Kira e sultane nel Cinquecento ottomano, in Non solo verso oriente. Studi sull’ebraismoin onore...

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STORIA DELL’EBRAISMO IN ITALIA STUDI E TESTI XXX Diretta da PIER CESARE IOLY ZORATTINI NON SOLO VERSO ORIENTE STUDI SULL’EBRAISMO IN ONORE DI PIER CESARE IOLY ZORATTINI I a cura di MADDALENA DEL BIANCO COTROZZI RICCARDO DI SEGNI eMARCELLO MASSENZIO con la collaborazione di MARIA AMALIA D’ARONCO FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXIV

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STORIA DELL’EBRAISMO IN ITALIASTUDI E TESTI XXX

Diretta da

PIER CESARE IOLY ZORATTINI

NON SOLO VERSO ORIENTESTUDI SULL’EBRAISMO

IN ONORE DIPIER CESARE IOLY ZORATTINI

I

a cura di

MADDALENA DEL BIANCO COTROZZI

RICCARDO DI SEGNI e MARCELLO MASSENZIO

con la collaborazione di

MARIA AMALIA D’ARONCO

FIRENZE

LEO S. OLSCHKI EDITOREMMXIV

Tutti i diritti riservati

CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI

Viuzzo del Pozzetto, 8

50126 Firenze

www.olschki.it

Collana diretta daPIER CESARE IOLY ZORATTINI

Comitato scientifico

Roberto Bonfil (The Hebrew University, Jerusalem)Maddalena Del Bianco Cotrozzi (Universita di Udine)

Benjamin Ravid (Brandeis University, USA)Giuliano Tamani (Universita di Venezia)

VOLUME PUBBLICATO CON IL PATROCINIO E IL CONTRIBUTO DI

Universita degli Studi di Udine, Dipartimento di Scienze Umane,Fondazione CRUP, Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia onlus,

Comunita Ebraica di Trieste, Comunita Ebraica di Padova,Comunita Ebraica di Ferrara, Igea e Gordon Hector - Londra,Associazione per lo Studio dell’Ebraismo delle Venezie - Udine

ISBN 978 88 222 6354 4

Comunita Ebraica di Padova

Comunita Ebraica di Trieste

Comunita Ebraica di Ferrara

NON SOLO VERSO ORIENTE

Non solo verso Oriente dove si volge lo sguardo quando si pensa a Gerusa-lemme, la terra di Eretz Israel, la meta ideale della secolare diaspora ebraica, maanche verso quell’Occidente, e verso quell’Italia, I-tal-Jah ‘l’isola della rugiada di-vina’, dove e fiorita e persiste ancora con forza la millenaria presenza ebraica, sirivolgono i contributi che colleghi, amici ed allievi hanno dedicato a Pier CesareIoly Zorattini per festeggiare non solo un importante genetliaco, i suoi 70 anni,ma soprattutto il suo lungo percorso di ricercatore, di studioso e di docente.

E motivo di grande soddisfazione poter offrire al nostro Amico l’omaggiodi stima e di amicizia da parte di studiosi, italiani e stranieri, che hanno pro-fuso in quest’opera la ricchezza e la complessita delle loro competenze. Rivol-giamo un pensiero grato ed affettuoso a Michele Luzzati z.l. che con tanta ge-nerosita ha lavorato fino all’ultimo per offrirci il suo contributo. I saggi quiraccolti seguono e accompagnano tematiche ed ambiti cari al Festeggiato, liamplificano collocando e focalizzando la storia del Giudaismo in una diacro-nia di ampio respiro dal mondo antico all’eta contemporanea. Siamo grati aitanti che hanno partecipato all’iniziativa – purtroppo gli inevitabili limiti nonci hanno consentito di ampliare la rosa degli interventi – o che l’hanno soste-nuta con contributi e con l’adesione alla Tabula gratulatoria.

L’Associazione per lo studio dell’Ebraismo delle Venezie ha patrocinatoquest’opera che appare per i tipi dell’editore Olschki di Firenze nella collana«Storia dell’Ebraismo in Italia. Studi e testi» diretta dal 2003 da Ioly Zorattini.A questa Casa editrice che, da oltre un secolo, onora la storia dell’editoria ita-liana, e legata la parte piu considerevole della produzione scientifica del No-stro. E un rapporto profondo e prezioso, dai tempi del ‘mitico’ dottor Ales-sandro fino a quelli di suo figlio, il dottor Daniele, che ne continua lagrande tradizione, a loro il nostro piu caldo ringraziamento.

Infine, un grazie profondo a Maila D’Aronco senza il cui impegno, com-petenza e sensibilita quest’opera non sarebbe stata realizzata.

MADDALENA DEL BIANCO COTROZZI – RICCARDO DI SEGNI

MARCELLO MASSENZIO

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* * *

Oltre che un Maestro, il mio Maestro, Pier Cesare Ioly Zorattini e uno stu-dioso di fama internazionale, il cui apporto e stato ed e un riconosciuto puntodi riferimento per metodo e rigore d’indagine, frutto di una vita interamentededicata alla ricerca nel suo significato piu alto.

Un interesse che ha una radice lontana. Piu volte l’ho ascoltato raccontareepisodi ed esperienze dai quali scaturı il suo coinvolgimento nella storia degliEbrei e per l’Ebraismo. Risalgono agli anni della sua formazione al Ginnasio-Liceo ‘Jacopo Stellini’ di Udine – che l’ho sentito definire «esaltanti e trava-gliati» – e di alcuni suoi soggiorni romani. Il giovane viaggiatore ebbe la ven-tura di incontrare persone e luoghi dell’Ebraismo romano. Ma fu anzituttoun’attrazione poetica’ e una passione coinvolgente per gli Ebrei, «un autrepeuple», per usare le parole di Marguerite Yourcenar. Il profumo e il misterodi questa alterita lo spinsero a dedicare agli Ebrei italiani e alle loro vicendegran parte del suo interesse scientifico per oltre quarant’anni. Un altro incon-tro decisivo, nel secondo anno dei suoi studi accademici a Trieste, fu con ravPaolo S. Nissim z.l., all’epoca Rabbino capo della locale Comunita Israelitica,incontro che contribuı alla scelta di dedicare la tesi di laurea in Filosofia, aPadova, a Cultura e scuola nell’Ebraismo veneto dal ’700 ai nostri giorni, icui risultati apparvero nel 1968 nell’articolo Fervore di educazione ebraica nelleComunita venete del ’700 ne «La Rassegna mensile di Israel».

L’impegno in favore degli studi storico-religiosi si manifesto contestual-mente alla laurea: nel 1966 Ioly Zorattini entro a far parte della redazione del-la rivista «Sociologia Religiosa. Rivista di storia e sociologia delle religioni»diretta dal prof. Sabino Samele Acquaviva dell’Universita di Padova. E deter-minanti furono pure gli incontri con due Maestri dell’Ateneo patavino: CarloDiano e Gaetano Cozzi, con il quale collaboro in qualita di addetto alle eser-citazioni, e con Giorgio Emanuele Ferrari, direttore della Biblioteca NazionaleMarciana di Venezia.

Conseguita nel 1969 l’idoneita di assistente in Storia moderna nella Facol-ta di Magistero dell’Universita di Bologna, Ioly Zorattini fu chiamato nella Fa-colta di Lettere dell’Universita di Trieste nel 1973. Fu professore incaricato diStoria del Cristianesimo dal 1971 al 1974 nella Facolta di Magistero dell’Uni-versita di Ferrara, e poi di Storia delle Venezie nella Facolta di Lingue e Let-terature Straniere presso la sede udinese dell’Universita di Trieste – dal 1978Universita di Udine. In questo Ateneo profuse le sue energie come docente ericercatore: e stato promotore e direttore del primo Dipartimento umanistico,il Dipartimento di Scienze storiche e documentarie; dal 1982 al 1986 profes-sore associato, quindi professore ordinario di Storia dell’Ebraismo (prima cat-

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tedra con questa intitolazione nelle Universita italiane) e, infine, dal 1995, or-dinario di Storia delle Religioni.

Di grande rilievo e il suo impegno scientifico, fa parte di diverse societaculturali e accademiche italiane e straniere: membro dell’Accademia udinesedi Scienze Lettere ed Arti, della Deputazione di Storia Patria per il Friuli, del-la Societa Filologica Friulana, della Societa italiana di Storia delle Religioni,consigliere dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione,e socio fondatore (1979) dell’Istituto ‘Pio Paschini per la storia della Chiesa inFriuli’; socio fondatore (1980), consigliere, vicepresidente e presidente (dal2003 al 2009) dell’ AISG, Associazione Italiana per lo studio del Giudaismo;socio fondatore (1985) della Societe internationale des historiens de la Medi-terranee e del Centro di studi storici ‘Giacomo di Prampero’. Dal 2006, emembro de l’Institut de Recherches pour l’Etude des Religions (UniversiteParis-Sorbonne-Paris IV), e infine socio effettivo della Deputazione di StoriaPatria per le Venezie. Profondo e proficuo e stato il suo legame con le Comu-nita ebraiche italiane, in particolare di Trieste, Padova e Venezia, con il Cen-tro Bibliografico dell’UCEI di Roma e con il MEIS di Ferrara.

Il suo primo interesse per la storia della stregoneria e della magia nell’Ita-lia dell’Eta moderna venne affiancato e poi superato, agli inizi degli anni Set-tanta, dalle ricerche sulla storia degli Ebrei e dei Giudaizzanti in Italia e inparticolare nelle terre della Repubblica di Venezia alla luce delle fonti inqui-sitoriali italiane tra il Cinque e il Settecento. Dopo la sua partecipazione al Se-venth World Congress of Jewish Studies di Gerusalemme nell’agosto del 1977con una relazione pionieristica, The Inquisition and the Jews in Sixteenth Cen-tury Venice, edita nel 1981, che precedette la monografia di Brian Pullan, l’in-contro con il prof. Haim Beinart dell’Universita Ebraica di Gerusalemme glifece maturare la scelta di quella che, all’epoca, pareva un’impresa impossibile,l’edizione critica del corpus dei Processi del S. Uffizio di Venezia contro Ebrei eGiudaizzanti (14 volumi editi presso l’editore Olschki di Firenze tra il 1980 e il1999) per mettere a disposizione della comunita scientifica tutti i superstitiprocedimenti, dalle semplici denunce ai processi completi, celebrati dal S. Uf-fizio di Venezia tra il 1548 e il 1734 contro Ebrei e Giudaizzanti. Una venten-nale fatica, in cui si incrociano fonti archivistiche diverse compresi processidell’Inquisizione lusitana, che costituisce a tutt’oggi la piu vasta silloge di do-cumentazione inquisitoriale sul mondo ebraico pubblicata in Italia. La stessagrande passione per le fonti documentarie e narrative si ritrova nella monogra-fia dedicata a Leandro Tisanio, negli studi sui Purim speciali della Comunitaebraica di Padova (Una salvezza che viene da lontano) e sui procedimentidel S. Uffizio di Aquileia e Concordia contro Ebrei, Giudaizzanti e neofiti,«Questa e giustitia di voi altri Christiani».

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Le ricerche di Ioly Zorattini si sono sviluppate con contributi innovativi eimportanti anche su aspetti poco noti della presenza ebraica: dalla storia deinuclei ebraici della Terraferma veneta e del Friuli a quella della tipografiaebraica e della censura dei libri ebraici in Italia, dal fenomeno delle conversio-ni degli Ebrei fino allo studio di desuete tradizioni popolari dei ghetti italiani,dalla storia dei cimiteri ebraici alla prima anagrafe del ghetto di Ferrara del1630.

Ma queste note concernenti i suoi studi sull’Ebraismo non possono chiu-dersi senza che io accenni al suo impegno e sensibilita nei confronti del patri-monio culturale ebraico. Significativa la curatela, con il compianto Silvio G.Cusin, del volume Friuli Venezia-Giulia, apparso nel 1998 nella collana Itine-rari ebraici diretta da Annie Sacerdoti. E soprattutto senza che io ricordi la suaazione per la salvaguardia del patrimonio della settecentesca sinagoga di Go-rizia il cui archivio, libri e stoffe rituali furono recuperati nel 1975 da Ioly Zo-rattini in collaborazione con l’allora Rabbino capo della Comunita Israeliticadi Trieste, Mayer Chayyim Relles z.l. e consegnati ai responsabili della Comu-nita triestina. E non solo. Nell’estate del 1976 quando il Friuli fu devastato dalterremoto, Ioly Zorattini si adopero personalmente per il recupero di alcuniArchivi comunali della provincia di Udine, mettendo a disposizione perfinoun automezzo della ditta di famiglia per trasportare i documenti sinistrati al-l’Archivio di Stato di Udine.

Mi piace ricordare, da allieva, il grande impegno didattico del prof. IolyZorattini. L’attenzione nei confronti degli studenti e stata generosa e costante,non ha mai lesinato alcun sforzo per incoraggiarli e per sopperire alle loro esi-genze come io stessa ho avuto il piacere di sperimentare. Ricordo con ammi-razione la competenza, la gentilezza e il garbo che caratterizzavano l’offertadel suo affascinante insegnamento, e con gratitudine l’impegno del professorequando seguı – come negli altri casi – la mia tesi di laurea e poi quando con-divise il complesso iter del volume che ne sviluppo i risultati, La Comunitaebraica di Gradisca d’Isonzo. E in seguito, quando ebbi l’onore di svolgerele mansioni di esercitatrice e di ricercatrice sotto la sua tutela accanto a donLuigi De Biasio gia suo assistente, l’importanza del suo esempio e il sostegnonella ricerca, la sua guida nell’identificare i preziosi ed originali documenti checonservano la vicenda del Collegio rabbinico patavino e di altre storie. E suc-cessivamente a cogliere i significati piu profondi delle fonti con una correttaloro interpretazione, a «farle cantare», come a volte continua a suggerire conuna simpatica espressione.

Una gratitudine condivisa. Non di rado il prof. Ioly Zorattini usava (e usa)ricevere i laureandi e i ricercatori nella sua grande biblioteca privata – quasiun cenacolo dove ci si puo immergere in un’atmosfera cordiale e severa, allo

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stesso tempo gradevole e tranquilla – e prestare loro i suoi amati volumi perfacilitarne il lavoro.

Preziose e irrinunciabili la lezione e la dottrina del prof. Ioly Zorattini: ilmio auspicio piu affettuoso e che prosegua nel suo impegno e possa ad multosannos coinvolgerci nella sua infrenabile passione per gli studi storici.

MADDALENA DEL BIANCO COTROZZI

* * *

Vorrei integrare questa introduzione con una testimonianza personale chespiega la mia presenza. L’occasione per conoscere il prof. Pier Cesare Ioly Zo-rattini fu una noterella storica, di identificazione topografica, che avevo scrittonel lontano 1976, sul secondo soggiorno veneziano di David Reuvenı. Volen-do essere sicuro di quanto avevo scritto e concluso, il prof. Ariel Toaff mi in-dirizzo alla persona che gia allora era considerata l’esperto di storia ebraicaveneta, appunto Ioly Zorattini, di cui in verita ignoravo l’esistenza. La rispostadel professore fu rapida e precisa. E da quel momento comincio un lungocammino di collaborazione, consulenze reciproche e scambi di idee, insiemead una amicizia solida, malgrado la distanza geografica, che ormai conta quasi40 anni. Il professore mi considero destinatario privilegiato delle sue operenumerose, man mano che uscivano, fossero ‘piccoli’ articoli o interi volumicome la fondamentale collezione dei processi del Sant’Uffizio, o volumi paral-leli come la monografia dedicata a Leandro Tisanio. Con piacere ho rispostospesso a sue richieste di precisazioni e informazioni su aspetti rituali ebraici (eil mio intervento in questo volume riprende uno di questi argomenti); qualchevolta sono stato di aiuto nella decifrazione di documenti in ebraico; ricordo lafatica e la pazienza che mi ci vollero per decodificare una lunga lista di benidomestici conservata in un atto notarile, con i nomi italiani spesso dialettali ofrancesismi trascritti nella scrittura corsiva ebraica del XVI e XVII secolo. Inquel lavoro qualcosa rimase per me con il punto interrogativo e con grandesoddisfazione vidi poi che tutto quanto era stato risolto, mettendo insiemecompetenze di varia natura. Un esempio di come Ioly Zorattini ha sempre la-vorato, con la passione del ricercatore, l’attenzione al minimo dettaglio, lacreazione di una squadra pluridisciplinare. E la creazione di una scuola! Edi una sua allieva, curatrice di questo volume, l’opera fondamentale sulla sto-ria della scuola rabbinica di Padova, e oltre alle competenze indiscusse del-l’autrice, tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’avvio del Maestro.Ogni volta che ci siamo sentiti, la conversazione e finita quasi ritualmentecon un suo invito, quello di mandargli mie eventuali pubblicazioni, espressacon una metafora a lui cara, «se farai gemere i torchi». Di torchi ne ho fatti

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gemere pochi (forse di piu i lettori), e non solo per il cambio delle tecnologietipografiche, mentre la produzione dell’amico e stata impressionante perquantita e qualita. Quello che gli auguro e di non smettere fino ai canonici120 anni, e di avere tanti discepoli che lo seguano e lo superino.

RICCARDO DI SEGNI

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INDICE

TOMO I

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. IX

Non solo verso Oriente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » XI

Bibliografia di Pier Cesare Ioly Zorattini . . . . . . . . . . . . . . . . . » XVII

CHETRO DE CAROLIS, a PCIZ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1

ANTICHITA E MEDIO EVO

SILVIA CASTELLI, Philo’s Legatio between rethoric and history: allu-sions to the Jews of Rome in Philo’s Embassy to Gaius . . . . » 5

MARIA AMALIA D’ARONCO, Giuditta eroina anglosassone . . . . . . » 19

MARCELLO DEL VERME, Voci dal passato per l’oggi: l’angelo [del Si-gnore] alla piscina di Bethzatha/Bethesda di Gerusalemme (Gv5,3b-4) e la ‘Guerra dei sei giorni’ (5-10 giugno 1967) . . . . . » 27

MICHELE LUZZATI z.l., Elia da Genazzano: la sua parentela e i quat-tro cognomi della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 47

DANIELE NISSIM, Nomi ebraici e corrispondenti nomi locali a Pado-va nella seconda meta del XV secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . » 69

ETA MODERNA

MICHELA ANDREATTA, Raccontare per persuadere: conversione enarrazione in Via della Fede di Giulio Morosini . . . . . . . . . » 85

BENJAMIN ARBEL, Notes on the Delmedigo of Candia . . . . . . . . » 119

STEFANO ARIETI, Amato Lusitano nella medicina del Cinquecento » 131

ELVIRA AZEVEDO MEA, Fermento de novas mentalidades: memoriasdas que saltaram tabus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 137

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CARLA BOCCATO, Vicende giudiziarie di un ebreo di Venezia nel Set-tecento in due processi degli Ufficiali al Cattaver . . . . . . . . . Pag. 151

MADDALENA DEL BIANCO COTROZZI, Ancora su Samuel e AbramMorpurgo di Gradisca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 167

RICCARDO DI SEGNI, L’immersione rituale (tevila) e la tonsura nelprocedimento di riammissione dei convertiti: fonti e problemi » 179

CRISTIANA FACCHINI, Predicare nel ghetto. Riflessioni sulla predica-zione come performance rituale nel mondo ebraico di eta barocca » 187

LUCIA FRATTARELLI FISCHER, «Vivere nella sua Legge»: Phelipealias Philotheo Montalto da Firenze a Venezia, da Parigi ad Am-sterdam. Nuovi documenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 201

ANDREA GARDI, Vicini e lontani. Luigi Ferdinando Marsigli e gliEbrei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 227

LAURA GRAZIANI SECCHIERI, Gli Ebrei di Ferrara di fronte al terre-moto del 1570 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 245

PIETRO IOLY ZORATTINI, Carlo Antonio Maria Saverio Giuli aliasMariam, convertito presso la Pia Casa di Venezia nel secondoSettecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 279

GERARD NAHON – MICHELE ESCAMILLA, Matines juives a Bayonneau XVIIe siecle au filtre du Saint Office . . . . . . . . . . . . . . . » 295

MARIA PIA PEDANI, Kira e sultane nel Cinquecento ottomano . . . » 345

MAURO PERANI, L’atto di morte del rabbino Sabbetay Mika’el Gine-si (1759) e il Registro dei verbali delle sedute consiliari. Un in-teressante esempio di incrocio delle fonti interne per la storia de-gli Ebrei di Lugo a meta Settecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 363

ADRIANO PROSPERI, Un ebreo gesuita: Gian Battista Romano aliasEliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 387

BENJAMIN RAVID, A Moneylender (1592) and a Ghetto (1777-78):New Light on Venetian Spalato and its Jews . . . . . . . . . . . . » 395

MYRIAM SILVERA, Un midrash, due interpretazioni: la pluralita deimondi per Mose Maimonide e per Isaac Abravanel . . . . . . . . » 417

GIULIANO TAMANI, Il commento di Semu’el ha-Kohen da Pisa al ca-pitolo terzo di Qohelet (Venezia 1640) . . . . . . . . . . . . . . . . » 431

ANDREA ZANNINI, Nazionalita, religione e commercio a Venezia agliinizi del Seicento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 443

INDICE

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TOMO II

ETA CONTEMPORANEA

ELIA BOCCARA, Elitarismo, Israelitismo, e Neo-Marranesimo tra gliEbrei portoghesi di Tunisi: l’esempio della famiglia Valensi . . Pag. 459

ANTONIO DANIELE, La poesia di Primo Levi . . . . . . . . . . . . . . » 489

EMANUELE D’ANTONIO, Graziadio Isaia Ascoli e l’antisemitismo diCesare Lombroso. Una critica epistolare . . . . . . . . . . . . . . . » 503

BRUNO DI PORTO, Per un profilo culturale di Raffaele Ottolenghi.Contributo su aspetti di fondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 519

GIOVANNI LUIGI FONTANA, La Scuola ‘Ottorino Tombolan Fava’ ele origini del distretto calzaturiero della Riviera del Brenta(1923-1943) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 535

FELICE ISRAEL, Studi su Filosseno Luzzatto II: i rapporti familiaridalla fanciullezza alla maturita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 547

GADI LUZZATTO VOGHERA, Ripensare Jules Isaac: a cinquant’annidalla morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 559

JOHN TEDESCHI, A harbinger of Mussolini’s Racist Laws: the case ofMario Castelnuovo-Tedesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 569

IDA ZATELLI, Graziadio Isaia Ascoli e il IV Congresso Internaziona-le degli Orientalisti a Firenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 587

TEORIA E STORIOGRAFIA

LUCA ARCARI, La comparazione come metodo di selezione ‘cristiano-centrica’ in Wilhelm Bousset. La ‘sostanziale differenza’ del giu-daismo nel comparativismo storico-religioso tra Ottocento e No-vecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 597

PIER ANGELO CAROZZI, «Quanto e difficile dire mito...». Una lette-ra storico-esegetica di Salvatore Minocchi a Uberto Pestalozza » 623

MARCELLO MASSENZIO, Etnologia e teoria della religione. I contri-buti di Emile Durkheim, Sigmund Freud, Rudolf Otto . . . . . » 641

RENATO ONIGA, Le Pagine ebraiche di Arnaldo Momigliano . . . » 655

FULVIO SALIMBENI, Tra storia e letteratura. A proposito di un’anto-logia di scrittori ebrei italiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 671

INDICE

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INDICI

Indice degli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 683

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 701

Indice dei luoghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 721

INDICE

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MARIA PIA PEDANI

KIRA E SULTANE NEL CINQUECENTO OTTOMANO

1. L’IMPORTANZA DELLE DONNE NEL CINQUECENTO

Nel corso del XVI secolo nell’Impero ottomano le donne andarono acqui-stando una sempre maggior importanza e potere politico. Con la morte di Ka-nunı Suleyman (Solimano il Magnifico), avvenuta nel 1566, comincio quelloche la penna alquanto misogina di Ahmed Refik (1879-1935) definı il ‘sulta-nato delle donne’ (kadınlar saltanatı), destinato a durare fino alla meta del Sei-cento.1 Secondo Refik l’inizio della decadenza dell’Impero sarebbe stato cau-sato proprio dall’intervento dell’elemento femminile nella gestione degli affaridi stato. I suoi detrattori sottolineano invece che l’intromissione di sultane-madri (valide) e favorite (haseki) fu determinato dalla stessa cultura e societaottomana. Secondo le teorie che circolavano allora nell’Impero esse godevanodi una nobilta riflessa, poiche vivevano vicino al sultano. Erano quindi le ‘pro-tettrici della dinastia’ e avevano il dovere di gestire il potere nel caso sul tronosedesse una persona incapace per la giovane eta o perche inabile di intelletto.Durante il sultanato delle donne si sarebbe quindi concretizzata la divisioneesistente nella cultura ottomana tra potere e autorita. Quest’ultima dovevasempre essere rappresentata da una figura maschile, anche se in realta inadattaal governo, mentre il primo poteva essere esercitato anche da dietro le muradell’harem imperiale da chi effettivamente poteva e doveva in segreto reggerelo stato.2

Nel periodo del cosiddetto sultanato delle donne, dunque, l’harem impe-riale era un mondo a parte, popolato da persone di diversa provenienza. Eraorganizzato in modo strettamente gerarchico con a capo la valide. Da una par-

1 Cfr. A. REFIK ALTINAY, Kadınlar saltanatı, 4 voll., Istanbul, Turkiye Ekonomik ve ToplumsalTarih Vakfı, 20022.

2 Cfr. L.P. PEIRCE, The Imperial Harem. Women and Sovereignty in the Ottoman Empire, NewYork-Oxford, Oxford U. P. 1993, pp. 15-27.

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te vi erano poi le donne del sultano, che si distinguevano in vari gradi da sem-plice odalisca (odalık, la donna ‘della stanza’) fino alle haseki. Si recavanospesso nell’harem anche le principesse, che godevano del titolo di sultan po-sposto al loro nome ed erano zie, sorelle, figlie o anche nipoti dei sovrani re-gnanti.3 Dall’altra parte vi erano le serve, dalla piu umile schiava, alle kalfa (as-sistente), su su fino alla maggiordoma (vekilharc) e alla sovrintendente(kethuda hatun o kahyakadın). Quando non vi era una sultana valide a reggerel’harem allora era nominata una reggente che non necessariamente era la fa-vorita in carica. Si sa per esempio che tra la morte di Nur Banu e l’ascesadi Safiye tale incarico venne svolto dalla kahyakadın Canfeda hatun. Vi eranoanche scrivane (katib), segretarie (kahya), donne che insegnavano alle ragazzepiu giovani a leggere scrivere, suonare, cantare, danzare e apprendere il Co-rano (hoca). Gravitavano attorno all’harem anche la balia del sovrano (daye)e le compagne di giochi della sua infanzia (musahibe). Alcune tra queste don-ne non vivevano nel palazzo imperiale, ma vi si recavano a lavorare; abitavanoaltrove e potevano avere un marito, dei figli e anche, a loro volta, segretariepersonali, come appunto si ricorda per alcune vekilharc e kethuda hatun delCinquecento. Vi erano infine anche donne-medico (hakım), che di solito era-no ebree, mogli di qualcuno di quei medici ebrei che allora erano cosı ricercatidall’alta societa ottomana per la maestria con cui esercitavano la loro profes-sione.4

Tra le Ebree che frequentavano l’harem imperiale un posto importantespettava alle kira. Il titolo deriva dal greco (jt* qa) e significa ‘signora’. NelQuattrocento era usato soprattutto per le donne di grandi famiglie che eranoentrate nell’harem imperiale con matrimoni politici, come per esempio la figliadel despota di Serbia, Mara Brankovic, che aveva sposato Murad II (1421-1451). Con il Cinquecento, pero, questo titolo fu attribuito a tutta una cate-goria di persone, formata generalmente da Ebree, che erano utilizzate da chiviveva tra le mura dei piu esclusivi harem dell’impero per comprare cosmetici,medicine, pietre preziose, ricche stoffe e ogni cosa i bazar offrissero e, allostesso tempo, per tenere contatti anche con uomini, trasmettere messaggi efare commissioni. Alla fine del secolo divenne quasi un must avere una kiraal proprio servizio, cosı come facevano le sultane, al cui esempio tutte le don-ne dell’alta societa cercavano di uniformarsi. Verso la fine del Seicento unviaggiatore francese, Michele Febvre, scriveva, riferendosi al mondo maschile:«de forte qu’il ne se trouvera pas une famille considerable entre les Turcs et

3 Solo nel caso dei sultani il termine era preposto al nome.4 Cfr. M.P. PEDANI, Safiye’s Household and Venetian Diplomacy, «Turcica», 32, 2000, pp. 9-32.

MARIA PIA PEDANI

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les Marchants etrangers, qui n’ait un Juif a son service, soit pour estimer lesMerchandises, et en connoistre la bonte, soit pour servir d’Interprete, ou pourdonner avis de tout ce qui se passe».5 Ora le kira ebree svolgevano le mede-sime funzioni per l’alta societa femminile, e per il mondo dell’harem imperialein particolare. Non a caso, ancora negli anni ’20 del Novecento, nelle isole del-l’Arcipelago ottomano, con il termine jt* qa, o jtqa* ha, si chiamavano le vendi-trici ambulanti.6

Le fonti del primo Cinquecento, in particolare dall’epoca di Selim I (1512-1520), cominciano dunque a fornire elementi interessanti sulle donne che gra-vitavano attorno alla corte imperiale, ai grandi dello stato e, soprattutto, all’u-nico figlio del sultano, il principe Suleyman. Si dice che Selim disprezzasse ledonne e non avesse piu avuto commercio con loro dopo la nascita del primomaschio, timoroso che fosse applicata anche alla sua progenie la terribile leggedel fratricidio, voluta da suo nonno Mehmed II (1451-1481), per cui ogninuovo sovrano doveva far strangolare i fratelli quando saliva al trono. Altriraccontano invece che fu lui stesso ad uccidere tre suoi eredi di nome Orhan,Musa e Korkud, per lasciare in vita solo il piu dotato, anche se in questo casosi tratta forse solo di confusione con altri membri della sua dinastia. Sappiamocomunque che due donne furono importanti nella sua vita: Ays_ e, figlia delkhan di Crimea Mengli I Giray, che gli diede le figlie Beyhan e Devlets_ ahi,e Ays_ e Hafsa, la madre del principe Suleyman e di due principesse, Hafsa eFatma. Un’altra figlia, di cui non si conosce la madre, si chiamava Geverhan.La prima compagna aveva portato in dote a Selim l’alleanza con le tribu tataredi Crimea, che lo sostennero poi, quando fu il momento di combattere per iltrono. La seconda era probabilmente di origine georgiana, nacque nel 1479 edebbe Suleyman a Trabzon (Trebisonda) nel 1494, quando aveva solo quattor-dici anni.7

Priva di fondamento e invece la leggenda che faceva di Hafsa la discen-dente di Alfonso d’Aragona, re di Sicilia e Napoli (1416-1458), attraverso lafiglia Leonora, sposa nel 1448 di Marino Marzano, duca di Squillace e prin-cipe di Rossano, e la nipote Luisa Marzano d’Aragona, sposa nel 1476 di Ber-nardo Frangipane, conte di Veglia e Modros. Questa genealogia venne imma-ginata alla corte di Ercole II d’Este, duca di Ferrara (1534-1559), anche lui

5 M. FEBVRE, L’etat present de la Turquie, Paris, chez Edme Couterot 1675, pp. 330-340.6 Cfr. PH. MANSEL, Costantinopoli. Splendore e declino della capitale dell’Impero Ottomano,

1453-1924, Milano, Mondadori 1997, p. 123.7 A. CLOT, Solimano il Magnifico, Milano, Rizzoli 1986, pp. 35-42; Y. YUCEL – M. MEHDI IL-

HAN, Sultan Suleyman the Grand Turk, Ankara, Turk Tarih Kurumu 1991, pp. 1-7; Y. OZTUNA, Ya-vuz Sultan Selim, Istanbul, Babıali Kultur Yayıncılıgı 2006, pp. 205-236.

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discendente degli Aragona, nel 1556 per venire incontro alle richieste di unimpostore, di nome Hasan, che millantava di essere un inviato del principeSelim, figlio di Suleyman, allora alla ricerca dei nobili parenti italiani della sul-tana sua nonna. Lo stesso Hasan si ripresento poi a Venezia per ben due volte,nel 1559, affermando ora di essere stato incaricato di trovare i nobili parentidella favorita del principe, Nur Banu. Pur dubitando della sua identita i Ve-neziani preferirono non correre il rischio di disgustare un sı augusto personag-gio per cui, anche questa volta, venne creata una genealogia che faceva dellafavorita la discendente delle famiglie veneziane Venier e Baffo. Nacque cosı laleggenda della ‘sultana veneziana’ accettata senza riserve da molti storici ita-liani del secolo passato.8

Hafsa probabilmente seguı gli usi del tempo che volevano che la madre diun principe ottomano lo seguisse quando era inviato in una provincia per ap-prendere l’arte di governare. Il nonno, Bayezid II (1481-1512), gli assegno in-fatti in un primo tempo il sangiaccato di S_ ebinkarahisar e Bolu, ma suo zios_ ehzade (‘principe’) Ahmed, allora favorito nella successione, protesto inquanto riteneva fosse troppo pericoloso per lui avere un nipote che risiedevavicino alla capitale. Cosı, nel 1509 il giovane venne inviato a Kefe (Caffa) inCrimea dove rimase fino al 1512, quando il padre riuscı a conquistare il tronoe lo chiamo vicino a se.

2. LA KIRA STRONGILA/FATMA HATUN

Fu con tutta probabilita in questi anni che entro a far parte della piccolacorte del principe e di sua madre una donna ebrea karaita. La sua origine fainfatti pensare alla Crimea dove allora risiedeva tale popolazione, che parlauna lingua turca e professa un Ebraismo che rifiuta la legge orale e la tradi-zione talmudico-rabbinica, riconoscendo solo le Scritture come fonte della

8 Cfr. E. SPAGNI, Una sultana veneziana, «Nuovo Archivio Veneto», 19, 1900, pp. 241-348;E. ROSSI, La sultana Nur Banu (Cecilia Venier-Baffo) moglie di Selim II (1566-1574) e madre di MuradIII (1574-1595), «Oriente moderno», 33/11, 1953, pp. 433-441; M. GRIGNASCHI, Les documents ot-tomans conserves aux Archives de la Maison d’Este a Modena, in IX Turk Tarih Kongresi, 21-25 Eylul1981, Kongreye Sunulan Bildiriler, II. Cilt, Ankara, Turk Tarih Kurumu Basımevi 1988, pp. 819-827; B. ARBEL, Nur Banu (c. 1530-1583): a Venetian Sultana?, «Turcica», 24, 1992, p. 241-259;A. VITELLI, I Documenti Turchi dell’Archivio di Stato di Modena, «Annali dell’Universita degli studidi Napoli ‘L’Orientale’», 54, 1994, pp. 318-348; G.E. CARRETTO, Sultane Ottomane fra leggenda erealta, «Kervan. Rivista Internazionale di studii afroasiatici», 4-5, luglio 2006-gennaio 2007, pp. 19-28. Cfr. anche l’opera teatrale: M.P. PEDANI, La sultana veneziana, Roma, Aracne editrice 2007 (trad.Venedikli sultan, Ankara, Istituto Italiano di Cultura 2009).

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legge religiosa. Era figlia di Elyah Gibor e si chiamava Strongila, un nome diorigine greco-bizantina (Rsqocct* kg) che ha il significato di ‘rotondo’.

Nel 1513, dopo aver combattuto e vinto i fratelli Ahmed e Korkud, Selimassegno a Suleyman il sangiaccato di Saruhan con capitale Manisa (Magnesia)e gli diede il permesso di avere delle concubine, riconoscendolo quindi comeerede al trono. La piccola corte principesca comprendeva ora, oltre a nume-roso personale maschile, sua madre, una delle sue sorelle non ancora sposata ealtre sedici donne, che ricevevano un regolare stipendio, tra cui erano elenca-te, le favorite, le ancelle e anche due lavandaie. Servivano l’harem del principeanche una scrivana e una donna-medico che erano pagate a parte.9 Queste ul-time, probabilmente, erano donne libere, che lavoravano per l’harem ma nonvi vivevano, come i documenti ci informano era in uso al Topkapı alla fine delCinquecento. Fu alla corte del principe Suleyman che comincio la fortuna del-la kira Strongila, la quale serviva la sultana Hafsa rifornendola delle merci chedesiderava e tenendo per lei i contatti con il mondo esterno. Forse fu proprioa causa di questa donna che il termine kira fu attribuito a tutta una categoriadi donne ebree che lavoravano per l’harem imperiale.

Per tutta la durata del regno del padre, Suleyman visse tra Manisa, Istanbuled Edirne (Adrianopoli). Quando Selim si allontanava dalla capitale per campa-gne militari in Persia o in Egitto ordinava al figlio di sostituirlo, come fosse unvice-reggente, per poi subito rimandarlo al suo sangiaccato quando tornava, qua-si non volesse incontrarlo. Si racconta infatti che nell’aprile del 1515, per paurache stesse tramando per prendere il trono, come lui stesso in definitiva aveva fat-to pochi anni prima, cerco persino di farlo morire, inviandogli una camicia avve-lenata. In quell’anno gli tolse per qualche tempo il sangiaccato per attribuirglieneun altro, ma il figlio riuscı a rifarsi attribuire la sua antica residenza dove sua ma-dre Hafsa stava facendo costruire una moschea, una medresa e altri edifici.10

L’importanza che andavano allora acquistando le donne e testimoniatadalla carriera del favorito di Suleyman, Pargalı Ibrahim. La sua fortuna comin-cio quando venne acquistato da una ricca signora, vedova del capo dei gian-nizzeri (sekbanbas_ ı) Yakub aga e figlia di Iskender pascia Mihaloglu, discen-dente quindi di uno dei primi compagni di Osman. Il principe Suleyman,durante una battuta di caccia, capito nel konak di questa donna, che gli fecedono di quel giovane schiavo. La casa si trovava lungo la via che congiungeva

9 Cfr. PEIRCE, The Imperial Harem cit., p. 46.10 Cfr. M. SANUDO, I Diarii, Venezia, R. Deputazione veneta di storia patria, 1879-1902, vol. 16,

col. 375; vol. 19, col. 293; vol. 20, coll. 225, 385; vol. 22, col. 161; vol. 24, col. 205; vol. 25, coll. 294,440, 554.

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Istanbul a Edirne, probabilmente nella localita oggi conosciuta come Buyuk-cekmece, a un giorno di marcia dalla capitale, chiamata ancora a meta Cinque-cento nei documenti veneziani ‘il casal della vedova’.11

Ibrahim seppe anche entrare nelle grazie della sultana Hafsa, che lo pro-tesse poi per tutta la vita. Nel 1520 Suleyman salı al trono e i membri della suacorte assunsero grande importanza. Nel 1523 Ibrahim fu nominato gran visire subito dopo sposo Hatice, figlia della sorella della sua antica padrona e diHersekzade Ahmed pascia, gia vedovo della sultana Hundi, sorella uterinadi s_ ehzade Ahmed e sorellastra di Selim I, e per quattro volte gran visir. I le-gami familiari e di amicizia tra queste donne erano tali per cui Hafsa fece an-dare ad abitare per qualche tempo presso di lei, prima delle nozze, sia la sposache sua madre. Lo stesso Ibrahim d’altronde soleva abitare nel serraglio delledonne del sultano. In tal modo forse nacque la leggenda che Hatice fosse figliadel sultano e che quindi suo marito avesse il diritto di fregiarsi del titolo didamad (genero). Che fosse solo un’invenzione e dimostrato anche dal fattoche anni dopo il favorito si sposo di nuovo mentre se fosse stato veramenteun damad non avrebbe potuto avere altra moglie che la sultana. Nel 1523Ibrahim chiamo da Parga, dove ancora abitavano, i suoi genitori perche abi-tassero con lui a Istanbul. Riconoscendone il potere il bailo Pietro Zen cercodi avere l’appoggio della madre del gran visir per una questione di confini ve-neto-ottomani nella zona di Sebenico e, a proposito di una carica contesa frapiu candidati, dice: «si tien sia Embrain suo favorito perche lui havea la madrelı e Mustafa e vecchio e non ha madre viva». Avere la madre o la moglie benintrodotta nell’harem del sultano era, gia nei primissimi anni del regno di Su-leyman, molto importante per fare carriera nell’Impero.12

In tale ambiente visse dunque la kira Strongila, amica e confidente dellavalide e a contatto con le donne piu importanti della corte. Infatti il 27 cema-diziyulahır 927 (il 4, o piu precisamente, il 5 giugno 1521, secondo il calenda-rio allora vigente nell’Impero ottomano), quindi circa otto mesi dopo che Su-leyman era salito al trono (30 settembre 1520), venne emesso per lei undecreto imperiale su richiesta della sultana Hafsa, con cui la si esentava, assie-

11 SANUDO, I Diarii cit., vol. 35, coll. 257-260. L’identificazione tra ‘il casal della vedova’ eBuyukcekmece si fa confrontando la cronaca di Ferdı con le veneziane relative a un’inondazione av-venuta ai primi di luglio 1541 in tale localita, cfr. Archivio di Stato di Venezia (in seguito ASVe),Avvisi, b. 8, c. 138; H.G. YURDAYDIN, Ferdı’nin ‘‘Suleymanname’’ sinin yeni bir nushası, «AnkaraUniv. Dil ve Tarih-Coj. Fak. Dergisi», 8/1-2, 1950, pp. 202-223; ID., Bostan’ın Suleymannamesi (Fer-dı’ye Atfedilem eser), «Belleten», 19/74, 1955, pp. 137-202.

12 ASVe, Capi del Consiglio di Dieci, Lettere ambasciatori, b. 1, 20 ott. 1523; SANUDO, I Diariicit., vol. 35, col. 153; vol. 36, col. 105; N. TEKTAS

_, Pargalı Ibrahim. Muhtes_ em Suleyman’ın Muhtes_ em

Veziri, Istanbul, Catı Kitapları, 2011, pp. 7-13.

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me ai suoi discendenti, dal pagare ogni tipo di tassa e le si concedeva di pos-sedere schiavi, si dichiarava inviolabile la sua casa e si affermava che ne il naibkadı (vice-giudice), ne il subas_ ı (capo della polizia) l’avrebbero potuta infasti-dire. Il documento, il cui formulario era stato pensato evidentemente per gliuomini e non per una donna, continua dicendo che era esente dal montare laguardia al Palazzo Imperiale, dal pulire le strade, dal pagare i balzelli detti an-gheria; inoltre non la si sarebbe potuta cacciare dall’armata, avrebbe potutocambiare l’oro e l’argento, importare o esportare bestiame ed esercitare laprofessione di celeb (capo-carovaniere). Il documento, che cita i nomi del ma-rito della kira, Mosheh, e i suoi figli, Eliyah e Yosef, venne poi riconfermatoparecchie volte per i suoi discendenti nel corso dei secoli seguenti fino al 1284(1867-68).13

Strongila rimase al servizio della valide fino alla morte della sua protettri-ce, avvenuta nel 1534. Continuo comunque a fare la commerciante, anche se idocumenti ci parlano ormai raramente di lei. Sappiamo, per esempio, che nel1545 il veneziano Andrea Priuli le diede in pegno un grosso balasso, deside-rato anche dal gran visir Rustem pascia. Invece di tenerlo in sospeso per qual-che tempo in attesa che venisse riscattato, Strongila lo vendette immediata-mente alle donne del kadıasker di Anatolia, che poi non vollero piu cederloa nessuno.14 Nel 1548, poco prima della sua morte avvenuta proprio quell’an-no, decise di convertirsi all’Islam e prese il nome di Fatma hatun, anche se isuoi discendenti continuarono a professare la religione ebraica.

3. LA KIRA ESTHER HANDALI

Nel corso del secolo l’elemento femminile assunse sempre piu importanzaa corte. Dopo la morte della valide Hafsa fu Hurrem (m. 18 aprile 1558) adominare il cuore e l’harem del sultano.15 In quel tempo ormai i sultani sce-

13 Cfr. J.H. MORDTMANN, Die Judischen Kira im Serai der Sultane, «Mitteilungen des seminarsfur Orientalische Sprachen», 32, 1929, pp. 1-38; M. ROZEN, A History of the Jewish Community inIstanbul: the Formative Years, 1453-1566, Leiden-Boston, Brill 2002, pp. 204-207.

14 Cfr. ASVe, Secreta, Archivio proprio Costantinopoli, reg. 3 bis, cc. 9v-10, n. 12, 3 dicembre1454.

15 Prima di lei Suleyman aveva avuto altre favorite. Nel 1513 aveva avuto un figlio di nomeMahmud, morto a nove anni. Nel 1517 gli era nato da Mahidevran il principe Mustafa che lui stessoavrebbe fatto uccidere, su istigazione di Hurrem, nel 1550. Nel 1519 gli era nato da Gulfem il prin-cipe Murad, morto di vaiolo assieme al fratello Mahmud e a una sorella nell’ottobre 1521. Nel 1522gli nacque Abdullah morto il 20 gennaio 1523. Finalmente nel 1521 Hurrem, che da questo mo-mento in poi sarebbe stata la sua unica donna, diede alla luce Mehmed (m. 1542), quindi una fem-mina, Mihrimah (1522-1561), poi Selim, destinato a succedere al padre (1524-1575), Bayezid (1525-

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glievano le loro donne solo tra le schiave. Secondo la tradizione Hurrem era lafiglia di un pope ortodosso della Ruthenia, allora sotto il regno di Polonia eoggi Ukraina. Dopo di lei tra le donne piu potenti dell’impero vi sarebberostate una greco-veneta di Corfu (Nur Banu, 1574-1583), un’albanese (Safiye,1595-1603), e altre tre greche: Handan (1603-1605), Mahfiruze Hatice (1618-1621) e soprattutto Mahpeyker Kosem (1523-1551), proveniente dall’isola diTinos.

Fu in questo periodo che le kira si moltiplicarono. Quando le signore del-l’harem imperiale cominciarono a interessarsi attivamente di politica, allora iservigi di queste donne apparvero indispensabili per tenere i contatti con ilmondo esterno, popolato di uomini. La piu famosa tra tutte fu sicuramenteEsther Handali, un’ebrea sefardita proveniente da Jerez de la Frontera in Spa-gna. Era moglie di Eliyah Handali (deceduto prima del 1566) ed era gia al ser-vizio di Nur Banu, favorita di suo figlio Selim, prima che questi salisse al trono(1566). Era anche intima di Mihrimah, figlia del sultano e moglie del gran visirRustem pascia.16 Quando Nur Banu divenne valide la sua importanza crebbe.Come confidente della sultana era probabilmente a conoscenza di molti intri-ghi dell’harem. Si puo fornire qui un esempio del suo potere, riportato da unafonte documentaria: nel 1578 il beylerbeyi di Aleppo voleva far sposare suofiglio con una figlia del sultano Murad III (1574-1595) che allora aveva circadodici anni e per ottenere quanto desiderava si rivolse proprio a Esther kira eal medico ebreo Shalomo Ashkenazi, che aveva appena contribuito alla pacetra Venezia e la Porta e godeva allora di alto favore a corte. Un giorno di set-tembre Esther racconto a Nur Banu di aver sognato la festa celebrata in oc-casione di un tale matrimonio, di averne parlato al medico che lo aveva accen-nato al beylerbeyi il quale, a sua volta, si era mostrato quasi dispiaciuto e avevaraccomandato di non far circolare una simile voce perche suo figlio non eracerto degno di un tale onore. Piena di curiosita la valide si informo su chiera questo giovane e sulle sue qualita, quindi ne parlo con il figlio. Il sultanoapparve pero contrario: le figlie dei sovrani ottomani non si solevano dare afigli di Musulmani, bensı a figli di Cristiani che avevano servito come pagginel Serraglio. Saputa tale reazione il beylerbeyi consiglio la kira di dire alla sul-tana che suo figlio era nato da madre cristiana e che gli era stata data una se-

1562), e infine il gobbo Cihangir (1531-1553). Altri suoi figli di cui si conosce solo il nome furonoOrhan, Fatma e Raziye.

16 Cfr. H. GRAETZ, Geschichte der Juden, vol. 9, Leipzig, O. Leiner 18661, ‘Noten’, Die favoritinEsther Kiera, pp. LXXIII-LXXIV; S.A. SKILLITER, The Letters of the Venetian ‘Sultana’ Nur Banu and herKira to Venice, in Studia Turcologica Memoriae Alexii Bombaci Dicata, a cura di A. Gallotta e U. Ma-razzi, Napoli, Istituto Universitario Orientale 1982, pp. 515-536.

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vera educazione, lontano dalla buona societa turca e musulmana di Istanbul.A questo punto sia la valide che il sultano sembrarono convincersi per cui aiprimi di ottobre del 1578 Shalomo Ashkenazi arrivo a predire che tale matri-monio si sarebbe fatto entro tre mesi, appena passate le feste del bayram. L’in-tervento di Esther poteva dunque essere prezioso nelle pieghe dei giochi po-litici ottomani. Nel 1579, poco prima di morire, anche Yosef Nasi, duca diNasso, che ormai aveva perso la sua influenza a corte, la uso come interme-diaria. Alla fine del 1582 invece, la kira contribuı a salvare la vita al gran visirSinan (mag-giu. 1580-15 gen. 1583), che non venne fatto strangolare dal sul-tano solo perche la madre gli chiese di risparmiargli la vita. Esther intervenneanche, ma senza successo, per riportare a Istanbul Mahmud aga da Castelnuo-vo su richiesta delle sue donne: considerandolo una spia, i Veneziani lo trat-tennero invece prigioniero a Venezia dal 1575 al 1586 e, alla fine, segretamen-te lo uccisero.17

Tutti coloro che conobbero Esther, fossero Cristiani, Ebrei e Musulmani,concordavano nel lodare la sua magnanimita, la sua generosita, la sua bonta.Per i suoi correligionari fu benefattrice e sostenitrice della cultura ebraica.Yizhaq ben Avraham ‘Aqrish nell’introduzione al triplice commento al Canti-co dei Cantici (Istanbul 1575) racconta che la kiralo aveva sostenuto ed erastata per lui di grande aiuto durante il grande incendio che porto la desolazio-ne a Costantinopoli tra il 19 e il 26 settembre 1569. Esther allora abitava aPera, distante dal quartiere ebraico che ando allora completamente bruciato.18

Un altro scrittore dell’epoca, Samuel ben Shullam, pubblico nel 1566 grazieall’incoraggiamento della kira, il Sefer ha-Yuchasin (‘Libro della Genealogia’),opera storiografica di Avraham Zakut. Egli racconta infatti che un giorno variuomini di cultura stavano pranzando a casa di Esther, che il discorso era ca-duto su quest’opera e su quanto fosse importante pubblicarla e che la padrona

17 Cfr. ASVe, Capi del Consiglio di Dieci, Lettere ambasciatori, filza 5, 5 ottobre 1578, 23 dicem-bre 1579; filza 6, 9 dicembre 1582, 22 dicembre 1582. Sulla vicenda di Mahmud aga da Castelnuovo,cfr. M.P. PEDANI, In nome del Gran Signore. Inviati ottomani a Venezia dalla caduta di Costantinopolialla guerra di Candia, Venezia, Deputazione di storia patria per le Venezie 1994, p. 168.

18 «E dopo i giorni del Signore [per l’incendio] andai alla casa della signora chiamata kiera Es-ther, vedova di rabbi Eliyah Handali, perche nella sua casa trovavano tranquillita molti, ricchi e po-veri. E anche prima dell’incendio mi aveva aiutato con la sua generosita e con i suoi mezzi. E quandosono andato a casa sua ho trovato la mia moglie e mia figlia, e alcuni dei miei libri che mia moglieaveva salvato». Traduzione di Pierina Francesca De Stales (che ringrazio per avermi permesso di uti-lizzare la sua tesi: Kire ebree nell’harem ottomano, Universita Ca’ Foscari, Lingue e Culture dell’Eu-rasia e del Mediterraneo-Ebraico, a.a. 2009-2010, p. 26). M. ROZEN – B. ARBEL, Great fire in the me-tropolis. The case of the Istanbul conflagration of 1569 and its description by Marcantonio Barbaro, inMamluks and Ottomans. Studies in honour of Michael Winter, ed. by D.J. Wasserstein and Ami Aya-lon, London-New York, Routledge, 2006, pp. 134-165.

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di casa avrebbe proposto di contribuire a pagarne le spese dicendo: «E mi dis-se: ‘‘Alzati, fa’ appello all’intelligenza, e io saro come colui che custodisce nel-l’ombra il denaro’’».19 Parole di elogio per lei ebbe anche il continuatore del-l’opera Emeq ha-bakha (‘Valle di lacrime’) di Yosef ha-Kohen: «Anche aCostantinopoli la donna importante stava alla Porta del sovrano turco e tuttii ministri si inginocchiavano di fronte a lei».20

I baili veneziani condividono un tale atteggiamento, elogiando la sua intel-ligenza e la sua correttezza nel fungere da tramite tra di loro e le sultane. Fusempre filo-veneziana. Nur Banu la utilizzo per tenere i contatti con il bailo esi conservano ancora non solo le lettere della sultana ma anche alcune dellakira, che tenne per proprio conto rapporti con il doge, scrivendogli in un mi-sto di italiano e spagnolo, lingua della sua terra d’origine. Agenti della kira aVenezia furono, intorno al 1580, David e Yosef Membrec, che chiese fosseroesentati dal pagamento dei dazi sulle merci che importavano e esportavanoper suo conto. Altre persone che raccomando ai Veneziani furono Juan MariaQuartari, che lavorava per lei, uno dei suoi agenti, chiamato Yosef Crespin, ilmedico del serraglio Samuel Zevi e molti altri, soprattutto Ebrei. Sua nuora fuper un certo tempo a Venezia e tramite lei furono consegnate dai Venezianialla valide tre cagnette della razza bolognese, piccola e bianca, allora di granmoda tra le donne dell’alta societa sia ottomana che europea. Il figlio di Es-ther si chiamava invece Shalomo de Jeres e tramite la madre ottenne di potervendere, organizzando una lotteria, delle pietre preziose. Quando pero i Ve-neziani scoprirono che invece di averle portate da Costantinopoli le aveva rac-colte a Venezia e le aveva sopra-stimate tutto l’affare salto e non gli venne con-cesso quanto chiedeva.21

Nel periodo di Nur Banu gli Ebrei ebbero quindi molta importanza a cor-te, non solo grazie a Esther ma anche ad alcuni medici. Rabi Shalomo cono-

19 DE STALES, Kire ebree cit., p. 26, che cita anche un’altra frase tratta dall’introduzione del Se-fer ha-Yuchasin, dove si elogia la kira: «Shmuel ben Shullam ha detto: ‘‘Il tempo del Signore si volse,e giro vicino per stimolare lo spirito della mia signora, mia magnifica corona. Donna di valore, Es-ther, conosciuto alle Porte il marito, elevato ed eminente, rabbi Eliyah Handali, riposi in pace; unadonna che teme il Signore, una donna saggia, una donna grande nelle sue opere, sole di carita e ri-medio angelico. Dall’estremita della Terra giungevano i poveri e gli indigenti, tutti i deboli per ascol-tare, ascoltavano tra la gente come uno scolaro e ogni giorni attorno al suo tavolo ascoltavano comeamici. Le sue mani tendeva al povero nel piu stretto riserbo e senza ostentazione. Orfani e vedove, isuoi beni ha diviso tra loro, e le ragazze atte ad andare nella casa delle donne del frutto delle sue manisi elevarono davvero. Compı il suo dovere e dilapido tutti i suoi beni’’».

20 DE STALES, Kire ebree cit., p. 27.21 Cfr. ASVe, Capi del Consiglio di Dieci, Lettere ambasciatori, filza 6, 29 ottobre 1580; Senato,

Dispacci ambasciatori, Costantinopoli, 28 maggio 1583; SKILLITER, The Letters cit., pp. 515-536. Ya-semin Arap hatun da Trikkala, citata in una lettera di Nur Banu, edita da Skilliter, era allora la buf-fona della sultana, cfr. Senato, Dispacci ambasciatori, Costantinopoli, 29 aprile e 15 maggio 1580.

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sceva cosı bene quanto avveniva dietro le segrete mura del palazzo imperialeda poter informare il bailo nel luglio del 1580, quando Murad III era in puntodi morte, che il principe Mehmed era stato segretamente circonciso, in modoche nel caso il padre fosse mancato lui fosse gia entrato ufficialmente nell’etaadulta. Il sultano pero si riprese per cui la frettolosa cerimonia venne tenutasegreta, per essere poi celebrata solennemente due anni dopo. Medico dellavalide era allora un ebreo, rabi Emanuel Brudo, e non una donna come si usa-va di solito per quante vivevano chiuse nell’harem imperiale, ma l’essere lavecchia madre del sovrano regnante permetteva di superare le strette leggiche regolavano la vita delle giovani favorite. Nur Banu stessa intervenne pres-so il bailo per favorire il suo medico e fargli ottenere, tramite i suoi buoni uf-fici, la restituzione del denaro che gli doveva un altro ebreo, Hayyim Saruch.Un altro medico allora importante a corte fu Mosheh Benveniste: di lui si rac-conta che cenava spesso con il gran visir Siyavus pascia (gen. 1583-28 lug.1584), suo paziente, e con la sultana sua moglie, per cui i Veneziani comincia-rono a regalargli 500 zecchini l’anno pur di avere il suo appoggio.22

Esther kira gioco un ruolo importante anche nell’allontanamento tempo-raneo che ebbe luogo tra Murad III e la sua favorita Safiye nell’autunno del1583. Per circa vent’anni questa coppia era stata molto unita e, nonostanteNur Banu odiasse la giovane e la definisse una strega, non c’erano state altredonne nella vita del sovrano. A un certo punto la sorella del sultano Ismihan,vedova di Sokollu Mehmed pascia, decise di regalare al fratello due schiavecircasse. A questo proposito una delle donne che frequentavano l’harem, mo-glie di Suleyman cavus_ , scrisse una lettera, di cui non sappiamo il contenutoma certo compromettente, affidandola al servo del marito perche la conse-gnasse alla kira della favorita. L’uomo pero sbaglio e la diede invece alla kiradella valide che approfitto di quanto vi era scritto per mettere in cattiva luceSafiye. Murad III allora caccio la favorita che venne inviata con due figlie, Ay-s_ e e Fatma, e tutta la sua corte al Serraglio Vecchio. Il fatto pero che il sovranoavesse problemi ad avere rapporti con le bellissime schiave fece nascere in luiil dubbio che Safiye gli avesse davvero fatto una malia: le serve implicate nel-l’affare della lettera vennero allora arrestate e torturate ma non poterono sve-lare nulla per cui vennero esiliate a Rodi. Poco dopo, il 13 dicembre di quellostesso anno, Nur Banu morı e Safiye presto ottenne di tornare nel Palazzo Im-periale grazie anche ai buoni uffici di suo figlio Mehmed. Il sultano, allora, su

22 Cfr. ASVe, Capi del Consiglio di Dieci, Lettera ambasciatori, filza 5, 30 luglio 1580; filza 6, 4gennaio 1581 more veneto (1582), 18 febbraio 1582 more veneto (1583). Senato, Dispacci ambascia-tori, Costantinopoli, filza 20, 26 luglio 1583.

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sua richiesta libero dal confino la donna ebrea che era stata sua kira, ma Safiyenon la riprese con se, preferendo da questo momento in poi di avvalersi deiservizi di Esther Handali, cosı come aveva fatto sua suocera.23

Ormai non era piu l’unica donna del sultano, incantato dalle grazie di gio-vani ragazze di sedici-diciassette anni, ma torno a regnare nel suo cuore. Il suointento fu allora quello di farsi sposare, cosı come era stato per Nur Banu, di-venuta moglie di Selim II. In tal modo non avrebbe avuto delle rivali da teme-re e sola tra tutte le donne dell’harem sarebbe potuta stare seduta mentre ilsovrano mangiava. All’inizio del 1585 Safiye affido a Esther kira il compitodi avvicinare discretamente il visir Ibrahim pascia, allora beylerbeyi d’Egittoe destinato a divenire poi per tre volte gran visir. Gli venne allora promessala mano della sultana Ays_ e, e venne convinto a parlare con il sultano in favoredi questo progetto, che si attuo poi nella successiva primavera. Come semprein occasione di fauste nozze il doge invio in dono degli oggetti per la casa, inquesto caso si tratto di alcune sedie alla moda di Venezia. Safiye rispose conuna lettera in cui ringraziava per la partecipazione alla sua felicita. Una decinadi anni dopo, alla morte del sultano, un mesto corteo formato da una quaran-tina di favorite lascio il Palazzo Imperiale per andare nel Vecchio Serraglio,mentre diciannove suoi figli venivano uccisi assieme a sette donne gravide.24

Esther servı fedelmente la sultana per anni, continuando a proteggerequanti si rivolgevano a lei: Samuel Aben Tabon, un certo Frizzele, che era sta-to bandito, e anche alcuni suoi parenti, come suo figlio Shalomo de Jeres eYosef Sasson, che era suo agente a Venezia. Tra le due donne si instaurouna vera e propria amicizia, come testimoniano le parole affettuose che Safiyeaveva per lei. Nel settembre 1588 Esther comincio a stare male, ma continuo avedere il bailo per conto della favorita, che le inviava lettere con espressioni diamicizia e considerazioni politiche. Alla fine di novembre era pero cosı deboleda non potersi piu alzare. Morı nella notte tra il 18 e il 19 dicembre del 1588.Possiamo considerare suo necrologio le parole che scrisse allora il bailo Gio-vanni Moro: «Questa donna, la quale ho trovata sempre veridica, et vogliaDio che non provi l’incommodo della sua perdita con pubblico deservizioperche a dire il vero non conosco altro mezo al presente atto come lei a farli servitii con fede, che qui si trova in pochi, il che scrivo hora con maggiorliberta essendo ella ridotta in termine tale».25

23 Cfr. PEDANI, Safiye’s Household cit., pp. 9-32; M.P. PEDANI, Veneziani a Costantinopoli allafine del XVI secolo, in Veneziani in Levante. Musulmani a Venezia, «Quaderni di Studi Arabi», 15suppl., 1997, pp. 67-84.

24 Cfr. ASVe, Senato, Dispacci ambasciatori, Costantinopoli, filza 18, 27 dicembre 1583/1º.25 ASVe, Senato, Dispacci ambasciatori, Costantinopoli, filza 28, 27 novembre 1588/2º.

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4. LA KIRA ESPERANZA MALCHI

Subito dopo la morte di Esther Handali suo figlio cerco per qualche tem-po di sostituire la madre nel tenere i rapporti tra il bailo veneziano e la sultanaSafiye. Non riuscı pero a molto, anche a causa dei sospetti sulla sua onesta chela faccenda del lotto aveva fatto nascere qualche anno prima. Poco dopo, nel1589, la sua casa fu bruciata assieme a quella del dottor Benveniste dai gian-nizzeri che approfittarono di un grande incendio che era scoppiato a Costan-tinopoli per darsi al saccheggio. L’anno seguente Shalomo morı. Nel frattem-po la moglie di Murad III aveva trovato una nuova kira: un’italiana di nomeEsperanza Malchi. Quanto Esther era stata abile e discreta tanto invece questadonna approfitto del potere di cui godette come mediatrice tra l’harem e ilmondo esterno. L’ambasciatore inglese Edward Barton scrisse che ormai tuttii suoi affari con la corte passavano necessariamente per le sue mani e che eraindispensabile venire a patti con lei per non perdere i favori della sultana, equindi della Porta. C’e un mistero riguardo a un dono inviato da Safiye allaregina Elisabetta d’Inghilterra nel 1593: esso passo per le mani della kira, euna parte di esso, precisamente un copricapo ingioiellato, ando perduto. Annidopo, nel 1599, quando la Malchi comincio a essere osteggiata da molti, altriregali lasciarono l’harem per essere spediti a Londra e questa volta, accanto aun copricapo in rubini da parte della valide, ve ne era anche un altro, ricoper-to di diamanti, offerto a proprio nome dalla kira che lo consegno all’ambascia-tore «con le lacrime agli occhi».26

Tanto Esther era stata universalmente lodata tanto la nuova kira seppe far-si odiare, in quanto donna e per di piu ebrea, sia dai Cristiani che dai Musul-mani. Venerdı 24 muharrem 1004 (29 settembre 1595), nove mesi dopo la sa-lita al trono di Mehmed III, quando Safiye era appena divenuta valide e la kiraaveva assunto una posizione di rilievo nell’harem, il noto predicatore MevlanaMuhyiddin efendi, parlando nella moschea di Aya Sofya, tuono che occorrevaconvincere il sultano a precludere la conduzione dello stato alle donne e che,se cio non fosse avvenuto in breve tempo, ne sarebbe conseguita sicuramentela rovina dell’Impero. L’anno seguente a Costantinopoli si diceva addiritturache la kira Esperanza tenesse «divano in casa», che volesse far nuove leggi e siconsiderasse regina di tutti gli Ebrei. Tra l’altro allora stabilı che gli Ebrei non

26 PEDANI, Veneziani a Costantinopoli, cit., pp. 67-84. Cfr. anche S.A. SKILLITER, Three Lettersfrom the Ottoman ‘‘Sultana’’ Safiye to Queen Elizabeth, in Documents from Islamic Chanceries, ed. bySamuel M. Stern, Oxford, Bruno Cassirer 1965, pp. 119-157, 229-236; PEIRCE, The Imperial Haremcit., p. 225.

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pagassero il dazio d’uscita dalla citta e chiese che le portassero i libri contabilidelle navi che transitavano, in modo da poterli controllare, mentre assegno aisuoi figli l’importante e lucrosa carica di capo doganiere.27

Esperanza Malchi era nemica di Venezia e dei Veneziani e costoro non sifidavano di lei da quando le avevano date delle lettere a proposito di un fal-limento da consegnare a Safiye le quali, al contrario, erano state fatte vederead alcuni Ebrei che erano cointeressati alla faccenda. Ogni occasione apparivabuona per lei per far apparire nefasta la presenza dei sudditi del doge. Persostenere le sue accuse arrivo a pagare altre donne perche affermassero allapresenza della valide che diceva il vero, anche se poi la kalfa Raziye hatun ela hoca dell’harem riuscirono a dimostrare che mentiva. A un certo punto laconvertita veneziana Beatrice Michiel/Fatma hatun, sorella del kapıaga Gazan-fer, il potente capo degli eunuchi bianchi, litigo furiosamente con lei nell’ha-rem alla presenza della valide prendendo le difese dei suoi antichi compatriotie disse che era proprio a causa sua se le merci imbarcate sulle loro navi veni-vano scaricate indebitamente. Lo stesso marito di Esperanza non era eviden-temente sempre d’accordo con le azioni della moglie, tanto da dire al bailo chetemeva che ella stesse tramando contro la Repubblica.28

Nel 1597 da molte parti cominciarono a levarsi voci contro le intromissio-ni delle donne nella politica ottomana. Cigalazade Sinan pascia disse aperta-mente al sultano che se voleva essere veramente il sovrano non doveva seguirei consigli delle donne e soprattutto di sua madre. A primavera invece un altroimportante predicatore della moschea Suleymaniye affermo che ormai le di-gnita erano distribuite in base ai favori di donne ebree e di soldi per cui l’Im-pero era sull’orlo della rovina. Alcuni pensavano di farlo morire per questo,ma gli emiri si sollevarono e impedirono che pagasse per le sue opinioni,che erano condivise da molti. L’influenza della kira stava comunque comin-ciando a scemare anche presso la valide. Nel dicembre del 1597 presero ilvia i lavori per la grande moschea che Safiye faceva allora costruire nel quar-tiere di Eminonu, oggi conosciuta come Yeni Camii, e per far cio vennero di-strutte e spianate molte case di Ebrei. Fu forse un tentativo, per altro non riu-scito, di dimostrare al popolo che la sultana non dipendeva dalla sua kira.29

27 Cfr. ASVe, Senato, Dispacci ambasciatori, Costantinopoli, filza 44, 20 ottobre 1596; S.M. EFEN-

DI, Tarih-i Selaniki, a cura di M. Ips_ IrlI, Istanbul, Edebiyat Fakultesi Basımevi 1989, pp. 419,509-510; PEDANI, Safiye’s Household cit., pp. 9-32; PEDANI, Veneziani a Costantinopoli cit.,pp. 67-84.

28 Cfr. ASVe, Senato, Dispacci ambasciatori, Costantinopoli, filza 44 (copia reg. 11), 5 dicembre1596; 7 novembre 1596; 15 novembre 1596; 25 dicembre 1596, 1 gennaio 1597.

29 Cfr. ASVe, Senato, Dispacci ambasciatori, Costantinopoli, filza 46 (copia reg. 12), 26 aprile1597/2º, 31 dicembre 1597/2º.

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La situazione a Costantinopoli intanto si faceva sempre piu tesa. Il primomaggio 1599 vi furono dei moti di sipahi e cebeci che protestavano per il di-minuito potere d’acquisto delle loro paghe. I rivoltosi furono allora calmatidal loro comandante, Mehmed Frenkbeyoglu, il veneziano Marc’AntonioQuerini, uno dei nemici piu acerrimi della valide e del suo partito.30 La resadei conti avvenne pero un anno dopo. Sabato 1 aprile 1600, che corrisponde-va al 18 del mese di ramadan 1008 secondo il calendario ottomano e al 17 ni-san 5360, due giorni dopo la Pasqua ebraica, i giannizzeri, accortisi di esserestati pagati con moneta di bassa lega, chiesero l’intervento dello s_ eyhulislam,cioe il gran mufti di Istanbul, la massima autorita religiosa dello stato. Otten-nero un fetva che attestava che il cibo comprato con tale moneta non era halal,pur non riuscendo a estorcergli anche una sentenza di morte contro la kira. Ilgiorno dopo, tumultuando, si recarono dal responsabile della citta di Istanbul,il kaymakam Halil pascia, che non si fece trovare a casa. Allora incaricarono ilcavus_ bas_ ı Omer aga e il kapıkethudası Nasuh aga di trovare la donna. Alla finefu scoperta, catturata e portata al palazzo di Halil pascia e qui, nel cortile, ven-ne assalita dai sipahi, alla cui testa era il veneziano Mehmed, e fu trucidata. Ilsuo cadavere fu portato alla Piazza dell’Ippodromo dove fu fatto a brani e al-cuni pezzi, piantati sui pugnali della soldataglia, vennero portati in trionfo perla citta. La domenica seguente anche i suoi due figli vennero presi. Uno, cheaveva avuto parte ai maneggi della madre, venne ucciso e pure il suo cadaveregiacque insepolto nella piazza. L’altro invece, che come il padre non si era in-teressato di quanto lei faceva, riuscı a salvarsi convertendosi e, preso il nomedi Aksak (dalla pelle bianca) Mustafa, divenne poi cavus_ della Porta.31

Tutto il tesoro che Esperanza Malchi aveva ammassato venne confiscatodal sultano: 1000 buoni del valore di tre mesi di paga, che si davano alloraai giannizzeri e che lei aveva acquistato dai loro proprietari, gioielli cosı nume-rosi da non poter essere contati e pesati, case distribuite in quarantadue loca-lita, merci e capitali conservati a bordo di alcune navi e, infine, cinque milionidi aspri. Con il denaro contante si arrivo a pagare il salario di giannizzeri esipahi per tutto l’anno in corso. Tutti gli Ebrei di Istanbul ebbero a soffrireper l’odio che la kira aveva destato: si chiusero timorosi nelle loro case e ven-nero allora emesse alcune ordinanze che proibivano loro di usare stoffe fini, diportare cappelli e di intervenire a gare d’appalto. Gia a giugno pero la situa-zione era mutata. La vicenda di Esperanza Malchi cominciava ad essere di-

30 Cfr. ASVe, Senato, Dispacci ambasciatori, Costantinopoli, filza 49, 1 maggio 1599.31 Cfr. S.M. EFENDI, Tarih-i Selaniki cit., pp. 854-856; NA’IMA, Tarih-i Na’ıma, a cura di

M. Ips_ IrlI, Ankara, Turk Tarih Kurumu 2007, vol. 1, pp. 162-163, 174.

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menticata ed altri Ebrei ottennero di diventare doganieri. Safiye fu indignataper la brutale uccisione della kira, ma le sue proteste non ebbero una vastaeco. Riuscı solo a far deporre suo genero Halil pascia dal posto di kaymakam,ma nulla pote fare contro l’altro genero che era allora gran visir. Ormai si eracreato un partito che si contrapponeva pericolosamente a quello dell’haremche lei capeggiava. Per la prima volta nella storia ottomana la cavalleria sipahi,i giannizzeri e gli ulema, gli uomini di religione, adottarono la medesima lineapolitica. La valide e i suoi sostenitori furono messi in in minoranza. Il loro po-tere finı con un’altra ribellione, quella del gennaio 1603, quando il capo deglieunuchi bianchi e il capo degli eunuchi neri furono uccisi dalle milizie davantialla terza porta. Ritiratosi nelle sue stanze dopo aver assistito, in lacrime, a unsimile spettacolo Mehmed III uccise di sua mano la kahya della madre e or-dino che, assieme ad altre tre donne, venisse gettata in mare.32

5. CONCLUSIONE

Con la ribellione del 1603 il partito di cui avevano fatto parte le kire e chefino a quel momento aveva detenuto il potere venne allontanato dalla politica.Poco dopo, in quello stesso anno Mehmed III morı e divenne sultano suo fi-glio Ahmed I (1603-1617) che aveva allora circa 13 anni. Salendo al trono ilnuovo sovrano fece promettere a sua madre, Handan, di non occuparsi mai dipolitica. Eppure fu proprio una donna che poco dopo gli salvo la vita. Nel1604 fu colpito dal vaiolo e fu curato e guarito dall’ebrea che era medico del-l’harem. Era la vedova e seconda moglie di Shalomo Ashkenazi. Era conosciu-ta come bula (sorella maggiore, titolo onorifico per le donne dell’harem) Iqs_ ati(Ecsati nei documenti veneziani) e aveva appreso l’arte della medicina dal ma-rito. Fu l’unica donna che venne ricordata con il titolo di ‘medico del sultano’tanto che persino suo figlio Nathan, presentandosi a Venezia, ricordo a tutti laqualifica che allora rivestiva sua madre.33

Il regno di Ahmed I non rappresento pero la fine del sultanato delle don-ne. La sua favorita Kosem (m. 1651) doveva divenire, come valide dei suoidue figli, Murad IV (1623-1640) e Ibrahim I (1640-1648), e poi anche di

32 Cfr. ASVe, Senato, Dispacci ambasciatori, Costantinopoli, filza 56, 9 gennaio 1602 more ve-neto (1603).

33 Cfr. E. KOHEN, History of the Turkish Jews and Sephardim. Memoires of a Past Golden Age,Lanham, University Press of America 2007, pp. 119-120; PEDANI, In nome del Gran Signore cit., p. 26;ASVe, Bailo a Costantinopoli, b. 317, reg. 4, cc. 3r e v: 27 maggio 1598, Ecsati, vedova di SalomoneAshkenazi con i figli Menachem, Ovadia e Natan nomina procuratore Salvatore Belforte.

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un nipote, Mehmed IV (1648-1687), la donna piu potente dell’Impero. Anchese vi furono ancora kahya e altre donne importanti, non si sentı piu parlare dikira. La loro grande stagione era ormai terminata, ma le donne ebree conti-nuarono ad essere utili alle grandi famiglie ottomane per le merci prezioseche potevano procurare. Per le fanciulle chiuse negli harem, esse erano il cor-rispettivo di quello che i loro uomini erano per i membri della classe dirigente:«il capo mercante ebreo, che ogni nuovo pascia d’Egitto porta con se da Co-stantinopoli per tutti i suoi bisogni, e ha funzione di tesoriere, ha molti privi-legi e gli stessi turchi e agha gli fanno mille onori ch’e come il vicere d’Egitto»scriveva nel 1697 un confidente a Venezia. Eppure fu proprio in questo stessosecolo, come ricorda il bailo Giacomo Contarini nel 1676, che le donne ebreevennero allontanate definitivamente dal Serraglio imperiale che avevano con-tinuato fino ad allora a frequentare come maestre e commercianti.34

34 ASVe, Senato, Dispacci ambasciatori, Germania, b. 177, n. 180, cc. 308-323; Relazioni degliambasciatori veneti al Senato, a cura di Luigi Firpo, Torino, Bottega d’Erasmo 1984, pp. 922-923.

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