La Luna di Traverso n° 33 - Mind The Heart

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MIND THE HEART

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1mind the heart

LABORATORIO DI NARRAZIONI E ARTI VISIVE

mIND ThE hEART

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EDIT di Federica Pasqualetti e Enrico Cantino 5

INCIPIT D’AUTOREUn uomo solo di Christopher Isherwood 7

RACCONTO D’AUTORE hosyanna di massimo Zamboni 9

RACCONTIAgata muschiata di Concetto Scuto 17Le simmetrie dell’amore di Enrico Elvis Crotti 22Parlami di Roberto Stradiotti 26Scoraggiando di Fabio Emidi 31Timeline di Andrea Abbati 35Una notte senza illusioni di Stefania Arru 39

FUmETTITavole d’autore di marco Petrella 44

RUBRIChEL’educazione sentimentale. In memoria di Lou Reeddi Armando minuz 49Omnia vincit amor o dei rischi sullo scriver d’amoredi Andrea Rabaglia 55Uomini che amano donne di altri uominidi Enrico Cantino 57

INTERVISTEUliano Lucas, fotografoa cura di Andrea Tinterri 63

RECENSIONI 72

IL NUOVO BANDO 76

Valentina Scaletti, Self Portrait, 2013, fotografia ed elaborazione digitale

Valentina Scaletti è nata nel 1983 a Parma, dove vive e lavora. nel 2002 si diploma in rilievo e catalogazione dei beni culturali all’istituto d’arte Paolo toschi di Parma. nel 2008 si diploma in scultura (110/110) all’accademia di Belle arti di Bologna. nel 2004-2005 collabora con la Galleria d’arte Babele di Firenze. nel 2009 espone una personale di Fotografia “my Secret Garden & alice” presso la sede dell’associazione Culturale 360° (Parma). nel 2010 partecipa alla collettiva “the green Party” presso la Palazzina Borsari a Parma. nel 2011 partecipa alla collettiva di scultura “eat me 2° edizione” presso la Galleria San Ludovico di Parma ed espone in una doppia personale “Flirt”presso la sede dell’associazione Culturale made in art (Parma). nel 2012 espone all’interno del progetto curatoriale 515’ di Federica Bianconi ad arte accessibile milano, espone una personale in collaborazione con l’archivio Giovani artisti di Parma al Caffè del Prato (Parma) e partecipa con una performance insieme all’artista erjon nazeraj alla seconda edizione di “Lat Love approach together” con l’associazione Culturale Lunatici “racconti take away. Prendete e leggetene tutti” (Parma). nel 2013 partecipa a “Giovane Fotografia italiana #02” all’interno di Fotografia europea reggio emilia. www.flickr.com/photos/valentinascaletti

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EDITFederica Pasqualetti e Enrico Cantino

Una tema vasto, lo sapevamo... ma l’abbiamo fatto apposta!Lawrence Ferlinghetti, in una delle sue poesie più belle, diceva: «Oh/cuore/mu-scolo involontario/cuore/amante muto/privo di una lingua/tua/parlerò per te». E noi, della Luna di Traverso, abbiamo vo-luto accettare la sfida: dare voce al cuore con la mente. In questo numero abbia-mo voluto parlare di sentimenti. Dal punto di vista artistico, naturalmente: con le parole e con le immagini. Abbia-mo cercato di scoprire i vuoti d’aria che si formano tra la testa e il cuore, i doppi sensi delle emozioni, i corto circuiti dei sentimenti. E nel caos sensoriale, trova-re una soluzione: buttarsi o restare. Pro-poniamo, dunque, lungo le pagine della rivista con il suo nuovo formato quadra-to in brossura, una nostra particolare in-

terpretazione del tema, attingendo dalle nostre esperienze e da quelle degli artisti pubblicati, per comporre un mosaico di voci ed elementi il più completo possibi-le. Ad aiutarci, a volte con ironia, alcuni importanti ospiti d’autore: Uliano Lucas, fotoreporter, il fotografo Gianni Pezzani e la fotografa Allegra Martin, il noto il-lustratore di moda François Berthoud, il fumettista e illustratore Marco Petrella e Massimo Zamboni, noto musicista e scrittore emiliano. Nonostante i mille garbugli con i quali dobbiamo sempre combattere, con il cuore e con la mente, continueremo a dire la nostra e a scova-re narrazioni, analizzare tematiche, pro-porre sfide. Prossimo obiettivo: trovarci sempre su queste stesse pagine con tante altre storie da raccontare, novità da co-municare e proposte da lanciare.

Agim Sako, L’aria, 2010, acquaforte su zinco, 185mm ø

agim Sako nasce a Lushnje (albania) nel 1982. Si diploma al Liceo artistico Xoxa di Fier. nel 2001 si trasferisce in italia dove consegue il diploma di Pittura e incisione all’accademia di Belle arti di Bologna. nel 2007 vince il i° premio alla XXii edizione del Premio di incisione Giorgio morandi (Bologna). negli ultimi anni combina la sua attività artistica (esposizioni personali e collettive) con esperienze di laboratorio presso scuole primarie in provincia di modena, esperienze di ricerca e stampa all’interno del collettivo indipendente di artisti-stampatori professionisti Officine della stampa (Bologna) e l’operato di scenografo nel progetto Parco Giochi rainbow a roma e . Oggi vive ed opera a Zola Predosa (BO).

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Christopher Isherwood, Un uomo solo, Parma, Ugo Guanda Editore, 1983

INCIPITD’AUTORE

Ma supponiamo che, tuttavia...Prendiamo il particolare istante in cui, anni fa, George entrò allo Starboard Side e posò lo sguardo per la prima volta su Jim, non ancora smobilitato, e bello oltre ogni dire nella sua uniforme della Marina. Supponiamo poi che, in quello stesso istante, giù nel ramo principale dell’arteria coronarica di George, sia cominciato un processo inimmaginabilmente graduale. In qualche modo – non c’è dottore che possa dircene il perchè – il rivestimento interno comincia a diventare ruvido. E a uno a uno, ioni di calcio trasportati dalla corrente sanguigna cominciano a depositarsi sull’endotelio morbido... Così, lentamente, invisibilmente, con la maggiore discrezione e senza il minimo allarme di quei vecchi casinisti nel cervello, si crea una situazione quasi indecentemente melodrammatica: la formazione di una placca ateromatosa.Limitiamoci a supporlo. (Il corpo sul letto sta ancora russando.) È una cosa altamente improbabile. Si potrebbe scommettere migliaia di dollari contro il suo verificarsi, stanotte o qualche altra notte. E tuttavia potrebbe, potrebbe indubitabilmente, essere sul punto di accadere... entro i prossimi cinque minuti.Molto bene... supponiamo che questa sia la notte, l’ora e il minuto stabilito.Ora...

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Hosyanna

massimo Zambonitratto da Emilia Parabolica. Qua una volta era tutto mare, Fandango Libri, 2002

RACCONTOD’AUTORE

Un turbine di petali si impossessa del podio centrale, un vortice, una tem-pesta greve, graveolente, umida, smodatamente insana. Orchidee Tulipani Mag-nolie Digitali Giacinti Ninfee: fioriture grasse, esperte, avide, niente di più lon-tano dagli Impressionisti. Tra quel rigurgito di essenze che attossica la folla sale le scale, no, ma come, è già sul podio, o meglio anzi diomio esplode di presenza la più grandiosa testimonial della carne: Osanna Lorca!

«Le - iiii!!» «Hos... Mother di todos.» «Le - iiii!!» «In nome de Dio. Mon tresor!» «O ‒ O... The largest Puta!»

La folla si squarcia in un urlo altissimo che non è permesso riportare, intrattenuto dalle lingue gonfie, bisillabico e monosignificante. Poi in una polirit-mia corale che monta: «O.syanna - Ho Ho» monta, escreta dai corpi, «Ho Ho Ho Ho», estorta dalle menti, «Ho», estrusa monta, «HO». Monta «HO».

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«HO HO HO HO.» «Burrosaa! Butirra sanguinaosaaaaa!!!» «HO HO HO HO.» «Senta... Ma... Chi è quella signora, scusi?», azzarda Civilino Feràri, miope terminale, bibliotecario nella sala Manoscritti, al vicino in fiamme che non lo sa ascoltare, preso com’è nell’urlo collettivo. «Ho syanna, Hosi anna, Ho, Ho.» «Senta... Permette? Non per essere pignolo, è vero, ma chi sarebbe... » Ma il vicino: «Ci s’impoltigliaaa! Osannaa! Ci s’impantanaaaa!»

Osanna Lorca! Dolce Dolce & Ingabbanata di brutto, idola tribus da 42 primavere, torrida, afosa, grande sempre, incorollata e conosciuta ai più. Hosyan-na Ocean. Madre Oceanica. Un vulcano sottomarino in eruzione permanente, ca-pace di scatenare le catene montagnose degli abissi con un corruccio minore delle labbra. Il suo seno dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO è un canto di gioia per il popolo dei dispersi, il cui carme «Osanna!» scivola di tra le pieghe. Un ombelico polipremiato conchiuso nella perfetta forma del tortel-lino. Si dice di una scritta una spanna sotto, tatuata da una squadra dell’ENEL travolta dall’ammirazione: «Qui non usare acqua per spegnere incendi». Si dice di un corpo che vuole il porto d’armi per essere indossato, per non incorrere in sanzioni. Si dice. Si dice... si dice che dal basso ventre... si dice che dal basso ventre esali, l’odore stesso dell’indicibile. Trabocca di amanita, Osanna, di smorcia di motore, trasale sul tumulto colaticcio dei presenti, stordendoli di umori. Nella massa sovraccarica lo strepito cresce e sale padrone delle teste e tutto dilaga e stravolge i corpi, allagando le zone d’ombra.

Allora Osanna, l’Orca, osa.Intinge il dito nelle labbra... lo umetta di saliva... (la sua, saliva) lo leva alto... lo accosta al naso, per zittire.

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È già fin troppo, e la folla si sgonfia di un botto solo giacendo in una stasi preatomica.Mille polmoni scoppiano involuti, sull’incipit di Osanna: «Gioiellini.»Mille cuori esplodono in trombosi. «Gioiellini... Voi, ve la godete?»Un brontolio esplora le viscere di tutti: «Bbbbborrrrrborbbborrr» «Perché, sapete: Io, me la godo.»Un brontolio incalorato e forte che non si può fermare, si scalda e si gor-goglia e risale oltre i filtri con l’impulso del caffè: «SSSSSSSSSssssssssaa-aaaaaAAAAAAAAAAAAAA»

Ora urlano senza più sentire squarciandosi le gole, accatastati al limite dell’ammasso senza sapere osare l’oltre, intimiditi dalla loro stessa furia. Ma no-nostante l’appetito sia fame che divora, pure non sarà che un’avvenimento del tutto casuale a precipitare il punto di rottura. Papilio Foetidissima, il nome latino; ovvero, una farfalla pigra. Niente di più. Una apertura alare di una spanna e ol-tre, tale da dover volare sfiancata. Pigra, ostentatamente molle, e quel battere l’ali l’ondula come e più di un fazzoletto di carta al vento ‒ ed è visibile a tutti, tutti la percepiscono e poi mettono a fuoco, sbucata da chissà dove mentre si rivolge al podio in una spirale predestinata che vede Osanna al centro. Sembra scoprirla quasi per caso (forse è il fiuto delle antenne mobili), ha uno stizzo di sorpresa che induce il torace addome a dilatarsi dalla soddisfazione; e una scossa delle ali che rilascia polverine. Diecimila sfaccettature decodificano: «Fiori», sul collo della Lorca. «Fiori». Le si intorciglia intorno attratta dalla carnagione dei petali che le adornano le spalle.La pressione della scena diventa insostenibile: perché nell’eccitazione senza fi-atare, in quell’apnea perineale, è chiaro a tutti come l’insetto si disponga al pas-colo sul seno. Su quel seno. La lentezza con cui si posa è pari alla scesa dei magoni nella strozza

Fotografia d’autore - Gianni Pezzani, Passera Argentina, 1984 © Gianni Pezzani, per gentile concessione

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dei presenti.E l’appoggio ‒ delicato ‒ assorda tutti.Osanna no, sorride appena, e tutto potrebbe congelarsi lì per sempre, con tutte le bocche aperte e i nasi accesi gli occhi infissi mentre si immedesimano ‒ se non che, da uno di quei fiori stilla una goccia condensata. Pesante, la rugiada del de-siderio. Resta lì solo per un istante, uno solo, appesa, sostenuta dall’ipnosi ‒ infine si rilassa, si lascia andare, scivolando a perdersi tra quei 2 seni con la scia delle lumache. Già. Non per la farfalla, avvezza ad altro. Non ci si crede per come recita: slega la sua proboscide da insetto di un metro buono, inseguendo la stilla tra le pie-ghe cicce della Lorca, moderatamente acidule. È troppo, addirittura troppo per reagire. La folla inghiotte gli schiamazzi per appagarsi in un singulto collettivo, completamente estatico. Pazzesco e doloroso. Nel silenzio che si degrada e che darebbe luogo al nulla eterno, scoppia imprevedibile di sé il bibliotecario Civilino Feràri, miope terminale travolto dalle contingenze. In un urlo di cui non si ren-derà mai più conto per tutto il tempo della vita naturale e che peserà su di lui da qui a l’ora, rimbomba al massimo la sua poca voce in piena: «SUCC-CCARONAAAAAAAAA! PIU’ DEL LASERRR!!!»È il segnale. La scintilla che s’appicca allo scoppio delle cerniere lampo. In un frastuono la folla si lacera e si svelle accavallandosi, rovinandosi addosso, calpes-tando tutto, ammattita per la troppa ritenzione, ubriaca dei suoi stessi olezzi seg-reti, in un assalto definitivo al podio. «HO! HO! HO! HO!»Scatta l’attimo di furore, l’Amok malese, il Musth dell’elefante in foia, la nostrana mattana giù di testa. Tragedia della follia commentano i giornali: la moltitudine delle dita straccia le sedie i tavoli sbrana i fiori strappa i microfoni dal podio per espugnare Osanna. «Ho Ho Ho Ho», escono tamburi e flauti, «HO HO HO HO»La esplorano con la frenesia dei millepiedi in un vociare ossesso di risucchi, ricreando lo stadio brulicante; sono più dei fiumi al mare e i rivoli dei torrenti

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costretti a imbuto in una sola direzione, Lei, riversati nel rito della condivisione per l’ultima grande estasi di Osanna Lorca. «Ho Ho Ho HO.»Nell’impazzimento generale risuonano le voci a tromba che richiamano le tribù allo smembramento. «M’ingargagliii!», «Ho! HO! Ho! HO!» «M’ingarbugliiii!», «Ho! HO! Ho! HO!» Con l’audacia di un orgasmo pointilliste il suo essere svanisce in brandelli as-segnandosi ai presenti, ce n’è per tutti e poco per ognuno, a cubi sanguinanti dai confini incerti, lacerati, a cui ognuno aspira per detergere gli umori che osano gocciare. In un istante Osanna si incasella nella regione dei sogni.

massimo Zamboni è nato a reggio emilia nel 1957. Fondatore del gruppo CCCP-Fedeli alla Linea, di cui è stato chitarrista e compositore, e dei successivi CSi, nel 2004 ha iniziato la sua carriera da solista. ha realizzato varie colonne sonore per il cinema e pubblicato diversi libri: “in mongolia in retromarcia” (Giunti, 2000), “emilia parabolica. Qua una volta era tutto mare” (Fandango, 2003), “il mio primo dopoguerra. Cronache sulle macerie: Berlino ovest, Beirut, mostar” (mondadori, 2006), “Prove tecniche di resurrezione” (donzelli, 2011). www.massimozamboni.it

Gianni Pezzani nasce nel 1951 nella provincia di Parma, di cui inizierà ad indagarne fotograficamente i luoghi a partire dagli anni Settanta. La sua prima mostra importante è quella organizzata da Lanfranco Colombo nel 1979 presso la galleria il diaframma-Canon di milano. nel 1981 viene selezionato dalle edizioni time-Life tra i sei più importanti fotografi emergenti dell’anno e il suo portfolio viene pubblicato nell’annuario Photography Year. dal 1981 inizia a lavorare per le edizioni Condé nast, collaborazione che continua tutt’oggi. nel 1983 viene invitato ad esporre in Giappone presso la Kodak Gallery di Ginza (nagase Photo Salon). a partire dallo stesso anno si trasferisce a tokyo per 10 anni, dove lavora sia come fotografo che come disegnatore tessile. nel 1984 partecipa ad una mostra itinerante sulla fotografia italiana che toccherà le più importanti gallerie della Cina Popolare. nel 1993 torna in italia e si trasferisce a milano. i rapporti con le riviste di moda e design si intensificano come anche le mostre personali e collettive che lo vedono protagonista. a tale proposito si possono ricordare: la retrospettiva dedicatagli dalla Fondazione magnani rocca di Parma nel 2000, la mostra fotografica “Viaggi in Giappone” a Palazzo Barolo, torino, nel 2003, e “i maestri della fotografia” alla Peggy Guggenheim Collection nel 2005. nel maggio 2009 presenta il lavoro “Storia di una foresta perduta” introdotto da Jacques Le Goff. nel 2010 espone a Palazzo del Governatore di Parma nella mostra “nOVe100” curata da arturo Carlo Quintavalle che, nel 2012 sempre nella medesima sede, lo invita a partecipare all’esposizione “i mille. Scatti per una storia d’italia”. www.giannipezzani.com

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L’agata muschiata, la guardavi molto

quando te l’ho fatta vedere la prima volta.

La particolarità di questa pietra è che il muschio che c’è dentro

rimane sempre verdeConcetto Scuto

AGATA mUSChIATA01

«Ciao amore! Come stai? Io non tanto bene, diciamo che potrebbe andare meglio. Oggi sicuramente è stata una giornata bellissima e quando tu ascolterai questa cassetta saremo già avanti con i tempi, nel senso che saremo già oltre col tempo, perché ci saremo già salutati e io sarò già andata via. Beh, ho voluto lasciarti qualcosa, un po’ di me, perché penso che… sì, che in fondo… aiuti… aiuti avere qualcosa della persona a cui sei legato. Ho pensato quindi di farti un regalo, che poi non è tanto un regalo, sono tante piccole cose che vorrei tu mi tenessi in custodia. In questo periodo che mancherò ho intenzione di vederti, in qualche modo faremo.Mi mancherai un sacco, però mi mancherai bene, nel senso che ci sono due modi perché una persona mi possa mancare: mi può mancare bene e mi può mancare male, tu mi mancherai bene. Mi mancherai bene nel senso che tu mancherai a me e io so che mancherò a te, e quindi la cosa è condivisa da entrambe le persone in modo uguale, questo è mancarsi bene. Ho pensato che vorrei avere tante cose tue vicine a me, tante cose che mi riportano a te tutte le volte che le guardo e le tocco; quindi visto che spesso pensiamo in tandem, ho creduto che forse, anche a te sarebbe piaciuto avere qualcosa di mio e, visto

Matteo Salsi (Grozni), Due Castelli, 2013

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che io sono la solita presuntuosa, ho preso l’iniziativa e ti ho fatto un regalo… quella scatola che adesso avrai di fianco a te, non ne avevo un’altra, l’involucro non è importante… e tu lo sai; dentro ti ho messo un po’ di me.Ho messo dentro un po’ di cose e tutte hanno un piccolo significato che vanno a costruire un pezzettino di ciò che sono. Beh!! Certo non sono tutta lì dentro, ma tu un ne puoi tirare fuori tanto.Aspetta un attimo amore mio, vado a chiudere la finestra, ci sono dei rumori un po’ fastidiosi, ecco, finestra chiusa.Ho messo una mia foto, piccolina, non dà fastidio a nessuno, la puoi sistemare dove vuoi, la puoi nascondere, è piccola piccola, non è quella che ti piace di più tra tutte quelle che abbiamo fatto, ma era quella... quella che mi sembrava un po’ più adatta nel senso che… credo di avere quella faccia lì tutte le volte che ti guardo.Poi, ecco, oltre a questa cassetta che stai ascoltando, ti ho messo quella che abbiamo comprato insieme in quella festa sul Po, ormai sarà diventata un po’ frusta. Ti ho messo dentro l’agata muschiata, la guardavi molto quando te l’ho fatta vedere la prima volta. La particolarità di questa pietra è che il muschio che c’è dentro rimane sempre verde, rimane verde nonostante tutto il tempo che passa lì dentro; non c’è aria, c’è solo luce; quindi io mi chiedo se il muschio è veramente vivo o no! Se è verde in teoria dovrebbe essere vivo e quindi se è vivo vuol dire che anche lì dentro c’è vita! Vorrei che noi fossimo come l’agata muschiata. Io sono convinta che quando ci rivedremo non sarà cambiato niente, perché non posso credere che dal momento in cui due persone stanno come stiamo noi, le cose possano cambiare; spero che quello che c’è tra me e te sia come l’agata muschiata, rimanga sempre verde. Poi ti ho messo una candela in ricordo del nostro primo appuntamento serio: le candele ti piacciono tanto, piacciano molto anche a me, quindi come si dice… ti do il consenso di accenderla tutte le volte che vuoi; la puoi accendere un po’ e poi spegnerla, oppure puoi non accenderla mai, per me è lo stesso. E infine i miei guanti di lana, bellissimi, presi nel mercatino di Natale a Trento.E poi va beh, questa cassetta… perché forse sono egocentrica e, con la speranza

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che tu l’ascolti infinite volte, così, soltanto per sentire la mia voce.Io ti amo, lo sento chiaramente.Ti amo perché sei dolce e tenero, siamo perfetti, ci siamo trovati, siamo stati fortunati. Sono contenta perché intanto che ti dico tutte queste cose immagino quello che frullerà nella tua testa.Sono passata a salutare i miei stasera, andavano a mangiare al ristorante messicano. Io e te non ci siamo mai andati al messicano, ma se per questo neanche al giapponese... Dovrai rimediare lo sai vero? Ah, volendo ci sarebbe anche il ristorante indiano, ma non voglio abusare della tua pazienza.Io voglio stare con te tutta la vita. Ho bisogno di te tutti i giorni lo sai? Mi manchi.Ti bacio amore mio. A prestissimo.Mi manchi tanto».

Lei aveva un giornale tra le mani. Arrivarono in un parcheggio ricoperto di terriccio. Lui scese dall’auto. Lei preferì aspettarlo in macchina; sapeva che non ci avrebbe messo molto. Camminò verso l’ingresso del rottamaio, la sua era un’andatura lineare e lei lo guardava compiaciuta attraverso i vetri dell’auto; poi l’immagine sparì e lei riprese a leggere il giornale. Il panorama che aveva davanti a sé era una catasta di auto smantellate. Sembravano soffrire lì ammassate, una sopra l’altra, un’orgia di lamiere immobili. Passarono dieci forse quindici minuti prima che lui si lasciasse alle spalle tutto ciò. Lei lo sentì arrivare e istintivamente abbassò il giornale; il suo viso era roseo e pulito, e mentre lui si avvicinava, lei per un attimo lo aveva sentito lontano.«Trovato qualcosa?»Lui salendo in macchina la baciò in bocca, lei sorrise e per un attimo si sentì piacevolmente in imbarazzo. Chiuse la portiera e mise in moto la macchina, dalla tasca della giacca prese un contenitore: «Ti ho portato un astuccio pieno di vecchie cassette. Prova a guardare.» Lui abbassò tutto il finestrino e ripartì. Lei gettò il giornale nei sedili posteriori

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e mise la mano dentro l’astuccio, si sentirono dei piccoli rumori di collisione. «… ma funzionano?»«Basta provare, amore mio.»Il ragazzo guardò le gambe della ragazza, pensò al suo corpo, era bella e lui in quel momento si sentì fortunato.Lei dopo aver inserito la cassetta nella radio dell’auto appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo.

Concetto Scuto a 14 anni compra la sua prima telecamera, a 16 anni s’innamora del cinema francese e della letteratura americana. Con il tempo diventa filmaker. Prende una laurea al d.a.m.S. di Bologna in storia del cinema. dal 2011 fa parte della scuola di sceneggiatura di Carlo Lucarelli “Bottega delle finzioni”. ha collaborato con la fondazione “Federico Fellini” sullo sviluppo di alcuni suoi soggetti inediti. Lavora come libraio.

matteo Salsi (Grozni) è nato nel novembre 1981 a Parma.  da poco sta imparando a disegnare e ama costruire cose da sempre. Odia qualsiasi cosa materiale, intellettuale, culturale e spirituale che possa far credere a una persona di essere superiore ad un’altra. Fa l’architetto, prova a fare l’illustratore ma, soprattutto, è un artigiano che disegna e realizza oggetti costruiti con materiale povero e di recupero. illustrazioni: www.flickr.com/photos/grozni - Oggetti:  www.grozni5.wordpress.com - Octopus Lab Project:  www.octopuslabproject.wordpress.com

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Le simmetrie dell’amore sono la corolla dei tuoi denti

dopo un morso insistito

sul mio polso magro, l’orologio senza lancette

tatuato sulla pelle del nostro idillio

Enrico Elvis Crotti

LE SImmETRIEDELL’AmORE

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L’uomo si avvicinò alla donna, lo sguardo nascosto dietro un paio di occhiali da sole. L’orizzonte era una linea indefinita che separava gli elementi, là dove la bruma delle onde e la calura estiva si fondevano indistinguibili. Per la prima volta, dopo il risveglio, guardavano nella stessa direzione. Anche senza sfiorarsi, le mani di lei intente a tenersi il cappello, quelle di lui unite in preghiera davanti alle labbra, non erano stati mai così perdutamente vicini.

Le simmetrie dell’amore sono la corolla dei tuoi denti dopo un morso insistito sul mio polso magro: l’orologio senza lancette tatuato sulla pelle del nostro idillio; le tue gambe lunghe mentre cammini davanti a me sulla spiaggia di mattina lambendo la diagonale della mareggiata; l’angolo acuto dei tuoi baci sfuggenti; le ali di una Morpho Menelaus che si dispiegano sul dorso elegante della tua mano.«È fredda?»Seguo l’impronta dei tuoi piedi scomparire, cancellata dalla spuma delle onde, il corpo in controluce, i laccetti del bikini annodati sui fianchi.

L’uomo e la donna avevano scopato prima dell’alba. L’albergo aveva sei stanze,

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tutte con le finestre rivolte al mare. L’afa notturna aveva offuscato la lucentezza delle costellazioni. La donna gemeva: sofferenza e desiderio nello stesso respiro. Il lamento dell’uomo somigliava al rantolo indolente di una belva in gabbia. Le accelerazioni dei sospiri seguivano i tonfi ritmati di un corpo caldo dentro l’altro. Aderenze e collisioni: lievi, calme, ancora più lente e poi, all’improvviso, voraci, furiose, mai definitive. Il piacere risaliva i corpi come le maree. La donna si aggrappava alle lenzuola, l’uomo la teneva per i fianchi. Lui, dalla finestra aperta, poteva immaginare che là a est, in un punto indefinito nel buio, fosse tracciata la linea che separava il mondo terreno dal cielo, gli abissi marini dalla Via Lattea, il cuore del vulcano dal magma infuocato che da giorni non smetteva di eruttare. E allora, dinnanzi alla grandiosità del mondo, tutta quella rabbiosa e ostinata dimostrazione d’amore gli era sembrata così vana. Inutile qualsiasi simmetria: una pesca tagliata al mattino, la disposizione delle posate al Caffè Elena, i graffi scuri di Hartung su fondo giallo, la traiettoria della pioggia appena scesi dal tram, il meraviglioso svelarsi del corpo, l’odore sulla punta delle dita. Tutte le parole che si erano detti, le promesse ardite, i più piccoli gesti di tenerezza prima del sonno. L’animale in gabbia smise di grugnire, lei di ansimare, il silenzio li avvolse sudati e perduti sullo stesso letto. Restarono così, senza cercarsi con le voci, le mani raccolte in grembo. Le stelle più remote rimasero rintanate nell’universo.

«Dai, vieni: non è così fredda.»Guardo la creatura ammaliante che mi ossessiona, scorgo il neo nascosto all’interno della coscia, le unghie dei piedi smaltate di blu che scompaiono nella sabbia scura. Sfioro con le mani il segno dei tuoi denti sulla pelle.«E allora, cosa aspetti? Vieni!»Mi avvicino al bagnasciuga. Le creste delle onde risplendono, dal vulcano esce sulla montagna il cratere, emette ancora fumo che lambisce l’albergo.

Sulla terrazza ci sono tre tavoli tondi. L’uomo e la donna, i gomiti appoggiati sull’unico tavolo illuminato dal sole. Due tazze bianche sul piano di fòrmica blu. Lui ha la barba incolta, lei la bocca disegnata da Matisse. Nessuna parola sembra

Marco Losito, Stars in the earth, 2013, Canon 450D - EF-s 10-22mm@14mm - f/4@20 sec

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enrico elvis Crotti abita a Sulbiate. Lavora con i computer. non possiede animali domestici. nel 2012 ha pubblicato la raccolta di racconti “Juke-box per uomini soli” con l’editore exCogita.

marco Losito nasce il 23 Gennaio di un anno imprecisato degli ‘80. Come fotografo, invece, rinasce circa 12 anni dopo, iniziando ad utilizzare la reflex meccanica del padre. Solo recentemente, però, lavorando, può permettersi un corredo fotografico suo ed iniziare quindi ad affrontare la Fotografia con la dovuta serietà.

poterli più consolare. Nella mente dell’uomo scorrono le più belle parole scritte dai poeti, le voci di Bresson, il blu di Kline. Nella mente di lei solo le nuvole dei cieli che avevano visto insieme: cirri allungati di Madeira dietro un campo di agapanti, gli stratocumuli grigi e ribelli di Patagonia, i cumulonembi gonfi e immacolati nel cielo di Bruges. Le simmetrie dell’amore si sgretolano negli anni, logorate dai giorni comuni, come nuvole investite dal vento. Il cuore tradito si adegua, quando l’intima lontananza degli amanti, i frettolosi amplessi, le follie e le meraviglie dei corpi diventano abitudine.

L’acqua mi avvolge come un naufrago. Mi abbandonano alla deriva gli occhi aperti, le effervescenze delle onde seguono il profilo del corpo.Abbasso lo sguardo nel blu più profondo del mare, lo stesso blu che circonda la terra nella galassia. Vorrei conservare il tuo sorriso quando mi guardi, la tua voce che sussurra il mio nome. Per un istante vorrei affogare nel profondo del mare, svuotare i polmoni, svenire; ma poi alzo lo sguardo e ci sei tu, il corpo incantevole immerso nei flutti, la luce pulsante del sole ti illumina la pelle. Mi sfioro il polso e ritrovo, sotto le dita, il labile segno dei tuoi denti, il tempo del nostro amore. Inarrestabile il desiderio di te mi fa rinascere, il cuore batte furioso mentre risalgo in superficie. Senza fiato.

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Levò lo sguardo verso la tomba di Armida

e vide un bel buco nero, perfetto, ben curato, al posto del tumulo.

Guardò sotto il deretanoe constatò che

Luigi Cerino era proprio lì...

Roberto Stradiotti

PARLAmI03

Guardava un sasso fra le sue scarpe. Serviva per la concentrazione. Per sentire la voce.«Franco…»L’uomo si girò verso la donna seduta sul marmo.«È tuo, questo profumo?»«Quale profumo?»Franco si alzò e infilò il naso nel mazzo di fiori accanto alla donna.«Sono i crisantemi. Sono loro.»La donna fece l’offesa, ma Franco le disse che se tutti usavano i crisantemi voleva dire che sapevano di buono, proprio come lei.Rimasero un po’ immobili senza parlare, assorbendo il tepore del sole di fine ottobre. Poi lei, spostando il deretano dal cognome al nome del defunto sottostante, gli si avvicinò.«Ancora niente?»Franco cercò di mantenersi calmo, fece un broncio che stava a significare che forse un po’ era anche colpa sua.«Ci vuole pazienza, non sai quali siano i criteri, oltre.»

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«Dici che oltre sono dispettosi?»Franco prese le mani della donna e le strinse in un modo quasi doloroso che per lui significava tormento e speranza.«Carla, chi lo sa, oltre, come la pensano? Se avessimo risposte pronte non saremmo qui, seduti sulla tomba di Giovanni Cerino.»Carla si spostò un poco, guardando sotto di sé.«Luigi Cerino», corresse.Franco assentì gravemente, pieno di rispetto per colui che per molti anni a venire sarebbe stato il vicino di tomba della moglie. «Magari devi chiederglielo a voce alta», disse Carla, guardando il viavai di gente che si recava a salutare i morti.Franco si schiarì la voce, strinse il cappotto come se improvvisamente fosse calato il gelo e chiese:«Parlami, Armida, tesoro della mia vita. Darai la tua benedizione a me e a Carla per la nostra futura unione?»«Sembri un celebrante», commentò lei.Franco poggiò un dito sulle labbra, come se il silenzio fosse un requisito fondamentale. Erano talmente presi dall’attesa, che quando un vivo si parò davanti a loro trasalirono con un breve grido all’unisono. «Scusate, sono suo figlio», disse il vivo, con un nuovo mazzo di crisantemi fra le mani, indicando la tomba che era servita da panca. Gli amanti si alzarono quasi a fatica, tendendo l’orecchio se per caso non giungesse loro un segno favorevole, poi si allontanarono, voltandosi indietro di tanto in tanto. Il figlio di Cerino li osservava e sembrava parlare da solo.Il giorno seguente, di buon’ora, Franco si recò di nuovo al cimitero, in solitudine. Si sedette sulla tomba di Luigi Cerino, annusò i fiori e gli vennero i brividi al pensiero che Carla sapeva di crisantemi. Levò lo sguardo verso la tomba di Armida e vide un bel buco nero, perfetto, ben curato, al posto del tumulo. Guardò sotto il deretano e constatò che Luigi Cerino era proprio lì, vicino di tomba della moglie, con quei baffi da Stalin e le labbra sottili come un filo teso. Per un attimo gli venne da pensare che fosse stato lui a sequestrarla, poi pensò che il panico

Vinciguerra Silvia, Invasione, 2013, china e penna su carta

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non era il migliore amico di un vedovo doppio. Guardò l’iscrizione della lapide di Armida e anche se poteva essere un’omonimia, c’erano quelle parole fatte incidere da lui dopo una notte insonne passata a comporle: «Amore! Mi manchi! Sarai sempre con me!» Era soprattutto quest’ultimo pensiero, ora, a preoccuparlo, un po’ perché sua moglie era sparita dalla nuda terra, un po’ perché contravveniva ai nuovi progetti con Carla. «E adesso?», pensò. Attese con ansia l’arrivo del custode, che si presentò addentando un panino alla mortadella.«Ah, subito all’ufficio comunale», disse, «subito alla polizia. Denuncia subito. Ieri sera? Era tutto a posto. Di notte? Eh, di notte tutto può succedere, nei cimiteri.»«Anche fra vicini di tomba?», chiese Franco.Il custode interruppe la masticazione.«Si sente bene?», chiese.Franco tornò all’auto, pianse un po’, poi passò a prendere Carla. «Non ci credo!», esclamò lei, facendo due occhioni da civetta; e per sottolineare che non ci credeva, tenne gli occhi spalancati per tutto il tragitto.Davanti al buco, Carla rimase in contemplazione, mormorando parole senza senso.«Ti senti bene?», le chiese lui, pallido. Una lacrima le scese in maniera innaturale, come se un vento forte la spingesse verso le tempie.«Ma non capisci? Non hai ancora capito?»Lui la guardò e basta, ogni riferimento era perso, ogni preghiera, ogni pellegrinaggio. Era un bambino che non poteva dare la mano a nessuno. Ma trovò quelle di Carla, che all’improvviso gli strinsero le dita fino quasi a fargli male.«Tua moglie ti ha lasciato un segno! Si è fatta da parte, Franco, per noi due!»«Converrai che non se ne è andata di sua spontanea volontà», balbettò Franco, cercando di sottrarsi alla sua morsa.«Certo che no: mi credi scema? Però è sempre un segno. E adesso corriamo a denunciare la scomparsa, non dobbiamo perdere tempo.»In auto, verso la stazione di polizia, Carla gli carezzava il collo, gli solleticava le

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roberto Stradiotti ha scordato il passato e per quello che lo riguarda potrebbe anche averne venti, di anni. non ha debiti e non ha intenzione di farne, anche perché versa alla consorte il suo stipendio da impiegato e tira avanti con le paghette. Scrive perché poi prende sonno meglio. Sarebbe grato a chi gli gira 1 euro per il caffè.

Silvia Vinciguerra è nata nel 1991 a Parma e ha sempre vissuto in provincia. dopo cinque anni sceglie di trasferirsi a Bologna per frequentare Lettere e Filosofia. Capito l’errore, dopo un anno eccola all’accademia di Belle arti di Bologna, sezione Fumetto e illustrazione. non avendo mai partecipato a concorsi o collaborato con riviste e giornali, sta aspettando che prima o poi questa scuola la illumini...

labbra con le dita. Franco guardava la pioggia scendere sul parabrezza, evitando di pulirlo. Una goccia cadeva nell’altra e piccoli fiumi paralleli confluivano sul fondo del vetro.Uno squillo di cellulare fece sobbalzare entrambi. «Pronto», disse lei. Ascoltò senza parlare, poi pensò al buco nero, rettangolare, perfetto, nella terra, sorvegliato da una lapide bugiarda e commentò: «Ha lasciato davvero un vuoto incolmabile.» Lasciò cadere il telefono e si gettò sul cruscotto, nascondendo la testa fra le braccia, scossa dai singulti. Franco con una mano guidava e con l’altra le carezzava la schiena.«La troveremo», le diceva, «la troveremo presto.»

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Per nessuna ragione l’occhio sale fino al cielo.

Come se non ci fosse altro, tutto qui,

quello che può vedere, al massimo annusare,

le sue mani callose, la sua pala insanguinata...

Fabio Emidi

SCORAGGIANDO04

Battimento incessante, nessuna pietà, mai. Niente di eccezionale, si intende, diciamo sui quaranta al minuto, ma va avanti comunque, con o senza di lui, è questo il bello. Un corpo minerale agisce sopra un altro, lo urta, lo muove, lo scioglie, mentre lui zitto-zitto forma i suoi pensieri. In tal modo sviluppa l’immagine complessiva, l’intero mondo che lo circonda tutto lì, bello tondo, ai suoi piedi, sprecato. Sarebbe impossibile, ora come ora, portare il discorso sull’immagine che è solo un riflesso. Lasciamo perdere, meglio così. Un pensiero segue un altro pensiero, non facciamo caso ai particolari, si fa ora di cena. Come uno gnomone il manico inclinato della pala in mezzo al terreno scavato di giorno in giorno impercettibile si assottiglia, buche ovunque, cumuli di terra ovunque. Le mani callose e le ginocchia sporgenti toccano il pavimento formando i vertici di un rettangolo senza che lui lo sappia, la lingua penzola di fuori, battito accelerato. Forte per lui la tentazione di restare in questa posizione fino allo sfinimento ed è quello che fa. Tutto si oscura. Questo si che è un momentaccio, mica per altro, sono le fistole che sanguinano, peggio in passato però, ai tempi della prima disunione. Adesso almeno la defecata luna è tutta quanta lassù, bella espulsa nel cielo vuoto, un po’ più innocua di prima nel cielo perplesso. Lui, il famoso

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residuale, ne avverte tutte le possibili conseguenze, soprattutto dai testicoli in giù. Lì sì che si sente ancora a suo agio, ancora padrone di qualcosa, il resto è venuto troppo in fretta. Potessero essere loro a decidere, i testicoli, come sarebbe tutto più semplice. Basterebbe spalancare la porta di casa, buttarsi una copertina sulle spalle, giusto per precauzione, e tornare al terreno scavato. Questione di pochi passi, finirebbe dritto-dritto in una delle sue buche, una o l’altra è lo stesso. Sprofondato fino alle ascelle con le braccia ancora libere potrebbe coprirsi con altra terra, seppellirsi del tutto, solo la testa che sporge dal tumulo, poi si vedrà. Anche questo inutile. Tutte illusioni, tutte male lingue, quello che conta è che il battito non può essere arrestato, neanche con la forza di volontà, soprattutto con la forza di volontà. Lo sente nella notte, inconfondibile, rallentato, questo sì, ineluttabile, questo sì, eccolo. A tratti gli occhi si aprono, dovrei dire si sbarrano, tutto vi entra dentro, anche la terra, anche il fango, e per buttare fuori il fango poi sono dolori. O anche infilare il fango nelle orecchie, premerlo per bene nel buco fino a farlo aderire con le pareti, non aiuta affatto. E allora che fare? Non può fare niente, come se fosse lui a decidere, lui che li ha visti andar via senza nemmeno salutare. Può ancora ricordarsi di loro? Confonde, confonde. Finirà per dimenticare anche quello, poco ma sicuro, meno male. E allora eccolo di nuovo lì, imperterrito, imperituro, sul cuor della terra, lui, la sua pala, la terra, le fistole, preferisce restare così. Ora il suo sguardo è rivolto alla terra, un po’ anche per ripicca, soprattutto per ripicca, visto come sono andate le cose, tutto così all’improvviso, nessun avvertimento, nessun monito, nemmeno una scorreggia, da un momento all’altro la distesa immensa solo per lui. Tutto lo sfacelo. Avrebbe potuto fare qualcosa se lo avesse saputo. Non avrebbe potuto far niente. Per nessuna ragione l’occhio sale fino al cielo. Come se non ci fosse altro, tutto qui, quello che può vedere, al massimo annusare, le sue mani callose, la sua pala insanguinata, le ginocchia sporgenti, le fistole. Tiene traccia di tutto minuziosamente sul suo taccuino, bisogna ammettere che gli riesce bene, battiti al minuto, nessuna accelerazione, cadute molte, respiri al giorno quanto basta, sospiri molti, tutto segnato, ora giorno mese anno e pianeta, casomai dovessero tornare. Non torneranno. Chi? Penna taccuino analgesici, tutto riposto con cura

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nel doppio fondo del cassetto. Può servire? A niente. Ciò che proviene dal mondo esterno penetra all’interno, la devastazione è inarrestabile, mica è colpa sua se continua a dimenticare, potesse almeno imparare a vomitare una volta per tutte. Non chiede tanto, anche una modesta bradicardia sinusale potrebbe andar bene. Niente trucchi per favore. Nel centro del petto tutto prosegue senza interruzione, senza pietà per lui intento a scavare. Fosse solo un pompaggio si potrebbe sabotare, si potrebbe infilare un bel bastone di un metro nel meccanismo, magari servisse, non serve. Quello che gli duole più del resto allora è la frase che sente ripetere in continuazione, si andrà avanti comunque, con o senza di lui, bella consolazione.

Fabio emidi si è laureato in Lettere con una tesi su “malattie e malati nella Letteratura italiana Contemporanea”. Vive e risiede a roma.

ettore tomas è nato in provincia di napoli nel 1979 e vive a Sasso marconi (BO). dopo una maturità scientifica e una laurea presso l’accademia di Belle arti in decorazione, si è specializzato in Grafica. dal 2003 partecipa a mostre, concorsi, progetti, mail art in italia e all’estero. tra le più recenti: nel 2010 presentazione del corto “micro il circo”, Future Film Festival (Palazzo re enzo, Bologna) con il quale ha partecipato al Lucas Film Festival di Francoforte; partecipazione al progetto e al catalogo “4OUr”, the Screamer Company (austin, texas); 3° Classificato a Fabbricanti di libri, (Lecce). nel 2011: mostra personale “disegni (e non solo)” a cura di Lamberto Caravita (Galleria arteincontro, Conselice - ra); partecipazione alla manifestazione e catalogo “Use a book” - iV Festival del libro d’artista e delle piccole edizioni, a cura di elisa Pellacani (Barcellona); partecipazione al progetto ìart=Start+î a cura di Ko de Jonge (middelburg, Olanda); partecipazione a “Poesy” Pavilion dentrofuoribiennale, a cura di G. dalio (Venezia) nel 2012: partecipazione al progetto “acquario verde: morte e rinascita dopo il ghetto” e all’esposizione internazionale di libri d’artista ispirati a libri della Casa editrice Giuntina (Firenze) a cura di maddalena Castegnaro ed enrico rapinese (Brindisi). attualmente è impiegato come insegnante di arte e immagine presso una scuola media statale.

A pagina 33: Ettore Tomas, Senza titolo, 2012, disegno a mano libera ed elab. digitale

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Non si sarebbe mai sposato, ma ogni martedì

avrebbe chiesto della stessa massaggiatrice

in un centro benessere asiatico, arrivando a scambiarlo per amore

Andrea Abbati

TImELINE05

Marco suonava la batteria. Nel giro di cinque anni si sarebbe sparato un colpo in testa.Luca avrebbe accettato il lavoro a Cork. La sua Gibson l’avrebbe suonata soltanto di sera, senza amplificarla. A dispetto delle sue stesse previsioni, si sarebbe trovato con molti più soldi di quanti sia possibile spenderne in una vita. Non si sarebbe mai sposato, ma ogni martedì avrebbe chiesto della stessa massaggiatrice in un centro benessere asiatico, arrivando a scambiarlo per amore.Agata era l’unica tra noi ad avere talento. Suonava il pianoforte facendolo sembrare un gesto elementare, da compiere distrattamente. Si sarebbe dimenticata di tutti noi. All’inizio avrebbe mandato una cartolina dal Tibet, una dall’Indonesia, ma dopo qualche anno ci saremmo accorti che non avevamo più sue notizie da mesi. Sarebbe morta assiderata in un ghiacciaio, o sperimentando un nuovo allucinogeno. Sarebbe stata morsa da uno scorpione nel tentativo di attraversare a piedi la Death Valley in pieno giorno. Si sarebbe spezzata il collo facendo stage diving durante un concerto dei Pearl Jam. Noi non lo avremmo mai saputo.Beatrice avrebbe abbandonato il basso e le sue teorie anticlericali e avrebbe marciato verso l’altare con un abito molto bianco. Metà dei presenti avrebbe

Matteo Salsi (Grozni), Castelli, 2013

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soffocato una risata e l’altra metà non ne avrebbe capito il perché. Si sarebbe fatta cancellare quel tatuaggio e avrebbe cresciuto quattro figli. A nessuno di loro avrebbe dato uno dei nostri nomi.Questo, comunque, sarebbe successo dopo. Prima avremmo continuato a suonare insieme, ogni giovedì dalle nove alle undici. Le ragazze avrebbero mentito ancora a lungo, paragonando la mia voce a quella di Eddie Vedder.

Sono le sei e dodici del mattino, quando ricevo una telefonata. Il funerale di Marco è oggi alla Chiesa del Sacro Cuore. Arrivo dieci minuti più tardi rispetto all’orario indicato e resto in piedi in fondo alla navata. Quando entro in chiesa non mi faccio il segno della croce. Alla fine della cerimonia aspetto Beatrice per ringraziarla di avermi chiamato. Agata è in piedi dall’altra parte del piazzale, fuma una sigaretta e ha l’aria di aspettare qualcuno. La osservo a lungo, perché mi sembra che non sia cambiata, ma qualcosa non torna. È come guardare il falso di un Caravaggio. Beatrice mi racconta che ora fa l’insegnante di sostegno: ogni anno, da giugno a settembre, parte per il Venezuela con un’associazione di volontariato. Probabilmente si tratta di suore laiche, ma Beatrice non è sicura di aver capito bene. Luca non è venuto. È tornato in Italia, ha ereditato il salumificio del padre e ha una figlia che si è appena iscritta a medicina.«Perché non mi hai chiesto che cosa è successo a Marco?», mi domanda Beatrice.«Perché temo che il come sia peggio del cosa», rispondo.«Ha avuto un infarto dopo aver sollevato centoventi chili in palestra», dice lei. Poi scoppia a ridere, ma è un’esplosione contenuta. Io mi faccio sentire, invece. Qualcuno se ne accorge e pensa tra sé che io non abbia il minimo rispetto, ma Agata sorride e mi fa un cenno con la mano, dall’altra parte del piazzale.C’è un uomo che spinge un passeggino. L’uomo è piuttosto alto, il passeggino è blu. Si ferma a pochi passi da Beatrice, la bacia sulle labbra e le dice che deve assolutamente tornare al lavoro. Gli dispiace, ma sono arrivati i coreani. Lei sorride e risponde che non c’è problema. Poi l’uomo si accorge di me e mi porge la mano. Si scusa ancora paio di volte, prima di andarsene. Guardo il bambino che dorme in una posizione un po’ ridicola, con la testa piegata su un lato, ma

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sospesa come si sforzasse a non toccare la spalla.«È tuo figlio?», chiedo, come se la somiglianza non fosse sufficiente a delineare il legame.«Sì, lui è Michele. È il più piccolo, quindi è il mio preferito. Mio marito dice che gli altri se ne accorgeranno e che non è giusto, ma la vita è scorretta, no? Meglio che lo capiscano in fretta.»«Quanti figli avete?»«Tre.»«Tre», ripeto. Nella mia bocca questo numero sa un po’ di sconfitta.La saluto. Improvvisamente ho voglia di andarmene, perché questa è una scena di troppo. È come aggiungere una didascalia dopo i titoli di coda. Se non viene fatto a regola d’arte, il film è completamente rovinato.«Ehi, Eddie!»Mi volto, la guardo.«Non l’ho ancora detto a nessuno, non è molto che l’ho scoperto. A ottobre saranno quattro.»Sorrido e le chiedo di farmi un favore.«Se sarà un maschio, non chiamarlo Marco.»«Non ci penso nemmeno.»

andrea abbati è nato nel febbraio del 1983 a Parma. Una manciata di anni dopo si è laureato in Scienze naturali, anche se ora non ricorda più perché.

matteo Salsi (Grozni) è nato nel novembre 1981 a Parma.  da poco sta imparando a disegnare da poco e ama costruire cose da sempre. Odia qualsiasi cosa materiale, intellettuale, culturale e spirituale che possa far credere a una persona di essere superiore ad un’altra. Fa l’architetto, prova a fare l’illustratore ma, soprattutto, è un artigiano che disegna e realizza oggetti costruiti con materiale povero e di recupero. illustrazioni: www.flickr.com/photos/grozni - Oggetti:  www.grozni5.wordpress.com - Octopus Lab Project:  www.octopuslabproject.wordpress.com

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Tu mi hai baciato. Tu. Mi sono morso la lingua

come un fesso, mi girava la testa

ma non te l’ho detto. Avrei potuto legarti

e succhiarti come una pesca. E invece non ho fatto niente

Stefania Arru

UNA NOTTE SENZA ILLUSIONI

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Quel bacio mi rimbomba in testa, mi hai scritto.Chissà come sono stati, per te, questi giorni. Ti sarai chiesta: come mai non risponde, dove ho sbagliato? O magari hai lasciato perdere. Uno in più, uno in meno, uno dei tanti, che ti cambia?Toglimi una curiosità, Paola. Come fa un bacio a rimbombarti in testa? È una cosa che non riesco davvero a immaginarmi. M’avessi scritto: penso spesso a quel bacio o vorrei rivederti, ci avrei riflettuto con un po’ più di affetto ma forse è stato solo un pretesto. Un pretesto per sentirmi, un pretesto ridicolo, per niente autentico. Io sono per la chiarezza. Mi sembrava di avertelo detto.E poi non sopporto di ricevere messaggi di notte. Questo però non potevi saperlo. Lo squillo del messaggio, quello sì che mi rimbomba in testa dato che non ho il sonno buono e allora leggo subito e dopo che ho letto divento nervoso. Mi scrivete tutte di notte. Si pensa meglio di notte? Oppure vi concedete un piccola trasgressione mentre il vostro compagno russa beato? (Non è il tuo caso Paola, non te la prendere.)Eppure questa volta sembrava bello. Va bene, ho iniziato io, bisogna ammetterlo. Ti ho toccato, certo, ma non posso limitarmi a guardarti: il mio mestiere è di

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insegnarti a nuotare. E anche se ti ho chiesto il numero non credo di essere stato meno professionale. Te lo do solo se te lo scrivi sul braccio, hai detto. E perché, ho domandato. Perché se non si cancella significa che devi chiamarmi, hai risposto. Poi sei scoppiata a ridere come una scema (non ti offendere, ti prego). Che strana, ho pensato quando sono andato nello spogliatoio per segnare il numero sul cellulare. I giochi mi piacciono ma non sono mica uno stupido e ti ho fatto uno squillo.Hai custodito il mio numero sino alla fine. (Ho tentato di venderti altre cinque lezioni, ma non ci sono riuscito. Hai rinunciato perché non hai abbastanza soldi per un altro pacchetto, ma io ti avrei aiutato anche se non è vero che non sai nuotare, sei solo pigra. Un po’ mi seccava perderti, mi faceva un certo effetto vedere le tue gambe che combattevano nell’acqua e i tuoi occhi scuri sempre sul punto di prendermi in giro.) Poi, nel pomeriggio, dopo l’ultima lezione, mi hai cercato. Ci siamo incontrati dalle tue parti per una birra, che poi sono diventate due, tre, più l’amaro (bevi troppo, Paola), abbiamo parlato tanto, sembravi felice. Ti ho proposto l’ultima sigaretta, davanti a casa tua. Sì, però non in macchina, hai detto, fumiamocela all’aria aperta. Siamo andati verso il portone, hai aperto e siamo entrati in un cortile. Ci siamo seduti sul gradino delle scale, sotto la tua finestra. Una sigaretta dietro l’altra, altroché (assieme potremmo rovinarci, Paola). Poi siamo entrati in casa, mi hai fatto strada in camera tua, il letto sfatto, vestiti ovunque, libri per terra, cenere, trucchi e penne sulla scrivania. Ora ti faccio muovere, hai detto mentre accendevi il computer. Oh, no no, non so ballare ma ti guardo. Ti agitavi nel casino, tenendo il passo di quella musica assurda, mai sentita, eri seria, serissima, sembravi una strega e mi guardavi severa, poi hai preso un foulard rosso e mi hai attirato. Eravamo vicini. Nello stomaco sentivo una fitta e trattenevo il respiro. Tu mi hai baciato. Tu. Mi sono morso la lingua come un fesso, mi girava la testa ma non te l’ho detto. Avrei potuto legarti e succhiarti come una pesca. E invece non ho fatto niente. Non sono nemmeno riuscito a schiudere le labbra. Non raccontarmi, ti prego, che quel bacio ha significato per te chissà che cosa. Volevi di più, Paola. Tutto e subito come una ragazzetta viziata. Volevi una cosa

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veloce, da dormirci subito sopra. E volevi dormire insieme a me. Ma io preferisco la notte senza illusioni, i battiti del cuore svaniscono presto e mi danno una gran pena. Anche per questo non ti ho risposto, Paola.

Stefania arru è nata ad alghero (SS) il 9 settembre 1983 e vive a milano. nel 2010 ha collaborato con rita Correddu per il progetto “trentacinquemetri circa” in occasione della i Biennale di arte pubblica di Carugate (mi). nel 2011 viene ammessa alla Bottega di narrazione (gennaio-dicembre 2011, milano), a cura di Giulio mozzi e Gabriele dadati, con il progetto “Via nazionale”. il libro è in corso d’opera.

ettore tomas è nato in provincia di napoli nel 1979 e vive a Sasso marconi (BO). dopo una maturità scientifica e una laurea presso l’accademia di Belle arti in decorazione, si è specializzato in Grafica. dal 2003 partecipa a mostre, concorsi, progetti, mail art in italia e all’estero. tra le più recenti: nel 2010 presentazione del corto “micro il circo”, Future Film Festival (Palazzo re enzo, Bologna) con il quale ha partecipato al Lucas Film Festival di Francoforte; partecipazione al progetto e al catalogo “4OUr”, the Screamer Company (austin, texas); 3° Classificato a Fabbricanti di libri, (Lecce). nel 2011: mostra personale “disegni (e non solo)” a cura di Lamberto Caravita (Galleria arteincontro, Conselice - ra); partecipazione alla manifestazione e catalogo “Use a book” - iV Festival del libro d’artista e delle piccole edizioni, a cura di elisa Pellacani (Barcellona); partecipazione al progetto ìart=Start+î a cura di Ko de Jonge (middelburg, Olanda); partecipazione a “Poesy” Pavilion dentrofuoribiennale, a cura di G. dalio (Venezia) nel 2012: partecipazione al progetto “acquario verde: morte e rinascita dopo il ghetto” e all’esposizione internazionale di libri d’artista ispirati a libri della Casa editrice Giuntina (Firenze) a cura di maddalena Castegnaro ed enrico rapinese (Brindisi). attualmente è impiegato come insegnante di arte e immagine presso una scuola media statale.

A pagina 36: Ettore Tomas, Senza titolo, 2012, disegno a mano libera ed elab. digitale

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marco Petrella è nato e vive a roma, dove gira con una vespa d’epoca. illustratore e disegnatore di fumetti, ha collaborato con vari quotidiani e testate, ma sopratutto con “L’Unità” dove il venerdì, sulla pagina dei libri, recensisce romanzi attraverso una striscia disegnata. nel 2004 illustra per Salani il libro “Koatti”, di aquilino, comparso nella collana istrici. È del 2007 la pubblicazione per mattioli 1885 di “racconti per ascensore”, ventisette racconti inediti di Jonathan Lethem, aimée Bender, rick moody, maurizio maggiani e altri. nel giugno 2013 raccoglie una selezione delle strip di arturo nel libro di Clichy editore “Stripbook”, con la prefazione di Jonathan Lethem.

(1)marCO PetreLLa © per gentile concessione

non abitiamo più qui, andre dubus, mattioli 1885dicembre 2009

(2)marCO PetreLLa © per gentile concessione

Voci dalla Luna, andre dubus, mattioli 1885maggio 2011

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Fotografia d’autore - Allegra Martin, dalla serie Teatri anatomici, 2013 © Allegra Martin, per gentile concessione

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L’EDUCAZIONE SENTImENTALE

Armando minuz

in memoria di Lou Reed

I cattivi maestri. Ma non quei cattivi maestri elevati a spauracchio dai soliti vecchi culi flaccidi dei salottini tv, delle deprimenti pagine dei tristi quotidiani, delle sciatte e umilianti trasmissioni tv o reality show che di “reale” hanno solo il ruolo chiave nel costruire, minuto dopo minuto, la nuova ignoranza di massa. Rivoglio i cattivi maestri, beceri e bene-detti, che si facevano di eroina. Quelli che raccontavano di puttane e lettera-tura, e pompini nei vicoli, e travestiti, e gloria e disperazione abbracciate (o avvinghiate) insieme, ognuna attacca-ta alla vita costi quel che costi, con una rabbia tanto forte da somigliare ambi-guamente all’amore. I cattivi maestri

I’d like to send this one out for Lou and Rachel

and all the kids and P.S. 192Man, I’d swear, I’d give the

whole thing up for you

Lou Reed,Coney Island baby

che si infilavano nel più profondo buco dell’inferno per risorgere portando an-che solo una parola, un verso, che sem-brava scritto apposta per noi, troppo vero per essere mistificato. E una volta riapparsi, coperti di merda e fango e oro quel verso te lo regalavano, con una nobiltà che stonava con i visi asciutti, i modi ruvidi. Per noi, esseri drammati-camente incompleti e avidi di bellezza, erano brividi sulla pelle, palpiti e la-crime che ti ricordavano che eri vivo e splendevi, e così il tuo cuore. Insomma, senza girarci troppo attorno se n’è anda-to Lou Reed, un compagno che ho tenu-to con me fin da adolescente, sempre un suo verso in bocca, a invadermi il cuore

Fotografia d’autore - Allegra Martin, dalla serie Teatri anatomici, 2013 © Allegra Martin, per gentile concessione

Fotografia d’autore - Allegra Martin, dalla serie Teatri anatomici, 2013 © Allegra Martin, per gentile concessione

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e la pancia o un angolo della mente. Ne scrivo ora con un mezzo whisky sulla scrivania, qualche suo disco, una vec-chia edizione di Fra pensiero ed espres-sione, per leggere e rileggere qualcosa di suo, incontrarlo di nuovo fra quelle pa-gine, come ci siamo incontrati per anni. E se mai la morte servisse a qualcosa, io questa volta accetterei il patto sociale, nefasto e ipocrita, che fa di ogni artista morto un santino (altrettanto morto, ma alla gente sembra piaccia così). Ca-valcherei per una volta questo imbro-glio fino al parossismo, fino a fomentare una microrivoluzione, fino a costringe-re qualche incosciente ministro della Pubblica Ignoranza a passare i testi e le poesie di Lou Reed a scuola. Lui che fu uno dei più selvaggi e più intellettuali fra gli artisti americani contemporanei, forse, lo meriterebbe più di tanti poeti laureati. Per la sua capacità di offrirsi alla bocca acuminata della bellezza, per la sua voglia di raccontarci le sue lame e le sue beatitudini, il senso di libertà che ti trasmette e la schiavitù. Senza mai un accenno a nessun tipo di morale se non quella di prendere la vita sulla pelle, senza scudi. E del resto anche un geniale e ieratico Alberto Moravia, intervistato dalla “Paris Review”, una volta dichiarò

di non essere un moralista, perché veri-tà e bellezza educano di per sé. E allora vorrei che Lou, inserito in un impro-babile programma ministeriale, inse-gnasse ai ragazzi di oggi come toccare il fondo con eleganza, come risorgere da quel fondo con altrettanta dignità, come combattere per riconquistare quella luce sempre intravista fra le ombre di una vita percorsa tutta in senso contrario. Vorrei far loro ascoltare prima Heroin, magari Candy says (nella versione che gira sul web, in duo con Antony), for-se Rock’n’roll e Venus in furs, poi Berlin, senz’altro Coney Island Baby, poi l’inte-ro disco New York, poi gli ultimi lavori, anche quelli reputati minori. Li vorrei vedere prima disorientati, forse schifati, alla peggio indifferenti. Vorrei poi os-servare la meraviglia riempire gli occhi di quei pochi o tanti che, alla fine, inizie-rebbero a capire il fascino di quella voce profonda e non sempre lirica, di quelle chitarre spesso dissonanti. Perché ho letto di recente una frase su cui ho me-ditato a lungo: perfection is perversion. Ecco, vorrei che Lou, con la sua eroina, con gli elettroshock imposti a sedici anni per “curare” la sua bisessualità, con i suoi poeti e scrittori studiati e spara-ti in vena come una droga, con le sue

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storie dedicate alla nostra parte selvag-gia, con il suo alla fine maturare come un albero cresciuto nel freddo e nella roccia (e ogni volta un disco prodotto come una pietra miliare di quel viag-gio straordinario che è stata la sua vita) salvasse qualcuno di quei ragazzi. Allo stesso modo in cui, ormai tanto tempo fa, salvò me. Che li salvasse, semplice-mente, dall’idea che tutto ciò che è clas-sico, levigato e lineare è anche giusto. Che li mettesse in guardia, soprattutto, dall’idea di purezza. Che facesse capi-re, a loro e a chi teme i cattivi maestri, che ogni educazione deve essere cattiva, perché qualsiasi crescita non può che essere contorta, sudata, impura. E tanto più lo sarà tanto più sarà autentica. Non c’è amore che insieme alle parole cele-sti dei poeti non porti con sé sperma e saliva e carne, forse lo schiocco della frusta e la ruggine di una catena. Non c’è vita che non sia peccato e, soltanto eventualmente, redenzione. Fra gli in-numerevoli capolavori fatti prima con i

armando minuz è nato a Pieve di Cadore nel 1975. in quell’anno Frank Zappa sciolse i mothers of invention e il buon dio, nella sua infinita misericordia, decise di bilanciare il Karma negativo del mondo destinando il nobel a montale e facendo nascere il piccolo armando. Per il resto non successero grandi cose. Giunto oltre i 30, vanta oggi una laurea in letteratura italiana sulla retorica e il comico nelle opere di Luigi malerba (relatore l’immenso e funambolico marzio Pieri), collaborazioni con alcune case editrici, alcuni amori e amicizie indimenticabili (molti dei quali consistenti in libri, cd, film). È il chitar-rista del miglior gruppo della storia del rock dopo gli Who. il miglior gruppo del mondo, davvero. Solo che il mondo non vuole proprio rendersene conto. il suo blog letterario è pianuraproibita.wordpress.com

allegra martin (Vittorio Veneto, 1980)- vive a lavora a milano. Si laurea in architettura presso lo iUaV di Venezia, dove studia fortografia con Guido Guidi. nel 2011 le viene commissionato un progetto fotografico sugli spazi del Welfare da parte di Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea. Suoi lavori sono stati pubblicati su “iodonna”, “atCasa”, “europaconcorsi”, “abitare Web”.

Velvet Underground e poi come solista, ce n’è uno che in questi giorni ascolte-rò molto, un concept album nato per la faticosa e sofferta elaborazione di un lutto, che si avvicina all’idea della mor-te con una delicatezza e insieme con una concretezza rara. Così serberò con me quella frase di Magic and Loss che ascoltai intorno ai vent’anni, e il cui si-gnificato non ho mai più dimenticato, monito e benedizione ondeggiante sul mio capo (non più) adolescente. Quel-la frase chiudeva, giustamente, l’intero disco, suggellava come un ultimo ba-cio un’intera storia fatta di amicizia, e sorrisi, e l’ombra di quella ineluttabile sconfitta con cui, presto o tardi, tutti dobbiamo fare i conti. All’incirca, la frase tradotta suona così: esiste un po’ di magia in ogni cosa, e poi una qualche perdita per compensare le cose. E suona terribilmente, stupendamente autenti-ca. Come tutte le parole e le sonorità che rimandano al ragazzo di Coney Island.

Illustrazione d’autore - Marco Petrella, Laura, novembre 2008 (biografia a pag. 43) © Marco Petrella, per gentile concessione

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OmNIA VINCIT AmOR

Andrea Rabaglia

O DEI RISChI SULLO SCRIVER D’AmORE

Quali rischi si celano nello scrivere d’Amore? Tanti, perché il pericolo è sempre quello di banalizzare un senti-mento tutt’altro che banale. Eppure, il rischio principale è sempre uno solo, e si lega alla sofferenza: le proprie pene d’amore. Luogo comune, quanto rea-le, è che chi scrive lo fa quando le cose vanno (o sono andate) male, perché se tutto funziona a dovere, i pensieri sono proiettati in ben altra direzione. Leopardi ce lo insegna – ma di rado si perviene a risultati anche solo lontana-mente simili.D’altro canto, c’è chi prova a ribaltarla in maniera ironica, lesinando però in autoironia, perché se si scrive parlan-

do di sé – o pensando a sé, al proprio vissuto – la tragedia è sempre dietro l’angolo.Varie, in Letteratura, le tipologie nel corso dei secoli: l’Amore Epico-Caval-leresco (Ciclo Bretone e Carolingio, con le successive riprese da parte di Boiardo, Ariosto, etc.), l’Amore Stilno-vistico (Dante e dintorni) con relativa figura della Donna-Angelo, tramite tra Terra e Cielo, il successivo Amore dalla Carnalità Gioiosamente Liberata (Decamerone su tutti), fino all’Amore Romantico e a quello Decadente.L’Amore è pericoloso, induce a com-piere azioni che nemmeno ci si sogne-rebbe: avventurose, quanto folli, proi-

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bite e perfino sacrileghe – Eva avrebbe portato Adamo a trasgredire la volontà stessa di Dio. «Amor ch’a nullo amato amar perdona»: per Paolo e Francesca, nell’Inferno dantesco, è il loro stesso Amore ad averli condannati a morte. Per quanto proibito, Virgilio ce lo in-segna: «L’Amore vince su ogni cosa». (Virgilio, Bucoliche X, 69).L’Odio è l’esatto opposto dell’Amo-re, eppure tali sentimenti convivono nell’«Odi et Amo» di Catullo, celebri versi dedicati all’amata-odiata Lesbia. La forza dell’Amore è ineffabile e, di nuovo, «anche noi cediamo all’Amo-re» (Virgilio, op. cit., id.). Quest’ambi-valenza – croce e delizia, tormento ed estasi – diverrà archetipo di una figura femminile-chiave nei secoli successivi: la femme fatale. Il rapporto attrazione/repulsione di Catullo per l’amata (ma anche di altri Poeti Elegiaci) viene così ravvivato, tra Ottocento e Novecen-to, fino a raggiungere ulteriori vette drammatiche e coloriture espressive. In questo modo otterremo i ritratti di donne bellissime e infingarde, affasci-nanti quanto spregiudicate, ma soprat-tutto diaboliche. Come Lamia, donne-

serpenti capaci di portare l’uomo alla perdizione. Lilith, Eva, Calipso, Circe, Morgana, Giuditta, Salomè, Elena di Troia, Lulù di Wedekind, Fosca di Tar-chetti, Elena Muti di D’Annunzio, Eva di Verga, Pisana di Nievo. Così come l’incantevole quanto intrigante Mila-dy, uscita dalla penna di Dumas Padre, al cui fascino non è certo insensibile D’Artagnan, che prova per lei senti-menti del tutto contrastanti. Amore e Odio, dunque, non si pongono neces-sariamente in netta contrapposizione, si compenetrano, sfumando in tonalità che dal nero-pece della Dark Lady, si stemperano fino al bianco-immacolato di un abito da sposa – sfumature di gri-gio: non necessariamente “cinquanta”, ma anche cento, mille, centomila.L’Amore, dunque, non è mai un porto del tutto sicuro, così come la scrittura: chi esclusivamente si rifugia in essa, è il più delle volte destinato a non trovarne la complicità auspicata. Perché la scrit-tura è artigianato, nel senso più nobile del termine. Va coltivata quotidiana-mente, senza fretta, corroborandola con tante, tantissime letture. Con dedizione, premura e riguardo. Come l’Amore.

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UOmINI ChE AmANO

Enrico Cantino

DONNE DI ALTRI UOmINI

Un soggettista porta a un produttore ingolfato di lavoro un manoscritto di cinquecento pagine. «Ma crede proprio ch’io non abbia di meglio da fare?» urla il produttore. «Mi riassuma la sua storia se vuole che la legga. Otto giorni dopo, il soggettista torna con il manoscritto ridotto a una cinquantina di pagine. «Riassuma, riassuma ancora, ho troppo da fare per leggermi un malloppo simi-le.» Mettendosi di buona lena, il sogget-tista riesce a condensare in cinque pagi-ne la sua storia. «Ancora troppo; troppo, troppo lungo, giovanotto.» Furibondo, il soggettista lacera allora il suo riassun-to, prende un foglio e ci scrive sopra con rabbia: “Un uomo ama una donna che

ama un altro uomo.” «Ecco la mia sto-ria» dice al produttore tendendogli il fo-glietto. «Ma non è possibile! La storia che lei racconta è, parola per parola, la stessa dei Promessi sposi.»

Questa barzelletta si può leggere a pa-gina 22 del glorioso Manuale della bar-zelletta, curato da Vezio Melegari per la Mondadori e pubblicato nel 1976. È un po’ datata, ma funziona ancora. Soprattutto, può tornare utile per un di-scorso riguardante la narrativa a sfondo sentimentale. Un uomo ama una don-na che ama un altro uomo sintetizza, servendosi di un efficace paradosso, la trama dei Promessi Sposi. Se fosse un

Illustrazione d’autore - François Berthoud, Panties, 2004 © François Berthoud, per gentile concessione

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mini-racconto – e forse lo è – racchiu-derebbe in sé tutti gli ingredienti ne-cessari per costruire un’avvincente sto-ria d’amore. Intanto servono un uomo e una donna. Magari innamorati l’uno dell’altra. Ma due persone che si amano non sono sufficienti. Per rendere inte-ressante la vicenda agli occhi di un po-tenziale lettore, serve un impedimento. Un evento che ostacoli il rapporto tra i due partner. Qualcosa che complichi la situazione. Com’è andata a finire nel ro-manzo di Manzoni, si sa. Un signorot-to vile e prepotente s’incapriccia d’una fanciulla promessa a un bravo giovane. Seguono bugie, pasticci, rapimenti e, infine, il tanto anelato sposalizio. Lo schema funziona ed è applicabile – con le opportune variazioni − ad altri tipi di narrazione. Prendete un anime giappo-nese di tipo sentimentale. Tipo Kiss me Licia. Licia, fanciulla orbata di madre, è innamorata di Satomi, zazzeruto ta-stierista di un gruppo rock emergente, i Bee Hive. Mirko, solista della forma-zione, s’innamora della ragazza la quale finisce per dirottare su di lui i propri

sentimenti. Tutto a posto? Nemmeno per sogno. L’avido e insensibile mana-ger del gruppo si intromette fra i due piccioncini. La relazione traballa, ma resiste. Inesorabile il lieto fine. È chiaro che le difficoltà, specie se all’apparenza insormontabili, costituiscono la molla narrativa per qualunque tipo di vicen-da. Da uno stato di equilibro si preci-pita infatti nel caos, per poi ripristina-re l’ordine scombussolato. I problemi possono sorgere in sede di conclusione. Perché è lì che la storia deve mostrare di possedere una buona tenuta. Una volta che Renzo e Lucia coronano il proprio sogno d’amore, il romanzo per-de di mordente. Manzoni appare come smarrito. Dà l’impressione di non sape-re cosa fare. Di fatto non riesce a gestire l’happy end, che scade nel banale con una inaspettata caduta di tensione. Il fe-nomeno, purtroppo, non è circoscritto alla cosiddetta letteratura scritta: inte-ressa anche il cinema, le serie televisive e svariate altre tipologie di narrazione. Perché il cuore ha le sue ragioni e le sue regole. Ma sono in pochi a rispettarle.

François Berthoud è nato a Le Locle , Svizzera. dopo aver terminato gli studi presso la Scuola di Graphic design a Losanna nel 1982, Berthoud va a milano, dove illustra cartoons per la “alter-alter” e fumetti per “Linus”. Le prime illustrazioni di moda sono state commissionate da anna Piaggi per “Vanity Fair” di Condé nast e da allora il suo lavoro è apparso, e appare, in molte fra le principali riviste di moda. Berthoud è riconosciuto come uno fra i più originali illustratori di moda ed è considerato uno fra i migliori direttori creativi di tutto il mondo nella produzione di immagini sul corpo femminile, che possiedono una precisione esigente intrisa d’erotismo latente. nel 2007 è tornato in Svizzera e ha aperto uno studio a Zurigo. www.francoisberthoud.com

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Fotografia d’autore - Uliano Lucas, Sesto San Giovanni (Milano), 1968 © Uliano Lucas, per gentile concessione

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Intervista a cura di Andrea Tinterri

Proviamo a riflettere sul rapporto tra parola scritta e fotografia: dalle ma-nifestazioni alla carta stampata, dal rapporto con le fonti al montaggio di un reportage. Ci incontriamo al bar Ja-maica, fa ancora molto caldo, ci sedia-mo e iniziamo a parlare. Uliano Lucas è uno dei quei pochi fotografi italiani che è riuscito a condizionare il nostro universo iconografico: solo quattro domande per iniziare a ragionare sulla sedimentazione della scrittura.

Fotografare i manifesti, i cartelli dei cortei, gli striscioni ad aprire una mani-festazione, credo significhi comunicare un linguaggio, restituire un vocabola-rio che non funziona solo come parola scritta, ma deve essere contestualizzato sul piano visivo, sono brevi narrazioni

ULIANO LUCASfotografo

che vanno viste. Come si è mosso all’in-terno dei cortei e delle parole nelle ma-nifestazioni operai e studentesche tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta?

Un corteo studentesco o operaio è possibile contestualizzarlo e immet-terlo nella storia, proprio attraverso gli slogan, le parole d’ordine e l’insie-me che si creava. C’è una differenza, a livello storico e sindacale, tra una fotografia che inquadra una scritta vogliamo le trentacinque ore e un’altra vogliamo il lavoro; passano i decenni anche se la tuta spesso è uguale. Io mi aggiravo nei cortei degli operai e degli impiegati con una forte curiosità, era un mondo composto da persone che arrivavano dal meridione, e che porta-vano all’interno della vecchia retorica,

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qualcosa di nuovo. Io ho sempre consi-derato il corteo che scendeva da Sesto San Giovanni come un grande teatro all’interno del quale c’era di tutto. Non bisognava fermarsi alla prima fila dove trovavi la retorica sindacale; tre file in-dietro c’era già una decina di donne che cantavano, ballavano, si ricorreva-no, si confidavano, con i loro cartelli i loro tamburi e, soprattutto, guardava-no stupite le strade e i palazzi. Quello che mi colpiva è che molte di queste persone non avevano mai visto la cit-tà. Non avevano mai camminato in corso Venezia, c’era lo stupore di una Milano che non avevano mai frequen-tato, che non avevano mai guardato. All’interno di tutto questo trovavi chi si era mascherato, chi si era travesti-to da Agnelli chi da Pirelli, chi da pa-drone. Il problema era quello di dare una rappresentazione a questo mondo, una nuova rappresentazione di un pa-norama che nessuno conosceva. E non poteva essere la foto dei vecchi gior-nali della sinistra con l’operaio in tuta sporco. Perché lì dentro c’era una gioia e una felicità di partecipare che a me ha sempre coinvolto e appassionato. Tutto questo mondo iniziava a conqui-stare la propria libertà. Io sono sempre

entrato all’interno delle situazioni che fotografavo, alla domenica andavo a mangiare nelle loro case, e fotografa-vo queste abitazioni povere, le cascine di Rho dignitose nella loro sobrietà. Questo ha significato un pedinamen-to: capire cosa facevano la sera, andare al bar sport insieme, partecipare alle riunioni sindacali, alle riunioni cultu-rali, partecipare alla loro vita.

E le scritte sui muri? Anche queste codi-ficano un preciso tipo di linguaggio, ma diverso da quella delle manifestazione, perché statico: un’occupazione linguisti-ca urbana. Mi viene in mente ad esem-pio la fotografia che ritrae un muro a Sesto San Giovanni nel 1968 con la scritta “Il Vietnam è in fabbrica”. Se nelle manifestazioni il suo gesto era un atto di scrittura, in questo caso invece mi sentirei di paragonarlo ad un’attenta lettura. Come guardava e come guarda, tutt’ora, a quei segni?

Un segno forte, quella foto “Il Vietnam è in fabbrica”, probabilmente all’epoca esercitava un notevole impatto emoti-vo. Uno che alle sei del mattino andava a lavorare, quelle parole le aveva den-tro, anche perché il Vietnam era una

Fotografia d’autore - Uliano Lucas, Quarto Oggiaro, Milano, 1989 c. © Uliano Lucas, per gentile concessione

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discussione molto aperta. Però mi sono accorto dell’importanza di quella foto-grafia, come di tante altre, dopo anni: una tale forza e una tale secchezza ri-escono a riassumere le contraddizioni interne, la storia è dentro di me perché entro in un luogo che è una catena di montaggio talmente alienante che ho bisogno di eroina. Nei primi anni Set-tanta in fabbrica circolava tanta eroina nel silenzio generale. Uno slogan forte e preciso, era il tentativo di individua-re una parola. Oggi qualsiasi persona che voglia parlare di quel periodo deve passare per quella foto. Ma la scritta sui muri mi ha sempre interessato, nel ’62-’63 avevo iniziato un lungo lavoro sui muri che parlavano. Avevo foto-grafato una serie di scritte, ancora fatte con la calce, con le parole d’ordine del movimento politico di quegli anni e avevo continuato documentando tutto quello che una persona poteva scrivere su un muro. Quindi rivendicazioni di tutti i tipi, sindacali, sessuali, d’amore, testi di canzoni. Erano le parole di una Milano ancora molto provinciale che a me interessava capire.

Dalla scrittura “spontanea” a quella isti-tuzionale. Affrontiamo uno dei problemi

del rapporto tra fotografia e parola scrit-ta nell’ambito del giornalismo (italiano). Perché, secondo lei, spesso il racconto per immagini è stato, ed è ancora, subordi-nato al testo scritto?

Questo è vero. Devi pensare come na-sce il fotogiornalismo in Italia. Abbia-mo avuto un grande problema di cui subiamo ancora le conseguenze che è stato il fascismo. Nel senso che il fasci-smo ci ha emarginati dalla grande sto-ria europea e americana, il nostro era uno stato autarchico con la fotografia dell’Istituto Luce e il cinema dei telefo-no bianchi. I giornali erano controllati dal potere e quindi si potevano pub-blicare solo un certo tipo di immagini. Oltre a questo bisogna anche conside-rare che tutto il nostro Novecento si basa sulla scrittura. Il giornalismo, so-prattutto quello dei quotidiani, è desti-nato alle classi alte. E questo permette anche di capire il boom dei rotocalchi nel secondo dopoguerra. Una scrittu-ra e una fotografia nazional popolare. Ma siccome i rotocalchi erano gestiti, diretti e ideati da intellettuali presta-ti al giornalismo la loro struttura era modellata sull’intreccio della tragedia greca. L’Italia era assetata di notizie,

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ma la fotografia doveva semplicemen-te comprovare la fonte scritta e questa tradizione è continuata nel tempo. Non si è aperta la strada alla nascita del reportage e quindi della grande narrazione. Neanche sulle pagine di “Epoca” è avvenuta questa trasforma-zione. Questo perché la maggior parte dei fotografi che svolge la professione nasceva dal mondo fotoamatoriale. E la cultura italiana dell’immagine è da fotoamatore. Quindi un insieme di contraddizioni per cui la parola scrit-ta ha impedito lo sviluppo di altri lin-guaggi.

Ultima sollecitazione: dalla teoria alla pratica. Come avviene la costruzione di un racconto per immagini? Nel momen-to successivo allo scatto, nel momento in cui il materiale fotografico in suo possesso deve restituire la sua idea poli-tica, cosa succede in fase di montaggio? Esiste un problema di sintesi?

Già quando sei dentro il reportage devi avere l’idea di come costruire la narrazione. Il reportage lo costruisci attraverso un insieme di notizie. Ti faccio un esempio: Quarto Oggiaro è un quartiere di Milano che oggi con-ta sessantamila abitanti. Negli anni

Settanta era considerato il Bronx del-la città. È un quartiere che ha subi-to delle trasformazioni profonde, da quartiere della malavita oggi è fre-quentato dalla piccola borghesia della città. Quindi, prima di affrontare quel quartiere, è necessario documentar-si, avere dei punti di riferimento sul territorio, instaurare dei rapporti: co-struisci il racconto con dieci, quindi-ci, venti persone. Se arrivi a Quarto Oggiaro o allo Zen di Palermo e con un teleobiettivo fotografi i palazzi non fai nulla, non realizzi niente. Se invece tu sali le scale di queste case popolari comprate dagli ex operai e ora diventati padroncini, ti accor-gi che invece di Esposito o Gennaro sul campanello ci sono i nomi sono Mustafa o Ibrahim. Ecco quella è la trasformazione, hai la percezione che questo quartiere si è nuovamente tra-sformato dopo l’arrivo di un nuovo flusso migratorio, diverso da quello meridionale. Il montaggio non credo possa comprendere più di quindici o sedici fotografie. Deve costruire un percorso con fotografie aperte a qual-siasi dubbio, cioè non esiste la verità, esiste la lettura di un fotografo, nel mio caso libertario, che va in un luo-

Fotografia d’autore - Uliano Lucas, Corteo degli operai Alfa Romeo, Milano, 21 gennaio 1972 © Uliano Lucas, per gentile concessione

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Uliano Lucas è un Fotoreporter, nato a milano nel 1942. Formatosi giovanissimo nell’ambiente di Brera e del bar Jamaica, luogo di artisti, giornalisti e fotografi della milano anni ’60, ha collaborato, sempre da freelance, con settimanali e quotidiani italiani ed esteri, realizzando reportage che vanno dalla cronaca al documento politico e sociale. Come inviato ha seguito per anni la decolonizzazione dell’africa e le guerre di liberazione in angola, Guinea Bissau, mozambico ed eritrea, ha documentato la realtà del medio Oriente, la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia, la vita degli emigranti in europa, la contestazione studentesca, gli anni del terrorismo, il mondo del lavoro e le sue trasformazioni. È autore di numerosi libri, tra cui ricordiamo: “Guinea Bissau. Una rivoluzione africana” (1970), “Cinque anni a milano” (1973), “emigranti in europa” (1977), “Uliano Lucas reporter” (1983), “nel cuore dell’africa” (1987), “Vivere a Ponente” (1989), “Fotografie perdute e ritrovate. Via Brera e dintorni 1963-1965” (1997), “La storia, le storie. i centri di salute mentale in Puglia” (1998), “Lavoro-Lavori” (2000), “altri sguardi. immagini della follia fra memoria e progetto” (2001), “donne di questo mondo” (2003), “La vita e nient’altro” (2004), “Percorsi” (2005), “negli occhi del lavoro” (2007), “La città all’Ovest” (2007), “Scritto sull’acqua” (2007), “andare, vedere, sentire, ricordare” (2010), “Uliano Lucas” (2010). direttore de “L’immagine dell’illustrazione italiana” dal 1982 al 1986, del mensile “tempo” nel 1985 e del bimestrale “azimut” dal 1980 al 1986, si è occupato di svariati progetti editoriali, ideando e curando collane di libri fotografici, monografie di autori, storie fotografiche d’italia, tra cui l’”annale einaudi Storia d’italia – L’immagine fotografica 1945-2000” (2004), “il fotogiornalismo in italia. Linee di tendenza e percorsi 1945 -2005” (2005) e “Sessantotto – Un anno di confine” (2008). www.ulianolucas.it

go a fotografare vivendo con la gente e attraverso questo scambio continuo e questa curiosità tu costruisci una narrazione. Tutto questo però è fil-trato dalla propria storia, dalle pro-

prie letture da altre immagini viste, l’innesto del tuo modo di vedere. La fotografia è un continuo rimando culturale che deve essere capito, la fo-tografia ha questa forza.

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ma Che COSa È QUeSt’amOre?, achille Campanile, 1924

Alle 7 del mattino, Carl’Alberto entrò nella stazione di Roma e gridò:«Facchino!»Un facchino si voltò risentito.«Dice a me?» fece. «Facchino sarà lei.»«Ma non è lei che porta i bagagli?»«Ah, è per i bagagli? Credevo che m’insultasse.»«Ma le pare?»Il facchino l’accompagnò al treno di Napoli.«Veramente» osservò il giovane «io debbo andare a Firenze.»«Salga!» disse il facchino.«Sempre prepotenze,» mormorò Carl’Alberto prendendo posto nel treno di Napoli. «Bisogna far sempre come vogliono loro.»

Il celeberrimo facchino sarà lei dell’incipit lascia presagire che Ma che cosa è quest’amore? possa anche non essere un romanzo d’amore tradizionale. La domanda perfidamente insinuata dal titolo rimane sostanzialmente inevasa. Rimanendo in ambito ferroviario, la scrittura di Achille Campanile si comporta come un treno. Basta pochissimo e all’improvviso devia in direzione dell’assurdo, del nonsenso. Spiazzando il viaggiatore che, tutto sommato, non può evitare di riderne, contrariamente a quanto accade nella vita di tutti i giorni. Il romanzo è una parodia garbata e sottile, giocata sull’accumulo di gag verbali e situazioni paradossali. Campanile rovescia la realtà decostruendo il linguaggio, attribuendo alle parole significati eccentrici. La storia d’amore fra Carl’Alberto, giovane dal nome impegnativo e pomposo, e Lucy è del tutto fuorviante. L’autore la utilizza come pretesto per immergere il lettore nel suo universo folle, popolato di innamorati costretti a incontrarsi alla stazione per aggirare l’opposizione dei loro famigliari e di decrepiti cavalli parlanti che dubitano di poter ancora svolgere il proprio lavoro.Il finale, che non vi svelo, è ovviamente inaspettato e in linea con la verve di Campanile.La sventurata rispose. Lo sventurato, forse.

Enrico Cantino

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L’aUtOma, alberto moravia, 1962

L’automa di Alberto Moravia è una raccolta di quarantuno racconti brevi popolati di automi. Personaggi – non persone – le cui azioni e le cui parole hanno un sapore fastidiosamente meccanico anche da un punto di vista sentimentale. Ognuno di loro è straniero a se stesso in un ambiente che non conosce o che credeva di conoscere. E porta avanti la propria esistenza senza un briciolo di convinzione, sempre pronto a tornare sulle proprie indecisioni. Sofia reagisce con un rifiuto psicosomatico alle rivelazioni dell’amica Cecilia circa il tradimento del marito. Sergio scopre di avere una moglie adultera in maniera drammaticamente macabra. Silvio vorrebbe liberarsi di una donna piccola e gelosa, ma alla fine finisce per tenersela. Leonora, pressata da una famiglia insensibile finisce per accettare un matri-monio di convenienza. Alina approfitta di una battuta del marito per confessargli che non ha mai sopportato i suoi scherzi. Claudio, scam-biato da una vecchia per l’uomo che ne ha fatto soffrire atrocemente la figlia, non fa nulla per dissuaderla. Sergio costringe Giorgia a ri-vivere come in una recita il momento in cui si sono conosciuti, nella speranza che possa rinascere qualcosa. Sono alcune delle situazioni descritte nelle vicende di questa raccolta. Molte di esse riguardano i rapporti di coppia. Che Moravia mostra impietosamente a partire dal momento preciso in cui tutto si guasta, generando in entram-bi la consapevolezza che nulla sarà più come prima. Il suo lucido e spietato bisturi disseziona sentimenti e psicologie, soffermandosi in particolare sugli aspetti patologici o per meglio dire maniacali della relazione. Nonostante questo, la scrittura si mantiene pulita. Non una parola di troppo. Nessuna sbavatura. Ciascuna storia contiene tutto quello che serve. E la sicurezza del suo stile deriva anche dalla profonda conoscenza degli ambienti sociali descritti. Il tutto senza formulare alcun giudizio di tipo morale, per lo meno esplicitamente. In questi racconti Moravia si comporta come uno scienziato intento a scrutare un vetrino da microscopio. Lasciando però trapelare un algido compiacimento da voyeur. Se fosse un quadro, potremmo in-titolarlo La voluttà del mal essere.

Enrico Cantino

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BLUe VaLentine, regia di derek Cianfrance, 2010

Avevamo promesse da mantenere, non ci siamo riusciti e per rimediare ora le sostituiamo con altre,

più piccole, fingendo che questo non sia barare.

È arrivato nelle sale italiane, quasi tre anni dopo l’uscita statunitense e le Lodi del Sundance Film Festival, un piccolo film che racconta una piccola storia, la storia più piccola che ci sia: quella di due per-sone e del loro amore, improvviso, violento e bellissimo, messo alla prova e sconfitto dal tempo e dalle circostanze. È arrivato il giorno di San Valentino come un regalo audace, come una fotografia che evidenzia ogni più piccolo difetto.Blue Valentine è la descrizione pulita ed esatta, la narrazione schietta di un incubo, del buco nero che inevitabilmente si crea quando un amore finisce. La voragine che inghiotte ogni cosa e ogni persona (amici, genitori, figli) e che non lascia spazio per ricordare, ener-gia per appellarsi alle promesse, tempo per pensare a quando era possibile fare qualsiasi cosa, sopportare qualsiasi cosa in nome di quell’amore che sembrava gratis e che, invece, a tradimento, presenta un conto troppo alto per poter essere saldato.Ispirato al divorzio dei genitori del regista Derek Cianfrance, inter-rotto a causa della scomparsa di Heath Ledger (ex-compagno della protagonista Michelle Williams), Blue Valentine sembra essersi nu-trito di un dolore che non appartiene al mondo della finzione e ri-produce un’aspra verità a cui spesso il cinema americano preferisce una versione più patinata.Con intensità e ispirazione, con ferocia e delicatezza, senza un vero script e senza artifici, Ryan Gosling e Michelle Williams raccontano tutte le stagioni di un amore destinato a non durare per sempre.Come quando ci capita di arrivare nei pressi di un incidente e non vorremmo guardare, eppure guardiamo, così noi assistiamo alla vita di Dean e Cindy. Attirati dal realismo, dall’assenza di poetica, dalla loro assoluta imperfezione, dalla fallibilità. Non vorremmo guardare, eppure guardiamo e fingiamo di non aver paura che capiti anche a noi.

Carlotta Fiore

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LOVe WiLL tear US aPart, Joy division, 1980 (single)

Nell’aprile del 1980 esce il singolo Love will tear us apart, poco dopo la morte di Ian Curtis, il cantante dei Joy Division. Questa canzone assu-me immediatamente la forma di un testamento, di un breve e contorto addio non solo di un uomo ma anche di un gruppo che appena un anno prima, con il loro primo album Unknown Pleasure, rompeva tutti gli schemi delle formule algebriche del rock e del pop. Separare i suoni, ecco quello che si stava cercando. Soffocare. Eliminare. Per poi mettere ciò che rimaneva in uno spazio vuoto, industriale, di orwelliana me-moria. Martin Hannett, il produttore della Factory Records, catturò la spazialità dei Joy Division, proiettandola in un ologramma esistenziali-sta di suoni dal forte impatto emotivo. Ma per Ian Curtis le “cose” tra la mente e il cuore non erano così lineari. Confuso dai sensi di colpa che spesso lo assalivano e ossessionato dalla ricerca del taglio disumano della società, diventa ben presto e inconsapevolmente, lo specchio che rifletteva i problemi e le angosce di quel tempo. Proprio qui, le rela-zioni tra gli elementi della sua vita iniziano a vacillare: il matrimonio in crisi, l’adulterio confuso e ingordo, la droga, la malattia. Love will tear us apart arriva proprio alla fine di questo desolato viaggio. Come in un corto circuito: un amore che finisce, la musica che si spegne, la rottura degli schemi che, improvvisamente, naufraga. «L’amore ci farà a pezzi», dice. In questo brano Curtis suona la chitarra e canta, sospeso tra il synth e il basso che occupa i riff. Racconta di ambizioni passate, di speranze svanite col passare del tempo, di emozioni che lentamente si spengono e della disperazione che inesorabile manipola tutte le cose belle. Mente e cuore, feriti e vulnerabili, si abbandonano all’incomuni-cabilità, quella malsana di Ballard, al silenzio, alla lontananza. Appena dopo l’uscita del singolo, Love will tear us apart scala le classifiche e arriva al 13° posto nelle charts inglesi. In quel momento il brano di-venta commerciale, si scarica di tutta la sua intimità e i Joy Division finiscono qui, senza via d’uscita. Anche io, come Simon Reynolds nella sua “bibbia” del Post-Punk, ripensando alla copertina ideata da Peter Saville per Unknown Pleasure, mi chiedo se Ian Curtis possa essere pa-ragonato a un Pulsar, un corpo elettromagnetico che appartiene a una classe di astri noti come stelle “misantropiche” o “isolate”. Penso di si: ce l’ha detto fra le pieghe della sua voce profonda.

Federica Pasqualetti

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La rivista letteraria semestrale “La Luna di traverso”, edita dalla Casa editrice monte Università Parma e dall’associazione Culturale a.p.s. “Lunatici”, condivisa e supportata dall’assessorato alla Cultura del Comune di Parma, bandisce per l’edizione n°35:

tema deL COnCOrSO il nuovo tema dell’edizione n°35 de “La Luna di traverso” è Interno notte. nient’altro che un dove e un quando. il resto è la storia che deve ancora essere raccontata.

art. 1 – reQUiSiti Per La ParteCiPaZiOne il bando è rivolto a giovani autori operanti nei settori della narrativa, della Fotografia, dell’illustrazione e del Fumetto residenti, domi-ciliati, studenti o lavoratori nel territorio nazionale. Si richiede materiale inedito, in lingua italiana, che non sia stato premiato in altri concorsi o già pubblicato, anche parzialmente, oppure presente in internet. La partecipazione al bando è totalmente gratuita.

art. 2 – mOdaLitÀ di ParteCiPaZiOne e inViO dei materiaLi Opere narrative: si ammettono racconti originali ed inediti per una lunghezza massima di 6400 battute, spazi inclusi.Fotografie: si ammettono per ogni autore da 1 a 5 fotografie, originali e inedite, in bianco e nero o a colori, dimensioni massime 22x22 cm. È preferibile scansionare ed inviare il materiale via mail o tramite posta su cd rom, con risoluzione minima 300 dpi.illustrazioni: si ammettono per ogni autore da 1 a 5 tavole, originali e inedite, in bianco e nero o a colori, del formato di dimensione massima 22x22 cm. È preferibile scansionare ed inviare il materiale via mail o tramite posta su cd rom,con risoluzione minima 300 dpi.Fumetti: si ammettono un massimo di 2 tavole in bianco e nero o a colori, in cui sviluppare un racconto e realizzarlo con tecnica a libera scelta, del formato di dimensione massima verticale 14x19 cm. È preferibile scansionare ed inviare il materiale via mail o tramite posta su cd rom, con risoluzione minima 300 dpi. Per una maggiore valorizzazione, fruizione e aderenza agli intenti artistici e comunicativi di ogni fotografo o illustratore o fumettista si richiede, ove lo stesso autore lo ritenga utile e necessario, di indicare il titolo della propria opera, le dimensioni e la tecnica utilizzata. Questi dati verranno indicati come didascalia di accompagnamento alle fotografie o illustrazioni che verranno scelte per la pubblicazione. Le opere di tutti i partecipanti (narrativa, Fotografia, illustrazione, Fumetto) dovranno essere obbligatoriamente accompagnate da: una breve biografia dell’autore (massimo 800 battute, per evitarne tagli arbitrari) corredata dai dati personali (nome, cognome, indirizzo, recapiti telefonici, indirizzo e-mail). Farà fede il timbro postale. eventuali attestati di partecipazione al concorso saranno assegnati agli artisti che ne faranno richiesta solo qualora i loro lavori vengano selezionati. i materiali dovranno essere inviati via mail a: [email protected] Chi volesse, può comunque inviare le proprie opere per posta tradizionale, facendole pervenire al seguente indirizzo: aSSOCiaZiOne CULtUraLe aPS LUnatiCi, via Volturno n°13, 43125, Parma (Pr).

art. 3 – trattamentO dei dati PerSOnaLi e reSPOnSaBiLitÀ in relazione alla previsione che il materiale possa essere pubblicato e utilizzato dalla redazione per letture e reading, in esecuzione del decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), il partecipante fornisce il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali. Ogni autore partecipante sarà responsabile per i contenuti della propria opera. inoltre i candidati si faranno garanti che l’opera presentata è originale, che non è mai stata premiata né presentata in altri concorsi, né mai pubblicata, nemmeno parzialmente, né immessa nella rete internet.

art. 4 - Criteri di SeLeZiOne e PremiO Per la valutazione delle opere si terrà conto della qualità, dei percorsi di ricerca formale e dell’originalità dei testi e delle immagini. il premio del concorso consiste nella pubblicazione dell’opera sulla rivista “La Luna di traverso”, in formato cartaceo e digitale. Solo i vincitori saranno contattati dalla redazione e riceveranno al proprio domicilio due copie omaggio. non si accettano racconti e materiali già editi o che hanno partecipato a bandi precedenti. Le decisioni della Commissione redazionale saran-no inappellabili. Partecipando all’eventuale selezione, si concede il diritto, a titolo gratuito, di prima edizione delle opere inviate senza avere nulla a pretendere come diritto d’autore.

art. 5 – SCadenZa Le opere devono essere consegnate entro e non oltre le ore 12.00 del 21 aprile 2014.

inFOrmaZiOniPer ulteriori informazioni, rivolgersi ai seguenti indirizzi di posta elettronica: [email protected] – [email protected] – [email protected]

www.lalunaditraverso.itt | www.lunatici.net

NUOVO CONCORSO PER NARRATORI, FOTOGRAFI, ILLUSTRATORI E FUmETTISTI.

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Silvia Bia è nata a Parma il 29 febbraio e per questo le piace credere che non invecchierà mai. Giornalista professionista, è sempre in cerca di novità e progetti in cui lanciarsi, a volte anche follemente. Lunatica di nome e di fatto, ama viaggiare, scrivere e adora il Giappone e i manga. non sa ancora cosa farà da [email protected]

enrico Cantino, il Segretario fa parte della “Banda Lunatica” da un po’. ha 47 anni, una laurea in materie letterarie, un libro nel cassetto (riguar-dante le tecniche narrative dei cartoni animati giapponesi), un nuovo blog (il primo si è rotto) all’indirizzo abatelunare.tumblr.com e tre o quattro passioni. non di più, perché preferisce concentrarsi su poche cose per [email protected]

massimo Carta è nato e vive a Parma. in una vita precedente ha scritto alcune raccolte di racconti, collaborato con quotidiani e riviste locali, letto molto di ciò che poteva trovarsi in forma scritta e ha fondato nel 2001 assieme a pochi coraggiosi, La Luna di [email protected]

Carlotta Fiore è nata nell’agosto del 1983. È da sempre innamorata dell’america, specialmente dopo averla incontrata. Combattuta tra l’amore per la scrittura e la passione per la recitazione ha deciso di diventare critica cinematografica. Se si rivelasse la scelta sbagliata ricorrerebbe al piano B: trasformarsi in una cantante country. [email protected]

Federica Pasqualetti, la Vicedirettrice, è nata nel giorno più lungo dell’estate e per questo ha un pessimo carattere. ha fatto un po’ di cose: l’archeologa, la libraia, la scrittrice. Si occupa di enogastronomia e cucina ma non fa tutorial online. Sopra ogni cosa: B. Vian, a. Jodorowsky, e. Lee masters, e. Carnevali, W. Shakespeare, h. Selby J., C. Pavese, r. arenas, r. Carver, L. Ferlinghetti, J. Fante. nel cuore: F. Kalho, C. Claudel e i Joy division. Se fosse nata maschio avrebbe fatto il pugile. O il [email protected]

andrea rabaglia è nato in contemporanea al Festival “mattatoio rock” di roma. Più precisamente: una settimana esatta prima che Paul Simonon distruggesse il suo Fender Precision sul palco del Palladium di new York, immagine immortalata sulla celebre copertina di London Calling. Laure-ato in Lettere moderne, vive e lavora a Parma, ma appena può cerca conforto tra le cime dei [email protected]

Concetto Scuto a 14 anni compra la sua prima telecamera, a 16 anni s’innamora del cinema francese e della letteratura americana. Con il tempo diventa filmaker. Prende una laurea al d.a.m.S. di Bologna in Storia del Cinema. dal 2011 fa parte della scuola di sceneggiatura di Carlo Lucarelli “Bottega delle Finzioni”. ha collaborato con la fondazione “Federico Fellini” sullo sviluppo di alcuni suoi soggetti inediti. Lavora come libraio. [email protected]

andrea tinterri è laureato in storia e critica delle arti e dello spettacolo, si occupa di fotografia riflettendo sulle possibili contaminazioni con altri tipi di scrittura. nel 2010 pubblica un racconto sull’antologia “trenta Secondi di Universo” pubblicata dalla marcos y marcos. ha collaborato con lo CSaC, Centro Studi e archivio della Comunicazione dell’Università di Parma. È nel consiglio direttivo di “monumenta” associazione culturale per la difesa dei beni culturali e urbanistici di [email protected]

REDAZIONE

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Registro Tribunale di Parma n°14 del 5/9/2005Finito di stampare nel mese di novembre 2013 da Pressup - Roma.

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