Governance, governamentalità, legittimazione. Il possibile ruolo dell'argomentazione giuridica

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GOVERNANCE, GOVERNAMENTALITÀ E LEGITTIMAZIONE IL POSSIBILE RUOLO DELL’ARGOMENTAZIONE GIURIDICA di Francesca Scamardella * 1. Introduzione Negli ultimi vent’anni la parola governance , inizialmente utilizzata nel linguaggio delle scienze sociali ed economiche, si è di fatto imposta al lessico comune. Essa ricorre indifferentemente in programmi politici, locali e nazionali, nelle pratiche gestionali e decisionali delle grandi multinazionali, nella programmazione delle organizzazioni internazionali, nei discorsi di politici ed amministratori. Tuttavia, come spesso accade, l’uso inflattivo ed indiscriminato in settori tra loro così eterogenei ha sollevato diversi dubbi sul suo effettivo significato e sulla sua reale portata, accrescendo di fatto la confusione concettuale che l’avvolge. Sicché espressioni come corporate governance , global , local e urban governance , public governance , domestic * Francesca Scamardella, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Napoli Federico II. 7

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GOVERNANCE, GOVERNAMENTALITÀ E LEGITTIMAZIONEIL POSSIBILE RUOLO DELL’ARGOMENTAZIONE GIURIDICA

di Francesca Scamardella*

1. Introduzione

Negli ultimi vent’anni la parola governance,inizialmente utilizzata nel linguaggio dellescienze sociali ed economiche, si è di fattoimposta al lessico comune. Essa ricorreindifferentemente in programmi politici, locali enazionali, nelle pratiche gestionali e decisionalidelle grandi multinazionali, nella programmazionedelle organizzazioni internazionali, nei discorsidi politici ed amministratori.Tuttavia, come spesso accade, l’uso inflattivo

ed indiscriminato in settori tra loro cosìeterogenei ha sollevato diversi dubbi sul suoeffettivo significato e sulla sua reale portata,accrescendo di fatto la confusione concettuale chel’avvolge. Sicché espressioni come corporate governance, global,

local e urban governance, public governance, domestic

* Francesca Scamardella, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Napoli Federico II.

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governance, invece che chiarire il senso ed offrireuna definizione univoca del termine, hannoispessito la cortina di nebbia che lo avvolge sindai suoi esordi.Nel tentativo di fare chiarezza, in un

precedente contributo (Scamardella 2013) hoproposto tre teorizzazioni di questo fenomeno.Una, di tipo descrittivo, che si limita adescrivere la governance come un fenomeno socialeche in sé racchiude le trasformazioni politiche,sociali ed economiche proprie dell’epoca globale;una seconda, definita esplicativa, che tenta diindividuare e spiegare le ragioni delletrasformazioni globali e dell’ascesa del fenomenodella governance come conseguenza o risposta a talieventi. Infine, una terza lettura, di tiponormativo-assiologica, attribuisce alla governanceuna pretesa normativa, imputandole, cioè, lacapacità di governare e regolare i nuovi fenomeniglobali.Di queste tre teorizzazioni la terza presenta

una carenza in termini di legittimazione. Laddoveinfatti la governance viene intesa come undispositivo giuridico avente propri strumenti eprocedure decisionali che intendono affiancare o,in certi casi, sostituire le forme e i processidel modello dello Stato di diritto costituzionale,basati sulla centralità dell’autorità statale, èevidente che solleva dubbi sulla legittimazionedelle sue pretese normative e sui relativistrumenti, utilizzati per realizzarle.

8Sociologia del diritto n. 1, 2015

La presente ricerca si propone perciò diindagare tale aspetto problematico ricorrendo alleteorie dell’argomentazione.Per meglio definire l’ipotesi di partenza, muovo

proprio dalla distinzione tra la letturadescrittiva della governance e quella normativa.La prima, propria delle scienze sociali,

descrive la governance come un insieme di processiglobali, caratterizzati dall’apertura e daldominio del mercato, dall’emergere di nuovi attoriche si muovono indifferentemente nella sferapubblica e in quella privata, dalla coordinazionee negoziazione di interessi contrappostiall’interno di strutture partecipative reticolari*.La descrizione di questi processi è generalmenteprospettata come transizione dal government allagovernance, ovvero dalla sovranità statale ad unordine giuridico-politico globalizzatocaratterizzato dalla comparsa di nuovi attoripolitici, sociali, economici che avanzano pretesedi autonomia giuridica e da una conseguenteframmentazione del panorama giuridico edistituzionale. Se da questa prospettiva descrittiva ci

spostiamo verso una di tipo assiologico-normativo,

* Per una descrizione dei fenomeni della governance e lacomprensione delle ragioni sociali, politiche, giuridiche edeconomiche che ne hanno favorito l’ascesa,esemplificativamente, nella immensa letteratura, rinvio aBevir (2013), Jessop (1995; 2007; 2008), Guy Peters (2007),Ferrarese (2006; 2010), Rosenau (2002), Rosenau & Czempiel(1992).

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allora la governance assume la portata di un vero eproprio processo di auto-governo, un “nuovo stiledi governo” (Arienzo 2004: 128) che fonda la suaforza ed azione sull’allargamento della basesociale che partecipa a processi decisionali edeliberativi e sulla informalità e flessibilitàdei propri meccanismi decisionali. Tuttavia, rifiutando quelle strutture e forme

proprie dello Stato costituzionale di diritto,caratterizzate dal modello dell’autorità statalecentrale, da meccanismi di command-and-control edalla separazione tra la sfera pubblica e quellaprivata, le teorie normative della governancerivelano una carenza intrinseca della governancestessa: come legittimare e giustificare questenuove pretese normative che si dispiegano inassenza di procedure basate sulla rappresentanza,sulla delega (elettorale) e su regole formali eprocedurali?La questione della legittimazione investe così

sia la partecipazione di nuovi attori ai processidecisionali, sia i processi decisionali stessi(chi legittima, ad esempio, le interazioni e lenegoziazione nei network e la decisione finale chesi determina) e sia i destinatari della decisionea cui si chiede il consenso e il riconoscimentodella decisione. In questo contributo presento due opzioni

teoriche che tentano in maniera diversa di fornirerisposte a tali questioni.

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Un primo approccio rilegge la governance come unaforma di “governanza”†, in continuità con lagovernamentalità di Foucault. Questa ipotesi sibasa sull’idea che, come la governamentalitàfoucaultiana, legandosi al liberalismo, hasottratto la questione del governo alla competenzaesclusiva dello Stato, così oggi la governance,legandosi ad una ripresa neo-liberale, esautoral’autorità statale, ricercando altrove –nell’aggregazione degli interessi e nelle retiinformali dove tutto è rinegoziabile – la sualegittimazione.La governamentalità foucaultiana, attraverso il

doppio paradigma governo del sé/governo deglialtri, emargina “liberalmente” l’esercizio dellafunzione governativa, assegnata dapprima alPrincipe, poi al sovrano e quindi allo Stato didiritto ottocentesco. Da questa prospettiva lagovernance appare allora in continuità con lacategoria di Foucault perché si presenta come undispositivo connesso alla ripresa neoliberale deltempo presente che governa con modalità propriedell’età globale, partecipative, inclusive esganciate dall’autorità centrale. Lalegittimazione di questo nuovo stile di governorisiederebbe allora in questa doppia polaritàneoliberale governo di sé/governo degli altri: è

† Il termine “governanza” è utilizzato da SebastianoMaffettone (2006; 2007: 7 ss.) come sua traduzione italianadella parola inglese governance per indicare connotazionipolitologiche, così come meglio chiarirò nelle paginesuccessive.

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l’auto-rappresentazione degli individui e deigruppi all’interno della rete che consente elegittima le nuove modalità di governo deglialtri; è la cura di sé che sottrae l’arte delgovernare alla esclusività della sovranità statalee la affida a modalità partecipative piùefficienti che si muniscono del consenso, sebbeneinformale, fornito a posteriori dai direttiinteressati.Un secondo approccio affida la soluzione della

questione della legittimazione all’argomentazione.Nell’economia del presente lavoro, presupporrò lepiù recenti teorie dell’argomentazione ed i varimodelli argomentativi (pratica, giuridica, morale,logica, retorico-persuasiva, ecc.), soffermandomisu due tipi specifici di argomentazione: quellaretorico-persuasiva e quella razionale-dialogica. Perché l’argomentazione come forma di

legittimazione dei processi normativi di governance?A me sembra che l’attuale deficit democratico

possa essere compreso anche come legato alladifficoltà di addurre buone ragioni, cioè ragioni ingrado di giustificare le istanze sociali, ledeliberazioni e le decisioni. In tal sensol’argomentazione affronta la questione dellalegittimazione, parallelamente all’acquisizioneformale del consenso da parte delle compaginipolitiche, riferendo quest’ultimo allo scambio diragioni che i soggetti coinvolti a sostegno delleproprie istanze ed opinioni. Nel primo caso occorrerà verificare la tenuta

dell’argomentazione come modalità di

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legittimazione, guardando all’azione del parlanteall’interno dei network, verificando se essa puòessere intesa come quella di un oratore che cercadi convincere con i suoi argomenti l’uditorio acompiere una certa azione o ad indirizzarlo versouna certa decisione.Nel secondo caso, invece, la legittimazione dei

processi di governance deriva da un tipo diargomentazione razionale e dialogica; razionaleperché ricorre a schemi logico-inferenziali in cuideterminate conclusioni derivano logicamente dadeterminate premesse e dialogica perché lo schemainferenziale si sviluppa in un contesto dialogicoche favorisce l’interazione comunicativa deiparlanti e la condivisione delle regole adottate.Ripartendo dunque dai modelli normativi della

governance, organizzerò il contributo in tresezioni: nella prima di esse partirò da un’analisidella governance come paradigma alternativo algovernment, sebbene un’operazione del generedetermini immediatamente un deficit intrinseco dilegittimazione come spiegherò a breve.In una seconda parte seguirò la strada della

governamentalità per prospettare la questionedella legittimazione della governance a partiredalla consumazione del concetto di sovranitànazionale e attraverso un’operazione che aggancial’arte del governare al governo del sé. Larilettura della teoria di Foucault, pur essendoestranea alle teorie più recenti della governance,può mostrare una sua utilità per la comprensionedella contemporaneità, per capire, cioè, come il

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governare sia sempre più sottratto a mandativincolanti, a volontà politiche che si formano elegittimano in canali procedurali. Agenzie,associazioni, gruppi di esperti, law firms,individui, ecc. rivendicano oggi la possibilità diauto-rappresentarsi all’interno dei network digovernance e, auto-rappresentandosi, si relazionanotra loro, definendo i propri diritti e istanze,negoziandoli e invocandone il riconoscimentonormativo. In tal modo la società civile pretendedi elevare queste forme di auto-organizzazione anormatività, a partire dalla circostanza che ladiscussione e la deliberazione delle istanzesociali confluisce in una decisione finale cui leparti spontaneamente riconoscono validitàgiuridica.Infine, affronterò il problema della

legittimazione della pretesa normativa dellagovernance dalla prospettiva dei due modelliargomentativi poc’anzi citati: quello retorico-persuasivo e quello razionale-dialogico, neltentativo di verificare la compatibilità di unmodello argomentativo come forma di legittimazionedei nuovi processi governamentali.

2. Dal government alla governance: consenso, potere elegittimazione

Negli ultimi trent’anni le società occidentalihanno conosciuto progressive trasformazionipolitiche, economiche, sociali e culturali che le

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scienze sociali hanno descritto con il ben notofenomeno della ‘globalizzazione’*. Questi processi, tuttora in corso, hanno

investito anche le categorie tradizionali dellasovranità statale, mutandole almeno in parte dalloro interno. L’età globale si è principalmente imposta per il

confuso ma inesorabile emergere di nuovi attori,pubblici e privati (multinazionali, corporazioni,law firms, associazioni, ONG, agenzieintergovernative e regionali, ecc.), che invocanouna regolamentazione più flessibile e menoformale, in grado di adattarsi alle nuove esigenzedel mercato, alle trasformazioni sociali in corsoe di garantire una maggiore partecipazione einclusività nei processi decisionali deidestinatari stessi delle decisioni.Assistiamo dunque a spinte contrapposte: da un

lato, le istituzioni dello Stato costituzionale didiritto, legittimate da procedure dirappresentanza e delegazione (elettorale),sintetizzano interessi diversi nelle normegenerali ed astratte; dall’altro, le istanzeprovenienti dai nuovi attori e dalla societàcivile vanno alla ricerca di forme diregolamentazione alternative, basate sull’auto-organizzazione e sulla gestione decentralizzatadegli interessi sociali.

* Condivisibile mi sembra la definizione che Danilo Zolo(2004: 3) dà al termine globalizzazione come “estensione‘globale’ delle relazioni sociali fra gli esseri umani”.

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Lentamente nuove authorities ed organizzazioniglocali si affiancano ai Parlamenti e alleistituzioni pubbliche, provando a sottrarre lamediazione politica al diritto cd. hard peraffidarla al diritto cd. soft che si avvaledell’azione coordinata dei nuovi attori e ricorreanche a fonti informali e non ufficiali(contratti, lex mercatoria, agreements, ecc.), piùflessibili e con una maggiore capacità diadattamento alle trasformazioni sociali e allerichieste della società civile. Queste nuove tendenze sono in genere descritte

dalle scienze sociali come transizione dalgovernment alla governance: la “partecipazionedecentralizzata prende il posto, nella praticaeffettiva della governance, delle procedure dilegittimazione democratica dei processidecisionali” (Ciaramelli 2013: 210). I processi decisionali non consistono più

unicamente nella tradizionale partecipazione deicittadini all’azione della pubblica autoritàattraverso i meccanismi democraticirappresentativi ma in un’inversione di tendenzache vede le istituzioni proprie del governmentpartecipare alle azioni e alle pratiche degliindividui (Foucault 1980; Beresford 2003). Insommala transizione dal government alla governancetematizza “uno stile di governo basatosull’intervento autoritativo e fiduciosonell’abilità delle autorità centrali di esercitarecontrollo gerarchico sulla società civile” (GuyPeters 2007: 41), interrogandosi sui benefici di

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politiche che si formano e si sviluppano dal bassoe che si legittimano nella loro capacità difornire rapide soluzioni tecniche ai problemisociali. La governance si definisce dunque come un

dispositivo in grado di anticipare la funzioneregolativa statale in contesti di complessità edincertezza (Ruggiu 2012). Con il suo caratteresperimentale, informale e flessibile e con la suacapacità adattativa e partecipativa re-distribuisce i rischi e le responsabilità trasfera pubblica e sfera privata, tra lo Stato e inuovi attori, tendendo a privatizzare la sferapubblica e a sottrarre competenze e poteri alloStato e alle sue istituzioni. La società civile appare oggi attraversata da

istanze di maggior partecipazione che tuttavia nonsono immuni da critiche; a loro volta, ladecentralizzazione e il ricorso alle cosiddetteforme soft del diritto presentano profiliproblematici. Come infatti osserva Michael Zürn (2007: 245)

“l’esautoramento di numerose decisioni dalcircuito di responsabilità nazionale e democraticafa sorgere problemi normativi che a loro voltaportano a ulteriori problemi di accettazione e diopposizione alla governance”.Una decisione che fuoriesce dal circuito

procedurale della democrazia rappresentativa e sitrasferisce nel reticolo della governance,affidandosi alla self-regulation degli stakeholders,solleva immediatamente un problema di

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legittimazione: chi legittima le modalità e lecondizioni con cui i processi decisionali digovernance si dispiegano?È sufficiente affermare – come pure alcuni

studiosi sostengono (Bovaird 2005; Esmark 2003) –che la configurazione stessa della rete garantisceconsenso democratico, per il solo fattodell’allargamento della base sociale che produceinclusività e partecipazione democratica apratiche deliberative? Oppure – come da altreparti si sostiene (Bevir 2013) – l’inclusività èsolo strumentale all’ottenimento di un consensoche i gruppi dominanti che effettivamente decidonoricercano per giustificare il loro potere? O,infine, si può ricorrere ad un consenso ex post che,pur non provenendo da una legittimazione popolare,appare giustificato dalla pretesa della governancedi fornire risposte efficienti e veloci aiproblemi della società civile? Si tratterebbe inquesto caso di un consenso che funzioni come unaconnessione efficace tra gli stakeholders, le loroattività decisionali e i destinatari delledecisioni stesse. La questione del consensoesprime così l’aspetto più interessante di questonuovo ordine giuridico-politico: le pratichenormative della governance, pur presentandosi(almeno in apparenza) più adeguate allacomplessità delle società contemporanee rispettoal modello politico-legislativo dello Statocostituzionale e ottenendo un consenso a posteriori,sollevano un’indubbia questione di legittimazioneche esse stesse provano a risolvere guardando alle

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capacità organizzative dei dispositivi digovernance† e all’accettazione sociale dellesoluzioni da essi prospettate.I nuovi attori sociali hanno un elevato grado di

intrusione nelle politiche e negli scambi globalima, a tale intrusione, corrisponde una forteimpenetrabilità nel loro tessuto organizzativo enel loro grado di responsabilità come decisionmakers. È alla loro azione e alla loro accountabilityche bisogna guardare per meglio definire laquestione della legittimazione e per valutarel’eventuale deficit democratico che affligge ilnuovo ordine giuridico della governance.Da una prospettiva normativa possiamo definire

la legittimazione come “un processo o come ilprodotto o il risultato del processo” (Tomeo 1984:94)‡ attraverso cui il potere adotta una decisione

† Mi sembra interessante la distinzione che Zürn (2007:245) propone tra una prospettiva normativa, in base allaquale “il concetto di legittimità rinvia alla validità delledecisioni politiche e degli ordini politici con pretese dilegittimità”, e una prospettiva analitica che rinviaall’“accettazione sociale delle decisioni politiche e degliordini politici […]”. La distinzione segnala a mio avviso chel’accettazione sociale delle pratiche della governance,dovuta alla loro efficacia, è cosa ben diversa dallalegittimazione degli ordini politici che decidono e delleloro decisioni. Come a dire che le pratiche normative dellagovernance possono anche dotarsi di un consenso ex post cheinduce alla loro accettazione ma ciò non risolve la questionepreliminare che investe la legittimazione di questo nuovoordine normativo.

‡ Sul punto rinvio anche alla distinzione operata daSilvana Castignone (1984: 15 ss.) tra legittimazione-

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e richiede ai destinatari della decisionericonoscimento, adesione e consenso.La legittimazione dei processi decisionali

propri dello Stato costituzionale di diritto sicaratterizza per la sua riflessività ereversibilità; tali elementi sono in grado diconnettere e di istituire la relazione tralegittimazione-potere-consenso. La legittimazione,infatti, è reversibile perché procede dall’altoverso il basso e dal basso verso l’alto: il poteredall’alto richiede un consenso (che si produce nelbasso); il consenso (formatosi nel basso) producelegittimazione (con un movimento verticale versol’alto) che legittima un potere. È riflessivaperché attraverso la sua mediazione il potere siriflette (e quindi si giustifica) nel consenso.Il risultato di una legittimazione riflessiva e

reversibile è dunque il consenso ricercato eottenuto da un potere. Nello Stato costituzionaledi diritto i cittadini eleggono i lororappresentanti, delegandoli ex ante all’esercizio diun potere. Attraverso i canali procedurali dellarappresentanza si legittima il potere e ledecisioni che da esso provengono.I processi decisionali di governance, invece, non

sono muniti di un consenso ex ante e perciòricercano altrove la loro legittimazione.

attività, “il processo attraverso il quale il potere cerca diottenere adesione, consenso, riconoscimento”, elegittimazione-prodotto che indica “l’avvenutalegittimazione, cioè l’ottenimento del consenso”.

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E sono proprio l’emergere dei nuovi attori e letrasformazioni sociali, politiche ed economiche incorso a mutare il consenso nelle sue forme e nellasua sostanza: laddove nello Stato di dirittocostituzionale il consenso aveva una suaomogeneità e base definitoria, ora si disperdenelle varie contrattazioni, pubbliche e private,nazionali e transnazionali, diventa irrazionale edè perciò insufficiente a garantire lalegittimazione classica. Non siamo più in presenzadi un consenso sociale che attraverso forme eprocedure si ratifica e diventa consensogiuridico. Non sono più i risultati dellevotazioni elettorali a fornire consenso ad unacompagine politica e dunque a legittimarne ledecisioni all’interno del Parlamento. I dispositivi giuridici della governance chiedono

ora di legittimarsi attraverso un consenso,informale e a posteriori, che essi ricevono per laloro capacità di risolvere con efficacia erapidamente i problemi sociali ovveronell’accettazione sociale che queste decisioniottengono proprio in virtù dell’efficienza delloro agire.

3. Governance e governamentalità: governo di sé/governo deglialtri

La soluzione prospettata nelle precedenti pagineè possibile laddove si intende la governance come unordine giuridico che si svincola dallo Stato e

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dalle sue istituzioni: la nuova “governanza”, chesi lega all’attuale rivoluzione neoliberaledeterminata dai fenomeni globali, può fare a menodelle forme di legittimazione richieste dalmodello statale. A sostegno di questa tesi si può rileggere la

governance in continuità con la strada mostrata daFoucault che con la sua governamentalità giàprospettava l’emarginazione liberale del ruolo“governativo” dello Stato. Risalendo i processi storico-sociali che si

snodano nel XVI secolo – lo sgretolamento dellestrutture feudali che ha dato vita alla nascitadei grandi Stati nazionali (con la Pace diWestfalia), i movimenti della Riforma e dellaControriforma – Foucault ripensa lagovernamentalità come modus del potere e cioè comenuova razionalità politica che si dà con e nelloStato moderno ma che allo stesso tempo non siesaurisce nello Stato, dando prova di una vivacenatura pluralistica che supera gradualmente sial’ideale dell’autorità medioevale (sovrano,principe, feudatario) sia l’esperienza storicasuccessiva, propria dello Stato assoluto*.

* Foucault (2003: 447) definisce la governamentalità come:“1. L’insieme di istituzioni, procedure, analisi e

riflessioni, il calcolo e le strategie che consentonol’esercizio di questa specifica e assai complessa forma dipotere, che ha nella popolazione il suo target, come suaprincipale forma di sapere l’economia politica e come suoiessenziali mezzi tecnologici apparati di sicurezza.

2. La tendenza che, da lungo tempo e in tutto l’Occidente,ha costantemente visto la preminenza soprattutto di forme

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I don’t want to say that the State isn’t important; whatI want to say is that relations of power, and hence theanalysis that must be made of them, necessarily extendbeyond the limits of the State. In two sense: first ofall because the State, for all the omnipotence of itsapparatuses, is far from being able to occupy the wholefield of actual power relations, and further because theState can only operate on the basis of other, alreadyexisting power relations. [Gordon 1980: 122]

Quest’evoluzione che segna l’ineludibilecarattere pluralista della governamentalità giungetuttavia a compimento soltanto sul finiredell’Ottocento, allorquando diventeràinsostenibile la tradizionale rappresentazione delpotere, basata sull’idea che il potere si possamanifestare in forme cogenti assolute giàprescritte e che tra l’esercizio del potere e isuoi destinatari ci sia un incolmabile divario:“The State is superstructural in relation to awhole series of power networks that invest thebody, sexuality, the family, kinship, knowledge,technology and so forth” (Gordon 1980: 122). L’attenzione si sposta sulle ragioni per cui un

individuo ritiene di dover obbedire ad un comando:

(sovranità, disciplina, ecc.) di quel tipo di potere – chepotrebbe essere definito ‘government’ – risultando, da unlato, nella formazione di una serie di apparati governativispecifici e, dall’altro, nello sviluppo di un insiemecomplesso di saperi [savoirs].

3. Il processo o, piuttosto, il risultato del processoattraverso cui lo stato di giustizia del Medio Evo sitrasformò in uno stato amministrativo nel quindicesimo esedicesimo secolo e gradualmente divenne‘governamentalizzato’”.

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dalla passività dell’obbedienza si passa ad unasoggezione attiva, come se il diritto regolasse lecondotte non più semplicemente dall’esterno,imponendosi con le sue regole, ma dall’interno,consentendo all’individuo di rappresentarsi, apartire dal suo corpo, relazionandosi con glialtri. Diventa così più chiara l’operazione che

Foucault compie, non ponendo più la questione neitermini della sovranità statale ma riferendo ilpotere, la governamentalità, sia all’oggetto delbiopotere, inteso come interiorizzazione dellanorma e dunque come potere che direttamente incidesulla vita degli individui, sia come controllobiopolitico delle popolazioni. La governamentalità rivela così il suo carattere

liberale e insieme discorsivo; liberale nel senso digovernare sulla e, al tempo stesso, attraversol’autonomia degli individui (come spiegheròmeglio, la governamentalità come diade “governodel sé/governo degli altri”); discorsivo perché, comeha suggerito Williams Walters (2001: 61 ss.), lagovernamentalità non può essere descritta ecompresa come l’insieme o la somma di categorie apriori provenienti dall’economia, dal sociale, dallasfera pubblica e privata, dalla psicologia. Lagovernamentalità è piuttosto interessata allemodalità (discorsive) con cui l’arte del governarecoinvolge (discorsivamente) individui, gruppi,nuovi attori sociali, processi e variabili traloro diversi, come l’“economico”, il “sociale”, lo“psicologico”, ecc, che sono così “costretti” a

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relazionarsi, determinando forme di poterepluralistiche.In conseguenza di ciò – e Foucault ne è

consapevole – la governamentalità si presenta comeun concetto ambivalente che da un lato esprimel’idea del controllo e della gestione della massa,della popolazione, e, dall’altro, si riferisceanche all’individuo, alla rappresentazione di séstesso, al rispetto per sé e per gli altri edunque al dispiegarsi della sua esistenza in unarete relazionale. Essa significa insieme governodel popolo e governo degli individui; assoggettaree allo stesso tempo restituire soggettività;spingere il modus di governare verso il governo deglialtri per poi restituirlo al governo di sé (Foucault1992: 11 ss.)†.La razionalità governamentale si annoda attorno

al polo soggettivazione/assoggettamento; all’ideadi governare ed essere governati. È innanzituttoil governo del sé che emerge nel passaggiodall’età medioevale a quella moderna; un Sé-soggettivante non più sottomesso tout court allanorma; non più centro di imputazione di norme mapiuttosto soggetto che si rappresenta e rivendicala titolarità di un potere che vuole esercitareinnanzitutto su se stesso, sicché: “l’individuo èun effetto del potere e al tempo stesso […] è

† Interessante anche il recente contributo di LauraBazzicalupo (2013: 397 ss.) ove l’A. scrive: “Chiamogovernamentalità l’incontro tra tecniche di dominioesercitate sugli altri e tecniche di sé”.

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l’elemento di raccordo del potere” (Foucault 1998:33).La soggettivazione chiede ora di essere

coinvolta da una razionalità governamentale che siè sganciata dalla sovranità e si rappresenta in unpotere non più verticale ma orizzontale erelazionale. La governamentalità è perciò liberaleperché impone limiti al governo a partire dallanecessaria relazione tra governanti e governati,tra governo del sé e governo degli altri.Liberale significa anche che la governamentalità

ha a che fare con la logica economica della sceltaautonoma, dell’ottimizzazione che ciascunindividuo persegue selezionando obiettivi eriferendoli alle proprie potenzialità. Lagovernamentalità stimola gli individui; risaltauna produttività soggettivizzante; lascia che isingoli possano governarsi perseguendo i propripiani di vita attraverso una razionalità che saldal’economico, il politico ed il sociale. È proprio in questo processo di emarginazione

liberale del ruolo “governativo” dello Stato chesi possono scorgere segni di continuità conl’attuale rivoluzione neoliberale, caratterizzatadalle ben note trasformazioni globali cherisaltano la New Economy basata sulla flessibilitàe sulla transnazionalizzazione delle relazioni econ essa la finanziarizzazione, la scambiabilitàdel capitale, i flussi virtuali. Nell’emergere di quei dispositivi auto-

governativi, periferici e informali, insofferentiverso procedure formali proprie della

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legittimazione democratica, ma più attentiall’efficienza e alla soluzione effettiva deiproblemi sociali‡, si può leggere la ripresa delparadigma foucaultiano della governamentalità, ilquale si ispira all’idea che il potere politicodebba essere decentrato e sottrattoall’esclusività della funzione statale:

Le ragioni della governanza sono basate all’origine suldesiderio di superare il modello standard di gestionedell’amministrazione pubblica, considerato nel complessoinefficiente, senza ricorrere per questo al contro-altare classico costituito dal mercato, rinunciando cosìalla presenza di ciò che in tedesco si definisce“Steuerung” (controllo) del pubblico. Diversi soggetti,pubblici e privati, collaborano in questo modo alsuccesso delle pratiche che si iscrivono sotto il segnodella governanza. Si tratta di un compito complesso dicoordinazione e riflessione. In quest’ottica, si puòdare il nome di governanza all’insieme delle praticheauto-riflessive che questi soggetti svolgono sottorelazioni complesse di interdipendenza reciproca.[Maffettone 2007: 7]

La governance si presenta quindi in fortecontinuità con l’idea di governamentalità perchéda un lato struttura il potere mettendo in campouno spazio discorsivo di saperi, pratiche etecnologie governative che costruiscono una fittarete relazionale in cui individui, gruppi e nuoviattori sociali possono relazionarsi; dall’altro èessa stessa una vera ed effettiva forma di

‡ La governance assume forme e contenuti “più ampi delgoverno, […] abbraccia istituzioni governative, ma anchesussume meccanismi informali e non governativi” (Rosenau1992: 4).

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intervento governativo e dunque un potere [chegoverna].Nello spazio giuridico della governance, accanto a

norme, carte e costituzioni e alle sanzioni da esseformalmente previste, prendono forma anche normeche dipendono da significati intersoggettivi, dainterazioni e pratiche discorsive che si collocanoall’esterno dell’autorità statale. La governancediventa così un paradosso dell’età contemporanea:da un lato, si colloca all’esterno dello Stato equindi mette in crisi l’idea di Stato come spaziopolitico assoluto che governa su un territorio econtrolla una popolazione; dall’altro, continuandoa permanere all’interno dello Stato, ne rendepossibile la sopravvivenza.Ne consegue che il confine tra la dimensione

pubblica e quella privata diventa più sfumato elabile, sicché l’ipotesi normativa della governancenell’epoca contemporanea si traduce conl’espressione: ‘Non solo Stato’. Le agenzie, inuovi saperi, individui, gruppi si trasferisconodal privato al pubblico e viceversa, producendo unreticolo di connessioni e relazioni: a differenzadella sovranità, la governance è perciò sinonimo direlazionalità; è intersoggettività discorsiva.Essa rinvia a tecnologie governative verticali maanche a pratiche e saperi che si sviluppano ediffondono orizzontalmente:

Ad una rigidità del modello che ha legato fermamente neisecoli l’astrattezza del proprio dispositivo di dominiocon la peculiare concretezza dell’esercizio di autoritàlegittima unificando le diverse articolazioni del potere

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e dei suoi rapporti di forza, la governance odierna vienea precisarsi nei limiti appositamente vaghi, e quindimaggiormente potenti perché arbitrariamente dilatabilinel conflitto discorsivo di concetto e pratica. [Vaccaro2007: 122]

Cede al fascino di un nuovo modello: quello chela tecnologia governativa possa aprirsi allapartecipazione di individui, gruppi, agenzie,lobbies, associazioni, esperti e nuovi poteri. Ad una legittimazione, riflessiva e reversibile,

che si dispiega in procedure democratiche, lagovernance risponde con pratiche auto-riflessive,segno evidente di una società civile che chiede diessere governata ma che al contempo si auto-governa. Il nuovo ordine impone una continuità tra“coscienze individuali e comunicazioni sociali”(Teubner 2012: 54). Non a caso quest’auto-riflessività ha a che fare con procedure allargatea nuovi attori e norme di competenza (con le normesecondarie hartiane, potremmo dire), piuttosto checon norme primarie che attribuiscono diritti edoveri o impongono sanzioni. Quest’auto-riflessività che si dispiega come cura di sé,prima ancora che come cura degli altri, producedunque accettazione sociale, riconoscimento delladecisione finale a partire dallo snodo governo disé/governo degli altri e dall’efficacia dellasoluzione prospettata.È questa la legittimazione che la governance

richiede e che allo stesso tempo offre: essaemerge da un consenso a posteriori che non si generain forme cristallizzate di rappresentanza e di

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delega elettorale ma che spontaneamente vieneaccordato ad un’arte di governare che si definiscecome un mix tra Stato, mercato e società civile.

4. Lo spazio argomentativo della governance

La seconda opzione teorica che vorrei verificareintende affrontare il problema dellalegittimazione dei nuovi processi decisionali-governativi ricorrendo all’argomentazione.Non mi riferirò all’argomentazione come a un

modello in grado di dimostrare “scientificamente”o “oggettivamente” la verità di fatti e opinionima come quel processo, sempre rivedibile, in cuidue o più interlocutori si scambiano ragioni asostegno delle proprie tesi*. A partire da questadefinizione concettuale intendo verificare laquestione prospettata occupandomi di due tipi diargomentazione: quella retorico-persuasiva equella razionale-dialogico.Analizzerò singolarmente i due approcci

argomentativi per stabilirne l’eventualecompatibilità con il modello normativo dellagovernance come governamentalità e la natura ed ilgrado di legittimazione che riescono a fornirealle pratiche procedurali e decisorie di questomodello.

* Sul punto rinvio ad Abignente (2012).

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5. La questione è chi comanda!

Inizio proprio dalla teoria dell’argomentazioneretorico-persuasiva e scelgo come definizionequella offerta da Perelman e Olbrechts-Tyteca nelloro trattato sulla retorica:

Ogni argomentazione mira infatti all’adesione dellementi e presuppone perciò l’esistenza di un contattointellettuale. Ogni argomentazione mira infattiall’adesione delle menti e presuppone perciò l’esistenzadi un contatto intellettuale. [Perelman & Olbrechts-Tyteca 1966: 16]

Questo tipo di argomentazione si avvale dellaretorica per raggiungere il suo scopo principale:convincere un uditorio. A differenza degli altriapprocci argomentativi che invocano qualitàlogico-razionali, dialettiche o ragionevoli di unargomento, quello retorico si affida adun’efficacia pratica che non mira a dimostrarescientificamente ma a rendere plausibile e perciòconvincente un’affermazione.La tematizzazione della retorica, anche in una

relazione di tensione con la filosofia, che nonvuole persuadere ma guardare alla verità, èevocata sin dall’antichità. Nell’indagare le sueorigini, Atienza rinvia al Corax, il primo trattatodi retorica scritto nella Siracusa del V secoloa.C. e ad Aristotele e accoglie la definizione diLuis Vega:

“la Retorica sarebbe il ‘luogo naturale dei processi diargomentazione in cui svolge un ruolo fondamentale lacomunicazione personale diretta ad indurre determinate

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credenze o disposizioni […] o a provocare determinatereazioni e comportamenti’”. [Atienza 2012: 265]

Non vi è dubbio che Aristotele concepì laretorica come un’arte argomentativa, connessa alpubblico contraddittorio in cui si avanzano e siconfrontano argomenti che non determinanoconclusioni necessarie. A differenzadell’argomento logico, quello retorico parte dapremesse probabili e verosimili, gli endoxa,argomentazioni dialettiche, opinioni condivise datutti o dalla maggioranza, che sono veri “per lopiù”. Gli endoxa coincidono con le premessedell’argomentazione pratica e consentono didimostrare sufficientemente la validità di unadeterminata soluzione. In buona sostanza la validità dell’argomento

retorico è affidata alla sua efficacia persuasiva(rispetto all’uditorio che il parlante sicostruisce), cioè alla capacità dell’oratore diconseguire l’effetto pratico di convincere i suoiinterlocutori per mezzo della sua argomentazione, facendoapparire la sua tesi, anche quando è inverosimile,credibile*.

* Come noto è proprio con riguardo all’uditorio che si hala distinzione tra argomentazione persuasiva e argomentazioneconvincente. Nel primo caso l’argomentazione, riferita ad unuditorio particolare, sarà efficace se in grado di indurrel’uditorio a compiere una certa azione; nel secondo casol’argomentazione, riferita invece ad un uditorio universale,sarà valida se riuscirà a suscitare credenze cogentinell’uditorio. A proposito di quanto ho affermato primaovvero che in questa sede non avrei inteso l’argomentazione

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In un contributo sulla retorica e sull’uso chedi essa ne fanno gli avvocati, Massimo La Torre sisofferma sul De oratore di Cicerone e osserva

(i) […] che la retorica si rivolga all’elementopassionale, non a quello razionale, dell’animo umano.[…] Ciò però segnala un ineliminabile trattomanipolativo. Sollecitando la parte irrazionaledell’animo, la retorica sfugge al controllo di chi lasubisce e si produce dunque come tecnica manipolativa.Il retore – se efficace – può condurre il suo uditorio acredere e sentire ciò che egli vuole e come egli vuole.(ii) […] mentre la verità è una, l’oratore dipende orada una tesi (e da un interesse) ora da un’altra tesi (daun altro interesse), fossero questi ultimi anche oppostied irreconciliabili con i primi. (iii) Infine, non puònegarsi che la retorica sia “artificio” ed inganno,tenuto conto – come si è visto – che il retore per certiversi si traveste dinanzi all’uditorio, e tende a farsivedere e percepire com’egli vuole che sia visto e per-cepito – “ut talis videtur, qualem se videre velit”. Il buon oratoreè quello che presenta il suo discorso “in maniera chel’ascoltatore non avverta l’artificio”. [La Torre 2008:496]

Nella prospettiva di Perelman e di Olbrechts-Tyteca,

Scopo di ogni argomentazione è, come abbiamo detto, quellodi provocare od accrescere l’adesione delle menti alle tesiche vengono presentate al loro consenso: una argomentazioneè efficace se riesce ad accrescere questa intensità diadesione in modo da determinare presso gli uditori l’azione

come un processo in grado di accertare o dimostrare veritàassolute e scientificamente oggettive, come notano Testa eCantù (2006: 3), “l’uditorio universale non è costituito datutti gli uomini (in tal caso, infatti, l’argomentazioneconvincente sarebbe un’argomentazione valida oggettivamente),ma dagli uomini che l’oratore reputa ragionevoli”.

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voluta (si tratti di azione positiva o di astensione), oper lo meno a creare presso di loro una disposizioneall’azione, che si manifesterà al momento opportuno.[Perelman & Olbrechts-Tyteca 1966: 48] La svolta argomentativo-retorica si realizza

secondo Perelman e Olbrechts-Tyteca attraversospecifici schemi argomentativi che caratterizzanoil collegamento tra le premesse e la tesi chel’interlocutore difende e della cui validità vuoleconvincere il suo uditorio:1. argomenti quasi-logici, così definiti perché,seppur confrontabili con i ragionamenti formali,logici e matematici, esprimono la loro forza diconvinzione soltanto con uno sforzo di riduzionedi natura non formale. Questo genere diargomento è costituito da uno schema formale edalle operazioni di riduzione; pur ostentandouna certa pretesa di validità – che deriva dalloro rapporto con regole logico-matematiche –essi hanno bisogno di un’operazione successiva(di riduzione) per essere utilizzati.2. argomenti basati sulla struttura del realeche traggono la loro forza dalla realtà e “siservono di quest’ultima per stabilire unasolidarietà fra giudizi già ammessi e altri chesi cerca di far accettare” (Perelman &Olbrechts-Tyteca 1966: 275). In questo genere diargomenti l’oratore induce il suo uditorio aritenere valida la connessione che eglistabilisce tra fatti reali, le opinioni che egliesprime e le conseguenze cui giunge.

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3. argomenti che fondano la struttura del reale,aventi ad oggetto “i legami che fondano il realericorrendo al caso particolare” (Perelman &Olbrechts-Tyteca 1966: 370).4. argomenti basati sulla dissociazione dellenozioni† che “[…] determina un rimaneggiamentopiù o meno profondo dei dati concettuali cheservono da fondamento all’argomentazione: non sitratta più, in questo caso, di rompere i filiche ricollegano elementi isolati, ma dimodificare la struttura stessa di questi ultimi”(Perelman & Olbrechts-Tyteca 1966: 433). Ladissociazione rifiuta i legami e mira adimostrare che l’unione iniziale di determinaticoncetti o elementi è indebita.Guardando a queste tecniche argomentative,

dobbiamo riconoscere che l’edificio costruito daPerelman e Olbrechts-Tyteca si fonda su un fattorepsicologico in grado di ottenere l’adesione degliascoltatori che, il più delle volte, è solopresunta dall’oratore. Del resto, per dirla ancora con La Torre e con

il De Oratore di Cicerone, “non c’è […] nessunargomento, apparentemente tanto inverosimile, cheun’idonea presentazione non possa rendere

† Secondo Van Eemeren e Grootendorst (2008: 50), “[l]adistinzione tra lo schema argomentativo basato sullastruttura del reale e lo schema argomentativo che fonda lastruttura del reale corrisponde, in linea di principio, alladistinzione aristotelica tra sillogismo retorico (entimema) einduzione retorica (esempio)”.

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credibile [sed nihil est tam incredibile, quod non dicendo fiatprobabile]” (La Torre 2008: 496).Occorre ora verificare se e in che modo questo

approccio argomentativo può trovare spazio nelmodello della governance come governamentalità ese con il suo carattere e le sue tecniche puòcolmare quel deficit di legittimazione che abbiamovisto affliggere questo paradigma.La questione può essere posta nei seguenti

termini: possono la discussione el’interconnessione tra i vari attori nella reteassumere un carattere retorico (Padgen 1998: 7ss.)?Osserviamo più da vicino la natura dei flussi

comunicativi che prendono vita all’interno deinetwork. Qui ciascun attore può: a) esprimere leproprie opinioni; b) modificare le proprieopinioni; c) deliberare a partire da questeopinioni.Più precisamente la rete, con i suoi flussi

comunicativi, consiste:of all kinds of practices, from everyday politeexchanges over cups of tea, through symbolic displays ofauthority and status, to decisions about policies andtheir implementation. Further, each of these variedpractices is anything but monolithic. Polite exchangesover tea do not have a fixed form. Their nature is notdetermined by some abstract norm. Everyday rituals, likeall activity, are contingent, undetermined, and open tocontestation. [Bevir 2013: 150]

Queste pratiche comunicative dovrebbero esserein grado di mitigare gli effetti aggressivi del

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neoliberalismo con una maggiore auto-responsabilizzazione dei singoli attori (individuie gruppi), realizzando proprio quellagovernamentalità avente carattere biopolitico dicui parlava Foucault. Il fascino del neoliberalismo risiede nelle sue

potenzialità liberali che preludono all’idea checiascuno può agire secondo una sua sceltapersonale, in accordo con le proprie inclinazioni.Allo stesso tempo questa libertà di mercati,lavoro, tendenze, idee, opinioni dovrebbedeterminare una maggiore responsabilità da partedegli agenti e perciò dare vita a nuove forma digovernamentalità. Come scrive Bevir, “[n]eoliberalismis thus a form of governmentality within whichindividuals discipline themselves to use theirfreedom to make responsible choices” (Bevir 2013:159).È quanto accade nel modello della rete, dove il

carattere liberale delle strutture dei network ela partecipazione comunicativa da un lato generanolibertà di scelta e di coordinazione, offrendo“delle soluzioni economiche che si basano sullacondivisione e proprietà collettiva delle risorse”ma che “prestano il fianco alle strategieopportunistiche degli agenti […]” (Palumbo 2007:27), dall’altro sollecitano la responsabilità deipartecipanti.Forte, perciò, è il rischio che le opinioni

manifestate dagli agenti all’interno della reteassecondino la finalità strumentale, che ha

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ciascun partecipante, di assicurare consenso alleproprie preferenze e scelte.È questa, d’altronde, una delle maggiori

critiche che la governance riceve (Davies 2002;Newman 2005; Jessop 2007): la polity reticolareconsisterebbe soprattutto in tecniche con le qualichi detiene il sapere scientifico o tecnologico oil potere economico-finanziario riesce a imporrela propria scelta e i necessari strumenti diimplementazione. Certamente non si tratta diun’imposizione che ricorre alla forza, ma proprioal sostegno di un argomento di tipo retorico; èl’argomento utilizzato dagli agenti che ruotanointorno ai gruppi più potenti (élitesmetropolitane, ad esempio, che rispetto a quelledi periferia hanno maggiore accesso allatecnologia, alle informazioni, ecc.) a renderecondivisibile un’istanza. Laddove la geometria della rete sembra

democratica e fortemente inclusiva, in realtàprevalgono le preferenze dei rappresentanti degliinteressi organizzati forti che enfatizzano leloro scelte sino a convincere gli altri attoridella loro validità e, soprattutto, che ladeliberazione è giunta solo dopo l’esercizio dellaloro funzione consultiva.L’elemento retorico è dunque presente nei flussi

comunicativi della rete, comparendo proprio nellastrumentalità delle comunicazioni degli stakeholders.Gli attori, per convincere gli altri agenti,possono ricorrere a tre generi di argomentiretorici: il sapere scientifico, le conoscenze

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tecnologiche, il potere economico-finanziario. Intutti e tre i casi ci troviamo di fronte a unargomento retorico di chiusura: indipendentementedalla sua validità logico-razionale, dalla suafondatezza pratica, dalla sua verità, l’agenteorganizzato che utilizza un argomento del generepone fine alla discussione, riuscendo a persuaderei suoi interlocutori.Ciò è in grado di legittimare la deliberazione

finale, in mancanza di ulteriori elementi (qualiil voto, la rappresentanza degli agentiorganizzati)?Se accettiamo la distinzione di Silvana

Castignone, prima riportata, tra legittimazione-attività e legittimazione-prodotto, allora ilprocesso che si serve dell’argomento retorico perottenere l’adesione degli agenti è legittimante,almeno sotto il profilo del primo tipo dilegittimazione, seppure l’adesione degli agentinon è raggiunta attraverso alcun logosraziocinante ma attraverso argomenti validi “perlo più” (e non sempre veri) – alla maniera degliendoxa aristotelici –. Se invece ci riferiamo alla legittimazione-

prodotto, all’ottenimento del consenso (chelegittima la decisione e dunque il potere dellarete), l’argomentazione retorica permette diottenere il consenso verso la deliberazione finaleperché questa apparirà accettabile per le modalitàcon cui gli endoxa (gli argomenti) sono presentatie per come giungono ad apparire compatibili con leopinioni di tutti gli agenti (o per lo meno della

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maggioranza). Facendo leva sul loro carattereretorico, le comunicazioni che prevalgono edeterminano la decisione finale seduconol’uditorio e poco importa se si presentano comeragioni inferiori o addirittura sprovviste diverità e razionalità: esse sono destinate aprevalere sulle altre, risultando vincitrici nelconfronto con divergenti o opposte comunicazioni.Come suggerisce Atienza: “Le premesse e le

conclusioni nella concezione pragmaticadell’argomentazione non sono enunciati noninterpretati né enunciati interpretati come veri ocorretti, ma enunciati accettati” (Atienza 2012: 89).La base della legittimazione sarà dunque

l’accettabilità delle tesi prospettate. In questosenso la legittimazione proverrà non soltantodalla validità logico-inferenziale o dal carattereveritiero degli argomenti addotti a sostegno diuna determinata tesi; viceversa essa proverràsoprattutto dalla capacità retorica di convinceregli interessati circa la validità degli argomentiutilizzati e dalla prospettazione che la tesiproposta sia la migliore per risolvere il problemache ha suscitato l’argomentazione.Se questo genere e grado di legittimazione che

così si raggiunge può ritenersi sufficiente, ètuttavia un altro discorso:

“Come ti ho detto, mi sembrava che fosse giusta – anchese in questo momento non ho il tempo di controllarla adovere – e questo dimostra che ci sonotrecentosessantaquattro giorni nei quali puoi avere unregalo di non-compleanno – ”.

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“Certamente” disse Alice. “E soltanto un giorno per i regali di compleanno, haicapito? Hai di che gloriarti!”“Non capisco di che cosa devo gloriarmi” disse Alice.Humpty Dumpty fece un sorriso sprezzante. “Non locapisci, perché non te l’ho ancora spiegato. Vuol direche è un argomento che ti stende a terra!”“Ma ‘gloriarsi’ non vuol dire un ‘argomento che tistende a terra’ obiettò Alice.“Quando io uso una parola disse Humpty Dumpty con uncerto sdegno, quella significa ciò che io voglio chesignifichi – né più né meno”.“La questione è disse Alice, se lei può costringere leparole a significare così tante cose diverse”.“La questione è” replicò Humpty Dumpty‡, “chi è che comanda –ecco tutto”. [Carroll 2007: 219]

6. Dialogare nei network: l’argomentazione dialogico-razionalenella rete della governance

Passiamo ora al secondo modello argomentativo,quello dialogico-razionale, per verificare la suatenuta rispetto alla questione dellalegittimazione della governance e delle suepratiche.Definisco l’argomentazione dialogico-razionale

come quell’approccio che a differenza dei meccanismi basati sul voto, presuppone lariflessione dialogica tra i soggetti decidenti che sirealizza nell’atto di comunicazione consistente in unoscambio di ragioni e argomenti a favore di una determinataalternativa di decisione con la pretesa di convincere

‡ Su Humpty Dumpty mi sia consentito rinviare a Scamardella(2011: 91 ss).

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razionalmente gli altri e che tende a produrre, diconseguenza, la trasformazione delle preferenze. [Atienza2013: 41]

Quando mi riferisco al carattere razionaledell’argomentazione non intendo tuttaviaconcepirlo unicamente in base a regoleinferenziali, cioè ad una validità che deriva dauna concatenazione corretta di inferenze chelegano premesse e conclusione e che dunqueconsente di dire che se le premesse sono vere ovalide anche le conclusioni lo saranno. Si trattadi una condizione necessaria ma non sufficiente.Ad essa, infatti, si aggiunge il contestocomunicativo dialogico dove l’argomentazioneprende forma e che tende a imprimereall’argomentazione stessa il segno diun’esperienza interpersonale, di un’interazionedialogica tra parlanti.Per spiegare il carattere razionale di questo

approccio prendo le mosse dal modelloargomentativo delineato da Habermas (1984) in Teoriadell’agire comunicativo e dalla sua etica discorsiva chesegnalano l’impegno dei partecipanti al discorsovolto al raggiungimento di un’intesa, seppurcontrofattuale. La situazione discorsiva ideale diHabermas realizza un consenso razionale perchéessa si svolge all’interno di un contestodialogico-argomentativo (ideale).È l’elemento comunicativo-procedurale a

garantire la razionalità dell’intesa che si formanel contesto dialogico-argomentativo. Ciòsignifica che l’argomentazione sarà razionale e

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perciò legittima soltanto se si sarà formata inuno spazio pubblico condiviso, regolato dadeterminate condizioni normative (uguaglianza,verità, libertà, universalità, simmetria), in cuii parlanti possono scambiarsi ragionigiustificative a sostegno delle proprie istanze.Come altrove ho scritto, La ragione comunicativa habermasiana non è puramenteformale ma si dota di una ineliminabile componentepragmatica, assicurata dalla funzione mediativa del dirittoche contempla il consenso ma anche il dissenso,istituzionalizza riflessivamente i processi disocializzazione, coordina e stabilizza le condotte.[Scamardella 2013: 200]

L’esperienza argomentativa è anche e soprattuttoesperienza performativa che i parlanti fanno l’unoverso l’altro “sullo sfondo di un mondo della vitaintersoggettivamente condiviso” (Habermas 2007:45).Essa non è “convergenza osservata tra pensieri o

rappresentazioni di persone diverse”; riferendosipiuttosto

alla preliminare comunanza, presupposta nella prospettivadegli stessi interessati, di una prenozione linguistica odi un orizzonte del mondo della vita nel cui ambito sitrovano ad essere i membri di una comunità di comunicazioneprima di intendersi reciprocamente circa qualcosa nelmondo. [Habermas 2001: 238]

I parlanti tematizzano pretese di validitàall’interno di un contesto dialogico,soddisfacendole attraverso argomenti e assumendo

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in via controfattuale che le norme universali cheregolano quel contesto siano da tutti rispettate.Così, da questa prospettiva L’argomentazione valida ed efficace, la c.d. buonaargomentazione, non si rivela più come esito di un percorsoche si svolge nell’isolamento ma in una costante dimensionedialogica dove il risultato non sarà significativo tantoper l’accordo finale tra gli interlocutori in ordine alladecisione intrapresa, quanto per la visibilità dellacontestualità discorsiva stabilita tra i partecipanti.[Abignente 2012: 311]

Come ha suggerito Atienza, l’argomentazionerazionale legittima una decisione non mediante imeccanismi di voto, bensì attraverso ladialogicità del contesto dove prende forma.Nondimeno essa, almeno nella teoria habermasiana,conserva un carattere ideale che secondo alcunicritici (ad esempio Lenoble) provocaun’indecidibilità di fondo nel modello dell’agirecomunicativo. In altri termini non sarebbecomprensibile, né accettabile una decisioneassunta attraverso un semplice scambio diargomenti tra parlanti; pur se si tratta di unoscambio razionale e rispettoso di regoleuniversalmente accettate dai partecipanti aldiscorso*.

* Elster, ad esempio, rispetto ai tre impegni di validitàche per Habermas un oratore assume, verità proposizionale,correttezza normativa e autenticità, ritiene difficile econtroversa l’idea di correttezza normativa. Sul punto:“L’idea di correttezza normativa è invece difficile econtroversa. Innanzitutto, bisogna distinguere la razionalitàindividuale dalla giustizia sociale – due concezioni

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Ho già indicato altrove (Scamardella 2013)quelli che a me paiono essere i punti deboli diquesta critica che ignora proprio l’elementodialogico; l’esperienza, cioè, che i parlantifanno l’uno dell’altro e che attraverso lafunzione mediativa e procedurale del dirittoistituzionalizza la ragione comunicativa, iprocessi riflessivi di socializzazione e dicoordinazione sociale.Mi servo tuttavia di questa critica per

ritornare alla questione principale che mi eroproposta di indagare: l’argomentazione dialogico-razionale può essere utile ai dispositivigovernamentali della governance? Può cioè supplirealla carenza di legittimazione che investe lagovernance e i suoi processi? L’argomentazione dialogico-razionale legittima

la decisione attraverso un’esperienzacomunicativa, mediata dal diritto, da “meccanismiprocedurali e convenzionali, giuridicamentecontrollati, che coinvolgano gli agenti nelmiglior modo possibile”, come osserva Alessio LoGiudice (2007: 8). È possibile riprodurre questasituazione discorsiva all’interno dei meccanismigovernamentali di governance e dunque assumerla comenormative diverse, che si prestano entrambe al dissenso ealla discussione. Così, dei costituenti possono avere valoriidentici (per esempio utilitaristici) e credenze fattualiidentiche, e ciononostante dissentire sul da farsi se,poniamo, hanno gradi diversi di avversione al rischio,valutano in modo diverso il fattore tempo o considerano comemaggiore o minore pessimismo le decisioni prese in condizionidi incertezza” (2005: 61).

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fonte di legittimazione di tali assettiorganizzativi?Un recente contributo di Bevir (2013) individua

tre assi portanti della governance: la sceltarazionale, la teoria dei network e le condotteresponsabili degli agenti.Riguardo il primo elemento, osservo che sin dai

suoi esordi (anni ’50 negli Stati Uniti d’America)la governance si è presentata come un dispositivo ingrado di enfatizzare il carattere razionale delledecisioni, in risposta ai meccanismi politicipredisposti dal New Deal. Tale carattere, preso inprestito dalle teorie economiche del tempo, simanifestò inizialmente con una maggiore attenzioneai diritti fondamentali e agli interessi deigruppi d’interesse (interest groups politics). Fu peròsoprattutto a partire dagli anni ’60-’70 che lagovernance assunse come paradigma la razionalitàottimizzante degli agenti, così come sviluppatadalla teoria della scelta razionale. Come osservaBevir, “Citizens, being rational actors, try tomaximize their short-term interests” (2013: 137).Dunque la teoria della scelta razionale sipreoccupava della creazione di uno spazio in cui icontrapposti interessi potessero essere allineatie ottimizzati. Tuttavia, la razionalità degliattori non fu mai ridotta al mero calcoloeconomico perché la coordinazione stessa delmercato non era in grado di garantire da solaun’equilibrata ed efficiente regolamentazione.Inoltre i modelli americani congegnati dagli

studi di legal theory degli anni ’70-’80 ebbero il

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pregio di mettere in discussione i meccanismiistituzionali tradizionali, basati su relazioni dicommand-and-control, a beneficio di nuovi assetticaratterizzati dalla ragione ottimizzante degliattori e da una maggiore attenzione alla loropartecipazione di tipo reticolare. Ecco perché la teoria della scelta razionale si

declina, all’interno dei dispositivi di governance,in maniera riflessiva, cioè con una maggioreattenzione proprio ai destinatari della norma ealla sua reversibilità che si radicanell’applicabilità e nell’accettazione dellaregola da parte del contesto dove è chiamata adoperare. La razionalità, dunque, si dota di unelemento riflessivo-procedurale: non è più laragione ottimizzante tout court dell’agente economico(del cittadino che vuole conseguire il massimorisultato con il minor sforzo; del politico chevuole raggiungere i suoi obiettivi nel periodoconcessogli dalla procedura elettorale; ecc.) aguidare i dispositivi di governance. Essi piuttostosono ripensati mediante l’enfatizzazione di unamaggiore responsabilità degli agenti all’internodei network.Bevir sostiene che: “To act responsibly was to

act so as to promote the common good rather thanto seek personal advantage” (2013: 141). Ritengotuttavia che nei dispositivi reticolari digovernance la responsabilità non possa esserelimitata unicamente ai politici e definita in basealla loro capacità di perseguire gli interessicomuni. Il concetto di responsabilità deve essere

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esteso a tutti gli agenti che, a qualunque titolo,partecipano ai flussi comunicativi che avvengononei network.E quest’osservazione ci riporta agli altri due

elementi individuati da Bevir come costitutividella governance: i network e la responsabilitàdegli agenti.Non si può infatti pensare che i mercati e i

network possano genuinamente garantire lademocraticità dei processi decisionali cheavvengono al loro interno e della deliberazionefinale per il solo fatto che le decisioni suquestioni politiche, educative, di sanità, ecc.sono devolute a strutture coordinate che includonosettori privati, gruppi, individui ed istituzionipubbliche†. Nondimeno, secondo Bevir, i networkspossono validamente supportare i meccanismi digovernance e legittimarli. Ciò accade se il networknon viene inteso alla maniera neoliberale e cioècome la longa manus dei mercati che decentralizzanola decisione, sottraendola alle istituzionipubbliche e avocandola a sé, come scelta del piùforte, di chi detiene il potere. Il networkdovrebbe essere inteso piuttosto come uno spazio(reale o virtuale) dove gli attori operanomediante relazioni responsabili strutturate (Bevir2013: 171). Chi si muove nel network, allora, nonè il consumatore né il produttore che sono

† Si tratta di una debolezza intrinseca alle strutturereticolari che ho già messo in luce nelle pagine precedenti aproposito dell’agire strategico degli agenti che agirebberocon opportunismo per tutelare i propri interessi.

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soddisfatti acquistando o vendendo determinatiservizi o beni. L’agente che opera nel network èun soggetto (individuo o gruppo) responsabile chedà vita a relazioni e connessioni sociali conaltri agenti in cui avvengono scambi comunicativio di azioni che sono controllati e monitorati datutti gli altri agenti.Questa percezione del network, unita alla

responsabilità dell’agente, riproporrebbe quellasituazione discorsiva habermasiana in cuil’esperienza dell’altro non è ispirata ad un agirestrumentale ma performativo.I tre elementi indicati da Bevir (scelta

razionale, teoria del network, responsabilitàdell’agente) riprodurrebbero comunicazionirazionali, alla maniera poc’anzi chiarita, nelcontesto dialogico dei network dove gli agentioperano responsabilmente.Scambi comunicativi che rispettano tali

condizioni assurgerebbero così a forme diargomentazione dialogico-razionale chelegittimerebbero i nuovi meccanismi di regolazionesociale predisposti dalla governance. L’elementodialogico, infatti, unitamente a quello dellaresponsabilità degli agenti incarnerebbe proprioquell’elemento biopolitico, di governamentalitàfoucaultiana secondo cui l’essere governati nonpuò prescindere dal governarsi.Se accettiamo questa conclusione, dobbiamo però

accettare anche le critiche mosse alla teoriahabermasiana ovvero che si tratta di un modelloideale che maschera un’indecidibilità di fondo.

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Nondimeno, come Habermas risponde a questecritiche opponendovi la funzione mediativa eistituzionalizzante del diritto e dunquetrasformando l’auto-riflessione degli eventicomunicativi in una riflessività dialogica elasciando che il diritto con i suoi canaliprocedurali accompagni e istituzionalizzil’esperienza performativa che i parlanti fanno,così si può immaginare che correttivi di meta-governance possano istituzionalizzarel’argomentazione dialogico-razionale dei parlantiall’interno dei network di governance. Come haricordato Jessop, la meta-goverance garantisceinfatti

una ridefinizione riflessiva delle organizzazioni, lacreazione di organizzazioni di mediazione, il riordinamentodi relazioni inter-organizzative e la gestione di ecologieorganizzative […]. E […] una riflessiva organizzazionedelle condizioni di auto-organizzazione attraverso ildialogo e la deliberazione. [2008: 1974 ss.]

Alla meta-governance sarebbe affidato il delicatoonere di sorvegliare il delicato confine chedivide il comportamento strategico degli agenti daquello comunicativo; essa svolgerebbe lo stessoruolo che Elster, nello sciogliere le sue tensionied enigmi sull’agire comunicativo habermasiano,assegna all’uso strategico dell’argomentazione,aderendo alla massima di La Rochefoucauld:“L’ipocrisia è l’omaggio che il vizio tributa allavirtù” (2005: 152). Che tipo di legittimazione quest’argomentazione

sarebbe in grado di garantire?

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A me sembra che qui ci troviamo di fronte ad unalegittimazione che ha a che fare con il punto divista hartiano, con l’accettazione interna delladecisione finale, con una legittimazione cheScarpelli definisce come quella avente la funzione

di giustificare l’assunzione a guida dei comportamenti ecriterio per giudicarne (sic) delle norme di quel sistema,delle norme riconosciute come appartenenti al sistema inquanto soddisfano le condizioni di validità interne alsistema, ossia di giustificare l’accettazione del principiofondamentale del sistema. [1997: 129]

Da questa prospettiva, dunque, l’argomentazioneaspirerebbe a diventare una pratica giuridica aventecome obiettivo quello di legittimare le soluzioninormative (o le decisioni giuridiche) offerte dainetwork, rendendole accettabili da un punto di vistapratico, essendo quest’accettabilità la misura delconsenso proveniente dal basso alla norma (o alladecisione) e dunque fonte di legittimazione deldiritto stesso. Lo spazio argomentativo dialogico-razionale

legittimerebbe le decisioni formatesi nei circuitireticolari di governance a partire dalla suacapacità di riconoscere e includere istanze einteressi opposti che si coordinano dialogicamente enon per la capacità persuasiva dell’interlocutorepiù forte.L’opzione offerta dall’argomentazione dialogica

recupera il carattere riflessivo della

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legittimazione dello Stato costituzionale didiritto perché l’argomentazione stessa si dota diuna forza riflessiva e deliberativa. La decisionefinale, infatti, riflette il confronto e lanarrazione degli scambi comunicativi; essa non èl’argomento del più forte; né è “governanza” chesi svincola dalla funzione governativa e sicolloca in quella dell’auto-governo. Essa è piuttosto legittimata da un consenso

democratico che si determina e si istituzionalizzaentro i confini sociali, politici, economici,etici dello spazio dei network. Non si tratta diun consenso a posteriori o variabile ma di un consensoche matura attraverso la forza argomentativa deiparlanti, a partire dalla reciprocità del lororiconoscimento e dal libero scambio di ragioni.

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