Incursioni, ribellioni e identità collettive alla fine della guerra greco-gotica in Italia e nel...

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Indice

Introduzione .................................................................................. pag. VII

Bibliografia di Andrea Castagnetti .................................................. » XIII

Giuseppe Albertoni, Incursioni, ribellioni e indentità collettive alla fine della guerra greco-gotica in Italia e nel territorio tra Trento e Ve-rona: la rappresentazione delle fonti storico narrative ..................... » 1

Bruno Andreolli, Nonantola 10 novembre 896. Uno stage femmi-nile del secolo nono ..................................................................... » 19

Attilio Bartoli Langeli, Una carta inedita di morgengabe (Assisi, anno 980) .................................................................................. » 23

Massimiliano Bassetti, Intorno a un testimone dei Commentarii in Isaiam di Girolamo di Stridone. Addendum ai Codices Latini Antiquiores .............................................................................. » 35

Renato Bordone, L’enigmatico elenco dei beni fiscali ‘in Lombardia’ al tempo di Federico Barbarossa. Alcune proposte interpretative ...... » 59

Antonio Ciaralli, Una controversia in materia di decima nella Bassa Veronese. Il castello di Sabbion tra Verona e Vicenza ...................... » 75

Simone M. Collavini, Economia e società a Rosignano Marittimo alla fine del XII secolo ................................................................. » 137

Emanuele Curzel, Asterischi sui vescovi di Trento durante il papato di Innocenzo III ......................................................................... » 151

Giuseppina De Sandre Gasparini, Frammenti di una storia ‘mino-re’. Gli Umiliati a Verona nei primi decenni ................................. » 161

Paola Galetti, Ripensando alla storia di Piacenza nell’altomedioevo » 173Giuseppe Gardoni, Famiglie viscontili mantovane (secoli XI-XIII) ... » 185Tiziana Lazzari, Milites a Imola: la lista dei cavalli (1319) e la strut-

tura sociale urbana ..................................................................... » 219

indiceVI

Isa Lori Sanfilippo, L’inventario dei beni di una chiesa tiburtina scomparsa: S. Martino de Ponte .................................................. pag. 241

Massimo Montanari, Le ossa spezzate. Adelchi alla tavola di Carlo Magno ...................................................................................... » 255

Giovanna Petti Balbi, Il percorso di un fidato amministratore: fra Boiolo e i Fieschi a metà del Duecento .......................................... » 267

Daniela Rando, Tra famiglie e istituzioni del Medioevo veneziano: Margarete Merores, pioniera della storia sociale ............................... » 277

Maria Clara Rossi, Tre arcipreti del capitolo della cattedrale di Vero-na tra XII e XIII secolo. Documenti in vita e in morte ...................... » 303

Aldo A. Settia, Nel “Monferrato” originario. I luoghi, il nome e il pri-mo radicamento aleramico. Rettifiche e nuove ipotesi ...................... » 325

Marco Stoffella, Lociservatores nell’Italia carolingia: l’evidenza toscana ...................................................................................... » 345

Gian Maria Varanini, Nuovi documenti sulla famiglia dei conti da Palazzo di Verona ...................................................................... » 383

Augusto Vasina, Le leghe intercomunali in Italia nel Duecento ......... » 415

Giuseppe Albertoni

Incursioni, ribellioni e identità collettive alla fine della guerra greco-gotica in Italia e nel territorio tra Trento e Verona:

la rappresentazione delle fonti storico-narrative

1. Una guerra tra eserciti polietnici Al periodo posto tra la fine della guerra greco-gotica e l’avvento in Italia dei Lon-

gobardi raramente sono stati dedicati studi specifici. Tra le poche eccezioni possiamo ricordare un articolo di Walter Pohl pubblicato agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, nel quale lo storico austriaco da un lato proponeva di abbandonare le interpretazioni che enfatizzavano la ‘frattura’ causata dalla fine del regno ostro-goto, dall’altro ricostruiva alcune ‘carriere barbariche’ esemplari negli eserciti che si contrapposero negli anni che precedettero e seguirono la morte degli ultimi due re ostrogoti, Totila e Teia, avvenuta rispettivamente nel luglio e nell’ottobre del 552 nel corso delle battaglie di Busta Gallorum e del Mons Lactarius1. In particolare egli pone-va l’attenzione sul ruolo dei cosiddetti symmachoi, i popoli stranieri legati a Bisanzio da un trattato, i quali, spesso, oltre a proteggere i confini, inviavano contingenti per le guerre di Giustiniano sotto la guida di propri capi, circostanza che li distingueva dai semplici foederati, posti invece per lo più sotto il comando di ufficiali imperiali.2 Da questo punto di vista l’esercito guidato da Belisario e Narsete aveva diversi punti in comune con quello goto, che a sua volta era innanzitutto un esercito polietnico a

1. W. Pohl, Carriere barbariche durante e dopo la guerra gotica, in Id., Le origini etniche dell’Europa, Roma 2000, pp. 125-136, in particolare p. 131 e p. 134 (ed. or. Carrières barbares pendant et après la guerre gothique, in La noblesse romaine et les chefs barbares du IIIe au VIe siècle, Colloque du Musée des Antiquités Nationales St. Germain-en-Laye 1992, a cura di F. Vallet e M. Kazanski, Paris 1995, pp. 57-62). Per una sintesi precisa di quanto accadde in Italia tra la morte di Teia e l’avvento dei Longobardi cfr. H. Wolfram, Storia dei Goti, Roma 1985 (ed. or. Geschichte der Goten. Entwurf einer historischen Ethnographie, München 1979; nuova edizione rivista e corretta: Die Goten. Von den Anfängen bis zur Mitte des sechsten Jahrhunderts, München 1990), pp. 616-618; C. Azzara, L’Italia dei barbari, Bologna 2002, pp. 54-55 e 84-85; G. Ravegnani, Soldati e guerre a Bisanzio, Bologna 2009, p. 44. Per la morte di Teia nell’ottobre del 552 cfr. St. Krautschick, Teja, in Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, vol. 30, Berlin-New York 2005, pp. 322-323.

2. Ivi, p. 127, nota 9. A proposito dei symmachoi e delle loro specificità rispetto ai foederati cfr. G. Ravegnani, Soldati di Bisanzio in età giustinianea, Roma 1988, p. 14 e Id., Soldati e guerre a Bisanzio, cit., p. 44.

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maggioranza ostrogota3. Ciò aiuta a comprendere un fatto molto importante posto in risalto da Pohl, e cioè i frequenti passaggi di contingenti da un esercito all’altro, con un’accondiscendenza che spesso contrastava con il trattamento riservato ai nemi-ci4. «L’evidente successo di alcuni traditori – ha scritto Pohl – invita altri a seguirne l’esempio»5: per guerrieri barbarici intraprendenti si aprivano così inaspettate possi-bilità di ascesa sociale e arricchimento, ‘carriere’ che potevano venir meno con la fine dei combattimenti. Anche per questo dopo la morte di Teia alcuni guerrieri decisero di agire in proprio, dando vita a nuove alleanze che possiamo comprendere solo se abbandoniamo una rigida interpretazione ‘etnica’, che collega gli eserciti a singoli regni o popoli6.

Le indicazioni proposte da Walter Pohl sono sicuramente utili per comprendere quanto accadde negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo VI nelle Venetiae e, so-prattutto, nel ‘triangolo’ posto tra Verona, le sponde orientali del Lago di Garda e Trento, un territorio notoriamente di grande importanza nei collegamenti tra l’Italia e le Alpi centro-orientali7. Proprio a questo territorio presterò particolare attenzione nella mia analisi, che cercherà più in generale di ricostruire come gli eventi e le di-

3. Cfr. Wolfram, Storia dei Goti, cit., pp. 518-520 e pp. 526-528. Sulla componente polietnica dell’esercito gotico cfr. anche P. Heather, The Goths, Oxford 1996, pp. 327-328. Più radicale e spesso forzata, ma non per questo da ignorare, l’interpretazione proposta da P. Amory in People and Identity in Ostrogothic Italy, 489-554, Cambridge 1997, pp. 149-194, secondo cui le definizioni di ‘Goto’ e ‘Ro-mano’ per i guerrieri dei rispettivi eserciti sarebbero una ‘etichetta’ che rimanda soprattutto a modelli ideologici proposti dagli storici coevi.

4. Pohl, Carriere barbariche durante e dopo la guerra gotica, cit., pp. 132-133.5. Ivi, p. 133.6. Cfr. Amory, People and Identity, cit., pp. 192-194, che propone considerazioni a mio avviso

eccessivamente sbilanciate sulla definizione delle identità etniche come ‘rappresentazione ideologiche’, ma che, in ogni caso, ci induce a riflettere sulle definizioni etniche individuali e sul loro rapporto con quelle collettive.

7. Sulle Venetiae tra tardo-antico e alto Medioevo cfr. A. Castagnetti, Il Veneto nell’alto medioevo, Verona 1990, in particolare pp. 17-26 per il periodo gotico; C. Azzara, Venetiae. Determinazione di un’area regionale fra antichità e alto Medioevo, Treviso 1994; G.P. Brogiolo, E. Possenti, L’età gota in Italia settentrionale, nella transizione tra tarda antichità e alto medioevo, in Le invasioni barbariche nel meridione dell’Impero: Visigoti, Vandali, Ostrogoti, Soveria Mannelli 2001, pp. 257-296; G. Ravegnani, Bisanzio e Venezia, Bologna 2006, pp. 20-33; Su Trento e i territori circostanti nell’alto Medioevo e in particolare in età gotica cfr. per una visione d’assieme aggiornata storiograficamente S. Gasparri, Dalla caduta dell’Impero romano all’età carolingia, in Storia del Trentino, III, L’età medievale, a cura di A. Casta-gnetti e G.M. Varanini, Bologna 2004, pp. 15-72 e in particolare pp. 26-30. Per il periodo goto cfr. M. Pavan, Il Trentino in età gotica, in La regione Trentino-Alto Adige nel Medioevo, vol. 2 [«Atti dell’Accade-mia roveretana degli Agiati», a. a. 236 (1986), s. VI, vol. 26], pp. 29-43. Sugli elementi di continuità o frattura tra l’età gotica e quella tardo-antica a Trento e nei territori limitrofi cfr. E. Migliario, La civilitas minacciata: romanizzazione alpina superstite fra V e VI secolo, in «Atti dell’Accademia roveretana degli Agiati», a.a. 255 (2005), s. VIII, vol. V, A fasc. II, pp. 47-63. Sulle città di Trento e Verona tra tardo antico e alto Medioevo cfr. le voci Trient e Verona curate da E. Possenti in Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, vol. 35, Berlin-New York 2007, pp. 237-244 e 398-406. Sulle vie di comunicazione tra Venetiae, Raetia e Noricum per un quadro d’assieme cfr. G. Rosada, La viabilità tra decima regio, Raetia e Noricum come sistema territoriale, in Archeologia romana in Alto Adige. Studi e contributi/Archäologie der Römerzeit in Südtirol. Beiträge und Forschungen, a cura di L. Dal Rì e S. di Stefano, Bolzano/Bozen 2002, pp. 47-55.

incursioni, ribellioni e identità collettive 3

namiche degli anni successivi alla morte di Teia siano stati rappresentati dalle fonti storico-narrative coeve, oltre che da una celeberrima fonte d’età successiva, la Histo-ria Langobardorum di Paolo Diacono.

2. Guerre e ribellioni dopo il 553 secondo Paolo Diacono

In avvio del secondo libro della sua Historia Langobardorum Paolo Diacono, dopo aver narrato l’apporto fondamentale fornito dai Longobardi per la definitiva sconfitta di Totila, sposta l’attenzione dei suoi lettori su altri episodi che his temporibus ebbero come protagonista il generale bizantino Narsete8. Il primo riguarda il conflitto con tre Francorum duces – Aming e i fratelli Buccellino e Leutari – e ci introduce nel com-plesso quadro dell’ultimo quindicennio della storia del regno goto in Italia, quando a partire dal 539 il re franco Teodeberto I cercò di approfittare del conflitto greco-gotico per assumere il controllo dell’Italia settentrionale e di importanti aree alpine9. In una dimensione narrativa quasi atemporale, priva di riferimenti precisi, Paolo Diacono racconta di come Teodeberto, tornato ad Gallias, avrebbe lasciato le truppe franche sotto la guida dei duchi Aming e Buccellino «ad subiciendam Italiam»10. Suc-cessivamente Buccellino avrebbero iniziato a devastare la Penisola, conquistando un ingente bottino che si sarebbe premurato di inviare al suo re; a porre fine alle incur-sioni dei due duchi franchi sarebbe stato il provvidenziale intervento di Narsete che, mentre Buccellino si stava organizzando per acquartierare il suo esercito per l’inverno in Campania, lo avrebbe assalito, sconfiggendolo e uccidendolo presso la località di Tannetum11. Con la morte di Buccellino, però, la presenza franca sul suolo italiano non sarebbe stata eliminata. Secondo quanto ci racconta Paolo a questo punto l’altro duca franco, Aming, si sarebbe alleato col comes Gothorum Widin, che si sarebbe ribellato a Narsete; i due, tuttavia, sarebbero stati a loro volta sconfitti e catturati dal generale bizantino, che avrebbe ucciso di proprio pugno col gladio Aming, mentre avrebbe esiliato a Costantinopoli Widin12.

8. Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano 1992, II, 1-3, pp. 76-79.9. Sull’espansione franca nelle Alpi sotto Teodeberto I cfr. P. J. Geary, I Franchi sull’arco alpino, in Carlo

Magno e le Alpi, Atti del XVIII Congresso internazionale di studio sull’alto Medioevo (Susa 19-20 ottobre 2006-Novalesa 21 ottobre 2006), Spoleto 2007, pp. 1-16, in particolare pp. 4-7, e le ulteriori indicazioni bibliografiche ivi riportate. Sull’incursione di Teodeberto in Italia cfr. anche Wolfram, I Goti, cit., p. 596.

10. Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, cit., I, 2, p. 76: «His temporibus Narsis etiam Buccel-lino duci bellum intulit. Quem Theudepertus rex Francorum, cum in Italiam introisset, reversus est ad Gallias, cum Amingo alio duce ad subiciendam Italiam dereliquierat».

11. Ivi, II, 2, pp. 76-78: «Qui Buccellinus cum pene totam Italiam direptionibus vastaret et Theu-deperto suo regi de praeda Italiae munera copiosa conferret, cum in Campania hiemare disponeret, tandem in loco qui Tannetum nomen est gravi bello a Narsete superatus, extinctus est». L’identifi-cazione della località di Tannetum è incerta, ma con ogni probabilità si trovava in Campania. Cfr. le considerazioni di L. Capo, ivi, p. 425.

12. Ivi, II, 2, p. 78: «Amingus vero dum Widin Gothorum comiti contra Narsetem rebellanti au-xilium ferre conatus fuisset, utrique a Narsete superati sunt. Widin captus Constantinopolim exiliatur. Amingus vero, qui ei auxilium praebuerat, Narsetis gladio perimitur».

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Con questi atti, però, la vicenda non era ancora finita. A questo punto del raccon-to di Paolo compare un «tertius quoque Francorum dux nomine Leutharius», fratello di Buccellino, al centro di uno strano episodio. Mentre era sulla via del ritorno ad patriam carico di bottino, egli, infatti, si sarebbe suicidato vicino al Lago di Garda, tra Verona e Trento, una zona alla quale a questo punto Paolo Diacono, pur in modo implicito, dedica la sua attenzione13, narrando il conflitto scoppiato tra Narsete e un ribelle, Sinduald, Brentorum rex benché de Herolorum stirpe14. Stando a Paolo, Sin-duald dopo essere stato un fedele alleato di Narsete si sarebbe ribellato superbe con l’intento di divenire re. Anche in questo caso la punizione di Narsete non si sarebbe fatta attendere e si sarebbe attuata dapprima con la sconfitta del ribelle, poi con una sua esemplare punizione attraverso l’impiccagione.

Pur frammentaria e lacunosa, la ricostruzione che Paolo Diacono offre degli even-ti accaduti tra l’invasione di Teodeberto I e l’arrivo in Italia dei Longobardi propone, dunque, alcuni importanti squarci sul ruolo degli eserciti e dei loro condottieri. Ben-ché in una dimensione temporale generica e imprecisa, lo storico longobardo mette in risalto particolare la figura dei due fratelli Buccellino e Leutari. Il primo nella sua narrazione agisce in due contesti differenti, dapprima come ‘generale’ di un esercito franco regolare, poi ‘in proprio’, di concerto col fratello. In quest’ultimo contesto – che oggi sappiamo corrispondere al biennio 553-55415 – Buccellino nella narrazione di Paolo sembra intenzionato soprattutto a raccogliere un ingente bottino. Anche il terzo dux franco, Aming, sembra giocare in proprio, dopo aver guidato contin-genti di re Teodeberto. La sua alleanza col ribelle ‘goto’ Widin attesta a sua volta la creazione di una nuova coalizione ‘polietnica’, finalizzata forse, in questo caso, alla creazione di una dominazione territoriale. Infatti, se accettiamo l’ipotesi secondo la quale egli possa essere identificato con un franco omonimo che secondo lo storio-grafo bizantino Menandro attorno al 561 avrebbe vietato il passaggio dell’Adige ai Bizantini, anche il suo raggio d’azione avrebbe avuto come fulcro l’area atesina16. Ciò spiegherebbe la sua menzione e quella di Widin – che secondo alcuni sarebbe

13. Ibidem: «Tertius quoque Francorum dux nomine Leutharius, Buccellini germanus, dum multa praeda onustus ad patriam cuperet reverti, inter Veronam et Tridentum iuxta lacum Benacum propria morte defunctus est».

14. Ivi, II, 3: «Habuit nihilominus Narsis certamen adversus Sinduald Brentorum regem, qui adhuc de Herolorum stirpe remanserat, quos secum in Italiam veniens olim Odoacar adduxerat. Huic Narsis fideliter sibi primum adhaerenti multa beneficia contulit; sed novissime superbe rebellantem et regnare capiente, bello superatum et captum celsa de trabe suspendit».

15. Cfr. W. Lütkenhaus, Leutharis, in Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, XVIII, Ber-lin-New York 2001, p. 304; Azzara, L’Italia dei barbari, cit., p. 85; Ravegnani, Soldati e guerre a Bisanzio, cit., pp. 26-27.

16. Menandro Protettore, Historia, in Fragmenta historicorum Graecorum, a cura di K. Müller, IV, Frankfurt a. M. 1975 (= Parisiis, Firmin Didot, 1851), fr. 8, p. 204. Questa la traduzione latina del passo di Menandro proposta da Müller: «Amingus Francus castra locavit ex adverso fluminis Athesis, quod Romani transire constituerant. Hoc cognito Narses Pamphronium, qui unus ex patricidi erat, et Bonum, comitem rei private imperatoris, legatos ad Ammingum mittit. Per hos denuntiavit Ammingo ut decederet, necque iterum bellum contra Romanos gereret. Induciae enim per id tempus inter Francos et Romanos factae erant. Ammingus vero respondit se non cessurum, quamdiu manus telum jaculari posset».

incursioni, ribellioni e identità collettive 5

stato il comandante goto di Verona17 – da parte di Paolo Diacono, particolarmente informato su quanto successe tra Trento e Verona grazie alla Historiola, notoriamente perduta, di Secondo da Trento18.

Proprio sul Lago di Garda, tra Trento e Verona, egli pone, poi, lo strano suicidio di Leutari, sul quale torneremo tra breve. Assai probabilmente in quest’area dobbiamo collocare anche l’azione di Sinduald, l’erulo ribelle divenuto rex di un gruppo desi-gnato solo da Paolo Diacono col nome di Brenti19. Come vedremo quando dedichere-mo la nostra attenzione alle fonti di parte bizantina, Sinduald aveva giocato un ruolo

17. Sulla questione dell’identificazione di Widin rimando alla precisa disamina proposta da L. Capo in Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, cit., p. 425.

18. Su Secondo da Trento cfr. W. Pohl, Secundus von Trient, in Reallexikon der Germanischen Al-tertumskunde, XXVII, Berlin-New York 2004, pp. 638-639. Sull’impiego della sua Historiola da parte di Paolo Diacono cfr. anche R. Cervani, La fonte tridentina dell’«Historia Langobardorum» di Paolo Diacono, in La regione Trentino-Alto Adige nel Medio Evo, vol. 2 [«Atti dell’Accademia roveretana degli Agiati», a.a. 236, s. VI, vol. 26 (1986)], pp. 97-104.

19. Su questa designazione assai problematica sarebbe necessario un attento esame della tradizione manoscritta della Historia Langobardorum, che purtroppo non ho potuto effettuare in questa fase della mia ricerca. Su di essa e su Sinduald, la cui ‘ribellione’ va collocata attorno al 566/567, rimangono utili le osservazioni proposte in R. Heuberger, König Sinduald, in «Der Schlern», 18 (1937), pp. 89-96. Per quel che riguarda i Brenti, Heuberger ritiene inverosimile una loro identificazione con i Breuni, un’etnia insediata assai probabilmente fin dall’età augustea nel territorio posto tra il Brennero e la valle dell’Inn (per una precisa analisi delle attestazioni documentarie sui Breuni cfr. Migliario, La civilitas minacciata, cit., pp. 53-54), e sostiene che essi siano da identificare con un ‘gruppo’ che avrebbe preso il nome dal fiume Brenta, presso il cui corso sarebbe stato stanziato in origine. Ciò in conformità con altre denominazione da fiumi, come nel caso degli Isarci, che avrebbero derivato il loro nome dall’Isarco. L’ipotesi di un rapporto tra il nome del fiume Brenta e i Brenti è accolta anche da E. Lorenzi, Diziona-rio toponomastico Tridentino, Sala Bolognese 1981, pp. 75-76. Tracce di un loro successivo insediamento in val Lagarina ci sarebbero per Heuberger nel toponimo Brentonico, che appare già in Paolo Diacono. Questa ipotesi non è presa in considerazione, però, da G. Mastrelli Anzilotti, Toponomastica tren-tina. I nomi delle località abitate, Trento 2003, p. 420, che fa derivare il toponimo Brentonico dal prel. *brenta, “recipiente per l’uva e il vino”, “concavità”, con il suffisso latino -onicu/anicu. A mia conoscenza il saggio di Heuberger è l’unico a essere dedicato interamente al ‘re’ erulo Sinduald e ai Brenti, spesso ri-chiamati, però, in opere a carattere più generale. Cfr. in particolare le considerazioni proposte in Pavan, Il Trentino in età gotica, cit., pp. 41-42, che, al contrario di Heuberger, propone di identificare i Brenti con i Breones e che ricorda il ruolo di Goti ed Eruli schierati dai Bizantini in val d’Adige in funzione antifranca dopo il 554; P.W. Haider, Antike und frühestes Mittelalter, in Geschichte des Landes Tirol, vol. 1, Bozen-Innsbruck-Wien 1990², p. 215, che riprende Heuberger e, invece, rifiuta di identificare i Brenti con i Breones in considerazione del fatto che il fulcro della dominazione di Sinduald sarebbe stato il territorio di Trento e non quello tra il Brennero e l’Inn; H. Wolfram, Ethnogenesen im frühmittelal-terlichen Donau- und Ostalpen (6. bis 10. Jahrhundert), in Id., Salzburg Bayern Österreich. Die Conversio Bagoariorum et Carantanorum und die Quellen ihrer Zeit, Wien-München 1995, p. 18, che analizza invece la vicenda di Sinduald all’interno di un più ampio discorso sul fallimento di aggregazioni ‘scite’ e Pohl, Carriere barbariche durante e dopo la guerra gotica, cit., p. 131, che pone l’attenzione sul ‘regno regionale’ costituito da Sinduald nei pressi di Trento. Cfr. anche i riferimenti a Sinduald in M. Taylor, Heruler, in Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, XIV, Berlin-New York 1994, pp. 468-474, in particolare a p. 472, dove è definito «der letzte aktenkundige Heruler». Non fa cenno a Sinduald e al suo ‘regno’ Gasparri, Dalla caduta dell’Impero romano all’età carolingia, cit., pp. 15-72, che ricorda però la presenza di federati eruli alleati con i Bizantini a difesa dei passi alpini, ma non li colloca in un preciso ambito territoriale.

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molto importante nella sconfitta definitiva delle armate di Buccellino, intervenendo nella battaglia finale a sostegno di Narsete. Per ora, però, è assai utile richiamare l’indicazione di Paolo Diacono, secondo la quale sarebbe stato discendente di Eruli giunti in Italia già al tempo di Odoacre20. Egli, dunque, con ogni probabilità era nato e cresciuto nell’Italia ostrogota e come altri Eruli alleati di Teodorico nelle ultime fasi del conflitto greco-gotico si unì al contingente erulo schierato con i Bizantini, costi-tuito per lo più da Eruli accolti nell’Illirico dopo la sconfitta patita nel 512 ad opera dei Longobardi e stanziati successivamente da Giustiniano a sud della Sava21. Molti di costoro – circa 2.000 – erano giunti in Italia con Narsete nel 538 e vi erano rimasti dopo il richiamo a Costantinopoli del loro ‘comandante’, quando confluirono in gran parte nelle Venetiae, dove si posero agli ordini del magister militum dell’Illirico22. Il radicamento degli Eruli nelle Venetiae e la biografia di Sinduald ci offrono, dunque, importanti elementi per comprendere un processo che attesta ulteriormente la fluidi-tà in questi frangenti delle aggregazioni etniche e delle identità collettive.

Rispetto agli altri storiografi che ricostruirono gli eventi posti tra il 552 e il 568 Paolo Diacono si distingue per la precisione con la quale tratteggia la morte o il destino di tutti i ‘guerrieri’ che si opposero a Narsete. È assai difficile capire se tale dovizia di particolari fu conseguenza di una semplice ripresa di informazioni tratte da fonti storiografiche oggi andate perdute – penso in particolare all’Historiola di Se-condo da Trento – o sia frutto di una scelta precisa. Non è da escludere che ambedue questi fattori abbiano spinto Paolo a ricordare il destino dei protagonisti delle rivolte a Narsete e, con esso, esprimere un giudizio sul loro operato e su quello dell’eunuco bizantino alleato dei Longobardi. Come s’è visto da quanto ricordato in precedenza, per mano di Narsete stesso sarebbe morto il dux Aming, trafitto dalla spada del suo avversario dopo essere stato sconfitto; una morte molto simile avrebbe incontrato Buccellino, suo compagno nella campagna militare promossa da Teudeberto, che, stando a Paolo, sarebbe stato ucciso in battaglia. Ambedue avrebbero incontrato, dunque, una morte ‘onorevole’, adeguata al loro status di guerrieri23. Più difficile da interpretare è, invece, la morte di Leutari, che, come abbiamo ricordato poc’anzi, sarebbe avvenuta per suicidio. Si tratta di un atto sicuramente infamante dal punto di vista di un cattolico qual era Paolo, un atto che, tuttavia, secondo l’ethos guerriero ‘germanico’ poteva essere anche inteso come un estremo gesto di tutela della propria libertà di fronte alla sconfitta24. Sicuramente in senso infamante va intesa, invece, la

20. Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, cit., II, 3, p. 78: «[. . .] de Herolorum stirpe remanserat, quos secum in Italiam veniens olim Odoacer adduxerat». Paolo fa cenno agli Eruli già in apertura della sua Historia Langobardorum (I, 1, pp. 12-14), quando li nomina tra le feroces et barbarae nationes che fecero sperimentare la loro crudeltà alla misera Italia, e in I, 19, quando descrive coloro che giunsero in Italia al seguito di Odoacre.

21. Cfr. J. Gruber, Heruler, in Lexikon des Mittelalters, IV, München-Zürich 1989, coll. 2184-2185. Sugli Eruli rispettivamente alleati con i Goti e con i Bizantini cfr. Wolfram, I Goti, cit., p. 521 e p. 526.

22. Ravegnani, Soldati e guerre a Bisanzio, cit., p. 85.23. In generale sul ruolo dell’‘onore’ nelle società ‘germaniche’ cfr. H. Wolfram, I germani, Bolo-

gna 2005 (ed. or. Die Germanen, München 1997), pp. 26-28.24. Sulla coesistenza in età altomedievale di valutazioni diverse dell’atto del suicidio, a loro volta

riflesso di pratiche religiose e sociali diverse ma spesso coesistenti, in questa sede mi limito a rimandare,

incursioni, ribellioni e identità collettive 7

morte del rex Brentorum Sinduald, impiccato a segno del suo tradimento, secondo una punizione sancita per tutti i transfugae ad hostes dal Digestum giustinianeo25. Tra i ‘condottieri’ rivoltosi ricordati da Paolo Diacono, solo il comes Gothorum Widin non sarebbe stato ucciso, ma esiliato a Costantinopoli, secondo una prassi riservata per lo più a esponenti ‘goti’ di alto rango, quale assai probabilmente egli era26.

Attraverso il racconto della sconfitta e della morte di Buccellino, Leutari, Aming, Widin e Sinduald Paolo Diacono poneva in risalto la figura di Narsete, la cui gran-dezza dava legittimità all’arrivo dei Longobardi in Italia. Il racconto delle ‘ribellioni’ e delle incursioni degli anni 553-554 è, dunque, funzionale soprattutto all’inserimento dei Longobardi nella storia della penisola italica non tanto come ‘invasori’, quanto come garanti dell’ordine stabilito da Narsete, ‘ingiustamente’ esiliato a Napoli. Di diverso tenore è, invece, la rappresentazione dei medesimi episodi che circa due secoli prima aveva offerto Gregorio di Tours, la cui Historia Francorum fu notoriamente, assieme alla Historiola di Secondo da Non e al Liber Pontificalis, una delle principali fonti di riferimento di Paolo per gli episodi che ebbero per protagonisti i Franchi del VI secolo27.

3. Una guerra dei Franchi per la conquista d’Italia?

Gran parte degli eventi tratteggiati da Paolo Diacono in apertura del secondo libro della sua Historia Langobardorum erano stati ricostruiti circa due secoli prima, a poca distanza dall’accaduto, da Gregorio di Tours in due passi della sua Historia Francorum dedicati agli anni di Teodeberto I e di suo figlio Teodevaldo, re dei Fran-chi rispettivamente dal 533 al 547/8 e dal 547/8 al 55528. Ciò che in Paolo appariva, dunque, un susseguirsi di eventi in un unico lasso temporale non ben definito, ri-collegato alle figure di Teodeberto e Narsete, in Gregorio viene riportato a due fasi distinte della storia della presenza franca in Italia.

La prima ha come contesto i primi anni del conflitto greco-gotico, quando il nuovo re Vitige per fronteggiare gli attacchi bizantini guidati da Narsete in Italia meridionale decise di stipulare un’alleanza con i Franchi di re Teodeberto, a sua volta già alleato con i Gepidi e, soprattutto, con i Longobardi (non si dimentichi che il

per un primo quadro d’assieme, a R. Nedoma, Selbstötung, in Reallexikon der Germanischen Altertum-skunde, Berlin-New York 2005, XXVIII, pp. 129-135.

25. Il nesso tra tradimento e impiccagione com’è noto nella tradizione cristiana trova il suo ‘arche-tipo’ in Giuda Iscariota, che dopo aver tradito Gesù Cristo si impiccò (Mt. 27, 3-4). La pena dell’im-piccagione per i traditori passati col nemico è sancita nel Digesto giustinianeo. Cfr. Digesta Iustiniani Augusti (Editio maior), 2 voll., a cura di Th. Mommsen, Goldbach 2001 (Berlin 1868-1870), XXXVIII, 19, 38, p. 853.

26. Basti ricordare il precedente costituito dall’esilio di Vitige successivo alla sua resa.27. A tal proposito mi limito a rimandare a L. Capo in Paolo Diacono, Storia dei Longobardi,

cit., pp. 424-425.28. Gregorio di Tours, Libri historiarum X (Historia Francorum), a cura di B. Krusch e W. Levi-

son, Hannover 1951 (MGH, SS rer. Mer., I, I), III, 32, p. 128 e IV, 9, pp. 140-141.

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re franco aveva sposato Visegarda, figlia del re longobardo Vacone)29. Questa rete di alleanze, che avrebbe dovuto tutelare le frontiere settentrionali del regno goto, subì uno strappo definitivo già nel 539, quando Belisario tornò a guidare le forze bizantine in Italia, dopo essere stato sostituito con scarsi risultati per breve periodo da Narsete30. Gli attacchi su più fronti avviati dai Bizantini costrinsero i Goti di Vi-tige a una serie di contrattacchi dispersivi e dispendiosi, che rivelarono la necessità di cercare l’aiuto degli alleati. Vitige si appellò senza risultato ai Longobardi, il cui re, Vacone, declinò la richiesta alla luce di un precedente accordo con Giustiniano. In questa fase assai difficile per i Goti, re Teodeberto decise di giocare in proprio. Come un «turbine che tutto distrugge»31, i Franchi piombarono prima sui Goti e poi sui loro nemici, i Bizantini, conducendo una campagna militare brutale, che si concluse solo a causa di epidemie che costrinsero Teodeberto e il suo esercito al ritiro. L’incursione franca contribuì sicuramente a un ulteriore indebolimento di Vitige, un indebolimento che Teodeberto cercò di sfruttare a proprio vantaggio, proponendo al re goto aiuto nella cacciata di Belisario dall’Italia in cambio della metà del regno. Ma Vitige preferì intavolare delle trattative con Belisario, il quale in modo abile riuscì a costringerlo alla resa. Fu così che nel maggio del 540 l’esercito imperiale poté entrare a Ravenna senza combattere e catturare Vitige che con tutta la famiglia regia fu esi-liato a Costantinopoli32.

Nel narrare le gesta in Italia di re Teodeberto, Gregorio, come del resto anche Paolo Diacono, non dedica alcuna attenzione ai Goti, quasi che ci si trovasse di fron-te a un conflitto tra Franchi e Bizantini. In apertura della sua narrazione ricorda in modo succinto in particolare le molte conquiste fatte dal re franco in Italia nel 539 e il suo subitaneo ritiro dovuto a delle epidemie33. In parziale accordo con quanto ri-badito in modo più generico da Paolo Diacono, egli precisa, però, che Teodeberto prima del ritiro avrebbe lasciato a Pavia Buccellino – di cui non è data alcuna quali-fica etnica o funzionariale – il quale successivamente avrebbe portato sotto il control-lo regio dapprima l’Italia minor, poi quella maior, combattendo contro Belisario, che proprio a causa delle sconfitte subite dall’esercito franco sarebbe stato richiamato a Costantinopoli da Giustiniano, che lo avrebbe umiliato affidandogli l’incarico di comes stabuli e sostituendolo con Narsete34.

29. Per una dettagliata ricostruzione di questi eventi cfr. Wolfram, I Goti, cit., pp. 586-598.30. Per una sintesi di questa fase del conflitto cfr. Ravegnani, Soldati e guerre a Bisanzio, cit.,

pp. 22-24.31. Wolfram, I Goti, cit., p. 596.32. Ivi, pp. 596-598.33. Gregorio di Tours, Libri historiarum X, cit., III, 32, p. 128: «Theudobertus vero in Italia

abiit et exinde multum adquisivit. Sed quia loca illa, ut fertur, morbida sunt, exercitus eius in diversis febribus corruens vexabatur; multi enim ex his in illis locis mortui sunt. Quod videns Theudobertus ex ea reversus est, multa secum expolia ipse vel sui deferentes».

34. Ibidem: «Dicitur tamen tunc temporis usque Ticinum accessisse civitatem, in qua Buccelenum rursum dirixit. Qui, minorem illam Italiam captam atque in ditionibus regis antedicti redactam, maio-rem petiit; in qua contra Belsuarium multis vicibus pugnans, victuriam obtenuit. Cumque imperator vidisset, quod Belsuarius crebrius vinceretur, amoto eo, Narsitem in eius loco statuit; Belsuarium vero comitem stabuli quasi pro humilitate, quod prius fuerat, posuit».

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Nonostante l’arrivo del nuovo antagonista, le vittorie di Buccellino sarebbero continuate, tanto che il suo esercito avrebbe conquistato tutta l’Italia e un ingente bottino inviato a Teodeberto; a questo punto l’imperatore Giustiniano avrebbe raf-forzato l’esercito di Narsete con nuove truppe, che non avrebbero impedito, però, a Buccellino di conquistare anche la Sicilia, da cui avrebbe inviato al suo re ulteriori tributi, che avrebbero contribuito alla sua magna felicitas35.

Nella narrazione di Gregorio l’intervento nel regno ostrogoto di Teodeberto del 539 si trasforma, dunque, nell’avvio di una guerra di conquista durata per tutto il regno del sovrano franco. Si tratta di una guerra che avrebbe avuto come finalità la conquista dell’intera penisola italiana e per antagonista le sole truppe bizantine, in una sorta di estrema semplificazione degli eventi che annullano ogni riferimento ai Goti. In questo contesto Buccellino viene innalzato ad alter ego franco di Belisario e Narsete, mentre non vi è alcuna menzione di altri condottieri che ne avrebbero potuto scalfire il prestigio. L’epilogo delle vicende di Buccellino in Italia è narrato da Gregorio nel IV libro delle sua Historia Francorum, in un breve passo dedicato alla tragica figura di Teodevaldo, il giovane figlio di Teodeberto che, stando alla narra-zione del vescovo di Tours, ben presto avrebbe dimostrato di essere preda di un ma-lum ingenium, che lo avrebbe portato a una morte precoce. In questo quadro fosco Gregorio inserisce brevemente anche la morte di Buccellino, l’uomo che avrebbe condotto «totam Italiam in Francorum regnum»: di essa, tuttavia, ci viene detto solo che avvenne per mano di Narsete, tralasciando qualsiasi altro particolare36.

La percezione e la rappresentazione delle incursioni di Teodeberto e di Buccellino come episodi di una guerra ‘franco-romana’ per la conquista d’Italia sono confermate, sia pur in un brevissimo cenno, anche da un’altra importante fonte di parte franca del secolo VI, la Chronica del vescovo Mario d’Avenches, un contemporaneo di Gregorio di Tours. Nel richiamare gli eventi accaduti nel 555 egli ricorda come: «eo tempore Buccellenus dux Francorum in bello Romano cum omni exercitu suo interiit»37. D’al-tra parte la memoria della contrapposizione tra l’esercito franco di Buccellino e quello ‘romano’ di Belisario e Narsete si mantenne anche in epoca successiva, con l’aggiunta di elementi destinati a rafforzare ulteriormente la figura del condottiero inviato in Ita-lia da Teodeberto. Nelle Chronicae composto intorno al 658 dallo pseudo-Fredegario, ad esempio, non solo si ricorda che le vittorie di Buccellino – definito in questo caso come quidam Franco – su Belisario e Narsete sarebbero finite unicamente a causa del profluvium ventris che colpì il suo esercito, ma che egli sarebbe stato ucciso da Narsete solo dopo che Belisario stesso fu ucciso, circostanza notoriamente falsa, ma funzionale

35. Ibidem: «Buccellenus vero contra Narsitem magna certamina gessit. Captam omnem Italiam, usque in mare terminum dilatavit; thesauros vero magnus ad Theudobertum de Italia dirixit. Quod cum Narsis imperatori posuisset in notitia, imperator, conductis praetio gentibus, Narsiti solatium mittit, confligensque postea victus ascessi. Deinceps vero Buccellenus Siciliam occupavit, de qua etiam tributa exigens, regi transmisit. Magna enim ei felicitas in his conditionibus fuit».

36. Ivi, IV, 9, pp. 140-141: «Sub eo enim et Buccellenus, cum totam Italiam in Francorum regno redigisset, a Narsitae interfectus est, Italiam ad partem imperatoris captam, nec fuit qui eam ultra re-ciperet».

37. Mario d’Avenches, Chronica, a cura di Th. Mommsen, Berlin 1896 (MGH, AA, XI, I), pp. 236-237.

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a una rappresentazione finalizzata ad assegnare a Buccellino un prestigio pari a quello del generale bizantino38.

Concentrate sulle imprese di Buccellino, le fonti storiografiche franche del VI e del VII secolo non dedicano alcuna attenzione agli altri protagonisti del racconto di Paolo Diacono, con l’esclusione significativa di Sinduald. In particolare Mario d’Avenches fa un breve cenno al guerriero erulo quando, nell’evocare gli eventi del 566, ricorda come avesse assunto la ‘tirannide’ e per questo fosse stato ucciso da Narsete39. Ciò si spiega con la sua particolare attenzione per l’Italia settentrionale e l’ambito alpino, dovuta al fatto che egli visse e operò a Losanna, dove era stata trasfe-rita la sua sede episcopale40.

Le fonti storiografiche di parte franca del VI e del VII secolo offrono, dunque, una ricostruzione degli eventi bellici accaduti in Italia tra il 539 e il 556 estrema-mente semplificata. Non dedicano alcun cenno ai Goti o ad altri ‘gruppi’ ed eserciti presenti in quegli anni nella Penisola e rappresentano le incursioni franche dell’età di Teodeberto e di Teodevaldo come episodi coerenti e omogenei di una guerra di conquista a danno dei Bizantini, una guerra con dei protagonisti in qualche modo ‘speculari’: da un lato i due sovrani, Teodeberto e Giustiniano, dall’altro i loro con-dottieri, Buccellino e Belisario/Narsete. I vincitori ‘morali’ di questo conflitto sareb-bero stati i Franchi, superiori militarmente, che avrebbero ceduto ai Bizantini solo a causa di una drammatica epidemia. In questa rappresentazione non c’era spazio per altri protagonisti, che invece emergono non solo nella ricostruzione proposta da Paolo Diacono, ma anche da quella che possiamo ricavare da alcuni passi del Liber Pontificalis e, soprattutto, dalle opere dei due maggiori storiografi bizantini del VI secolo, Procopio di Cesarea e Agazia di Myrina.

4. Le vittorie di Narsete: l’Italia gaudens del Liber Pontificalis

Nel Liber Pontificalis frammenti relativi alla guerra tra Goti e Bizantini e alle incursioni franche emergono sporadicamente, sullo sfondo del racconto delle vite

38. Pseudo-Fredegario, Chronicarum libri IV cum continuationibus, a cura di B. Krusch, Hanno-ver 1888 (MGH, SS. Rer. Mer., II), II, 50, p. 106: «Buccelenus in Aetalia aput Bellesarium et Narsidem patricius saepius fortiter demigans, eosque in fugam vertit eorumque exercito proterit. Tandem infir-matus a profluvium ventris et esercito suos ea infirmitate adtritus, Bellesario iam interfecto, a Narsidem superatur et interfecetur. Ipsoque anno Theudebaldus obiit ...». Sull’uccisione di Belisario, che invece morì a Costantinopoli nel 565, lo Pseudo-Fredegario si era soffermato già in apertura del II libro, p. 88, dove, dopo aver ricordato che «Bellesarius multa prilia [sic!] cum Persis agens, eos gloriosissime vicit», affermò che: «A Buccellenum quidam Franco in Aetalia superatus est: tantae victuriae nomenis glorio-sus a Buccellenus victus, nomen vitamque admisit».

39. Mario d’Avenches, Chronica, cit., p. 237, a. 566: «Eo anno Sindewala Erolus tyrannidem adsumpsit et a Narseo patricio interfectus est». Sempre all’area alpina appartiene un’altra menzione di Sinduald, ricordato negli Excerpta Sangallensia, a cura di Th. Mommsen, Berlin 1892 (MGH, AA, IX, I), n. 710, p. 335, dove in riferimento all’anno 567 possiamo leggere: «p. c. Iustini anno. In caelo luna XV non comparuit II Kl. Ianuarii et occisus est Sindual rex».

40. Cfr. J.M. Alonso Núñez, Marius, Bf. von Avenches, in Lexikon des Mittelalters, VI, München-Zürich 1993, coll. 295.

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papali. Di particolare importanza ai nostri fini sono alcuni cenni riportati all’interno della sezione dedicata a papa Giovanni III, durante il cui pontificato, durato dal 561 al 574, i Longobardi irruppero in Italia41. L’anonimo estensore di questi cenni, dopo aver ricordato la particolare attenzione dedicata dal papa ai cymiteria dei martiri, si soffermò sugli Eruli che, dopo aver eletto re Sinduald, avrebbero minacciato tutta l’Italia, ma sarebbero stati fermati da Narsete che, ucciso il loro re, avrebbe sottomes-so tutta la gens Erulorum42. Ma i pericoli per l’Italia a questo punto non sarebbero finiti. Dopo gli Eruli di Sinduald una nuova minaccia sarebbe giunta dal dux Fran-corum Aming e da Buccellino, di cui non viene data alcuna qualifica, a loro volta sconfitti da Narsete auxiliante Domino: dopo queste vittorie del generale bizantino l’intera Italia sarebbe stata accomunata dalla gioia («erat enim tota Italia gaudens»)43. Tale gioia, però, sarebbe stata destinata a durare poco, perché i Romani (nel senso di abitanti di Roma), mossi dall’invidia, avrebbero inviato un’ambasceria a Giustiniano per chiedergli di essere liberati da Narsete che, venuto a conoscenza di tutto ciò, avrebbe scritto ai Longobardi, invitandoli a conquistare l’Italia44.

Pur in una sequenza temporale opposta a quella proposta da Paolo Diacono e Mario d’Avenches, in queste righe del Liber Pontificalis, composte assai probabilmente tra il 657 e il 67245, compaiono quasi tutti i ‘protagonisti’ menzionati dallo storico longobardo. Dal loro anonimo autore viene attribuito, tuttavia, un ruolo maggiore a Sinduald – presentato come re degli Eruli (e non dei Brenti!) e minaccia per tutta l’Ita-lia – rispetto che a Buccellino, il quale compare in ‘secondo piano’, al fianco del dux Aming. Nessuna menzione è fatta, invece, delle conquiste franche su ‘tutta l’Italia’ esal-tate da Gregorio di Tours e dalle altre fonti di parte franca, oltre che da Paolo Diaco-no. In conformità con quanto avrebbe fatto successivamente lo stesso Paolo, tuttavia, viene posta una stretta correlazione tra le vittorie di Narsete, l’invidia da esse suscitate in certi ambienti romani e bizantini, la sua emarginazione e l’arrivo dei Longobardi.

Privo delle necessità di mostrare il ruolo di un particolare popolo nella storia e nel disegno provvidenziale divino, l’autore della parte del Liber Pontificalis dedicata a Giovanni III offre uno ‘sguardo da Roma’, che contrappone l’Italia gaudens pacifi-cata da Narsete all’instabilità causata in modo diretto o indiretto dagli ‘invidiosi’ del generale bizantino. Da questo punto di vista era essenziale enfatizzare i due pericoli sventati da Narsete – una dominazione erula e una franca – e porre in risalto come egli fosse stato ‘costretto’ a chiamare i Longobardi a causa dei suoi nemici personali, che, per eliminarlo, avrebbero messo in gioco con noncuranza la stabilità dell’Italia46.

41. Cfr. Libri Pontificalis pars prior, a cura di Th. Mommsen, Berlin 1898 (MGH, Gestorum Ponti-ficum Romanorum, I), pp. 157-158.

42. Ivi, p. 157: «Eodem tempore Eruli intarsia fecerunt et levaverunt sibi regem Sinduald et pre-mebant cunctam Italiam. Qui egressus Narsis ad eum interfectus est rex et omnem gentem Erulorum sibi subiugavit».

43. Ivi: «Deinde venit Amingus dux Francorum et Buccillinus; simili modo et ipsi premebant Ita-liam. Sed auxiliante domino et ipsi a Narsete interfecti sunt. Erat enim tota Italia gaudens».

44. Ibidem.45. Cfr. il commento di L. Capo a Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, cit., p. 428.46. Un altro ‘sguardo’ da Roma sulle incursioni di Buccellino è offerto da Gregorio Magno, che

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5. Da un conflitto all’altro: due ‘sguardi’ da Bisanzio

Gli eventi accaduti a partire dalla prima spedizione di Bellisario, la dura campa-gna militare contro i Goti – sorprendentemente ‘dimenticati’ dalle fonti che abbiamo poc’anzi richiamato –, le incursioni franche, la presenza di gruppi o ‘bande’ multiet-niche al servizio dell’uno e dell’altro dei contendenti sono ricordati con dovizia di particolari sia da Procopio di Cesarea, che nelle sue ’Iστορίαι ricostruisce la ‘guerra gotica’ dai suoi inizi sino al 553, sia dal suo ‘continuatore’ Agazia di Myrina, che dedicò i cinque libri della sua opera storiografica a quanto accadde dopo la capitola-zione finale dei Goti, tra il 553 e il 55747.

All’incursione franca del 539 Procopio dedica l’intero XXV capitolo del II libro48. Sin dall’apertura della sua narrazione egli pone in risalto la ‘perfidia’ dei Franchi che, alleati sia con i Goti sia con i Bizantini, avrebbero deciso di intervenire nel-la guerra che dilaniava l’Italia, perché consapevoli della debolezza di ambedue gli eserciti antagonisti dopo i primi cinque anni di guerra. In questo contesto re Teo-deberto si sarebbe posto a capo di un contingente di centomila uomini che, senza tanti scrupoli, avrebbero attaccato i Goti presso Pavia dove, a dispetto del loro essere cristiani, avrebbero immolato donne e bambini al fiume Po. Approfittando, poi, di un equivoco sorto tra i contingenti bizantini, che vedendo centinaia di Goti in fuga pensavano scappassero da Belisario, Teodeberto ebbe la meglio anche nei loro confronti. Solo dopo queste ripetute vittorie per Procopio gli uomini dell’esercito franco sarebbero caduti vittima della dissenteria, causata dall’acqua del Po bevuta in eccesso, e si sarebbero ritirati. Ma il ritiro, ci fa capire Procopio, fu causato anche dal-le minacce esplicite contenute in una lettera inviata da Belisario a Teodeberto, nella quale si ricordavano i patti non rispettati e si minacciava un intervento bizantino nel regno franco. «Meglio è possedere in sicurezza le proprie cose – affermava Belisario in chiusura della lettera – anziché, cercando quel che non ci spetta, mettere al cimento quanto ci è più necessario»49.

Con la sua ricostruzione dei fatti Procopio conferma, dunque, quanto riportato da Gregorio di Tours, da altre fonti franche e da Paolo Diacono sui successi conse-guiti dai Franchi nel 539 e sul loro repentino ritorno ‘in patria’ a seguito di un’epi-demia. Manca, tuttavia, qualsiasi riferimento esplicito all’‘eroe’ franco, Buccellino. In compenso sono assai importanti le indicazioni sulle tecniche di combattimento

narra il passaggio del condottiero franco-alamanno e delle sue truppe in Campania. Cfr. Gregorio Magno, Storie di santi e di diavoli (Dialoghi), a cura di S. Pricoco e M. Simonetti, Milano 2005, I, I, 2, 4, p. 20. Si tratta di un episodio che fa riferimento alla marcia di andata, quando i Franchi, entrati nel monastero di Fondi, per un miracolo non riuscirono a trovare il priore Libertino, reso invisibile, da cui volevano ottenere del denaro.

47. Cfr. Procopio di Cesarea, Opera omnia, a cura di J. Havn, II, De belli libri V-VIII, a cura di G. Wirth, Leipzig 1968 e Agazia di Myrina, Historiae libri quinque, a cura di R. Keydell, Berlin 1967 (Corpus Fontium Historiae Byzantinae, 2).

48. Procopio, De belli libri V-VIII, cit., pp. 261-265.49. Traduzione italiana del testo di Procopio riportata in Procopio di Cesarea, La guerra gotica, a

cura di D. Comparetti, Milano 2005, II, 25, p. 266.

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dei Franchi, diverse sia da quelle gote, sia da quelle bizantine, a conferma di come il conflitto che, per semplicità, definiamo come ‘greco-gotico’ fu anche un confronto – e spesso un’integrazione, là dove gli eserciti erano polietnici – tra modi assai diversi di combattere. L’esercito condotto da Teodeberto, secondo la famosa rappresentazione offerta da Procopio, sarebbe stato composto, infatti, in gran parte da fanti, armati di spada, di scudo e di un’ascia, che veniva scagliata all’inizio dell’assalto, con lo scopo di rompere gli scudi dei nemici, che così restavano privi di difesa; assai ridotto, in-vece, sarebbe stato il numero di cavalieri, gli unici ad essere armati anche di lance50. Fu con questa tecnica di combattimento che i Franchi di Teodeberto avrebbero con-seguito le loro vittorie.

Come accennato in apertura, il racconto di Procopio di Cesarea si conclude con la sconfitta di Teia e con la conseguente conquista d’Italia da parte dei Bizantini. Il suo continuatore, Agazia, apre la sua narrazione dal medesimo episodio, ribaltan-done però l’interpretazione e ricordando che, se da un lato Narsete dopo aver posto fine all’ultima resistenza gota era riuscito a giungere ad un accordo con i superstiti, dall’altro rimaneva sempre latente la conflittualità con i Franchi51. Sarebbero stati soprattutto i Goti che avevano avuto il permesso di tornare nelle città e nelle for-tificazioni delle Venetiae ad avviare contatti con i Franchi per ottenere un sostegno militare52. Non si dimentichi, d’altra parte, che la stessa Verona, dove Totila nel 552 aveva portato parte del tesoro regio e di cui Teia era stato ‘comandante’, era rimasta gota sino alla fine del conflitto con i Bizantini, quando aveva deciso di consegnarsi ai Franchi, che a partire da essa potevano controllare le vie che conducevano ai loro avamposti alpini in Rezia53. È molto probabile che in questo contesto anche Trento, città che in età gota costituiva con Verona un sistema difensivo integrato, fosse pas-sata sotto controllo franco54.

Le Historiae di Agazia sin dalle prime righe ci descrivono un’Italia disomogenea politicamente ed etnicamente, nella quale le Venetiae si caratterizzavano per la forte presenza franca e per la creazione di alleanze franco-gote che potevano preludere alla ‘rifondazione’ di un nuovo regno; il tutto all’interno di una rappresentazione com-plessiva dei Franchi come popolo colto ed educato, pienamente romanizzato, che si sarebbe distinto dai Bizantini solo per l’abbigliamento e la lingua55, un’immagine che riflette il riavvicinamento tra Franchi e Bizantini successivo alla conquista lon-gobarda56. A partire da tale presupposto Agazia afferma che gli scontri avvenuti dopo

50. Ivi, II, 25, p. 263. Sul ruolo dei fanti nelle armate franche presenti in Italia durante la guerra greco gotica cfr. Ravegnani, Soldati e guerre a Bisanzio, cit., p. 177.

51. Agazia di Myrina, Historiae libri quinque, cit., I, 1, pp. 9-10.52. Ivi, p. 10.53. Cfr. Wolfram, I Goti, cit., p. 530 e p. 616; Gasparri, Dalla caduta dell’Impero romano all’età

carolingia, cit., p. 29.54. Cfr. Pavan, Il Trentino in età gotica, cit., p. 40, il quale a partire da quanto riportato da Procopio,

IV, 33 ritiene che i Franchi «non avrebbero assunto in proprio il destino di Verona se non fossero stati padroni di tutta la Val d’Adige».

55. Cfr. Agazia di Myrina, Historiae libri quinque, cit., I, 2, pp. 11-12.56. Ivi, pp. VII-VIII. Morto attorno al 582, Agazia scrisse negli anni dell’avvento dei Longobardi in

Italia. Per quel che riguarda la guerra gotica, Agazia basava il suo racconto soprattutto sul resoconto di

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il 553 non debbano essere ricondotti a una politica espansionistica dei re Franchi, ma all’iniziativa di due condottieri, i per noi oramai assai noti fratelli Buccellino e Leutari, che non sarebbero stati nemmeno Franchi, ma Alemanni, fatto al quale egli attribuisce in mode evidente un significato spregiativo57: essi, infatti, sarebbero stati esponenti di un popolo ‘misto e raccogliticcio’58, già tributario di Teodorico, simili ai Franchi solo nelle istituzioni, ma non, ad esempio, nella religione, ancora animista.

Non accennando assolutamente alla guerra avviata nel 539 da Teodeberto, Aga-zia, dunque, riconduce le incursioni ‘franche’ degli anni 553-554 ai due fratelli ale-manni, che avrebbero preso l’iniziativa in seguito ai tentennamenti di re Teodevaldo di fronte alle richieste fatte dai Goti stanziati a nord del Po. Essi avrebbero messo insieme un esercito di ben 75.000 uomini, composto da Franchi e Alemanni, e con esso si sarebbero mossi contro Narsete, da loro disprezzato in quanto eunuco59. Sin dall’inizio ambiguo, secondo Agazia, sarebbe stato anche il loro rapporto con i Goti, di cui si sarebbero fatti uso, fingendo di portar loro aiuto, per poter conquistare a proprio vantaggio l’Italia sino alla Sicilia60.

Se vogliamo dare credito alle parole di Agazia, l’incursione di Buccellino e Leutari fu, quindi, slegata da ogni iniziativa regia. Essa avveniva in un frangente assai difficile per Narsete, impegnato a Cuma nella conquista della fortezza in cui era asserragliato con i suoi uomini Aligerno, il fratello minore di Teia, a difesa del tesoro e delle inse-gne regie gote61. Ben presto emerge nel racconto di Agazia come questa fortezza fosse il reale obiettivo dei due fratelli, in particolare di Buccellino, che conquistandola non solo avrebbe ottenuto un ingente bottino, ma avrebbe potuto assumere la guida del regno un tempo ostrogoto62.

Forti dell’appoggio dei Goti situati a nord del Po e delle città già sotto controllo franco, i due fratelli una volta giunti in Italia cercarono di procedere a sud del Po, dove trovarono a fronteggiarli un sistema di fortezze gote passate sotto il controllo di Narsete, che assegnò un ruolo molto importante a un contingente di Eruli gui-dati da un condottiero di nome Fultari63. Nonostante tutto ciò, Buccellino e Leu-tari sarebbero riusciti a condurre i loro uomini nel Sannio, dove avrebbero diviso le loro truppe alla volta della la Sicilia, l’uno lungo la costa tirrenica, l’altro lungo quella adriatica e ionica64. Accumulato un ingente bottino, i due si sarebbero divisi nuovamente. Leutari si sarebbe diretto verso settentrione, risalendo nuovamente la costa adriatica e giungendo sino a Ceneda, dove avrebbe incontrato la morte in

reduci di guerra e viaggiatori. La sua ricostruzione, tuttavia, pur spesso contraddittoria e ‘romanzesca’, in ogni caso offre un quadro generale assai verosimile. Cfr. a tal proposito le indicazioni riportate in H. Gärtner, Agathias, in Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, I, Berlin-New York 1973, pp. 93-94.

57. Agazia di Myrina, Historiae libri quinque, cit., I, 6, pp. 17-18.58. Ivi, p. I, 6, p. 17. I termini usati da Agazia per definire gli Alemanni sono ξύγκλυδές e μιγάδες’.59. Ivi, I, 7, pp. 18-19.60. Ivi, I, 8, p. 19.61. Ivi, I, 8, p. 20.62. Ivi, II, 2, p. 42.63. Ivi, I, 14, pp. 27-28.64. Ivi, II, 1, p. 40.

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circostanze drammatiche65. Qui, infatti, un morbo misterioso avrebbe colpito molti suoi uomini, con forti mal di testa, forme di paralisi e di follia. Lui stesso sarebbe stato vittima di un tremore che lo avrebbe portato a gemere e cadere con la bocca schiumante, forse preda di crisi epilettiche. Impazzito, si sarebbe, poi, ucciso, man-giando la propria carne.

Diversa e meno granguignolesca – giustamente Agazia fu definito da Gibbon come «poet and rhetorician»66 – sarebbe stata, invece, la fine di Buccellino, che si accampò presso Capua, nella probabile illusione di conseguire una vittoria su Nar-sete, che gli avrebbe permesso di divenire il nuovo re dei Goti67. Ciò non avvenne per la reazione dell’esercito guidato dal generale bizantino, nel quale brillavano per il loro eroismo il goto Aligerno, che secondo Agazia si era arreso ai Bizantini piuttosto che consegnarsi ai ‘barbari’ franco-alamanni68, e l’erulo Sinduald, che dopo iniziali titubanze che gli costarono l’accusa di viltà69, combatté eroicamente e diede un con-tributo fondamentale alla vittoria di Narsete70.

Conclusioni

La narrazione dettagliata dei drammatici eventi che segnarono l’Italia dopo la morte di Teia proposta da Agazia, nonostante la presenza di elementi fantasiosi o letterari, permette di ricomporre parzialmente il quadro frammentario offerto dalle altre fonti storiografiche a cui abbiamo fatto riferimento. Essa ci consente, soprattut-to, di riportare un po’ d’ordine nella narrazione dei medesimi eventi proposta dalla Historia Langobardorum di Paolo Diacono.

Pur condizionata assai probabilmente dal nuovo contesto politico, caratterizzato da un’alleanza franco-bizantina in senso antilongobardo, importante, per esempio, nella ricostruzione di Agazia appare l’implicita distinzione che egli propone tra le campagne promosse autonomamente dai fratelli alemanni Buccellino e Leutari e quelle precedenti, volute da re Teudeberto, alle quali sicuramente partecipò lo stesso Buccellino come ‘ufficiale’ di un esercito regolare. Si tratta di una distinzione che scompare nelle fonti franche, tese a contrapporre la figura di Buccellino a quella di Narsete, ma che sembra assai verosimile e contribuisce a chiarire l’itinerario di Buc-cellino e il fatto che lo scontro finale con Narsete fosse avvenuto presso Capua, non lontano da Cuma, là dove sorgeva la ricordata fortezza che custodiva il tesoro e le insegne regie ostrogote. La sconfitta di Buccellino e Narsete da questo punto di vista può essere interpretata come il fallimento di un consapevole piano politico, finalizza-to da un lato al conseguimento di un consistente bottino, dall’altro all’aggregazione al proprio esercito franco-alemanno di ciò che rimaneva dell’exercitus Gothorum, nel-

65. Ivi, II, 4, pp. 44-45.66. Cfr. Gärtner, Agathias, cit., p. 93.67. Agazia di Myrina, Historiae libri quinque, cit., II, 4-9, p. 44-53.68. Ivi, I, 9, pp. 20-21.69. Ivi, II, 7, p. 49.70. Ivi, II, 9, p. 53.

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la prospettiva di una ‘rifondazione’ del regno, per la quale erano essenziali il tesoro e le insegne regie custodite a Cuma.

Più circoscritto da un punto di vista territoriale, ma analogo nei suoi processi costitutivi, appare invece il progetto perseguito dal comes Gothorum Widin e dal dux franco Aming, i quali, venuta meno l’organizzazione degli eserciti dei Franchi e dei Goti in seguito alle vittorie di Narsete, unirono i propri seguiti militari ten-tando di controllare la via lungo l’Adige tra Verona e Trento. È assai probabile che il loro tentativo possa essere collocato subito dopo la presa bizantina di Verona, av-venuta verosimilmente nel 56171, e fosse retaggio di quella collaborazione franco-gota che aveva portato attorno al 554 alla consegna di Verona a un contingente franco.72 Come nella narrazione di Paolo Diacono, il fallito progetto di Widin e Aming precedette l’occupazione bizantina della Val d’Adige, il cui controllo fu assegnato a Sinduald, che si era distinto nella battaglia finale contro Buccellino73. L’uso di Eruli ‘imperiali’ per il controllo di territori importanti, d’altra parte, non era una novità. Si pensi al precedente di Treviso, conquistata dai Goti intorno al 540 a danno di un contingente bizantino erulo74. Proprio il caso di Treviso ci spin-ge a ipotizzare che lungo la Val d’Adige le guarnigioni erule avessero il loro caposal-do nella ‘fortezza’ più munita, e cioè nella città di Trento. Se ciò fosse vero, sarebbe altamente improbabile che i Brenti di cui Sinduald, ribellandosi, sarebbe divenuto re, possano essere identificati con i Breuni, un’etnia insediata probabilmente fin dall’età augustea fra il passo del Brennero e la valle dell’Inn75. È assai verosimile, invece, che essi fossero un gruppo polietnico a maggioranza erula, che, secondo il ‘modello’ dell’ascesa dei duces ex virtute testimoniato già da Tacito76, quando decisero di agire autonomamente si aggregarono, trovando una nuova identità col-lettiva attorno a un rex/condottiero.

Senza proporre precise scansioni cronologiche, Paolo Diacono, dunque, nella sua narrazione condensa eventi che, grazie soprattutto a quanto riportato da altre fonti, possiamo collocare tra il 553 e il 554 per quel che riguarda la spedizione dei due fratelli Buccellino e Leutari, subito dopo il 561 per quel riguarda Aming e Widin e nel 566/67 per quel che riguarda la ‘ribellione’ di Sinduald. Si tratta di fatti che sono accomunati dalle dinamiche che li caratterizzano, in cui le aggregazioni tra guerrieri prevalgono sulle distinzioni etniche, le quali, anzi, se applicate in modo rigido e col-lettivo, possono essere fuorvianti.

Ma ciò che ‘aggrega’ i tre episodi in Paolo Diacono è soprattutto il ‘palcoscenico’ in cui essi, in modo parziale o totale, si svolsero. Questo ‘palcoscenico’ corrisponde al territorio posto tra Verona, il lago di Garda e Trento, importantissimo accesso alle

71. Ravegnani, Soldati e guerre a Bisanzio, cit. p. 28.72. Cfr. Pavan, Il Trentino in età gotica, cit., p. 40.73. Cfr. Ravegnani, Soldati e guerre a Bisanzio, cit., p. 64 per la probabile istituzione da parte di Narse-

te di un distretto militare a Trento che, assieme a quello di Forum Iulii avrebbe dovuto difendere le Venezie.74. Wolfram, I Goti, cit. p. 602.75. Sui Breuni cfr. le considerazioni e i rimandi bibliografici riportati supra, nota 19, a cui rimando

anche per il dibattito sull’identità dei Brenti.76. Sui reges/duces ex virtute cfr. Wolfram, I germani, cit., pp. 66-69.

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vie e ai valichi che collegavano le Venetiae alle regioni alpine sotto controllo franco, prima fra tutte la Rezia curiense. Qui la morte di Teia e le successive vittorie di Nar-sete non posero fine a un conflitto che solo in modo riduttivo può essere definito come ‘greco-gotico’, un conflitto che troverà una sua effettiva conclusione solo dopo il fallimento delle ultime incursioni franco-alemanne del 590 e il conseguente conso-lidamento della nuova dominazione longobarda.