Famiglie gentilizie e donne a Verucchio. Linguaggi nascosti, rappresentazioni di ruolo e di rango....

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Guide artistiche e architettoniche

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Guide artistiche e architettoniche

LE ORE E I GIORNI DELLE DONNE

Dalla quotidianità alla sacralità tra VIII e VII secolo a.C.

Catalogo della MostraMuseo Civico Archeologico di Verucchio

14 Giugno 2007 - 6 Gennaio 2008

a cura diPatrizia von Eles

in copertina

Elaborazione grafica dell’ansa di tazza bronzea da Verucchio, tomba 1, Necropoli Le Pegge (disegno di Agnese Mignani)

Impaginazione e stampa

Pazzini Stampatore Editore srle-mail: [email protected]

© 2007 Pazzini Stampatore Editore srlvia Statale Marecchia 6747826 Verucchio (RN)tel. 0541/670132fax 0541/670174

ISBN 88-89198-78-8

LE ORE E I GIORNI DELLE DONNE

Dalla quotidianità alla sacralità tra VIII e VII secolo a.C.

Catalogo della MostraMuseo Civico Archeologico di Verucchio

14 Giugno 2007 - 6 Gennaio 2008

a cura diPatrizia von Eles

La Mostra è stata realizzata da SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELL’EMILIA ROMAGNA

COMUNE DI VERUCCHIO

con il sostegno di

REGIONE EMILIA ROMAGNA

PROVINCIA DI RIMINI

Verucchio, Ex Chiesa S. Agostino, presso il Museo Civico Archeologico 14 Giugno 2007 – 6 Gennaio 2008

Coordinamento: Patrizia von Eles

Comitato Scientifico: Laura Bentini, Patrizia von Eles, Luigi Malnati, Paola Poli, Tiziano Trocchi

Ideazione e realizzazione: Laura Bentini, Patrizia von Eles, Paola Poli, Tiziano Trocchi

Progetto allestitivo mostra: Paola Arzarello (Ikhos Progetti s.r.l.), Laura Bentini, Patrizia von Eles, Paola Poli, Tiziano Trocchi

Allestimento e vetrine della mostra: Paola Arzarello (Ikhos Progetti s.r.l.)

Allestimento e vetrine del museo: Giovanna Giuccioli

Restauri: Laboratorio Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna (Anna Musile Tanzi, Antonella Pomicetti,Mauro Ricci, Virna Scarnecchia, Micol Siboni, Monica Zanardi); Kriterion S.n.c.; Docilia S.n.c.; Florence Caillaud

Supporti: G.B. Insegne, Bologna

Disegni ed elaborazioni grafiche: Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna (Agnese Mignani, Vanna Politi); Anna Maria Monaco, Emilio Pirotti, Gilberto Montali

Documentazione fotografica: Archivio Fotografico Museo Civico Archeologico di Bologna; Laboratorio Fotografico Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna(Claudio Cocchi, Roberto Macrì, Agnese Magnani, Patrizia von Eles); Kriterion S.n.c.; Archivio Fotografico Soprintendenza Archeologica di Roma;Archivio Fotografico Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana; Archivio Fotografico Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale; Archivio Fotografico Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata; Archivio Fotografico Naturhistorisches Museum Vienna

Organizzazione e segreteria: Elena Rodriguez

Ufficio Stampa della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna: Carla Conti

Musei e Enti prestatori: Museo Civico Archeologico, Bologna;Museo Renzi di San Giovanni in Galilea;Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana; Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale; Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata; Naturhistorisches Museum Vienna

Riproduzioni: Tessuti - Anna Noergaard, CopenhagenTelaio - Cleto Masi, ImolaModellino Telaio - Mauro Cenni, VerucchioFrutti - Anna Musile Tanzi, Bologna

Trasporti: Borghi International SpAAutori dei testi: Gilda Bartoloni, Laura Bentini, Giovanna Bergonzi, Angiola Boiardi, Giuseppina Carlotta Cianferoni, Anna De Santis, Patrizia von Eles, Giovanna Gambacurta, Filippo Maria Gambari, Patrizia Gastaldi, Cristiano Iaia, Daniela Locatelli, Luigi Malnati, Marco Pacciarelli, Paola Poli, Angela Ruta Serafini, Tiziano Trocchi

Autori delle schede: A.B. Angiola Boiardi A.D. Anna Dore A.P. Annalisa PozziA.S. Annemarie StaufferA.K. Anton Kern C.N. Claudio NegriniF.B. Francesca BoitaniG.B.M. Giovanna Bermond Montanari G.C.C. Giuseppina Carlotta Cianferoni L.B. Laura BentiniL.D’E. Laura D’ErmeM.O. Marica OssaniP.P. Paola PoliP.vE. Patrizia von ElesS.B. Salvatore BiancoS.D.P. Sara Di PentaT.T. Tiziano Trocchi

Redazione Bibliografica: Natascia Morigi

Indirizzi postali ed e-mail degli Autori possono essere richiesti al Comune di Verucchio ([email protected])

Si ringrazia Mondadori Franchising S.p.A., per la collaborazione e per avere creduto nel progetto culturale della mostra “Le ore e i giorni delle donne”.

Dopo l’ esposizione dedicata al ruolo del guerriero, che delineava la figura dei capi della comunità, questa nuova iniziativa, voluta dal Comune di Verucchio e dalla Soprin-tendenza per i Beni Archeologici, è dedicata alla donna e all’immagine che le antiche dominae verucchiesi intendeva-no trasmettere a a livello di riti e di costumi funerari. Come è noto infatti gli scavi della necropoli di questo centro della Romagna, certamente insieme a Bologna, il più importan-te del periodo villanoviano a nord degli Appennini, hanno portato alla luce dalla fine dell’Ottocento ad oggi centinaia di tombe spesso molto ricche, databili in un arco di circa tre secoli (dal 900 a poco prima del 600 a.C). L’esame dei cor-redi ha consentito agli studiosi di allargare enormemente le conoscenze sul livello di vita e le relazioni sociali, politiche ed economiche di una comunità tra le più vitali ed interes-santi dell’Italia preromana.La scelta del curatore della Mostra, Patrizia von Eles, in accordo con il comitato scientifico, è stata di allargare le ricerche agli altri popoli dell’ Italia preromana, a partire dagli Etruschi della valle Padana, dell’ Etruria propria e dell’Italia Meridionale. Il quadro che viene così presentato nel Catalogo vuole quindi offrire un affresco completo della situazione femminile nel momento cruciale, tra VIII e VII secolo, che porta alla nascita della città e alla formazione delle aristocrazie. E’ anche il momento in cui massime sono in Italia le influenze delle culture orientali, un mondo in cui già all’ inizio del I millennio le donne potevano anche assu-mere ruoli politici di primo piano, come dimostrano le figu-re della regina assira Sammu-ramat (la mitica Semiramide,

reggente nei primi anni del regno del figlio Adad-Nirari III, dopo l’810 a.C.) o di Gezabele, moglie di Achab, re d’Israele tra l’873 e l’853. Che questi esempi abbiano avuto riflessi nell’ ambito etrusco è certo e la vicenda di Thanaquil, potente regina di Roma con Tarquinio Prisco alla fine del VII seco-lo, figura ormai pienamente storica, lo conferma.Con questa iniziativa il Museo di Verucchio compie un’ul-teriore tappa nell’impegnativo e lungo progetto che preve-de il riordino e lo studio sistematico della documentazio-ne archeologica recuperata in tanti anni di scavo, quando è ancora vivo il ricordo di Gino Vinicio Gentili, da poco scomparso, cui si deve il rilancio di Verucchio. E’ auspicio della Soprintendenza che a questa iniziativa, che fa il punto, partendo proprio dagli splendidi reperti verucchiesi, su di una problematica scientifica di risalto nazionale, faccia pre-sto seguito la prosecuzone delle edizioni sistematiche dei contesti di scavo delle necropoli, ormai patrimonio fonda-mentale della protostoria italiana e mediterranea.Resta da sottolineare, ancora una volta, come solo dalla collaborazione piena e sincera delle diverse istituzioni (So-printendenze, comune di Verucchio e provincia di Rimini in questo caso) possano nascere risultati importanti a tutti i livelli, scientifico, ma anche di valorizzazione e di intelli-gente promozione culturale.

Luigi Malnati Soprintendente Archeologo

dell’ Emilia Romagna e, ad interim,

della Lombardia

Il giacimento villanoviano di Verucchio è uno dei più im-portanti punti di riferimento per studiosi ed appassionati di archeologia del nostro Paese e non solo. Con il susseguirsi delle campagne di scavo, che hanno ri-portato alla luce reperti di inestimabile valore, è venuto pro-gressivamente prendendo forma il profilo di un’antichissi-ma ed affascinante civiltà contraddistinta da una complessa trama di atteggiamenti culturali e da una ricca articolazione sociale. Dal sottosuolo sono emerse le tracce di usanze, costumi e stili di vita appartenenti a uomini e donne di un’epoca re-mota, nostri lontanissimi progenitori che millenni or sono si sono incamminati sulla via della civilizzazione. Frammenti di un’età perduta nelle pieghe del tempo che mani abili ed esperte hanno saputo ricomporre nello spazio museale di Verucchio, per restituirci un’immagine compiuta della so-cietà villanoviana. E tuttavia il museo non è solo un luogo espositivo: è soprat-tutto un centro propulsore di iniziative di studio e di ricerca alla scoperta di un mondo agli albori della civiltà. Lo dimo-strano, in primo luogo, mostre tematiche come “Le ore ed i giorni delle donne” che sono state ideate e realizzate con

lo scopo principale di dare profondità e più largo respiro al materiale archeologico qui raccolto. La Provincia di Rimini, dal canto suo, è da anni al fianco del Comune, che ha svolto e sta svolgendo un lavoro encomia-bile, nell’opera di tutela e valorizzazione del locale patrimo-nio archeologico, nel quadro di un’azione di promozione e sviluppo delle potenzialità espresse dal nostro territorio, di cui Verucchio è senz’altro uno dei punti di eccellenza sotto il profilo della ricostruzione della nostra più profonda iden-tità storico-culturale. Una collaborazione tesa, fra altro, a realizzare un vero e proprio “parco archeologico”, che si è concretizzata in un protocollo d’intesa in base al quale nel triennio 2006-2008 la Provincia sosterrà e finanzierà anche interventi di am-pliamento ed ammodernamento del museo.A Verucchio, del resto, è custodito uno dei più preziosi teso-ri che il passato ci abbia lasciato in eredità. Il nostro compi-to non è solo quello di preservarlo con la massima cura, ma anche di farlo rivivere.

Ferdinando FabbriPresidente Provincia di Rimini

“Der Glaube und das Vorurteil zugunsten der Vorfahren und zuungunsten der Kommenden

ist typisch in der Moral der Mächtigen”[F. Nietzsche]

(La fede e l ’opinione preconcetta a favore degli antenati e a sfavore dei posteri sono un elemento tipico

della morale aristocratica.)

Ancora una volta apriamo il sipario sui misteri dell’antica civiltà verucchiese: oggi è il mondo femminile che ci vie-ne mostrato nello svolgersi delle proprie funzioni: la cura della bellezza, la gestione della casa, la sfera del sacro. Lo scenario è seducente nel suo percorso, sia per l’innovativo allestimento, ma soprattutto per la ricchezza dei reperti e per gli interrogativi che ne scaturiscono. Nostro obiettivo è creare stupore e “scandalo” nei curiosi visitatori che vorranno porsi in dialogo con questa donna che ci guarda dall’VIII secolo a.C.; altrettanto ci auguria-mo che studiosi acuti e originali sappiano ampliare questi bagliori che affiorano generosamente dalle tombe e intrec-ciare racconti coinvolgenti e sorprendenti. Per noi, abitatori di tempi accidiosi, la cultura deve avere questa funzione e, d’altra parte, ci siamo incamminati in prima fila, ben spal-leggiati dal Presidente della Provincia, Ferdinando Fabbri, investendo risorse e sacrificando un tratto di strada (opera-

zione, come si può ben intuire, molto popolare!) per allac-ciare questo dialogo con i nostri antenati.Nell’anno delle “pari opportunità” scopriremo forse quanto la donna della protostoria avesse a che fare col sacro e, quin-di, con il potere e ne siamo ben lieti!Sarà anche questo un benefico messaggio che i nostri lon-tani padri ci inviano? Oltre ai ringraziamenti al gruppo di lavoro della Soprin-tendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, coordinato dal Soprintendente Dott. Luigi Malnati e dalla Dott.ssa Patrizia von Eles, siamo particolarmente ricono-scenti verso i direttori dei prestigiosi Musei italiani ed eu-ropei che, con i loro prestiti, hanno permesso di arricchire la mostra rendendo altresì onore al nostro prezioso Museo.

Giovanni DolciAssessore alla Cultura e al Turismo

Comune di Verucchio

Il Museo Archeologico di Verucchio propone quest’anno una mostra che punta l’obiettivo sulla complessità del mon-do femminile nel contesto villanoviano romagnolo, inqua-drando la questione nel panorama dell’età del ferro italiana. La mostra si inserisce nel programma di iniziative del Mu-seo archeologico di Verucchio, con la ripresa dal 2005 degli scavi nella Necropoli Lippi, e l’allestimento, nel 2006, della mostra “Il Potere e La Morte. Aristocrazia Potere e simboli ”, che prendeva in esame la figura maschile, in relazione alle manifestazioni del potere e del prestigio. En-trambe le mostre sono state pensate assieme a Laura Benti-ni, Paola Poli e Tiziano Trocchi.Tema dell’esposizione attuale è la vita delle donne, rico-struita non solo nel suo quotidiano svolgimento, attraverso le attività che normalmente ne occupavano la giornata, ma anche focalizzando aspetti particolari legati al ruolo femmi-nile al di fuori delle mura domestiche. Il mondo muliebre, parte essenziale di una realtà complessa e articolata, è os-servato e descritto con lo sguardo di una donna vissuta tra l’VIII e il VII secolo a.C., come suggerisce il titolo stesso della mostra. Non si intende proporre una rassegna di oggetti legati al-l’argomento scelto, necessariamente non esaustiva, bensì puntare sull’esposizione di un limitato numero di pezzi di grande rilievo e qualità, capaci di condurre il visitatore ad “attraversare” il tempo delle donne. Il percorso ideato si sviluppa come un itinerario attraverso i luoghi e i momenti che scandivano la giornata femminile. Le tre sezioni della mostra costituiscono altrettante “tappe” attraverso la giornata di una donna di rango: le ore dedicate rispettivamente alla bellezza e alla cura di sé , ai lavori do-mestici e alle attività di culto.Nella prima parte del Catalogo, attraverso una serie di saggi si vuole offrire un quadro “generale” delle questioni aperte

riguardo al mondo femminile nell’Italia dell’età del ferro. I contributi di F. Gambari, G. Gambacurta e M. Ruta Se-rafini, D. Locatelli e L. Malnati, P. von Eles, G. Bergonzi, C. Cianferoni, A. De Santis, P. Gastaldi, M. Pacciarelli co-prono quindi da Nord a Sud tutta l’Italia. Sono preceduti da due saggi di taglio diverso e più generale: G. Bartoloni propone una sintesi dei dati ricavabili dalle fonti antiche mettendole in relazione con la sua lettura dei dati archeolo-gici, soprattutto relativi all’Italia centrale, C. Iaia allarga lo sguardo all’ambito adriatico alla luce, in particolare, dell’ab-bigliamento femminile visto come un linguaggio che espri-me identità e differenze. Questa parte del Catalogo vuole però anche essere uno stimolo ad analizzare i dati archeo-logici da punti di vista diversi, mettendo in qualche modo a confronto letture che si rifanno anche a scuole e impo-stazioni teoriche diverse. Il Museo di Verucchio prosegue con ciò su una linea adottata in precedenza in occasione del Convegno sulla “Ritualità funeraria tra età del ferro e orientalizzante in Italia”, tenutosi a Verucchio nel 2002 in occasione della pubblicazione del volume sulla Tomba del Trono. Il lettore non si meravigli quindi di trovare interpre-tazioni a volte diverse di dati analoghi.La seconda parte di questo volume è dedicata alla presenta-zione dei materiali esposti nella mostra. I materiali si distribuiscono nei tre settori in cui essa è arti-colata, seguendone quindi il percorso: le ore della Bellezza, le ore dei Lavori, le ore del Sacro. Ogni sezione è precedu-ta da una introduzione all’argomento ad opera dei curatori della Mostra e di A. Boiardi che fin dall’inizio ha condiviso l’avventura affascinante dello studio dei materiali villanoviani di Verucchio. Questi ci sono sembrati infatti i “fili condutto-ri” più adatti per studiare prima, e comunicare poi, un tema che ci pareva meritasse attenzione, a partire proprio dai dati di Verucchio che forse mettono in luce, per quando riguarda

LE ORE E I GIORNI DELLE DONNE Dalla quotidianità alla sacralità tra VIII e VII secolo a.C.

le donne, una realtà con caratteri particolari. Ai materiali di Verucchio, che rappresentano il centro dell’esposizione, ab-biamo voluto affiancare alcuni oggetti significativi provenienti da altri contesti dell’età del ferro italiana, che offrono elementi utili ad integrare ed arricchire il discorso sui vari aspetti della vita femminile. In alcuni casi si tratta di materiali rinvenuti in scavi di recente realizzazione e pertanto sinora inediti, oggetti che ci è sembrato contribuissero in maniera efficace ad aprire “finestre di luce” sulla vita delle donne in un periodo in cui, pur in un panorama variegato e con fortissime differenzia-zioni, esistevano probabilmente dei fili sottili ma robusti che legavano l’esperienza femminile. Sono molto grata quindi ai colleghi1 che hanno voluto aiutarci permettendoci di esporre materiali eccezionali come il vaso dalla Necropoli di Sopron, gli avori da Marsiliana d’Albegna, i bronzi da Veio, Cerveteri e Montarano, la pisside con tavolette da tessitura da Aianello.La terza parte del Catalogo (Appendice) presenta i mate-riali esposti nel 2006 nella Mostra “Il Potere e la Morte. Aristocrazia Potere e Simboli”, dedicata all’espressione del potere in ambito funerario nelle tombe di guerriero. L’Ap-pendice è preceduta da una illustrazione dei contenuti e del percorso della Mostra.Le mostre 2006 e 2007 includono entrambe una sezione dedicata ai materiali provenienti dagli scavi nella Necropoli Lippi, riaperti nel 2005. L’eccezionale impegno dei restau-ratori ha permesso di presentarne alcuni anche se, inevita-bilmente, quelli inseriti nella mostra 2007 non sono inclusi in catalogo, per ovvi motivi di tempo.

Il volume si chiude con un breve ma divertente resoconto dell’attività didattica del Museo ad opera di E. Rodriguez che del Museo è diventata una forza trainante. È suggestivo e stimolante che una Mostra dedicata alle don-ne si apra nell’Anno Internazionale delle Pari Opportunità e tengo ad esprimere la mia gratitudine per la collaborazio-ne a Leonina Grossi, consigliera per le Pari Opportunità della Provincia di Rimini.Questo catalogo è dedicato con affetto a tutti coloro che (in Soprintendenza e in Comune), in tutti i modi hanno reso possibile la realizzazione delle Mostre, ai collaboratori e agli amici che negli anni hanno fatto parte del “gruppo Veruc-chio”, agli archeologi e agli studenti che hanno preso parte alle campagne di scavo, a Isabella Rimondi e Fabrizio Finotelli, sempre disponibili e pazienti. E’ dedicato anche, in segno di profonda stima per le loro scelte coraggiose a Giovanni Dol-ci, a Marcella Bondoni e a Ferdinando Fabbri, nell’augurio, per tutti noi, che la Pubblica Amministrazione possa ancora a lungo giovarsi del loro insostituibile apporto.

Patrizia von ElesSoprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna

NOTE

1 Anton Kern del Naturhistorisches Musem di Vienna, Fulvia Lo Schiavo e Carlotta Cianferoni della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Anna Maria Moretti Sgubini e Francesca Boitani della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale, Giuliana Tocco e Salvatore Bianco del-la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata.

LA SOCIETÀ E I RUOLI FEMMINILI NELL’ITALIA PREROMANA

Tra le varie forme di identità sociale indagate nell’archeolo-gia molta attenzione ha ricevuto negli ultimi anni quella di genere, cioè l’indagine sui complessi meccanismi maschili/femminili/infantili, sui rispettivi ruoli e sui reciproci rappor-ti. L’archeologia di genere interpreta “la società come for-mata da individui che agiscono come agenti sociali attivi, da individui le cui attività e negoziazioni quotidiane formano una parte essenziale della dinamica storica” (Diaz Andreu 2000, 363). La cultura materiale gioca un ruolo essenziale nella strutturazione dell’ideologia di genere, poiché rappre-senta il contesto fisico in cui gli individui, come membri di categorie di genere, interagiscono e si relazionano gli uni agli altri per negoziare la propria posizione sociale e pertan-to si utilizza non solo per costruire e mantenere le relazioni di genere ma anche per opporsi ad esse e trasformarle (Diaz Andreu 2000, 373). L’analisi dei rituali funerari, è considerata un articolato momento di comunicazione sociale con atten-zione peculiare al ruolo del simbolismo e delle ideologie.Le deposizioni femminili presentano in genere corredi più articolati di quelli maschili, con maggior numero di orna-menti (fibule, perle, pendenti, bracciali, fermatrecce o altri oggetti di abbellimento per le acconciature) e di ceramica. Comune a tutte le sepolture delle donne nelle varie necropoli è la presenza di oggetti connessi con la filatura o la tessitu-ra. Purtroppo non sempre è possibile definire, in assenza di analisi antropologiche, il sesso del defunto: alcuni ornamenti considerati tipicamente maschili o femminili, quali rispetti-vamente le fibule ad arco serpeggiante e le fibule ad arco più o meno ingrossato o a sanguisuga, si possono trovare nello stesso corredo funebre. Le fibule, quindi più che elemento di distinzione dell’uno o dell’altro sesso devono essere viste come elementi che sostenevano o decoravano le vesti o mo-tivavano drappeggi al tipo di abito, mantello, tunica ecc. Tra queste si possono riconoscere eventualmente quelli preferiti e perciò più frequentemente indossati da uomini o da donne.L’utilizzazione dei dati provenienti dalle necropoli è da tem-po comunque considerata fonte primaria per la ricostruzione sociologica delle comunità antiche: ed è preferenza motivata dalla molteplice concentrazione e campionatura di materiali rinvenuta in complessi chiusi, quali le tombe. Anzi, nell’ul-

timo trentennio vi è stato quasi un’esaltazione dei dati fune-rari come fonte archeologica, che ha provocato una speciale branca definita come “Archeologia della morte”.Va pure tenuto presente però che le sepolture e i relativi cor-redi, che rappresentano solo una delle fonti archeologiche d’informazioni su una società, è quella forse più condizio-nata a livello ideologico. Le tombe mostrano infatti solo quei caratteri (relativi al vestiario, all’armamento, al servi-zio da mensa) che la comunità riteneva opportuno mettere in rilievo, nell’ambito del rituale funerario, per indicare lo stato sociale dell’individuo deposto. Nelle necropoli possia-mo cogliere il riflesso di comportamenti sociali ritualizzati simbolicamente: quindi il nesso tra la realtà sociale e la sua traduzione, più o meno simbolica, nei corredi funerari va cercata, se è possibile, nel riscontro, oltre che con altre fon-ti archeologiche, quali ad esempio la documentazione degli abitati, con la documentazione scritta più o meno contem-poranea.Non avendo le genti dell’Italia antica trasmesso testimonian-ze letterarie coeve al periodo protostorico un utile confronto offrono testi prodotti nello stesso periodo nell’Oriente del Mediterraneo, cioè i poemi omerici o alcuni libri della Bib-bia. Per il VII-VI secolo validi riferimenti si possono trovare anche in Esiodo e nei lirici, i cui temi offrono un riflesso degli interessi di gruppi sociali particolari della Grecia con-temporanea, i guerrieri e gli aristocratici .La maggior parte degli studiosi, pur considerando la tradi-zione orale dietro Omero piuttosto lunga, concorda nel por-re lo sfondo economico e sociale dei poemi omerici all’VIII secolo a.C.: nell’Iliade e nell’Odissea dovevano essere riflessi gli usi e costumi della classe dominante contemporanea. Tra VIII e VII secolo il decollo delle aristocrazie tirreniche coincide con l’accoglimento in Etruria e nel Lazio di modi di vivere e rituali eroici di stampo omerico, diffusi, secon-do J.N.Coldstream soprattutto attraverso la circolazione dei poemi stessi (Coldstream 2003). E’ stato del resto suggerito che proprio in Eubea, l’isola che ebbe un ruolo fondamen-tale nella colonizzazione greca in Occidente, sia stata tra-scritta per la prima volta nella seconda metà dell’VIII secolo l’opera di Omero.

FAMIGLIE GENTILIZIE E DONNE A VERUCCHIOLINGUAGGI NASCOSTI, RAPPRESENTAZIONI DI RUOLI E DI RANGO

Le donne, queste sconosciute! E’ stato scritto più volte: l’immagine delle donne che il pas-sato (il mondo antico ma ancora un mondo molto vicino a noi) ci ha raccontato è quella che gli uomini hanno volu-to dare di quella metà del mondo che, per dirla con Duby e Perrot, era indispensabile racchiudere nel “ gineceo o la casa vittoriana, in un modello fuori del tempo…(omissis) accordato a una natura che si suppone fragile, malaticcia, selvaggia e disordinata, minacciosa se non è tenuta sotto controllo” (Duby, Perrot 1995,VII). Il ruolo “chiuso” nella casa e perciò stesso secondario, forte-mente limitato e limitante è certamente quello che traspare più facilmente, al punto che discutendo di rango e rituali-tà nell’Italia più antica si è arrivati addirittura a mettere in dubbio un effettivo significato delle differenze di rango e di ruolo all’interno di “una società patriarcale fortemente gerarchizzata” (Torelli 1997, 33). Difficile stabilire quando o quanto o dove questa immagine corrispondesse alla real-tà. Le testimonianze dirette delle donne sono pochissime, soprattutto per il mondo antico, e non poche difficoltà si incontrano nel tentativo di “leggere tra le righe”.La cosa è tanto più strana dal momento che le ricerche più recenti stanno dimostrando che in molte realtà funerarie della protostoria italiana la documentazione che ci è per-venuta riguarda in maniera maggioritaria le donne (Trucco 2006, 148). La documentazione archeologica potrebbe aiu-tarci a chiarire i reali ruoli e le funzioni svolte dalle donne soprattutto se potessimo indagare gli aspetti più “diretti”, testimoniati dagli scavi di abitati, forse, rispetto alle necro-poli, meno sottoposti a filtri di carattere ideologico.Se a Verucchio la documentazione allo stato attuale è quasi esclusivamente da necropoli, occorre anche dire che questo sito ha restituito altre testimonianze fondamentali per illumi-nare il ruolo svolto dalle donne: i troni figurati e i tessuti. Il discorso sui ruoli femminili si colloca forse anch’esso a più livelli: da un lato dovremmo cercare di capire in quale ambito si svolgeva realmente la vita delle donne, dall’altro, ragionando sulle necropoli, quali messaggi si nascondono dietro i simboli che vengono usati nelle tombe. Sappiamo che il sistema funerario rappresenta un linguaggio simbo-

lico utilizzato per consolidare, trasmettere ma anche mo-dificare un sistema di valori, credenze, organizzazione ed è necessario essere cauti nell’interpretare le necropoli come una “fotografia” della società che le ha prodotte; tuttavia è compito della ricerca archeologica tentare di leggere que-sto sistema di simboli, di decodificarlo per quanto possibile; il linguaggio funerario infatti, pur filtrato da presupposti ideologici e simbolici, non è per questo meno significativo per il discorso che qui ci interessa. Che i ruoli femminili, anche quelli che nelle tombe si vo-gliono esprimere, siano meno uniformi e quindi più in-teressanti di quanto le stesse fonti antiche ci tramandano (Bartoloni, in questo catalogo, pp. 13-23) traspare dalle ca-ratteristiche, rilevabili con un’analisi dettagliata, delle sepol-ture femminili e delle differenze che affiorano in filigrana all’interno di un singolo contesto come Verucchio o ancor più mettendo a confronto contesti diversi. Ambiti tra loro non troppo distanti dal punto di vista geografico, culturale e cronologico come ad esempio il villanoviano bolognese e quello romagnolo mostrano significative differenze indivi-duabili anche con analisi non approfondite. Differenze più marcate si rilevano invece tra sfere culturali distinte. Si veda, ad esempio, quanto sia differente la situazione del Veneto presa in esame in questo catalogo da Giovanna Gambacurta e Angela Ruta Serafini (pp. 45-54) o le differenze rilevate da Patrizia Gastaldi (pp. 111-116) proprio per quanto riguarda la manifestazione dei ruoli femminili tra le comunità villano-viane e quelle indigene della Campania.Affinché il tentativo di decodifica dei codici sia il più tra-sparente possibile, il che vuol dire, scientificamente, verifi-cabile, occorre che dati e metodi siano entrambi conosciuti e dichiarati. In questa sede non è possibile rendere noti tutti i dati, ma vorrei almeno definire i criteri usati per risponde-re alle domande “chi erano le donne sepolte nelle necropoli villanoviane di Verucchio, quale immagine di loro possiamo riconoscere, quale attendibilità hanno le nostre ipotesi e in che misura le nostre interpretazioni possono condurci più avanti nel capire la vita reale delle donne, i loro ruoli o i loro poteri reali?”.Il lavoro si basa sull’analisi di quasi 500 corredi funerari

patrizia von eles72

Figg. 1-2 - Fibule con arco rivestito a segmenti d’ambra, Verucchio, tomba 23/2005 Lippi Fig. 3 - Fibula con arco rivestito a castoni e tarsie in osso e ambra, Verucchio, tomba 23/2005 LippiFig. 4 - Fibula a cavallino in bronzo, Verucchio, tomba 38/2006 LippiFig. 5 - Fibula con arco rivestito in pasta vitrea blu e gialla, Verucchio, tomba 38/2006 LippiFig. 6 - Perle da ricamo in pasta vitrea e ambra, Verucchio, tomba 38/2006 Lippi

Fig. 1 Fig. 2

Fig. 3

Fig. 4

Fig. 5 Fig. 6

73famiglie gentilizie e donne a verucchio

provenienti dalle quattro necropoli di Verucchio: Lavatoio, Moroni - Semprini, Le Pegge, Lippi1. Verucchio rappre-senta, tra il IX e la prima metà del VII secolo a.C., uno dei grandi centri dell’età del ferro italiana, che ha esercitato una significativa influenza nell’area dell’Adriatico centro-settentrionale (von Eles 2002, Malnati 2006). La crisi del-l’organizzazione sociale ed economica che faceva capo alle necropoli villanoviane, una “comunità gentilizio-clientelare preurbana” del tipo proposto da Renato Peroni (1989b) è in-fatti da porre ben prima della fine del VII secolo a.C.: man-cano infatti deposizioni databili alla metà del VII secolo a.C. e oltre. Con l’eccezione di un paio di sepolture molto povere rinvenute negli scavi Scarani in proprietà Gardini (area del-la Necropoli Lippi), gli unici rinvenimenti successivi, non sporadici, sono quelli da Pian del Monte dove attività rituali sono testimoniate nella seconda metà dell’VIII secolo dalla deposizione dei grandi scudi di bronzo e dove, nei pres-si del “pozzo” e della grande struttura edilizia adiacente, è stata ipotizzata la presenza di un’area sacra (von Eles et alii, 1997) abbandonata solo nel IV secolo a.C. L’area del luogo di culto di Pian del Monte rappresenta quindi l’unica loca-lizzazione a Verucchio in cui, al momento, vi sia continuità tra il periodo villanoviano e orientalizzante e le fasi succes-sive, un luogo aperto a presenze anche lontane con materiali provenienti dall’Etruria, dal Piceno, dalla pianura padana orientale e occidentale. Occorrerà quindi capire cosa abbia determinato la fine del “sistema” villanoviano di Verucchio, un collasso che avviene in maniera tutto sommato repentina e notevolmente in anticipo rispetto alla fondazione degli empori di San Basilio e di Adria (Malnati 2006, 87). Occor-re comunque ricordare come, a partire dalla fine del VII se-colo, con il ripostiglio di Forlì (Santarelli 1886) e le tombe di Russi (Morigi Govi 1971), è evidente la presenza di elementi “piceni” in Romagna; altri dati inducono a pensare che il Piceno subentri a partire da questo momento in ruoli svol-ti precedentemente da Verucchio: è il caso probabilmente della circolazione dell’ambra che diventa quantitativamente molto importante in Piceno a partire dal VII secolo, anche se non perdurano quelle sofisticate produzioni che hanno contribuito a mettere Verucchio al centro di una importante rete di relazioni (Boiardi et alii 2006, 1591).La prima fase dell’età del Ferro è documentata principal-mente nel sepolcreto del Lavatoio, ma notevoli elementi di continuità legano questa fase iniziale allo sviluppo suc-cessivo, ad esempio nell’uso esclusivo della cremazione e nella struttura delle necropoli. Il sepolcreto del Lavatoio, appare già articolato in gruppi intercalati da ampi spazi

vuoti2, secondo un modello riconosciuto anche nella Ne-cropoli Lippi (Boiardi, von Eles 1997). Proprio in ragione di questa continuità i dati di tutte le necropoli sono stati ana-lizzati complessivamente, tenendo conto tuttavia talvolta dell’orizzonte cronologico cui appartengono3. Con l’inizio della fase più avanzata, agli inizi dell’VIII secolo a.C., si coglie un’espansione della comunità verucchiese che porta ad un ampliamento significativo nell’uso di più sepolcreti4. La fase espansiva si conclude con il primo quarto del VII secolo e solo pochissime tombe, per di più molto povere, si possono attribuire ad un orizzonte di poco successivo. Già da tempo è stato sostenuto da chi scrive che le necro-poli di Verucchio fossero utilizzate esclusivamente da grup-pi selezionati (von Eles 1999). Questa ipotesi, basata finora principalmente sulle caratteristiche di molti corredi, pare confermata anche da prime valutazioni di carattere demo-grafico. Congetture sulla consistenza numerica dei gruppi che utilizzavano i sepolcreti possono essere al momento solo molto generiche, poiché nessuna necropoli è stata scavata in maniera completa e neppure ne sono stati definiti i limiti. Si possono tuttavia avanzare delle ipotesi preliminari a par-tire soprattutto dalla Necropoli Lippi, quella esplorata più estensivamente. I calcoli sono basati sul numero di individui riconosciuti5 e sull’indice di mortalità presumibile per comu-nità preurbane (Acsádi, Nemeskéri 1970; Weiss 1973). Per il periodo di maggiore sviluppo, compreso tra la metà dell’VIII e il primo quarto del VII secolo a.C., al quale si possono ri-ferire, nella necropoli Lippi, circa i due terzi degli individui, si può calcolare intorno alle 60 persone6 la consistenza del gruppo che utilizzava la parte di necropoli che è stata finora scavata; numero che si deve probabilmente raddoppiare ri-tenendo che l’area occupata dall’intera necropoli, sulla base delle indicazioni disponibili anche di vecchi rinvenimenti, fosse circa del doppio di quella indagata7. Per le altre necro-poli non vi sono sufficienti elementi per questo tipo di valu-tazioni; tuttavia anche supponendo estensioni simili a quelle della Necropoli Lippi si avrebbe una popolazione di qualche centinaio di persone (inclusi i bambini) suddivise in almeno quattro gruppi distinti. Ciascuno rappresenta un gruppo gen-tilizio al cui interno sono riconoscibili articolazioni di rango e probabilmente distinzioni di ruoli; alcune sepolture maschili e femminili, di adulti e di bambini, talvolta vicine tra loro, manifestano un livello di “ricchezza” tale da farle definire principesche. Molti oggetti hanno una intrinseca “preziosità” dovuta al materiale - oro, argento, bronzo, ambra (figg. 1, 2, 3, 4), pasta vitrea (figg. 5, 6)8 - e alla estrema raffinatezza delle lavorazioni; pare evidente che i personaggi che dispongono di

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tali beni e li usano (e li sacrificano) per segnalare il loro rango siano da considerare l’élite dominante, il cui potere e prestigio deriva dal controllo su una popolazione più numerosa, pro-babilmente non residente neppure sul colle di Verucchio ma distribuita su un territorio più esteso9. Un territorio situato in posizione strategica sia per le comunicazioni con l’Etruria e la pianura padana, sia per il controllo delle rotte adriatiche verso il Nord. Territorio che è certamente sotto il controllo diretto delle grandi famiglie aristocratiche, come dimostrano importanti sepolture, anche femminili, rinvenute in località decentrate rispetto al centro egemone. Si veda ad esempio la tomba di San Giovanni in Galilea che ha restituito uno splendido cinturone a losanga in bronzo (cat. n. 55) (fig. 7). Sotto il controllo dell’élite sono anche produzioni artigia-nali complesse, che richiedono grande specializzazione e contatti con ambiti esterni, in particolare produzioni me-tallurgiche10 (Micozzi 2001; Iaia 2005; von Eles 2006, 139) per le quali pare ipotizzabile una provenienza di stagno dall’Europa centrale (Giumlia Mair 2003)11 e soprattutto la lavorazione fortemente specializzata dell’ambra baltica, che sembra particolarmente legata al mondo femminile. Nel-

le tombe delle donne si concentra la maggiore quantità di ambra (Boiardi, von Eles 2003, Boiardi et alii 2006), e gli oggetti più complessi sono realizzati in esemplari unici (o a coppie) per alcune tombe particolari, evidentemente per soddisfare specifiche richieste; ciò può far pensare ad una qualche forma di controllo diretto delle donne sull’artigia-nato dell’ambra, particolarmente significativo forse anche per le valenze “magiche” attribuite a questa preziosa ed eso-tica sostanza. Che i gruppi elitari avessero, anche formalmente, il controllo dei traffici e/o delle produzioni potrebbe essere testimoniato dalla presenza nella tomba A/1988 di un pendaglio - sigillo (Cat. n. A16) che trova confronti in Grecia, e in particolare a Tegea in tombe e santuari (Kilian-Dirlmeier 1979, 40). Va osservato peraltro che, a differenza di quanto avviene in altri contesti contemporanei, ad esempio Este, non sono presenti nelle tombe strumenti da lavoro, a segnalare la partecipazione attiva alle lavorazioni da parte dei membri dell’élite.In un lasso di tempo molto breve sono riconoscibili più tom-be, o forse sarebbe meglio dire più nuclei, di tombe, “prin-cipesche”, il che dimostra una dinamica molto vivace all’in-

Fig. 7 - Cinturone a losanga in bronzo, San Giovanni in Galilea, località Ara Vecchia

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terno dei gruppi gentilizi composti anche da personaggi di minore rango. Di questi gruppi sono parte integrante, anzi numericamente prevalente, le donne. Alcune di queste don-ne erano ai vertici del gruppo sociale e certamente avevano una funzione importante anche nel quadro delle relazioni che le famiglie gentilizie intessevano all’interno e all’ester-no della comunità; il matrimonio rappresentava probabil-mente uno strumento attraverso cui si costruivano relazioni e alleanze. In questa prospettiva, oltre che come semplice indicazione di appartenenza ad un gruppo familiare ricco e potente, si possono interpretare alcune tombe di bambine che includono nei corredi non solo indicatori di “ricchez-za” ma anche insegne di rango, ad esempio il trono (tomba Moroni 26/1972)12. Tuttavia i modelli di trasmissione degli elementi culturali vanno approfonditi e messi in relazione a situazioni storiche determinate e al tipo di struttura sociale: l’ipotesi, piuttosto diffusa, di una circolazione di elementi culturali legata alla mobilità delle donne (Bartoloni 1989), andrebbe verificata partendo dai dati specifici.Si può fare un esempio a partire da alcune osservazioni sui rapporti tra Verucchio e Novilara sui quali molto è stato scritto (Gentili 1992; Bergonzi 1992; Colonna 1985). Da un lato a Verucchio mancano del tutto gli elementi particolari dell’abbigliamento femminile di Novilara (le tipiche collane con pendagli pentagonali e trapezoidali, le cinture di anel-lini e gli anelloni in ferro), dall’altro elementi particolari del costume femminile di Verucchio, ad esempio i cinturoni di lamina rettangolari, continui o con dischi traforati, non sono presenti a Novilara (in questo catalogo vedi Iaia, pp. 25-36 e Bergonzi pp. 87-96). Anche nella sfera dei lavori femminili ci sono differenze significative presumibilmente legate a modalità d’uso diverse per strumenti simili come i cosiddetti “rocchetti”, che presentano nelle due località dif-ferenze di carattere non formale ma funzionale13. Poiché, proprio per le ragioni sopracitate, è poco probabile che le donne non si spostassero dalla loro comunità bisogna pen-sare che le donne di Verucchio o di Novilara, se e quando entravano a far parte di una nuova comunità, non mante-nessero né il proprio “costume” né il modo di lavorare né i relativi utensili.Ma quale può essere la spiegazione di ciò? Motivazioni so-stenibili si possono proporre pensando ad una situazione simile a quella prospettata da Claudine Leduc per la Grecia omerica, di una società organizzata “per case separate” ov-vero “comunità territoriali in cui l’inserimento delle persone è consustanziale alla disponibilità di una residenza e di un lotto di terra e che costituiscono unità di filiazione unilinea-

re” (Leduc 1995, 249). Nel modello proposto dalla Leduc se esistono figli maschi questi mantengono la linea di discen-denza della casa, in cui vengono accolte le nuore, mentre le figlie femmine vengono mandate a fare le madri presso un’altra casa: matrimonio da nuora (Penelope). In assenza di figli maschi, la “casa si perpetua” integrando dei generi: matrimonio da genero (Ulisse /Nausicaa; Bellerofonte /Filo-noe). In entrambi i casi il coniuge mobile viene incorporato nella casa e diventa un consanguineo. Nell’analisi dei te-sti omerici la Leduc osserva che, nel caso del matrimonio da nuora, lo sposo offre alla sposa hedna (bestiame) e dora (gioielli stupendi: velo ricamato, collana, diadema etc.) e la sposa riceve dal padre i keimelia (beni mobili); nel caso del matrimonio da genero (il padre della sposa aggiunge alla figlia beni immobili e nel momento stesso in cui rinuncia agli hèdna (bestiame = beni mobili del genero) propone un dispositivo matrimoniale che esclude la mobilità della spo-sa, la residenza patrivirilocale e il “possesso” della donna e dei figli, che diventano gli eredi della casa. La realtà archeo-logica documentata a Verucchio e Novilara, e in particolare l’assenza di elementi del costume14 (o dei modi di lavorare tessuti e filati) esterni alla tradizione locale, si adatta forse bene ad un modello di questo genere, in cui alle donne, en-trate a far parte dell’ “oikos” a seguito di un matrimonio “da nuora” si richiedeva evidentemente di adottare in toto, an-che a livello simbolico, costumi e simboli del nuovo gruppo di appartenenza (i dora di cui sopra?); l’assunzione di tali oggetti simbolici “nuovi” potrebbe essere stata anche “faci-litata” dalla acquisizione degli oggetti distintivi del ruolo di donna adulta in coincidenza con il passaggio di statuto delle ragazze al momento del matrimonio, probabilmente colle-gato a riti che sottolineavano la completa rottura con la sua “casa” di appartenenza (Bruit Zaidman 1995, 407).Ci si può domandare tuttavia se il ruolo femminile fosse esclusivamente quello di garantire la continuità del gruppo gentilizio o se non sia possibile pensare ad una realtà più articolata. Che alle donne di Verucchio, nell’ambito delle famiglie gentilizie riconoscibili nella fase di pieno VIII se-colo a.C., fosse attribuito un ruolo di grande rilievo risul-ta evidente da un lato per la presenza di un gran numero di indicatori di rango, non solo legati alla sfera femminile come gioielli, abiti sontuosi, o ricchi strumenti da tessitu-ra, dall’altro per l’esistenza di “gruppi” di tombe che com-prendono sepolture femminili dotate di particolari attributi (tombe Moroni 22-23-24-26). Altre tombe femminili si ca-ratterizzano per una struttura particolarmente complessa: nella Necropoli del Lavatoio le tombe con rivestimento in

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ciottoli sono in maggioranza femminili e ciò già in una fase piuttosto antica (ad esempio Fondo Ripa, tomba 45). Le tombe femminili possono essere riconosciute sia at-traverso analisi antropologiche delle ossa, che con metodi archeologici. L’uso esclusivo di alcuni elementi funzionali e alcune fogge di ornamenti era probabilmente abbastanza generalizzato anche se ciò va verificato per ogni contesto; a Verucchio la pertinenza è stata determinata in base al fatto che alcune categorie di oggetti o ornamenti si escludono a vicenda e l’attribuzione di genere trova conferma, quando esistono, nei dati antropologici; appartengono esclusiva-mente ai corredi femminili, orecchini, collane e strumenti

per filare e tessere; maschili sono invece le armi e le fibule ad arco serpeggiante15. Integrando i dati archeologici con un buon campione (ol-tre il 30%) di analisi morfologiche delle ossa (Onisto 2002) risulta che le donne rappresentano una percentuale che si avvicina al 60%, mentre la percentuale maschile, potrebbe essere valutata intorno al 30%.16 Una analoga differenza in percentuale si verifica per quanto riguarda le deposizioni infantili. Le regole che riguardano la sepoltura dei bambini non sono chiare. Nelle comunità preurbane le situazioni più frequenti sono sostanzialmente due: in alcuni casi l’esclu-sione dei bambini è pressoché totale, in caso contrario la

Fig. 8 - Particolare della decorazione del trono dalla tomba di Verucchio, 89/1972 Lippi, con rappresentazione di donne davanti ad una casa

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percentuale attesa, in ragione della mortalità infantile, è di almeno il 50% (Morris 1987, 58); è stato osservato tuttavia che l’indice di mortalità infantile potrebbe essere stato so-vrastimato nel caso di situazioni che portassero gli adulti ad abbandonare le comunità (Sjøvold 1987, 9).A Verucchio, o meglio nelle Necropoli Lippi e Moroni, per le quali è possibile affrontare questo discorso, la percentuale delle tombe infantili17 si colloca intorno al 27%18 di cui la grande maggioranza sono bambine, a cui in molti casi viene riconosciuta la dignità di una sepoltura individuale, talvolta con rituali o oggetti particolari. Situazioni in cui i subadulti sono deposti all’interno delle necropoli, ma con percentuali anche notevolmente inferiori a quelle previste, non sono pe-

raltro ignote: nei nuovi scavi a Tarquinia la per-centuale dei bambini morti prima dei 12 anni è di

circa il 13% (Trucco 2006, 96). Se la bassa percentuale di uomini potrebbe trovare spiegazione in una forte mortalità lontano dalla sede di origine, dovuta, per esempio, all’attività bellica, è difficile al momento spiegare la scarsa presenza di bambini maschi. Ipotesi di non caratterizzazione ses-

suale o anche di attribuzione all’universo femminile dei bambini piccoli (per un uso di questo tipo

in Slovenia cfr. Iaia, in questo catalogo p. 31)19, contrastano con l’attribuzione ad alcuni infanti di corredi maschili molto caratterizzati, che comprendo-

no anche armi (Lippi 57/1972; Gentili 2003, 258)20.

L’individuazione dei bambini è avve-nuta quasi sempre sulla base dei dati

antropologici dal momento che a Veruc-chio, a differenza di quanto succede

ad esempio nelle necropoli villa-noviane di Bologna, è molto raro trovare oggetti che, per tipologia o dimensioni, possano essere attri-

buiti con certezza a bambini. Le carat-teristiche delle sepolture infantili pos-sono quindi essere riferite ai casi in cui

i bambini vengono sepolti da soli, mentre rimane incerta la attribuzione degli oggetti nel caso

di seppellimento con adulto/a, specie dello stesso sesso. Tra i corredi femminili di Verucchio si colgono differenze in parte dovute alle modifiche che, nel corso di circa due secoli, coinvolgono i gruppi che utilizzano le necropoli, ma anche ri-feribili a donne che hanno vissuto nello stesso arco di tempo: differenze che si colgono già nella fase più antica nella necro-poli del Lavatoio. Qui le tombe femminili, oltre a presentare una struttura complessa, cui si è già accennato, si articolano in gruppi distinti sulla base della presenza o mancanza di fusaio-le o rocchetti e di diversi ornamenti per la persona e gli abiti. I corredi femminili, come è ampiamente noto, sottolineano con evidenza l’attività delle donne legata alla tessitura, ma c’è da chiedersi se al di là del significato apparente e tramanda-to dalle fonti (la tessitura come attività-simbolo dell’univer-

Fig. 9 - Ricostruzione grafica dei telai verticali rappresentati sul trono della tomba di Verucchio, 89/1972 Lippi (dis. A. Mignani)

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so femminile e del legame con la casa (fig. 8), con il mondo chiuso dell’ambiente domestico, in cui le donne devono re-stare) non si nascondano altri messaggi legati a valenze più profonde, ad un linguaggio e a saperi femminili “segreti”. La connessione tra le donne e la scrittura (che le fonti anti-che cui normalmente si fa riferimento non ricordano mai!) è ormai un fatto acquisito, dimostrata nelle fasi più antiche da numerosi rinvenimenti di esempi di scrittura in tombe fem-minili e in particolare su oggetti come rocchetti o fusaiole (Bagnasco 1999); basti ricordare che l’ iscrizione in alfabe-to greco dalla tomba 482 di Osteria dell’Osa, la più antica nota attualmente in Italia, databile agli inizi dell’VIII a.C. (Bietti Sestieri 1992, 686; Bartoloni, Delpino 2005, 477-487) viene da una tomba riferibile probabilmente ad una donna, su un vaso destinato alla filatura (Ridgeway 1996)21. Un’altra testimonianza tra le più antiche di uso dell’alfabeto viene da Bologna, su un vaso che fa parte del corredo (anche in questo caso femminile) della tomba Benacci Caprara 21, da-tabile alla prima metà dell’VIII secolo (Tovoli 1989, tav. 21, 1; Colonna 2003; Colonna 2005). Il tema dei lavori femminili legati alla produzione di tessuti, è stato di recente affronta-to anche inserendoli nel quadro dell’organizzazione del la-voro in Grecia attraverso le rappresentazioni iconografiche sulla ceramica (Vidale 2002), tema questo che, pur difficile e sfuggente, andrà affrontato anche per l’Italia. Molti, non

Fig. 10 - Rotella per fuso, Verucchio, tomba 21/1969 Moroni

Fig. 11 - Rappresentazione grafica della funzione dei rocchetti nella tessitura a tavolette (Dis. L. Ræder Knudsen)

Fig. 12 - Rocchetti di diverse dimensioni, Verucchio, tomba 4/1970 Le Pegge

Fig. 10 Fig. 12

Fig. 11

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solo archeologi (Scheid, Svembro 1994; Rigotti 2002), han-no collegato, anche con richiami ad una sottesa “struttura del pensiero” (Bagnasco 1999, 85), la tessitura alla pratica della scrittura o almeno alla funzione di tramandare antiche tradizioni e saperi. Umberto Galimberti22 ha scritto: “… il testo che la scrittura compone viene dal latino textum che si-gnifica tessuto, in cui è possibile scorgere le due componenti della tessitura, misteriose, enigmatiche, se è vero che tramare e ordire esprimono ad un tempo la cadenza della natura che tesse il filo della vita e le scansioni della storia che ribolle di

congiure e sinistri disegni”. (Galimberti 2005). In questa prospettiva la sottolineatura delle attività legate alla tessitu-ra e alla filatura, che si manifesta nei corredi funerari assu-me una luce diversa da collegare anche ad altre espressioni. Le scene di tessitura rappresentate sul trono di Verucchio (von Eles, Boiardi 2002), sul tintinnabulo di Bologna (Cat. n. 135) o sul vaso di Sopron (Cat. n. 138) non rappresenta-no solo scene di “lavoro” femminile ma vanno ricondotte alla sfera della sacralità e della ritualità, un ambito al quale si collegavano numerosi culti, atti, obblighi rituali, diffusi

Fig. 13 - Sonagli da bardatura tipici delle tombe femminili,

Verucchio, tomba 11/2005 Lippi

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in ambienti diversi, che comportano, ad esempio, offerte di tessuti alle divinità (tessitura annuale del peplo di Atena) o la necessità per la fanciulla romana di tessere da sola la propria tunica nuziale. Il telaio rappresentato sul trono di Verucchio (fig. 9) deve la sua struttura particolare a motivi che non possono essere di ordine funzionale (Boiardi, von Eles 2002, 265); inoltre il motivo della barca solare, con ai lati figure di uccelli, collegabili ai soprastanti simboli solari (ruote traforate), potrebbe far supporre legami tra l’attività di tessitura e la sfera religiosa (cfr.p. 151).Nel tentativo di andare oltre il significato immediato, oltre la “fotografia della realtà” per capire le dinamiche nascoste proprie del mondo femminile sono state scelte come filo conduttore, tra le tante possibili, proprio le manifestazioni legate alla tessitura: in questo campo infatti è evidente che

da un lato esiste una attività reale organizzata, riconosciuta e riconoscibile, che tuttavia in sé contiene messaggi e significa-ti profondi, dall’altro la valenza simbolica si manifesta nella scelta del tipo di oggetti, nell’essere questi funzionali o meno (conocchie e fusi in ambra, fusaiole in pasta vitrea probabil-mente troppo leggere per essere efficaci) e nella attribuzione di strumenti alle bambine. La distinzione dei vari momenti e aspetti delle attività legate alla tessitura e la possibilità di individuare ruoli differenziati passa attraverso l’esatto riconoscimento della funzione degli oggetti, cosa di per sé complicata che può essere affrontata sia con verifiche sperimentali che con uno studio attento della loro posizione nelle tombe a inumazione, evidente-mente non possibile a Verucchio. Dobbiamo inoltre tenere presente che, evidentemente per scelte di linguaggio, alcune

Fig. 14 - Asce in bronzo al momento del rinvenimento, Verucchio, tomba 23/2005 Lippi

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attività come la cardatura o la torcitura della lana carda-ta, preliminare alla filatura e frequentemente rappresentata nella ceramica greca, non sono documentate nei corredi, o per lo meno non in maniera chiara. E’ possibile infatti che a questa attività facessero riferimento i cesti (equivalenti dei kalathoi?) che in alcuni casi accolgono gli ossuari23. Possiamo comunque distinguere gli oggetti utilizzati nell’at-tività di filatura (conocchie, fusi24, fusaiole, rotelle da fuso (fig. 10) mentre molto sfuggente è l’attività al telaio, peraltro documentata sul trono ligneo (von Eles 2002). La tradizio-nale interpretazione dei rocchetti come utensili legati alla tessitura a telaio è infatti da ripensare: la forma dei rocchetti non si presta ad avvolgere una quantità di filato sufficiente per tessere a telaio, mentre è stato dimostrato sperimental-mente che oggetti di questo tipo sono assai funzionali alla “tessitura a tavolette”, per tenere tesi i fili dell’ordito (fig. 11), non particolarmente lunghi (Ræder Knudsen 2002). Que-sta interpretazione non convenzionale può creare qualche perplessità ma sembra avvalorata dal fatto che negli scavi di insediamento in cui la presenza di telai nelle case è se-gnalata dal rinvenimento di pesi, solo raramente pesi e roc-chetti vengono rinvenuti negli stessi ambienti come sarebbe normale se due tipi di utensili fossero utilizzati nell’ambi-to della medesima attività25. Non si può inoltre escludere che anche le fusaiole potessero essere usate con la mede-sima funzione in alcuni casi o contesti; la deposizione di un numero elevato di esemplari, molto rara a Verucchio26, potrebbe essere in relazione ad altri strumenti, ad esempio di piccoli telai come quello rinvenuto nella tomba Moroni 24/1969 confrontabile con simili oggetti rappresentati sul-la ceramica Greca (Vidale 2002) e forse anche sul Vaso di Sopron. Anche le misure e il peso di fusaiole e rocchetti (fig. 12) andranno valutati sistematicamente, essendo state dimostrate differenze nella deposizione in relazione all’età della defunta; è anche probabile che un’attenta analisi della presenza delle varie classi di oggetti riveli mutamenti degli usi nel tempo, come dimostrato nel Lazio nella necropoli di Osteria dell’Osa, dove le fusaiole diventano meno frequenti nelle fasi più tarde (Bietti Sestieri 1992, 309-314).E’ anche possibile che esistessero diverse tradizioni culturali dal momento che si possono rilevare notevoli differenze tra contesti diversi. Nel bolognese, ad esempio, è molto fre-quente l’uso di deporre nella tomba una serie, a volte anche numerosa, di fusaiole; talora esse appartengono a tipologie molto diverse, anche cronologicamente; un esempio può essere rappresentato da una tomba di Casalecchio27 dove qualche esemplare, tra cui uno in pietra levigata, potrebbe

avere una funzione diversa in relazione al peso. Tuttavia, per la maggior parte dei pezzi, questo elemento non ha grandi variazioni: si potrebbe ipotizzare che in casi come questo si intendesse segnalare, attraverso gli strumenti, come la de-funta avesse ereditato, forse da donne della sua famiglia, un prezioso patrimonio di conoscenze e abilità.La tessitura a tavolette (Ræder Knudsen 2002) utilizza altri strumenti: forcella per tessere in bronzo (Cat. n. 129), di-stanziatori per i fili, o “battitori” piatti di piccole dimensioni, probabilmente normalmente in legno, o in osso nelle tombe di maggiore ricchezza. L’analisi dei corredi di Verucchio mostra come le donne si dividessero in più gruppi: uno di questi più numeroso (127 individui) è dotato di strumenti per la filatura, l’altro gruppo

Fig. 15 - Stele in pietra con rappresentazione di casa, Bologna, tomba San Vitale 793

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(98 individui) ne è privo. In entrambi i gruppi una parte delle donne (36% delle filatrici e 24 % delle non filatrici) ha in dotazione anche rocchetti e/o altri strumenti per la tessi-tura a tavolette e anche in questo caso la distinzione non è correlata all’età. Il numero dei rocchetti potrebbe segnalare una maggiore abilità vera o presunta (bambine) dato che il loro numero sarebbe legato al numero di tavolette utiliz-zate e quindi al numero di fili dell’ ordito. Le presenze di rocchetti riguardano in maggiore percentuale le tombe di filatrici e questo gruppo ha anche la maggiore percentuale di casi con un numero di rocchetti superiore a 1028.Anche se la determinazione antropologica non è in grado di fornire indicazione molto precise, essa è sufficiente ad escludere che la distinzione tra i due gruppi sia basata sul-l’età poiché in entrambi sono presenti donne adulte, giovani e bambine29 anche piccole (meno di 3 anni). In entrambi i gruppi compaiono, con percentuali pressoché equivalen-ti, sepolture con un costume più semplice privo di collane e orecchini appartenenti in gran parte a tombe giovanili o di bambine. Il tratto che accomuna tutte le bambine è che nessuna di esse viene deposta con l’ascia ma, altrimenti, dif-ferenze probabilmente significative riguardano proprio le bambine: nel caso del gruppo senza strumenti da filatura il loro costume sembra costantemente diverso da quello delle donne adulte. Tra le “filatrici” invece non vi sono sostanziali differenze di costume tra adulte e bambine, ma solo due tombe infantili sono tra quelle che oltre alle fusaiole hanno anche fusi o conocchie in bronzo o ambra.La distinzione tra “filatrici” e non filatrici” non è neppure una netta distinzione di rango: indicatori come la vestizione del cinerario, l’uso di letti funebri decorati (individuabili, pur se combusti, grazie alle applicazioni in osso che si con-servano), o del carro, sono presenti in entrambi i gruppi, seppure in maniera più accentuata tra le filatrici, tra le quali sono documentati gli unici casi di cinerari di bronzo; an-che la verifica della appartenenza ai vari gruppi di sepolture, riconducibili a famiglie diverse, non dà risultati significati-vi. D’altronde, seppure riferita ad un mondo diverso quale quello della Grecia tra VI e IV secolo a.C., è interessante l’osservazione di Vidale circa il fatto che donne di rango diverso sembrano svolgere lo stesso lavoro.Si può quindi prospettare l’ipotesi che la distinzione dei due gruppi, nella simbologia del corredo funebre, riguardi pro-prio un ambito che non ha a che vedere con parametri che potremmo definire “sociali” ma con ruoli e funzioni interne al mondo esclusivo delle donne e che distinguevano alcu-ne donne dalle altre. Distinzioni trasversali al punto che il

costume delle donne adulte non sembra diversificarsi e che anche le asce, certamente legate alla sfera del sacro e forse anche a quella del potere, si trovano in entrambi i gruppi di donne. Si potrebbe ipotizzare che la mancanza dei riferi-menti diretti al lavoro al telaio possa essere collegata ad una valenza di questo strumento legata più alla “casa” che alla singola donna, e ad una distinzione tra attività individuali segnalate da oggetti di stretta pertinenza individuale (fusi, fusaiole, attrezzi per la tessitura a tavolette) e attività che le donne svolgevano insieme nella casa in una dimensione per cosi dire “collettiva” e che perciò stesso non vengono segna-late a livello funerario30. La distinzione più sopra indicata tra tessitura a telaio e tes-situra a tavolette non è quindi irrilevante e le due attivi-tà non sono equiparabili. Il lavoro al telaio comporta una organizzazione particolarmente complessa, non solo per le vere e proprie fasi della lavorazione, ma anche per l’approv-vigionamento delle materie prime (filati, pigmenti) che ri-chiedeva, fra l’altro, l’impiego di risorse non indifferenti. È quindi particolarmente significativo che l’uso del telaio (e il controllo di tutte le attività a esso collegate) sia così sfug-gente nel rituale funerario. Un altro elemento che sembra avere notevole peso nella vita delle donne è il carro il cui uso, a partire dalla metà dell’VIII secolo, è segnalato molto frequentemente31, anche in tombe non particolarmente prestigiose. I carri da trasporto32 usati dalle donne avevano bardature particolari che non si trova-no nelle tombe maschili (fig. 13). Ritengo che la frequenza dei carri segnali un uso effettivo33, non limitato come talvol-ta si ritiene, all’ occasione della cerimonia nuziale, simboli-camente ripresa per il viaggio nell’al di là. Penso invece che la deposizione del carro sia il simbolo della partecipazione a quel mondo “esterno” a quel “fuori” che l’immaginario maschile codificato nelle fonti vuole precluso alle donne. Una partecipazione confermata dalla rappresentazione sul trono della tomba 89: una donna che si reca ad una cerimo-nia pubblica su un grande carro a quattro ruote, guidato da un auriga, trasportando anche oggetti (simulacra) o persone (prigionieri/vittime) necessarie allo svolgersi di una ceri-monia i cui ruoli principali sono gestiti da figure femminili (Boiardi von Eles 2002, vedi oltre in questo catalogo p. 151). Le donne dunque avevano un ruolo che certamente riguar-da l’ambito dei culti, in cui la presenza femminile permane anche in ambiti e momenti più tardi quando ormai il potere maschile ha effettivamente rinchiuso le donne nella casa. Nella prima età del ferro a Verucchio, e forse più in generale in Italia, questo ruolo riguarda anche altri ambiti, se è vero

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che l’ascia è indicatore di potere non solo nella sfera religio-sa. E l’ascia è presente a Verucchio in ben 14 tombe femmi-nili (fig. 14)34, tutte della fase di massimo sviluppo, che solo in pochi casi manifestano nel corredo indicatori di altre di-stinzioni come vasellame bronzeo da banchetto, o elementi ornamentali dell’abito particolarmente ricchi. Il vasellame da banchetto, normalmente in ceramica, più raramente in bronzo, è presente con grande frequenza nelle tombe fem-minili, con maggiore varietà di forme e decorazioni rispetto alle tombe maschili. Per comprendere se questa parte del corredo sia legata alle cerimonie funerarie e quindi al mon-do dei vivi (uomini e/o donne?) occorre poter distinguere fra ciò che viene incluso nella tomba come corredo perso-nale dei defunti, ciò che viene sacrificato con loro e ciò che invece viene deposto al termine delle cerimonie: sono dati al momento disponibili solo in rari casi. Uno di questi ri-guarda la tomba 32, scavata nel 2006, con tavolo allestito per banchetto deposto integro all’interno della tomba, destina-to evidentemente, come già per la tomba maschile 85/1972, all’uso da parte della defunta nella vita ultraterrena. Le don-ne di Verucchio non sembrano svolgere un ruolo particolare nella gestione della carne: mancano infatti i grandi coltelli che segnalano questa funzione. In altre zone, ad esempio il Lazio protostorico, si ritiene che la gestione di tale pri-vilegiata risorsa alimentare, il cui consumo unifica la sfera privata e quella religiosa, fosse prerogativa delle donne ap-partenenti alle classi sociali elevate (cfr. in questo catalogo De Santis p. 108); in Italia meridionale differenze notevoli si possono cogliere a questo riguardo tra gruppi culturali diversi (cfr. in questo catalogo Pacciarelli, p. 120).Riassumendo abbiamo visto come il ruolo delle donne dei gruppi gentilizi di Verucchio, espresso con un linguaggio simbolico di cui non sempre riusciamo a comprendere i si-gnificati, si manifesti in settori in cui la presenza femminile

non è scontata: dalle richieste di oggetti particolari indi-rizzati agli artigiani che lavorano nella più sofisticata delle produzioni, quella degli oggetti in ambra, al controllo delle attività legate alle produzioni di tessuti, che rappresenta-no non solo uno dei “beni” di maggior valore ma anche un indicatore di prestigio nell’ambito della rete di scambio di doni, alla partecipazione e gestione di attività rituali svolte in spazi pubblici, all’esercizio di poteri forse anche di natura “civile” o “politica” come dimostrano oggetti simbolicamen-te legati al potere: troni35, asce, carri.E’ una situazione che non sorprende considerato che sono ben noti contesti italici dell’ VIII secolo a.C., come la tomba 2 dell’Olmo Bello di Bisenzio, per cui si può ipotizzare l’as-sunzione diretta di ruoli di primo piano (Pacciarelli 2002). Anche a Verucchio sembra di riconoscere una situazione in cui le donne tengono a esprimere simbolicamente la sfera in cui ciascuna effettivamente agisce, sottolineando le dif-ferenze nei loro ruoli, e possiamo ritenere probabile che i ruoli che le donne svolgevano in questo importante centro dell’Italia adriatica nell’VIII secolo a.C. andassero ben oltre quello di “signora della casa”: è probabile che il loro presti-gio non derivasse esclusivamente dai legami con eminen-ti membri maschili delle comunità di appartenenza, bensì dallo svolgere in proprio ruoli rilevanti, probabilmente col-legati alla sfera del sacro, ma forse anche alla sfera politica. Può essere utile anche ricordare che la stele di San Vitale 793 (fig. 15 ), forse la più antica stele figurata bolognese, con riproduzione di una casa, simbolo dell’oikos e del controllo su di essa, e quindi anche su un territorio ad essa afferente, viene da una tomba che, per la presenza di un orecchino, va con tutta probabilità ritenuta femminile.

Patrizia von ElesSoprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna

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NOTE

1 Il livello di informazioni che abbiamo è molto diverso, da notizie molto sommarie sugli scavi ottocenteschi al Lavatoio a informazioni molto dettagliate, ma ancora in corso di elaborazione, per i nuovi scavi Lippi 2005-2006. Tuttavia il minuzioso lavoro di catalogazione, la disponibilità della documentazione di scavo di Gentili (Gentili 2003) e la conservazione di un buon numero di resti ossei permettono molte osservazioni.

2 Nel quadro del lavoro condotto sulla Necropoli del Lavatoio e di prossima pubblicazione l’analisi topografica del sepolcreto verrà condotta da Angiola Boiardi e Paola Poli. Il gruppo di lavoro è costituito, oltre che da chi scrive, da Carlotta Bendi, Laura Bentini, Angiola Boiardi, Stefany Mambelli, Paola Poli e Tiziano Trocchi. Ringrazio in particolare Carlotta Bendi per il lavoro svolto insieme sui corredi femminili del Lavatoio dal quale hanno origine alcune delle considerazioni svolte in questa sede.

3 E’ in preparazione l’elaborazione di tabelle di associazioni basate sulle presenze in tutti i corredi e una tipologia “sottile” e completa dei materiali, come strumento per giungere ad una seriazione interna del villanoviano di Verucchio, enucleando fasi distinte grazie all’ indivi-duazione dei tipi di nuovo inserimento in un patrimonio formale che, dalla metà dell’VIII fino al primo quarto del VII secolo a.C., vede il perdurare nell’uso di molti tipi. Per il momento ci si attiene ad uno schema cronologico abbastanza generico, ma probabilmente sufficiente per lo scopo di questo contributo, che distingue il momento iniziale di IX secolo a.C (corrispondente in termini di seriazione bolognese alla fase 1B), una fase di ampliamento delle necropoli Lippi e Moroni nella prima metà dell’VIII secolo (Bologna 2A), e l’orizzonte di pieno sviluppo delle manifestazioni villanoviane a Verucchio che include la seconda metà dell’VIII secolo e il primo quarto del VII (Bologna 2B, Bologna 3A).

4 Ciò pare testimoniato da un confronto tra le due necropoli indagate su maggiore superficie e che hanno restituito un maggior numero di sepolture: la Necropoli Lippi, con 337 individui riconosciuti, ha circa il 3% di tombe di prima fase, mentre nella Necropoli del Lavatoio la fase iniziale è documentata dal 75% su 129 sepolture. Dato che non sembra che il modello principale di utilizzo delle necropoli fosse quello di una “stratigrafia orizzontale” pare effettivamente probabile che dopo una fase nel IX secolo, in cui la necropoli del Lavatoio è quella principalmente utilizzata, si assista ad una articolazione della comunità in più gruppi distinti, che utilizzano diverse aree sepolcrali e sono forse collegati a diverse aree di insediamento. Che si tratti di uno sviluppo, con la creazione o almeno l’estensione di nuovi sepolcreti, e non di un trasferimento è testimoniato dal fatto che la necropoli del Lavatoio continua ad essere utilizzata, con la deposizione di tombe anche di notevole livello e con la definizione di nuove aggregazioni.

5 Il numero degli individui “riconosciuti” è più alto del numero delle tombe: vengono calcolate individualmente anche le presenze in deposi-zioni doppie o plurime. Il dato tiene conto dei dati antropologici e delle indicazioni archeologiche: vengono considerate doppie le sepolture in cui sono presenti oggetti considerati esclusivi di sessi diversi. Esiste un margine di errore dovuto alla possibilità che la presenza di oggetti dell’altro sesso sia dovuta ad offerte, in particolare nel caso di oggetti isolati o di situazioni particolari (cfr. note 12 e 20).

6 Questo numero è ottenuto utilizzando la formula proposta da I. Morris (1987, 74) per le necropoli che includono sepolture infantili: le necropoli di Verucchio presentano infatti tombe di bambini topograficamente non distinte da quelle degli adulti. Gli individui riconosciuti sono 337, di cui riferibili al periodo tra la fase IIB e la fase IIIA (indicativamente metà VIII – inizi VII secolo a.C) circa 225, indice di mortalità calcolato 25.

7 Si tratta di valutazioni naturalmente molto imprecise, anche perché, come noto, la distribuzione delle tombe non è uniforme: nell’area indagata da Brizio, Scarani e Gentili, la densità delle tombe nei vari gruppi è molto differenziata e sussisterebbero larghe zone vuote. Le nuove campagne di scavo 2005-2006 hanno interessato una superficie piuttosto limitata, a valle di un gruppo di tombe esplorato da Gentili nel 1970, che ha rivelato una fortissima concentrazione di sepolture (oltre 40) in una situazione stratigraficamente molto complessa a causa della instabilità dei terreni collinari.

8 La pasta vitrea sembra essere considerata ancora più preziosa dell’ambra ed è infatti assai più rara, almeno per quanto riguarda fibule e pendenti o elementi di collana di grandi dimensioni. Frequenti invece le piccole perle da ricamo.

9 Il territorio in cui si concentrano le testimonianze attualmente note, riconducibili al villanoviano di Verucchio, va dalla costa verso l’inter-no, fino, grosso modo, a San Marino; il rinvenimento più settentrionale è rappresentato da una sepoltura con carro da Longiano (Gentili 1986, von Eles 1999).

10 E’ probabile che molti oggetti di bronzo fossero elaborati e prodotti in loco, ad esempio le ciste o gli elmi (sia quelli conici che quelli ad altissima cresta con speroni (Iaia 2005, 94-103; von Eles 2006, 139).

11 In questa direzione sembrano indirizzare i risultati delle analisi sui materiali metallici di Verucchio, Imola e Bologna condotte e presentate a Londra (ad un Convegno tenuto al British Museum nel 2005) con Alessandra Giumlia Mair e Tiziano Trocchi.

12 Un caso molto particolare è rappresentato dalla tomba Lippi 102/1972, che oltre a un corredo assai ricco che contiene esclusivamente og-getti femminili, vede la deposizione, all’esterno del cinerario, di una spada frammentata (cfr. nota 20).

13 I “rocchetti” di Verucchio sono normalmente, come quelli del’Etruria tirrenica e di Bologna, subcilindrici con capocchie espanse e arroton-date, quelli di Novilara, come quelli di Pontecagnano in Campania, sono spesso più sottili, con estremità piatte e con un foro obliquo che denota una diversa modalità d’uso.

14 Solo pochissime tombe sembrano conservare, nella sfera personale, oggetti di origine “esterna”: tra queste la tomba 9 Le Pegge/1970, che ha alcune fibule ad arco rivestito (ma che hanno perso il rivestimento) di dimensioni inusuali per Verucchio.

15 Nei rari casi in cui una fibula serpeggiante compare in associazione con corredi femminili, l’analisi delle ossa indica la presenza di due individui.

16 Gli uomini identificati sono il 25% (percentuale che aggiungendovi anche gli individui non determinabili quanto a genere può aumentare dal 33 al 41%). Nel sepolcreto Moroni, con un numero inferiore di sepolture scavate, ma una percentuale maggiore di ossa analizzate, la

85famiglie gentilizie e donne a verucchio

situazione varia leggermente ma dà comunque il 45% di donne contro una percentuale maschile del 30%. 17 Calcolata sulla base delle tombe antropologicamente determinate.18 I bambini riconosciuti antropologicamente sono 40, di cui 25 con deposizione individuale: di questi 16 sono femmine; 16 bambini sono

sepolti con adulti. Il numero riguarda la totalità delle deposizioni infantili in tutte le necropoli e indipendentemente dalla cronologia. 19 Gli esempi sono numerosi e non sempre di segno univoco: si può citare anche il caso della tomba 86 della Necropoli di Fossa, appartenente

a un bambino di età compresa tra i 6 e i 9 anni, con spada e con pendaglio a pettine (normalmente attributo femminile) con valenza ibrida: utensili da toletta, strumenti da lavoro, amuleti (Cosentino et alii, 2001, 92-93; Camporeale 2003, 227).

20 Su questo problema molte questioni sono aperte in particolare riguardo alla deposizione di armi. La tomba Lippi 102/1972, sicuramente femminile, con ricco corredo, vede, deposta all’esterno della sepoltura, una spada. Si veda in questo catalogo (Bergonzi, p. 91) il caso della tomba femminile della necropoli Misericordia di Fermo. Tuttavia i risultati delle analisi antropologiche indicano l’appartenenza ad una bambina di età inferiore ai tre anni; la differenza rispetto ai corredi dei “piccoli guerrieri” risiede nel fatto che in questi casi le armi, per la loro collocazione all’interno della sepoltura, sembrano far parte del corredo appartenente al bambino stesso.

21 Il legame tra le donne e la scrittura è ben documentato anche successivamente dalla tavoletta scrittoria della tomba 2 di Marsiliana (Cat. n. 137 ) ancora più tardi, come ricordano G. Gambacurta e Ruta Serafini (cfr. p. 45) dai numerosi alfabetari e stili rinvenuti nel santuario della dea Reitia a Este.

22 U. Galimberti, Le trame delle donne, in La Repubblica delle donne, “Lettere”, 5 Marzo 2005, p. 310.23 Tombe Moroni 24 e 26 /1979 (Gentili 1985).24 Ritengo che molti oggetti spesso considerati conocchie (Bartoloni 1989, 43) non possano essere tali ma che sia corretta la precedente e

diffusa interpretazione come fuso. La conocchia, infatti, come mostrano le rappresentazioni disponibili, tra cui quella notissima del tin-tinnabulum bolognese (Cat. n. 135, figg. 3-4 a pg. 20-21), o quelle numerosissime sulla ceramica greca (Vidale 2002), deve essere tenuta in mano (o eventualmente appoggiata tra le ginocchia) e deve pertanto avere un “gambo” piuttosto lungo. La funzione di fuso della cosiddetta “conocchia a ombrellino” è dimostrata dalla posizione (con l’ombrellino in basso a svolgere la medesima funzione di accelerazione della rotazione che assume la fusaiola) rilevabile in tombe a inumazione dove la posizione degli oggetti fornisce indicazioni sulla modalità d’uso degli oggetti. Ad esempio si veda Veio tomba GG 6-7: Cavallotti Batchvarova 1967, 243, fig 95; Veio tomba KK LL 18-19: Close Brooks, 1963, fig. 105; Veio, tomba Yα: Fabbricotti et alii, 1970, 257-268, fig.45.a. Esistono tuttavia oggetti, particolarmente in materiali pregiati come l’ambra, il cui stato frammentario non permette di distinguere la funzione. La questione non è irrilevante all’interno di una analisi degli strumenti e dei sistemi di lavorazioni legate alla produzione di tessuti. Cade, infatti, la presunta contrapposizione tra la presenza del fuso e quella della conocchia che comunque evidentemente non sono legate a diverse attività (Torelli 1997, 59) mentre resta da analizzare la associazione di diversi tipi di fusi o conocchie. In particolare il fuso di bronzo, per le sue dimensioni ridotte parrebbe adatto per lavorare filati molto sottili (altrimenti ne “conterrebbe” troppo poco): ciò non contrasta con la presenza di questo tipo di fuso bronzeo in tombe di particolare spicco nelle quali segnalerebbe la prerogativa della defunta di provvedere lei stessa o controllare nella casa la produzione di filati molto pregiati, probabilmente risultanti da una doppia filatura.

25 Questo dato emerge anche in uno scavo recente di un insediamento villanoviano a Bologna, Via San Donato, dove pesi e rocchetti sono stati rinvenuti separatamente in strutture diverse.

26 Le poche tombe di Verucchio che hanno un numero elevato di fusaiole (5 tombe con oltre 10 pezzi) hanno in genere fusaiole prevalen-temente dello stesso tipo o di tipi abbastanza simili. Una spiegazione interessante, ma da approfondire, che vede rocchetti pesi e motivi decorativi su oggetti femminili come strumenti utilizzati per misurare il tempo, è stata avanzata da B. Teržan (Teržan 1999, 513-519).

27 Tomba 2 di Casalecchio, scavi Poppi: 18 esemplari.28 Le tombe di non filatrici con rocchetti sono 17 su un totale di 61 (28%), con più di 10 rocchetti 4 (7%); le tombe di filatrici con rocchetti

sono 44 (72%), quelle con più di 10 rocchetti sono 23 (38%); un piccolo gruppo, costituito da sole 6 tombe, ha solo rocchetti e strumenti per la tessitura a tavolette.

29 Le bambine sono l’8%.30 Sono grata ad Angiola Boiardi per le stimolanti discussioni su questo argomento; è evidente che l’ipotesi si riferisce esclusivamente alla

realtà di Verucchio, dato che, come già sottolineato, contesti diversi presentano situazioni differenti. 31 Su 264 donne 84 (32%) hanno elementi di carro o bardatura distribuite tra 29 non filatrici (11 % delle donne, 30 % del gruppo di non fila-

trici) e 45 filatrici (17 % delle donne; 37% delle filatrici). La presenza del carro è talvolta anche simbolicamente rappresentata da modellini fittili.

32 La presenza del carpentum, veicolo da trasporto, è dominante nelle tombe femminili, ma abbastanza frequente in tombe maschili, non solo di armati. Le tombe femminili non presentano mai elementi riconducibili ai carri da guerra, che peraltro sono molto rari qui anche nelle tombe maschili.

33 Tra l’altro dimostrato anche dalle tracce di usura riscontrabili spesso sui morsi. 34 La presenza dell’ascia in tombe femminili è piuttosto rara ma non sconosciuta nei contesti dell’età del ferro italiana (si veda ad esempio

Veio, tomba OP 4-5: Bartoloni, Pandolfini, 1972, pp. 295- 299, fig. 71) e forse queste situazioni meriterebbero uno studio sistematico. 35 Sono attualmente note a Verucchio cinque deposizioni con trono, due delle quali appartengono a donne: tombe Moroni 26/1968 e Lippi

32/2006.

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BIBLIOGRAFIA

a cura di Natascia Morigi

Per le abbreviazioni delle riviste è stata utilizzata l’Archäologische Bibliographie.Nel caso di Atti o cataloghi di cui siano indicati i curatori, le abbreviazioni riportano i nomi degli stessi; in caso contrario l’abbreviazione fa riferimento al totolo e alla data.Le [ ] indicano che la data e/o il luogo di edizione non sono noti.

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INDICE

Presentazioni

Luigi Malnati Ferdinando Fabbri Giovanni Dolci Patrizia von Eles

Gilda BartoloniLa società e i ruoli femminili nell’Italia preromana

Cristiano IaiaIdentità e comunicazione nell’abbigliamento femminile dell’area circumadriatica fra IX e VII secolo a.C.

Filippo Maria GambariLa donna nella cultura di Golasecca: ruolo e costume femminile nell’età del Ferro dell’Italia nord-occidentale

Giovanna Gambacurta e Angela Ruta SerafiniDal fuso al telaio. Profili di donne nella società di Este nell’età del ferro

Daniela Locatelli e Luigi MalnatiIndicatori di ruolo e rappresentazione della donna nell’Orientalizzante felsineo

Patrizia von ElesFamiglie gentilizie e donne a Verucchio. Linguaggi nascosti, rappresentazioni di ruoli e di rango

Giovanna BergonziDonne del Piceno dall’ Età del Ferro all’Orientalizzante

Giuseppina Carlotta CianferoniOrizzonti di donne nella società etrusca tra IX e VII secolo a.C.

Anna De SantisPosizione sociale e ruolo delle donne nel Lazio protostorico

Patrizia GastaldiL’identità della donna nei centri villanoviani della Campania

Marco PacciarelliIdentità di genere e corredi femminili nelle grandi necropoli della prima del ferro dell’Italia meridionale

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CATALOGO

Laura Bentini e Angiola BoiardiLe ore della Bellezza

Paola Poli e Tiziano TrocchiLe ore dei Lavori

Patrizia von ElesLe ore del Sacro

Catalogo dei materiali

APPENDICECatalogo della Mostra Il Potere e la Morte. Aristocrazia guerrieri e simboli (Verucchio 2006)

Laura Bentini, Angiola Boiardi, Patrizia von Eles, Paola Poli, Elena Rodriguez, Tiziano TrocchiIntroduzione alla Mostra

Catalogo dei materiali esposti alla Mostra 2006

Elena RodriguezL’esperienza didattica al Museo Civico Archeologico di Verucchio

BIBLIOGRAFIA

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QUESTO VOLUME È STATO COMPOSTO

E STAMPATO DA PAZZINI STAMPATORE

EDITORE S.R.L. IN VERUCCHIO (RN)

NEL MESE DI MAGGIO 2007