori delle esperienze ordinarie e questo potrebbe modificare sensibilmente i

comportamenti degli individui in questione, allontanandoli dagli atteggiamenti

consuetudinari. L'analisi della conversazione di cui Sacks pone le basi può difatto

essere annoverata tra gli strumenti d'indagine più usati dagli etnometodologi.

L'altra corrente costitutiva della sociologia americana degli anni sessanta è

l'interazionismo simbolico che ha origine dalle teorie dello psicologo sociale George

4 Vedi tra gli altri H. Garfinkel, Studies in ethnomethodology, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey 1967

9

Herbert Mead (1863-1931). Pur essendo fortemente influenzato dal pragmatismo

filosofico e dal comportamentismo pedagogico, l'indirizzo teorico di Mead è

peculiare; il suo approccio viene definito interazionista, in quanto pone al centro

dell'analisi la costruzione sociale dell'identità soggettiva ponendo l'accento sui

processi di strutturazione del sé che avvengono attraverso l'interazione sociale. L’

identità viene intesa come il complesso delle norme apprese durante la

socializzazione, delle esperienze introiettate dal soggetto mediante il linguaggio, e

delle aspettative rispetto ai comportamenti propri o degli altri. Il processo di

costruzione del sé diviene ultimato solo quando il soggetto è pienamente

“socializzato”; ha cioè imparato a definire la realtà circostante, se stesso e gli altri

attraverso set di categorie appresi nell'interazione. Il linguaggio, inteso come insieme

strutturato di segni significativi perché condivisi socialmente, è il tramite attraverso

cui l'individuo riesce a tematizzarsi e definirsi, ed è quindi condizione necessaria per

la strutturazione unitaria del sé che sarà chiaramente un “sè sociale”.

Il termine “interazionismo simbolico”, coniato da Herbert Blumer negli anni '30,

indica uno specifico approccio teorico che s'interessa particolarmente agli studi sulla

formazione dell'identità individuale. Riprendendo Mead viene messo in evidenza

come il legame tra identità e contesto sociale sia mediato dalla struttura simbolica del

linguaggio, simbolica in quanto permette al soggetto di definire se stesso e la realtà

circostante facendo ricorso a unità linguistiche che rimandano a significati complessi

introiettati nei processi di socializzazione.

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La prospettiva interazionista sarà ripresa ed ampliata da uno dei maggiori

sociologi del '900, Erving Goffman. Figura assolutamente indipendente rispetto a

qualsiasi tipo di “etichetta” teorica, è considerato l'ideatore dell' “approccio

drammaturgico”; egli parte dall'assunto che la costruzione dell'identità sia

strettamente derivante dai processi d'interazione e nota come il meccanismo cardine

di questi processi sia l'attribuzione di ruoli, il mantenimento di essi, le aspettative ad

essi collegati: l'aspetto della rappresentazione di sé diventa centrale, tanto che il

soggetto immerso nel contesto sociale viene paragonato espressamente all'attore del

teatro; perennemente impegnato a seguire un “canovaccio” che lo renda pienamente

aderente al ruolo che assume5. Nella vita quotidiana questo sistema si riproduce di

volta in volta all'interno di cornici cognitive, “frame”, che delimitano il senso entro

cui si svolge una determinata situazione, definito tramite un' “accordo tacito” tra gli

attori e che molto spesso si esplicita attraverso meta-messaggi che affiancano gli

elementi testuali, ed in qualche modo ne rendono comprensibile il senso situazionale.

Dall'approccio interazionista deriva anche la cosidetta “teoria

dell'etichettamento”; utilizzata negli studi sulla devianza, ne stravolge completamente

la prospettiva. Se prima la devianza era considerata come un elemento sistemico che

necessariamente si produceva all' interno di società complesse con questa teoria

l'attenzione si sposta dalla considerazione della devianza come fatto allo studio dei

meccanismi che fanno si che qualcosa venga considerato come deviante in un dato

5 Vedi anche Erving Goffman (1959), La vita quotidiana come rappresentazione, ed. it. il mulino, Bologna 1997.

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contesto. Come si evince dall'opera del sociologo americano Beker Outsiders6 colui

che infrange una norma viene definito dal gruppo sociale di appartenenza come

“deviante”, tale definizione se reiterata viene introiettata dal soggetto che essendo

riconosciuto e riconoscendosi nella categoria di “deviante”, non vedrà altra soluzione

se non quella di perseverare in comportamenti “devianti”.

1.3 Il pensiero di H. J. Sacks

Non è facile inquadrare H.J. Sacks in una scuola di pensiero, sia per via della

sua esigua produzione saggistica sia perché egli si distanzia da tutte teorie

sociologiche a lui contemporanee per iniziare gli studi in un campo rimasto fino a

quel momento praticamente inesplorato; se in molti avevano riconosciuto

l'importanza di studiare le interazioni quotidiane,soffermandosi su come queste

costituiscano il motore per la riproduzione della società nel suo complesso, nessuno

prima di Sacks aveva intrapreso una analisi sistematica delle strutture alla base delle

conversazioni ordinarie.

1.3.1 Sacks e le sue riconosciute influenze teorico-metodologiche

Dalla dissertazione di dottorato di Sacks, di cui poi pubblicherà un estratto dal

titolo The Serch for Help: No One to Turn to7 emergono già in modo chiaro quelle

6 H. S. Becker (1963), Outsiders, ed. it. Edizioni Gruppo Abele, Torino 1987.

7 In E. Shneidman (a cura di) Essay in self destruction , Science House, New York 1966.

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che saranno le linee guida della sua ricerca. Bisogna tenere in considerazione che per

il sociologo californiano la ricerca sociologica deve essere l'analisi dei metodi con cui

i membri di un gruppo sociale producono un ordine di senso condiviso; per svolgere

questo tipo di analisi è necessario operare in modo “scientifico”, producendo

descrizioni formali dell' agire umano. La possibilità di generalizzare l'agire umano ci

riporta a un fondamentale presupposto dell'etnometodolgia: quello di intendere le

azioni umane come metodiche, ovvero intrinsecamente ordinate dagli attori sociali;

un'azione infatti, quando viene svolta, viene resa spiegabile e descrivibile dal

soggetto che la compie, tramite il ricorso all' assemblaggio di vari oggetti sociali

semplici. Ed è per questo che per Sacks, in una chiave radicalmente antipositivista,

diventa fondamentale lo studio del fenomeno spontaneo; se il dato da ricercare è il

modo in cui l'individuo struttura il proprio agire all'interno della sfera delle attività

quotidiane, è esattamente quello l'ambito da osservare: la presenza avvertita del

ricercatore sarebbe un artifizio che modificherebbe sensibilmente gli equilibri

convenzionali del gruppo. Ad accomunare Sacks agli etnometodologi è ancora una

profonda attenzione per i dettagli e il tentativo sistematico di “rendere strano il

normale”, di problematizzare qualsiasi assunto sia percepito come ovvio, in modo da

poter prestare attenzione a fenomeni che per la loro “normalità” sarebbero stati

invisibili.

La prospettiva etnometodologica di Sacks è arricchita dal suo interesse per il

linguaggio; dai suoi studi emerge che l'interazione sociale è possibile solo perchè

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l'azione individuale è dotata di un senso che viene “esibito”; l'azione viene compresa

facendo ricorso alla sua spiegazione, esplicitata dal soggetto attraverso il linguaggio e

rafforzata da meta-messaggi. Il parlare risulta quindi un processo ordinato dagli stessi

attori sociali, in questa prospettiva in cui non esiste più una dicotomia tra linguaggio

e azione lo studio del linguaggio come elemento costitutivo dell’azione sociale

diventa fondamentale.

La scelta di fare della conversazione naturale un oggetto di studio distanzia

fortemente Sacks da Goffman, che pur essendo molto interessato al linguaggio come

oggetto di studio non riconoscerà la validità dell'analisi conversazionale sacksiana.

Oltre a non utilizzare il dato spontaneo a sostegno delle sue teorie, il sociologo

canadese è più interessato al modo in cui il soggetto attraverso il linguaggio

organizza la rappresentazione di sé rispetto ad un “pubblico” cui si rivolge,

calibrando i propri comportamenti in modo da seguire un “copione” che egli ritenga

funzioni per essere identificato esattamente come vuole essere identificato all'interno

di un determinato contesto. La spiegazione dell'azione individuale è anche qui auto-

evidente, in quanto ogni situazione è dotata di una struttura di senso condivisa da tutti

i soggetti coinvolti, all'interno della quale gli attori svolgono le loro “performance”

che sono un insieme dei contenuti pragmatici, linguistici e meta-linguistici che il

soggetto produce.

Nonostante il focus sul linguaggio, d'altra parte, Sacks è molto lontano dalle

teorie della sociolinguistica che tende ad studiare il rapporto che c'è tra i cambiamenti

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delle strutture linguistiche e la realtà sociale partendo dal presupposto che alcuni

fattori sociali esterni influenzano i cambiamenti del linguaggio. Sacks al contrario

individuando il linguaggio come campo autonomo d'indagine, esclude di fatto i

legami con le classiche categorie sociologiche, preferendo porre l'accento sulla

dimensione inter-soggettiva piuttosto che macro-strutturale.

Rispetto alla filosofia del linguaggio infine, Sacks si trova a condividere la

nozione di enunciato illocutivo (o atto illocutorio) che John Austin elabora all'interno

della teoria degli atti linguistici. Questa sostiene che la maggior parte delle

proposizioni servono a produrre una determinata azione comunicativa; in particolare

Austin identifica all'interno degli atti performativi:

atti locutori (l'atto di pronunciare una frase che in un dato contesto risulti

sintatticamente corretta),

atti illocutori (l'atto per cui si esplica la comprensione del senso situazionale di

una frase compiendo l'azione sottesa nel senso della proposizione )

atti perlocutori (l'atto di produrre, intenzionalmente o no, degli effetti sugli

interlocutori tramite una proposizione).

Sacks ritiene che molte azioni sociali siano svolte ricorrendo a congegni

linguistici, tuttavia se la linguistica tende ad isolare le azioni che vengono svolte

attraverso il linguaggio procedendo a una loro classificazione in tipologie rigide, per

Sacks non ha senso l'isolamento e l'astrazione degli enunciati, in quanto il significato

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che l'atto linguistico assume è strettamente dipendente dall'uso sociale che ne viene

fatto; per questo è necessario studiare il flusso spontaneo di una conversazione

tenendo conto del suo carattere situato socialmente. In questo modo Sacks da un lato

si riallaccia esplicitamente a Wittgenstein, dall'altro sfugge all'errore di astrazione del

linguaggio di linguisti e filosofi sottolineando come invece questo sia un fenomeno

che esiste e si riproduce solo grazie alle pratiche dei membri di una società.

Nelle sue analisi Sacks elimina completamente le motivazioni individuali

dell'azione; questo anti-psicologismo è spiegabile dal fatto che per lui il compito del

sociologo non è quello di cercare le intenzioni che muovono i comportamenti

individuali bensì quello di ricostruire le pratiche attraverso cui alcuni enunciati

vengano usati come “spiegazioni dell'azione” da un gruppo sociale, ovvero in che

modo un azione sia legata ad un significato esplicitato e in che modo questo sia

introiettato in una conoscenza collettiva.

1.3.2 Il parziale distacco di Sacks dall'etnometodologia

Il contributo più grande di Sacks all'etnometodologia è quello di aver tentato di

dare una risposta ad una delle questioni attorno alle quali ruota la disciplina, ovvero

in che modo il senso locale di un enunciato viene stabilito dai partecipanti ad una

sequenza conversazionale , dando per assunto che le attività sociali siano dotate di un

senso situazionale, è che quindi è molto difficile ogni tipo di generalizzazione. La

soluzione di Sacks è che alla base dell'attribuzione di senso vi sia la sequenzialità

degli enunciati, fondamentale per rendere la conversazione un flusso ordinato; ogni

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sintagma ha senso rispetto a quello che lo precede e a quello che lo segue ed è così

che i partecipanti dimostrano di avere compreso l'agire altrui.

Tuttavia Sacks non può essere considerato in pieno un etnometodologo. Gli

scopi di Garfinkel infatti sono molto lontani dall'intento di creare teorie definibili

come “scientifiche”; permeata da un relativismo di fondo, la teoria etnometodologica

situa la presunta oggettività scientifica all'interno di uno specifico ordine di senso

creato e continuamente rielaborato dagli attori che lo condividono. Sacks si distanzia

volontariamente da questo atteggiamento “post-scientifico” per cercare di svolgere

un'analisi mirata a riconoscere e fare emergere regole generali attorno alle quali i

soggetti strutturano le conversazioni ordinarie, proponendo di fatto un modello

“scientifico” di sociologia. Pur essendo per Sacks il senso dell'agire comunicativo

certamente dipendente dal contesto, egli riconosce come le modalità con cui il senso

locale viene stabilito e rispettato dai soggetti siano sistematiche e, in quanto tali,

descrivibili analiticamente.

1.3.3 L'analisi delle categorie di appartenenza: una breve presentazione

Il testo curato da Gail Jefferson Harvey Sacks, lectures on conversation8 è la

fonte più diretta per comprendere a fondo il pensiero di Sacks; in esso infatti sono

riportate le lezioni che il sociologo ha tenuto all' Ucla dal 1964 al 1968. Oltre alla

trattazione dell'analisi della conversazione, la teoria della quale Sacks è il

8 Gail Jefferson (a cura di), Harvey Sacks, lectures on conversation, Blackwell, Oxford 1995.

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riconosciuto padre fondatore, nella prima parte delle lectures troviamo quella che con

le parole di Sacks è definita “membership categorization analysis” ovvero analisi

delle categorie di appartenenza. Per categorie di appartenenza Sacks intende quei

“termini o classificazioni che noi tutti usiamo per descrivere o designare persone,

oggetti o azioni durante conversazioni o testi scritti9 ”.

Sacks parte dal paradigma etnometodologico di ricercare le procedure che

permettono all'agire sociale di essere “riconoscibile”; essendo la descrivibilità

dell'azione collegata indissolubilmente al linguaggio, conseguenzialmente Sacks si

interessa a come sono organizzate le competenze e le risorse basilari perchè il

soggetto utilizzi il linguaggio. Ma più che alle categorie come risorsa Sacks è

interessato ai processi di categorizzazione e al loro carattere metodico, ordinato e

sistematico; il fine di Sacks è quello di analizzarli dimostrando come essi siano

indispensabili nella costruzione di senso che gli attori compiono rispetto all' agire

sociale. Un Membro di un gruppo sociale tra le proprie conoscenze ha una serie

innumerevole di categorie con cui descrivere il reale; ogni volta egli è obbligato a

selezionare e ad utilizzare quelle che più gli sembra siano adatte a produrre una

descrizione riconoscibile e adeguata al contesto e che raggiunga il fine per cui è

prodotta. È necessario tenere in considerazione che quando Sacks parla di “Membro”

non si riferisce ad un soggetto dotato di intenzionalità e senso del sé, bensì egli vuole

indicare colui che è in possesso di competenze condivise relative al linguaggio e alle9 Harvey Sacks, l'analisi delle categorie, a cura di Enrico Caniglia, Armando editore, Roma 2010

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categorie, mentre quando il termine membro si trova scritto nel testo con la lettera

minuscola esso sta ad indicare un oggetto (o soggetto) inteso come membro di una

categoria.

La prima cosa che emerge dallo studio di Sacks sulle categorie è come queste

siano raggruppate nelle conoscenze dei Membri di un gruppo sociale in insiemi di

categorie,che a loro volta possono essere organizzati in classi d'insiemi di categorie;

le proprietà di queste classi sono sistematizzate da Sacks in quello che lui definisce

“strumento MIR”, un congegno teorico che semplifica la rilevazione di alcune

caratteristiche basilari del processo di categorizzazione.

“M” sta per appartenenza: ogni insieme di categorie serve a classificare una

popolazione; la domanda che un membro di un gruppo si pone è: a quale insieme

appartiene X?

“I” sta per riccamente inferenziale: con questo termine si vuole intendere che la

maggior parte della conoscenza che i membri di un gruppo hanno rispetto alla realtà

sociale è organizzata in categorie; nel momento in cui si risponde con una categoria

alla domanda: “a quale..?” il soggetto attingere a una pluralità di informazioni

derivate dalle conoscenze legate alla categoria utilizzata.

“R” sta per rappresentatività: ogni membro di una categoria è presumibilmente

rappresentativo di quella categoria, e ciò nell'interazione permette di utilizzare tutte le

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informazioni che il soggetto ha immagazzinato nel corso della propria esperienza e

che ritiene siano relative alla categoria nella quale inserisce il suo interlocutore.

Secondo Sacks le categorie sono raggruppabili anche in classi di categorie al

cui interno stanno enunciati che nel senso condiviso fanno parte della stessa

“famiglia”; ad esempio “italiana”, “spagnola”, “tedesca”, possono essere considerate

tre categorie appartenenti alla classe “Nazionalità”. Ogni collezione di categorie è

uno “strumento di categorizzazione d’appartenenza” e contiene le “regole” in base

alle quali, data una Popolazione, un secondo Membro viene inserito in una categoria

della stessa classe nella quale è stato inserito un primo Membro.

La prima regola è quella che possiamo definire “ regola dell’economia”: essa

prevede che almeno una sola categoria, qualunque sia la collezione di provenienza,

possa essere riconosciuta come un riferimento adeguato ad un Membro.

La seconda regola è la “regola della coerenza” o della “rilevanza”: secondo la

quale se all’interno di una popolazione da categorizzare vi sia un Membro

categorizzato a sua volta, qualsiasi sia lo strumento di categorizzazione usato per il

primo Membro esso può essere usato per categorizzare altri Membri della

popolazione.

La terza regola è la “massima dell’ascoltatore”o “corollario della regola della

coerenza”, secondo cui se all’interno di una Popolazione vengono attribuite due o più

categorie ad alcuni Membri e quelle categorie possono essere riconosciute come

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appartenenti alla stessa collezione, allora vanno intese come tali, in modo che

risultino coerenti tra di loro.

Il legame tra senso comune e categorie è centrale in Sacks: egli nota che se un

Membro deve categorizzare un’azione senza sapere chi sia il soggetto che l’ha

compiuta, questi tenderà ad attribuirla ad una categoria che all’interno delle sue

conoscenze, derivate dal senso condiviso del gruppo di appartenenza, è riconosciuta

come legata a quel tipo di azione. Le attività legate alle categorie sono quindi delle

conoscenze di cui non è possibile dubitare sensatamente e che costituiscono il

presupposto “scontato” dell’agire sociale. Questo tipo di meccanismo è riscontrabile

nel fenomeno dell’ ”ordine morale”; associare un’individuo ad una categoria

presuppone che emergano delle aspettative rispetto alle azioni e ai comportamenti

“consoni” alla categoria, il verificarsi o meno di queste aspettative fa scaturire dei

giudizi morali rispetto al Membro categorizzato. Si noti per altro che lo studio della

morale che propone Sacks è radicalmente diverso dal quello della sociologia classica,

dove si indagavano le norme collettive, piuttosto diventa la scoperta delle pratiche

sociali che permettono la creazione e riconoscibilità di un codice morale e delle sue

violazioni.

In questo modo Sacks tenta di sistematizzare alcuni aspetti costitutivi dei

processi di selezione che l’attore compie nell’attribuire un senso alla realtà che lo

circonda che sia coerente alle conoscenze che ha immagazzinato come Membro di un

gruppo sociale.

21

Anche un altro concetto chiave della sociologia, quello di prospettiva, viene

adattato ai processi di categorizzazione; nel momento in cui osserviamo un primo

Membro categorizzare un secondo Membro, per capire se la categorizzazione

compiuta aderisce o meno alle nostra “prospettiva” dobbiamo a nostra volta

categorizzare il primo Membro e in base alle informazioni che abbiamo sulla

categoria nella quale lo collochiamo giudicheremo se la categorizzazione che lui ha

fatto del secondo Membro sia da noi condivisibile o no.

La nozione di prospettiva è strettamente collegata a quella di mutamento

sociale: questo per Sacks si verifica non quando avviene un cambiamento materiale

della realtà, ma quando a cambiare sono le categorie con cui i Membri di una Società

guardano alla realtà; il mutamento diventa rivoluzionario quando alcuni soggetti

dismettono la categoria con la quale sono usualmente definiti perché non la ritengono

rappresentativa e coniano un nuovo termine per autodefinirsi ed essere definiti dagli

altri; sono i membri stessi che decidono quali azioni sono legate alla categoria;

sviluppando il potere di auto-amministrare la categoria della quale fanno parte

decidono quali aspettative gli altri debbano nutrire rispetto al loro essere Membri.

L’analisi delle categorie di Sacks potrebbe essere vista come un’analisi

culturale; pur non essendo presenti in Sacks elementi ricorrenti della sociologia della

cultura, l’insieme di pratiche e procedure che egli pone alla base del nostro agire sono

facilmente riconoscibili come processi costitutivi di un ordine culturale: la sua

intuizione è quella di non limitare lo svolgimento di questi processi all’ambito

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cognitivo, ma di porli al centro dell’interazione ordinaria, di rilevarli e di

sistematizzati attraverso l’osservazione naturale degli individui nei loro contesti

ordinari10.

10 Vedi anche Harvey Sacks, L'analisi delle categorie, a cura di Enrico Caniglia, Armando Editore, Roma 2010

23

2. L’analisi della conversazione di H. J. Sacks

2.1 Introduzione all’analisi della conversazione

Prima di discutere del testo di Sacks, l’analisi della conversazione, ritengo sia

necessaria una premessa che renda chiari i presupposti teorici e metodologici che

hanno spinto il sociologo californiano a dedicarsi alla ricerca degli elementi

sistematici che compongono l’interazione sociale.

L’approccio di Sacks all’analisi sociologica, come abbiamo già avuto modo di

sottolineare, è peculiare; distanziandosi volontariamente dai suoi predecessori egli

sostiene la necessità che la sociologia sia intesa come “scienza naturale

dell’osservazione”. Da questa definizione si evince in primo luogo la necessità di

presupporre che la “scienza” sia un effettivo apparato che si occupa della descrizione

di fenomeni naturali, cercando di individuarne le cause e le conseguenze. In questo

modo l’importanza della “scientificità” risiede nei processi di generalizzazione e

astrazione che lo studioso mette in atto al fine di rendere intellegibile un fenomeno;

Fare della sociologia una scienza per Sacks significa porre come obbiettivo analitico

della disciplina quello di descrivere le attività umane, senza indagare le motivazioni

individuali che spingono all’azione, ma concentrandosi sugli aspetti auto-evidenti

della significazione, così da individuare le realtà ordinata e significativa.

24

Perché sia possibile elaborare delle generalizzazioni è fondamentale per Sacks

che la sociologia esamini l’interazione esattamente come si presenta; fare del dato

naturale l’oggetto di studio significa dismettere completamente i metodi usuali

d’indagine a vantaggio di un’ osservazione rigorosa del soggetto impegnato nelle sue

ordinarie attività sociali, per prima la conversazione, che è vista da Sacks come

intrinsecamente metodica e ordinata. Il termine osservazione è appositamente

utilizzato da Sacks per indicare che è il senso manifesto dei comportamenti o delle

azioni sociali ad essere sottoposto all’attenzione del ricercatore; la metodicità

dell’agire umano diventa un attributo fondamentale nell’ottica della descrizione delle

costanti che vengono usate nell’interazione e che rendono possibile la comprensione

non solo degli elementi testuali, ma anche di quelli meta-linguistici.

Con questi presupposti teorici, lo scambio conversazionale non può che

rappresentare l’oggetto di studio perfetto per Sacks: già senza un’attenta riflessione

tutti noi possiamo notare come ci siano degli elementi rituali all’interno delle

conversazioni formali che noi tutti quotidianamente intraprendiamo; certamente la s

significatività di questi elementi è determinata dall’apparato culturale nel quale una

determinata società è immersa, tuttavia la cristallizzazione dei significati in un

sistema culturale pur essendo un processo complesso dipende in larga misura dalla

continua produzione e riproduzione di significato che gli attori compiono

nell’interazione; ed è questo il terreno nel quale Sacks vuole muoversi, dimenticando

25

le astrazioni macro-sociali a vantaggio di un attenta osservazione dei meccanismi

attorno ai quali si struttura l’intersoggettività.

2.1.1 Gli elementi fondamentali dell’analisi della conversazione

È utile identificare e rendere chiare le categorie metodologiche che sono alla

base dell’analisi della conversazione in modo da riuscire a seguire più agevolmente il

percorso teorico di Sacks che si delinea nelle lectures. Nel testo di Giolo Fele

l’analisi della conversazione 11 possiamo trovare una spiegazione molto chiara dei

principi attorno ai quali si sviluppa questa disciplina, di cui certamente Sacks è

considerato il padre fondatore, ma alla quale si sono dedicati anche molti altri

sociologi.

Fele identifica sei presupposti teorico-metodologici: naturalismo, sequenzialità

adiacenza, punto di vista dei partecipanti, contesto, parlare come azione. Dei primi

due abbiamo già discusso; ci basta ricordare che con naturalismo Sacks intende lo

studio del dato naturale; con le specifiche parole di Sacks:

“ Quello che voglio sostenere è che se un ricercatore usa versioni del mondo

ipotetiche o teoriche, per quanto ricca possa essere la sua immaginazione, è sempre

limitato da quello che i suoi ascoltatori, il pubblico dei suoi colleghi, possano ritenere

ragionevole accettare (..) escludendo quello che egli ritiene irragionevole possa

accadere di fatto esclude molte cose che di fatto succedono12”

11 Giolo Fele, L’analisi della conversazione, Il mulino, Bologna 2007

12 Harvey Sacks, Lectures on conversation, Blackwell, Oxford 1995, pag 419-420.

26

Per quanto riguarda la sequenzialità abbiamo notato come essa possa essere

considerata una risposta all’interrogativo tipico dell’etnometodologia: in che modo si

possa studiare sistematicamente l’interazione, data l’indessicalità linguistica. Con

indessicalità s’intende la determinata caratteristica del linguaggio di acquisire un

senso sempre relativo al contesto e alla situazione; questa caratteristica rende assai

difficile pervenire a generalizzazioni rispetto ai meccanismi di significazione. La

sequenzialità conversazionale costituisce una soluzione a questo problema, in quanto

si può assumere in termini generali che è la sequenza con cui il soggetto recepisce le

informazioni ad essere significativa, in quanto fornisce un ordine per gli elementi

discorsivi che “obbliga” l’attore in un percorso interpretativo certamente legato alla

situazione specifica nella quale l’interazione a luogo. La strutturazione del senso

conversazionale è legata alle aspettative che emergono dall’ordine sequenziale, ai

comportamenti non verbali che gli attori pongono in essere; all’ aderenza o alla non

aderenza del senso percepito al sistema culturale nel quale sono inseriti i soggetti;

sono questi i presupposti per l’intelligibilità reciproca.

L’adiacenza è un’altra generalizzazione sacksiana che tende a rendere conto più

propriamente della struttura delle conversazioni. Adiacenza significa vicinanza; Sacks

identifica come fondamentale alla significazione sia l’adiacenza dei soggetti nelle

conversazioni, sia quella di alcuni elementi testuali. L’adiacenza intersoggettiva

presuppone una certa condivisione categoriale, ed è quindi un punto di partenza nella

comprensione del contesto nel quale avviene l’interazione. Inoltre l’adiacenza si

27

riscontra anche nelle azioni comunicative; presupponendo che la conversazione si

regga su processi di turnazione appare chiaro come ci sia una sorta di reciprocità

obbligata tra alcuni elementi comunicativi, il mantenimento o meno delle aspettative

legate all’adiacenza produce mutamenti nell’interpretazione della situazione che

inevitabilmente si riflettono sui successivi atti comunicativi dei partecipanti alla

conversazione. Sulla rilevanza di questo argomento specifico e sulla definizione di

“coppie adiacenti” torneremo in seguito.

Il quarto elemento identificato da Fele come costitutivo dell’analisi della

conversazione è il punto di vista dei partecipanti. Il soggetto impegnato in un

conversazione nel momento in cui si esprime è obbligato a rendere conto di quanto ha

capito della conversazione fin’ora avvenuta, e facendo ciò esprime il suo “punto di

vista”. Il compito dell’analista della conversazione è quello di ricostruire le modalità

con cui il soggetto giunge all’elaborazione del proprio punto di vista; non facendo

ricorso a spiegazioni che guardino ai processi cognitivi, piuttosto guardando al modo

in cui è strutturata dagli stessi partecipanti la sequenza conversazionale, e soprattutto

in che modo la strutturazione ne influenzi il contenuto; ricordiamo infatti che nella

prospettiva di Sacks ha importanza solo quello che emerge spontaneamente

dall’interazione.

Il quinto elemento significativo è il contesto. Nelle scienze sociali non esiste una

definizione univoca di contesto, in quanto l’uso di una categoria così generica

presuppone il suo essere riferita di volta in volta a dimensioni diverse: per gli analisti

28

della conversazione parlare di contesto significa innanzitutto parlare degli elementi

esterni all’interazione a cui i partecipanti danno rilevanza; tuttavia bisogna

sottolineare come il contesto non sia assolutamente inteso come una dimensione fissa

relativa a una data situazione, al contrario in ogni turno conversazionale si verifica

una rielaborazione del contesto. Se per ogni parlante sono rilevanti elementi

particolari, ad ogni turno il parlante dovrà confrontarsi anche con gli elementi che il

parlante precedente ha posto come importanti, ed è in questo meccanismo che risiede

la continua elaborazione e definizione del contesto.

L’ultimo elemento su cui secondo Fele si concentra la disciplina dell’analisi

della conversazione è il parlare come azione. Questo assunto trasmette chiaramente il

carattere pragmatico dell’analisi della conversazione; riconoscere qualsiasi atto

comunicativo come azione significa per prima cosa spostare sul piano della

materialità la “funzione” del linguaggio, in secondo luogo significa cercare di rendere

comprensibile quello che le persone fanno quando sono coinvolte in una

conversazione, in modo da limitare il più possibile le elucubrazioni astratte sui

comportamenti individuali cercando di basare l’analisi su quello che i soggetti

comunicano effettivamente, e non su quello che si presume vogliano comunicare.

Nei prossimi paragrafi analizzeremo nel dettaglio i saggi presenti nel volume

l’analisi della conversazione, in modo da cercare di cogliere il punto di vista di H.J.

Sacks direttamente dalla sua produzione. È fondamentale ricordare che, pur

trovandosi sotto forma di saggi, questi testi sono trascrizioni di alcune lezioni tenute

29

da Sacks nel periodo che va dal 1964 al 1972, e data la scomparsa prematura del

sociologo californiano queste trascrizioni sono l’unico mezzo per comprendere

sistematicamente il suo apparato teorico-metodologico.

2.2 “Fare la persona normale13”

Che Sacks parli di “normalità” non deve sorprendere; la sua idea è di partire da

un presupposto teorico assolutamente diverso da quello della sociologia classica: se

ogni teoria sociale ha cercato di definire la “normalità” come un modello identitario

risultante dal condizionamento di un dato sistema culturale, Sacks riporta questa

definizione sul piano empirico, spostando l’accento su come l’ essere “normali” sia

una vera e propria attività che ogni attore sociale svolge. Cambiando la prospettiva di

osservazione, cambiano anche gli interrogativi che muovono la ricerca: non è più

necessario chiedersi cosa sia la normalità, piuttosto Sacks è interessato a capire gli

scopi per i quali gli individui si impegnino costantemente a “fare le persone normali”,

e in che modo viene espressa questa “normalità” all’interno dei processi

d’interazione.

Come sappiamo Sacks utilizza il dato naturale come base di partenza per le sue

teorie, in questo caso egli analizza le modalità con cui gli attori sociali raccontano le

loro esperienze, e nota come questi si sforzino di ricondurre la descrizione di

qualsiasi evento abbiano vissuto a ciò che è considerato “normale” dal loro gruppo

13 Di H .J. Sacks, L’analisi della conversazione, Armando editore, Roma 2007, pp 34-45.

30

sociale di appartenenza, così da creare una sorta di non-storia. La

“raccontabilità”,ovvero la possibilità che una situazione possa essere raccontata è,

secondo Sacks, uno degli aspetti principali che il soggetto valuta quando decide di

avere un determinato tipo di esperienze, tuttavia quello che si nota è che la

caratteristica della“raccontabilità” non si riferisce ad azioni straordinarie, ma al

contrario a quelle incredibilmente comuni: è il fatto di poter fare qualcosa che tutti gli

altri fanno a spingere un individuo “normale” a compiere un’azione. Dunque essere

una persona normale significa fare quello che tutti gli altri fanno o raccontano di

avere fatto, e raccontarlo come tutti gli altri lo raccontano.

Da questa embrionale definizione emergono due cose. La prima è il fatto che la

normalità è un’attività che l’individuo svolge ad ogni livello, su se stesso, sulle

situazioni che vive e sugli altri, una sorta di lavoro a tempo pieno; in questo senso la

normalità è intendibile come un dispositivo di controllo sociale che agisce facendo in

modo che siano gli individui stessi ad auto-limitare la loro prospettiva e a ricondurre

ogni avvenimento alla dimensione dell’ordinarietà.

La seconda cosa che si può rilevare è che non tutti gli attori sociali possono

essere “normali” ; essendo la “normalità” considerata come un’attività vera e propria,

perché possa essere esercitata è necessario che l’attore per prima cosa sappia quali

sono le azioni che tutti quanti svolgono, e secondariamente che l’attore abbia i mezzi

per compiere queste azioni. L’essere considerati come “non normali” (così come il

non considerarsi tali) crea una serie di problemi al soggetto in questione che si

31

concludono tendenzialmente con il suo estraniamento dal gruppo; naturalmente in

ogni società esistono alcuni tipi di categorie di persone, ad esempio gli scrittori o i

personaggi dello spettacolo, a cui è “concesso” di agire al di fuori dell’aurea della

“normalità” o di raccontare situazioni banali in modo non ordinario, ma appunto si

tratta di gruppi specifici di soggetti, per i quali è “normale non essere

normale”.Invece per gli attori sociali che si sforzano di aderire alla “normalità” anche

le esperienze non ordinarie vengono affrontate in maniera ordinaria, o meglio ci si

comporta come ogni persona “normale” si comporterebbe in quella situazione “non

normale”.

Per concludere possiamo chiederci: qual è quindi lo scopo di “fare la persona

normale”? La risposta che si da Sacks è che questo tipo di sforzo rende i soggetti

capaci di comprendere ogni evento, situazione, comportamento, ricorrendo a schemi

di categorie tipici e già sperimentati; Essere una “persona normale” è quindi un modo

che i soggetti hanno di semplificare il reale, in modo che risulti un insieme ordinato e

stabile.

2.3 Le regole della sequenza conversazionale14

Questo saggio di Sacks può essere considerato come più strettamente

metodologico rispetto al precedente, in quanto si occupa di analizzare in maniera

sistematica alcuni elementi riscontrati nelle registrazioni delle conversazioni

14 In H. J. Sacks, L’analisi della conversazione, Armando editore, 2007 Roma, pp 46-61.

32

telefoniche di un centro di aiuto psichiatrico. Nello specifico si tratta di conversazioni

in cui sono presenti due attori: l’operatore del centro servizi e l’utente che contatta il

centro; si tratta di un interazione formale, tra due persone che non si conoscono. Le

sequenze che Sacks riporta nel testo sono quelle di apertura della conversazione, che

egli inizia ad osservare su richiesta del direttore del centro suicidi alla ricerca di un

modo per far si che i pazienti dicessero il loro nome al telefono. L’interrogativo da

cui parte Sacks è : quando si può dire che, all’interno di una conversazione formale,

qualcuno non ha voluto dire il proprio nome?

Per prima cosa bisogna specificare che anche in questo caso Sacks opera

mettendo in atto un processo di generalizzazione ed astrazione alla ricerca di elementi

che possono essere definiti ricorrenti in ogni conversazione, e soprattutto alla ricerca

della spiegazione per cui tali elementi, se esistono, vengono utilizzati

sistematicamente.

La generalizzazione o “scoperta” per dirlo nei termini dell’autore, è che

tendenzialmente esiste un fenomeno che potremmo chiamare “di adeguamento”: il

primo parlante sceglie la formula di apertura ed il secondo parlante vi si adegua. Ciò

non significa che in ogni conversazione vada così, quanto piuttosto che il non

verificarsi di questo adeguamento sia percepito dai parlanti come “problematico”. Per

capire in cosa consista la problematizzazione poniamo un esempio: in una

conversazione formale tra due persone che non si conoscono se il primo parlante

esordisce con una frase del tipo “Piacere, sono X” e l’interlocutore risponde soltanto

33

“Piacere” certamente il fatto che il secondo parlante non abbia detto il proprio nome

sarà notato con disappunto dal primo parlante, e volendo questi potrebbe chiedere una

spiegazione. Chiedere le motivazioni di un azione ha ,secondo Sacks, una funzione di

controllo sull’azione successiva; per ovviare a questo controllo gli interlocutori

“negoziano” le spiegazioni fornendo motivazioni alternative ma ugualmente efficaci

per motivare la loro azione. Ciò vorrebbe dire, seguendo l’esempio precedente, che se

il parlante x chiedesse esplicitamente il nome all’altro parlante, e questi non volesse

proprio dirlo, dovrebbe trovare un’argomentazione che convinca l’altro parlante a

non richiedere il nome.

Ci sono tuttavia alcuni strumenti che i parlanti utilizzano quando non vogliono

svolgere un’azione, e non vogliono che il posto che all’interno della conversazione

avrebbe occupato la loro “risposta” rimanga vuoto; uno di questi elementi è lo

strumento di riparazione. Con ciò Sacks intende quegli enunciati con i quali un

parlante fa si che l’altro ripeta quello che ha detto, saltando quindi di fatto il proprio

turno. Si tratta di uno strumento contingente, in quanto può essere utilizzato in tutte le

parti della conversazione, e collegandolo di volta in volta ad elementi differenti, può

adempiere ad altre funzioni.

Sacks fa rientrare gli strumenti di ripetizione all’interno della categoria più

generica di enunciati composti, alla quale dedica un’attenzione particolare. Si tratta di

enunciati simil- idiomatici, che pur essendo composti da due parti, sono identificabili

come una sola unità. Questi enunciati sono strettamente dipendenti dal contesto in cui

34

operano, in contesti differenti esplicheranno funzioni diverse, tuttavia esse sono

espressioni che appartengono alla vita quotidiana, si tratta di “espressioni-standard”.

In generale risulta chiaro come per Sacks questo particolare tipo di enunciati sia

considerabile appieno un’oggetto sociale, ed in quanto tale impiegato nella

produzione di attività sociali: L’analisi di questo tipo di micro-struttura riesce a darci

delle informazioni fondamentali rispetto a come i soggetti organizzino le loro attività

ordinarie d’interazione; contestando il principio storico secondo cui la realtà sia

composta da eventi che accadono singolarmente, Sacks evidenzia come a partire

dall’analisi degli oggetti sociali e dei modi in cui i soggetti li assemblano si possa

osservare come il senso che si attribuisce alla realtà sia prodotto localmente e come

esso venga stabilizzato di volta in volta dai soggetti in una struttura sistematica.

2.4 La presa del turno15

Lo scopo di questo saggio è per Sacks capire come si realizza l’ordine

sequenziale della conversazione. Osservando una qualsiasi conversazione formale ci

accorgiamo che esistono alcune “regole procedurali”, delle caratteristiche comuni a

tutte le interazioni che in qualche modo ne determinano la stuttura.

15 In H. J. Sacks, L’analisi della conversazione, Armando editore, 2007 Roma, pp 61- 84.

35

La prima regola elaborata da Sacks è: in ogni conversazione vi è almeno uno e

non più di un partecipante che parla per volta.

La seconda regola è che in ogni conversazione il parlante cambia.

Non sembra ci sia nulla di straordinario nel rilevare queste caratteristiche il

lavoro complesso diventa quello di capire come funzionano queste regolarità, che

cos’è che le rende strutture stabili e se esiste un criterio fisso che regola la

determinazione dell’ordine dei parlanti.

La prima riflessione che emerge è che esiste una sorta di problema di

coordinamento: assumendo che parli sempre un partecipante per volta, cos’è che fa si

di uno tra gli interlocutori prenda la parola,e come si determina chi tra tutti debba

essere? Per rispondere a queste domande Sacks individua che i luoghi più

problematici nella conversazione sono i “punti di completamento di transizione”,

ovvero i lassi di tempo che intercorrono tra la fine di un turno e l’inizio dell’altro.

Ogni parlante ha la capacità di fare capire agli altri a che punto del discorso si trova, e

ogni ascoltatore sa che non può iniziare il proprio turno fino a che non sarà finito

quello dell’altro; starà quindi molto attento a cogliere i segnali che gli comunicano

che l’altro abbia concluso. L’elaborazione di questo tipo di regolarità presuppone che

la conversazione sia intendibile come un’unità di analisi indipendente fornita di una

struttura stabile che la organizza e ne determina le modalità di funzionamento.

36

Ma cos’è che permette di ordinare gli interventi dei partecipanti ad una

conversazione? Sacks per spiegare come ricercare i fondamenti del sistema di

turnazione propone una problematizzazione di uno studio di Ethel Albert dal titolo

Logic, Rhetoric and Poetics Among the Burundi,che tratta anche dell’organizzazione

della presa del turno rispetto ad una popolazione del Burundi. Secondo la Albert

esiste un sistema gerarchico che ordina i turni dei parlanti, le persone di rango più

alto parlano per prime, e via via tutte le altre. Pur essendo questa spiegazione molto

poco convincente ci aiuta a capire che tipo di regolarità dobbiamo ricercare. È chiaro

che per far si che ci sia una successione nei turni sono necessari dei criteri condivisi

per giudicare la “completezza di un enunciato”; considerando che viene composto

utilizzando la struttura grammaticale della frase. È proprio grazie all’utilizzo di un

sintagma comune come la frase che è possibile giudicare un enunciato come

completo, essendo questa una struttura grammaticale basica del linguaggio, la sua

finitezza può essere riconosciuta da tutti diventa rilevante sia per quanto riguarda la

conclusione di un turno, sia per l’articolazione stessa della sequenza conversazionale.

Questo tipo di frase, riconosciuta all’interno della conversazione come

grammaticalmente corretta e quindi dotata di senso, è detta da Sacks Frase-processo.

Tornando al problema della turnazione ci rimane da capire quali sono le modalità con

cui il parlante del momento seleziona il parlante successivo?

Sacks identifica tre modi possibili; il primo, quello preferibile è che sia il

parlante del momento a selezionare quello successivo, in questo modo tutti i

37

partecipanti a una conversazione devono prestare abbastanza attenzione a tutti i turni,

in modo da iniziare a parlare quando si è selezionati.

Il secondo metodo è quello che il parlante del momento seleziona l’azione

successiva, ma non il parlante. Si auto-selezionerà colui che è in grado o che vuole

svolgere quell’azione. Chiaramente selezionando un parlante specifico viene

selezionata anche l’azione comunicativa che questi deve svolgere, è quindi possibile

selezionare solo l’azione, ma non è possibile selezionare solo il parlante.

Il terzo metodo è che il parlante si auto-seleziona per parlare, e seleziona anche

l’azione che farà. Questo metodo risulta fortemente condizionato dalla presenza di

altri fattori che determinano ciò che il parlante auto-selezionatosi possa fare.

Deve essere chiaro come qualsiasi tecnica di selezione venga usata, essa sia

incorporata in un enunciato la cui comprensione è dipendente dalla sequenzialità. Un

enunciato che è adeguatamente connesso a quello precedente e a quello seguente è

definito da Sacks come Enunciato adeguatamente completo, e come tale impegnato in

una relazione di “adiacenza” con un altro enunciato; questa relazione rende possibile

ai parlanti di dimostrare la comprensione dell’enunciato precedente, svolgendo

l’azione che in essa era richiesta. Dell’importanza che riveste l’adiacenza e di come

essa di esplica nella struttura della conversazione parleremo nel prossimo paragrafo.

38

2.5 Le coppie adiacenti16

Guardando alla definizione di adiacenza che abbiamo dato nel paragrafo

precedente è possibile dire che ci sono degli elementi strutturali ricorrenti in ogni

conversazione che possono essere isolati ed analizzati e partendo dalle loro modalità

di riproduzione capire quali funzioni svolgono relativamente al contesto

conversazionale in cui sono prodotti. Queste sequenze vengono dette da Sacks coppie

adiacenti. Per prima cosa bisogna esplicitare che si tratta di sequenze a due enunciati

prodotti da due parlanti diversi, ma che sono posti in una relazione di adiacenza; le

due parti sono relativamente ordinate da una relazione discriminante dal punto di

vista della sequenzialità. L’astrazione che ne consegue è che le coppie adiacenti

facciano parte di una classe di enunciati più ampia, da cui è necessario estrarre dei

tipi di coppia per identificare la struttura organizzativa della categoria. Guardando ad

una conversazione formale ci accorgiamo che già la sua sequenza iniziale, quella

dello scambio dei saluti è una coppia adiacente. Rispetto a questo contesto allora la

funzione della coppia adiacente sarà quella di permettere ai soggetti di entrare e

uscire da una conversazione.

Se prendiamo in considerazione i sistemi di presa del turno, e ricordiamo i

metodi che erano stati individuati per descrivere come il parlante selezionasse il

successivo, possiamo osservare come quando la selezione del parlante avviene in

16 In H. J. Sacks, L’analisi della conversazione, Armando editore, Roma 2007 pp 84-106.

39

maniera esplicita, essa si attua mediante l’uso di coppie adiacenti: il primo parlante

conclude il proprio turno con la prima parte di una coppia e così facendo seleziona il

parlante successivo, che inizierà il proprio turno con la seconda parte della coppia.

Anche quando il parlante successivo non viene selezionato, se il turno precedente si è

concluso con una prima parte di coppia, il parlante successivo potrà auto-selezionarsi

ed ovviare così al problema dei “vuoti” nelle conversazioni.

Abbiamo visto che tra le regole della struttura organizzativa della conversazione

vi è quella che i partecipanti dovrebbero parlare uno per volta; si tratta di quello che

può essere definito come “il problema della gestione locale della conversazione”. Ma

com’è possibile che questo si verifichi sistematicamente in ogni conversazione?

Sacks individua delle sequenze che fungono da “scambi di riparazione17”, ovvero

sequenze attraverso le quali viene ristabilito l’ordine locale di una conversazione

dopo una destabilizzazione messa in atto da qualche parlante attraverso un’azione

comunicativa. Anche queste sequenze sono per Sacks riconducibili alla classe delle

coppie adiacenti.

Ancora le coppie adiacenti si utilizzano nelle sequenze che precedono il

racconto di una storia, facendo in modo che tra la dichiarazione di voler racctontare

17 La paternità di questa espressione è da attribuire a Goffman, tuttavia l’uso concettuale che Sacks ne fa è

totalmente differente, ed è lo stesso Sacks a specificarlo. Vedi Erving Goffman (1981), La struttura dello scambio

riparatore, ed. it. in (a cura di) P. Giglioli e G. Fele, Linguaggio e contesto sociale, Il mulino, Bologna 2000, pp 69-95.

40

una storia e il raccontarla si interponga una sorta di “richiesta di accettazione” mossa

dal parlante verso gli altri interlocutori.

Infine le coppie adiacenti sono utilizzate per esprimere l’intenzione di non avere

una conversazione, cioè in quegli scambi internazionali minimi che gli interlocutori

non vogliono trasformare in conversazioni.

Per ultimi troviamo alcune situazioni nelle quali la conversazione è strutturata

solo attraverso le coppie adiacenti, come per esempio gli interrogatori di polizia o le

interviste.

Abbiamo visto come queste coppie adiacenti siano presenti in tantissimi

momenti della conversazione, ma esse non possono essere solo ritrovabili nelle

sequenze a due enunciati. Esistono particolari tipi di sequenze che pur’essendo

composte da più enunciati sono egualmente riconducibili alla classe delle coppie

adiacenti. si tratta delle sequenze inserite, ovvero coppie adiacenti principali che per

essere soddisfatte necessitano dell’esplicamento di un’altra coppia adiacente

secondaria. Spesso queste sequenze sono “di ritardo”, cioè svolgono la funzione di

ritardare la risposta ad una domanda (prima parte di coppia) finchè non sarà data la

risposta ad un’altra domanda.

In conclusione possiamo dire che le coppie adiacenti sono un dispositivo

fondamentale nella struttura conversazionale presente in ogni conversazione che sia

suddividibile in sequenze.

41

3. Osservazioni sull’analisi della conversazione.

3.1 L’analisi della conversazione dopo H. J. Sacks

Ricostruire il percorso teorico di Sacks in modo da sistematizzare gli elementi

propri dell’analisi della conversazione al fine di farne una metodologia indipendente

è un lavoro nel quale si sono impegnati maggiormente gli ex colleghi di ricerca di

Sacks: Emmanuel Schegloff, con il quale Sacks aveva intenzione di fondare un

dipartimento di studi interdisciplinari sul linguaggio; e Gail Jefferson, che dopo

essere stata allieva di Sacks incentrerà tutte le sue ricerche sull’analisi della

conversazione; a loro più di tutti si deve riconoscere il merito di aver strutturato sul

progetto embrionale di Sacks un vero e proprio corpus teorico che servisse a definire

l’analisi della conversazione come tecnica d’indagine sociologica, di uguale spessore

rispetto alle altre. Oggi l’analisi conversazionale è una pratica abbastanza diffusa, sia

tra chi preferisce porre al centro di uno studio il dato naturale, sia in contesti non

strettamente legati alla sociologia, ma nei quali l’analisi della conversazione risulta

utile a chiarire alcuni aspetti problematici.

L’analisi della conversazione è stata più volte criticata, rispetto a vari punti di

vista, soprattutto a Sacks è stato rimproverato un approccio ingegneristico che

ricorrendo a generalizzazioni troppo vaste svuoterebbe di senso il rapporto che di

42

intercorre tra soggetto e azione. Nei prossimi paragrafi cercheremo di illustrare

brevemente le più importanti rivalutazioni e le più rilevanti critiche del lavoro di

Sacks, così da riuscire ad attualizzare la sua teoria e poter dare infine un giudizio

critico rispetto ad alcuni dei suoi “punti deboli”.

3.1.1 Rielaborazioni e critiche al lavoro di H. J. Sacks

Dopo la scomparsa di Sacks la disciplina dell’analisi della conversazione era già

dotata di uno spessore teorico-metodologico; tuttavia era necessario trasformare le

regolarità che Sacks aveva individuato in strumenti analitici che applicati allo studio

di una conversazione riuscissero ad ordinarne gli aspetti micro-strutturali: a svolgere

questo lavoro, sviluppando compiutamente l’analisi della conversazione sulla base

delle categorie sacksiane furono i già citati E. Schegloff e G. Jefferson. Entrambi

questi studiosi hanno collaborato con Sacks in molte ricerche, per questo non possono

essere considerati come dei prosecutori di opera altrui, al contrario essi hanno

contribuito in maniera determinante alla nascita e allo sviluppo di questa disciplina ed

è forse per questo che l’analisi della conversazione è rimasta il focus di tutti i loro

progetti di ricerca. Per quanto riguarda Schegloff, ad oggi continua ad insegnare

all’università di Los Angeles; nei suoi studi ha avuto la possibilità di addentrarsi in

numerose questioni attinenti all’ analisi della conversazione che Sacks non ha voluto,

43

o forse non ha avuto il tempo di sviscerare; soprattutto per quanto riguarda il rapporto

che c’è tra la conversazione e la struttura sociale nella quale è situata18.

Gail Jefferson invece inizierà gli studi sulla conversazione dopo essere stata

allieva di Sacks all’università di Los Angeles e in seguito a quella di Irvine; già da

studentessa entrerà a fare parte di alcuni progetti di ricerca di Sacks, ed in seguito al

conseguimento del diploma di dottorato nel 1974 scriverà insieme a Sacks e a

Schegloff il saggio A symplest Systematics for the organization of turn-taking in

conversation19 nel quale si propongono le regole generali del sistema della presa del

turno nella conversazione. Gail Jefferson proseguirà le sue ricerche senza mai

insegnare in nessuna università se non per brevi periodi, il suo progetto più

importante oltre alle lectures20 è stato quello di analizzare le conversazioni derivanti

dalle trascrizioni delle registrazioni dello scandalo Watergate, giungendo ad

individuare come le regolarità alla base di determinati tipi di struttura

conversazionale siano imprescindibili dalla situazione nella quale la conversazione si

svolge.

18 Vedi E. Schegloff, Reflections on talk and social structure, in D. Boden e D. Zimmerman, Talk and social

structure, Polity Press, Cambridge, 1991, pp. 44-70.

19 G. Jefferson, E. Schegloff, H. J. Sacks, A Simplest Systematics for the organization of turn-taking in

conversation, in J. Schenkein, Studies in the organization of conversational interaction, N.Y. Accademy Press, New

York 1978, pp. 7-55.

20 Op. cit.

44

Ad essere interessato alla teoria di Sacks è anche il noto sociologo David

Silverman; professore emerito al Goldsmith College di Londra e autore di alcuni dei

più autorevoli manuali di ricerca qualitativa21, Silverman ha dedicato un saggio alla

figura di H.J. Sacks22, riuscendo a dare un’idea molto chiara della sua prospettiva di

ricerca e a spiegare in modo esauriente le categorie analitiche da questi proposte.

Per quanto riguarda le critiche mosse a Sacks certamente le obiezioni più

rilevanti sono quelle poste da Erving Goffman rispetto ad un embrionale versione

dell’analisi della conversazione contenuta nella dissertazione di dottorato di Sacks.

Goffman, di cui Sacks era stato allievo, non condivide il suo tentativo di

classificazione delle regolarità presenti nelle conversazioni; sia perché non ritiene

necessario basare l’analisi sul dato naturale, sia perché guarda all’opera di Sacks

come uno sforzo eccessivamente “ingegneristico” che riportando le conversazioni ad

un piano strettamente pragmatico le separa sia dai soggetti che le producono, sia dai

contesti situazionali nei quali si svolgono. Le regolarità che vengono individuate

assumono il valore di scatole vuote se viene escluso dall’analisi il loro senso situato.

Un'altra critica molto interessante, anche se non è diretta propriamente a Sacks

quanto più alla disciplina dell’analisi della conversazione, è quella proposta dalla

sociolinguista italiana Franca Orletti nel suo testo La conversazione diseguale, potere

21 Tra gli altri ricordiamo D. Silverman (1993), Manuale di ricerca sociale e qualitativa, ed. it. Carocci, Roma

2008.

22 D. Silverman, H. J. Sacks: Social science and conversation analysis, Oxford University Press, New York

1998.

45

e interazione23. In questo saggio la Orletti tenta di ovviare a quella che secondo la mia

opinione è la lacuna più grave dell’analisi della conversazione, ovvero il fatto di non

considerare che la struttura conversazionale è anche fortemente dipendente dalle

relazioni di potere che intercorrono tra i partecipanti: infatti se è vero che è lo stesso

Sacks a specificare di non voler elaborare teorie che abbiano a che fare con le macro-

strutture della società, tuttavia il processo di isolamento e di astrazione della

conversazione perde di significato senza adeguati riferimenti alle dinamiche di potere

che agiscono sulla conversazione, determinando alcuni tratti della sua struttura.

3.2. Analisi della conversazione e analisi del discorso a confronto.

L’analisi del discorso è considerabile come una disciplina molto più vicina al

repertorio usuale di studio delle scienze sociali; se anch’essa parte dal presupposto

riconducibile alle teorie di Austin del linguaggio come azione, essa si differenzia

dall’analisi della conversazione rispetto agli obbiettivi di ricerca: quello dell’analisi

del discorso è di capire il funzionamento dell’agire sociale partendo dalla

comprensione dei meccanismi che permettono l’interazione e ponendo l’accento sul

rapporto che c’è tra struttura dei discorsi, identità soggettive o di gruppo. Anche

rispetto al metodo di raccolta dei dati, se l’analisi della conversazione pone come suo

assunto il naturalismo, la disciplina dell’analisi del discorso ha una composizione

23 F. Orletti, La conversazione diseguale; potere e interazione, Carocci, Roma 2000.

46

molto più eterogenea e non di rado vengono analizzati diversi tipi di dati in modo

differente. Inoltre certamente l’analisi del discorso appare permeata da una posizione

metodologica relativista, laddove nell’analisi della conversazione, nonostante la

distanza dal modello positivista, il presupposto di agire “scientificamente” è

fondamentale.

Come per l’analisi della conversazione anche l’analisi del discorso dipende in

larga misura dall’apparato teorico del ricercatore che la intraprende, ciò comporta una

grossa difficoltà rispetto alla definizione di regole procedurali e di basi teoriche che

siano comuni per la disciplina; in questa sede vorrei illustrare brevemente quello che

è il modello di analisi del discorso, che trae origine dai saggi del filosofo francese

Michel Foucault, in quanto ritengo che sia il più adatto per approfondire le tematiche

dei rapporti di potere all’interno delle conversazioni.

3.2.1. Michel Foucault e l’ordine del discorso

Michel Foucault (1926-1984), considerato uno dei più importanti intellettuali

francesi dello scorso secolo, non ha mai apprezzato essere definito come storico o

come filosofo; i suoi interessi di studio infatti sono stati più che vari e si sono sempre

concentrati sulla materialità della realtà sociale, guardando ai processi che hanno

portato a fare si che essa sia così costituita. Inizialmente interessato di epistemologia,

47

i suoi primi studi, Storia della follia nell’età classica24 e Nascita della clinica25 si

occupano di ricostruire i processi storici che hanno determinato lo sviluppo di

discipline scientifiche che abbiano al centro la follia, e come queste si siano

organizzate in strutture chiuse (cliniche, ospedali psichiatrici) nei quali vige un

rapporto di dominio medico-paziente. Da queste ricerche emerge la rivoluzione che

Foucault compie rispetto all’oggetto della ricerca storiografica; non più guardare ai

cambiamenti dettati dalle azioni umane; bensì indagare sulle strutture

epistemologiche di un epoca che definendo il sapere del tempo, definiscono anche i

confini di quello che deve essere considerato rilevante. L’importanza che riveste per

Foucault analizzare l’episteme ovvero il sistema implicito proprio di ogni epoca nel

quale operano i saperi, lo porta ben lontano da ogni tipo di soggettivismo. Questo

emerge chiaramente dalla sua opera Le parole e le cose, archeologia delle scienze

umane26 nella quale Foucault cerca di dimostrare che anche l’uomo identificato come

oggetto della storia è un’invenzione che risale ad un’ episteme specifica, anche

abbastanza recente. Il problema per Foucault è quello di fare capire che è un

determinato tipo di gestione del sapere a produrre le regole che definiscono quello

che può essere detto. Per dirlo con le sue parole:

24 Michel Foucault (1972), Storia della follia nell’età classica, ed. it. Rizzoli, Milano 2011.

25 Michel Foucault (1963), Nascita della clinica, ed.it. Einaudi, Torino 1998.

26 Michel Foucault (1966), Le parole e le cose, archeologia delle scienze umane, ed. it. Rizzoli, Milano 1998.

48

Suppongo che in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata,

selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure che

hanno la funzione di scongiurare i poteri e i pericoli, di padroneggiare l'evento

aleatorio, di schivarne la pesante, temibile materialità.27

Per operare una semplificazione necessaria in questa sede, si potrebbe dire che

quello che interessa Foucault è in che modo i meccanismi di controllo e di

interdizione operino all’interno dei discorsi che proliferano in ogni ambito della vita

sociale. È necessario tenere presente come per Foucault la chiave della stabilità della

struttura sociale è il potere, intendendo con potere non tanto un sistema di

dominazione, quanto più una fitta rete di disposizioni che si possono ritrovare in ogni

tipo di relazione intersoggettiva, così come in ogni micro-struttura sociale. Come

abbiamo sottolineato precedentemente quello che in una società può essere detto

dipende dall’episteme del tempo, e la struttura dell’episteme dipende dal modo in cui

il potere si dispiega; il risultato è che esistono alcune misure che Foucault chiama di

“polizia discorsiva” che riportano ordine nella proliferazione dei discorsi facendo in

modo che da ogni discorso emergano solo gli elementi accordabili con le disposizioni

del potere; queste misure agiscono a vari livelli nei discorsi, come dispositivi che lo

limitano dall’esterno, dall’interno, o che riguardano la “sceneggiatura” nella quale si

esercita il discorso. Per quanto riguarda il controllo che agisce esternamente al

27 Michel Foucault (1976), L’ordine del discorso, ed. it. Einaudi, Torino 2004, pp. 4-5.

49

discorso Foucault individua tre diversi sistemi di limitazioni: l’interdetto, il partage e

la volontà di verità.

Con interdizione Foucault intende definire le “zone rosse” dei discorsi; qualora

qualcuno si sposti dall’ordine prestabilito di un discorso, accade che attraverso una

serie di espressioni rituali quel soggetto venga “reindirizzato” ai contenuti consoni a

quel dato discorso. Per fare un’ esempio pragmatico se in un’aula universitaria uno

studente cominciasse a commentare a voce alta la spiegazione del docente senza che

gli sia stata concessa la parola, questi sarebbe certamente “rimproverato” e, seguendo

il ragionamento di Foucault, dovrebbe obbligatoriamente adeguare il proprio

comportamento a quello che in una determinata episteme, viene considerato come

adatto a quello specifico contesto.

La seconda misura individuata da Foucault come agente esterno della “polizia

discorsiva” è il partage; ovvero il ricorso a categorie dicotomiche che comunichino se

un discorso rispecchia o meno il senso che in una data episteme quel tipo di discorso

avrebbe dovuto assumere; ciò rende queste categorie strettamente legate a

contingenze storiche e quindi in continuo mutamento, esse sono sorrette da un

sistema d’istituzioni che contribuisce alla loro riproduzione e non si esercitano senza

costrizione; un esempio di partage molto usato da Foucault è quello della dicotomia

tra ragione e follia.

50

L’ultimo dispositivo di esclusione che agisce dall’esterno sul discorso è la

partizione vero/falso, chiamata anche volontà di verità. Queste categorie concettuali

pur sembrando più stabili di quelle utilizzate per il partage sono anch’esse comunque

dipendenti dal complesso della veridicità del tempo, della volontà di sapere e della

verità del tempo propri ad un’episteme, nonché da una o più istituzioni che ne

permettono la riproducibilità.

Le misure che agiscono limitando il discorso dall’interno secondo Foucault

servono a ridurne l’aleatorietà; queste sono commento, autore e discipline e fungono

da principi classificatori che delineano ciò che si può dire rispetto ad un discorso.

Il commento è rarefazione di discorso in quanto attraverso questo strumento si

può rigenerare il senso di un discorso che è già stato detto, imbrigliandolo in una

nuova interpretazione fedele alla veridicità del tempo.

L’autore, inteso non come l’individuo che materialmente scrive qualcosa, ma

come principio di classificazione di discorsi in base alla loro coerenza, limita il

discorso rispetto ad una presunta identità individuale.

La disciplina, o l’organizzazione dei saperi disciplinari, è forse la misura più

imponente di limitazione individuata da Foucault. Essa consiste in un corpus di

proposizioni, oggetti specifici, metodi e tecniche che si costituiscono come una vera e

propria struttura; la peculiarità della disciplina rispetto al commento e all’autore è che

essa è legata alla formulazione di proposizioni sempre nuove che siano però

51

indissolubilmente legate alle proposizioni precedentemente formulate in quell’ambito

disciplinare: non su un piano contenutistico, piuttosto rispetto alle modalità specifiche

di trasmissione di quel determinato sapere che si esplica in quella disciplina.

Il terzo gruppo di procedure individuato da Foucault è quello che rimanda alle

condizioni di enunciazione, di messa in opera del discorso e di selezione dei soggetti

accreditati a parlare. Secondo l’autore lo scopo di questo tipo di pratiche è quello di

limitare l’accesso ad alcune regioni del discorso e permetterlo in altre; si tratta cioè di

come viene stabilito nella materialità un ordine del discorso che di fatto esclude chi

non segue le “regole del gioco” o chi non possiede i requisiti che gli permettono di

accedere al discorso.

È assolutamente impossibile dare un quadro completo del pensiero di Foucault

in questa sede, tuttavia ritengo che lo studio dell’approccio di Foucault all’ordine del

discorso sia fondamentale per portare alla luce quelle che secondo me sono le lacune

principali del modello di analisi della conversazione di H. J. Sacks.

52

3.3. Aspetti critici dell’analisi della conversazione: rapporti di potere,anomalie dell’ordine conversazionale e stereotipi comportamentali.

Guardare alle conversazioni utilizzando le categorie analitiche proposte da

Sacks è certamente molto utile nell’ottica di uno studio che tenda a capire i

meccanismi che regolano l’interazione in un dato gruppo sociale, tuttavia secondo la

mia opinione ci sono degli aspetti che, trascurati da Sacks forse perché difficilmente

sistematizzabili, non possono non essere considerati rilevanti.

La prima considerazione che ritengo di dover fare è che l’intento di Sacks di

isolare la conversazione e renderla autonoma rispetto alla struttura sociale nella quale

si inserisce, di fatto porta a non vedere la correlazione che c’è tra i rapporti di potere

che coinvolgono i soggetti parlanti e la struttura conversazionale. Le relazioni di

potere non sono da me intese come costituite in una struttura di dominio stabile,

piuttosto rappresentano un elemento costitutivo di ogni relazione interpersonale;

tralasciando la dimensione macroscopica della società, guardare ai rapporti di potere

che si intrecciano nelle interazioni quotidiane ci permetterebbe di analizzare in che

modo i soggetti in una conversazione riescono a fare valere il potere di coercizione.

Ma il potere non è soltanto identificabile con l’accezione negativa del

soggiogamento, se così fosse le interazioni procederebbero sempre nello stesso modo,

avremo sempre un dominato e un dominante; al contrario nelle interazioni è

riscontrabile tanto il potere di coercizione quanto quello di resistenza. L’interazione

53

deve essere considerata come una continua messa in discussione del potere dell’altro

generalizzato, intendendo non una conflittualità tra soggetti, ma la capacità di un

attore di sfidare le regole che in una determinata società strutturano l’interazione.

Certamente esistono dei meccanismi attraverso cui l’ordine conversazionale

viene preservato o ricostituito, ma non si possono capire le loro modalità di

funzionamento senza un’attenta analisi delle anomalie conversazionali, del modo in

cui esse si esplicano e delle strutture di senso che portano gli stessi partecipanti alla

conversazione ad identificarle come anomalie e tendenzialmente ad isolare il soggetto

che le ha poste in essere. Sacks non affronta affatto questo tema, limitandosi a parlare

dei meccanismi di riparazione ma senza identificarne le specifiche potenzialità, e

soprattutto senza analizzare i casi nei quali le regolarità conversazionali vengono

effettivamente sospese. Si potrebbe pensare che esista un qualche ordine di

“regolarità nell’irregolarità” ma per riuscire a sistematizzare questa ipotesi

bisognerebbe intraprendere un lavoro di analisi di conversazioni anomale, magari

guardando a quelle situazioni dichiaratamente non formali e cercando di individuarne

le strutture comunicative fondanti in modo da poter successivamente capire se

effettivamente esistono dei contesti dove i partecipanti ad una conversazione riescono

a rielaborarne le regole o se al contrario ci troviamo di fronte a discorsi che pur non

avendo una struttura ordinaria mantengono inalterati i rapporti di potere tra soggetti.

54

Il condizionamento dell’altro generalizzato infatti può essere visto come il

condizionamento che una determinata struttura sociale, al cui interno ad ogni livello

si situano relazioni di potere, esercita sull’attore.

L’ultima perplessità che nutro nei confronti del modello analitico proposto da

Sacks è l’assenza di riferimenti ai ruoli che gli individui rivestono in ogni momento

della vita sociale. Parlare di ruoli certamente riporta alla mente Erving Goffman e il

suo approccio drammaturgico28, tuttavia ritengo necessario guardare non tanto al

rapporto che c’è tra ruolo sociale e identità soggettiva, quanto piuttosto a quello che

c’è tra ruolo sociale e struttura conversazionale. Credo che ci sia una correlazione tra

il ruolo che i partecipanti assumono di volta in volta rispetto alla situazionalità della

conversazione e la determinazione tacita di come questa debba svolgersi; per

esempio; un uomo si rivolge ad una donna impersonando il ruolo del “seduttore”, la

donna attingerà alle proprie conoscenze rispetto a quel tipo di situazione e giudicherà

l’uomo non rispetto a quello che dice, ma rispetto al ruolo stereotipato che ha

assunto. In questo caso, il mantenimento dell’ordine conversazionale dipende dalle

aspettative rispetto ad un comportamento standardizzato, ponendo il caso che la

donna dell’esempio è ostile a quel tipo di atteggiamento, certamente si avrà un brusco

stravolgimento dell’ordine conversazionale usuale.

28 Si veda tra gli altri E. Goffman (1961), Distanza dal ruolo, ed. it. in AA.VV., Espressione e identità,

Mondadori, Milano 1979, pp. 81-155.

55

Credo che a Sacks vada attribuito il merito di essere riuscito a sistematizzare

alcuni aspetti sostanziali delle conversazioni fornendo un solido strumento

metodologico con cui analizzare il dato naturale, tuttavia ritengo che per un sociologo

sia fuorviante limitarsi ad un analisi delle regolarità interazionali. È necessario invece

riuscire a capire in che modo la stabilità o il mutamento della struttura

conversazionale siano legati anche a fattori macro-strutturali e in che modo questi

determinano le linee guida attraverso cui gli attori costruiscono e riproducono

l’ordine sociale.

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