L. Alderighi, M. Benvenuti, F. Cambi, L. Chiarantini, C. X.H. Chiesa, A. Corretti, A. Dini, M....

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Rassegna archeologica ESTRATTO Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa Classe di Lettere e Filosofia serie 5 2013, 5/2 supplemento

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Rassegna archeologica

ESTRATTO

Annalidella Scuola NormaleSuperiore di PisaClasse di Lettere e Filosofia

serie 5 2013, 5/2

supplemento

SCAVI DI ANTICHITà

NOTIZIED E G L I

C O M U N I C A T E D A L L A

SCUOLA NORMALE SUPERIORE DI PISA

Rassegna archeologica del Laboratorio di Scienze dell’Antichità

Supplemento agli Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa Classe di Lettere e Filosofia serie 5 2013, 5/2

Scavi e ricerche a Segesta (Calatafimi-Segesta, TP; 2012), Entella (Contessa Entellina, PA),Kaulonia (Monasterace, RC; 2011-13),Roca (Melendugno, LE) e Isola d’Elba (LI; 2008-12)cura redazionale: Chiara Michelini

PremessaCarmine Ampolo vii

Segesta

Scavi nell’area dell’agora (2012): risultati e prospettive di ricerca Carmine Ampolo, Maria Cecilia Parra 3

Agora. Area della Stoa Nord (SAS 4; 2012) Antonino Facella, Riccardo Olivito 10

Agora. Settore NordEst (SAS 4; 2012) Oriana Silia Cannistraci, Marianna Perna 15

Agora. Settore Est (SAS 4; 2012) Agata Abate, Donatella Erdas, Angela Clara Infarinato 21

Agora. Analisi architettonica dell’ingresso monumentale all’ambiente I della stoa Nord Agata Abate, Oriana Silia Cannistraci 29

L’approvvigionamento ceramico a Segesta nel VI-VII sec. d.C.: il contributo delle analisi archeometriche Antonino Facella, Claudio Capelli, Michele Piazza 49

Entella

Un kyma lapideo dall’area del vallone orientale Maria Cecilia Parra, Nicola Giaccone 67

Kaulonia

Scavi nel santuario di Punta Stilo (2011-13):verso una lettura d’insieme del complesso Maria Cecilia Parra 81

Area a Sud del tempio dorico (SAS 1 SudOvest; 2011-12) Antonino Facella, Nicola Giaccone 96

Indagini nell’area della ‘Porta Santuario’ (2011-13) Oriana Silia Cannistraci, Riccardo Olivito, Alfonsa Serra 104

Una deposizione votiva arcaica. Note preliminari Vanessa Gagliardi 120

Roca

I rapporti tra l’Italia e l’Egeo nell’età del bronzo e il ruolo di Roca. Alcuni spunti di riflessione Riccardo Guglielmino 131

Un’associazione di reperti ceramici e lignei provenienti da un pozzo basso-medievale Eda Kulja 152

Isola d’Elba

Aithale. Ricerche e scavi all’Isola d’Elba. Produzione siderurgica e territorio insulare nell’antichità Lorella Alderighi, Marco Benvenuti, Franco Cambi, Laura Chiarantini, Caterina X.H. Chiesa, Alessandro Corretti, Andrea Dini, Marco Firmati, Laura Pagliantini, Claudia Principe, Luisa Quaglia, Luisa Zito 169

Abbreviazioni bibliografiche 189

illustrazioni 227

PremessaCarmine Ampolo

Si presenta qui l’ottavo fascicolo delle Notizie degli scavi di Antichità della Scuola Normale Superiore, il quarto che appare nella nuova ve-ste editoriale, come sezione a sé stante degli Annali. Avviando questa Rassegna Archeologica abbiamo inteso rispondere alla finalità di rende-re noti alla comunità scientifica in tempi brevi i risultati delle ricerche del Laboratorio di Scienze dell’Antichità (LSA), frutto dell’unificazione del Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico (LSATMA) e del Laboratorio Informatico per le Lingue Antiche (LILA) in una nuova ed unica sede, sita nel Palazzo della Canonica, che si affac-cia a Sud sulla piazza dei Cavalieri.

Come di consueto, le Notizie offrono un quadro delle attività sul ter-reno condotte dal LSA in collaborazione con Soprintendenze, Parchi Archeologici e Università. In queste attività il Laboratorio impegna non solo personale, strutturato e non, ma anche attrezzature di qualità tec-nica tale da garantire gli esiti di documentazione migliori: ad esempio il LSA si è dotato, dal 2011 e 2012, di due droni, velivoli U.A.V. multimo-tore radioguidati, dotati di altimetro, GPS e fotocamera, che ci permet-tono di eseguire riprese e filmati ad alta risoluzione utilizzabili sia per ricerca scientifica avanzata che per una aggiornata ed eloquente divul-gazione dei dati. Nell’apparato illustrativo di queste Notizie se ne pos-sono vedere esempi significativi, che si aggiungono ai molti già editi in precedenza. Quest’anno, i droni sono stati utilizzati, oltre che sugli scavi di Segesta e di Kaulonia, anche ad Entella dove, nell’autunno 2013, sono state effettuate riprese nella città e nel territorio. In particolare, si sono documentati alcuni siti oggetto di prospezione archeologica, in vista del-la ormai imminente pubblicazione della carta archeologica del territorio comunale di Contessa Entellina (figg. 1-4). Nel sito di Entella si è inoltre testata la termocamera a raggi infrarossi Optris PI450 LightWeight, sia sorvolando e riprendendo aree in cui erano già documentate strutture interrate, sia eseguendo riprese dedicate in settori della città antica in

cui la probabilità di resti strutturali antichi era maggiore, sia operando sui maggiori siti messi in luce nel territorio. I filmati – eseguiti dopo il tramonto per sfruttare al meglio il differenziale termico – sono in cor-so di elaborazione nel Laboratorio di Scienze dell’Antichità, con primi risultati senz’altro incoraggianti. Le immagini ricavate sono georeferen-ziabili mediante GPS integrato nel drone. Una selezione di immagini da drone è stata presentata in una mostra presso la Scuola Normale.

Analoghe finalità di ricerca e di corretta divulgazione hanno le ela-borazioni 3D, finalizzate alla ricostruzione ed alla modellazione di ma-teriali archeologici e di complessi monumentali: ne abbiamo già pre-sentate varie nelle precedenti Notizie, altre compaiono in questa sede. Ma il lavoro si estende e si perfeziona ancor più, sempre con la colla-borazione dell’Università di Pisa, che si è ampliata da circa un anno al DREAMSLAB della Scuola Normale (diretto dal Prof. V. Barone). Quest’ultimo sta utilizzando i modelli 3D già sviluppati per applicazio-ni di avanzata tecnologia virtuale particolarmente rilevanti (vd. infra, Introduzione alla sezione dedicata a Segesta).

I siti oggetto delle indagini presentate in questa sede sono Segesta, Kaulonia e Rocavecchia, dove le indagini archeologiche continuano e forniranno ancora materia alle prossime Notizie degli scavi.

Quest’anno abbiamo deciso di dare spazio maggiore a piccoli contri-buti di approfondimento su temi circoscritti, collegati a specifiche ricer-che in corso presso il LSA: temi ‘segestani’ e ‘kauloniati’, ma uno anche di tema ‘entellino’, cioè lo studio di un frammento architettonico arcai-co dall’area pubblica Entella, che molto dice sulla precocità di ricezione di stilemi greci da parte di un centro anellenico della Sicilia occidentale.

Rimando ai singoli rapporti per una illustrazione dei risultati, limi-tandomi a mettere ancora una volta in rilievo il significato storico che hanno assunto le indagini a Segesta: nuovi dati si sono aggiunti ad ar-ricchire la documentazione relativa alla rinascita su scala monumentale dell’agora in età ellenistica, con ulteriori contributi per una conoscenza più ampia delle trasformazioni di età romana e, dopo l’abbandono nel III sec. d.C., della rioccupazione tardo-antica e alto-medievale e di quel-la più sistematica di età sveva. Nel 2012 le indagini si sono concentrate ancora in due settori della imponente stoa ad alae che chiudeva a Nord la grande piazza lastricata, esprimendo con le sue forme e le sue misure toni di ‘teatralità’ e di ‘gigantismo’ di lunga tradizione in Sicilia.

Nuovi dati permettono di apprezzare meglio l’ala Est nella sua arti-colazione, non solo planimetrica e funzionale – ben distinta rispetto a

VIII Carmine Ampolo

quella dell’ala Ovest – ma anche di fasi. Di grande interesse la struttura ad archi individuata già dallo scorso anno al centro del lato lungo della stoa, dove è continuato l’intervento di scavo che ne ha chiarito la fun-zione di sostruzione. Tali archi sono infatti in corrispondenza di lacune o di punti deboli della parete rocciosa, ma dovevano servire anche per sostenere il secondo ordine della stoa. Il muro di fondo celava alla vista un ambulacro di servizio, oltre alle stesse arcate di sostegno.

A Kaulonia, sempre più è leggibile l’articolato tessuto, monumentale e di fasi, in cui si inserisce anche il tempio dorico scoperto da Paolo Orsi nel 1912, che non appare più un monumento isolato quale per quasi un secolo è rimasto fino all’avvio delle nostre ricerche. Le indagini che il Laboratorio conduce in collaborazione con l’Università di Pisa, hanno ormai recuperato per larghe porzioni la fase monumentale in cui l’edificio andò ad inseririrsi nella prima metà del V sec. a.C. Ma tra il 2011 e il 2013 sono stati recuperati alla conoscenza soprattutto dati per-tinenti alle fasi precedenti: l’ ‘area dei cippi’ prossima al tempio è stata prodiga di deposizioni votive, tra cui l’eccezionale gruppo di armi con l’elmo dedicato a Zeus, associato a due schinieri destri, diversi tra loro; e quella più meridionale, a Sud del grande altare, ha restituito la porta alto-arcaica, trasformata in postierla per motivi difensivi e poi sostituita dalla grande ‘Porta Santuario’ della fine del VI sec. a.C.

Quest’anno il patrimonio epigrafico del santuario kauloniate, già ac-cresciuto nel 2011 e nel 2012, si è arricchito nel 2013 in modo signifi-cativo con la scoperta della più lunga iscrizione greca in alfabeto acheo nota dalla Magna Grecia. L’accurato restauro eseguito presso il Museo di Monasterace su un nucleo di frammenti di lamina in bronzo, ha per-messo di riconoscere una lunga dedica metrica del V sec. a.C., stoiche-don, iscritta su una tabella in bronzo larga cm 25; dopo ulteriori analisi di laboratorio, ne sto preparando l’edizione con la collaborazione di un mio allievo perfezionando della Scuola Normale.

La teoria minimalista recentemente formulata da Emma Blake, sec-ondo cui i rapporti tra l’Italia e l’Egeo nel corso dell’età del bronzo sarebbero stati tanto scarsi e discontinui da produrre effetti trascurabili nello sviluppo delle comunità indigene, è il punto di partenza del con-tributo dedicato a Roca. L’insediamento costituirebbe un’eccezione as-soluta, l’unica realtà comparabile con i grandi centri portuali del Medi-terraneo orientale. Ma, piuttosto, la fisionomia di questo centro sembra potersi considerare paradigmatica dell’identità culturale composita che doveva accomunare i principali scali della penisola e delle isole mag-

IX PremessaIX Premessa

giori e che la sua apparente eccezionalità, suggerita dall’abbondanza dei materiali esotici rinvenuti, possa derivare in larga misura dall’ampiezza delle aree indagate. Il modello teorico che sembra attagliarsi meglio alle caratteristiche di questi scali sembra quello della community colony, che presuppone la presenza di un nucleo di immigrati egei integrati nella società indigena con un ruolo non dominante. Occupato per oltre tre millenni, il promontorio di Roca conobbe la sua ultima e importante fase insediativa nel tardo Medioevo, quando vi fu costruita una città per volontà di Gualtieri VI di Brienne, conte di Lecce e duca d’Atene. Ispirata alle bastides francesi, presentava una piazza centrale su cui in-sisteva una chiesa a ridosso della quale venne scavato un pozzo colmo di ceramiche di varia tipologia ed inquadrabili tra il XIV e il XVI sec. d.C.: a questo contesto è dedicato il secondo contributo edito in questa sede.

Mi preme infine ringraziare calorosamente il Direttore della nostra Scuola e gli amici del Servizio Parco Archeologico di Segesta e della So-printendenza BB.CC.AA. di Trapani, insieme a quelli della Soprinten-denza Archeologica della Calabria, i quali ci hanno sempre assicurato il loro supporto, anche in questo momento non facile per le amministra-zioni pubbliche.

Un ricordo particolare va, come sempre, al personale ed ai collabora-tori del Laboratorio, il cui impegno consente di realizzare i progetti di ricerca sia sul terreno che nella nostra nuova sede pisana, fino all’elabo-razione e redazione finale di queste Notizie. Sono inoltre grato, per la consueta disponibilità mai disgiunta da una grande professionalità, alla Redazione degli Annali, che dallo scorso anno (2012) sono stato chia-mato a dirigere, nonché a tutti gli amici delle Edizioni della Normale.

Addendum

Va segnalata la grave situazione causata nel santuario di Kaulonia da violente mareggiate che stanno compromettendo – in assenza di ade-guate opere di protezione – la conservazione di un patrimonio impor-tante, solo in parte indagato dai tempi di P. Orsi alle ricerche in corso (cfr. Parra, Addendum, in questa sede).

X Carmine Ampolo

1. Aithale. Ricerche e scavi all’Isola d’Elba. Produzione siderurgica e territorio insulare nell’antichitàLorella Alderighi, Marco Benvenuti, Franco Cambi, Laura Chiarantini, Caterina X.H. Chiesa, Alessandro Corretti, Andrea Dini, Marco Firmati, Laura Pagliantini, Claudia Principe, Luisa Quaglia, Luisa Zito

1.1. Introduzione

Parlare dell’isola d’Elba significa ancora oggi – a più di trent’anni dalla chiusura definitiva delle miniere di ferro nel 1981 – rievocare un mondo minerario e siderurgico che ebbe un grande rilievo nell’econo-mia e nella società dell’isola, o almeno della sua parte orientale, e che tuttora ne costituisce un aspetto fortemente identitario.

Per quanto si trattasse di giacimenti di media entità, in nessun modo paragonabili alle risorse ferrifere disponibili ad altre nazioni europee1, le miniere di Rio (e quelle di Vigneria, Rialbano, Terranera, Calamita) ebbero un ruolo centrale nella discussione sul futuro siderurgico dell’I-talia postunitaria fino all’esperienza dell’autarchia2.

Questa prospettiva, se, da una parte, ha mantenuto vivo l’interesse an-che sulle precedenti epoche di coltivazione mineraria dell’isola, dall’al-tra ha proiettato nel passato, anche remoto, problematiche e aspettative proprie dell’età moderna.

In altre parole, una valutazione oggettiva dei tempi, dei modi, del-le dimensioni, degli attori dello sfruttamento delle risorse minerarie dell’Elba nell’antichità deve necessariamente svincolarsi dalle sugge-stioni del passato più recente. Limitandoci al minerale ferroso (gli affio-

Il presente contributo è stato scritto da Franco Cambi, Alessandro Corretti e Laura Pagliantini per conto del gruppo «Aithale».

La campagna di scavo a San Giovanni 2012 si è potuta avvalere di un finanziamento della Provincia di Livorno e del Comune di Portoferraio, nonché di un contributo di Italia Nostra - Isola d’Elba.

1 Secondo Pistolesi 2011, pp. 102-3, alla fine del XIX sec. l’intero ammontare sti-mato dei giacimenti di ferro dell’Elba corrispondeva alla metà della produzione annuale della sola Gran Bretagna.

2 Ibid., p. 382; AA.VV. 1938.

ramenti di rame dell’isola pongono infatti problemi di diverso ordine3), la gestione antica dei giacimenti di Rio – gli unici in produzione fino all’età moderna4 – può aver conosciuto variazioni anche radicali nelle modalità operative e nei livelli di produzione, con conseguente diverso impatto sull’ambiente5 e sulle comunità locali (isolane e populoniesi) e con diverse ricadute in un areale più ampio, comprendente almeno il Tirreno. Individuare fin dove sia giunto il ferro elbano (come minerale, come semilavorato o manufatto) permetterà di gettare nuova luce su dinamiche interstatali (in primis i rapporti tra Populonia e Siracusa nel corso del V e del IV sec. a.C.6) in cui il controllo della risorsa ferrifera avrebbe rivestito un ruolo importante se non primario.

Un’indagine di questo tipo necessita del contributo parallelo di com-petenze diverse (storiche, archeologiche, topografiche, geologiche, mi-neralogiche per citare solo le principali). Queste si sono incontrate nel gruppo di ricerca Aithale, formalizzatosi in convenzione nel 2010 tra le Università di Firenze e Siena, la Scuola Normale Superiore di Pisa, il Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di Geoscienze e Georisorse di Pisa, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, con il contributo del Sistema dei Civici Musei Archeologici dell’Isola d’Elba.

1.2. Lo stato della ricerca: per una carta archeologica dell’isola d’Elba

La valutazione dell’impatto dell’attività mineraria e siderurgica nel comprensorio elbano-populoniese presuppone per il territorio in que-stione una sufficiente conoscenza della rete insediativa (necropoli, in-sediamenti produttivi, abitati in genere) e delle altre forme materiali in cui una comunità umana ‘modella’ il paesaggio. Purtroppo dal punto di

3 Notizie antiquarie (in primis lo stesso brano di Mir. ausc., 93), resoconti di inge-gneri minerari del XIX sec. (Simonin 1858, p. 357; Jervis 1862, pp. 60-1), osservazioni di moderni geologi (Mascaro, Guideri, Benvenuti 1991) confermano l’esistenza di affioramenti cupriferi di minima entità in varie località dell’Isola, senza che si possa parlare di vere e proprie miniere.

4 In Fabri 1887, pp. 11-2 si trovano cenni sull’apertura delle altre miniere all’Elba intorno alla metà del XIX sec.; più in dettaglio AA.VV. 1938.

5 Williams 2009, con bibliografia precedente.6 Colonna 1981; Corretti 2009a.

170 Autori vari

vista archeologico l’isola d’Elba è tanto ricca quanto poco nota: i dati sui ritrovamenti sono spesso vecchi, vaghi, poco attendibili7 e sono, in mol-ti casi, il frutto non di ricerche sistematiche ma di scoperte occasionali, anche da parte di gruppi di ricerca locali, meritoriamente impegnati a supporto della Soprintendenza nella difficile tutela del territorio8. Al-cune sintesi, anche recenti9, sono utili ma richiedono cautela nell’uti-lizzo dei dati riportati. Le principali imprese di scavo condotte negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso – le fortezze d’altura di Monte Castello di Procchio e di Castiglione di San Martino – sono tuttora note solo tramite notizie preliminari10; così come altri scavi importanti per le tematiche oggetto della nostra ricerca: la necropoli del Buraccio e l’im-pianto siderurgico di San Bennato11.

Nell’ambito del progetto Aithale è stato quindi avviato, mediante un dottorato di ricerca, un censimento sistematico della documentazione archeologica elbana edita e inedita. In particolare sono stati documen-tati tutti i reperti temporaneamente custoditi dall’ispettore onorario per l’isola d’Elba Sig. Gino Brambilla12. Queste ed altre informazioni di carattere archeologico sono poi confluite in un GIS, che verrà imple-mentato con le informazioni geologiche e archeometriche relative alle risorse minerarie sfruttate in antico (rame e ferro13).Una prima nota su questi ‘ritrovamenti’ in deposito è stata presentata nel 2011 al XXVIII Convegno di Studi Etruschi e Italici14. Tra le principali

7 Per una breve storia della ricerca archeologica all’Isola d’Elba: Corsi, Gras 1989; Rosolani, Ferrari 2001; Corsi 2004; Firmati 2009.

8 Per la tutela del patrimonio archeologico elbano i vari funzionari che si sono succe-duti si sono potuti avvalere sul posto della collaborazione di Gino Brambilla, per decen-ni Ispettore Onorario sull’isola, infaticabile e onnipresente sulla terraferma e nei fondali intorno all’Elba, animatore di appassionati locali confluiti poi nel Gruppo Archeologico e Naturalistico Elbano.

9 Zecchini 2001, con bibliografia precedente.10 Vd. da ultimo Corretti 2012, con bibliografia precedente.11 Su Cavo vd. ora Corretti, Firmati 2011, con bibliografia precedente. Per la ne-

cropoli del Buraccio Firmati, Paoli 2007, pp. 74-5; Firmati 2009, p. 188; Maggiani c.d.s.

12 Si tratta di 720 schede relative a 63 siti.13 Minime presenze di stagno e piombo, irrilevanti ai fini dello sfruttamento minera-

rio, vengono segnalate all’Elba da Tanelli (1989, p. 1414) e Giardino (1995, p. 119).14 Cambi, Corretti, Pagliantini c.d.s.

171 Aithale. Ricerche e scavi all’Isola d’Elba

acquisizioni vale la pena di segnalare una nuova, possibile ‘fortezza d’altura’ nell’area di Monte Cuccolino, nell’immediato entroterra del Golfo di Portoferraio, oltre ad abbondante materiale di età romano-repubblicana dal sito di riduzione del ferro di Marciana Marina.

1.3. Lo stato della ricerca: l’attività mineraria e metallurgica sull’Isola

A parte un’oscura notizia nel De Mirabilibus Auscultationibus (93), ben poco sappiamo delle prime fasi di sfruttamento delle miniere di fer-ro dell’Elba15. I recenti risultati ottenuti dallo studio della composizione mineralogica e chimica dei giacimenti ematitici dell’Elba16 consentono di fare delle ipotesi scientificamente fondate sulla provenienza o meno dall’isola di frammenti di minerale ematitico ritrovati in diversi contesti archeologici. Due casi di minerale di probabile provenienza elbana in contesti del Paleolitico Superiore a Livorno e presso il Lago del Bilanci-no sono riferibili al suo impiego come pietra ornamentale, vista la sua lucentezza e lavorabilità17. Il noto frammento di ematite dallo ‘Scarico Gosetti’ di Ischia, anch’esso di probabile provenienza elbana18, viene purtroppo da un contesto stratigrafico disturbato e con riferimenti cro-nologici molto vaghi. Più interessanti i ritrovamenti di ematite elbana associata a attività metallurgica in contesti affidabili: i materiali di Pisa-Area Scheibler19 e Pisa-San Piero a Grado, inquadrabili tra fine VII e primi decenni del VI sec. a.C.20, quelli dall’edificio industriale di Po-pulonia, databili dall’inizio del VI sec. a.C.21, quelli di Follonica - Ron-

15 Corretti 2004; Acconcia, Milletti 2009.16 Benvenuti et al. 2013: vd. capitolo 3.17 Sammartino 2009, p. 49 fig. 5; Aranguren et al. c.d.s.18 Analisi eseguite da Massimo D’Orazio e Andrea Dini. Ringraziamo la dott.ssa Co-

stanza Gialanella per la disponibilità e la collaborazione dimostrata.19 Bonamici 1989.20 Bruni 2001. Analisi eseguite da Massimo D’Orazio e Andrea Dini. Ringraziamo

il prof. Stefano Bruni, le dott.sse Silvia Ducci, Emanuela Paribeni, Elena Sorge per la disponibilità e la collaborazione dimostrata.

21 Bonamici 2006; Ead. c.d.s.

172 Autori vari

delli22 e di Genova23. Lo studio dell’ematite proveniente da un contesto votivo di Pyrgi è invece appena iniziato24. Questi ritrovamenti mostra-no una diffusione del minerale grezzo almeno a partire dalla fine del VII-inizio VI sec. a.C. La presenza a Populonia di un edificio destina-to alla lavorazione del ferro già dall’inizio del VI sec. a.C. presuppone un afflusso di minerale certo e controllato, segno quindi di un’attività strutturata dall’estrazione alla trasformazione25; mancano tuttavia ele-menti per una valutazione quantitativa complessiva della produzione e, più in generale, per una collocazione cronologica delle fasi di avvio dello sfruttamento minerario organizzato sull’Isola.

I dati della spiaggia di Baratti mostrerebbero fino a tutto l’VIII sec. a.C. l’esclusiva attestazione di attività di trasformazione di minerali di rame, mentre dall’VIII-VII sec. a.C. è documentata la presenza di scorie ferrose26, seppure non in quantità paragonabili agli accumuli di III-II sec. a.C. Questi dati, pur provvisori e indiziari, contribuiscono comun-que al più ampio dibattito sul ruolo effettivo delle risorse minerarie – e nella fattispecie del ferro elbano – come possibile elemento di attrazio-ne di movimenti coloniali e commerciali dall’VIII sec. a.C. in poi.

All’isola d’Elba, le più antiche tracce di attività siderurgica primaria non sembrano risalire oltre la fine del III sec. a.C. Per i periodi prece-denti non abbiamo evidenza certa, sebbene sia ragionevole supporre limitate attività di trasformazione per uso locale27, secondo quanto in-diziato anche in altre località vicine28.

È dalla fine del III e per tutto il II sec. a.C. che vengono invece atti-vati sul litorale toscano grandi centri di riduzione del ferro, localizzati

22 Aranguren et al. 2004; Aranguren, Giachi, Pallecchi 2009, con bibliografia precedente.

23 Corretti, Benvenuti 2001, p. 143 e nota 91.24 Luciana Drago ci ha segnalato la presenza di ematite inglobata in manufatti votivi

in piombo rinvenuti nell’area sacra di Pyrgi. Per un primo studio archeometrico Bel-lafiore 2011-12.

25 Aranguren et al. 2004; Bonamici 2006; Ead. 2007; Ead. c.d.s.26 Chiarantini, Benvenuti 2009, con bibliografia precedente.27 Per il più antico fondo di forno o forgia messo in luce a San Bennato-Cavo è dispo-

nibile una datazione archeomagnetica al 450 ± 100 al momento isolata rispetto ai più antichi materiali raccolti nel sito (Firmati, Arrighi, Principe 2006).

28 Aranguren et al. 2004.

173 Aithale. Ricerche e scavi all’Isola d’Elba

tra l’altro a Populonia stessa e a Follonica29, oltre che all’isola d’Elba. Si contano all’Elba almeno 21 di questi punti di riduzione, quasi tutti in località costiere30. Nessuno di questi siti era stato indagato scienti-ficamente, con la parziale eccezione dell’accumulo degli Spiazzi di Rio Marina, dove Vincenzo Mellini poté comunque raccogliere qualche dato31, e dello scavo di emergenza a San Bennato-Cavo, nel 199932. La distruzione degli accumuli nel XX secolo per il recupero delle scorie ad alto tenore di ferro avvenne senza alcun controllo scientifico33. È pro-prio la quantità di scorie recuperate (in un solo sito 20500 t34 sebbene sia più ragionevole una stima complessiva per tutta l’isola nell’ordine di 100.000 t di scorie commerciali, cioè già selezionate in base al tenore in ferro), che fornisce una indicazione di massima sulla notevole dimen-sione del fenomeno. L’intensità dell’impatto sulle risorse minerarie e boschive dipende naturalmente dalla durata dell’attività di riduzione, a sua volta ricostruibile su base archeologica. I siti sono stati però oggetto finora solo di prospezione di superficie negli anni Ottanta del secolo scorso e precedentemente 35, per cui si dispone al momento solo di una ‘forchetta’ cronologica di massima che non può distinguere eventua-li frequentazioni dei siti per attività non connesse alla metallurgia36. Il limitato panorama ceramico restituito dalle prospezioni è comunque

29 Cambi 2009, p. 227 (Populonia); Baiocco et al. 1990 (Follonica).30 Corretti, Firmati 2011 con bibliografia precedente.31 Mellini 1879.32 Firmati, Arrighi, Principe 2006; Firmati 2009, pp. 188-189.33 Pistolesi 2013.34 Si deve allo studioso svedese J. Nihlen (1960) la raccolta di testimonianze dirette

presso coloro che avevano preso parte al recupero delle scorie. Il testo dattiloscritto, originariamente depositato presso l’Ente Valorizzazione Elba, è andato perduto. Da una copia in lingua originale (svedese) con traduzione in tedesco, ottenuta grazie all’interes-samento del prof. R. Francovich, sono stati ricavati i dati quantitativi editi in Corretti 1988 e 1991. Per un inquadramento generale dell’attività moderna di recupero delle scorie all’Elba vd. Pistolesi 2013.

35 Corretti, Firmati 2011, con bibliografia precedente.36 Attività produttive possono insediarsi in aree precedentemente destinate ad altri

utilizzi: oltre il caso-limite di Populonia, con la necropoli sommersa dalle scorie ferro-se, si pensi per l’Elba all’accumulo degli Spiazzi di Rio Marina, asportato nel 1877, in cui le scorie di età romana coprivano un livello più antico con sepolture a inumazione (Mellini 1879).

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omogeneo (fine III-II sec. a.C., con attardamenti nel I sec. a.C.37, da valutare anche alla luce dello scavo di San Giovanni, su cui vd. infra) e appare confermato sia dai ritrovamenti di San Bennato, presso Cavo38, sia dai materiali recentemente schedati dalla Pagliantini39.

Proprio ai fini di un migliore inquadramento cronologico dell’attività metallurgica elbana e populoniese sono stati effettuati, da parte del La-boratorio di Archeomagnetismo del CNR di Viareggio, che partecipa al gruppo Aithale, campionamenti di alcune strutture metallurgiche sia nel territorio di Cavo (Isola d’Elba) sia sulla costa populoniese, volti alla definizione dell’età archeomagnetica (l’‘ultimo fuoco’). Alcune delle strutture analizzate non hanno dato esito positivo all’analisi. Si tratta di tracce di forni la cui presenza era da tempo nota lungo i sentieri dell’area di Cavo e che sono risultati non in giacitura originaria. A questi si ag-giungono due strutture all’interno del quartiere metallurgico di Popu-lonia, dove non erano presenti nelle argille concotte minerali ferrosi in quantità tale da permettere una datazione, oltre ad un fornetto venuto alla luce sempre a Populonia all’interno dell’area di scavo sulla spiaggia di San Cerbone, i cui materiali sono anch’essi risultati all’analisi troppo debolmente magnetizzati. Altre datazioni hanno invece dato risultati interessanti40 che incoraggiano la prosecuzione di questo tipo di analisi.

La grande quantità di scorie recuperate all’isola e sul continente41, le modalità di formazione degli accumuli e la loro stessa localizzazio-ne indicano un’attività intensa, pianificata, efficacemente descritta da Diodoro in un brano riferito proprio all’Elba (5,13,1-2) e giustamente valorizzato in passato per delineare forme di produzione protoindu-striale e precapitalistiche nel mondo antico42. In particolare, l’incetta di spugne ferrose operata dagli emporoi e l’organizzazione di veri e propri opifici in cui si riuniscono numerosi artigiani vanno in questa direzio-ne. Il testo diodoreo getta quindi luce su un sistema produttivo che,

37 Cambi 2009, p. 227; Corretti, Firmati 2011.38 Ibid.; Firmati, Arrighi, Principe 2006. Nell’ambito del progetto Aithale si è

proseguita la documentazione dei reperti da San Bennato custoditi ed esposti presso il Museo Archeologico del Distretto Minerario a Rio nell’Elba.

39 Cambi, Corretti, Pagliantini c.d.s.40 Firmati, Arrighi, Principe 2006; Principe et al. 2011.41 Su cui vd. Pistolesi 2006.42 Vd. da ultimo Corretti 2009b.

175 Aithale. Ricerche e scavi all’Isola d’Elba

coinvolgendo tutto l’areale tirrenico, ripartisce su un più vasto territo-rio l’impatto derivante dall’attività siderurgica, soprattutto per quan-to riguarda la produzione di carbone di legna. I dati dello scavo sulla spiaggia di Baratti43 confermano l’impressione generale di un drastico salto a livello quantitativo in epoca medio e tardorepubblicana44, che presuppone anche un diverso e perentorio approccio al territorio e alle sue risorse e, probabilmente, un deciso apporto di manodopera servile sia per la miniera sia per i siti di riduzione e le attività connesse (in primis la produzione di carbone di legna). Tra gli apporti esterni van-no naturalmente considerati gli emporoi, uno dei quali potrebbe essere quell’Aulus Vettius che ha graffito il suo nome su una coppa a vernice nera rinvenuta nelle acque del Cavo, a poca distanza dalle miniere e da un sito di riduzione45.

L’avvio di questa nuova fase produttiva è certamente posteriore all’av-vio della romanizzazione dell’area elbano-populoniese46, mentre non è chiaro il rapporto con la fornitura di ferro a Scipione nel 205 a.C. ricor-data da Livio (28,45,2)47, che può essere interpretata sia come il primo risultato di un nuovo sistema di gestione della risorsa del ferro, sia come una situazione di emergenza che avvia un rinnovamento radicale.

Quando e perché abbia poi avuto fine questa iron rush è tuttora og-getto di indagine. A Populonia le scorie di questa fase sono obliterate da strutture databili all’inizio del I sec. a.C.48. A San Bennato-Cavo mate-riali di I sec. a.C. sigillano il livello di abbandono dell’edificio siderurgi-co49. Ma il dato più chiaro proviene al momento dalle indagini portate avanti dal gruppo Aithale a San Giovanni, Portoferraio (vd. infra, parr. 1.5.1 e 1.5.2).

43 Acconcia, Cambi 2009.44 È un fatto che l’edificio industriale di Populonia, che dalla fine del VI sec. a.C.

aveva ospitato attività di lavorazione del ferro – accompagnata o meno da altre attività commerciali: Bonamici 2006 e 2007 – venga abbandonato e sepolto dagli accumuli di scorie entro la prima metà del III sec. a.C.

45 Firmati, Arrighi, Principe 2006, 304; Firmati, Paoli 2007, 75; Firmati 2009, p. 188; Maggiani c.d.s.

46 Cambi 2009, pp. 226-7.47 Da ultimo Corretti 2009b.48 Acconcia, Cambi 2009.49 Firmati, Arrighi, Principe 2006, p. 305.

176 Autori vari

1.4. Lo stato della ricerca: analisi composizionali di minerali elbani e di scorie siderurgiche

Lo studio di documentazione materiale di attività produttive non può prescindere dalla collaborazione totale (e quindi non limitata alla sola fornitura di analisi di corredo) tra archeologi e studiosi di scien-ze naturali, in primis ovviamente geologi e mineralogisti. Nel gruppo Aithale gli scienziati partecipano alla formulazione delle domande che indirizzano la ricerca, alla raccolta dei dati sul campo, alla discussione finale dei risultati di tutte le discipline messe in campo, anche di quelle umanistiche.

La domanda comune riguardava la possibilità o meno di seguire le tracce del ferro elbano negli spostamenti e nelle trasformazioni dallo stato minerale alla produzione di oggetti fino ad arrivare all’ingresso di questi nella stratificazione archeologica. Per quanto l’ematite di Rio sia, talvolta, riconoscibile al semplice esame autoptico, generalmente non è possibile distinguerla con certezza da ematiti provenienti da al-tri giacimenti presenti nel Mediterraneo e quindi accessibili agli anti-chi. Quindi, anche se frammenti di ematite definita «elbana» sono stati segnalati a più riprese in contesti archeologici di tutto il Tirreno, da Ischia a Genova e nell’interno fino a Marzabotto50, la loro effettiva pro-venienza dalle miniere di Rio – con quel che ne consegue in termini di ricostruzione storica – rimane da provare in modo inoppugnabile. Come già sopra accennato, lo studio di dettaglio delle mineralizzazioni ferrifere delle miniere elbane (in particolare Rio Marina e Terra Nera) ha portato all’individuazione di minutissime inclusioni – nell’ematite – di minerali di stagno e tungsteno (cassiterite, scheelite, ferberite, etc.) che determinano concentrazioni assai elevate in questi due elementi metallici51. Sulla base dei dati fin qui raccolti, queste caratteristiche mi-neralogiche e chimiche sembrano peculiari dei giacimenti ad ematite dell’Elba a scala europea e possono quindi costituire degli importanti traccianti di provenienza per i minerali di ferro elbani trasportati e trat-tati in siti metallurgici di varia collocazione geografica e cronologica (vd. par.. 1.2).

Per le scorie – la più comune traccia di attività siderurgiche da conte-

50 Corretti, Benvenuti 2001, pp. 142-3, con bibliografia precedente.51 Benvenuti et al. 2013.

177 Aithale. Ricerche e scavi all’Isola d’Elba

sti archeologici – il problema è ancora più complesso: le diverse tappe della filiera del ferro (riduzione, raffinamento, forgiatura, battitura in forgia) comportano ognuna la produzione di diversi tipi di scorie, an-che da punti diversi del medesimo impianto produttivo (fuori o dentro il forno di riduzione, dentro la forgia o intorno all’incudine). Le vecchie prospezioni sugli accumuli di scorie dell’Elba e del continente, gene-ralmente condotte da archeologi senza il diretto supporto di scienziati, non permettevano di riconoscere quali tappe della filiera del ferro erano state attivate nei diversi accumuli.

1.5. Il progetto Aithale: bilancio delle prime attività sul campo.

Sono stati scelti come siti campione gli accumuli di scorie di età ro-mana di San Giovanni (Portoferraio), Magazzini - Tenuta la Chiusa (Portoferraio) e l’accumulo di epoca medievale di Monte Strega (Rio nell’Elba).

Nei tre siti, nell’ambito di tre tesi di laurea presso il Dipartimento di Scienze della Terra - Università di Firenze (prof. M. Benvenuti), sono state eseguite prospezioni di superficie con raccolta totale di scorie e materiali ceramici in quadrati campione52. Le scorie sono state distinte tipologicamente, contate e pesate sul posto e campionate per le analisi. I primi dati confermano le differenze a livello tecnologico e operativo tra i siti romani e medievali: mentre nei primi veniva praticato solamente il primo stadio della lavorazione (la riduzione del minerale) con pro-duzione di spugne informi da raffinare altrove53, nel sito medievale di Monte Strega l’attività comprendeva anche la raffinazione del blumo, la produzione di semilavorati e, probabilmente, anche prodotti finiti54.

In base a queste prospezioni, valutando aspetti logistici e la disponi-bilità dei proprietari, la ricerca si è concentrata sul sito di San Giovanni, Portoferraio.

Il sito, che si trova ai piedi delle pendici occidentali della collina occu-pata dalla Villa delle Grotte (fig. 117), era già noto da notizie antiqua-

52 Corretti et al. c.d.s.53 Come esplicitamente descritto in Diod., 5,13,2.54 Corretti et al. 2012.

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rie55 e per rinvenimenti incontrollati: nel 1889 vi sarebbe stato trovato un tesoretto della prima età augustea56 mentre reperti di V-IV sec. a.C. comprendenti a quanto sembra anche ceramica a figure rosse57, sareb-bero venuti alla luce nelle immediate vicinanze intorno al 1930. Nel corso delle prospezioni archeologiche del 1985 e del 1987 fu individua-to il limite del taglio operato per l’asportazione delle scorie e si raccolse-ro reperti ceramici che inquadravano la frequentazione del sito tra fine III e I sec. a.C.58.

Nel 2008 è stata effettuata una prospezione geoelettrica59 lungo tre fasce lunghe m 24 e larghe 2, parallele tra loro e perpendicolari alla scar-pata dell’escavazione per il recupero delle scorie.

Contestualmente si sono raccolte informazioni sulla attività di recupero sia presso testimoni oculari60 sia mediante una ricerca archi-vistica61. Lo sfruttamento del deposito di scorie di San Giovanni era iniziato nel 1938. Il muro di cinta settentrionale della tenuta62, prospi-ciente la costa, venne in parte abbattuto per collegare il cantiere ad un pontile per l’imbarco delle scorie; lo scavo procedette a partire dal mare verso SudEst e fu eseguito senza mezzi meccanici. Non è ancora chiaro se i due enormi blocchi di scoria presenti nel mare a poche decine di metri dalla costa siano in situ o siano stati spostati nel corso di questi lavori. Dal sito sarebbero state asportate ca 10000 t. di scorie63.

Nel settembre 2011 è stata invece condotta una prospezione mediante gradiometro a flusso64 che ha riguardato l’intera area a NordEst della Villa Gasparri e un limitato settore a SudEst.

55 Coresi del Bruno 1740, p. 172; Lambardi 1791, pp. 7 e 142.56 Mantovani 1892.57 Zecchini 1978, p. 207 (nessuna notizia in Id. 2001).58 Corretti 1988, pp. 13-5; Corretti, Firmati 2011, pp. 232-4.59 Eseguita da Nicoletta Barocca e Carlo Isola, Università di Siena.60 La signora Anna Maria Gasparri, comproprietaria con i nipoti Chiara, Paolo e

Raffaella del terreno oggetto dell’indagine, si prestò ad una lunga intervista nel settem-bre 2008. Ci piace che, sia pure postumo, le giunga il nostro ringraziamento per la sua gentilezza e l’ammirazione per la lucidità e la precisione del suo racconto.

61 Pistolesi 2013.62 Segnalato da Sabbadini (1919-20, p. 20) per la presenza di scorie ferrose nella

muratura.63 Notizia raccolta da Nihlen 1960, nr. 14.64 Eseguita da Laura Cerri della Ditta Tecne s.r.l. - Riccione.

179 Aithale. Ricerche e scavi all’Isola d’Elba

Il rilevamento ha permesso registrare una serie di anomalie positive. Alcune di queste erano relative a presumibili strutture interrate nell’a-rea immediatamente circostante la Villa; una a un probabile grande muro con orientamento SudEst-NordOvest; numerosi punti caratteriz-zati da picchi di magnetismo, nell’area a NordEst della villa, lasciavano supporre la presenza nel sottosuolo di strutture e di resti metallurgici.

1.5.1. Lo scavo di San Giovanni: campagna 2012La prima campagna di scavi, svoltasi dal 17 settembre al 6 ottobre

2012 in località San Giovanni (Portoferraio, Isola d’Elba), sotto la di-rezione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, è nata quindi dall’intento di verificare la presenza e la consistenza dei re-sti delle strutture metallurgiche.

Il sito è stato esplorato attraverso due saggi di 12 x 6 e 6 x 8 m (figg. 118-9), impostati sulle aree che avevano restituito le anomalie più con-sistenti; l’indagine non ha però riportato in luce i resti dei forni per la riduzione dei minerali di ferro, che potrebbero trovarsi ancora molto sotto la fase di vita che è stata in maniera inattesa individuata.

Nel saggio 1 sono emersi i resti di un grande edificio, interessato da un consistente strato di crollo di tetto e pareti. Sono stati finora messi in luce tre ambienti: due coperti da un tetto e separati da una soglia (amb. I e II) e un terzo (amb. III), forse un cortile, in parte coperto da una tettoia (figg. 119-20).

Tutte le pareti dell’edificio, almeno nella porzione indagata, sono re-alizzate attraverso l’impiego dell’argilla cruda. Questa tecnica edilizia, impiegata prevalentemente nei muri divisori interni per la scarsa resi-stenza all’umidità di risalita e all’acqua piovana e per problemi di sicu-rezza, presenta, oltre alla rapidità ed economicità della messa in opera, caratteristiche di isolamento termico e di salubrità che ne giustificano l’utilizzo in contesti diversificati65.

Nel sito di San Giovanni la sopravvivenza di tali muri è stata sicura-mente favorita da un incendio: gli strati di crollo appaiono di color ros-so intenso, ricchi di frammenti di terra cruda cottasi per combustione, che conservano ancora tracce evidenti dell’incannicciata di sostegno, alternati a strati di colore nero, dovuti al disfacimento degli elementi lignei delle strutture.

65 Adam 1988, pp. 61-5, 132-5; De Arch., 2,8,20.

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I due muri delimitanti l’amb. II, di cui restano visibili gli zoccoli in muratura (fig. 121), appaiono realizzati con la tecnica in mattoni crudi, ottenuti pressando argilla, sabbia e materiale organico e disposti suc-cessivamente su zoccoli in pietra66; questi, oltre a garantire solidità alla struttura, costituivano una protezione contro l’umidità. Infatti, le ana-lisi palinologiche hanno evidenziato la presenza sul sito di consistenti spore fungine, che testimoniano come il terreno fosse interessato dal persistente ristagno d’acqua. Il rivestimento dell’alzato era infine carat-terizzato da una terra argillosa mista a grandi frammenti di anfore, su cui doveva essere steso uno strato d’intonaco, parzialmente individuato nel crollo dell’ambiente.

Il rinvenimento, negli amb. I e II, di numerosissime tracce di strutture lignee carbonizzate, la presenza di impronte di canne all’interno della terra cruda combusta e la notevole quantità di chiodi di ferro documen-tano l’utilizzo della tecnica dell’opus craticium67, di cui è stata messa in luce un’ampia porzione in posto, che costituiva la parete Nord del primo ambiente (fig. 122).

Descrivendo la tecnica dell’opus craticium, Vitruvio (2,8,20) sottoli-nea che, a fronte della velocità di esecuzione, del minimo ingombro e della loro leggerezza, utile soprattutto nei piani superiori, i muri così realizzati sono però soggetti ad incendiarsi facilmente. Questa tecnica edilizia prevedeva una struttura lignea con funzione portante alla quale era fissato un intreccio di canne palustri ricoperte da uno strato d’into-naco, che proteggeva, regolarizzava e rivestiva le pareti. Muri a graticcio sono documentati a Pompei e nella Gallia meridionale in contesti datati tra il I sec. a.C. e il II sec. d.C.68; un confronto puntuale è offerto dall’e-dificio del saggio IV a valle delle Logge di Populonia, nel quale sono sta-te riportate in luce strutture murarie in mattoni crudi e opus craticium ascrivibili alla tarda età repubblicana69.

Nella porzione NordOvest dell’ambiente è stato inoltre parzialmente messo in luce un pavimento in cocciopesto, con inserti litici di piccole dimensioni, ricoperto dal disfacimento di intonaco bianco che doveva rappresentare il rivestimento parietale dell’ambiente stesso.

66 Adam 1988, pp. 63-4; Giuliani 1990, p. 152.67 De Arch., 2,3,1; Plin., n.h., 35, 48-49.68 Adam 1988, pp. 133-4; Lasfargues 1985.69 Cavari, Coccoluto 2008, pp. 145-68.

181 Aithale. Ricerche e scavi all’Isola d’Elba

La parete in opus craticium costituiva il lato meridionale di un gran-de ambiente, il III, interpretabile come un vasto cortile scoperto, dove sono stati localizzati cinque grandi dolia defossa, utilizzati per comple-tare la fermentazione del vino o per la sua conservazione (figg. 123-4).

Campioni pollinici prelevati all’interno dei dolia indiziano un pano-rama vegetale molto antropizzato, segnato dalla scomparsa del manto boschivo e dalla presenza di specie tipiche delle zone umide70. L’esa-me dei carboni ha messo in evidenza la costante presenza di essenze di Quercus ilex, largamente diffuse anticamente nell’Arcipelago Toscano. Sulle patine aderenti al fondo di un dolio è stata inoltre individuata una traccia di DNA, nella quale sono riconoscibili cristalli a granulometria eterogenea, tipici dei residui di vino antico71: il prosieguo delle analisi potrà quindi fornire indicazioni utili per la codifica degli antichi vitigni presenti sull’isola.

In questa prima campagna di scavo è stato possibile individuare sol-tanto cinque contenitori e completare lo scavo di due di essi, ma il dolia-rium dell’edificio di San Giovanni doveva essere sicuramente più esteso.

Nel saggio 2 un imponente muro, realizzato con blocchi regolari di pietra legati da malta cementizia, ha permesso di individuare l’estensio-ne occidentale dell’edificio (figg. 119, 125): questo muro delimitava in-fatti ad Ovest un’area esterna e ad Est una interna, da dove sono emer-si strati incoerenti composti da mattoni crudi, chiodi, elementi lignei carbonizzati, frammenti di intonaco e di pavimento in opus signinum, con inserti di tessere bianche disposte a formare un motivo geometrico. Questa tipologia di pavimento, che indica un elevato livello qualitativo delle strutture dell’edificio, è attestata in un arco cronologico compreso tra la fine del III e la fine del I sec. a.C.; pavimenti con le stesse decora-zioni geometriche sono attestati a Cosa in età cesariana (89-70 a.C.)72.

1.5.2. Hermia e i Valerii Messallae a San Giovanni e alla Villa delle GrotteDal fortunato recupero di alcuni bolli su opus doliare, ancora in fase

di studio, è stato possibile ricavare indicazioni preziose e convergenti

70 I campioni sono stati analizzati da C. Milanesi, C. Faleri, A. Gradi, A. Buracchi del Laboratorio Archeobotanico, Dipartimento Scienze della Vita, Università degli Studi di Siena, cui va il nostro ringraziamento.

71 Milanesi et al. 2011.72 Bueno 2006, pp. 39-56.

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sulla probabile proprietà tanto degli edifici scavati quanto della vicina villa marittima, in linea con un’ipotesi che negli ultimi anni ha acquisito sempre maggiore consistenza: l’appartenenza dell’adiacente villa delle Grotte al patrimonio dei Valerii Messallae73.

Come già congetturato da Orlanda Pancrazzi, sulla sola base di un passo di Ovidio, il legame della gens con l’Elba è noto già dai versi dell’autore latino che rammenta di essersi recato sull’isola per salutare, alla vigilia della sua partenza per l’esilio (8 d.C.), l’amico Cotta Massi-mo74, figlio minore di Marcus Valerius Messalla Corvinus, uomo politi-co legato alla famiglia imperiale e protettore delle arti, e della seconda moglie di lui, una Aurelia degli Aurelii Cottae. In seguito all’adozione da parte dello zio materno, Marcus Aurelius Cotta, ne assume il cogno-men divenendo Lucius Aurelius Cotta Maximus Messallinus75.

Cotta Massimo doveva possedere sull’isola una residenza degna del suo alto rango, che verosimilmente potrebbe essere identificata con una delle tre monumentali ville marittime note: alle Grotte e alla Linguella, nel golfo di Portoferraio, o a Capo Castello, nella punta nord-orientale dell’isola. Tutte e tre le ville sono accomunate dalla posizione in località di grande impatto scenico e dall’altissima qualità edilizia, che permette di ricondurne l’edificazione all’età augustea76.

Più di recente, Elisabeth J. Shepherd77 si è spinta a ipotizzare, sulla base di una nuova lettura di un noto bollo laterizio di provenienza urba-na dalla villa delle Grotte, che proprio questa potesse essere la residenza di Massimo Cotta.

Su un frammento di bipedale è conservato il bollo lacunoso, impresso in cartiglio rettangolare, L. Corvini78: nella produzione doliare il cogno-me Corvinus compare nei bolli di Liberalis, servo di Calpurnia Corvini e di Lucius Valerius Corvinus, identificati con il Marcus Valerius Messalla Corvinus, padre di Cotta Massimo, e la prima moglie di lui. La con-

73 Pancrazzi 1995; Gliozzo, Manacorda, Shepherd 2004; Dallai, Ponta, Shepherd 2006.

74 Ex Ponto, 2,3,83-90.75 Sternini 2000, pp. 44-7.76 Pancrazzi 1995; Pancrazzi, Ducci 1996.77 Dallai, Ponta, Shepherd 2006, p. 183. Si ringrazia E.J. Shepherd per i cortesi e

solleciti suggerimenti78 Casaburo 1997, p. 99, tav. 29e.

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ferma di queste ipotesi è offerta dalle importanti testimonianze epigra-fiche rinvenute nel doliarium di San Giovanni: due dei dolia interrati finora individuati nell’ambiente produttivo presentavano due bolli in planta pedis (fig. 126) che, sebbene frammentari, consentono di recu-perare l’intero contenuto testuale con il nome del produttore: Hermia Va(leri) M(arci) s(ervus)/ fecit. Il servo Hermia usa una formula ono-mastica ben documentata nell’opus doliare tra tarda età repubblicana e prima età augustea79, come lascia supporre l’uso di posporre il praeno-men del dominus al suo gentilizio; ancora ad Hermia, verosimilmente lo stesso, rimandano due bolli frammentari su laterizi: in un cartiglio rettangolare (fig. 127), accanto alle sole due lettere iniziali del nome He(rmia) – anche qui legate come nei bolli in planta pedis del dolio – è raffigurato in rilievo un bel delfino col dorso inarcato. Dimensioni e cura dell’immagine colpiscono, come in altri punzoni usati tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale ma, oltre ad un generico rife-rimento al regno di Nettuno, cui certamente la distribuzione dell’opus doliare è legata, o alle attività alieutiche, l’animale potrebbe avere un si-gnificato diverso, legato alle numerose storie narrate in antico sulla sua filantropia. Sono infatti numerosi gli episodi di amore e benevolenza tra uomo e delfino, ambientati in diverse città greche, ma colpisce tra quelle ricordate da Plinio, la ricorrenza di due storie d’amicizia tra un delfino e un bambino accadute entrambe a Iasos, in Caria80: nella prima l’amore che un delfino nutre nei confronti di un fanciullo, lo porta a se-guirlo fin sulla spiaggia, dove però morirà arenato. Alessandro Magno a Babilonia prepose questo bambino al culto di Nettuno interpretando quell’amore come un segno del favore divino; Eliano aggiunge come in memoria dell’avvenimento gli abitanti di Iaso abbiano adottato come simbolo monetale un fanciullo che cavalca un delfino81.

Nella seconda storia ricordata da Plinio, tratta da Egesidemo, è ricor-dato un bambino che percorreva i mari a cavallo di un delfino82. Dopo che il bambino era rimasto ucciso dalle onde di una tempesta improv-visa, il delfino, tornato alla riva e riconoscendo la sua responsibilità per la tragedia avvenuta, non ritornò in mare e spirò sulla spiaggia. Il nome

79 Per l’area pisana: Ciampoltrini, Andreotti 1991.80 Plin., n.h., 9, 27-31.81 Aelian., NA, 6,15.82 Plin., n.h., 9, 31-33.

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di questo fanciullo era proprio Ermia. Forse l’officinator dal nome gre-canico, come molti degli operatori impiegati nelle attivissime figlinae dell’Etruria settentrionale negli ultimi decenni del I sec. a.C., voleva evocare la propria terra d’origine83.

Un altro ritrovamento molto significativo è rappresentato da una te-gola recante un bollo in cartiglio quadrato, frammentario, inquadra-bile nella serie di bolli monogrammati VOLVS, ben nota e oggetto di una recente e approfondita disamina da parte di Ghiozzo, Manacorda e Shepherd, volta a verificare l’esistenza, tra i proprietari terrieri o i pro-duttori di materiali ceramici noti nell’Etruria settentrionale costiera, di personaggi cui attribuire i laterizi bollati con l’ermetico monogramma84.

La serie era stata letta da Dressel come Volus(i)85. La diffusione di que-sti esemplari, di cui sono stati individuate tre tipologie sulla base delle diversità dei punzoni utilizzati, si estende lungo tutta la costa toscana, da Luni fino al centro di Roselle (con attestazioni anche a Populonia), ma le condizioni di rinvenimento, perlopiù raccolte di superficie o con-testi non stratigrafici, non hanno consentito di fissare puntualmente la cronologia del bollo. Il larghissimo impiego di legature e l’organizza-zione della formula onomastica suggeriscono però per questi bolli una datazione tra tarda età repubblicana ed età augustea. Come argomenta Elisabeth J. Shepherd il cognome Volusus, tradizionalmente usato dalla gens Valeria, rimanda probabilmente al vasaio Marcus Valerius Volu-sus che marchia la produzione di terra sigillata italica di area pisana e la cui attività è collocata tra il 15 a.C. ed il 15-20 d.C86. L’esemplare emerso nello scavo di San Giovanni, in contesto stratigrafico affidabile, rappresenta quindi un’importante conferma delle ipotesi che vedevano legati il ceramista pisano con una delle più celebri e nobili famiglie ro-mane, quella dei Valerii. Marcus Valerius Volusus poteva appartenere alla famiglia dei Valerii, oppure essere un discendente di un esponente locale che aveva acquisito il nome del patrono e che poteva operare in una proprietà dei Valerii stessi, con un nome talmente caratterizzante e famoso che bastava, per farsi riconoscere, imprimere semplicemente un

83 Menchelli 2003, p. 167.84 Gliozzo, Manacorda, Shepherd 2004, pp. 191-212.85 CIL XI, 6689, 267.86 Shepherd 2004, pp. 205-7.

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monogramma. Hermia potrebbe quindi lavorare nella figlina di Marcus Valerius, la stessa da cui uscirebbero i prodotti col bollo VOLVS.

È attualmente in corso da parte di Gloria Olcese lo studio archeome-trico delle argille relative alle tegole di copertura e ai dolia, grazie alle quali sarà possibile risalire al centro o ai centri di produzione.

Sulla base dello studio dei materiali ceramici rinvenuti e delle atte-stazioni epigrafiche l’edificio e il doliarium di San Giovanni risalgono quindi alla prima metà del I sec. a.C. ed il loro abbandono è segnato da un incendio avvenuto nel I sec. d.C., che, ‘cuocendo’ le strutture in terra cruda, ne ha garantito la conservazione.

Questo grande complesso è interpretabile sicuramente come la pars rustica della Villa delle Grotte, scavata negli anni Sessanta del secolo scorso87 e situata sul promontorio adiacente, in posizione dominante su tutto il braccio di mare compreso fra il litorale di Piombino e l’insena-tura di approdo di Portoferraio, chiusa sull’altro lato dalla villa romana della Linguella. Si tratta di una residenza di grande prestigio, che rispet-ta le esigenze proprie di una grande famiglia; una famiglia come quella dei Valerii che ha stretti rapporti con la capitale, dalla quale fa perve-nire manodopera specializzata, materiali da costruzione e opere d’arte.

Sulla base di una recente revisione dei materiali e delle fasi edilizie della villa delle Grotte, effettuata da Sonia Casaburo, è stato possibile ascrivere all’età augustea il suo impianto originario, mentre l’assenza delle principali forme e produzioni della fine del I e poi del II sec. d.C. inducono a porre nella seconda metà del I sec. d.C. l’abbandono della residenza con uno spoglio molto consistente dei suoi elementi d’arredo più preziosi88.

La pars rustica e la pars urbana erano dunque separate, ma collegate da una grande scalinata rivolta verso San Giovanni, di cui sono visibi-li alcuni resti sul promontorio, che doveva costituire anche uno degli ingressi della villa: in questo caso la parte adibita alle funzioni produt-tive si trovava quindi in edifici distaccati dal vero e proprio complesso residenziale ed una soluzione simile è ipotizzata dal Mellini anche per la villa di Capo Castello, dove la pars rustica è identificata nei resti rin-venuti sul poco distante Capo Mattea89.

87 Monaco 1975, pp. 11-26; Monaco, Tabanelli 1976; Casaburo 1997.88 Casaburo 1997.89 Mellini Monaco 1965; Firmati 2004, pp. 171-83.

186 Autori vari

Gli elementi desunti dagli strati di crollo dell’edificio di San Giovanni pongono nello stesso momento la fine della frequentazione dell’edifi-cio, consentendo di proporre che sia stato proprio l’evento drammatico dell’incendio, che colpisce il cuore produttivo della villa, a segnare l’ab-bandono da parte dei proprietari.

In conclusione, la grande Villa delle Grotte può essere definitivamente e legittimamente annoverata tra le numerose proprietà fondiarie della gens Valeria, radicata saldamente lungo tutta la costa Toscana: i ritro-vamenti nel doliarium di San Giovanni, la diffusione del bollo Cotta in un sito produttivo e manifatturiero come quello del Sontrone (Folloni-ca) e in un porto fortemente legato ai traffici elbani come il Puntone di Scarlino, possono dunque essere inquadrati all’interno di un unico con-testo nel quale il controllo economico si estendeva sia sui siti produtti-vi, dediti alla manifattura di laterizi, di ceramica e alla lavorazione del metallo, sia nei centri atti alla commercializzazione di questi prodotti90.

È infatti assai verosimile che le ville elbane abbiano costituito origi-nariamente la residenza sul posto di personaggi che avevano avuto, fino a qualche tempo prima, interessi legati anche alle attività minerarie. I lavori per la costruzione della pars rustica della villa rappresentano ve-rosimilmente la fine della fase metallurgica che interessò il sito di San Giovanni per tutto il II sec. a.C. Le scorie di lavorazione, che i costrut-tori dovettero trovare in grande abbondanza sul sito, furono utilizzate infatti come piano preparatorio dei pavimenti in cocciopesto ed in opus signinum; le indagini di superficie condotte sui centri di riduzione di epoca romana sull’isola pongono per ora la cessazione dell’attività di lavorazione del ferro tra la fine del II e la metà del I sec. a.C.91, ma, an-cora negli ultimi decenni del I sec. a.C., Strabone vede arrivare al porto di Populonia il minerale che non può più essere ridotto sull’isola92; no-nostante la fine delle attività siderurgiche nella piana di S. Giovanni, il commercio dell’ematite elbana deve quindi essersi protratto, in forme ridotte, almeno fino alla fine del I sec. a.C.

Il fundus di San Giovanni può essere quindi stato sfruttato sia per gli interessi legati al commercio dei minerali di ferro, sia per la coltivazione agricola. Cotta Massimo è infatti ricordato tra gli autori da cui Plinio

90 Dallai, Ponta, Shepherd 2006, pp. 187-90.91 Corretti 1988; Corretti, Firmati 2011.92 Strabo, 5,2,6.

187 Aithale. Ricerche e scavi all’Isola d’Elba

attinse per la stesura della sua opera, in particolare per i libri sulla colti-vazione della vite, degli olivi e degli alberi da frutto93.

È verosimile che fossero proprio questi diversificati interessi econo-mici a motivare l’eccezionale concentrazione tra l’Elba e la costa anti-stante di personaggi illustri, legati alla cerchia augustea.

93 Plin., n.h., 1,14 e 15; Sternini 2000, p. 28.

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Texte établi, traduit et commenté par H. Zehnaker, Paris 2004.

226 Bibliografia

289 Autori vari

Isola d’Elba. San Giovanni. 117. Foto del golfo di Portoferraio da Google Earth(R). Il cerchio indica l’area di scavo,

l’asterisco la villa delle Grotte.118. Foto zenitale dell’area oggetto di indagine. In basso al centro la Villa Gasparri con la

Chiesa di San Marco, in alto a dx. i saggi 1 e 2 aperti nel 2012; le frecce indicano il limite dell’escavazione per il recupero delle scorie ferrose avvenuto nel 1938.

290 Autori vari

Isola d’Elba. San Giovanni. 119. Planimetria dell’area di scavo 2012.120. Veduta generale del saggio 1.

291 Autori vari

Isola d’Elba. San Giovanni. 121. Muri con zoccolo in

muratura dal saggio 1.122. Particolare della parete in

opus craticium in situ.

292 Autori vari

Isola D’Elba. San Giovanni. 123-4. Due dei dolia defossa in corso di scavo.125. Veduta generale del saggio 2.

293 Autori vari

Isola D’Elba. San Giovanni. 126. Particolare del bollo in planta pedis

su dolium in corso di scavo e disegno ricostruttivo del testo integrale.

127. Bollo in cartiglio rettangolare HE su tegola.

Finito di stampare nel mese di maggio 2014presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A.

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