Il comercio atlantico di schiavi

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Le ci/re dell' esodo II commercio atlantico di schiavi di Herbert S. Il commercio atlantico di schiavi rappresente il piu vasto flusso mi- gratorio transoceanico della storia fino al XIX secolo, quando prese av- vio dall'Europa l' emigrazione di massa della popolazione di razza bian- ca. Dopo le approfondite ricerche dell'ultimo quarto di secolo, con- dotte negli archivi africani, americani ed europei, lo schema essenziale e ormai noto. Si calcola che trail 1444 e il 1860 circa 11,7 milioni di Africani furono trasportati per mare, dalla costa dell' Africa, contro la loro volonta e in schiavitu; in America arrive un J::\Umero variabile sti- mato tra i 9,6 e i 10,8 milioni, cifra questa che dipende dalle stime sul-· la mortalita. Rifacendosi a una stima prudente, si assume che, fino al 1600, 239.000 Africani giunsero in America, 1,5 milioni nel XVII seco- lo, 5 ,2 milioni nel XVIII secolo - collocandosi la pun ta· massima del commercio nella seconda meta di questo secolo - e circa 2,8 milioni tra il 1811eil1860. Di questi schiavi africani che, stimati in numero di 9,8 milioni, arrivarono in America, il contingente piu ampio ande in Brasi- le (3,9 milioni); altri 3,8 milioni furono destinati alle Indie occidentali non ispaniche; 1,6 milioni approdarono sulle isole e sul continente ispa- e meno di mezzo milione giunse negli Stati Uniti. E ovvio che questo movimento di genti non continue ininterrotta- mente nel corso del tempo, dirigendosi verso tutte le regioni, ma varie considerevolmente in funzione dell' evoluzione economica di ciascuna delle aree di accoglienza. Fino ai primi decenni del XVII secolo, le prin- cipali regioni importatrici furono le colonie continentali ispano-ameri- cane e il Brasile. Questo accadeva perche esse disponevano di enormi '' quantitativi di argento che serviva da mezzo di pagamento nella tratta degli schiavi africani e consentiva agli Spagnoli di utilizzarli come for- * Traduzione di Benedetta Borello.

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Le ci/re dell' esodo

II commercio atlantico di schiavi di Herbert S. Klein~'

Il commercio atlantico di schiavi rappresente il piu vasto flusso mi­gratorio transoceanico della storia fino al XIX secolo, quando prese av­vio dall'Europa l' emigrazione di massa della popolazione di razza bian­ca. Dopo le approfondite ricerche dell'ultimo quarto di secolo, con­dotte negli archivi africani, americani ed europei, lo schema essenziale e ormai noto. Si calcola che trail 1444 e il 1860 circa 11,7 milioni di Africani furono trasportati per mare, dalla costa dell' Africa, contro la loro volonta e in schiavitu; in America arrive un J::\Umero variabile sti­mato tra i 9,6 e i 10,8 milioni, cifra questa che dipende dalle stime sul-· la mortalita. Rifacendosi a una stima prudente, si assume che, fino al 1600, 239.000 Africani giunsero in America, 1,5 milioni nel XVII seco­lo, 5 ,2 milioni nel XVIII secolo - collocandosi la pun ta· massima del commercio nella seconda meta di questo secolo - e circa 2,8 milioni tra il 1811eil1860. Di questi schiavi africani che, stimati in numero di 9,8 milioni, arrivarono in America, il contingente piu ampio ande in Brasi­le (3,9 milioni); altri 3,8 milioni furono destinati alle Indie occidentali non ispaniche; 1,6 milioni approdarono sulle isole e sul continente ispa­no-~mericani; e meno di mezzo milione giunse negli Stati Uniti.

E ovvio che questo movimento di genti non continue ininterrotta­mente nel corso del tempo, dirigendosi verso tutte le regioni, ma varie considerevolmente in funzione dell' evoluzione economica di ciascuna delle aree di accoglienza. Fino ai primi decenni del XVII secolo, le prin­cipali regioni importatrici furono le colonie continentali ispano-ameri­cane e il Brasile. Questo accadeva perche esse disponevano di enormi

'' quantitativi di argento che serviva da mezzo di pagamento nella tratta degli schiavi africani e consentiva agli Spagnoli di utilizzarli come for-

* Traduzione di Benedetta Borello.

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za-lavoro nella maggior parte delle citta coloniali. In tutte le regioni -specialmente in quelle costiere del Messico e del Peru - in cui la pre­senza degli Indios fu drasticamente ridotta dalle rnalattie epidemiche, questi furono spesso rimpiazzati dalla manodopera composta da schia­vi africani, anche se i contadini Indios rimasero il principale elemento della forza-lavoro agricola.

Nel caso del Brasile dei primi due secoli, la mancanza di un consi­stente numero di agricoltori stanziali in villaggi contadini e la penuria di ogni tipo di metallo prezioso costrinsero la coro.na a fare affidamen­to sul lavoro schiavistico al fine di colonizzare e creare insediamenti su questa terra, considerata vitale da un punto di vista strategico. Incalza­ti dalle ricorrenti incursioni francesi e olandesi, i Portoghesi dedsero di dar vita, all'interno del Brasile, al sistema della piantagione di zucchero che si fondava tanto sul lavoro schiavile degli Indios, quanta su quello degli africani. Fu quindi il Brasile che creo il modello peril futuro uti­lizzo della manodopera schiavistica nelle piantagioni del continente americano. Anche se, sin dall'inizio, schiavi africani erano stati impor­tati proprio dai mercanti portoghesi, nei primi anni del XVII secolo era la comunita costiera del ceppo linguistico Tupi-Guarani a costituire l' e­lem en to piu importante della forza-lavoro nella piantagione schiavisti­ca. A lungo andare, pero, le malattie ne ridimensionarono l'importanza e sin dai primi anni del XVII secolo gli africani, insediatisi nelle regio­ni di Pernambuco, Bahia e Rio de Janeiro, diyennero una presenza do­minante nelle piantagioni di zucchero.

Dal 1630-1654, l'incursione nel Pernambuco degli Olandesi, colo­nizzatori e conquistatori, preparo la scena alla futura espansione dei mercati di schiavi in America; la caduta di Recife favorl, in quell' epoca, il trasferimento nelle Indie occidentali delle conoscenze tecniche del Portogallo e dei Paesi Bassi nonche dei capitali olandesi. Le Piccole An­tille, abbandonate dagli Spagnoli, sopravvissero a stento, fino a quando nella seconda meta del XVII secolo lo zucchero ne divenne la produ­zione primaria. Dapprima introdotte su larga scala nelle Barbados e in Martinica con l'impiego di manodopera schiavistica, le piantagioni di zucchero vennero rapidamente assorbendo un consistente numero di schiavi africani e continueranno a farlo fino al XIX secolo. Nel periodo che abbraccia la fine del XVII e tutto il XVIII secolo, le isole francesi e britanniche divennero, insieme al Brasile, le principali importatrici di schiavi.

Nei primi decenni del XVIII secolo la Giamaica e Santo Domingo presero il posto di queste isole, fino ad assumere un ruolo guida; prima della fine degli anni ottanta, Santo Domingo importava il 39% degli 814.000 schiavi trasportati nel continente americano in quel decennio. Insieme alla Martinica e alla Guadalupa, le isole francesi assorbivano il

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44 % del totale degli africani condotti nelle Americhe in questo perio­do, il Brasile il 22 % e le In die ocddentali inglesi solo il 12 % .

La rivoluzione haitiana del 1791 distrusse il sistema della piantagio­ne su base schiavistica di Santo Domingo, il piu efficiente nel suo gene­re in America, e coinvolse in esso terre in precedenza marginali. Cio a sua volta creo nuovi mercati di schiavi africani o dette impulso ai vec­chi. Nei primi died anni del XIX secolo, il Brasile riceveva il 40% dei 609 .000 schiavi importati in quel periodo; gli Stati Uniti, negli ultimi an­ni in cui partedparono a questo tipo di commerdo, ne acquistarono un altro 26% e le isole-inglesi il 17%. Le piantagioni dell'isola di Cuba, da poco apparse sulla scena caraibica, dove avevano preso il posto di San­to Domingo come produttrici di spicco di zucchero e caffe, assorbiva­no ora il 12 % di tutti gli africani importati in America.

Nel 1808 la chiusura degli Stati Uniti all'importazione di schiavi afri­cani e l''abolizione, un anno prima, della tratta atlantica degli schiavi da parte della Gran Bretagna, nonche i progressivi sforzi sostenuti da que­st'ultima al fine di porre termine al commercio di tutte le altre nazioni, ebbero un importante impatto sul prezzo degli schiavi africani nel Nuo­vo Mondo e ne ridussero la domanda in molte regioni delle Americhe, ove la schiavitu era stata o continuava a essere importante. Nel 1834, l' abolizione della schiavitu nei domini britannid e nel 1848 nelle colo­nie francesi segno inoltre la fine di questo sistema di sfruttamento del lavoro in regioni che un tempo erano state importatrid di spicco. Il ri­fiuto britannico di accettare un commerdo intercoloniale di schiavi in­terruppe del resto lo sviluppo del sistema schiavisdco in queste colonie ben prima che la schiavitu fosse formalmente abolita.

Negli anni quaranta dell'Ottocento, questa chiusura della tratta de­gli schiavi nei domini francesi, olandesi, danesi e inglesi, rese il Brasile e Cuba i prindpali importatori, finche, negli anni dnquanta in Brasile e nei primi anni sessanta a Cuba, il commerdo fu abolito. Non solo cam­bio la direzione dei traffici, ma ne venne ridotto il volume. Malgrado il costante incremento del prezzo degli schiavi nelle principali economie schiavistiche di Stati Uniti, Cuba-Puerto Rico e Brasile, anche dopo la fine del commerdo transatlantico da parte di ciascuno di questi paesi, le pressioni inglesi mantennero ridotto il volume delle migrazioni for­zate. Da una cifra che si aggirava sugli 800.000 arrivi negli anni cmanta e novanta del XVIII secolo, nel periodo compreso trail 1801 e il 1810, il flusso si ridusse a 609.000 africani ea solo 534.000 nei died anni suc­cessivi. La minacda di una definitiva abolizione del commercio a Cuba e in Brasile produsse, negli anni trenta dell'Ottocento, un temporaneo incremento delle importazioni, ma la dfra di 595.000 schiavi importati, esito di quella situazione, fu inferiore di un quarto al numero di quelli trasportati nel periodo di punta degli anni ottanta del Settecento. Da al-

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lora in poi il commercio diminul rapidamente raggiungendo il livello di 433.000 schiavi negli anni quaranta e di 141.000 soltanto negli anni cin­quanta del XIX secolo. Fu unicamente negli anni quaranta, pero, che l'immigrazione netta di liberi lavoratori provenienti dall'Europa risulto finalmente maggiore del flusso migratorio forzato di schiavi attraverso l' Atlantico.

Della maggior parte di questi schiavi e possibile determinare con cer­tezza l' origine africana. I tre quarti provengono senza alcun dubbio dal­la costa occidentale dell' Africa e solo un quarto dall'area sud-orientale del continente, poiche il Mozambico comincio a imbarcare schiavi sol­tanto negli ultimissimi anni del Settecento. Al culmine della tratta degli africani, negli anni compresi tra il 1700 e il 1807, quando i soli Inglesi caricavano circa 2,9 milioni di schiavi dalle sponde dell' Africa occiden­tale (cifra che ammontava al 42% della totalita degli schiavi trasportati dall' Africa in tale periodo), essi acquistavano 194. 000 schiavi dalla Se­negambia, 484.000 dalla Sierra Leone, 408.000 dalla Costa d'Oro, 233.000 dalla Baia del Benin e 1.200.000 dalla Baia del Biafra; quest'ul­tima era la regione africana del periodo a vantare il maggior volume di traffici di schiavi. II Congo e l' Angola, conosciuta come Africa centro­occidentale, procuravano in questa fase 640.000 schiavi per i mercanti inglesi.

In questi stessi anni, gli Inglesi, che acquistarono 3, 1 milioni di schia­vi, erano i principali trafficanti, seguiti dai Portoghesi che esportarono 1,9 di africani e dai Francesi che ne presero un milione. In questo se­colo tra i commercianti di minore importanza c' erano gli Olandesi, che trasportarono in America 325.000 schiavi, i mercanii inglesi dell' Ame­rica del Nord che ne procurarono 208.000 e i Danesi, che offrirono sul mercato 51.000 dei 6,7 milioni di africani importati in quel periodo. Per molti secoli, i traffici seguirono proprio questo modello, che consacra­va quali nazioni leader l'Inghilterra e il Portogallo, le prime a praticare questo tipo di commercio, seguite dalla Francia e dai Paesi Bassi. Ma questi non furono gli unici paesi trafficanti di schiavi, poiche anche i mercanti che percorrevano la rotta che dalla lega anseatica e dalla Scan­dinavia giungeva fino a New Port nel Rhode Island e a Rio de Janeiro fornivano navi per questo ti po di commercio. Non c' era nazione o grup­po religioso che, attivo nel commercio atlantico, mancasse di prendere parte alla tratta degli schiavi.

Gli aspetti economici

Stabilire il volume, la direzione e la presenza dei vari gruppi nel commercio e, pero, solo l'inizio dell' analisi di questo assai complesso fe-

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nomeno che e insieme forzata migrazione umana e commercio interna­zionale, e che fu all' origine di cosi vivaci dibattiti nel corso del XX se­colo. Considerato come uno dei grandi crimini commessi dall'Europa occidentale nel corso della sua espansione nel resto del mondo, il com­mercio atlantico degli schiavi ha prodotto tan to un' ampia e acritica let­teratura, quanta una moderna e sofisticata storiografia, la quale ha de­lineato i fondamentali aspetti economici demografici e persino cultura­li di questa migrazione umana di massa.

La letteratura non scientifica ha creato una «leggenda» che la sto­riografia attuale ha ricusato specialmente per quel che riguarda i costi del commercio, le modalita del trasporto attraverso l' Atlantico degli schiavi, i livelli di mortalita da loro patiti e i guadagni e i benefici che venivano agli europei dall' organizzazione di questi traffici. «Imballag­gio ermetico», mortalita «astronomica», «schiavi a buon mercato», comprati in cambio di collanine senza valore e rum di poco prezzo, e il cosiddetto «commercio triangolare» si trasformarono in altrettanti «mi­ti» accettati da tutti, dominando fino a tempi recenti la storiografia su questo fenomeno.

La realta fu molto piu complessa e piuttosto diversa da questo qua­dro stereotipato. Le questioni paste dalla recente storiografia possono essere raggruppate attorno a una serie di argomenti tra loro correlati, Questi interrogativi concernono i fondamenti economici del commer­cio, il suo impatto demografico e, in ultimo, le cause e le conseguenze della sua abolizione.

II primo problema da risolvere e quello di chi beneficio della tratta degli schiavi. In un primo tempo si e ritenuto che questo commercio co­stituisse un monopolio europeo dal quale gli africani ricavavano ben mi­seri compensi. I profitti erano astronomici- proseguiva il ragionamen­to - poiche gli schiavi potevano essere comprati in cambio di prodotti di scarto, di seconda mano o di cattiva qualita, provenienti dall'Euro­pa, spesso per una frazione del loro reale valore. Tutti i dettagliati stu­di condotti sui beni impiegati dagli europei per I' acquisto degli schiavi africani, mostrano, tuttavia, che questi manufatti erano di buona qua­lita e molto spesso importati da paesi e continenti lontani. Questi pro­dotti erano la voce piu costosa nell'inventario di bordo, avendo un va­lore superiore alla somma del costo della nave, dei salari dell' equipag­gio e delle forniture di cibo. Nel XVIII secolo, per esempio, i due terzi dei costi di equipaggiamento dei mercanti di schiavi francesi erano co­stituiti da beni utilizzati per l' acquisto della loro merce.

1 Quella dei consumatori africani era, d'altronde, un mercato raffina­to. Era la loro domanda che determinava i beni esportati dagli europei nella regione sub-sahariana, e in cima a questa lista di prodotti si trova­vano i filati di buona fattura tessuti nelle Indie orientali. II ruolo assun-

1, !

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to in questi traffici dai tessuti provenienti dall'Asia era tanto importan­te e costoso che gli europei, e in particolare gli Inglesi, tentarono di­speratamente di sostituirli con imitazioni europee di minor valore; tut­to questo con scarsi risultati, almeno prima del XIX secolo. Fu proprio la parte da loro avuta nel commercio con l' Asia che spiega perche, nel XVIII secolo, Liverpool e Nantes divennero i maggiori porti della trat­ta degli schiavi rispettivamente in Inghilterra e in Francia.

I tessuti, al primo posto per importanza economica, erano seguiti dalle barre di ferro di fabbricazione svedese, dagli attrezzi agricoli, da­gli utensili domestici, dalle armi e dalla polvere da sparo, prodotti in In­ghilterra e in altri paesi del continente europeo; c'erano poi il rum, con­fezionato nell'America settentrionale e meridionale, il brandy e altri li­quori di provenienza europea, il tabacco lavorato brasiliano di Bahia, le conchiglie elicoidali dell'Oceano Indiana e una schiera di altri prodot­ti, relativamente costosi. Anche quando, per comprare schiavi, gli eu­ropei ricorrevano a prodotti africani, questi erano stati a loro volta ac­quistati in cambio di manufatti europei o asiatici. Tutti questi beni era­no stati pagati dai mercanti con valuta pregiata. Inoltre, a differenza del­la maggior parte dei traffici europei con le colonie, il commercio afri­cano richiedeva l' acquisto di una grande quantita di prodotti non na­zionali, una vasta gamma che andava dal tabacco brasiliano, ai drappi delle Indie orientali al mobilio di fattura olandese. Sulla base di accu­rate statistiche commerciali si e dedotto che, nel corso del XVIII seco­lo e fino all'inizio del XIX le ragioni di scambio tra Africa ed Europa divennero favorevoli agli africani.

Insieme alle leggende sull'esiguo costo degli schiavi e sull'ignoranza dei consumatori africani, la letteratura tradizionale ha insistito sulla po­sizione subalterna mantenuta dai commercianti africani. Si e ritenuto che i prezzi degli schiavi fossero bassi e restassero invariati, mentre tut­te le correnti di traffico dominate dagli europei rendevano gli africani inermi osservatori dell'intero processo. Tutti gli studi dimostrano, al contrario, che la combinazione dei beni che, in ciascuna regione, con­tribuivano a formare il prezzo, tendeva a cambiare nel corso del tempo, adattandosi alle variazioni della domanda e all' offerta. In questo modo i mercanti africani adeguavano la loro domanda di beni alle condizioni del mercato.

Gli africani dimostravano poi astuzia e ostinazione quando ostaco­lavano gli europei nei loro tentativi di creare condizioni di monopolio. Le piazzeforti europee in Africa occidentale e persino le citta porto­ghesi, sia quelle sulle coste, sia quelle all'interno dell' Africa del Sud­ovest, non furono in grado di impedire ai compratori concorrenti l'in­gresso ai mercati locali. Le piazzeforti controllavano solo poche miglia di territorio nell' entroterra ed erano state concepite piu come mezzo

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per tenere lontani i rivali che come arma per spaventare i fornitori. Per quel che riguarda i soli insediamenti portoghesi, essi non furono in gra­do di evitare che i F rancesi e gli Inglesi acquistassero un gran numero di schiavi in Congo e in Angola. Eppure si e ritenuto che questi ultimi fossero stati completamente monopolizzati dai Portoghesi.

Si deve sottolineare la complessita di questi traffici, che coinvolgeva­no ogni cosa dalle piazzeforti costiere permanenti, agli insediamenti por­tuali, fino ai battelli scoperti che solcavano i fiumi e gli specchi d' acqua della costa. Anche i commercianti africani lungo la costa presentavano una gran varieta; si andava dagli intermediari mulatti, ai monopoli com­merciali di Stato; dai trafficanti privilegiati nobili fino a quelli regi. Al­cuni Stati erano abbastanza forti da tassare pesantemente i commerci, mentre in altre zone vigeva il libero mercato. Erano ovunque gli africa­ni, pero, che controllavano il volume degli schiavi e ne stabilivano il ti­po da mettere in vendita. Ed erano sempre gli africani che decidevano i prezzi e i beni da utilizzare nella compravendita di questi schiavi.

I costi sociali della tratta

Se i commerci risultavano redditizi per gli individui, i gruppi, o le classi che li praticavano, rimane il problema dei costi sociali della trat­ta. Le incursioni operate dai mercanti di schiavi a danno degli agricol­tori, il conseguente abbandono di terre con fiorenti colture, lo sforzo sostenuto in attivita di difesa o belliche, nonche il drenaggio di giovani adulti dalla forza-lavoro: tutto questo, nel lungo periodo, ebbe i suoi co­sti economici. Per coloro che erano coinvolti nei traffici e per la mag­gioranza degli africani, consumatori di beni asiatici ed europei d' im­portazione, tuttavia, il commercio era un'attivita redditizia, a prescin­dere dai suoi effetti di lungo periodo sullo sviluppo economico.

La letteratura tradizionale ha sostenuto che l' esiguo costo degli schiavi rendeva vantaggioso stiparne quanti piu la nave poteva conte­nerne senza affondare; il prezzo vantaggioso della merce rendeva di conseguenza accettabili alti livelli di mortalita, durante la traversata atlantica. Se ogni schiavo consegnato vivo rappresentava un puro gua­dagno, la morte anche di diverse centinaia aveva economicamente un senso. Ma se gli schiavi non erano un articolo conveniente che poteva essere comprato per pochi soldi, allora il relative argomento circa l' «im­ballaggio ermetico» non ha alcun senso. Un'elevata mortalita degli schiavi, durante la traversata, implicava infatti una perdita finanziaria per l'impresa.

Ancor piu convincente di questi argomenti teorici addotti contro la sconsiderata distruzione della vita umana e il fatto che nessuno studio

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scientifico ha fino ad oggi dimostrato una sistematica e significativa cor­relazione tra il numero di schiavi trasportati e il livello di mortalita spe­rimentato in mare. Sono state recentemente analizzate migliaia di tra­versate sull' Atlantico e nessuna di esse ha evidenziato una significativa correlazione tra la stazza o lo spazio disponibile sulla nave e la mortalita.

Questa non significa che gli schiavi viaggiassero nel lusso. In effetti, avevano meno spazio a disposizione di quello destinato, a quel tempo, alle truppe o ai forzati trasportati per mare; do che si vuole dire e che dopo molta esperienza e dopo aver compreso le esigenze del commer­cio, i trafficanti di schiavi presero a caricare a bordo soltanto la merce che ritenevano di poter portare sana e salva oltre l' Altlantico. Da spo­radiche allusioni alla questione sembra che nel periodo precedente al 1700 tanto gli approvvigionamenti di cibo, quanta l' organizzazione del trasporto fossero all'inizio insufficienti. Tutti gli studi sul commercio, relativi al periodo posteriore al 1700, dimostrano invece che i mercanti di schiavi caricavano il doppio di acqua e di viveri rispetto ai tempi ri­chiesti dalla traversata; nella maggior parte dei tragitti, poi, trasporta­vano una quantita di schiavi leggermente inferiore a quella prevista dal­la legge.

Questa crescente cura usata nel trasporto degli schiavi si rifletteva nei minori livelli di mortalita. Prima del 1700 il livello medio di morta­lita della tratta, calcolato su numerose traversate, tendeva ad assestarsi attorno al 20%. Questa media, a sua volta, era il riflesso di variazioni piuttosto ampie; numerosi vascelli potevano vantare percentuali di mortalita molto basse, mentre molti altri sperimentavano livelli quasi doppi rispetto al valore medio della mortalita. Dopo l'inizio del Sette­cento, la percentuale media si ridusse drasticamente e le variazioni at­torno a questa media diminuirono. Nella seconda meta del XVIII se­colo, ii livello media di mortalita si era attestato al 12 % e, nei primi ven­ticinque anni del XIX secolo tutte le correnti di commercio computate globalmente sperimentarono un livello media del 9% o persino infe­riore. La dispersione intorno a questa media si ridusse e i due terzi dei vascelli ebbero una percentuale di mortalita molto vicina a quella me­dia. Mentre nei primi due secoli della tratta degli schiavi il 33 % dei tra­gitti raggiunse una percentuale di mortalita pari al 20% o superiore, quest'ultima si abbasso fino al 10% nelle traversate degli anni 1800-1820.

Questa calo della mortalita era dovuto alla crescente standardizza­zione dei commerci. Si costruirono imbarcazioni specifiche per la trat­ta degli schiavi, destinate a tutte le nazioni. A partire dalla seconda meta del XVIII secolo, i vascelli degli schiavi di tutti i mercanti europei ave­vano in media una stazza di 200 tonnellate. Quest'ultimo sembrava es­sere il tonnellaggio piu idoneo per un buon potenziale di carico nei traf-

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fici. I mercanti di schiavifurono anche i primi a utilizzare nelle loro na­vi rivestimenti di rame, un nuovo e costoso metodo che assicurava ai lo­ro vascelli vita piu lunga e maggiore velocita. Non va dimenticato che questi vascelli utilizzati per la tratta degli schiavi, erano molto piu pic­coli rispetto alle imbarcazioni che gli europei impiegavano nei com­merci con le Indie occidentali e orientali. Tutto questo a sua volta con­tribuisce in larga misura a spiegare perche il celebre schema del com­mercio triangolare (prodotti europei in Africa; schiavi per le Americhe; zucchero in Europa: tutto nel corso dello stesso viaggio) e ampiamente inventato. Gran parte dei raccolti americani raggiungeva i mercati eu­ropei a bordo di vascelli delle Indie occidentali, molto piu ampi e co­struiti appositamente; queste imbarcazioni erano principalmente con­cepite per questo commercio di spola; la maggior parte dei mercanti di schiavi faceva ritorno con piccoli carichi o addirittura con niente. Per­sino nel piu cospicuo traffico di schiavi, quello brasiliano, nessun mer­cante di schiavi parti o arrivo mai in Europa.

I mercanti caricavano, in media, uno schiavo e mezzo per tonnellata e, anche se la dimensione e la percentuale dell' equipaggio erano sog­gette a variazioni, nelle navi per gli schiavi c' era normalmente il doppio dei marinai necessari a governare bastimenti di quella stazza. Questa elevatissima percentuale di personale veniva utilizzata per scopi di si­curezza connessi al controllo degli schiavi. Tutti i trafficanti europei uti­lizzavano lo stesso tipo di approvvigionamento, le stesse tecniche per il trasporto e adottavano anche i medesimi accorgimenti sanitari; costrui­vano delle tolde provvisorie per l' alloggio degli schiavi e li dividevano per sesso ed eta. Circa nello stesso periodo quasi tutti gli europei usa­rono il vaccino contra il vaiolo; tutti imbarcarono enormi provviste di cibo africano per il nutrimento degli schiavi e tutti adottarono gli stes­si metodi per l'igiene quotidiana, l'esercizio fisico e la cura delle malat­tie. Questa uniformazione dei comportamenti spiega il generale calo del livello di mortalita sperimentato e contribuisce a respingere le tesi dei contemporanei secondo le quali un certo trafficante di schiavi era «mi­gliore» o pill efficiente di tutti gli altri.

Le cause della mortalita

Se queste fondate statistiche sulla mortalita mettono sicuramente in crisi molte antiche teorie sulla mortalita «astronomica» e sull' «imbal­laggio ermetico», rimane da risolvere la questione del livello di morta­lita; una percentuale del 9% in una popolazione di giovani adulti sani, nel corso di traversate che duravano dai 15 ai 3 0 giorni e da ritenersi al­ta o bassa? Se nel XVIII o all'inizio del XIX secolo si fosse verificato un

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simile livello di mortalita presso agricoltori francesi della stessa eta, sa­rebbe stato ritenuto una percentuale da epidemia. Ecco perche, anche se gli europei furono in grado di ridurre il livello a percentuali appa­rentemente basse, esse rappresentavano ancora un livello di mortalita straordinariamente alto in una popolazione di giovani adulti cosl sele­zionata. Allo stesso modo, mentre nel XVIII secolo le percentuali di mortalita delle truppe, degli immigrati e dei forzati si avvicinavano a quelle degli schiavi, nel XIX esse diminuirono a meno dell'l %, per le traversate atlantiche. Nel caso degli schiavi questa percentuale non sce­se mai al di sotto del 5 % , cifra questa comune a tutti i ti pi di bastimen­ti presi in esame. Sembra quindi che vi fosse una percentuale minima di mortalita che gli europei non furono mai capaci di abbattere; essa era legata alle particolari condizioni del trasporto degli schiavi e dipendeva dal numero degli schiavi imbarcati in rapporto al tonnellaggio e allo spazio disponibile.

La mortalita durante la traversata era dovuta a diverse cause. Le maggiori responsabili erano le gastroenteriti, spesso provocate dalla qualita del cibo e dell' acqua messi a disposizione degli schiavi nel cor­so del viaggio, nonche le febbri. Frequenti erano poi gli attacchi di dis­senteria e la cosiddetta bloody flux, una forma particolarmente grave di enterite emorragica che poteva esplodere in prciporzioni epidemiche. Il fatto che gli schiavi fossero esposti alla dissenteria aumentava i rischi di contaminazione dei viveri e l'incidenza della mortalita. Era dunque la dissenteria la maggior causa di morte e la malattia piu frequentemente contratta durante le traversate. I livelli astronomici di mortalita, rag­giunti in alcuni viaggi, erano dovuti a epidemie di vaiolo, di morbillo o di altre malattie molto contagiose, non direttamente connesse alle con­dizioni delle provviste di acqua o viveri o alle condizioni igieniche. Era questa imprevedibilita delle epidemie che impediva persino ai capitani piu esperti ed efficienti di eliminare i livelli molto elevati di mortalita che si potevano sfiorare in un dato viaggio.

Anche se, normalmente, il tempo della traversata non era da porsi in relazione con il tasso di mortalita, c' erano alcune rotte nelle quali il tem­po costituiva una componente rilevante. Per il solo fatto che tali rotte erano di un terzo pill lunghe di tutte le altre, la tratta degli schiavi del­l' Africa orientale sviluppatasi tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX se­colo si distinse per un livello complessivo di mortalita piu elevate di quello sperimentato nelle rotte dell' Africa occidentale, sebbene il livel­lo registrato quotidianamente nel corso del viaggio per mare fosse lo stesso 0 perfino inferiore a quello di altre rotte piu brevi. n solo tra­sporto collettivo di schiavi, provenienti da tutte le varie zone epide­miologiche africane, assicurava inoltre la trasmissione di un consisten­te numero di malattie endemiche locali a tutti quelli che si trovavano a

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bordo. Tutto questo a sua volta garantiva la diffusione nel continente americano delle piu gravi malattie africane. ,

Lo squilibrio fra i sess~ l' eta e la nazionalita

Gli studi condotti su tutti i commerci hanno evidenziato nel nume­ro degli schiavi trasportati una ricorrente distorsione circa le donne e i bambini. Le donne rappresentavano, in media, un terzo o un quarto de­gli africani costretti a emigrare; i bambini ne costituivano mediamente il 10%. Sebbene si verificassero oscillazioni nel tempo e nello spazio, in generale, sembra risultare che queste cifre sono sorprendentemente in­coerenti. Tanto gli scrittori contemporanei quanto gli studiosi posterio­ri ritennero che le distorsioni relative all' eta e al sesso fossero legate al­le caratteristiche precipue della domanda delle Americhe. Negli scritti del XVIII e del XIX secolo in effetti si trova traccia di una questione piuttosto vasta al centro delle discussioni di quegli anni: essa riguarda­va la bonta o meno dei diversi gruppi etnici africani in termini di abitu­dini lavorative. Ma proprio come e stata respinta l'idea di una supre­mazia europea nella compravendita e nella determinazione del prezzo degli schiavi, cos! gli studi recenti hanno messo in dubbio il fatto che le caratteristiche della domanda americana avessero un'influenza deter­miqante nella selezione del tipo di schiavo da importare.

E chiaro che la scelta del momento stabilito per la migrazione di que­sti africani e dei luoghi verso i quali essi erano diretti era largamente condizionata dagli americani. Una regione americana, anche usufruen­do del credito generalmente offerto dai mercanti di schiavi, non poteva essere inserita nelle correnti di traffico a meno che non producesse un raccolto commerciabile in Europa. Parallelamente, l'effettivo movi­mento di schiavi attraverso l'Atlantico era per sua natura stagionale; es­so doveva infatti sfruttare i venti e le correnti, che avevano un gran pe­so sulla traversata, e utilizzare a proprio beneficio ladomanda america­na, soggetta ad alternanze stagionali. Mentre la navigazione dall' Africa orientale, che passava peril Capo di Buona Speranza, era pill legata al­le condizioni climatiche locali, le rotte dell' Africa occidentale sembra­vano rispondere alle esigenze di raccolto dei piantatori americani.

Se la stagionalita del trasporto degli schiavi era influenzata da fatto­ri connessi alla domanda americana, la nazionalita, ii sesso e l' eta degli schiavi coinvolti nella tratta transatlantica erano determinati principal­mente da condizioni imposte dall'Africa. Tutti gli studi dimostrano che, a eccezione dei Portoghesi in Angola e in Mozambico, gli europei non sapevano nulla delle societa con cui entravano in contatto. Nella mag­gior parte dei casi, gli africani venivano individuati con il nome del por-

438 Storia dell' economia mondiale. 2. Daile scoperte geografiche alla crescita degli scambi

to in cui erano stati imbarcati, e non in .base a un qualsiasi generico gruppo linguistico o rifacendosi a identita nazionali. Moltissimi com­mercianti non immaginavano che cosa succedesse poche miglia all'in­terno della costa; non ne erano a conoscenza neanche quegli europei che, dopo aver costruito fortificazioni einsediamenti stabili, intreccia­vano relazioni con i governi locali. Anche se in Africa gli europei com­batterono tra loro per preservare una particolare area della costa occi­dentale, i contrabbandieri appartenenti ad altri gruppi europei o afri­cani si dettero da fare per ostacolare la nascita di qualunque tipo di mo­nopolio. La monopolizzazione di traffici locali tentata da gruppi africa­ni comportava spesso l' apertura di nuove rotte commerciali da parte dei loro concorrenti. Alcuni piantatori americani possono aver pensato che i «Congolesi» lavorassero sodo, mentre altri Ii ritenevano degli scansa­fatiche, in ogni caso quello che i piantatori desideravano aveva poca im­portanza. Essi accettavano qualsiasi gruppo etnico africano fosse stato loro venduto. Pochi erano i porti americani che, per lungo tempo, eb­bero stretti contatti con una data regione africana; il caso piu celebre e quello di Salvador de Bahia, legato commercialmente alla Baia del Be­nin. Raramente, come nel caso della dissoluzione di un' estesa compagi­ne statale o dopo una importante sconfitta militare, intere nazionalita, con gruppi etnici ben definiti e chiaramente individuabili, facevano in­gresso nel mercato degli schiavi; solo in queste circostanze essi veniva­no conosciuti in America con i propri nomi. Questi casi costituivano, pero, piu l' eccezione che la regola.

Anche lo squilibrio tra i due sessi nel numero degli africani in par­tenza trovava la sua ragione piu nelle caratteristiche dell' off erta africana che in quelle della domanda americana. Sebbene in America vi fosse una differenza di prezzo tra uomini e donne, essa non bastava a fornire una spiegazione della bassa percentuale di donne coinvolte nella tratta degli schiavi. Nelle piantagioni americane le donne eseguivano quasi tutte le attivira manuali degli uomini e rappresentavano la maggioranza delle squadre di braccianti che coltivavano zucchero, caffe e cotone. Ne du­rante la traversata atlantica, esse erano soggette a livelli di mortalita piu elevati di quelli degli uomini, e dunque non fornivano alcun valido pre­testo per non importarle dall' Africa. La risposta sembra essere sempli­cemente questa: gli africani offrivano sui mercati di schiavi della costa un numero di donne molto inferiore a quello degli uomini.

Le donne africane, libere o schiave che fossero, erano molto richie­ste in loco; e questa domanda locale spiega perche poche donne faces­sero ingresso nel commercio atlantico degli schiavi. In alcune societa africane le donne godevano di un' alta considerazione poiche costitui­vano il mezzo per acquisire uno status sociale, per ottenere una paren­tela e una famiglia. Uno dei tratti caratteristici delle societa dell' Africa

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occidentale era l'enfasi da esse posta sui sistemi di parentela matrili­neare e matrilocale. Dal momenta che le schiave potevano costituire im­portanti legami nelle relazioni di parentela, la loro importanza nel si­stema sociale veniva aumentata. Le schiave, inoltre, erano vendute pill a buon mercato delle donne libere del luogo; ma, in una societa poliga­mica, il loro prezzo era naturalmente elevato. Persino piu importante era la prassi, largamente in uso in Africa occidentale, di utilizzare le donne come componente di rilievo della forza-lavoro agricola. Per tut­te queste ragioni, nei mercati interni del continente africano le donne avevano un prezzo maggiore rispetto agli uomini.

Oltre all' alta incidenza di schiavi maschi, il commercio rivelava una presenza molto scarsa di bambini. Anche se essi, durante la traversata, non pativano livelli di mortalita piu elevati rispetto a quelli sperimenta­ti da qualunque altro gruppo di schiavi, il prezzo di vendita, piu basso rispetto a quello degli adulti e il costo del trasporto, identico a quello di questi ultimi, non rendevano allettante, ai mercanti di schiavi, il loro ac­quisto. Sembra anche che, nei mercati interni, si pagasse per i bambini un prezzo piu elevato che per i maschi adulti, e percio potrebbero non essere comparsi in gran numero nei mercati costieri per considerazioni legate all' offerta locale.

La demografia degli schiavi africani

Tutti questi squilibri circa l'eta e il sesso degli africani chelasciava­no il loro continente avevano un impatto diretto sulla crescita e sul de­clino della popolazione degli schiavi americani. La bassa percentuale di donne sulle navi in arrivo, il fatto che la maggior parte di queste schia­ve, trascorsi diversi anni della loro eta feconda in Africa, arrivassero gia in eta adulta, nonche l'esigua presenza di bambini tra gli schiavi con­dotti in America ebbero un'importanza fondamentale nella successiva storia della crescita della popolazione. Tutto questo implico che gli schiavi africani che giungevano in America non potevano riprodursi au­tonomamente. Le donne africanetrapiantate in America avevano perso alcuni anni potenzialmente riproduttivi e non erano quindi piu in gra­do di riprodurre il numero di maschi e femmine che componeva il grup­po originario degli immigrati; ancor meno esse avrebbero potuto dar vi­ta a una generazione maggiore del numero complessivo degli africani giunti nelle Americhe. Persino le regioni americane che avevano assisti­to a un ~flusso di africani consistente e continua avrebbero, dunque, trovato difficile mantenere la loro popolazione di schiavi e ancor meno incrementarne l'ampiezza, se non avessero fatto ricorso a nuovi immi­grati. Una volta che il flusso migratorio degli africani si arresto, per la

440 Storia dell'economia mondiale. 2. Daile scoperte geogra/iche'alla crescita degli scambi

popolazione di schiavi divenne possibile sperimentare tassi naturali di crescita (almeno fino a quando, negli anni dell'emancipazione, si regi-stro una consistente migrazione in senso contrario). .

L'incremento relativo della popolazione americana, causato dall'im­patto che su di essa ebbe la tratta degli schiavi non fu tuttavia uguale in tutte le colonie o in tutte le repubbliche. Gli Stati Uniti sono un caso quasi unico, perche dall'inizio del XVIII secolo in poi la loro popola­zione di schiavi sperimento inusuali tassi naturali di incremento. II ruo­lo marginale rivestito dalle esportazioni dell' America settentrionale sui mercati europei fornisce una spiegazione dell' afflusso, relativamente esiguo, di schiavi africani. L'enorme sviluppo della popolazione puo es­sere spiegato solo facendo ricorso a variabili demografiche pill com­plesse. Negli Stati Uniti, il tasso di crescita della popolazione di schiavi fu persino superiore a quello raggiunto nel XIX secolo da altre societa schiavistiche che alla fine si trovarono con una popolazione dominante creola o di schiavi autoctonL

Le teorie formulate,in altri tempi, dagli storici statunitensi a propo­sito di un miglior «trattamento» degli schiavi in America del Nord, so­no state respinte dagli studiosi di demografia storica. E stato dimostra­to che il periodo di potenziale fertilita fosse all'incirca lo stesso per tut­te le schiave del continente americano. Dal momenta che la durata del­la fertilita (ottenuta considerando l'eta del menarca e quella della me­nopausa) e direttamente connessa alle diverse condizioni igieniche, al­la quantita di cibo assunta e all'attivita lavorativa svolta, e poiche la du­rata di tale periodo non presenta grandi differenze nel continente ame­ricano, si e giunti appunto a respingere la tesi del miglior trattamento. Studi recenti hanno sostenuto che la fondamentale differenza nei tassi di crescita della popolazione va ricondotta a un periodo piu breve di al­lattamento. Mentre le schiave statunitensi, adeguandosi al modello nord-europeo, allattavano i propri figli per un solo anno, le schiave del resto delle Americhe mantennero in vita i tradizionali usi africani, con­sistenti nell'allattare i figli per due anni. L'allattamento ha effetti con­traccettivi e questo fornisce una spiegazione della maggiore distanza di eta tra i figli delle schiave non statunitensi. Questa distanza inoltre spie­ga il numero relativamente maggiore di figli nati da schiave statuniten­si in eta feconda.

L'argomento demografico non si esaurisce, pero, con la sola questio­ne della crescita, poiche quello che si evince da tutte le tavole di morta­lita costruite per gli schiavi del XIX secolo e che gli schiavi nord-ameri­cani vivevano piu a lungo dei loro colleghi del resto del conti11ente. La speranza di vita degli schiavi maschi era, in Brasile per esempio, in me­dia superiore ai vent'anni e negli Stati Uniti si aggirava attorno ai tren­tacinque. Se si prescinde dagli alti livelli di mortalita infantile, la corri-

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spondente speranza di vita di coloro che raggiungevano il quinto anno d' eta era, per gli schiavi brasiliani, attorno ai trentacinque, per quelli sta­tunitensi di poco inferiore ai quaranta. A prima vista questo sembrereb­be avallare la tesi del «trattamento» migliore. Ma, la stessa differenza ri­scontrata a proposito degli schiavi sarebbe emersa, in effetti, in tutte le societa americane anche tra gli uomini liberi, bianchi e di colore. I bra­siliani di razza bianca vivevano doe relativamentemeno dei bianchi del­l' America del Nord. Erano quindi le differenze complessive delle con­dizioni di salute che spiegavano le diverse speranze di vita relative e non gli speciali trattamenti a cui erano sottoposti gli schiavi.

In nessun caso, tuttavia, gli schiavi americani di qualsiasi societa schiavistica sperimentarono il cosiddetto «livello medio dei sette anni» di vita, a cui si riferivano gli scritti contemporanei del XVIII e del XIX secolo. Questa leggenda sulla manodopera che aveva vita breve va pa­sta in relazione con la realta che si aveva sotto gli occhi: la popolazione degli schiavi era in calo, nonostante il consistente impatto dell'immi­grazione africana. Gli osservatori non concepivano che gli squilibri le­gati all' eta e al sesso di questi africani fossero · un fattore causale della crescita demografica negativa della manodopera schiavistica. Essi al contrario consideravano questo decremento come un sintomo dell'al­tissima mortalita e della bassa speranza di vita. Tutti gli studi recenti, tuttavia, indicano in tutte le societa americane sia un livello positivo di crescita demografica tra gli schiavi nativi, sia una speranza di vita hen superiore al cosiddetto livello medio dei sette anni lavorativi.

Ibene/ici della tratta

Questa digressione sulla speranza di vita e sui livelli di crescita com­parativi mette bene in luce le recenti ramificazioni della ricerca sulla tratta degli schiavi. Ugualmente vaste si sono dimostrate le discussioni sui benefici economici complessivi che il commercio schiavistico ha ap­portato agli stessi europei. Il dibattito si puo scindere in diverse que­stioni generali. Il commercio degli schiavi rappresento un'iniziativa eco­nomica proficua? Quale impatto ebbe sulla crescita economica euro­pea? E, infine, quale fu l'incidenza della tratta degli schiavi e del lavo­ro schiavistico sullo sviluppo dell' economia americana?

Dai lavori degli studiosi europei di storia economica risulta eviden­te che, in base ai parametri europei di allora, i profitti ottenuti dal com­mercio degli schiavi non furono esorbitanti. Il livello medio del 10% che se ne ricavava era all' epoca considerato un buon livello di guada­gno, ma non fuori dalla portata di altri investimenti. Se i profitti non erano «astronomici», resta tuttavia da chiedersi se il commercio fosse

442 Storza dell' economia mondzale. 2. Dalle scoperte geografiche alla crescita degli scambi

libero o fosse invece sottoposto a restrizioni tali da creare profitti oli­gopolistici; questi avrebbero potuto divenire in, un secondo tempo fon­te di investimenti capitalistici per l' economia europea. Si e sostenuto che gli elevati costi d' entrata, sommati al lungo periodo necessario ad ammortizzare pienamente le spese con i profitti (piu di cinque anni per un normale viaggio schiavistico), facevano s! che soltanto societa con notevoli capitali potessero fare ingresso in questo commercio. La mag­gior parte dei commercianti dilazionavano le spese offrendo sul merca­to titoli garantiti sui viaggi degli schiavi o tentando di assicurarsi altri­menti contra perdite catastrofiche, le quali potevano verificarsi in uno o piu viaggi falliti. I costi di ingresso in questo tipo di commercio, l' e­sperienza maturata con gli intermediari, nonche la natura internaziona­le dei complessi negoziati instaurati, fanno pensare che era limitato il numero dei mercanti che potevano fare ingresso nella tratta. Anche se, come sembra, alcuni si specializzarono (questo fu il caso di importanti case di commercio che operavano tanto in Francia quanta in Inghilter­ra) e impressionante il numero dei mercanti indipendenti che ogni an­no prendevano parte ai traffici e la flotta delle navi equipaggiate per il commercio.

Questa dibattito sui relativi livelli di controllo e di partecipazione dei mercanti e stato lo spunto per una vivace letteratura di analisi. In que­sta discussione, tuttavia, nessuna corrente di storici e stata in grado di dimostrare che i profitti del commercio vennero direttamente investiti nelle prime imprese industriali che stavano nascendo in Gran Bretagna. Tutti gli studi sulle fonti del capitale industriale in Inghilterra ne indi­cano l' origine nell' agricoltura el o nel commercio europeo. Questa tesi della relazione esistente tra i profitti ottenuti dal commercio e dalle piantagioni coloniali, da un lato, e gli investimenti nell'industria euro­pea, dall'altro, ha ottenuto pero un parziale supporto dalla questione dell' Africa come mercato per i manufatti europei, specialmente per quelli di base. Si e detto che l'industria degli armamenti francese, negli anni di pace sulcontinente europeo, dipendeva totalmente dal com­mercio africano, il quale era sowenzionato grazie alle esportazioni di schiavi. Per molte altre industrie, tanto sul continente europeo quanta in Inghilterra, si puo dimostrare I' esistenza di un rapporto di dipen­denza che le legava al mercato africano. Dal momenta che una gran par­te della prima attivita industriale consisteva nella produzione di beni grossolani e destinati a un consumo popolare, si potrebbe sostenere che il mercato africano rivestiva un ruolo essenziale nello sviluppo di alcu­ne tra le neonate industrie europee. Questa tipo di commercio rirnane ancora da studiare approfonditamente ma ha gia condotto a una seria rivalutazione del ruolo delle esportazioni europee in Africa, nel crucia­le periodo delle prima rivoluzione industriale.

H.S. Klein Il commercio atlantico di schiavi 443

Esiste un argomento marginale in questo dibattito sui profitti del commercio degli schiavi, a cui si e fatto soltanto cenno nella storiogra­fia. Essa riguarda il ruolo dei profitti ottenuti dai mercanti americani che presero parte alla tratta: gli abitanti delle Indie occidentali, i nord­americani (soprattutto quelli del New England) e, in particolare, i bra­siliani. Se si guarda al volume dei traffici e al capitale ottenuto; non c'e dubbio che poche regioni possano essere paragonate a Bahia, Rio de Ja­neiro e al Rhode Island. In questi porti, il numero dei velieri approvvi­gionati per l' Africa fa pensare a un importante incremento del capitale locale. Chi fossero questi mercanti e quale fosse il loro rapporto con l' e­conomia delle piantagioni e con i primi stabilimenti industriali resta un argomento ancora da studiare.

J; abolizione de! commercio

Ultimo grande tema all' attenzione degli studiosi della tratta degli schiavi resta ancpra quello tradizionale delle cause e degli effetti della sua abolizione. E noto che la campagna intrapresa per abolire il com­mercio atlantico degli schiavi, iniziata nell'ultimo quarto· del XVIII se­colo, viene considerata il primo movimento politico di massa di tipo pa­cifico, basato su una moderna propaganda politica, nella storia d'In­ghilterra se non in quella d'Europa. La letteratura tradizionale giudico questa campagna una · crociata moralista, condotta a spese dei profitti economici e dei traffici commerciali. Una volta abolita la tratta nelle co­lonie britanniche, nel 1808, gli Inglesi tentarono di far desistere tutti gli altri grandi Stati europei dal praticare questo tipo di commercio. Que­sta campagna rappresento, a sua volta, un'operazione costosa in termi­ni di riduzione dei traffici, allontanamento degli alleati tradizionali e delle ingenti spese sostenute per il blocco navale.

Sebbene, sin dagli inizi, i politici e gli scrittori britannici dipingesse­ro il movimento di cui si facevano promotori come una campagna mo­ralista, una nutrita letteratura contemporanea criticava i loro intenti. I Cubani, gli Spagnoli e i Brasiliani, oggetto della maggior parte degli strali lanciati dagli abolizionisti britannici dopa il 1808, giunsero alla conclusione che la campagna del XIX secolo era motivata dalla paura della concorrenza, in particolare dopa l' abolizione della schiavitu nel 1834, quando lo zucchero delle Indie occidentali britanniche venne prodotto con l'impiego di lavoro non schiavistico. L'America Latina so­steneva che il movimento abolizionista serviva a tenere fuori dal mer­cato europeo i beni schiavistici, prodotti in modo piu efficiente, rial­zando i costi della manodopera. Tutto questo; a loro avviso, spiegava la campagna intrapresa contra la tratta degli schiavi. Piu tardi questo ar-

444 Stort'a dell' economz'a mondiale. 2. Daile scoperte geogra/iche alla crescita degli scambi

gomento venne ripreso dagli studiosi dell'economia delle Indie occi­dentali che a:sserirono che il sisterna della piantagione coloniale britan­nica era, dopo l' abolizione del commercio degli schiavi, inefficiente e ando incontro a seri problemi economici.

In antitesi a questo modello economico di tipo causale, gli storici pill recenti hanno argomentato che tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo l'economia delle Indie occidentali britanniche era florida. Persi­no dopo l' abolizione della tratta, sia isole piu vecchie, sia quelle di piu recente acquisizione erano competitive sui rnercati europei e fu solo l' a­bolizione della schiavitu a gettare lo scompiglio nell' econornia locale. Anche se la cainpagna abolizionista non viene piu considerata come una grande crociata moralista, la tesi del deterrninismo economico e ancora oggetto di aperto dibattito.

Conclusioni

Corne risulta evidente da quanto detto finora, la risposta ai molti quesiti sulla natura della tratta degli schiavi porta subito a dibattiti pill articolati, la maggior parte dei quali non si sono ancora placati. Diversi ambiti d'indagine che potrebbero fiorire dai nuovi filoni di ricerca ri­mangono ancora da studiare. Cos1 la questione delle origini culturali de­gli a:fro-arnericani, molto dibattuta, ma sempre dal punto di vista degli americani, deve essere abbondantemente integrata con le conclusioni che si sono tratte dallo studio del comrnercio degli schiavi. Ora si ha un'idea abbastanza chiara sui gruppi che furono coinvolti nel comrner­cio e sulle regioni americane nelle quali essi si insediarono. Rimane, tut­tavia, ancora da descrivere dettagliatamente l'importanza relativa di questi singoli gruppi nella creazione delle locali culture afro-america:ne.

Non bisognerebbe neanche dirnenticare che molte delle questioni presentate sono lungi dall' esser risolte. Ci sono continui aggiustamenti circa il numero degli schiavi imbarcati in ogni regione ed essi, spesso, correggono parzialmente le stirne correnti. Contemporaneamente gran parte delle nuove ricerche si sta occupando della salute e della trasrnis­sione delle malattie. Non si e ancora placata la discussione sulle cause della mortalita e infine resta in piedi il lungo dibattito circa l'impatto che la tratta degli schiavi ebbe sul continente africano. Simulazioni del­la crisi demografica, realizzate con l' ausilio dell'informatica, modelli di insediamenti regionali e di villaggi abbandonati e nuove stime sull'an­damento generale della popolazione e sui livelli di crescita di lungo pe­riodo hanno inaugurato un nuovo arnbito di ricerca negli studi di de­mografia africana precoloniale.

Ma, qualunque sia lo stato attuale del dibattito e il livello di conclu-

H.S. Klein I! commercio atlantico di schiavi 445

sivita di ogni singolo argomento, e evidente che il modo in cui noi oggi intendiamo la dimensione, l'importanza e !'influenza del commercio atlantico di schiavi sia stato profondamente modificato dagli sforzi di approfondita ricerca degli' ultimi venticinque anni.

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