Divagazioni storico giuridiche sulla Repubblica Romana del 49'

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La Repubblica Romana e la figura di Pasquale dè Rossi tra storia e realtà* Indice: 1) il periodo storico; 2) il professore Pasquale de’ Rossi; 3) il de’ Rossi politico; 4) la Costituzione romana come esempio di democrazia; 5) la Comunità ebraica ai tempi di Pasquale de’ Rossi; 6) la Roma del popolo; 7) considerazioni conclusive; ---------------------------------------------- ----------------------------------- 1. Il periodo storico Negli anni della Restaurazione fino alla pubblicazione della bolla Quod divina sapientia omnes docet di Leone XII (1823 – 1829) 1 del 28 agosto 1824, l’Università o, per adoperare la titolazione usata nell’intestazione dei documenti prodotti dall’ateneo quasi fino al 1870, l’Archiginnasio 2 , è retta secondo i principi approvati da Pio VI con il breve Postquam divinae Sapientiae consilio del 15 luglio 1788. Il 1 *E’ il testo, ampliato e con l’aggiunta delle note, della relazione presentata nell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Giurisprudenza, in occasione del Seminario Religione e diritto” (Dio e il popolo) per la ricorrenza del CLVI anniversario della Repubblica Romana, nei giorni 29 e 30 aprile 2005 del quale ne è promotore il prof. Pierangelo Catalano. ? E. Momigliano – G.M. Casolari, Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici , I, Milano, 1959, p. 155 ss. 2 M.C. De Rigo, I processi verbali della facoltà giuridica romana 1870 – 1900, Roma, 2002 1

Transcript of Divagazioni storico giuridiche sulla Repubblica Romana del 49'

La Repubblica Romana e la figura di Pasquale

dè Rossi tra storia e realtà*

Indice: 1) il periodo storico; 2) il professore Pasquale

de’ Rossi; 3) il de’ Rossi politico; 4) la Costituzione romana

come esempio di democrazia; 5) la Comunità ebraica ai tempi di

Pasquale de’ Rossi; 6) la Roma del popolo; 7) considerazioni

conclusive;

----------------------------------------------

-----------------------------------

1. Il periodo storico

Negli anni della Restaurazione fino alla pubblicazione

della bolla Quod divina sapientia omnes docet di Leone XII (1823

– 1829)1 del 28 agosto 1824, l’Università o, per adoperare

la titolazione usata nell’intestazione dei documenti

prodotti dall’ateneo quasi fino al 1870, l’Archiginnasio2,

è retta secondo i principi approvati da Pio VI con il breve

Postquam divinae Sapientiae consilio del 15 luglio 1788. Il

1*E’ il testo, ampliato e con l’aggiunta delle note, della relazione presentatanell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Giurisprudenza, inoccasione del Seminario “Religione e diritto” (Dio e il popolo) per la ricorrenza del CLVIanniversario della Repubblica Romana, nei giorni 29 e 30 aprile 2005 del qualene è promotore il prof. Pierangelo Catalano. ? E. Momigliano – G.M. Casolari, Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, I, Milano, 1959,p. 155 ss.2 M.C. De Rigo, I processi verbali della facoltà giuridica romana 1870 – 1900, Roma, 2002

1

documento del papa Sermattei della Genga è diretta

conseguenza delle preoccupazioni avute su questo problema

essenziale da Pio VII e dal Cardinale Consalvi3. Il motu

proprio del 16 luglio 1816, infatti, all’articolo 247

stabilisce che “si rivolgeranno le pubbliche cure alla istruzione, ed alla

educazione della gioventù, primario oggetto di ogni provvido governo. Si

formeranno perciò quanto prima leggi, e regolamenti in tutto lo stato pel

sistema di università di studi, e di luoghi di pubblica educazione, per l’oggetto

non meno della religione, e della morale, che delle lettere e delle scienze”.

A questo proposito, viene varata una commissione

composta dai cardinali Della Somaglia, Litta, Pacca, Di

Pietro, Fontana e Bertazzoli, incaricata di studiare la

riforma dell’intero settore scolastico, con particolare

attenzione per quello universitario.

E’ elaborato un “Metodo di pubblica istruzione per lo Stato

Pontificio” presentato al pontefice Chiaramonti nel gennaio

1819, che avrà la sua novità di fondo, la congregazione

degli studi, (unico organo direttivo, discusso e

perfezionato), posta a fondamento della costituzione del

1824.

La bolla Quod divina sapientia omnes docet, dunque, dopo

avere stabilito il varo della congregazione, competente su

“tutte le Università, le pubbliche e private scuole di Roma, e qualsivoglia

corporazione, o individuo impiegato nella istruzione della gioventù”,

stabilisce una classificazione degli atenei. Alla prima

categoria appartengono quelli di Roma e di Bologna, con un

numero di cattedre non inferiore a 38, alla seconda quelli3 M. Petrocchi, La Restaurazione. Il cardinale Consalvi e la riforma del 1816, Firenze, 1941

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di Ferrara, Macerata, Camerino, Fermo e Perugia con non

meno di 17 cattedre. Guida l’Archiginnasio con il titolo di

Arcicancelliere il cardinale camerlengo, mentre il rettore,

nominato in ogni università dal pontefice, ha affidata la

“vigilanza immediata riguardo alla osservazione della disciplina da osservarsi

dai professori, dagli studenti, dagl’inservienti, ed alla condotta morale e

religiosa dei medesimi”4.

E’ in questo scenario che si inserisce la figura di

Pasquale de’ Rossi il quale oltre ad aver ricoperto come

professore la cattedra di Diritto Romano nell’Università

“La Sapienza” di Roma, è stato anche, non dimentichiamolo,

membro qualificato del foro capitolino come titolare di un

avviato studio professionale5.

2. Il professore Pasquale dè Rossi

Il 14 ottobre 1847 viene emanato il motu proprio, che

organizza, preannunciata da una circolare del cardinale

Gizzi del 19 aprile 48’, la Consulta di Stato, organo

politico più che amministrativo, sottoposto a forti limiti,

e secondo la definizione ottimistica di Armando Lodolini “il

parlamento laico” dello Stato ecclesiastico composto con

elezione di terzo grado. Tra i 24 consultori nominati dal

pontefice, “attraverso terne proposte dai consigli provinciali alla

Segreteria di Stato, incaricato di esaminare leggi, debiti, dazi, appalti, tariffe,

bilanci preventivi e consuntivi dello Stato e di predisporre una nuova

4 S. Di Nardo, Sinodi diocesani italiani. Catalogo bibliografico degli atti a stampa (1534 – 1878),Città del Vaticano, 19605 M. Colagiovanni, Pasquale de’ Rossi un liberale nella Repubblica Romana del 49’, Roma, 2002

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organizzazione degli enti locali, accanto ad un uomo dal grande futuro, Marco

Minghetti, e ad altri che avranno un ruolo non marginale nel periodo unitario,

quali Giuseppe Pasolini e il conte Pompeo di Campello, è rappresentante di

Frosinone Pasquale de’ Rossi”6. La designazione della Consulta,

salutata da una serie di manifestazioni in città e centri

minori della provincia ciociara, provoca aspettative ben

più vaste dei contenuti impressi e degli intendimenti avuti

dal pontefice7.

Solo un mese più tardi Pio IX forma un nuovo governo e

il 14 marzo viene pubblicato lo Statuto, che prevede, tra

le norme caratterizzanti, la nomina di due assemblee, di

cui una elettiva, ed altre disposizioni analoghe a quelle

previste nelle costituzioni di altri regni italiani.

L’allocuzione del 29 aprile attenuerà molti entusiasmi ma

non frenerà l’avvio della fase di irreversibile caduta del

potere temporale8.

Il 4 maggio il pontefice nomina dopo il rifiuto dei

cardinali Ciacchi ed Orioli, presidente del Consiglio un

altro porporato, il romagnolo Giovanni Soglia Ceroni.

Effettivo capo dell’esecutivo, come ministro dell’Interno,

è Terenzio Mamiani con de’ Rossi responsabile del dicastero

della Giustizia. Qualche giorno più tardi, il 10, è varato

il regolamento del Consiglio di Stato, previsto

dall’articolo 62 dello “Statuto fondamentale del governo temporale

degli Stati di S. Chiesa” promulgato nel marzo.

6 M. Alatri, Cenni biografici di Samuele Alatri scritti da suo figlio Marco, Roma, 18907 M. Colagiovanni, Pasquale de’ Rossi Professore e Colonnello nella Repubblica Romana del 49’,Roma, 20028 R. Aubert, Il pontificato di Pio IX, Roma, 200

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L’istituto “è incaricato sotto la direzione del governo di redigere i

progetti di legge, i regolamenti di amministrazione pubblica e di dar parere

sulle difficoltà in materia governativa. Con apposita legge può essere al

medesimo conferito il contenzioso amministrativo”. Secondo l’ordinanza

del 10 maggio “di regola” l’organo è guidato dal ministro di

grazia e giustizia. de’ Rossi lo presiederà fino al 15

settembre 1848, fino, cioè, alla conclusione della sua

esperienza di governo.

L’avvocato - professore de’ Rossi nell’incarico

ministeriale si trova in singolare contrasto con le

posizioni espresse nelle discussioni preparatorie del

regolamento, svoltesi alla Consulta. de’ Rossi, dopo la

morte dell’avvocato Antonio Silvani, nella seduta dell’8

dicembre è eletto presidente della prima sezione, quella

legislativa. Andando a rileggere i verbali, curati dal

segretario l’avv. Luigi Ciofi, il 22 marzo 1848 l’illustre

professore comunica che è stato affidato all’organo l’esame

del progetto di legge provvisorio per il Consiglio di

Stato. Nominato relatore, il 2 aprile presenta la

relazione. “Si è questionato – riferisce il verbale – se la legge

debba determinare i casi e le materie in cui il Consiglio di Stato possa o debba

essere inteso dal Ministero. In quanto alle ordinanze e regolamenti di pubblica

amministrazione che il ministro emana senza sentire le due Camere legislative

e dove perciò manca la garanzia della discussione e deliberazione delle due

Camere, sembrò al professore De Rossi, e all’avv. Lunati che il Ministero debba

necessariamente sentire ed esplorare il voto del Consiglio di Stato; agli altri

della Sezione è sembrato che l’obbligo di sentire il Consiglio di Stato divida e

scemi la responsabilità del Ministero, la quale intera deve pesare su di esso e

perciò non doversi porre detto obbligo”.5

Sul contenzioso amministrativo il professore de’ Rossi

si era espresso nel febbraio, guidando i lavori della

sezione della Consulta, conclusasi con una proposta di

deferimento dell’intera materia al potere giudiziario

ordinario con la conseguente abolizione dei tribunali

eccezionali9.

4. Il de’ Rossi politico

L’avvocato di Vallecorsa interviene la prima volta

nella seduta parlamentare del 30 giugno: si dichiara ostile

ai grandi progetti legislativi spesso utopici e favorevole

ad una serie di innovazioni più realistiche e più rapide da

ottenere, riguardanti il pubblico ministero e la pubblicità

dei giudizi criminali. Il 6 luglio individua nella calma,

nella tranquillità e nella ponderatezza le prerogative

fondamentali di un efficace lavoro legislativo. Il 12

luglio fissa il cammino programmatico, rilevando la

necessità di predisporre un codice di polizia e di

riformare il Codice civile, criminale e di procedura,

avvertendo che “senza avere stabilito un regolare ordinamento dè

tribunali, l’edificio che vogliamo innalzare mancherebbe di base e

regnerebbero perpetuamente nelle vostre leggi la confusione e il disordine”.

E’ poi assai difficile non definire di singolare rilievo le

parole energiche, con cui, nel corso della seduta dell’Alto

Consiglio dell’8 luglio, de’ Rossi respinge l’ordine

gerarchico tra le due Camere, prospettato da un componente

9 M. Colagiovanni, Pasquale de’ Rossi un liberale nella Repubblica Romana del 49’, cit., p. 156ss.

6

il consesso di nomina pontificia (il monsignore Tommaso

Gnoli), rivendicando la “perfetta reciprocanza” tra le due

assemblee.

Il 28 luglio de’ Rossi presenta un disegno di legge

sull’abolizione dei fidecommessi e degli altri vincoli

contro la proprietà, “un autentico retaggio feudale, la cui soppressione

veniva reputata improcrastinabile da molti” e nella seduta, dopo aver

bloccato in uno dei primissimi atti, compiuti dopo

l’insediamento, “un energico proclama”, “minacciose adunanze di

plebi, furti e violenze” commessi ai danni degli ebrei, confortato

da parere espresso dal Consiglio di Stato, illustra un

progetto di legge, in base al quale tutti gli israeliti,

domiciliati nello Stato, sono “investiti del pieno possesso dei diritti

meramente civili” con esclusione di quelli politici attribuiti

dallo Statuto ai soli cattolici. Nella discussione,

svoltasi il 14 agosto, de’ Rossi si preoccupa di

rivendicare, correggendo un errore del relatore Borsari, il

merito della proposta, che ha addirittura efficacia

retroattiva.

Dopo l’abbandono di Mamiani, nonostante le voci corse

su un suo accantonamento, de’ Rossi è confermato anche con

l’esecutivo, che vede presente l’eminente Edoardo Fabbri.

La smobilitazione del programma nazionale è avviata con

questo governo di transizione (durerà in carica appena 40

giorni), indebolito anche dall’esclusione dei ministri più

vivaci, quali Pompeo di Campello e Giuseppe Galletti.

de’ Rossi, nel dichiararsi “custode” del diritto

costituzionale, nega esistano responsabilità da parte del7

ministero nell’allontanamento di Campello, e coglie

l’occasione per ricostruire l’effettivo svolgimento degli

eventi. Da ciò può agilmente cogliersi lo spirito e il

carattere liberale del giureconsulto di Vallecorsa10.

Il 16 settembre, giubilato Fabbri, entra in carica il

nuovo governo presieduto da Pellegrino Rossi. de’ Rossi

viene sostituito da Felice Cicognani e assume l’incarico di

vicepresidente della camera bassa, svolgendo le funzioni in

sedute sempre più incolori e inconcludenti, nelle quali,

però, opera con il più alto rispetto liberale

dell’assemblea.

Con l’uccisione di Pellegrino Rossi (15 novembre)11 e

la fuga di Pio IX (24 novembre)12, la situazione precipita

in un quadro di assoluta ingovernabilità fino alla

convocazione da parte dei componenti superstiti della

Giunta di Stato, varata l’11 dicembre dal Consiglio dei

deputati, e di sei ministri, di un’assemblea nazionale,

composta da 200 membri, eletta a suffragio universale da

tutti i cittadini di età superiore ai 21 anni, residenti da

oltre un anno nello Stato ed in possesso dei diritti

civili. L’elettorato passivo è riconosciuto ai maggiori di

25 anni. L’organo rappresenta “con pieni poteri” lo Stato.

Pasquale de’ Rossi il 28 gennaio 1849 è proclamato

all’8° posto tra i 12 eletti di Roma nella consultazione

10 A. Sacchetti, Vallecorsa Castello della Contea di Fondi, in Aa.Vv., La Terra Nostra Vallecorsa,Roma, 198411 L. Lacchè, (a cura di), Un liberale europeo: Pellegrino Rossi (1878 – 1848). Atti dellagiornata di studi, Macerata 20 novembre 1998, Milano, pp. X - 12012 D. De Marco, Il Tramonto dello Stato Pontificio, Torino, 1949

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svoltasi una settimana prima. Raccoglie 7.706 consensi

mentre i primi due (Francesco Sturbinetti e Carlo

Armellini) ne vantano rispettivamente 16.153 e 13.175. La

sua presenza ha una brevissima durata. L’8 febbraio (la

Costituente è inaugurata il 5) è tra i pochissimi (5 su

142) ad opporsi alla richiesta di decadenza del potere

temporale ed è ancora nella esigua minoranza (10 su 143)

avversa alla proclamazione della Repubblica. Coerentemente

con il proprio indirizzo costituzionale, lontano dagli

intenti e dagli obiettivi di maggioranza, il 13 febbraio

rassegna, insieme a Curzio Corboli e a Terenzio Mamiani13,

le dimissioni.

Ancora prima di assumere la drastica posizione

politica, de’ Rossi il 22 gennaio veniva eletto, e non

nominato, con 222 voti, rimanendovi fino al 27 aprile,

comandante del battaglione universitario romano. Sue

attribuzioni sono “la guarentigia e l’ordine dè regolamenti”

dell’ateneo ed “il fornire i posti di guardia” nella sede della

Sapienza14.

4. La Costituzione romana come esempio di democrazia

Il 1848 è stato definito l’anno dei potenti, la

“primavera dei papali”15. In quell’anno i prìncipi dei vari

Stati italiani si unirono nella guerra contro lo straniero,

per affermare le idee di libertà e di patria con la

13 F. Partini, Terenzio Mamiani e i suoi tempi, Roma, 191114 M. Colagiovanni, Pasquale de’ Rossi Professore e Colonnello nella Repubblica Romana del 49’,cit. p.19 ss.15 C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia 1848 / 1948, Bari, 1974

9

benedizione del Papato16; e anche se l’esperienza non ebbe

il successo sperato, essa rappresentò, comunque, la prima

grande festa del “Risorgimento italiano”17. Come è noto, la

rivoluzione di Parigi e di Vienna, innescò le rivolte di

Milano e di Venezia (marzo 1848) favorendo l’intervento di

Carlo Alberto e la “guerra federata” contro l’Austria18. Pio IX

consentì a far partire le truppe pontificie contro il

generale Durando per il nord con l’esplicito compito di

tutelare e controllare le frontiere senza oltrepassarle19.

Di fatto, la Chiesa si poneva come nemica dell’Austria e,

indirettamente, con la sua partecipazione alle operazioni

di guerra conferiva all’impresa un carattere “cristiano”, di

“guerra santa”, in nome di una “Nazione santa”20. Nell’enciclica

del 30 marzo “Ai popoli d’Italia”, il Papa ribadiva il legame di

fede nazionale e di fede cristiana, e contribuiva a dare

alla guerra di liberazione italiana il significato di

“crociata popolare” contro i tedeschi oppressori21.

Con la guerra, la funzione del cristianesimo in seno

al nazionalismo italiano diventa finalmente esplicita:

nasce la “religione della patria” che legittima il sacrificio sui

campi di battaglia e dà un senso alla vita individuale22.

Ed ecco apparire l’esercito di cittadini costituito da

volontari dediti alla “causa nazionale”; una nuova categoria

16 G. Leti, Roma e lo Stato pontificio dal 1848 al 1870, I, Ascoli Piceno, 1991 p.15 ss.17 C. Spellanzoni, Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, II, Milano, 193418 M. Adrani, Storia religiosa d’Italia, Firenze, 1965, p. 214 ss.19 P. Albers, Storia ecclesiastica, II, Torino, 1935, p. 55420 R. De Mattei, Pio IX, Asti, 200021 G. Martina, Pio IX, Chiesa e mondo moderno, Roma, 197622 P.S. Leicht, La legislazione ecclesiastica liberale italiana (1848 – 1914), in Aa.Vv., Chiesa eStato. Studi storici e giuridici per il decennale della Conciliazione tra Santa Sede e l’Italia, I,: studistorici, Milano, 1939

10

di soldati che combattono per porre termine all’odiata

occupazione austriaca: guerra contro l’Austria per

l’Italia.

Va detto che il fenomeno dei volontari del ’48 si

colloca nell’orizzonte aperto della Restaurazione: la

nuova coscienza nazionale, maturata attraverso la cultura

romantica, antigiacobina23 e antirivoluzionaria, ha fatto

sorgere la figura del cittadino che corre alle armi per

difendere la Patria24. Per la prima volta si ritrovavano

insieme i vari popoli d’Italia a combattere contro il

comune nemico, offrendo al mondo lo spettacolo di un

“esercito italico e nazionale”25. E questo segnava l’affermazione

dell’ideologia neoguelfa, che per bocca del suo teorico,

Vincenzo Gioberti26, salutava nei valorosi soldati i

redentori d’Italia, che avevano saputo unire due termini da

secoli separati, la letteratura e la milizia, le idee e le

armi, la libertà e la monarchia italiana, grazie al

“magnanimo Principe riformatore e liberale”. La guerra continuò

anche dopo l’Allocuzione del 29 aprile, con la quale il

Pontefice definì la posizione della Chiesa, dichiarando di

non potersi associare alla guerra, data la sua missione

religiosa volta alla paca, e di abbracciare “tutte le genti,

popoli e nazioni con uguale studio di paternale amore”27. 23 L. Martorelli, Della monarchia. Trattato politico in cui si dimostra ch’essa è la forma di governo lapiù utile all’umana società, Roma, 1794 24 R. Romeo, Il giudizio storico sul Risorgimento, Catania, 196625 Cfr. “I progetti e la Costituzione della Repubblica Romana del 849”, a cura dell’Istituto perla documentazione giuridica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Firenze,199926 G. Piolanti, Discussioni politico – letterarie dell’abate G. Piolanti contenenti la storia filosoficadell’ultima rivoluzione d’Italia così funesta allo Stato della Chiesa, ossia Dialogo fra l’autore e l’abateVincenzo Gioberti, Modena, 185027 G. Martina, Pio IX (1867 – 1878), Roma, 1990, p. 111 ss.

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Ora, dati per noti gli accadimenti intermedi che hanno

caratterizzato gli ultimi mesi del ’48, la Repubblica

romana del 1849 e la sua Costituzione28, nata nel momento

stesso in cui la Repubblica moriva sotto il fuoco delle

armi francesi, sono state l’esperimento più avanzato di

democrazia fra tutti quelli che si sono prodotti nel corso

del Risorgimento italiano29. E’ sufficiente ricordare che

l’assassinio di Pellegrino Rossi, (15 novembre)30 la fuga

di Pio IX e la rovinosa fine dell’esperienza del papato

costituzionale, nonché il Monitorio papale31, con il quale,

tra l’altro, veniva comminata la scomunica nei confronti di

tutti coloro che avessero preso parte alla elezione

dell’Assemblea Nazionale, posero fine ad ogni possibilità

di ricomposizione tra il papato ed il movimento

democratico32, anche perché la posizione pontificia ebbe

l’effetto di far scomparire dalla scena politica proprio

quel partito moderato che proponeva per Roma un potere

papale costituzionale33.

La libertà e l’uguaglianza proclamate agli albori

della Costituzione Romana furono il postulato per una piena

acquisizione da parte degli Ebrei romani dei diritti civili

con la equiparazione all’interno della società civile34.

28 G. Arangio – Ruiz, Storia costituzionale del Regno d’Italia (1848 – 1898), Firenze, 189829 L. Bulferetti, Il Risorgimento nella storiografia contemporanea, in Nuove questioni di Storia delRisorgimento e dell’Unità d’Italia, Milano, 196130 L. Ledermann, Pellegrino Rossi, une grande carriere internationale au XIX siecle, avec de mombreuxdocuments inedites, Paris, 192931 A. Mozzati – P. Lombardi, Nel solco della storia, Torino, 196032 A. Muzzarelli, Dominio temporale del Papa, Roma, 178933 L. Salvatorelli, Chiesa e Stato dalla rivoluzione francese ad oggi, Firenze, 196834 G. Fubini, La condizione giuridica dell’Ebraismo italiano, dal periodo napoleonico alla Repubblica,Firenze, 1974

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L’atteggiamento degli israeliti di Roma35 si collocò,

sempre in questo scenario di generale attesa nei riguardi

di un epilogo della situazione nazionale, in un contesto di

speranze fiduciose e di realistica saggezza36. Se il Ghetto

aveva significato separazione37, reiezione dal mondo

esterno, posizione sociale umiliata, fonte che riservava

dal di fuori amarezze quasi continue38, all’opposto aveva

anche significato una muraglia contro influenze

perturbatrici esterne, una rocca a protezione della propria

individualità, della propria tradizione e della propria

cultura. Così, anche la possibilità di una emancipazione fu

per molti segno di contraddizione: avvenimento allo stesso

tempo felice e terribile39.

Il costituente romano non solo non disponeva, come in

altri casi avvenne, di una base normativa da cui muovere,

essendo lo Statuto40 concesso da Pio IX nel marzo 184841

poco o per niente utilizzabile dal movimento democratico,

giacchè esso mitigava assai poco l’assolutismo papale, ma

per di più, nella situazione di totale vuoto di potere e di

rottura con il Papa che era venuta a crearsi, risultava

inevitabile che si vedesse, proprio nello Statuto42, un

ingombrante ostacolo politico da cui era opportuno prendere

35 D. Tama, Raccolta degli atti dell’assemblea degli Israeliti di Francia e del Regno d’Italia, Milano,198736 S. Grazyzel, Storia degli Ebrei, Roma, 196437 A. Milano, Il Ghetto di Roma, Roma, 196438 V. Colorni, Gli Ebrei nel sistema del diritto comune, Milano, 195639 G. Piperno Beer, Gli Ebrei di Roma nel passaggio dal governo Pontificio allo Stato Liberale Italiano,in Aa.Vv., La Breccia del Ghetto, Roma, 197140 G. Negroni – S. Simoni, Lo Statuto Albertino e i lavori preparatori, Roma, 199241 Checchini A., Stato e Chiesa dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana, Padova,194942 G. Audisio, Del governo rappresentativo in Piemonte e primi fatti di Pio IX, Torino, 1848

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la massima distanza43. Si aggiunga, inoltre, che

l’Assemblea – fatto anch’esso unico – era stata eletta a

suffragio universale e con una partecipazione assai elevata

degli elettori, il che non poteva non influire nel senso di

una più marcata affermazione dei principi democratici44.

Tutto ciò suggerisce una prima considerazione: se, in

generale, la più recente dottrina è incline ad ammettere un

influsso diretto della Rivoluzione francese sul

Risorgimento italiano45, si deve convenire che, a più forte

ragione per le particolari tesi sopra esposte, tale

influenza abbia avuto un ruolo decisivo nel caso della

Repubblica romana46, nel senso che la Grande Rivoluzione e,

più precisamente, il pensiero e le posizioni politiche e

istituzionali dell’ala democratica di essa non possono non

aver costituito una fra le più importanti fonti di

ispirazione per la Costituente repubblicana47. E ciò anche

se non si può certo affermare che i democratici

disponessero della maggioranza nell’Assemblea Costituente

romana e sebbene nella Commissione incaricata il 13

febbraio 1849 di redigere il progetto, e ancor di più nella

cosiddetta Commissione mista che ebbe a formarsi (non senza

contrasti) dopo l’11 maggio, fossero rappresentate tendenze

fra loro diverse e contrastanti, da quella socialista e

43 M. Tedeschi (a cura di), Dalla restaurazione al consolidamento dello Stato unitario, Milano,198144 R. Di Cesare, I quattro Statuti del 1848, Torino, 189845 I. Raulich, Storia del risorgimento politico d’Italia, 5 voll., Bologna, 1920 - 192746 P. Mariani Biagini, I progetti e la Costituzione della Repubblica Romana del 1949, conintroduzione di Mauro Ferri, Firenze, 199947 L. Salvatorelli, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, 2a ed. Torino, 1941

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democratico-giacobina, a quella liberal democratica e

liberal moderata48.

Il modello istituzionale di Roma repubblicana era

considerato riferimento ineludibile e quasi obbligato per

chi voleva si affermassero principi fortemente innovatori

in senso democratico e comunque tali da marcare il massimo

di discontinuità e di rottura nei confronti del regime

passato49.

Principio democratico, sovranità popolare, autonomia

municipale, garanzia dei diritti contraddistinguono la

concezione repubblicana posta a fondamento della

Costituzione della Repubblica Romana del 184950. Il

principio della sovranità popolare, espresso dal I dei

Principi fondamentali, e confermato dall’art. 15, titolo II

(Dell’ordinamento politico), secondo cui “Ogni potere viene dal

popolo”, si traduce nella preminenza dell’Assemblea eletta

dal popolo, che a sua volta elegge i tre consoli.

I costituenti romani del 1849 affrontarono anche il

tema delle garanzie costituzionali: a tale proposito, il

dibattito fu incentrato sull’opportunità di istituire il

tribunato, come potere moderatore e garanzia viva delle leggi

fondamentali. Il popolo era chiamato a svolgere funzioni di

garanzia tramite la partecipazione alla guardia nazionale

(art. 67) e la nomina dei Giudici del fatto, componenti del

Tribunale supremo di giustizia (art. 55). I repubblicani

del ’49, e quindi i costituenti e i legislatori, non ebbero48 A De Giuliani, L’interesse della religione nella sovranità temporale del Papa, Roma, 180049 A. Professione, Marzo 1848 – Marzo 1849, Novara, 189950 L. Bulferetti, Socialismo risorgimentale, Torino, 1949

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una visione isolata della missione e del destino della

Repubblica e del suo popolo: i doveri della Repubblica si

estendono al miglioramento delle condizioni di vita degli

altri popoli, specie di quelli che combattono per la loro

indipendenza e “per la causa delle Nazioni e dell’Umanità”.

Dopo aver richiamato gli eventi che hanno preceduto e

preparato l’avvento della Repubblica Romana (e quindi il

governo costituzionale di Pellegrino Rossi, avverso ai

liberali, ai repubblicani e, in opposizione all’abate

Rosmini51, alla partecipazione popolare52; l’evoluzione in

senso rivoluzionario e repubblicano della stampa nel 1848,

l’attività dei circoli, l’assassinio dello stesso

Pellegrino Rossi e la fuga di Pio IX a Gaeta)53, si deve

ora porre l’accento sull’affermazione del principio

democratico, condiviso dalla quasi totalità dei membri

dell’Assemblea Costituente eletta nel gennaio 1849, fra i

quali vi era un forte nucleo repubblicano e mazziniano.

La “democrazia pura” – espressione adoperata nel

dibattito settecentesco a designare la forma di governo

repubblicana romana e greca, in contrapposizione alle forme

di governo “miste” – è adottata quale forma di governo fin

dall’art. 3 del Decreto fondamentale (9 febbraio 1849) con cui

viene dichiarato decaduto il Papato e proclamata la

Repubblica Romana54. L’inscindibilità del legame fra ideali

51 D. Zolo, Il personalismo rosminiano. Studio sul pensiero politico di A. Rosmini, Brescia, 196352 F. Traniello, Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo– piemontese (1825 – 1870), Milano, 196653 I. Montanelli, L’Italia del Risorgimento, Milano, 197254 G. Sabbatucci - V. Vidotto, Storia d’Italia. 1. Le premesse dell’unità, Bari, 1994

16

costituzionali, repubblicani e democratici è stato il

principio ispiratore dei lavori della Costituente romana.

Come già ricordato, la Costituzione romana del 184955

si distingue sotto diversi aspetti dagli statuti italiani

dell’epoca: votata in un’assemblea eletta a suffragio

universale, e non concessa da un sovrano; improntata al

principio democratico, pur previsto in altre costituzioni,

come ad esempio nello Statuto Albertino, ma qui assunto a

“principio esclusivo di organizzazione dello stato”; fondata sulla

sovranità popolare56.

Il principio democratico, insieme alla sovranità

popolare e alla forma di governo repubblicana, viene

esplicitamente riaffermato nel paragrafo primo della

Costituzione, la formulazione del quale venne difesa da

Saliceti, relatore del progetto presentato il 10 giugno

1849, contro quanti la consideravano in qualche modo

pleonastica57. Il saldo vincolo tra repubblica e

democrazia, individuato e consacrato nella Costituzione

della Repubblica Romana del 184958, prepara e facilita la

scelta del 1946 e la conferma nella Costituzione italiana

del 1° gennaio 1948, in cui il principio democratico, tutto

uno con quello repubblicano, espresso all’art. 1, è

55 M. Ferri, Dio e Popolo – Repubblica Romana 1849, Relazione presentata al XXISeminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma” suRepubblica e monoteismi da Roma a Costantinopoli a Mosca, (Campidoglio, 21 – 23aprile 1999), estratto, pp. 3 - 1856 E. Crosa, La concessione dello Statuto: Carlo Alberto e il ministro Borelli, “redattore” dello Statuto,Torino, 193657 A.M. Ghisalberti, Roma da Pio IX a Mazzini. Ricerche sulla restaurazione papale del 1849 – 50,Milano, 195858 C. Selvaggi, La costituzione della Repubblica Romana, in “Studi in occasione del centenario”,I, Roma, 1970

17

adottato in via irreversibile, con la previsione dell’art.

139, che sottrae la forma repubblicana, e quindi il

principio democratico, alla revisione costituzionale59. In

particolare, il principio di sovranità popolare espresso

nell’art. 1 è una “precisa indicazione di diritto positivo”, che pure

ha faticato ad affermarsi rispetto al dogma della sovranità

dello Stato60.

Nel II dei Principi fondamentali della Costituzione romana

del 184961, contenente l’espressa abolizione di titoli di

nobiltà e privilegi di nascita, il principio democratico è

posto in relazione con i principi di libertà, uguaglianza e

fraternità62. Nel III Principio, che impegna la Repubblica

colle leggi e colle istituzioni a promuovere il miglioramento delle

condizioni morali e materiali di tutti i cittadini, emerge un elemento di

discontinuità della Costituzione della Repubblica Romana

del 1849 rispetto al modello romano antico: nel

sottolineare il riferimento ai cittadini invece che al popolo,

è stato definito ambiguo tale concetto, in quanto non esiste

se non per metafora un tutto chiamato popolo distinto dagli individui che lo

compongono63.

Il principio democratico si estende ai rapporti fra la

Repubblica Romana e gli altri popoli, che essa

“riguarda[…]come fratelli”, nel rispetto di ogni nazionalità, pur

propugnando quella italiana (IV Principio fondamentale,

59 C. Chisalberti, Storia costituzionale d’Italia 1848 / 1948 cit. p. 6360 G. Astuti, La formazione dello Stato moderno in Italia, Torino, 196761 P. Mariani Biagini, (a cura di) La Costituzione della Repubblica Romana del 1789. Testo eindex locorum, Firenze, 199862 F. Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Torino, 197563 C Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia 1848 / 1948 cit.,

18

dove si recepisce la dottrina mazziniana, che pone la

Repubblica Romana a presupposto dell’unità nazionale)64.

Dal principio democratico discende altresì il

riconoscimento dei diritti dei Municipi (V Principio) e

degli interessi locali, norma del riparto territoriale della Repubblica (VI

Principio).

Nel riconoscimento dei diritti dei Municipi,

considerati come originari e limitati soltanto dalle leggi

di utilità generale dello Stato, risiede una differenza non

trascurabile tra la Costituzione del 1849 e quella della

Repubblica Romana del 1798, che istituisce presso ogni

municipio un rappresentante del governo centrale con poteri

di controllo e di annullamento degli atti contrari non solo

alle leggi, ma anche alle decisioni dell’esecutivo65.

Gli avvenimenti del 1849, l’esperienza della

Repubblica Romana, sorta sulle fondamenta di quella antica,

la sua Costituzione66, ci richiamano all’origine e al vero

significato dell’identità italiana, in cui tanta parte ha

l’antichità romana. La riflessione sul rapporto fra Roma,

la repubblica e il diritto consente di riappropriarsi di

tale identità, come già fecero verso la metà del XIX secolo

gli studenti e i professori dell’Ateneo romano67, che

interpretarono con spirito nazionale e internazionalista le

esigenze del cambiamento che agitavano la società in quegli

64 R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, I, Roma, 190765 L. La Puma, Il socialismo sconfitto. Saggio sul pensiero politico di Pierre Leroux e Giuseppe Mazzini,Milano, 198466 A.M. Ghisalberti, Mazzini e la Repubblica Romana, ne “Il Risorgimento”, I, 1952, pp. 6 - 2767 C. De Rigo, I processi verbali della facoltà giuridica romana 1870 – 1900, Roma, 2002

19

anni, chiedendo e ottenendo riforme dell’insegnamento

universitario, e infine prendendo parte attiva alle vicende

del ‘48-’4968.

Attraverso la memoria del Risorgimento69 si rinsalda

il legame tra il presente dell’Italia unita e repubblicana

e Roma antica, anch’essa presente e viva, non solo con le

sue vestigia monumentali. Garibaldi70, che ebbe sempre

chiara coscienza del debito dell’Italia nei confronti di

Roma, lo disse con queste parole: “Se non vi fosse storia romana,

ove imparammo una patria comune; se giovane non avessi vagato tra le

macerie del gigante delle grandezze terrestri, io non saprei di essere italiano”.

5. La Comunità ebraica ai tempi di Pasquale dè Rossi

C’è da dire che la svolta vera e propria del Ghetto di

Roma si avrà solo con il 20 settembre 1870, allorché le

truppe regìe del generale Cadorna entrarono in Roma dalla

breccia di Porta Pia: allora, finalmente, il vecchio Ghetto

finì di essere tale, cioè di esistere.

Solo dopo la conquista della città di Roma la curia,

le varie istituzioni religiose e, in particolar modo Pio

IX, si chiusero tra le mura della Città del Vaticano

assumendo nei confronti del nuovo Stato italiano un

atteggiamento se non ostile quantomeno di isolamento,

invitando i cattolici a non partecipare alla vita politica

e scomunicando la casa regnante. In questo nuovo scenario

politico gli Ebrei, grazie alla mirabile opera di68 G. M. Trevelyan, Garibaldi defence of the Roman Republic, New York, 1907 69 C. Francovich, Albori socialisti nel Risorgimento. Contributi allo studio delle società segrete, 1776 –1853, Firenze, 196270 P.C. Boggio, Cavour o Garibaldi?, Torino, 1860

20

reintegrazione sociale e politica attuata dal nostro

Pasquale de’ Rossi, (l’abbiamo già detto e messo ben in

evidenza quando è stato trattato il profilo politico),

acquistarono finalmente pieni diritti di cittadinanza

italiana e vennero considerati alla pari degli altri

cittadini italiani. Tutto ciò contribuì perché la comunità

ebraica della città di Roma potesse finalmente uscire dal

Ghetto, acquistare proprietà immobiliari, esercitare le

professioni desiderate, dedicarsi allo studio ed alle

ricerche senza alcuna limitazione, intraprendere una

attività commerciale, industriale, finanziaria e

quant’altro.

C’è altresì da aggiungere come l’abbattimento del muro

del Ghetto abbia significato, nella incessante attività

svolta dal Ministro di Grazia e Giustizia Pasquale de’

Rossi, la fine delle restrizioni imposte agli Ebrei di Roma

sotto il pontificato di Pio IX e, l’inizio di una nuova

stagione imperniata di quei diritti civili che aveva avuto

nella Costituzione Romana la sua maggiore interprete.

L’articolo VII dei Principi fondamentali della Costituzione

della Repubblica Romana, proclamata il 9 febbraio 1849 così

recitava: “dal credo religioso non dipende l’esercizio dei diritti civili e

politici”; questo significava per la Comunità ebraica romana,

la piena emancipazione.

Ecco, si può partire da questo breve (ma non

certamente di scarso rilievo) articolo per affrontare il

tema della importante presenza degli Ebrei durante la

nascita della Costituente romana. Sicuramente delicato è lo21

studio dello status giuridico degli ebrei a Roma proprio in

quegli anni, condizione che si riflette nel testo

costituzionale del 1798-99 e successivamente, in quello del

1848-49.

Infatti, l’art. 6 della Costituzione della Repubblica

romana del 1798 conteneva l’affermazione in base alla

quale: “Ogni uomo nato e dimorante nella Repubblica romana, il quale

compiuti i 21 anni, si è fatto segnare nel registro civico e ha quindi dimorato un

anno nel territorio della Repubblica e paga una contribuzione diretta di fondo o

di persona, diviene cittadino romano”; ed ancora l’art. 354: “La legge

non riconosce né voti religiosi, né alcun impegno contrario ai diritti naturali

dell’uomo”.

Sempre nello stesso anno il Comandante della divisione

francese a Roma decretava che: “Gli ebrei, nei quali si riuniscono tutte

le condizioni prescritte per essere cittadini romani, non saranno soggetti che

alle sole leggi comuni per tutti i cittadini della Repubblica. In conseguenza,

tutte le leggi e consuetudini particolari relative agli Ebrei sono abolite”71.

Durante il biennio liberale, agli albori della

proclamazione della Repubblica Romana del 1849, il

contributo in termini di partecipazione della Comunità

ebraica agli eventi bellici e politici fu elevato, basti

ricordare figure come Samuele Alatri, Samuele Coen ed

Emanuele Modigliani, divenuti membri del Consiglio

comunale, oltre all’arruolamento di numerosi volontari

ebrei nella guardia civica.

71 I. Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa, Milano, 1995

22

Tale partecipazione può senza dubbio considerarsi

determinante nelle sorti dell’esperienza repubblicana al

fianco di Mazzini e Garibaldi.

Ripercorrendo le tappe degli anni 1846-1848, si deve

notare come molta fu la speranza riposta nella pseudo

politica liberale di Pio IX dopo la morte di Gregorio XVI.

Infatti il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti (salito

al soglio pontificio con il nome di Pio IX) si mostrò

subito di animo sensibile e generoso, pieno di nobili

intenzioni anche se privo di qualità politiche e di quel

senso realistico che forma il vero uomo di stato72.

Poiché notoriamente liberale e innovatore, gli occhi

di tutti erano rivolti a Roma con ansiosa aspettativa. I

primi atti di Pio IX, infatti, giustificarono quelle

speranze: amnistia, riforme, libertà di stampa e di

riunione, parole di pace e di progresso. Viva

soddisfazione, poi, suscitò nell’opinione pubblica la

nomina a Segretario di Stato del Cardinale Ghizzi,

considerato un riformatore. L’entusiasmo popolare perdurava

e le riunioni nelle piazze e nelle vie con il passare dei

giorni non accennavano a smettere. Entusiasmo che non

conobbe più limiti quando il Pontefice, in un messaggio al

popolo romano, sembrò affermare la sua particolare

predilezione per l’Italia concludendo con le fatidiche

parole: “Benedite, gran Dio, l’Italia!”.

In un simile clima di entusiasmo non deve destare,

quindi meraviglia che gli Ebrei dell’epoca esaltassero la72 M. Tedeschi, Cavour e la Questione Romana, Milano, 1978 spec. pp. 68 - 73

23

figura di Pio IX: il Pontefice liberale. Epigrafi,

discorsi, poesie, più o meno ispirate in italiano o in

ebraico, riflettevano le speranze e la gratitudine degli

Ebrei in quel tempo73.

La cronaca ci riporta che i rabbini delle varie città

tennero discorsi pieni di speranza e lodi, mentre gli Ebrei

di Senigallia, città natale del Pontefice, illuminarono a

giorno le finestre delle case del Ghetto. Lo stesso avvenne

a Roma: lapidi in onore del Papa furono collocate nei

Ghetti dello Stato Pontificio. E tutto andò secondo le

aspettative; l’avvento di Pio IX incise beneficamente anche

sulla vita della Comunità israelitica romana.

Tuttavia, sebbene il problema ebraico fosse posto sul

tappeto assieme a molti altri al fine di concludersi nella

tanto agognata liberazione, la benevola disposizione si

tradusse in una serie di provvedimenti di modesta e

circoscritta portata, che rientravano nel quadro di una

politica di dispotismo illuminato, affatto contraria a

modificare nella sostanza l’atteggiamento di fondo nei

confronti della Comunità ebraica.

Da questo momento in poi si cominciano a verificare

episodi di malcontento dovuti a misure, leggi, decisioni

contrarie a quell’atteggiamento di buonismo che il

cardinale Mastai Ferretti aveva fatto trasparire

all’indomani della sua salita al soglio pontificio.

73 C. Bonanno, L’età contemporanea nella critica storica, Padova, 1984, spec. p. 40

24

Il sogno di libertà però svanì del tutto al momento in

cui, Pio IX, abbandonata ogni tendenza liberale, in un

proclama datato 12 settembre 1849 richiamava in vigore il

sistema di segregazione civile e d’intolleranza religiosa

verso la Comunità ebraica romana74.

Oggi sappiamo, grazie al contributo di autorevoli

studiosi come il Laras, che Pio IX era avverso

all’emancipazione civile degli Ebrei, sia per conformazione

spirituale, sia per formazione culturale, sia per

un’intrinseca incapacità a temperare secolari atteggiamenti

di intransigenza e a filtrare, attraverso una realtà

sociale e politica premente ed incalzante, come era quella

dei suoi tempi, inveterate posizioni canoniche e papali. Ad

ogni atto del Papa, era in quei mesi attribuita una portata

che andava al di là del suo significato più ovvio ed

obiettivo, con la conseguenza di far assumere semplici atti

di umana sollecitudine e carità a veri e propri prodromi di

una linea programmatica ben definita e lungimirante.

Fu solo con l’Unità d’Italia, che gli Ebrei di Roma

raggiunsero quella piena e legittima uguaglianza dei

diritti civili e politici ottenendo la tanto agognata

emancipazione, proclamata e consacrata nelle idee

innovatrici della Rivoluzione francese75.

Se lo Statuto pontificio distingueva i diritti

politici da quelli civili, i deputati della Costituente

eliminarono questa distinzione; essi, oltre ad affermare74 A. Serafini, Pio IX dalla giovinezza alla morte, nei suoi scritti e discorsi, Città del Vaticano, 1958, p. 975 C. Michelet, Histoire de la Rèvolution francaise, tomo I°, 1952

25

che non erano riconosciuti privilegi di nascita o casta,

dichiararono esplicitamente che: “dalla credenza religiosa non

dipende l’esercizio dei diritti civili e politici”. Gli Ebrei, così,

completamente emancipati presero parte con slancio a questo

glorioso quanto purtroppo effimero spirito

risorgimentale76.

A tal proposito, come già menzionato precedentemente,

è opportuno ricordare come l’impegno profuso da Pasquale

de’ Rossi77, allora Ministro di Grazia e Giustizia, nel

riconoscimento dei diritti civili e politici all’interno

della Comunità ebraica fu fondamentale e oserei dire senza

precedenti, soprattutto in un clima di fermento quale

quello di quegli anni. E questa abile e proficua attività

politica è costantemente testimoniata dagli storici che si

sono occupati del periodo oggetto della nostra indagine.

Ecco perché, quindi, non si può non dar voce a quanto

sagacemente e rigorosamente scritto da uno dei maggiori

studiosi di Pasquale de’ Rossi (ma non solo), Michele

Colagiovanni78 il quale, attraverso un’opera certosina

presso gli archivi storici, è riuscito ad esaltare

l’operato del de’ Rossi, che io intendo quale artefice di

un evento epocale che, viceversa, sarebbe passato come

opera esclusiva di Pio IX, cosa che in verità non è stata:

l’abbattimento del muro del Ghetto di Roma avvenuto nella

notte tra il 17 e il 18 aprile 184879. Se è indubbiamente

76 G. Bedarida, Gli Ebrei e il Risorgimento Italiano, Pontedera, 1962, p. 31 ss.77 M. Colagiovanni, Pasquale de’ Rossi, un liberale nella Repubblica Romana del ’49, Roma, 2002, pp. 5- 30378 Ibidem, p. 26479 Ibidem, p. 264 nota 189

26

vero che Pio IX è stato colui il quale ha dato formale

disposizione a che le mura che circondavano il Ghetto

fossero abbattute, non può non tenersi conto di quanto la

decisione del Pontefice fosse il frutto di una politica

martellante messa in atto dal ministro di Grazia e

Giustizia Pasquale de’ Rossi, il quale, evidentemente aveva

sensibilizzato fortemente la decisione del Pontefice perché

fosse consapevole che questo evento rientrasse a pieno

titolo in quei riconoscimenti dei diritti civili e politici

presupposto necessario ed imprescindibile

dell’emancipazione del popolo ebraico. Il successivo

decreto con il quale il de’ Rossi Ministro intese chiarire

a tutta la nazione la portata del provvedimento, è solo

l’epilogo di un percorso iniziato già prima che

intraprendesse la breve avventura ministeriale proficua ed

intensissima80.

Questo è quanto ho inteso interpretare e di esternare

alla luce dei documenti (in verità pochi) che ho

consultato, ma direi sufficienti per spingermi fino a

formulare tale convincimento.

Molti, poi, furono gli Ebrei di Roma impegnati nella

difesa militare e molti di loro morirono per la causa

dell’Italia; lo stesso Garibaldi insistette perché alla

fortificazione delle mura si aumentassero gli Israeliti e che fosse alzato il

numero del contingente a 15 ebrei. Ma perché l’unione dell’Italia

potesse divenire una realtà operante anche per il popolo

ebreo, non era sufficiente una Costituzione, ma occorreva80 G. Piperno Beer, Gli Ebrei di Roma nel passaggio dal Governo Pontificio allo Stato LiberaleItaliano, in Aa. Vv., La Breccia del Ghetto, Roma, 1971

27

un processo di evoluzione culturale del popolo e di

purificazione dei privilegi, processo che solo nel corso di

molti anni avrebbe potuto consentire il raggiungimento

effettivo e concreto di quegli ideali81.

6. La Roma del popolo

Nella seduta del 12 febbraio 1849 – tre giorni dopo la

proclamazione della Repubblica, e due giorni dopo la nomina

del Comitato esecutivo – l’Assemblea Costituente Romana, su

proposta del “cittadino Filippo Tornabuoni, rappresentante della provincia

di Fermo” votò ad unanimità la seguente proposizione: L’illustre

Giuseppe Mazzini, propugnatore zelantissimo della libertà italiana, sia invitato

a Roma ed ammesso alla cittadinanza di questa nostra gloriosa repubblica82.

Subito dopo il Ministro Stermini presentò a nome del

Comitato esecutivo tre progetti di legge urgenti ed

importanti. Il primo di essi così stabiliva: Le leggi saranno

emanate, e la giustizia sarà fatta, in nome di Dio e del Popolo. Gli atti pubblici

porteranno l’intestazione: Repubblica Romana, e cominceranno colle parole: in

nome di Dio e del Popolo. L’Assemblea ammise l’urgenza e approvò

all’unanimità senza discussione la proposta83.

Coincidenza singolare e significativa. L’Assemblea

romana chiamava Mazzini a Roma e contemporaneamente

adottava la formula del pensiero mazziniano Dio e il popolo

81 R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa, dal ritorno di Pio IX al XX Settembre, Roma, 190782 M. Colagiovanni, Pasquale de’ Rossi, un liberale nella repubblica Romana del ’49, cit.83 Ibidem, p. 182 ss.

28

come fondamento dell’esercizio dei poteri della

repubblica84.

E’ importante notare, come si affermi il carattere

religioso in capo al principio della sovranità popolare, e

sul significato attribuito alla formula da Mazzini molto si

è discusso e molto si è scritto. Il carattere che lo stesso

Mazzini avrebbe voluto imprimere alla Repubblica era che

essa doveva essere il nucleo intorno al quale dovevano

raccogliersi le sollevazioni degli altri stati della

penisola, che avrebbero consentito la ripresa della guerra

contro l’Austria, ma non la guerra regia che si conclude

con l’armistizio Salasco, bensì una guerra di popolo che,

liberata l’Italia dallo straniero, avrebbe sancito

solennemente, con la Costituente Italiana, la Repubblica

Italiana, con Roma capitale85. Avrebbe preso corpo così il

vaticinio della terza Roma, dopo quella dei cesari e dei

papi, la Roma del Popolo, della santa alleanza dei

Popoli86.

Ma cosa intendeva Mazzini per “la Repubblica”?

E’ stato scritto, in particolare dalla storica Emilia

Morelli, che “La Repubblica democratica unitaria nazionale mazziniana è

una organizzazione essenzialmente religiosa, o meglio, morale”. A

sorreggere l’idea repubblicana di Mazzini vi era un altro

pilastro importante: Roma. La vera forza del nuovo Stato

unitario italiano trovava le sue radici nel mito di Roma,

nel quale stava la forza iniziatrice della nuova Italia.84 Ibidem, p. 18385 Ibidem, p. 18686 P. Tadini, Notizie politico – storiche sul Sinedrio degli Ebrei, Alessandria, 1987

29

Mazzini considerava fondamentale, connaturata all’idea di

Repubblica, la funzione educatrice. Scriveva a Roma nel

’49, ne “l’Italia del Popolo”, che la repubblica è “una istituzione

educatrice. Perfezionare la creatura, svilupparla più sempre nell’intelletto e

nella sua potenza d’amore, è l’intento supremo. Primo fra tutti è un’Educazione

nazionale generale per impulso governativo. Educazione…e non istruzione”.

Così Omodeo: “Il postulato repubblicano – per Mazzini – non è altro

che il corollario dell’autonomia morale del popolo cosciente della sua

missione”.

La breve vita della Repubblica Romana pur con le sue

luci ed ombre dimostrò nel popolo, nell’Assemblea, nei

governanti, nei combattenti che “in nome di Dio e del popolo” non

era una vuota formula: essa si era realizzata ed aveva

segnato in maniera indelebile la strada da percorrere per

l’avvenire.

Mazzini resterà sempre legato ai suoi romani: quando

un anno prima della sua morte darà vita con Giuseppe

Petroni, per tanti anni suo rappresentante a Roma, e con

altri fedeli amici a “La Roma del Popolo” farà uscire il primo

numero il 9 febbraio, data – scriverà nell’appello agli

Italiani – che “ricorda un periodo breve, ma splendido di gloria e

promesse, nel quale, di fronte ad una politica d’egoismo e paura prevalente in

Europa…Roma levò a solenne protesta il capo dal suo sepolcro, segnò la

protesta col sangue dei suoi migliori, e mostrò colla concordia di ogni ordine di

cittadini…quanta virtù di amore e potenza l’antica fede repubblicana varrebbe

a risuscitare un giorno nell’anima degli italiani. Una lunga scuola di gesuitismo

politico e di servile pazienza s’adoprò d’allora in poi a cancellare sotto un

colpevole oblio quel ricordo; ma in Roma le grandi memorie furono sempre30

germe di nuova vita, e se i romani non hanno mutato natura, le memorie del

1849 rifioriranno più rapidamente e più efficacemente ch’altri non pensi”.

7. Considerazioni conclusive

In questo contesto allora è naturale, direi

fisiologico, affrontare il problema del rapporto tra

modelli istituzionali antichi, in particolare dell’antica

repubblica romana e costituzione della Repubblica Romana

del 1849, premettendo una osservazione sul movimento

politico democratico e insieme eversivo dell’assetto

esistente, che mirava a realizzare l’indipendenza, la

libertà politica e l’unità d’Italia: il Risorgimento.

Risorgimento, perché, nel momento in cui si produceva

il tentativo difficile, talvolta drammatico, di costruire

un futuro italiano, nel quadro di una generale tendenza

europea all’affermazione nazionale, si sentiva l’esigenza

di fare riferimento alla passata storia d’Italia, nella

quale venivano ricercati “fatti, uomini, istituti che servissero – per

dirla con le parole di Luigi Salvatorelli – come esempio,

incoraggiamento, monito, preparazione”. Insomma, che avessero la

funzione di modello.

Quella parte della storia d’Italia che meglio si

prestava a tale scopo è naturalmente la storia romana e, in

particolare, la storia della repubblica, quella stessa

storia che ha esercitato un’influenza decisiva sul filone

di pensiero democratico della Rivoluzione francese, filone

31

che, a sua volta, ha impregnato parte cospicua del

patrimonio culturale dei pensatori politici e dei

protagonisti del Risorgimento.

Se questo è il quadro generale, e scusandoci con il

lettore per la ripetizione di cose già dette, si deve

aggiungere che nell’esperienza della Repubblica Romana del

‘48-’49 vi erano delle ragioni anche più forti e

specifiche, le quali favorivano la crescita di un

sentimento nazionale propendente, per quanto possibile, a

riallacciarsi direttamente alla tradizione e alla storia

dell’antico popolo romano87. Chi aveva ereditato la guida

dello Stato all’indomani dell’assassinio di Pellegrino

Rossi e della fuga di Pio IX88, ossia a seguito di una

rottura radicale dell’assetto politico preesistente, vedeva

nell’antica gloria di Roma e nella storia del suo popolo

una forma di legittimazione del movimento rivoluzionario e

dei suoi obiettivi politici89. I tratti peculiari insiti

nell’Assemblea Costituente Romana possono così

sintetizzarsi:

- il principio democratico del 1789 deve essere

considerato fonte essenziale a cui si è ispirato il

costituente romano del 1849;

87 M. Colagiovanni, Pasquale de’ Rossi un liberale nella Repubblica Romana del 49’, cit., p. 19888 M. Marocco, Vita e pontificato di Sua santità Pio IX, Torino (senza indicazione della data)89 M. Colagiovanni, Pasquale de’ Rossi, un liberale nella Repubblica Romana del ’49, cit., p.216: ”La verità è che l’agire del Professore – diciamo pure il suo pensieropolitico – equilibrato fino a essere accusato di immobilismo, non si prestava astiracchiamenti strumentali. In sostanza egli era stato anticipatore e poiinterprete di un Cattolicesimo aperto, conciliante, secondo le vedute del primoPio IX. Dopo aver difeso con le unghie le conquiste, aveva compreso che eranofinite nel nulla”.

32

- in modo del tutto analogo, il costituente romano si

è rifatto al Rosseau ed al modello rappresentato

dalla repubblica romana antica;

- tale modello è stato assunto in piena

consapevolezza, sulla base della convinzione che

esso fosse il più adatto e il più efficace, al fine

di garantire l’attuazione del principio

fondamentale scelto dai costituenti come cardine

dell’ordinamento della Repubblica, quello della

sovranità popolare;

- infine, e in forza di tutto ciò, si deve convenire

con quegli storici che definiscono la Repubblica

Romana del ’49 e il suo Progetto di costituzione come

l’esperimento più avanzato di democrazia fra tutti

quelli che si sono prodotti nel corso del

Risorgimento.

Tale Progetto fu presentato dal deputato Agostini,

relatore per conto della Commissione, il 17 aprile del ’49.

Esso, com’è noto, non fu mai approvato ed anzi, quello che

alla fine venne approvato si discosta fortemente dal primo

progetto proprio su alcuni dei punti più rilevanti. Il

Progetto, dimostra come il modello repubblicano di Roma

antica fosse stato assunto quale riferimento essenziale dal

costituente del ’49, il quale era riuscito a cogliere,

anche se non in tutti i casi, lo spirito più autentico di

quegli istituti e ad inserirlo nella realtà di uno Stato

contemporaneo, per molti versi diverso dall’esperienza del

33

passato. Mi riferisco al Consolato, al Tribunato, alla

Dittatura e, sebbene in modo più sfumato, alla Censura.

La Repubblica Romana non è stata una costruzione

dottrinaria, una improvvisazione di avventurieri, una

imposizione settaria90. Essa è stata, piuttosto, per

volontà e consenso di popolo non smentiti sino alla fine,

il risultato logico, organico di tutta una situazione, il

punto di arrivo di tutto uno svolgimento: situazione e

svolgimento che non erano solo italiani, ma europei. A Roma

si ebbe l’antitesi più netta, lo scontro idealmente

culminante fra l’Europa di Vienna e la nuova Europa, fra il

diritto vecchio e il nuovo. Di questo significato della

lotta, gli uomini della Repubblica (non soltanto Mazzini)

ebbero chiarissima coscienza. Fino all’ultimo non firmando

la capitolazione (che fu atto necessario del Municipio) e

promulgando all’ultimo momento la costituzione del

Campidoglio, essi opposero il diritto dell’Europa nuova

alla forza della Santa Alleanza. E perciò la Repubblica

Romana morì in piedi, tramandando ai posteri il 9 febbraio

1849 come una data capitale della storia europea91.

In tempi in cui, almeno nel nostro Paese, lo spirito

verso nuove riforme, anche per quanto riguarda le norme

costituzionali, sembra essere la ossessiva preoccupazione

di legislatori sempre più impegnati a legiferare in maniera

incontrollata, la lezione che viene dalla riflessione

90 L. Farini, Lo Stato Romano dall’anno 1815 al 1850, voll. I – IV, 3a ed., Firenze, 185391 L. Lancellotti, Diario della Rivoluzione di Roma dal 1° novembre 1848 al 1° agosto 1849, Roma,1850

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dell’Agostini e dal Progetto di costituzione da lui proposto

potrebbe rappresentare utile materia di meditazione.

In questa breve e non certamente esaustiva analisi

degli avvenimenti storici che portarono alla nascita di una

delle repubbliche più importanti della nostra storia

italiana ed europea, non mi resta altro da aggiungere, se

non ricordare ancora una volta la figura di un personaggio,

quello di Pasquale de’ Rossi92, tanto sconosciuto quanto

determinante nella genesi della Costituzione Romana (e non

sembri una contraddizione, come abbiamo cercato di

dimostrare nelle pagine che precedono, il fatto che abbia

espresso voto contrario all’atto della nascita). Una figura

da molti dimenticata, solo da poco riportata alla luce, che

ci ha lasciato quello spirito di professionalità e umanità,

valori oggi troppo spesso messi da parte.

Faustino de Gregorio

Associato di Storia del Diritto

Canonico e Diritto Ecclesiastico

Unive

rsità Mediterranea di Reggio Calabria

92 V.G. Pacifici, Pasquale de’ Rossi, l’uomo, il professore e le pubbliche istituzioni, ( a cura dell’Amministrazione del Comune di Vallecorsa), Vallecorsa, 2001, pp. 1 - 28

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