Kossyra. Ricognizione topografica

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STUDI E RICERCHE DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN ARCHEOLOGIA DI MATERA 6,2005 E S T R A T T O

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STUDI E RICERCHE DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN ARCHEOLOGIA

DI MATERA

6,2005

E S T R A T T O

Siris 6,2005, 147-172

I metodi della ricerca

Tra le diverse indagini di superficie intrapresedalla Scuola di Specializzazione in Archeologia diMatera 1, un caso peculiare è costituito dalla ricogni-zione nell’isola di Pantelleria (TP), nell’area dell’in-sediamento dell’antica Kossyra, dove è stata avviatauna ricognizione intensiva urbana 2. Questo tipod’indagine, negli ultimi decenni, ha suscitato unvivace dibattito metodologico: solo a partire daglianni ’80 del XX secolo, infatti, si è iniziato a sotto-lineare l’importanza della città come elemento delPaesaggio, in particolar modo all’interno del conte-sto mediterraneo, e ad interrogarsi su come affronta-re l’analisi del suo territorio attraverso ricognizionidi superficie 3. Il problema principale dipende daldiverso fattore di scala dei siti urbani rispetto allealtre categorie insediamentali, da cui consegue unadifficoltà di realizzare un raccordo tra la ricognizio-ne urbana e quella rurale, come anche di renderecomparabili i metodi di indagine per raggiungereuna certa omogeneità nella lettura dei dati raccolti.Se il dibattito è tuttora aperto, si è sostanzialmenteconcordi sull’impossibilità di ideare una metodolo-gia applicabile indifferentemente: proprio la strettacorrelazione tra ricognizione e territorio rende

necessaria la scelta di metodi differenti in presenzadi Paesaggi differenti, al punto che ogni indaginerichiede una calibratura ad hoc.

L’indagine di un’area urbana, una volta definita-ne l’estensione 4, richiede necessariamente una rico-gnizione di tipo intensivo, vale a dire una registra-zione sistematica della densità degli artefatti su tuttoil territorio, attraverso la quale enfatizzare le mag-giori o minori continuità spaziali della distribuzionedegli elementi culturali nel Paesaggio 5. La raccoltadei dati può essere realizzata fondamentalmente tra-mite due metodi di approccio: la quadrettatura terri-toriale secondo una maglia regolare predefinitaoppure l’individuazione di unità di ricognizione,definite da una certa naturale omogeneità, ricercan-done i limiti nella conformazione stessa del territo-rio.

Nonostante i vantaggi conseguenti l’omogeneitàdelle dimensioni delle parcelle d’indagine, cherende più semplici i calcoli di densità e la loro suc-cessiva comparazione, la ricognizione per quadretta-tura non è sempre indicata: infatti, come è statoosservato, «moltissimo dipende dalla iniziale perce-zione del sito, dalle osservazioni sulle differenze alsuo interno e dalla quantità e qualità del materialeaffiorante» 6, tenendo anche in considerazione l’an-

1 Si ricordano le ricerche topografiche a Torre di Satriano, inprovincia di Potenza (S. De Vincenzo, M. Osanna, M. M. Sica, Lalunga vita di un piccolo santuario lucano: Torre di Satriano in etàRomana, «Ostraka» XIII 1 2004, pp. 37-57; M. Osanna, M. M.Sica (a cura di), Torre di Satriano I. Il santuario lucano, Venosa2005) e a Torre di Mare, in località Metaponto (Roubis 2002). Idati preliminari relativi alle ultime ricerche nel territorio dell’in-sediamento antico di Torre di Satriano sono esposti nel presentevolume (M. Di Lieto, M. Osanna, B. Serio, Il progetto di indagi-ne territoriale a Torre di Satriano [Pz]. Dati preliminari).

2 Al lavoro sul campo, coordinato da chi scrive, hanno presoparte studenti dell’Università di Basilicata, tanto della Scuola diSpecializzazione in Archeologia di Matera quanto della Facoltàdi Lettere, nonché delle Università “La Sapienza” di Roma e diPau (A. Mancini, M. Pellegrini, A. Di Miceli, C. Martucci, C.Pilo, M. T. Rondinella, G. Savarino, A. Bruscella, D. V. Roma-no, F. Giletti e J. S. Cocu). Desidero ringraziare in primo luogo idirettori della missione archeologica presso la “Acropoli” di S.Marco, i professori Massimo Osanna e Thomas Schäfer, per

avermi affidato questo impegno ed aver avuto fiducia nelle miepossibilità di portarlo avanti. Voglio ricordare l’apporto cospi-cuo, nel corso della prima campagna d’indagine, della dott.ssaAlessia Mancini, con la quale ho condiviso la parte preliminaree per certi versi più complessa del lavoro, nel momento di pren-dere contatto e confidenza con il territorio e di impostare la me-todologia, grazie anche ai suggerimenti del dott. Marco Di Lietoed ai puntuali consigli del prof. Marco Fabbri. Particolarmentepreziose sono state le indicazioni metodologiche del prof. Dimi-tris Roubis nella fase di elaborazione dei dati e della cartografia.

3 Bintliff, Snodgrass 1988; Celuzza, Fentress 1990, pp. 153-155.

4 La scelta può dipendere dal territorio individuato come perti-nente alla città nel corso di un’analisi preliminare come anche dauna quantificazione della forza lavoro disponibile, non ultimodalle aspettative dei ricercatori (Cambi, Terrenato 1994, pp. 130-135).

5 Alcock, Cherry, Davis 1994, p. 138.6 Celuzza, Fentress 1990, p. 165.

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di Martina Almonte

damento del terreno e le attività agricole che lohanno interessato.

La raccolta di dati in base a quadrettature regola-ri più adatta ad aree pianeggianti ed interessate daun’agricoltura di tipo estensivo, è stata la metodolo-gia prescelta a Melos così come nella ricognizionedel territorio della colonia romana di Heba 7. Partico-larmente adatte ad una suddivisione irregolare del-l’area d’indagine, legata piuttosto alla natura del ter-ritorio, sono invece alcune zone del Mediterraneo ca-ratterizzate da una forte parcellizzazione agraria, conuna chiara suddivisione degli appezzamenti spessoanche tramite muretti: così si è scelto di procederenella pionieristica esperienza di Doganella in Etruria,nel caso della polis di Phlius nell’ambito del NemeaValley Archaeological Project, nel corso della rico-gnizione a Cefalonia, che ha interessato anche il ter-ritorio delle sue antiche città, come anche in quella di

Keos 8. Un caso esemplare èrappresentato dalla BoeotianSurvey, nel corso della qualesono stati individuati tre sitila cui grandezza meritava untrattamento differenziato,Askra, Haliartos e Thespiai:mentre per le ultime due si èscelto di utilizzare una grigliarettilinea sovrimposta al ter-ritorio, per quanto parzial-mente adattata ad esso, per laprima si è deciso di conside-rare come unità di ricognizio-ne i campi, divisi tra loro damuretti moderni 9.

Altra problematica è quel-la della comparazione dei datiprovenienti dalla ricognizio-ne nei campi e quelli di scavo,dal momento che frequente-

mente nelle aree urbane sono stati svolti scavi prece-dentemente o contestualmente all’indagine di super-ficie. La ricognizione urbanaè infatti particolarmenteidonea a rispondere a domande riguardo la storia del-l’occupazione del sito, la sua articolazione territorilee le varizioni di questa, aiutando a comprendere ilproblema dei cambiamenti a lungo termine 10.

Passando al nostro contesto d’indagine, va pre-messo che, fin dalla seconda metà del XIX sec., latradizione archeologica e storico-antiquaria haindividuato l’insediamento dell’antica Kossyranella zona di S. Marco, alle spalle della città diPantelleria, da cui si gode una veduta che abbrac-cia il porto ed un ampio braccio di mare 11. Il terri-torio è caratterizzata dalla presenza di un sistemacollinare costituito da due rilievi, S. Marco e S.Teresa 12, sovrastati da una terza altura da Sud,monte S. Elmo (fig. 1). Si tratta dell’area interessata

7 Per Melos ved. C. Renfrew, J. M. Wagstaff (a cura di), Anisland polity. The archaeology of the exploitation in Melos,Cambridge 1982; per Heba ved. Celuzza, Fentress 1990, pp.159-162. Un’analisi infrasito per quadrati è stata portata avantidalla Scuola di Specializzazione di Matera a Torre di Mare, inlocalità Metaponto (Roubis 2002).

8 Per Doganella ved. L. Walker, Survey of a settlement, astrategy for the Etruscan Site at Doganella in the AlbegnaValley, in C. Haselgrove, M. Millet, I. Smit (a cura di),Archaeology from the Ploughsoil, Sheffield 1985, pp. 87-94;Celuzza, Fentress 1990, pp. 155-158.; per Phlius ved. Alcock1991, pp. 440-444.; per Cefalonia ved. K. Randsborg (a cura di),Kephallénia, Archaeology and History. The Ancient GreekCities, Acta Archaeologica Vol. 73:1 (2002), Suppl. vol. IV.2,

pp. 72-76; per Keos ved. F. Cherry, J.L. Davis, E. Mantzourani,Landscape Arcchaeology as Long-Term History. Nothern Keosin the Cycladic Islands from Earliest Settlement until ModernTimes, Los Angeles 1991, pp. 13-35.

9 Bintliff, Snodgrass 1988, pp. 60-68.10 Alcock 1991, p. 422.11 I testi fondamentali per la storia degli studi dell’area di S.

Marco sullo scorcio del XIX secolo sono: Dalla Rosa 1872;Cavallari 1874 a; Cavallari 1874 b; Mayr 1894; Mayr 1898;Orsi 1899; A. Mayr, Pantelleria, «Globus» LXXVII 1900, pp.137-143.

12 Il nome delle due colline ha subito un’inversione inseguito ad un originario errore di F. S. Cavallari , il qualedenominò S. Teresa la collina sulla cui cima è edificata la pol-

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Fig. 1. - Panorama dalla vetta di monte S. Elmo in direzione di Kossyra e del porto.

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da scavi estensivi, concentrati sulla zona sommitaledella collina di S. Marco ed in un’area alle pendicisud-orientali di questa, a partire dal 2000 (fig. 2) 13.

L’indagine topografica è nata con lo scopo dicomprendere lo sviluppo diacronico, i limiti e l’arti-colazione interna del sito.

In primo luogo abbiamo definito i limiti delnostro intervento (tav. I): quello nord-orientale ècostituito dalla strada che, correndo lungo le pendi-ci dei tre rilievi, collega Pantelleria all’aeroporto;quello sud-orientale è invece obbligato, a causadella presenza della barriera invalicabile della basemilitare sulla cima di monte S. Elmo e, più ad Est,di un’area semi inaccessibile, dove l’assenza di sen-tieri percorribili e la fitta vegetazione spontanea ren-dono praticamente impossibile il reperimento ditracce archeologiche; il limite sud-occidentale correalle pendici del sistema orografico verso contradaVercimursa, scandite dalla presenza della strada che

proviene da Pantelleria e prosegue verso S. Anna,mentre a S. Elmo corrisponde alla morfologia dellependici, caratterizzate da soluzione di continuità tral’area sistemata a terrazze del versante settentriona-le e quella impervia e selvatica di quello occidenta-le; infine, il limite nord-occidentale corrisponde allependici di S. Marco verso la città e cuddia Bruciata.L’area così definita ha un’estensione di ca. 28 ha.,che dovrebbe coincidere, grossomodo, con la super-ficie interessata dall’insediamento ellenistico-roma-no e che corrisponde alla carta che costituisce lacomponente territoriale del relativo GIS 14.

Un primo approccio con il territorio è stato fon-damentale al fine della definizione delle strategie daimpiegare. Pantelleria costituisce un contesto privi-legiato, dove l’avvento dell’agricoltura meccanizza-ta non è concretamente ancora avvenuto e dove isistemi di intervento dell’uomo sulla natura sonopraticamente rimasti fossilizzati nel corso dei seco-

veriera, in realtà S. Marco, e l’altra collina ad ovest, ovverol’autentica S. Teresa, S. Marco (D’Ajetti 1978, pp. 169-170).La successiva letteratura archeologica ha seguito il Cavallari,tanto che la denominazione invertita è quella oramai in uso e,per evitare equivoci, abbiamo deciso di continuare ad impie-garla anche noi.

13 T. Schäfer, M. Osanna, J. Riethmüller, Pantelleria.Bericcht über Ausgrabungen und Forschungen 2000, «AA»2001, pp. 213-239.

14 Il GIS (Sistema Informativo Geografico) è attualmente infieri, a cura di Thorsten Schwing, Vermessungsingenieur pressoil Politecnico di Karlsruhe.

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Fig. 2. - Veduta aerea di S. Marco da sud-ovest.

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Tav. I. - Carta archeologica.

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li, per non dire dei millenni 15. Due sono i fattori chesegnano un forte elemento di continuità con il pas-sato: l’uso di terrazzamenti artificiali, per permette-re il massimo sfruttamento della superficie collina-re, e la forte dipendenza dalle riserve d’acqua pio-vana, costituite da cisterne sparse per il territorio.Muri di terrazzamento e cisterne sono stati spessoutilizzati per secoli, naturalmente con una serie dirifacimenti 16. Anche le tecniche di captazione del-l’acqua tuttora impiegate, la cui peculiarità contri-buisce alla fama di Pantelleria come meta turistica,mostrano incredibili analogie con sistemazioni cheriscontriamo in ambito archeologico.

Nonostante il banco roccioso sia molto superfi-ciale, ed anzi affiori frequentemente, la natura delterreno di origine vulcanica è particolarmente ferti-le, cosicché è stato intensamente sfruttato a livelloagricolo e lo è, per buona parte, ancora oggi, graziealla sua articolazione in stretti terrazzamenti artifi-ciali sostruiti da muri a secco (fig. 2) 17.

La presenza di questi terrazzamenti artificialicostituisce una parcellizzazione ben evidente sul ter-reno, seguire la quale è risultata una scelta per cosìdire naturale, grazie anche alla sua immediata rico-noscibilità sulla cartografia di base scelta, l’ortofo-tocarta, ottenuta mediante restituzione aerofoto-grammetrica di tipo analitico, nella scala 1:1000, laquale ha permesso di registrare i dati sul campo conuna notevole precisione di dettaglio 18. La ricogni-

zione intensiva del sito è stata pertanto svolta terraz-za per terrazza, camminando per strisciate parallelee mantenendo una distanza mediamente di 3 m. tra isingoli ricognitori, allo scopo di individuare, posi-zionare sulla carta e documentare qualsiasi tipo dievidenza archeologica 19. Il lavoro è stato svolto dauna squadra, la cui composizione variava da unminimo di due ricognitori ad un massimo di quat-tro 20.

Per la documentazione è stato utilizzato il meto-do indicato da Andreina Ricci, intendendo con il ter-mine Sito (S) il contenitore o, per meglio dire, l’u-nità di indagine/raccolta – nel nostro caso ogni sin-gola terrazza o, più raramente, un sistema di terraz-ze comunicanti – e con Unità Topografica (UT) leeventuali presenze archeologiche, comprese le areedi frammenti fittili, all’interno del Sito 21. I Siti cosìdefiniti sono stati numerati progressivamente e deli-mitati sulla carta, come anche le relative UnitàTopografiche, utilizzando il sistema di posiziona-mento tradizionale, procedendo poi alla compilazio-ne di apposite schede 22.

La carta archeologica che ne è risultata, è statasuccessivamente digitalizzata in modo da andare acostituire uno dei livelli del GIS (tav. I).

Si è deciso di schedare come Sito anche i campidove non sono state rinvenute evidenze, onde racco-gliere i dati utili alla comprensione di questa assen-za del record archeologico, che può non esserci mai

15 Sull’influenza dell’attività agricola sul territorio e la neces-sità di considerarne le possibili conseguenze nella distribuzionedei manufatti ved. Alcock, Cherry, Davis 1994.

16 Nei lunghi mesi di permanenza sull’isola, abbiamo potutoosservare come molti dei muri di terrazzamento crollino inseguito ai temporali più violenti e vengano ogni volta ricostrui-ti, tuttora con la tecnica di pietrame a secco.

17 Le colture più diffuse sono quelle caratteristiche dell’isola,ossia la vite bassa e il cappero. Le linee dei terrazzamenti, sonointerrotte qua e là dai “giardini arabi”, dove crescono gli agru-mi al riparo dai venti, mentre rare porzioni di terra sono desti-nate all’orticultura. Alcune terrazze, prevalentemente quelle diS. Marco più vicine al cantiere archeologico, si trovano in statodi abbandono. Le poche zone edificate si concentrano a Est di S.Teresa ed ai piedi dei rilievi.

18 L’ortofotocarta è stata realizzata da Thorsten Schwing, apartire dal 2000, appositamente per le indagini sull’Acropoli.

19 La larghezza delle strisciate influisce direttamente sull’in-tensità (“quantità di energia impiegata e dettaglio raggiuntonella raccolta dei dati”) della ricognizione (Cambi, Terrenato1994, pp. 136-141); nel nostro caso il livello di intensità è moltoalto.

20 La quantità di tempo impiegato è approssimativamente cal-colabile in 250 giorni/uomo.

21 Ved. A. Ricci, La documentazione scritta nella ricercaarcheologica sul territorio: un nuovo sistema di schedatura,

«AMediev» X 1983, pp. 495-506. Abbiamo utilizzato, con alcu-ne modifiche richieste dal contesto, le ultime indicazioni di A.Carandini relative alla distinzione delle Unità Topografiche, cor-rispondenti alla più piccola unità che si riesca a individuare tra glielementi costitutivi dei paesaggi antichi, in quattro tipi diversi:Unità di Contesto, Unità di Reperto Mobile, Unità di Anomalia eUnità di Extrasito (A. Carandini, P. Carafa, M. C. Capanna, Il pro-getto «Archeologia del suburbio di Roma per la ricostruzione deipaesaggi agrari antichi». Impostazione e metodologia dellaricerca, in C. Cupitò, Il suburbio di Roma antica: il territorio trala Salaria, l’Aniene, il Tevere e la c.d. Salaria Vetus (IIMunicipio), in Archeologia del suburbio di Roma per la ricostru-zione dei paesaggi agrari antichi. Contributi all’aggiornamentodella Carta dell’Agro, I, in corso di stampa).

22 Schede di Sito, sulle quali è possibile fare notazioni di tipoambientale e geologico, specificare il tipo di ricognizione effet-tuata, la visibilità e la distanza tra i ricognitori, correlate a schededi Unità Topografica, dove si descrivono nel dettaglio i diversitipi di evidenze e, nel caso di aree di frammenti, si registranoanche la conformazione dell’area ed il numero e la densità deiframmenti rinvenuti. Queste schede sono il risultato di una com-binazione tra la scheda Ricci e un modello di scheda, ispiratadalla scuola anglosassone, fornita alla Scuola di Specializzazionedi Matera dal prof. M. Rendeli, cui vanno i nostri ringraziamenti.Le strutture murarie sono state documentate tramite schede diUnità Stratigrafica Muraria allegate alle relative schede UT.

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Tav. II. - Carta della visibilità.

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Tav. III. - Carta dell’utilizzo del suolo.

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Tav. IV. - Carta della densità dei rinvenimenti.

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stato, ma può anche solo non essere più visibile 23.Allo stesso scopo, si sono prodotte sul campo altredue carte, quella della visibilità e quella dell’utilizzodel suolo, a loro volta confluite successivamente nelGIS (tavv. II e III). L’uso combinato delle tre carteha permesso, in sede di analisi dei dati, una più com-pleta elaborazione delle informazioni ricavate dallanostra ricognizione. Dal loro confronto, infatti,risulta evidente che i Siti tra S. Marco e S. Teresache non hanno restituito evidenze archeologichesono quelli caratterizzati da una visibilità scarsa onulla, oppure dove non abbiamo raccolto il materia-le presente perché all’interno di aree di cantiere:solo allontanandosi dalle due colline possiamocostatare un effettivo diradarsi delle presenzearcheologiche, come risulta evidente dalla cartadella densità dei rinvenimenti di superficie (tav. IV).

Le evidenze identificate sono costituite da aree diconcentrazione o dispersione di frammenti fittili, dastrutture murarie o singoli muri, sui quali frequente-mente si impostano i muri di terrazzamento moderni,da cisterne talvolta ancora in uso e da reperti mobili;abbiamo segnalato anche i percorsi stradali che rical-cano plausibilmente tracciati antichi, le emergenzedel banco roccioso qualora mostrino segni di lavora-zione, cave o grotte difficilmente inquadrabili da unpunto di vista cronologico ed alcune anomalie del ter-reno non meglio definibili.

La scelta operata è stata dunque quella di segnala-re qualunque elemento del Paesaggio la cui antichitàfosse anche solo “sospetta”. Particolarmente comples-sa risulta la questione riguardo i muri, sia per quantoconcerne la loro cronologia che la loro funzione.“When is a wall a wall?”, si domanda correttamente

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N. Johnson 24. Nel nostro caso, più che dalla teoriasiamo stati guidati dal metodo empirico: data la natu-ra dei muri di terrazzamento, ci siamo limitati neces-sariamente, nella maggior parte dei casi, all’analisi diuna sola facciavista, osservando ogni segno di di-scontinuità nei terrazzamenti e cercando di riconosce-re le differenti tecniche 25. Mentre, infatti, la tecnica dimuratura a secco utilizzata negli ultimi secoli prevedel’impiego di quelle che l’Orsi definisce “pietre brute”,capita frequentemente di distinguere, all’interno di ter-razzamenti così fatti, pietre di maggiori dimensioni,sbozzate o addirittura squadrate: parliamo di reimpie-go qualora queste pietre si trovino praticamente a“galleggiare” tra le “pietre brute”, quando invecesiano disposte su più filari e poggino sul banco roc-cioso, allora possiamo ragionevolmente pensare che sitratti di muri più antichi sui quali sono stati reimpostatiquelli moderni. La posizione, l’imponenza del lacertosuperstite, la tecnica muraria impiegata, fanno poi pro-pendere per un muro di “sostruzione e/o fortificazio-ne” piuttosto che per un muro relativo ad un edificiodi qualsivoglia natura 26. Quando gli elementi a nostradisposizione non erano abbastanza convincenti, ab-biamo classificato i muri come “probabilmente anti-chi”.

Per quanto riguarda le aree di frammenti fittili, sinota la presenza di materiale su tutta la superficie in-dagata, quasi senza soluzione di continuità, ad ecce-zione delle zone di visibilità scarsa o nulla. Il mate-riale fittile è stato quindi distinto per Unità Topogra-fiche, che normalmente coincidono con il Sito con-tenitore 27.

La presenza dei terrazzamenti artificiali ha postoseri dubbi metodologici riguardo l’attendibilità dei

23 Sul problema della rappresentatività delle ricognizioni ved.Cambi, Terrenato 1994, pp. 129-130.

24 N. Johnson, Archaeological Field Survey: a CornishPerspective, in S. Macready, H. Thompson (a cura di),Archaeological Field Survey in Britain and Abroad, in «Societyof Antiquaries Occasional Papers» VI, London 1985, pp. 51-66,in particolare p. 53.

25 Intendiamo riferirci alle differenti tecniche il cui uso loca-le sia stato constatato, considerando la difficoltà di applicare nelnostro caso tipologie di tecniche costruttive precostituite, comeè stato invece possibile fare nel caso di altri insediamenti, comead esempio quello di Praisos nella parte orientale dell’isola diCreta (J. Whitley, K. O’Conor, H. Mason, Praisos III: a reporton the architectural survey undertaken in 1992, «BSA» XC1995, pp. 404-428).

26 L. Foxhall (L. Foxhall, Feeling the earth move: cultiva-tion techniques on steep slopes in classical antiquity, in G.Shimpley, J. Salmon (a cura di) Uman Landscapes in ClassicalAntiquity. Environnement and Culture, London-New York1996, pp. 44-67) è particolarmente scettico sulla possibilità di

riconoscere nei muri di terrazzamento moderni quelli antichi,proiettando all’indietro il moderno sistema di coltivazioni,come ad esempio nel caso della Berbati-Limnes Survey (B.Wells, C. Runnels, E. Angger, The Berbati-Limnes archaeolo-gical survey. The 1988 season, «OpAth» XVIII 1990, pp. 207-238). Condividiamo l’esigenza di cautela suggerita dallo stu-dioso, tuttavia ci sembra necessario ancora una volta fare di-verse considerazioni a seconda del contesto: nel caso di Pan-telleria la continuità di vita di alcune linee di terrazzamento èstata chiaramente dimostrata dai dati di scavo, in particolare nelsaggio IX (P. Vecchio, Proposta preliminare di articolazione infasi per l’abitato di Kossyra, Acropoli di S. Marco (saggi IX-X), in Osanna, Torelli 2006, pp. 51-57, in particolare p. 57).

27 La raccolta del materiale di ogni unità topografica si puòdefinire integrale, in quanto sono stati raccolti tutti i reperti,antichi e non. Dopo aver contato tutto il materiale sul campo,abbiamo però lasciato sul Sito i frammenti il cui cattivo stato diconservazione non permetteva una certa identificazione e lamaggior parte delle pareti di anfore, preoccupandoci di regi-strarne il computo differenziato.

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dati delle ricognizioni e la fattibilità di un’analisiinfrasito, a causa degli spostamenti del terreno, equindi dei materiali, per la realizzazione degli stes-si 28. Tuttavia abbiamo constatato che parte dei ter-razzamenti odierni sembrano ricalcare una situazio-ne simile già in antico e, di conseguenza, non devo-no aver comportato grandi movimenti di terra; inol-tre, anche in caso di apprestamenti moderni, lo spo-stamento dovrebbe sempre essere riconducibileall’ambito della stessa particella terrazzata, proprioperché il terreno viene mosso sempre verso l’inter-no, ottenendo quindi un’approssimazione alla posi-zione precisa molto più alta di quanto non avvengasolitamente 29. Le particelle agrarie, individuate daiterrazzamenti e dai muretti a secco sulle pendicicollinari indagate, hanno dimensioni sempre limita-te (da 240 mq. ad un massimo di 1000 mq.); solo icampi in zona pianeggiante, in direzione della città,raggiungono estensioni considerevoli (fino ad oltre6000 mq.) e, in questo caso, non sono più terrazza-ti, ma solo delimitati da muretti. Abbiamo dunquerisolto il problema dell’affidabilità, non effettuandouna raccolta dei materiali per quadrati di dimensio-ni definite, ma utilizzando come unità di raccolta leparticelle terrazzate stesse 30.

L’alta concentrazione di presenze archeologichesulle colline di S. Marco e S. Teresa, praticamentesenza soluzione di continuità, ha permesso di con-fermare già ad una prima analisi dei dati la presen-za di un insediamento di considerevoli dimensionie, come già affermato da P. Orsi, di una “cittadella

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fortificata” con più circuiti murari, su diversi livel-li, che racchiudeva al suo interno le colline di S.Marco e S. Teresa e l’area pianeggiante compresatra loro 31.

L’indagine ha interessato anche monte S. Elmo,allo scopo di chiarire i limiti dell’abitato verso Sude le dinamiche insediative su quello che, dei trerilievi, risulta dominante per altezza (245 m. s.l.m.contro i 127 di S. Marco ed i 130 di S. Teresa) eposizione (fig. 1). In seguito ad una prima ricogni-zione non sistematica di tutto il monte, si è decisodi indagare intensivamente le sole pendici setten-trionali, quelle che guardano verso i due rilieviminori e verso il porto, in direzione delle quali sup-ponevamo gravitasse l’abitato; abbiamo ancheadottato un metodo d’indagine parzialmente diver-so da quello impiegato per il territorio in anticourbano, individuando dei Siti, con le relative UnitàTopografiche, solo in presenza di rinvenimenti 32.

Il sistema insediativo di Kossyra nella diacronia:organizzazione dello spazio all’interno delcentro antico

Benché nel corso della ricognizione siano statiraccolti con egual cura i dati relativi ad un arco cro-nologico ben più ampio, in questa sede anticipiamoi risultati relativi al periodo di vita dell’anticaKossyra, tra l’età arcaica e quella imperiale 33.

28 A. Monti fa notare che, poiché la tecnica più comune perrealizzare dei terrazzamenti su un declivio consiste nel preleva-re terreno nella zona a monte per depositarlo a valle contro unmuro di sostruzione, i materiali archeologici raccolti in superfi-cie potrebbero non trovarsi più “sulla esatta verticale dei depo-siti sepolti dai quali le lavorazioni agricole li hanno fatti affio-rare, ma spostati per effetto dello spostamento del terreno che licontiene” (Monti 2004, p. 1156, nota 18).

29 Esiste, infatti, una serie di fattori di disturbo per i quali soloin linea teorica è possibile che i depositi archeologici abbiano subi-to uno spostamento “sull’esatta verticale dei depositi sepolti”,tanto più laddove l’agricoltura meccanizzata ha preso piede inmaniera incisiva: in base alla simulazione degli effetti dei lavoriagricoli sulle aree di manufatti, una concentrazione di materiali deldiametro di ca. 7 m, dopo 20 anni avrà raggiunto un diametrosuperiore ai 20 m. e dopo 50 anni superiore ai 30 (R. Yoston, V.Gaffney, P. R. Reynolds, Simulation of Artefact Movement Due toCultivation, «JASc» XVII 1990, pp. 67-83). La distribuzione dimanufatti sul paesaggio è condizionata, oltre che dagli effetti deilavori agricoli, anche da fenomeni pedologici di erosione e diaccumulo (Cambi, Terrenato 1994, pp. 168-174).

30 Nel corso della ricognizione, abbiamo sempre cercato dinotare e segnalato eventuali indizi di un possibile disturbo del-l’affidabilità (ad esempio la presenza di discariche, o anche solo

lo stato di conservazione particolarmente cattivo dei frammenticeramici) ed abbiamo definito le Unità Topografiche che pre-sentavano queste caratteristiche non come Unità di Contesto macome Unità di Extrasito.

31 Orsi 1899, nuova ed. in Tusa 1991, pp. 73-82.32 Non che sulle altre pendici del monte non sussistano resti

antichi: nella parte sud-orientale di S. Elmo abbiamo accertato lapresenza delle “mura megalitiche” già viste dall’Orsi (Orsi in Tusa1991, pp. 73-74), benché propendiamo per una datazione in etàMedioevale piuttosto che Preistorica, così come di alcune cisternee di aree di frammenti ceramici. Tuttavia queste testimonianzesono “rarefatte” sul terreno e certamente non pertinenti all’abitatodell’antica Kossyra, oggetto della presente indagine.

33 La prima attestazione di attività umana nel sito di S.Marco è databile nel corso della Preistoria, come dimostra lapresenza di una notevole quantità di strumenti e scarti di lavo-razione in ossidiana. Lo studio dei materiali preistorici è statointrapreso da Emiliano Tufano, cui vanno i miei ringraziamen-ti per le informazioni preliminari. Mancano purtroppo appiglicronologici precisi, dal momento che la struttura perlitica del-l’ossidiana di Pantelleria rende difficile la sua lavorazione e, diconseguenza, l’industria litica dell’isola si presenta di fatturascadente, caratterizzata da una convergenza con le tecniche discheggiatura caratteristiche del Paleolitico inferiore e medio

Kossyra. Ricognizione topografica nell’area dell’insediamento antico

Periodo arcaico e classico (VII-metà IV sec. a.C.)

Le fonti letterarie testimoniano che a Pantelleria,in conseguenza della posizione strategica dell’isola,si era sviluppato un cospicuo insediamento punico,noto col nome semitico Iranim e col grecoKossyra 34.

La presenza di un insediamento punico sulle col-line di S. Marco e S. Teresa è stata affermata a par-tire dal XIX secolo, pur con differenti interpretazio-ni sia riguardo la cronologia che la consistenza(acropoli o insediamento vero e proprio) 35. Difatti,fino agli scavi recenti, gli elementi più evidenti del-l’insediamento di S. Marco-S. Teresa, alle spalle diquello che doveva essere il principale porto dell’iso-la anche nell’antichità, erano quelli relativi all’esi-stenza di uno o più circuiti murari intorno alle duevette, con un’area compresa all’interno che PaoloOrsi calcola di ca. 21600 mq. 36, e di tombe distri-buite «ad arco intorno all’Acropoli, e precisamente:a mezzogiorno nelle terre e nell’orto D’Ancona, alevante a pie’del s. Elmo, a settentrione presso l’at-tuale villetta Rallo; senza poi tener conto di qualchesepolcro isolato» 37. L’attenta ricognizione di tutte leterrazze limitrofe le due collinette, dove in localitàCubebe e S. Basilio ancora si vedevano resti di edi-fici domestici di età romana, portò Paolo Orsi allaconclusione che l’antica città si doveva estendere«con gruppi di abitazioni sparse sulle ridenti colline

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a ponente e nord-est dell’Acropoli, le più ricche dipiccolo materiale archeologico; ma completamentesconvolte alla superficie per la riduzione dei terreni avigne, esse non conservano più alcuna traccia monu-mentale, all’infuori dei cisternoni frequenti, che allu-dono appunto ad abitati» 38. Il grande archeologo sici-liano immaginava, nonostante l’assenza di rinveni-menti, che lungo il porto si trovasse «il Proasteioncol quartiere marittimo» 39. L’Orsi avanzò altresìun’ipotesi riguardo alla prima costruzione delle muradell’Acropoli, che pose nel V sec. a.C., dato ripresonelle speculazioni posteriori e considerato comeprova dell’esistenza di un insediamento punico stabi-le solo a partire dall’età classica 40.

Secondo A. Verger, l’insediamento punico, eforse già fenicio, nato con tutta probabilità comesemplice punto di appoggio sulle rotte verso laSicilia, ipoteticamente verso Malta, verso laSardegna e la Spagna sud-orientale, sarebbe cresciu-to di importanza solo in seguito alle sempre piùaspre lotte con i Greci di Sicilia, acquisendo un certanotorietà nel IV sec. a.C., quando le fonti classicheiniziano a parlarne, grazie alla sua importanza stra-tegica 41.

Il rinvenimento, nel corso delle ricognizionieffettuate nell’ambito del progetto Carta archeolo-gica di Pantelleria, di materiali e di concentrazioniceramiche circoscritte databili al VII e soprattuttoVI sec. a.C., non ha mutato sostanzialmente l’imma-

(Tozzi 1968, p. 368). Non ci viene in aiuto nemmeno la cera-mica, quasi assente in questa fase, per un problema di conser-vazione, oppure per la presenza in quest’area non di un inse-diamento vero e proprio ma piuttosto di un’“officina litica”.Molta cautela occorre nell’interpretazione dei muri in operamegalitica come muri preistorici: questa tecnica, infatti, cuiben si prestava la pietra locale, è stata utilizzata anche in etàtardo-antica a Pantelleria, come in alcune zone della Sicilia(V.G. Rizzone, A.M. Sammito, Modica ed il suo territorio nellatarda antichità, «Archivum Historicum Mothycense» VII2001, versione HTML http://web.tiscali.it/liceoconvitto). La-certi di mura in opera poligonale, piuttosto rozza ed irregolare,sono stati individuati a Nord della collina di S. Marco, intornoa quota 96-100 m s.l.m. (UT 36.1, 120.1, 119.3); altri resti, diminore entità e di identificazione ancora più incerta, si trovanolungo il lato nord-orientale della strada denominata Sito 81 (UT81.3 e 73.2). Sarebbe interessante riuscire a comprendere se siamai effettivamente esistito un insediamento e quando datarequeste attività, se nell’età del Bronzo, coeve all’abitato delMursia (sugli scavi in località Mursia: Tozzi 1968; Tozzi 1978;Tusa 1990, p. 35 sgg.; Tusa 1993, pp. 336-343; Tusa 1997;Tusa in Santoro Bianchi, Guiducci,Tusa 2003, pp. 15-18), op-pure ancora nel Neolitico. Segue un vuoto ampio diversi seco-li che, peraltro, corrisponde ad una carenza di documentazionein tutta l’isola.

34 Il nome punico ’YRNM è riportato sulle prime emissionimonetali (da ultimo Calciati 1987, pp. 359-362) e su di un’i-

scrizione da Cartagine (CIS, I 1, 265, tav. XLVII). Per la rac-colta delle fonti antiche su Kossyra: RE XI, 2 (1922), pp. 1503-1504, s.v. Kossura.

35 Per la storia degli studi e, in particolare, la questione del-l’ubicazione della città antica ved. Osanna 2006, pp. 36-37.

36 Orsi in Tusa 1991, p. 74.37 Orsi in Tusa 1991, p. 87 e sulla necropoli pp. 87-91.

L’archeologo si basa anche sui dati delle precedenti ricerche:Dalla Rosa 1872, p. 143; Cavallari 1874 b, p. 27; Mayr 1894, p.388.

38 Orsi in Tusa 1991, p. 83.39 Orsi in Tusa 1991, p. 85.40 Così S. Moscati (S. Moscati, Tra Cartagine e Roma, Mi-

lano 1971, pp. 39-40).41 Verger 1966a, p. 262. Anche F. Cantarelli ipotizza che

Iranim/Kossyra sia stata prima scalo poi insediamento stabile:scalo semplice quando gli interessi fenici si dispiegavano versoil Mediterraneo occidentale ed orientale creando una koinécommerciale comprendente le principali coste mediterranee,guarnigione vera e propria quando si fa sentire la concorrenzagreca e il mondo fenicio tende a creare un largo sbarramentomarittimo passante per capo Bon, Mozia, la Sardegna e laCorsica (F. Cantarelli, Le possibilità insediative e produttivedell’isola di Pantelleria dalla preistoria alla romanizzazione, inStudi di antichità in memoria di Clementina Gatti, Milano 1987,pp. 47-65, in particolare pp. 49-50).

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Tav. V. - Fase I: periodo arcaico e classico.

Kossyra. Ricognizione topografica nell’area dell’insediamento antico

gine di un’ancora scarsa consistenza dell’insedia-mento di età arcaica, dal momento che questi datisono stati interpretati come dimostrazione di unafrequentazione dell’isola caratterizzata da un«impianto di piccoli nuclei sparsi corrispondenti adun modello caratteristico di insediamenti pionieri,con un’estensione compresa tra 1 e 2 ettari, didimensioni appena sufficienti al sostentamento diuna famiglia media» 42.

L’analisi dei materiali rinvenuti nel corso dellaricognizione nell’area di S. Marco sembra modifica-re alquanto questo quadro (tav. V). Mentre, infatti, èstata confermata la cospicua presenza di ceramica apartire dall’età classica, notevoli sorprese ha riser-vato la fase precedente: una considerevole quantitàdi materiale fittile databile tra la seconda metà delVII ed il VI sec. a.C., è stata infatti rinvenuta lungotutti i versanti del sistema collinare, con una densitàparticolarmente notevole nella zona nord-occidenta-le, in direzione dell’odierna città di Pantelleria e delporto. La consistenza dei dati raccolti rende ormaiinconfutabile la presenza di un insediamento stabilee cospicuo a partire per lo meno dalla fine del VIIsec. a.C.

In età classica constatiamo un’ulteriore espansio-ne dell’area interessata da rinvenimenti, nonché unincremento del record archeologico, con ogni proba-bilità da collegare con l’importanza strategica chel’isola era venuta ad assumere nell’ambito dei con-trasti tra Greci e Punici per il controllo delMediterraneo e della Sicilia.

Per quanto riguarda la così detta Acropoli, oltrealla deduzione di una sua occupazione a partire daquesta fase, in base alla presenza di materiali di etàarcaica e classica tutto intorno alle vette delle colli-ne, una conferma viene dal rinvenimento di materia-li arcaici nel corso dello scavo del saggio I, propriosulla terrazza più alta di S. Marco (S 1). Frammenticeramici di età arcaica, e soprattutto classica, sonostati raccolti all’interno dei Siti 10 e 30, nel secondodei quali lo scavo del saggio V ha permesso di indi-

viduare la presenza di un’area molto probabilmentedestinata ad una funzione pubblica.

D’altro canto, le carte di Visibilità (tav. II) e diUtilizzo del terreno (tav. III) aiutano a leggere que-sta penuria di dati, soprattutto ceramici, relativa-mente alla parte più alta delle colline, all’interno delcantiere archeologico, oppure in zone di visibilitàscarsa o nulla, con una conseguente difficoltà oimpossibilità di raccogliere il materiale di superfi-cie. Appena scendiamo, infatti, intorno a quota 110m. s.l.m., osserviamo la costante presenza di artefat-ti fino alle pendici settentrionali di S. Elmo, salvonelle fasce dove nuovamente la visibilità inficia laraccolta dei dati. La densità dei rinvenimenti di etàarcaica e classica aumenta sul versante nord-occi-dentale di S. Marco.

La ricognizione ha anche confermato, in tutta l’a-rea indagata, la già nota capillare diffusione di cister-ne, alcune di dimensioni particolarmente notevoli,che vanno studiate contestualmente a quelle rinvenu-te nei saggi di scavo e testimoniano l’intenso sfrutta-mento del territorio, sia per uso domestico che agri-colo. Siamo in attesa di verificare se le cisterne chepresentano pianta ovoidale, conformazione così dettaa “bottiglia”, rastremata verso l’alto, e copertura inlastre di tufo poste di piatto (UT 2.2, 2.6, 14.3, 38.2,74.2, 88.1, 103.1, 120.2 e 150.2) possano essere rife-ribili al periodo arcaico, con un esame anche dei dif-ferenti tipi di rivestimento presenti 43. Gran parte diqueste riserve d’acqua sono state riutilizzate nel corsodei secoli, spesso sostituendo, plausibilmente in etàromana, la copertura orizzontale con una volta incementizio. Già Paolo Orsi aveva sottolineato comele cisterne restassero a testimoniare la presenza del-l’insediamento antico in mancanza di altre tracce 44: lacomparazione con i dati relativi alla ceramica forni-sce ulteriori conferme.

Relativamente alle mura, al momento non sussi-stono elementi che possano dimostrare la loro esi-stenza in un momento cronologico anteriore al IVsec. a.C. 45. Lo stanziamento iniziale non doveva

42 S. Massa, Da Cossyra a Pantelleria. Archeologia del pae-saggio dalla conquista romana alla conquista araba, Tesi diDottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a.a.2002/2003; così anche Monti (Monti 2004, pp. 1167-1169).

43 Lo studio delle cisterne di Pantelleria è stato intrapreso adopera di Simone M. Mantellini, nell’ambito del progetto Cartaarcheologica di Pantelleria a cura dell’Università di Bologna edella Soprintendenza BB. CC. AA. della provincia di Trapani. IlMantellini ha individuato 55 cisterne nell’area di S. Marco, in-quadrabili nella tipologia base delle cisterne puniche, che distin-

gue tra quelle a “bagnarola”, caratterizzate da una pianta ellitti-ca, e quelle a “bottiglia” o a “caraffa”. La grande innovazione ro-mana è quella della copertura a volta, motivo per cui si pensasiano puniche tutte le cisterne costruite con un sistema aggettan-te (S. M. Mantellini, Irrigazione ed agricoltura a Pantelleria:dalle origini al Medioevo, tesi di laurea-Università di Bologna,versione HTML http://archeoclub.pantelleria.it/letesi.html).

44 Orsi in Tusa 1991, p. 83.45 Si vedano i dati di scavo (Tusa 2004, pp. 71-87; Osanna

2006, p. 40).

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avere grandi necessità di protezione, ma è probabileche le prime fortificazioni siano state costruite anco-ra nel corso dell’età classica. Particolarmente antichisembrarono a Paolo Orsi 46 i tratti delle fortificazio-ni individuati a SE di S. Teresa, a doppia cortina conemplecton, caratterizzati da un paramento esterno inopera pseudo-isodoma in blocchi dalle dimensioniin alcuni casi colossali (fino a 2 x 0,60 m.) con fac-ciavista in bugnato o rustico (UT 40.2, 114.3 e110.2) (fig. 3).

I dati raccolti nell’Ottocento hanno permesso diindividuare le tombe puniche arcaiche subito a sud-ovest della Polveriera, in base alla presenza di «mate-riale greco-arcaico, e precisamente corinzio», databileal VI sec. a.C. 47 Molti di questi dati non sono oggirecuperabili dal momento che, come raccontano DallaRosa e Cavallari, quando nel XIX secolo venneroimpiantati i vigneti in questa zona, durante lo scavodelle buche per le viti, i proprietari dei terreni rinven-

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nero molti vasi ed urne cinerarie, che presero e porta-rono nelle loro case e, in alcuni casi, rivendettero 48.Nonostante, dunque, non siano stati rinvenuti nelcorso della ricognizioni materiali inequivocabilmenteprovenienti da necropoli, come abbiamo visto moltidei frammenti ceramici raccolti in superficie sonocompresi in un arco cronologico che va dalla secondametà del VII sec. a.C. alla fine dell’età Classica: cera-mica attica (tav. VIII, 1-4) 49, ceramica comune puni-ca (tav. VIII, 6-10) 50, anfore corinzie, attiche (tav.VIII, 5) 51e puniche (tav. VIII, 11-12) 52. Non ci sonodubbi sull’esistenza di più nuclei di sepolture nellediverse aree intorno al sistema collinare S. Marco-S.Teresa, il più cospicuo dei quali è con ogni probabilitàquello già segnalato dagli antichi studiosi (S 76, 73,79, 82, 83 e 84). Ipotizziamo che vadano interpretaticome aree di necropoli pertinenti a questa fase anchequelle a Sud della strada denominata Sito 81 verso S.Elmo (S 60), a Sud-Est del sistema collinare (S 75,114 e 98), a Nord-Est (S 130, 108, 115 e 116), a Nord-Ovest (S 71, 138, 104 e 105) e, infine, ai margini nord-occidentali della nostra area d’indagine (S 141 e 142).A tombe isolate, se non a frequentazione sporadica,vanno riferiti i rinvenimenti caratterizzati da bassadensità (S 20, 26, 67, 68, 78, 129, 131, 143, 145 e146).

Un’attenzione particolare, per quantità e qualitàdei reperti, meritano alcuni Siti che si concentrano aNord-Ovest e a Nord-Est di S. Marco. La maggioredensità di presenza di ceramica di età arcaica e clas-sica, compresa la comune, è stata individuata sulversante nord-occidentale della collina (S 37, 38, 34,24, 35, 86, 100, 106, 102 e 101), tale da lasciareaperto il dubbio se si tratti dell’area principale dellanecropoli oppure di una zona di abitato già in que-st’epoca. In particolare, nel caso del Sito 37, abbia-mo rinvenuto un frammento di anforetta domesticapunica a decorazione metopale 53 ed uno di un tipopeculiare di coppa in comune punica 54, databili nella

46 Orsi in Tusa 1991, p. 75.47 Orsi in Tusa 1991, p. 88.48 Dalla Rosa 1872, p. 143; Cavallari 1874 a; Cavallari 1874

b, p. 27. 49 Tav. VIII,1 (n. inv. 11385): piatto ad orlo modanato, simi-

le a Sparkes, Talcott 1970, pp. 146-47, fig. 10, n. 1022-1045;tav. VIII,2 (n. inv. 11291): coppa a profilo concavo convessotipo Sparkes, Talcott 1970, pp. 101-102, fig. 5, n. 471; tav.VIII,3 (n. inv. 11389): “saliera” tipo Sparkes, Talcott 1970, pp.136-137, fig. 9, n. 930; tav. VIII,4 (n. inv. 11342): kylix tipoSparkes, Talcott 1970, p. 96, fig. 5, n. 442.

50 Tav. VIII,6 (n. inv. 11352): mortaio-tripode, simile al tipon. 71 in Vecchio 2002, tav. 22.8; tav. VIII,7 (n. inv. 11371):

coppa a orlo ingrossato, simile al tipo n. 104 in Vecchio 2002,tav. 30.5; tav. VIII,8 (n. inv. 11372): olla; tav. VIII,9 (n. inv.11384): piede di sostegno carenato; tav. VIII,10 (n. inv. 11373):bacino tipo n. 53 in Vecchio 2002, tav. 18.3.

51 Tav. VIII,5 (n. inv. 11292): anfora attica tipo Sparkes,Talcott 1970 , pp. 101-102, fig. 5, 471 n. 1501.

52 Tav. VIII,11 (n. inv. 11287): anfora tipo Ramon 1995 n.7.2.3.1, f. 5, p. 167; tav. VIII,12 (n. inv. 11334): anfora tipoRamon 1995 n. 1.4.2.2, f. 20, pp. 174-175.

53 N. inv. 11288, simile al tipo n. 27 in Vecchio 2002, tav.12.1.

54 N. inv. 11289, tipo n. 95 in Vecchio 2002, tav. 29.2.

Fig. 3. - Muro in opera pseudo-isodoma ubicato presso le pen-dici settentrionali di S. Teresa (UT 114.3).

Kossyra. Ricognizione topografica nell’area dell’insediamento antico

II metà del VII sec. a.C., la cui presenza è normal-mente attestata tanto nei tofet che negli abitati.Anche nelle strette terrazze a Nord-Est della collina(S 117, 119 e 122), dove si rinviene molta ceramicaarcaica e classica, relativamente all’esiguità deglispazi, non è facile dire se i materiali provengano datombe o da abitato 55.

Per quanto concerne la viabilità, sembra plausi-bile che siano stati utilizzati fin dalle prime fasi del-l’insediamento il percorso (S 81) che, provenendodall’area del porto, limitava il sistema collinare di S.Marco-S. Teresa in senso NO/SE in direzione di S.Elmo, i percorsi (S 42 e S 43) che limitavano il pia-noro tra le due colline e quindi l’area dell’ipotetica“città alta” da questo lato, nonché la strada (S 80) dicollegamento tra il primo ed i secondi. Inoltre, sulversante settentrionale di S. Marco, abbiamo indivi-duato tratti di banco roccioso lavorato (UT 104.2,101.2 e 106.1), che vanno forse interpretati comerampe di accesso alla vetta da questo lato.

Le fonti insistono particolarmente sulla posizio-ne strategica di Pantelleria nel Mediterraneo, ad ungiorno di navigazione da Capo Lilibeo ed uno daCapo Bon, come informa il Periplo di PseudoSkylax, ed il suo conseguente coinvolgimento neitraffici del Mediterraneo sud-occidentale fin dal loroprimo sviluppo 56.

La dipendenza di Pantelleria dalle importazionidi olio dall’Africa è stata evidenziata dallo studiodelle anfore, provenienti sia dai relitti sottomariniche dalla ricognizione per il progetto Carta archeo-logica di Pantelleria, portato avanti da RobertaBaldassarri e Sergio Fontana, i quali hanno segnala-to il rinvenimento di anfore puniche databili a parti-re dal VII sec. a.C. 57.

I dati della nostra ricognizione hanno conferma-to la ricchezza dei commerci a Pantelleria fin dal-l’età arcaica: se, infatti, nel VII secolo troviamo

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quasi principalmente materiale punico (oltre allaceramica comune sono frequenti le anfore tipoRamon 1.1.2.2 58) ed alcuni frammenti di anforecorinzie tipo A, dagli inizi del VI per tutta l’età clas-sica constatiamo un boom delle importazioni dallaGrecia. L’arrivo di merci è particolarmente intensodall’Attica (anfore, crateri, vernice nera e alcuniframmenti di vasi figurati), ma continua anche dallaCorinzia (ancora anfore Corinzie tipo A e B, fram-menti di vasi corinzi cui si accompagna l’imitazionedegli stessi); si segnala il rinvenimento di ceramicacomune greca e dipinta a bande. Il fossile guida deicommerci sono naturalmente le anfore: oltre alle giàcitate attiche e corinzie, aumenta la quantità di anfo-re puniche attestate, cui si affiancano le greco-itali-che e le marsigliesi; abbiamo inoltre rinvenuto, nelSito 37, un’ansa di anfora etrusca arcaica 59. L’unicoframmento di sicura provenienza fenicia è una pare-te in vetro blu decorato con pasta vitrea gialla 60, chenon permette quindi di avanzare ipotesi relative aduna frequentazione fenicia dell’isola precedentequella punica. L’attestazione di ceramica d’importa-zione in tutti i Siti mostra chiaramente l’importanzadi Iranim/Kossyra come punto nevralgico dei com-merci del Mediterraneo sud-occidentale, suggerendola suggestiva ipotesi dell’esistenza magari anche diun piccolo emporio 61.

Periodo ellenistico (seconda metà IV-I sec. a.C.)

Particolarmente delicata è l’analisi del Paesaggionel corso dell’età ellenistica, quando Pantelleria sitrova al centro del conflitto tra le due grandi poten-ze del Mediterraneo, Roma e Cartagine. Sappiamodalle fonti 62 che Kossyra si trovò coinvolta nellevicende belliche fin dalla prima guerra punica, conuna temporanea occupazione romana nel 255 a.C. 63;solo nel 217 a.C., all’inizio della seconda guerra

55 Dal Sito 117 provengono tre frammenti (tav. VIII,5 - n. inv.11292) di un’anfora olearia Attica decorata à la brosse e databi-le agli inizi del VI sec. a.C.

56 Pseudo Scilace, Perip. CXI. Sul ruolo di Pantelleria nellerotte del Mediterraneo nell’antichità v. A. Mosca, Il ruolo diPantelleria nelle rotte del Mediterraneo nell’antichità, in M.Pearce, M. Tosi (a cura di), Papers from the EAA Third AnnualMeeting at Ravenna 1997 II, Classical and Medieval, BAR 718(1998), pp. 13-16.

57 R. Baldassarri, S. Fontana, Anfore a Pantelleria: appuntiper una storia economica dell’isola nell’antichità, «L’AfricaRomana» XIV.II 2004, pp. 953-989.

58 Ramon 1995, f. 3, p. 166.59 N. inv. 11303.

60 N. inv. 11367.61 L’isola che può forse mostrare più punti di contatto con

Pantelleria è Malta: per osservazioni sui materiali greci d’im-portazione nell’arcipelago maltese v. G. Semeraro, Osservazionisui materiali arcaici di importazione greca dall’arcipelago mal-tese, in M.G. Amadasi Guzzo, M. Liverani, P. Matthiae (a curadi), Da Pyrgi a Mozia: studi sull’archeologia del Mediterraneoin memoria di Antonia Ciasca, Roma 2002, pp. 489-531.

62 Per una trattazione più ampia sulle fonti vd. Osanna 2006, p. 35.63 Zonaras VIII 4. In seguito alla vittoria ai proconsoli M. Emi-

lio Paolo e S. Fulvio Nobiliore fu concesso il trionfo navale “deCossurensibus et Poenis”, come sappiamo dai Fasti (C.I.L. I, p. 458,ab Urbe condita 499; 18/19 gennaio 253 a.C., I. It. XIII 1, 548).

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Tav. VI. - Fase II: periodo ellenistico.

Kossyra. Ricognizione topografica nell’area dell’insediamento antico

punica, Pantelleria fu riconquistata in maniera defi-nitiva dai romani, ad opera della flotta di Cn.Servilio Gemino, ed annessa alla provincia Sicilia 64.

I dati raccolti nel corso della ricognizione (tav.VI) hanno permesso di constatare un incrementodella frequentazione dell’area di S. Marco nel corsodell’Ellenismo, con una difficoltà, semmai, nelcogliere una soluzione di continuità tra la fase diinfluenza cartaginese e quella del dominio romano.Non sembra lecito parlare di crisi 65: se ci furono deicambiamenti, questi riguardarono principalmente ladestinazione degli spazi, con la perdita della funzio-ne difensiva delle mura e l’espansione dell’abitato aldi là di esse, come già notato da P. Orsi 66. I com-merci continuarono fiorenti e gli abitanti mantenne-ro a lungo il legame con la cultura punica, comedimostrano le emissioni monetali della zecca locale,che conservarono tipologie e leggende di tradizionepunica fino all’età triumvirale 67.

Nel corso dell’età classica, nella fase conflittualegreco-punica, le colline di S. Marco e S. Teresa, cia-scuna fortificata con più circuiti murari anulari,dovevano già essere state inglobate in un unicosistema difensivo, comprensivo anche di quellafascia pianeggiante nella sella tra i due rilievi.Questi muri avevano la duplice funzione di fortifi-cazione e di sostruzione delle colline. Sebbene siattendano ulteriori risultati dello scavo ed uno studiopiù approfondito delle murature per avanzare ulte-riori ipotesi circa la cronologia e le diverse fasi dellefortificazioni della “città alta”, sembra interessanteil riscontro tra la nostra documentazione e quellarelativa alle ricognizione di Cavallari, Mayr esoprattutto Orsi alla fine del XIX sec. 68: la conser-vazione della maggior parte dei muri descritti daOrsi, a parte quelli indagati dagli scavi stratigrafici(in particolare il bastione del saggio III) 69, è stataconfermata nel corso delle recenti indagini di super-ficie, benché in alcuni casi lo stato di conservazionedegli stessi sia assai peggiorato; ne sono stati inoltrerinvenuti ulteriori tratti.

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Per quanto concerne i dati di scavo, è stato pos-sibile evidenziare almeno due fasi di frequentazionerelative ad un complesso sistema di difesa dell’inse-diamento, la prima delle quali va probabilmenteriferita al IV sec. a.C., mentre la seconda è conte-stuale ad un radicale intervento di ridefinizioneurbana, da riferirsi all’epoca delle guerre puniche oagli anni immediatamente successivi la conquistaromana – la prima effimera nel 255 a.C. o la defini-tiva nel 217 a.C. – quando la città si trova ad avererinnovate esigenze difensive 70.

Nel corso della ricognizione, sono stati posizio-nati sulla carta con precisione alcuni tratti dellemura già visti da Paolo Orsi e ne sono stati segnala-ti altri. Nel Sito 18 abbiamo notato che il muro chesostruisce la terrazza sovrastante, quella del Sito 10dove si trova il saggio III col bastione già noto dallastoria degli studi, si imposta su quello antico (UT18.1), il cui stato di conservazione si presentatutt’altro che ottimale, probabilmente già vistodall’Orsi. Non è chiaro il rapporto con i muri sovra-stanti, come detto pertinenti a due fasi diverse:potrebbe trattarsi, infatti, di un circuito murario aquota inferiore, ma anche di una cortina esterna.

Non ci sono dubbi, dunque, sul fatto che S.Marco fosse cinta da mura su più livelli: il circuitopiù alto (UT 2.7, 2.3 e 4.1) è quello che racchiudepraticamente il Sito 1, a quota 124 m. s.l.m.; intornoa quota 120 m. s.l.m. abbiamo il bastione del saggioIX a NO e due tratti sul versante opposto (UT 8.2 e8.5), con un ingresso alla “città alta” dal lato sud-orientale, forse realizzato nel momento in cui, con lacostruzione delle nuove fortificazioni, viene defun-zionalizzata la scalea del saggio III 71; poco al disotto di questo livello si trova il bastione del saggioIII, mentre il circuito più basso correva intorno aquota 110-114 m. s.l.m., come dimostra la presenzadei tratti murari alle pendici settentrionali e occiden-tali (UT 25.2, 17.3 e 17.5, 18.1 e forse 19.1) e quel-li alle pendici sud-orientali (UT 27.1 e 29.1 e forse28.2 e 28.4), cui si aggiungono probabilmente le

64 Polibio, III 96.65 Sulla Sicilia in età ellenistica v. gli atti del recente conve-

gno di studi (Osanna, Torelli 2006); per la fase romana E. C.Portale, Sicilia, in E.C. Portale, S. Angiolillo, C. Vismara, Legrandi isole del Mediterraneo Occidentale. Sicilia SardiniaCorsica, Roma 2005, pp. 17-186.

66 Orsi in Tusa 1991, p. 76.67 A. Cutroni Tusa, Ripostiglio di monete puniche da

Pantelleria, «AIIN» 1967-1970, pp. 199-203; Calciati 1987, pp.359-362.

68 Cavallari 1874 a e b; A. Mayr, Pantelleria, «RM» XIII1898, pp. 367-398; Orsi in Tusa 1991.

69 Cavallari 1874 a e b; Orsi in Tusa 1991, pp. 77-78; Verger1966b, p. 128; Osanna, Riethmüller, Schäfer, Tusa 2003, pp. 71-72;Osanna, Schäfer, Weiss 2004 , pp. 13-14; Osanna 2006, pp. 40-41.

70 Osanna 2006, p. 40.71 Cfr. nota supra.

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mura al limite dell’area pubblica (UT 30.3 e 10.2).Particolarmente interessante la struttura UT 17.3,non individuata precedentemente, che presenta chia-ramente più fasi, interpretabile come un bastione oun avancorpo a difesa della collina dal lato nord-occidentale (fig. 4).

La collina della Polveriera era a sua volta sostruitae difesa da più circuiti (UT 48.1, 47.1 e forse 46.1) 72. Ilcircuito inferiore che cingeva S. Marco doveva prose-guire, con andamento non proprio regolare, al di sottodella sella tra le due colline dal lato occidentale (UT21.2, 74.3, forse poco più in alto UT 42.1 e 52.1), perpoi racchiudere S. Teresa e risalire verso Nord seguen-do la conformazione della sella dal lato orientale (UT27.2, 39.3, forse i tratti 39.2, 43.2, 68.4). Particolar-mente imponenti i resti delle mura a Nord della polve-

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riera, forse interpretabili comeavancorpo, di cui sono ricono-scibili la facciavista (UT 114.3e 100.2) e la cortina interna(UT 40.2).

Ad un momento posterio-re la conquista romana dell’i-sola, e quindi l’espansionedell’abitato oltre le mura,vanno probabilmente ascrittii tratti murari, la cui funzioneera probabilmente in primoluogo di terrazzamento, indi-viduati ad una certa distanzadalla “città alta”, al limitedell’area d’indagine con lastrada per l’aeroporto (UT75.2), in corrispondenza deltracciato stradale denominatoSito 81 (UT 75.3 e 81.2) eforse in direzione del porto(UT 86.2, 100.3, 106.2 e102.2) 73.

È probabile che, con la definizione delle fortifi-cazioni della “città alta”, l’insediamento si sia con-centrato nella cittadella, lasciandone al di fuori lenecropoli 74. Queste sono individuabili grazie allesegnalazioni degli studiosi del XIX secolo ed al rin-venimento tra i materiali di superficie di un discretonumero di unguentaria e frammenti di lucerne.Mentre Saverio Cavallari indica una necropoli che«servì di sepoltura dai tempi antichissimi sino all’e-poca romana» 75, Paolo Orsi precisa che le necropoliellenistiche dovevano trovarsi tanto a Sud che ad Estdi S. Teresa 76.

In base a queste notizie ed ai rinvenimenti di su-perficie, pensiamo che si possano individuare necro-poli di età ellenistica effettivamente sparse intornoalle due colline: a Sud e ad Est di S. Teresa, dove leaveva individuate Orsi (S 75, 77 e 78; 41, 114, 97,

72 A. Verger ipotizza che la collina della polveriera facesseparte del sistema difensivo solo in età classica: conserverebbequindi i lacerti delle mura più antiche di Kossyra (Verger 1966b, p. 129).

73 L’opinione che lungo la “via maestra di S. Elmo” (S 81)corressero le mura SE/NO dell’abitato di Kossyra era stata giàavanzata dal D’Ajetti, il quale proponeva un circuito alquantoampio (D’Ajetti 1978, pp. 191-199): verso il mare la cintaNO/N sarebbe costituita da quelle che lo studioso pantesco chia-ma le “aranciate” (“massi mastodontici, rozzamente squadrati”chiazzati da licheni color arancio), a sinistra della strada che,correndo parallela al mare in contrada Vercimursa, congiunge la

strada per S. Elmo con quella per l’aeroporto e che ha iniziopresso il quadrivio della cappella al Marinaio d’Italia; il limiteorientale corrisponderebbe invece alla strada Zubebi, cheandrebbe ad unirsi con la via S. Elmo racchiudendo anche con-trada S. Maria.

74 I Siti 27 e 39 erano probabilmente compresi nell’abitatodella “città alta” in questa fase, a conferma del fatto che il cir-cuito murario esterno doveva passare anche da questo lato intor-no a quota 110 m. s.l.m. (UT 28.2 e 28.4).

75 Cavallari 1874 b, p. 27.76 Orsi in Tusa 1991, pp. 88-91.

Fig. 4. - Struttura probabilmente difensiva individuata sul lato nord-occidentale di S. Marco(UT 17.3).

Kossyra. Ricognizione topografica nell’area dell’insediamento antico

98, 72, 109, 110, 112 e 68), poco più a Sud, alle pen-dici di S. Elmo (S 59, 60, 61, 131, 132, 133 e 134), aOvest e a Nord-Est della cittadella (S 79, 73, 74, 76,82, 83 e 84; 24, 34, 35, 37, 38, 86, 106, 102, 100, 105,101, 104, 71 e 138; 122; 116, 115 e108) e infine, piùdistanti, in direzione del porto (S 140, 141 e 142).

La fine delle guerre puniche sembra corrisponde-re ad un nuovo sviluppo dell’abitato di Kossyra. Trail III ed il II sec. a.C., infatti, vediamo impiantarsidelle strutture domestiche non solo sulle terrazze piùalte di S. Marco (S 1, 2, 4, 5 e 7), dove sono statiaperti i saggi di scavo 77, ma anche sulle pendici. Nelcorso della ricognizione sono stati individuati, sulversante occidentale della collina intorno a quota 95m. s.l.m., tre ambienti relativi ad una probabile strut-tura domestica (UT 102.3), i cui pavimenti in mosai-co, di cui restano pochi lacerti, sono stati strappatinel corso di scavi clandestini (fig. 5). Ipotizziamo lapresenza di un’abitazione di questa fase anche in cor-rispondenza di alcune aree di frammenti a Nord-Ovest (UT 133.2 ) e ad Est di S. Marco (UT 72.1).

Successivamente alla definitiva conquista roma-na, dunque, le mura perdono la loro funzione difen-

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siva, mantenendo invecequella di terrazzamento dellacollina, che conservano an-cora oggi. L’abitato, quindi,si espande al di là di esse, an-dando in parte a sovrapporsialle precedenti necropoli,tanto a Nord della “città alta”(S 24, 20, 25, 26, 34, 35, 37,38, 86, 106, 102, 100, 105,101, 103, 104, 71, 136 e 138;117 e 122; 116, 115, 108, 119e 130), che ad Ovest (S 79,73, 74, 76, 82, 83 e 84), nellafascia pianeggiante in dire-zione di S. Elmo, dove sinota la più alta concentrazio-ne di materiali.

Continuarono, dunque, adessere utilizzate per sepoltu-ra solo le zone più distantidalle colline, ad Est di S.Teresa (S 41, 72, 109, 110,112 e 68), alle pendici setten-

trionali di S. Elmo (S 59, 60, 61, 131, 132, 133 e134) ed in direzione del porto (S 140, 141 e 142). Èprobabile che dopo la conquista romana sia stataimpiantata anche la necropoli nella zona di S.Basilio, ad Est della strada per l’aeroporto, dove ilDalla Rosa effettuò un saggio di scavo 78.

Della grande quantità di cisterne disseminate nelterritorio abbiamo già parlato riguardo la fase prece-dente: nel periodo ellenistico si continuarono ad uti-lizzare quelle antiche delle altre se ne costruirono.

Sembra possibile, anche in base alla carta di den-sità dei reperti fittili, definire i margini dell’abitatoall’interno del nostro territorio d’indagine: la stradadenominata Sito 81 costituisce probabilmente il li-mite in direzione di S. Elmo, mentre verso il portouna chiara soluzione di continuità è individuabile incorrispondenza del Sito 137, forse come oggi già al-lora attraversato da una strada che segna il punto incui il terreno diviene pianeggiante; più sfumato ap-pare il limite orientale, dove maggiore è stata la tra-sformazione del Paesaggio ma dove, forse, possiamoanche immaginare che l’abitato si sia progressivamen-te esteso in modo, magari, meno organico. D’altro

77 Per un approfondimento sull’architettura domestica aKossyra ved. Osanna 2006, pp. 42-50. 78 Dalla Rosa 1872, pp. 142-143 e 147.

Fig. 5. - Tracce di probabili strutture domestiche individuate sulle pendici occidentali di S.Marco (UT 102.3).

canto le notizie bibliografiche, in parte confermatedalle ricognizioni svolte nell’ambito del progetto Cartaarcheologica di Pantelleria, attestano la presenza sia ditombe che di aree abitate al di là della strada per l’ae-roporto – costruita in epoca fascista – nella zona di S.Basilio e nelle contrade Zu Bebe e S. Maria 79.

Per quanto riguarda l’altura di S. Elmo, essa co-stituisce un formidabile osservatorio, dominantegran parte dell’isola, dal quale, nelle giornate limpi-de, è possibile vedere Capo Bon. Dopo l’unità d’Ita-lia, venne istallata sulla sua cima la vedetta militareper il controllo del canale di Sicilia con il semaforo,tuttora in funzione. Non si può escludere, ed è anziprobabile, che la vetta fosse sfruttata come luogo diavvistamento anche nell’antichità, ma proprio la pre-senza della zona militare non permette di verificarlo.L’indagine di superficie ha però evidenziato le diver-se modalità insediative del monte rispetto al sistemacollinare di S. Marco e S. Teresa. Le pendici setten-trionali di S. Elmo, infatti, sono inabitabili perchéfortemente scoscese e costituite da pozzolana troppofacilmente soggetta a sgretolamento. È probabile cheil monte fosse sfruttato, già nell’antichità, per le cavedi materiale edilizio (forse le UT 55.2; 63.1; 64.1), inparticolare di tufo e soprattutto di pozzolana, il cuiuso massiccio è dimostrato dalla grande quantità dimalta pozzolanica rinvenuta in ricognizione comeanche sullo scavo. Le pendici potevano essere fre-quentate anche a scopo agricolo e per la pastorizia.Ben più dense di rinvenimenti si sono dimostrate lepropaggini settentrionali del monte verso S. Marco.

Gran parte del materiale ceramico raccolto nelcorso della ricognizione, significativo della persistenterilevanza dei traffici commerciali dell’isola, è inqua-drabile nel corso dell’età ellenistica, con una notevolericchezza e varietà di classi presenti: vernice nera,

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pasta grigia, ceramica maltese (tav. IX a, 1-2)80, coppemegaresi, pareti sottili, oltre, naturalmente alle cera-miche comuni ed alle anfore (tav. IX a, 3-4) 81.

Interessante la presenza di ceramica maltese di III-II sec. a.C.: piuttosto proficuo potrebbe rivelarsi il con-fronto tra le due isole, accomunate dalla vocazionecommerciale conseguente la posizione geografica, conun’analisi dei rapporti intercorsi tra di esse, per com-prendere quanto fossero diretti o piuttosto mediati 82.Probabilmente legata ai commerci punici è la presenzadi ceramica iberica (“sombreros de copa”).

Kossyra continua evidentemente a dipendere dal-l’esterno per l’olio e per il vino, come dimostrano leanfore importate: fino all’avvento dell’impero conti-nuiamo a trovare una notevole quantità e varietà dianfore puniche, insieme alle greco-italiche ed alle mar-sigliesi, cui ora si affiancano quelle italiche di produ-zione centro-tirrenica.

Particolarmente vario anche il panorama delle ce-ramiche comuni: se all’inizio dell’ellenismo si rinvie-ne ancora la comune punica, iniziamo a trovare quelledi produzione italico-romana, tra cui rare attestazionidi vernice rossa interna. Tra la fine del III e gli inizi delII sec. a.C. iniziano contemporaneamente la produzio-ne della locale pantellerian ware e l’importazione dallatunisia della white surface ware, della black surfaceware e della cream sandy ware, portate sulle navi comecarico aggiuntivo 83.

Niente dunque porta ad ipotizzare una diminuzio-ne del ruolo di Pantelleria all’interno dei traffici mer-cantili; quello che viene a mutare, piuttosto, è il pa-norama generale dei commerci mediterranei: l’as-senza infatti, a partire dall’inizio dell’Ellenismo, diimportazioni greche, si spiega principalmente con ilritirarsi della Grecia in una posizione marginale dopola perdita della sua indipendenza. Contemporanea-

79 Dalla Rosa 1872, pp. 142-143 e 147; Orsi in Tusa 1991, p.83; D’Ajetti 1978, pp. 195-196; Monti 2004, p. 1169.

80 Tav. IXa,1 (n. inv. 11332): anforetta, cfr. M. Cagiano deAzevedo et alii, Missione archeologica italiana a Malta.Rapporto preliminare della campagna 1986, Roma 1969, fig.8.22; tav. IXa,2 (n. inv. 11338): bacino.

81 Tav. IX a,3 (n. inv. 11298): anfora tipo Ramon 1995 n.5.2.3.2, f. 64, p. 199; tav. IXa,4 (n. inv. 11328): anfora tipoRamon 1995 n. 5.2.3.1, f. 63, p. 197-198.

82 A. Verger, che rinvenne ceramica maltese nel sondaggio discavo praticato sulla collina di S. Teresa (Verger 1966 a, p. 138),ipotizzava che passassero da Pantelleria i traffici che univanoCartagine a Malta (Verger 1966 b, p. 262).

83 La white surface ware e la cream sandy ware, attestate a par-tire dalla fine del III/II sec. a.C. fino al Medioevo, sono delle clas-si ancora poco conosciute ed il cui studio sta conoscendo un nuovo

impulso proprio in questi anni. La prima pubblicazione che ana-lizza la white surface ware, considerandola come una classe dimateriale ben definita ed istituendo un confronto con le altre cheabbiamo citato, risale al 1984 (Fulford, Peacock 1984, pp. 14-16);di recente, lo studio delle produzioni ceramiche comuni rinvenutea Pantelleria è stato portato avanti da Serena Massa (S. Massa,Pantelleria. Le produzioni ceramiche di età romana e tardo anti-ca: il contesto locale e la rete di traffici maditerranei, «L’AfricaRomana» XIV.II 2002, pp. 943-951) e, per quanto riguarda nellospecifico lo scavo di S. Marco, si è occupata dello studio dellawhite surface ware, nell’ambito della sua tesi di specializzazione,Maria Teresa Rondinella (M. T. Rondinella, La white surface waredi Pantelleria [Tp]; studio preliminare, in corso di stampa), cuivanno i miei ringraziamenti per aver svolto uno studio prelimina-re della white surface ware e della cream sandy ware rinvenute nelcorso della ricognizione.

Kossyra. Ricognizione topografica nell’area dell’insediamento antico

mente, l’aggressivo ingresso di Roma come potenzamediterranea si fa sentire e genera uno spostamentodei traffici commerciali nella zona centro-occidenta-le del bacino. Interessante è notare come non venga-no mai interrotti i rapporti con la Tunisia, anche dopola distruzione di Cartagine nel 146 a.C.

Periodo imperiale (età augustea-III sec. d.C.)

La tarda età repubblicana ha visto Pantelleria nuo-vamente coinvolta negli scontri militari: questa volta ilcontrollo delle vie di comunicazione del Mediterraneoè al centro dei giochi di potere che scatenano le guer-re civili e triumvirali 84.

È lecito pensare che, con la fine del lungo periododi guerre e l’inizio dell’aurea aetas, anche l’isola siastata coinvolta nella riorganizzazione augustea: forsesolo adesso la romanizzazione giunge effettivamente acompimento. A corroborare questa tesi, oltre la scom-parsa delle leggende e dei tipi punici dalla monetazio-ne kossyrense, concorre l’attestazione del culto impe-riale sulla sommità di S. Marco, chiaramente dimo-strata dalle scoperte avvenute nel corso delle recenticampagne di scavo, in primo luogo gli ormai celebriaugustea capita 85.

Come abbiamo visto, già alla fine delle guerre pu-niche le fortificazioni della “città alta” dovevano averperso, almeno in parte, la funzione difensiva, con l’e-spansione dell’abitato al di fuori di esse e con la co-struzione di case e cisterne addossate; tuttavia, la pre-senza delle mura doveva connotare ancora fortementela cittadella, continuando a marcare una sorta di limite

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tra questa ed il resto dell’abitato, dal momento che Pli-nio il Vecchio, nel I sec. d.C., parla di Cossura cum op-pido, laddove l’oppidum è ragionevolmente identifica-bile con l’insediamento sulla cima di S. Marco 86.

I dati di scavo hanno evidenziato la persistente pre-senza, sulle terrazze sommitali della collina, di alcunedelle domus che abbiamo visto impiantarsi tra il III edil II sec. a.C. 87: tra la prima metà del I e gli inizi del IIsec. d.C. si constata un rinnovamento dei terrazza-menti della “città alta”, con una notevole attività dilivellamento, tramite colmate, e con la ristrutturazionesolo di alcune delle strutture abitative che continue-ranno a vivere fino alla fine del II sec. d.C. Per tuttal’età imperiale è attestata la frequentazione dell’areapubblica indagata nel saggio V (S 30) 88.

La ricognizione conferma parzialmente la situazio-ne riscontrata nel corso dello scavo (tav. VII): l’etàaugustea segna la continuità con la fase precedente,l’abitato continua ad espandersi, raggiungendo la mas-sima ampiezza probabilmente nel I sec. d.C.; con lamedia età imperiale si nota una progressiva diminu-zione della densità dei rinvenimenti, che subisceun’accelerazione nella seconda metà del II sec. d.C. IlIII secolo della nostra era potrebbe essere un periododi effettiva cesura, a partire dal quale possiamo costa-tare l’abbandono dell’abitato di Kossyra, di pocoposteriore a quello della “città alta”, ed una progressi-va ruralizzazione degli spazi 89.

Il sistema insediativo non sembra dunque subiregrandi mutamenti tra la tarda età repubblicana equella imperiale iniziale: la concentrazione più altadi manufatti continua ad essere riscontrabile sul ver-

84 Appiano, Bell. Civ. V 97, 405; Silio Italico, Pun. XIV 269-276. V. Osanna 2006, p. 36.

85 Sui ritratti marmorei v. di Thomas Schäfer in Osanna,Schäfer, Weiss 2004, pp. 18-38 ed in Tusa 2004; sul contesto dirinvenimento i contributi di Massimo Osanna in Osanna,Schäfer, Weiss 2004 , pp. 39-47 ed in Tusa 2004, pp. 89-119.

86 Plinio, Nat. Hist. V 7. 87 Da ultimo Osanna 2006, pp. 42-50.88 Nel saggio stratigrafico è stata rinvenuta una moneta di Clau-

dio il Gotico (Osanna, Riethmüller, Schäfer, Tusa 2003, pp. 85-88).89 In base ai dati di scavo, si può affermare che, con l’età tardo

antica, la ruralizzazione della “città alta” è oramai compiuta: letracce di frequentazione sono relative principalmente a nuovi ter-razzamenti e sistemazioni probabilmente funzionali allo sfrutta-mento agricolo della vetta di S. Marco. La frequentazione dellependici, allo stato attuale delle ricerche, sembra per lo più spora-dica, per quanto il quadro potrebbe venire mutato anche in manie-ra sostanziale dallo studio delle ceramiche comuni di questa fase(la locale pantellerian ware e le tunisine white surface ware, blacksurface ware e cream sandy ware). Al momento basiamo le nostreipotesi sullo studio dei materiali immediatamente databili, vale adire quelli importati, principalmente sulla terra sigillata africana.

Le tracce di frequentazione successive al III secolo della nostra erasono sporadiche e, quando sembra di poter identificare la persi-stenza del nucleo abitativo, tra il IV ed il V/VI secolo, le dimen-sioni di questo sono comprese nell’area di un singolo Sito. Perquanto riguarda la fase medioevale, i rinvenimenti di ceramicainvetriata sono diffusi in tutta l’area ricognita, probabile segno diuna frequentazione essenzialmente sporadica, verosimilmente ascopo agricolo. È probabile che, in questa fase, il ruolo del portopresso l’odierna città di Pantelleria fosse stato ridimensionato, inconcomitanza con l’importanza che era venuto man mano assu-mendo quello di Scauri: recenti indagini archeologiche in questalocalità, infatti, stanno mettendo in luce strutture abitative e necro-poli databili tra il IV ed il VII sec. d.C. (Santoro Bianchi,Guiducci,Tusa 2003, pp. 16 e 40-47). Abbiamo ragione di ipotiz-zare che un insediamento abbia continuato ad esistere anche neipressi dell’antica Kossyra, spostato verso oriente rispetto a quelloantico: nel corso della ricognizione non sistematica nell’area di S.Elmo, infatti, abbiamo individuato strutture megalitiche apparen-temente di età tardo-antica o medioevale sulle pendici orientali delmonte, inoltre dati ancora inediti delle ricognizioni per la Cartaarcheologica di Pantelleria permettono di individuare l’abitato diquesta fase in contrada S. Maria (ringrazio Denise L. Sami perle informazioni ancora inedite).

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Tav. VII. - Fase III: periodo imperiale.

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Tav. VIII. - Esemplificazione dei materiali della fase I.

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Tav. IX B. - Esemplificazione dei materiali della fase III.

Tav. IX A. - Esemplificazione dei materiali della fase II.

Kossyra. Ricognizione topografica nell’area dell’insediamento antico

sante occidentale del sistema collinare, verso ilquale pensiamo gravitasse l’abitato. Constatiamo,invece, la progressiva occupazione degli spazi pia-neggianti, che sembra andare di pari passo con l’ab-bandono delle zone più alte. Difatti, mentre nei con-testi di scavo si rinviene una discreta quantità diterra sigillata italica ma è quasi assente l’africana,nelle zone di pendice abbiamo riscontrato la presen-za di terra sigillata africana A, spesso insieme aceramica africana da cucina, in quasi tutti i Siti.

Dall’analisi della densità dei rinvenimenti cerami-ci, tuttavia, sembra lecito ipotizzare che, man manoche ci si allontana dai limiti che abbiamo definito perl’abitato tardo-ellenistico, l’insediamento sia menoraccolto, caratterizzato da abitazioni isolate – ad esem-pio quella che abbiamo individuato in corrispondenzadell’ UT 133.2 – oltre le quali si trovano le necropoli.Continuano probabilmente ad essere destinati a luogodi sepoltura le zone ai piedi di S. Elmo (S 59, 60 e 61)e, forse, a Sud-Est di S. Teresa (S 41, 110 e 112, più il70, di nuova occupazione). Altre necropoli di etàimperiale dovevano esistere al di fuori della nostraristretta area d’indagine, sicuramente al di là della stra-da per l’aeroporto ed in direzione del porto 90. Alcunesono state individuate, nel corso delle frettolose rico-struzioni del dopoguerra, ai margini del moderno abi-tato di Pantelleria: il D’Ajetti le segnala in corrispon-denza della scuola elementare, nel “terreno delBarone”, tra via Dante e corso Umberto I; a Sud di viaRoma; nell’area dell’albergo Di Fresco, tra viaBarletta e via Catania, queste ultime datate nel corsodel III sec. d.C. 91. In questo modo si avrebbe una deli-mitazione del borgo portuale, piuttosto piccolo, consi-derando che la linea di costa era probabilmente arre-trata rispetto ad oggi; questa “cintura di sepolture”,infatti, sembra alquanto distante dall’abitato di S.Marco per poterne definire i limiti. A questo stadiodelle nostre conoscenze, sembra più corretto parlare diun nucleo insediativo cospicuo nei pressi di S. Marcoe di un abitato sparso nelle sue vicinanze, piuttosto chedi “più caseggiati” come ipotizza il D’Ajetti 92.

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90 Dalla Rosa 1872, pp. 142-143 e 147; Orsi in Tusa 1991, pp.87 -91; D’Ajetti 1978, pp. 185-186 e pp. 199-203.

91 D’Ajetti 1978, pp. 185-186.92 D’Ajetti 1978, p. 189.93 Tav. IX b,1 (n. inv. 11311): scodella tipo Atlante I, tav. XIV,

p. 26; tav. IX b,2 (n. inv. 11340): scodella tipo Atlante I, tav.XIV, p. 26; tav. IX b, 3 (n. inv. 11392): casseruola tipo Hayes1972, fig. 7, pp. 45 ss.; tav. IX b, 4 (n. inv. 11393): casseruolatipo Hayes 1972, fig. 36, p. 207.

94 N. inv. 11293 (cfr. A. Caravale, I. Toffoletti, Anfore anti-che. Conoscerle e identificarle, Formello 1997, p.126).

95 Fulford, Peacock 1984, pp. 8-10.96 Per un’analisi della crisi del modo di produzione schiavi-

stico in Italia ved. A. Giardina, L’Italia romana. Storie di un’i-dentità incompiuta, Bari 1997, pp. 233-326, con ulteriorebibliografia.

Tra I sec. a.C. e II sec. d.C. i commerci sonoancora floridi, principalmente con la penisola italicaed il Nord-Africa, ma anche con la Gallia, la Beticae l’Egeo. Dall’Italia centro-tirrenica provengono laterra sigillata italica e le anfore Dressel 2/4, oltre aceramiche comuni. Le anfore Dressel 7/11 (tav. IXb, 5) 93 e Dressel 28, insieme alle Beltràn 1, testimo-niano le importazioni dalla Betica, mentre leKapitën II provengono dal mar Egeo. Dal Nord-Africa arrivano la terra sigillata africana (tav. IX b,1-4) 94 e la ceramica africana da cucina (ad orloannerito, a patina cinerognola e a politura a bande).Per quanto riguarda la sigillata, le attestazioni diafricana A, databile entro il II sec. d.C., sono moltofrequenti, mentre più rare sono quelle di C ed A/Dnel secolo successivo. È probabile che gli scambicon la Tunisia siano ripresi con rinnovato vigoredopo la colonizzazione augustea e la rinascita diCartagine: dagli scavi condotti nella città, infatti,proviene una discreta quantità di pantellerianware 95, mentre a Pantelleria si rinvengono white sur-face ware, cream sandy ware e, più di rado, blacksurface ware. Oltre a questo particolare «scambio diceramiche comuni», dalla Tunisia vengono importa-te anche le anfore Africana I e II. Dalla Libia pro-vengono, invece, le anfore Tripolitana 1 edall’Algeria le Dressel 30.

Fino al III sec. d.C., dunque, gli scambi commer-ciali sembrano restare vivi; la crisi, tuttavia, iniziaad essere chiaramente percepibile dalla metà delsecolo precedente. Questa situazione, a ben vedere,non fa altro che rispecchiare i mutamenti che stannoavvenendo nell’impero romano: l’Italia perde la suapotenza commerciale, si provincializza, cambiano learee di esportazione e quindi le rotte dei commer-ci 96. Pantelleria non è più al centro del Mediterraneocome prima, “si sposta verso l’Africa”, con cui con-tinua a mantenere rapporti privilegiati. Questi cam-biamenti, che possono sembrare l’eco delle leggen-de secondo le quali le isole vulcaniche in corrispon-denza dell’incontro tra la placca africana e quella

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europea nascessero e sprofondassero improvvisa-mente e migrassero con altrettanta facilità, sono inrealtà l’effetto del cambiamento delle rotte commer-ciali, queste sì destinate a mutamenti talvolta radica-li nel corso della storia.

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