Dal Somerset alla corte del Gran Mogol: l’ultimo viaggio di Thomas Coryate, l’instancabile...

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A cura di Stefano Pifferi Sentieri ripresi Studi in onore di Nadia Boccara ESTRATTO

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A cura di Stefano Pifferi

Sentieri ripresi Studi in onore di Nadia Boccara

a cura di Stefano Pifferi

Sentieri ripresi

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9 788878 533417

ISBN 978-88-7853-341-7

Chiostro rinascimentale, Santa Maria in Gradi, Viterbo, 2013

euro 25,00

Raccogliamo in questo omaggio a Nadia Boccara una serie di testi che i colleghi e amici dell’allora Facoltà di Lingue e dell’at-tuale Dipartimento di Scienze Umanistiche, del Turismo e della Comunicazione hanno fortemente voluto per celebrare gli intensi anni passati insieme e per donare una en-nesima dimostrazione di stima, affetto e riconoscenza. Gli articoli qui raccolti sono incentrati non tanto sugli approfondimenti filosofici sui quali Nadia Boccara ha basato buona parte della sua carriera accademica, quanto quelli legati al secondo amore della nostra collega: quello cioè del viaggio e della scrittura di viaggio da intendersi come mo-mento di scoperta dell’altro e del diverso, ma per converso, anche di conoscenza e appro-fondimento di sé. Storici, letterati, anglisti, francesisti, lusitanisti e quant’altri trovano infatti sul terreno comune delle esperienze di viaggio quel luogo immateriale di incontro e confronto che Nadia Boccara ha sempre frequentato.

Il Centro Interdipartimentale di Ricerca sul Viaggio (CIRIV) dell’Università della Tuscia è nato nel giugno del 2006. Formato da stu-diosi di diverse letterature, di storia, di filo-sofia, di antropologia, di geografia, di arte, di cinema, di diritto, esso si occupa dell’o-deporica in una prospettiva rigorosamente interdisciplinare. Oltre che sui viaggi e sul turismo, il CIRIV dedica una parte della sua attività alla ricerca anche sul pellegrinaggio, con particolare riferimento a quello lungo la Via Francigena. Al CIRIV fanno capo una e-library, un data-base bibliografico e un data-base iconogra-fico consultabili al sito www.avirel.unitus.it.

ESTRATTO

CIRIVtesti e studi

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Collana diretta da Gaetano Platania

Comitato Scientifico

Antonello Biagini, Università di Roma “La Sapienza”Dino S. Cervigni, Università della North Carolina at Chapell Hill

Luigi de Anna, Università di TurkuMarilena Giammarco, Università di Chieti-Pescara

Danuta Quirini-Popławska, Università “Jagellonica”, CracoviaGiovanna Scianatico, Università di Bari

Ljerka Šimunkovič, Università di SpalatoDaniel Tollet, Università di Paris IV-SorbonneBrigitte Urbani, Università di Aix en Provence

SENTIERI RIPRESIStudi in onore di Nadia Boccara

a cura di Stefano Pifferi

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SETTE CITTÀ

Università degli Studi della Tuscia

Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo

Centro Studi sull’Età dei Sobieski e della Polonia Moderna

Proprietà letteraria riservata.La riproduzione in qualsiasi forma, memorizzazione o trascrizione con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, internet) sono vietate senza l ’autorizzazione scritta dell ’Editore.

© 2013 Sette CittàVia Mazzini, 87 • 01100 ViterboTel 0761 304967 Fax 0761 1760202www.settecitta.eu • [email protected]

isbn: 978-88-7853-341-7isbn ebook: 978-88-7853-504-6

Finito di stampare nel mese di novembre 2013 da Press.up – Roma

CaratteristicheQuesto volume è composto in Jenson Pro disegnato da Robert Slimbach e prodotto in formato digitale dalla Adobe System nel 1989; è stampato su carta ecologica Serica delle cartiere di Germagnano; le segnature sono piegate a sedicesimo (formato 13,5 x 21) con legatura in brossura e cucitura filo refe; la copertina è stampata su carta patinata opaca da 250 g/mq delle cartiere Burgo e plastificata con finitura lucida.

La casa editrice, esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi al corredo iconografico della presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.

Indice

p. 7 Gaetano Platania Premessa

9 Stefano Pifferi Introduzione

13 Cristina BenicchiThe Enigma of Arrival. In viaggio con V.S. Naipaul verso l ’inaspettato cuore di tenebra

33 Alessandro BoccoliniUn rappresentante del papa di Roma alla corte di Varsavia: la Relazione di Monsignor Galeazzo Marescotti in viaggio per la Polonia.

57 Raffaele CaldarelliSpazio e viaggio nel Pan Tadeusz di Adam Mickiewicz

73 Cinzia CapitoniLe mura poligonali: nella scienza e nell ’arte. Giambattista Brocchi e Marianna Dionigi

85 Cristina CarosiJoseph Addison e Livorno, porto franco d’Italia

99 Antonio Ciaschi Lo sguardo di Luigi Ciofi degli Atti

109 Piera CiprianiViaggiando per la Tuscia tra Risorgimento e Restaurazione

123 Francesca De CaprioLe guide postali del Seicento e le strade che portano a Roma

157 Daniela GiosuèDal Somerset alla corte del Gran Mogol: l ’ultimo viaggio di Thomas Coryate, l ’instan-cabile camminatore di Odcombe

179 Alba GrazianoI viaggi di Swift tra le parole del moderno

193 Anna Lo GiudiceVarietà italiana in Paul Valéry

215 Masha MattioliTamasha. Théâtralités dans le miroir: France et Perse au XVIIème siècle

225 Sonia Maria MelchiorreI am a bluestocking, if to love knowledge better than ignorance entitles me to the name

243 Daniele NieddaControcorrente: tre opere italiane di James Barry

p. 259 Selena PercoIl passaggio in Italia di Maria Anna D’Asburgo nella relazione di Naborio Grazioli (1631)

281 Stefano PifferiLa guidistica romana tra ’700 e ’800. Dinamiche interne, elaborazioni formali, moda-lità informative nelle opere di Giuseppe Vasi e Cesare Malpica

299 Gaetano PlataniaDiplomatici moscoviti a Roma (1673)

321 Maria Antonietta RossiLa regolarizzazione e l ’istituzione degli studi di arabistica in Portogallo: un viaggio diacronico dagli albori all ’epoca contemporanea

341 Mariagrazia RussoDal fiume Wouri al rio dos Camarões: non solo gamberi lungo la linea vulcanica del Camerun

357 Matteo SanfilippoCamille de Tournon, prefetto napoleonico del Tevere, e il Viterbese

375 Francesca Romana StocchiViaggio in Umbria, Marche e Romagna (1844) e Viaggio da Perugia a Roma (estate 1844) di Giancarlo Conestabile della Staffa, studioso d’arte.

385 Valerio VivianiAmleto, il teschio, il burattino e una riflessione sul “non essere”

399 Beata Dagmara WienskaL’immagine di Parigi nei romanzi di Manuela Gretkowska

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Premessa

Per sempre me ne andrò per questi lidi,Tra la sabbia e la schiuma del mare.

L’alta marea cancellerà le mie impronte,e il vento disperderà la schiuma.

Ma il mare e la spiaggia durerannoIn eterno

Kahlil Gibran, poeta libanese.

Potrei iniziare il ricordo di Nadia Boccara dai versi di Gibran per far comprendere quanto sia stato ed è forte il legame che ci unisce. La sabbia, la schiuma del mare cancellano le impronte e quindi po-tremmo pensare che tutto sia effimero oppure sia fugace ma ciò non è del tutto vero.

Le impronte spariscono ma il mare e la spiaggia durano in eter-no. Così è il legame che unisce Nadia e la mia persona. siamo mare e spiaggia e dunque la nostra amicizia eterna.

Ho conosciuto Nadia fin dal lontano 1989 e mi ha accolto con simpatia, come se ci conoscessimo da sempre. Ho trovato in lei una Collega intelligente, colta, amabile e sensibile. In lei spesso mi sono rifugiato e in me Nadia ha trovato rifugio. amica e studiosa di Jean starobinski che ha fatto conoscere agli studenti dell’allora Facol-tà di Lingue, ha fortemente indirizzato i suoi studi su montaigne, rousseau e tanti altri dopo essere partita dal ’700 scozzese ed aver analizzato la teoria e fenomenologia delle passioni in David Hume e le sue fonti letterarie francesi.

Nel campo della problematica morale del noto scozzese ha scan-

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Gaetano Platania

dagliato la differenza tra “Filosofia profonda”, coltivata dai filoso-fi astratti, e “Filosofia facile” espressa nei moralisti francesi quali, ad esempio La rochefoucauld, La Bruyère; ma ha anche studiato il tema delle “Passioni altruistiche” e “Passioni egoistiche” sempre in David Hume.

solo in questi ultimi anni ho scoperto una nuova Nadia studiosa di “se stessa” ovvero personaggio che ha cercato nel suo io e nel suo passato le risposte ai tanti perché della vita, della sua propria vita. Dunque un viaggio a ritroso, un viaggio verso casa.

Il tema del viaggio non era, e non è certamente nuova a Nadia Boccara. É un tema che ha affrontato da studiosa della Filosofia mo-rale con passione e dedizione offrendo a studenti e studiosi pagine originali e indimenticabili.

Nadia Boccara in tutti questi anni di servizio prima presso la Fa-coltà di Lingue e poi migrata come tanti altri suoi colleghi nel Dipar-timento DIsUCOm è stata per me un punto di riferimento. sapevo che potevo contare su di lei che mai sarebbe venuta meno alla parola data. Infine proprio per sottolineare quanto siamo uguali per certi aspetti, Nadia Boccara ha posto sempre al centro della sua azione educativa lo studente ed ha sempre condiviso con me la convinzione che noi esistiamo in quanto docenti perché ci sono gli studenti che hanno sentito parlare di questo o di quel docente ed hanno letto questa o quell’opera.

a nome del Dipartimento e mio personale voglio ringraziare Nadia Boccara per tutto il lavoro fatto, la voglio ringraziare per la sua amicizia, la sua vicinanza sapendo che il suo pensionamento è solo una tappa del viaggio che ci accomuna.

Il DirettoreProf. Gaetano Platania

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IntroduzIonE

A far da collante in questo omaggio che il disucom vuole giusta-mente spendere a favore della collega nadia Boccara c’è ovviamente il legame affettivo e professionale che a vari livelli e a vario titolo ha unito tutti gli appartenenti al dipartimento di Scienze umanistiche, della Comunicazione e del turismo e prima alla Facoltà di Lingue alla squi-sita e sempre disponibile amica. Ad osservare, però, più approfondita-mente la raccolta di contributi che ho avuto l’onore di curare, c’è anche qualcosa d’altro. Ad amalgamare gli interventi di studiosi così diversi per interessi accademici, provenienza e finalità, a divenire terreno co-mune in grado di omogeneizzare i vari linguaggi dei numerosi scritti è infatti un terreno per sua natura di confine, multidisciplinare, aperto a commistioni e deflagrazioni tra materie: quello che genericamente chiameremmo del “viaggio” e delle “scritture di viaggio”.

È infatti questo il terreno d’incontro sul quale gli amici e i colleghi hanno deciso di incontrarsi perché è su quel terreno che le ricerche “fi-losofiche” di nadia Boccara si sono sviluppate negli ultimi anni d’ac-cordo con una scelta di Facoltà, prima, e di dipartimento, poi, che ha prediletto in maniera quasi naturale e simbiotica, com’è possibile in una terra di transito come quella della tuscia viterbese, l’approfondi-mento e l’analisi di una tematica insieme così vasta e suggestiva, varia e stimolante quale è quella legata al fenomeno del viaggio: affrontata di volta in volta dal punto di vista storico o letterario, filosofico o an-tropologico, in grado di interessare l’esperto del documento così come il traduttore, il filologo come l’italianista, lo storico delle società, l’in-formatico umanista, l’anglista, il lusitanista ecc ecc..

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Stefano Pifferi Introduzione

continua evoluzione da cui non è e non è mai stata esente anche nadia Boccara stessa.

Quello del viaggio filosofico, infatti, è stato anche uno dei temi di ricerca e approfondimento prediletti dalla collega Boccara, di cui il ti-tolo della presente raccolta non è che una minima testimonianza. dal caro Michel de Montaigne, sviscerato come pensatore “in movimen-to”, al viaggio come conoscenza e riconoscimento di sé, come momen-to di (auto)identificazione nella ricerca di una posizione nel mondo o, per rubare le parole al direttore Platania, di scavo nel proprio io e nel proprio passato alla ricerca delle “risposte ai tanti perché della vita, del-la sua propria vita. dunque un viaggio a ritroso, un viaggio verso casa”.

Stefano Pifferi

È così che leggendo gli eterogenei contributi dei colleghi si note-rà come questa tendenza sottotraccia – fortemente voluta tra gli al-tri dalla stessa nadia Boccara sul finire degli anni ’90, quando con un seminario intercattedra si affrontò per la prima volta, nella allo-ra Facoltà di Lingue, la tematica del “viaggio” attraverso le numerose prospettive e sfaccettature che le varie discipline coinvolte potevano offrire – sia in realtà un vero e proprio asse portante su cui la Facol-tà e il dipartimento hanno costruito e stanno costruendo la propria credibilità. Ecco così un dottorato incentrato sui temi del “viaggio” e dell’odeporica in Età Moderna, affrontato, col supporto e l’impegno della stessa nadia Boccara, attraverso la lente dello sviluppo teorico-metodologico così come da quello della storia del documento, della filosofia come dell’antropologia, a testimonianza di questa apertura e dei vari travasi tra discipline che una tematica così ampia può offrire. Ecco così l’affastellarsi di indagini in apparenza distanti cronologi-camente e tematicamente ma in realtà figlie di una unica sensibilità verso l’alterità, passando con nonchalance dall’area degli anglisti (la Livorno di Addison, l’Inghilterra dei “nuovi inglesi” come naipaul, lo Swift viaggiatore tra le parole offertoci da Alba Graziano, ecc.) a quella della francesistica (il Valery “italiano” propostoci da Anna del Giudice) o della lusitanistica (il “viaggio” nell’arabistica portoghese di Maria Antonietta rossi o le “esplorazioni” portoghesi in terra d’Afri-ca di Mariagrazia russo), attraversando l’Età Moderna degli outsid-er (penso agli interessi e alle scritture di viaggio di Mariana Candidi dionigi e Gianbattista Brocchi analizzati da Cinzia Capitoni) e quella contemporanea, passando per l’Europa dell’Est (i diplomatici mosco-viti diretti verso la città Caput Mundi di Platania così come gli sguar-di “altri” donati da raffaele Caldarelli e Beata dagmara Wienska), coinvolgendo dottorandi e collaboratori (Cristina Carosi, Alessandro Boccolini, Selena Perco, Piera Cipriani, Francesca romana Stocchi) come colleghi e amici, allungando lo sguardo su scritture di viaggio “particolari” come la guidistica o filtrando quello sguardo altro attra-verso la lente “fotografica” ed amatoriale di un uomo della contempo-raneità come Luigi Ciofi degli Atti. una serie infinita di frammenti, tessere di un mosaico che si riuniscono in un affresco più ampio e in

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Daniela Giosuè

Dal SomerSet alla corte Del Gran moGol: l’ultimo viaGGio Di thomaS coryate,

l’inStancabile camminatore Di oDcombe

l’ultimo, straordinario viaggio di Thomas coryate non durò die-ci anni come quello di ulisse, che l’eccentrico viaggiatore avrebbe vo-luto emulare, ma iniziò il 20 ottobre del 1612 e terminò tragicamente a Surat, in india, nel mese di dicembre del 1617.

i ricordi di questo viaggio sono giunti fino a noi solo in forma frammentaria, in tre pubblicazioni realizzate immediatamente pri-ma e pochissimo tempo dopo la morte dell’autore.

attraverso una serie di brevi premesse, il presente studio for-nirà alcune notizie essenziali sull’autore1, sui testi che consentono di ricostruire il suo viaggio in india, e su altri due personaggi che, con le testimonianze lasciate nei loro scritti, hanno aggiunto ele-menti rilevanti alla storia dell’ultima prodezza del «camminatore di odcombe»2: Sir Thomas roe (1581-1644), primo ambasciatore

1 le notizie biografiche e sulle opere sono tratte principalmente da m. Stra-chan, The Life and Adventures of Thomas Coryate, london 1962; W. Foster, Early Travels in India, 1583-1619, london 1921, pp. 234-287; r. c. Prasad, Early English Travellers in India, Delhi 1980 (1965), pp. 164-201; c. nicholl, The Field of Bones, Thomas Coryate’s Last Journey [1999], in c. nicholl, Traces Remain. Essays and Explorations, london 2011 (edizione elettronica Google books, pa-gine non disponibili). il testo di nicholl è disponibile, con lievi variazioni, anche in: http://www.lrb.co.uk/v21/n17/charles-nicholl/field-of-bones. cfr., inoltre, e. F. oaten, European Travellers in India during the Fifteenth, Sixteenth and Seventeenth Centuries, london 1909, pp. 104-167; J. G. Singh, Colonial Nar-ratives/Cultural Dialogues. “Discoveries” of India in the Language of Colonialism, london 1996, pp. 17-44; r. barbour, Before Orientalism. London’s Theatre of the East, 1576-1626, cambridge 2003, pp. 132-145; D. moraes, S. Srivatsa, The Long Strider: How Thomas Coryate Walked from England to India in the Year 1613, london 2003; r. e. Pritchard, Odd Tom Coryate, The English Marco Polo, Stroud 2004.

2 t. coryate, Coryats Crudities, london 1611 (fine della Epistle to the Reader, pri-

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Daniela Giosuè Dal Somerset alla corte del Gran Mogol

– a causa del non certo avvenente aspetto fisico, che sembra lo ren-desse buffo anche solo a vedersi – come zimbello, gli consentì di en-trare in contatto con molti personaggi influenti e con gli intellettuali più famosi dell’epoca.

Da questi ultimi, oltre che dal principe stesso, coryate ottenne un sostegno decisivo per la pubblicazione dell’opera che nel 1611 lo rese famoso, intitolata Coryats Crudities, nella quale ha lasciato un dettagliatissimo resoconto di un viaggio da lui intrapreso sul con-tinente che, secondo l’opinione di molti studiosi, inaugurò ufficial-mente la tradizione del Grand tour.

Durante questo viaggio, iniziato nel maggio del 1608 e durato cinque mesi, coryate visitò la Francia, l’italia settentrionale, la Sviz-zera, la Germania e i Paesi bassi, percorrendo spesso da solo e preva-lentemente a piedi o, come egli stesso dice, sul suo cavallo con dieci dita, 1975 chilometri.

originale già a partire dal titolo, che significa «crudezze», «ver-dure crude miste», l’opera ebbe anche una singolare storia editoriale, e dopo una serie di difficoltà fu pubblicata con più di sessanta diver-tenti panegirici a farle da prefazione scritti da letterati e personaggi in vista, molti dei quali amici di coryate, tra cui John Donne, inigo Jones e ben Jonson, che contribuì anche con un divertente profilo dell’autore.

Pur restando sostanzialmente fedele a schemi e contenuti tradi-zionali e conservando tratti in comune con altre opere consimili del secolo precedente, nelle quali vengono riferite in modo personale e spontaneo notizie derivanti da esperienze dirette, il testo sorpren-de spesso il lettore per la presenza di passi narrativi caratterizzati da uno stile insolitamente vivace e soggettivo. accanto alle notizie usuali si trovano, infatti, interessanti digressioni su aspetti della vita quotidiana dei luoghi attraversati e sulle persone che il viaggiatore incontrò lungo il cammino e con le quali condivise una parte del percorso, e divertenti narrazioni in stile eroicomico delle avventure vissute durante il viaggio. Dopo aver letto le pagine su venezia e le osservazioni sull’uso da parte degli italiani degli ombrelli per ripa-rarsi dal sole, e delle forchette, allora quasi sconosciute in inghilter-ra, non si può non provare dispiacere al pensiero di quali testimo-nianze coryate avrebbe potuto lasciarci se, come fecero molti altri

inglese alla corte del Gran mogol tra il 1614 e il 16193, e il reverendo edward terry (1591-1660), il cappellano che dal mese di febbraio del 1617, dopo la morte del reverendo John hall, viaggiò al seguito di Sir Thomas roe, e che per un periodo compreso tra il mese di settembre e la metà di novembre del 1617 condivise i suoi alloggi con coryate4.

alle premesse seguirà una ricostruzione dell’itinerario del viag-gio, e ogni qualvolta sarà possibile si cercherà di dar voce diretta-mente al protagonista per mezzo di citazioni dai testi.

Thomas coryate (c. 1577-1617) nacque a odcombe, nel Somerset. Figlio di George coryate (m. 1607), parroco della cittadina, e di Ger-trude Williams (?) (m. 1645), studiò a Winchester dal 1591 e a oxford dal 1596, ma dopo circa tre anni lasciò l’università senza laurearsi.

Dotato di una fortissima memoria e di una particolare attitudine all’istrionismo, durante gli anni della sua formazione acquisì una profonda conoscenza dei classici greci e latini e sviluppò una grande passione per la retorica.

Grazie all’aiuto dei suoi mecenati, Sir edward Philips of monta-cute (c. 1555/60-1614) e Sir robert (c. 1586-1638), figlio di Sir edward, dopo l’ascesa al trono di Giacomo i entrò a far parte del seguito di enrico Stuart (1594-1612), principe di Galles e primogenito del re.

Sebbene non risulti che egli sia mai stato assunto ufficialmente come buffone, la sua presenza a corte come intrattenitore, o meglio

me pagine ed. 1611 non numerate). i testi delle citazioni, a partire dalla presen-te, sono stati tradotti da chi scrive.

3 Su Sir Thomas roe, oltre alle altre opere dedicate al viaggio in india di corya-te già citate alla nota 1 cfr., in particolare, r. c. Prasad, Early English Travellers, cit., pp. 128-163; m. Strachan, Sir Thomas Roe, 1581-1644: A Life (1989), in Dnb http://www.oxforddnb.com/templates/article.jsp?articleid=23943&back=; r. barbour, Before Orientalism, cit., pp. 146-185. i manoscritti da cui sono tràditi il giornale e le lettere di roe, conservati presso la british library di londra, sono stati in parte pubblicati in S. Purchas, Hakluytus Posthumus, or Purchas his Pilgrimes, vol. iv, Glasgow 1905 (london 1625), pp. 310-468 e in t. roe, The Embassy of Sir Thomas Roe to the Court of the Great Mogul, 1615-1619, ed. by W. Foster, 2 vols., london 1899.

4 cfr. e. terry, A Voyage to East India, london 1777 (1655). Sul reverendo edward terry, tra le opere dedicate al viaggio in india di coryate già citate alla nota 1 cfr., in particolare, W. Foster, Early Travels, cit., pp. 288-332; r. c. Prasad, Early English Travellers, cit., pp. 267-310.

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Daniela Giosuè Dal Somerset alla corte del Gran Mogol

nel vivacissimo clima culturale della londra dell’epoca, erano molti coloro che, dopo essersi dilettati con la prima opera e con le due appendici che ad essa fecero seguito nello stesso anno, intitolate Coryats Crambe, or his Colwort Twise Sodden8, e The Odcombian Ban-quet9, contenente una copia pirata dei versi compresi nelle Crudities, attendevano con grande curiosità di conoscere i dettagli della nuova avventura di coryate in oriente.

i più impazienti erano naturalmente gli editori che, conoscendo la prolificità, l’originalità e l’accuratezza nello scrivere di colui che ben Jonson, nel profilo pubblicato all’inizio delle Crudities, definì molto efficacemente «un grande e ardito carpentiere della parola»10, non vedevano l’ora di poter stampare le memorie che coryate avreb-be scritto dopo il suo ritorno in patria.

Fu così che, sull’onda del grande successo riscosso dalle Crudi-ties, nell’attesa, gli editori non si lasciarono sfuggire l’occasione di dare alle stampe alcune lettere inviate dall’india di cui riuscirono ad entrare in possesso, che furono pubblicate in due opuscoli quasi subito dopo il loro arrivo in inghilterra.

il primo opuscolo, intitolato Thomas Coriat Traueller for the En-glish Wits, pubblicato nel 161611, ebbe subito una seconda ristampa e contiene quattro lettere provenienti da ajmer, dove coryate arrivò intorno alla metà di luglio del 1615, la cui stesura risale al periodo compreso tra il «giorno della festa di San michele»12, cioè il 29 set-tembre e, stando all’ultimo riferimento temporale certo presente in uno dei testi, l’8 novembre del 161513.

indirizzate rispettivamente al suo mecenate, Sir edward Phi-lips, al segretario di Sir edward Philips, laurence Whitaker (c. 1578-1654), «all’alto Siniscalco della molto onorevole confraterni-ta dei gentiluomini sirenaici che si incontrano il primo venerdì di

8 cfr. t. coryate, Coryats Crambe, or his Colwort Twise Sodden, london 1611. 9 cfr. The Odcombian Banquet, london 1611. 10 t. coryate, Coryats Crudities, cit. (prime pagine ed. 1611 non numerate).11 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit.12 Ivi, pp. 9, 31. 13 Ivi, p. 43.

suoi connazionali, avesse visitato anche il resto d’italia5.la grande voglia di viaggiare per il semplice gusto di viaggiare,

l’«insaziabile bramosia di vedere paesi sconosciuti, pratica che è in verità la vera sovrana di tutti i piaceri del mondo»6 e, non ultimo, il desiderio di accrescere la propria fama ad ogni costo, non molto tempo dopo spinsero l’eruditissimo e oltremodo ambizioso viaggia-tore a tentare un’impresa ancora più spettacolare, e il 20 ottobre 1612, pochi giorni prima della morte del principe enrico, suo protettore, avvenuta il 6 novembre, egli partì alla volta di costantinopoli, pro-babilmente senza avere neppure un’idea precisa di dove volesse vera-mente arrivare. Questo, almeno, sembra suggerire quanto si legge in una delle lettere scritte dopo l’arrivo in india:

ora, sebbene sia stato in me molto ardente e irresistibile, in questi anni, il desiderio di osservare e contemplare alcune delle parti più im-portanti di questa bella fabbrica del mondo oltre al mio paese natale, non avrei mai pensato che sarebbe esploso nel tanto ambizioso sfogo di viaggiare a piedi da Gerusalemme fino al luogo dal quale ho scritto questa lettera7.

5 cfr. t. coryate, Coryats Crudities, cit.; id. Coryats Crudities, london 1776; id., Coryat’s Crudities, 2 vols., Glasgow 1905; id., Coryats Crudities, 1611, with an introduction by W. m. Schutte, london 1978. tra i numerosi studi dedica-ti alle Crudities cfr. a. hadfield, Literature, Travel, and Colonial Writing in the English Renaissance, 1545-1625, oxford 2002 (1998), pp. 59-68; r. barbour, Before Orientalism, cit., pp. 115-131; m. ord, Provincial Identification and the Struggle over Representation in Thomas Coryat’s Crudities (1611), in Archipelagic Identities: Literature and Identity in the Atlantic Archipelago, 1550-1800, ed. P. Schwyzer and S. mealor, aldershot 2004, pp. 131-140; D. J. baker, ‘Idiote’: Politics and Friendship in Thomas Coryate, in Borders and Travellers in Early Modern Europe, ed. t. betteridge, aldershot 2007, pp. 129-146; c. nicholl, The Field of Bones, cit. Per studi su aspetti particolari dell’opera e ulteriori indicazioni bibliografiche cfr. D. Giosuè, Da Thomas Coryate a John Clenche e oltre. Evoluzione del libro, compagno di viaggio per eccellenza, attraverso l’analisi di alcuni autori inglesi del Seicento, in Compagni di viaggio, a c. di v. De caprio, viterbo 2008, pp. 111-114; ead., Ritratti di donne italiane nei resoconti di alcuni viaggiatori britannici del Seicento, in Immagini di donne in viaggio per l’Italia, a c. di F. De caprio, viterbo 2011, pp. 99-116.

6 t. coryate, Thomas Coriat Traueller for the English Wits, london 1616, p. 6.7 Ivi, pp. 3-4.

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discorso pronunciato in italiano per difendersi da un maomettano che lo aveva insultato chiamandolo giaurro, cioè infedele19.

come emerge più volte dalle lettere, oltre all’italiano, di cui ri-cevette i primi rudimenti nel periodo trascorso a costantinopoli da William Ford, il predicatore inglese allora residente nella città20, du-rante il viaggio coryate studiò l’arabo, il turco e il persiano, che era la lingua usata alla corte del Gran mogol. Sebbene non lo dichiari mai, imparò anche l’indostano, come risulta da alcuni passi del dia-rio del reverendo terry:

in entrambe [le lingue, il persiano e l’indostano], egli raggiunse presto una conoscenza e una padronanza tali che, in seguito, ciò lo avvantaggiò straordinariamente nei suoi viaggi su e giù per i territori del mogol, ed egli indossava sempre gli abiti di quelle popolazioni e parlava la loro lingua21.

avendo egli raggiunto una grande padronanza anche dell’indo-

stano, o lingua volgare, c’era una donna, una lavandaia che faceva parte della famiglia del signor ambasciatore, che era talmente libera di poter parlare come voleva che a volte sbraitava, litigava e inveiva dalla matti-na alla sera; un giorno egli la redarguì nella sua lingua, e fin dalle otto di mattina la mise così bene a tacere che lei non ebbe più neppure una parola da dire22.

Sia nel primo che nel secondo opuscolo sono presenti anche com-ponimenti in versi scritti dall’autore e da altri in suo onore, alcuni allegati alle lettere da coryate stesso, altri aggiunti dagli editori al momento della pubblicazione.

negli opuscoli si possono inoltre osservare alcune illustrazioni, molto ingenue nella concezione e proprio per questo interessanti. Sulla copertina del primo coryate è rappresentato in abiti occiden-

19 i testi dell’orazione in persiano e del discorso al maomettano meriterebbero un approfondimento a parte, che non può purtroppo trovare spazio nel pre-sente studio.

20 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., p. 44.21 e. terry, A Voyage, cit., p. 66.22 Ivi, p. 67.

ogni mese all’insegna della Sirena in bread Street a londra»14, e alla madre, le lettere furono inviate tramite il reverendo Peter rogers, cappellano della piccola colonia di mercanti e impiegati della com-pagnia delle indie orientali allora residenti nella città, che nel mese di novembre del 1615 fece ritorno in inghilterra partendo dal porto di Surat. ciò è attestato dalla lettera a Sir edward Philips, nella quale coryate scrive al suo mecenate che potrà essere certo che la missiva gli è stata davvero inviata dal suo «vicino di odcombe»15 in parte per

la forma dello stile, esattamente corrispondente al modo di parla-re che avete udito e osservato in me, a volte nelle mie orazioni rozze e robuste come la mezzalana16, a volte nei miei discorsi stravaganti, e in parte per la testimonianza del latore della stessa, il signor Peter ro-gers, ministro […] dei mercanti inglesi residenti alla corte del monarca più potente, il Gran mogol, nella città di ajmer, della cui piacevole e dolce compagnia ho goduto presso la stessa corte per lo spazio di quattro mesi17.

il secondo opuscolo, intitolato Mr Thomas Coriat to his Friends in England Sendeth Greeting, pubblicato nel 161818, contiene una lunga lettera alla madre inviata da agra il 31 ottobre del 1616, e include i testi in persiano e in inglese di un’orazione pronunciata da coryate davanti al Gran mogol Jahangir (1569-1627), e il testo in inglese di un

14 Ivi, p. 37. Sebbene l’identità del destinatario sia rimasta finora sconosciuta, la lettera all’alto Siniscalco dei gentiluomini sirenaici è un’importante testi-monianza dell’esistenza della taverna della Sirena. Di questo gruppo di in-tellettuali, di cui coryate faceva evidentemente parte, secondo alcune ipotesi potrebbe aver fatto parte anche William Shakespeare. cfr. i. a. Shapiro, The “Mermaid Club”, in «The modern language review», 45, 1 (1950), pp. 6-17; m. Strachan, The Mermaid Tavern Club: A New Discovery, in «history today», august 1967, pp. 533-538 and october 1967, p. 691.

15 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., p. 2.16 Linsey-woolsey, in italiano mezzalana, tessuto rozzo e resistente di lana e lino o

cotone.17 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., pp. 2-3.18 cfr. t. coryate, Mr Thomas Coriat to his Friends in England Sendeth Greeting,

london 1618. le pagine di questo opuscolo non sono numerate; nelle citazioni che seguiranno non saranno pertanto indicati i numeri di pagina.

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ficio, si ferirebbero e si combatterebbero in modo troppo cruento con le loro zanne micidiali. il re di elefanti in tutto il regno ne tiene 30.000 a un costo incommensurabile, e per nutrirli, e i leoni, e le altre bestie, spende una massa di denaro incredibile, almeno diecimila sterline al giorno25.

Sulla copertina del secondo opuscolo l’autore compare, ancora una volta in abiti occidentali, ma sul dorso di un dromedario, e an-che in questo caso l’illustrazione è stata riprodotta all’interno insie-me a un altro suo ritratto.

Da quanto sopra detto appare chiaro che gli illustratori degli opuscoli non solo non avevano idea di quanto potesse essere gran-de un elefante, ma neppure tennero in alcun conto le indicazioni sull’altezza degli stessi fornite dall’autore, né compresero che par-lando degli unicorni egli si riferiva ovviamente ai rinoceronti. inol-tre, con altrettanto scarso senso della realtà, non si preoccuparono di considerare che durante il lungo viaggio coryate dovette presto disfarsi dei pochi vestiti con cui partì perché divenuti troppo vecchi, e indossare abiti locali.

come già si è avuto modo di notare, che egli vestisse sempre se-condo gli usi dei luoghi in cui soggiornava è testimoniato anche dal diario del reverendo terry26. nonostante fornisca alcune notizie di-mostratesi inesatte sulla base di altre testimonianze, il testo di terry è importante perché riporta preziosi dettagli su alcuni spostamenti di coryate non documentati dai suoi scritti, e rappresenta pratica-mente l’unica fonte di informazioni disponibile sugli ultimi mesi di vita del viaggiatore27.

un’altra fonte autorevole sugli anni trascorsi da coryate in india e su altri particolari del suo viaggio è costituita, come già evidenziato nelle premesse, dal giornale e dalle lettere di Sir Thomas roe. Prima di procedere oltre è opportuno sottolineare che da questi ultimi te-sti emerge la storia della complicatissima impresa dell’ambasciatore, che per tutta la durata della sua missione fu costretto a seguire la

25 Ivi, pp. 25-26.26 v. supra, citazione e nota 21.27 cfr. W. Foster, Early Travels, cit., p. 239.

tali, con tanto di cappello con la piuma, spada e speroni, e senza alcu-na bardatura, sul dorso di un elefante di dimensioni troppo ridotte rispetto alla figura del viaggiatore. il fatto che la stessa illustrazione si ritrovi per ben due volte anche all’interno dell’opuscolo, dimostra che l’immagine di un elefante avesse allora una forte attrattiva sui lettori, e forse anche che gli editori abbiano in questo modo volu-to soddisfare il desiderio di farsi ritrarre su un elefante espresso da coryate nella seconda lettera:

Dopo il mio arrivo a questa corte ho cavalcato un elefante, e ho deciso che un giorno, col permesso di Dio, nel prossimo libro farò stampare il mio ritratto seduto su un elefante23.

Sempre nello stesso opuscolo si vedono un ritratto dell’autore vestito da pellegrino e le immagini di un’antilope e di un unicorno, animali di cui, oltre agli elefanti, sui quali torna più volte, egli par-la in alcuni passi delle lettere. nella parte della lettera a laurence Whitaker in cui tratteggia il profilo del Gran mogol, coryate scrive:

egli tiene una grande quantità di bestie selvagge, e di diverse spe-cie, come leoni, elefanti, leopardi, orsi, antilopi, unicorni; di questi ne ho visti due a corte, le bestie più strane del mondo, sono stati portati qui dal paese del bengala24.

e più avanti prosegue:

Due volte alla settimana gli elefanti combattono davanti a lui, lo spettacolo più bello del mondo: molti di essi sono alti tredici piedi e mezzo e sembrano scontrarsi l’un l’altro come due piccole montagne, e se nel mezzo della lotta non venissero separati con dei fuochi d’arti-

23 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., p. 26. Per uno studio particolareg-giato delle illustrazioni degli opuscoli e sulla simbologia legata alla figura dell’elefante cfr. m. aune, An Englishman on an Elephant: Thomas Coryate, Travel Writing and Literary Culture in Early Modern England, ETD Collection for Wayne State University, 2002, in http://digitalcommons.wayne.edu/dis-sertations/aai3071754; id., Elephants, Englishmen and India: Early Modern Travel Writing and Pre-Colonial Movement, in «early modern literary Stud-ies», 11, 1 (2005), pp. 4.1-35, in http://extra.shu.ac.uk/emls/11-1/auneelep.htm.

24 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., p. 25.

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mento altamente lesivo dell’immagine dell’inghilterra, in fondo non poteva fare a meno di averlo con sé, per godere del piacere che in-dubbiamente la sua compagnia procurava31 ma anche, malgrado non lo dichiari apertamente, per potersi avvalere delle sue straordinarie competenze linguistiche.

Dagli scritti dell’ambasciatore sappiamo inoltre che coryate, non potendo portarle con sé perché divenute troppo pesanti, lasciò una parte delle sue note di viaggio ad aleppo, in Siria, e un’altra parte a isfahan, in Persia. anche durante gli anni trascorsi in india egli accumulò sicuramente una grande quantità di appunti, ma di questi – ad eccezione di alcune note sparse conservate dall’amba-sciatore – come pure delle carte lasciate a isfahan, allo stato attuale delle conoscenze non resta alcuna traccia.

Solo le note lasciate ad aleppo, probabilmente perché l’autore fece in tempo a provvedere alla loro spedizione, arrivarono in in-ghilterra, e nel 1625 Samuel Purchas (1575?-1626) ne pubblicò una versione fortemente abbreviata nella sua opera dal titolo Hakluytus Posthumus, or Purchas his Pilgrimes32.

oltre ad alcune parti delle lettere, nell’Hakluytus Posthumus Pur-chas pubblicò anche le note custodite da roe. Queste ultime, risa-lenti al periodo in cui coryate raggiunse il seguito dell’imperatore a mandu e condivise gli alloggi con terry, furono consegnate a Pur-chas dall’ambasciatore stesso33.

ricchissimi di particolari e osservazioni di ogni genere, e soprat-tutto avvincenti, come tutti gli scritti di coryate, i testi che parlano del viaggio fino ad aleppo pubblicati da Purchas risentono pur-troppo dei drastici tagli da lui operati e dei suoi frequenti interventi esplicativi, che contribuiscono a renderli a tratti confusi. rimandan-do a studi successivi l’analisi di tali testi, saranno ora fornite alcune brevi notizie sulle tappe principali della prima parte del viaggio in essi documentate.

31 cfr. W. Foster, Early Travels, cit., p. 237.32 cfr. S. Purchas, Hakluytus Posthumus, cit., vol. X, pp. 389-447. 33 cfr. S. Purchas, Hakluytus Posthumus, cit., vol. iv, pp. 469-494. le lettere

sono parzialmente riprodotte con utili annotazioni anche in W. Foster, Early Travels, cit., pp. 241-276; anche le note sull’india si trovano ivi alle pp. 276-282.

corte itinerante dell’imperatore per convincerlo a firmare un accor-do commerciale con l’inghilterra. Sia lui che i suoi collaboratori non avevano alcuna conoscenza delle lingue e della cultura locale, e do-vettero superare immense difficoltà per stabilire un dialogo proficuo con il Gran mogol28.

Poiché anche l’ambasciatore aveva frequentato la corte del prin-cipe di Galles, coryate e roe si conoscevano molto bene, ed è così che l’autore parla del suo arrivo nel secondo poscritto alla lettera a laurence Whitaker:

l’otto di ottobre, nono giorno dalla scrittura della presente (essen-do questa rimasta non sigillata per nove giorni), a corte abbiamo ricevu-to la notizia dell’arrivo di quattro grandi navi inglesi nel porto di Surat, in india e, nello stesso, di un cavaliere inglese molto generoso e illustre, un mio caro amico, Sir Thomas roe, che arriverà a corte con una certa celerità in veste di ambasciatore della molto onorevole compagnia dei mercanti di londra trafficanti in india. egli viene con lettere del nostro re e con alcuni doni eccellenti di grande valore da parte della compa-gnia, tra cui una splendida carrozza del valore di 150 sterline. con lui sono inoltre arrivati 15 impiegati, tutti inglesi. Di qui a quaranta giorni al più tardi attendiamo il suo arrivo a corte. Questa notizia rifocilla (uso la vecchia frase a voi ben nota) il mio umore, poiché spero che egli mi tratterà con favore in ricordo della vecchia amicizia29.

il 22 dicembre del 1615, quando giunse nei pressi di ajmer, l’am-basciatore, pur se stremato dal lungo viaggio, dovette sopportare una lunga orazione di benvenuto pronunciata in suo onore da coryate. come si vedrà, a partire da questo momento e fino alla metà di no-vembre del 1617, allorché a mandu decise di proseguire il suo cammi-no da solo, coryate restò quasi sempre al seguito dell’ambasciatore.

Dall’analisi delle carte di roe appare più volte chiaro che, sebbe-ne egli reputasse coryate un «molto onesto povero disgraziato»30 e, poiché viaggiava come un mendicante, considerasse il suo comporta-

28 Su queste vicende cfr., oltre al giornale e alle lettere di roe, J. G. Singh, Colo-nial Narratives, cit., pp. 17-44.

29 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., p. 35.30 cfr. e. terry, A Voyage, cit., pp. 70-71.

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rienze ai diversi destinatari fornendo spesso più volte le stesse infor-mazioni. rispetto ai testi delle prime tre lettere, caratterizzate da un linguaggio più ricercato che assume chiare movenze eufuistiche nella lettera all’alto Siniscalco, le due lettere inviate alla madre sono contraddistinte da un linguaggio più semplice.

Per la ricostruzione dell ’itinerario dalla terra Santa all ’india risultano molto utili la prima lettera alla madre per la sinteticità delle notizie e, per i particolari assenti in quest’utima, quella all ’a-mico laurence Whitaker. nella lettera alla madre coryate scrive:

con il propizio aiuto dell’onnipotente Geova, ho fatto un viaggio tanto degno di nota nell’asia maggiore, con l’acquisto di grandi ric-chezze di esperienza, che dubito che altri inglesi in questi cento anni abbiano fatto una cosa simile, avendo visto e osservato nei particolari tutte le cose principali della terra Santa, detta nei tempi passati Pa-lestina, come Gerusalemme, la Samaria, nazareth, betlemme, Ge-rico, emmaus, betania, il mar morto, chiamato dagli antichi Lacus Asphaltites, dove un tempo si trovavano Sodoma e Gomorra. Dopo quello, molte città e nazioni famose e rinomate: la mesopotamia, nel-la quale sono entrato attraversando il fiume eufrate, che bagnava il Paradiso, e dove si trova la città di ur dove abramo nacque; le due medie, l’alta e la bassa, la Partia, l’armenia, la Persia, attraversando la quale ho raggiunto l’india orientale. ora sono alla corte del Gran mogol, in una città chiamata ajmer, che si trova alla distanza di due-milasettecento miglia da Gerusalemme34, e ho percorso tutto questo tedioso cammino a piedi con non poca fatica fisica e disagio. Poiché mi trovo tanto straordinariamente lontano dal dolce e assai delizioso mio suolo natìo d’inghilterra, forse dubiterai di come sia possibile per me tornare di nuovo a casa, ma spero di allontanare da te quel pensiero sconfortante (se almeno ne concepirai uno tale), perché voglio che tu sappia che viaggio sempre da un luogo all’altro in modo sicuro, in com-pagnia di carovane. carovana è una parola molto usata in tutta l’asia, con la quale si intende una grande moltitudine di persone che percor-rono la strada insieme con cammelli, cavalli, muli, asini, eccetera, su cui portano mercanzie da un paese all’altro, e tende e padiglioni sotto i quali, invece che nelle case, si riparano nei campi aperti, essendo anche forniti di tutte le provviste necessarie e degli oggetti idonei ad arre-darli. in queste carovane ho sempre viaggiato in modo molto sicuro

34 in realtà coryate percorse almeno tremilatrecento miglia.

i primi dati disponibili sull ’itinerario del viaggio dopo la par-tenza, avvenuta, come già detto, il 20 ottobre 1612, riguardano l’i-sola di Zante, dove l ’autore arrivò il 13 gennaio del 1613, seguiti da alcune osservazioni sull ’isola di chio. il 22 febbraio coryate rag-giunse la turchia. alla dettagliatissima descrizione delle rovine di alessandria troade, scambiate dall ’autore e dai suoi compagni per le poco distanti rovine di troia, segue la narrazione di una esilarante finta cerimonia di ordinazione di coryate a primo ca-valiere inglese di troia, inscenata dai suoi amici, ammirati dal-la passione con cui egli prese nota di tutte le antichità incontrate lungo il percorso. il resoconto riprende quindi dal primo di aprile, quando l’autore è già a costantinopoli, e si presenta ricco di in-formazioni sulla città e sulle esperienze riguardanti il periodo in essa trascorso. il 21 gennaio del 1614 il viaggiatore lasciò costan-tinopoli e fece scalo a Gallipoli. il 14 febbraio sbarcò a lesbo, il 18 di nuovo a chio, il 24 a Scanderone. Dopo aver visitato aleppo, il 15 marzo 1614 iniziò il pellegrinaggio a piedi verso Gerusalemme in compagnia di un suo connazionale originario del Kent che si chiamava henry allard. il 26 marzo coryate si trovava a Dama-sco, e il 12 aprile 1614 arrivò a Gerusalemme per la Pasqua e, come molti pellegrini dell ’epoca, si fece tatuare sui polsi l ’immagine di una croce. Dalle note di Purchas risulta che delle molte notizie su Gerusalemme e sui riti della Pasqua registrate da coryate ne ven-gono fornite solo alcune, mentre quelle relative ad altri luoghi della terra Santa vengono omesse ad eccezione della parte in cui viene descritta la visita al fiume Giordano il 28 aprile.

l’itinerario dalla terra Santa ad aleppo e, di qui, attraverso la mesopotamia e la Persia fino in india, coperto durante il periodo compreso tra il mese di maggio del 1614 e la metà di luglio del 1615, così come gli spostamenti in territorio indiano, possono in parte essere ricostruiti grazie alle lettere che, pur essendo prive degli in-numerevoli dettagli che avremmo potuto conoscere se le note non fossero andate perdute, prese nel loro insieme possono essere consi-derate una particolareggiata relazione di viaggio in miniatura, e fi-niscono per rivelarsi uno strumento altrettanto prezioso e, per certi aspetti, ancor più seducente.

utilizzando toni e stili differenti, coryate racconta le sue espe-

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nella chiesa di odcombe, dove sembra siano rimaste almeno fino al diciottesimo secolo39.

Giunto ad ajmer, dove restò circa quattordici mesi, coryate fu accolto presso la stazione commerciale della compagnia delle indie orientali dove trovò, oltre al reverendo Peter rogers, «uno dei capi dei mercanti inglesi [mr. William edwards, un onesto gentiluomo che mi tratta con molto amorevole rispetto]40, con altri nove miei connazionali»41. Sempre parlando del soggiorno ad ajmer egli scrive che abitò «nella casa dei mercanti inglesi, miei amati connazionali, senza spendere nulla di nulla per mangiare e bere, per il bucato, per l’alloggio o qualsiasi altra cosa»42.

in un passo della lettera a laurence Whitaker l ’autore dà una serie di notizie sull ’entità delle ricchezze e sull ’estensione dei pos-sedimenti del Gran mogol Jahangir, mettendoli a confronto con quelli degli altri due grandi imperi, quello persiano e quello turco ottomano43.

come già precedentemente accennato, nella stessa lettera corya-te delinea il ritratto del sovrano, che non chiama mai Jahangir, ma con altre parti del suo lunghissimo nome, Selim44 e Shaugh Selim45, offrendo nel contempo sguardi suggestivi sul fastoso scenario della corte e dei suoi cerimoniali:

il principe attuale è una persona di grande valore di nome Selim […]. ha 53 anni46, il giorno della sua nascita essendo stato celebrato con splendida pompa dopo il mio arrivo qui. Quel giorno egli si è pesa-to su una bilancia d’oro, cosa che per grande fortuna ho visto il giorno stesso, [ed è] un’usanza che egli osserva con grande piacere ogni anno,

39 c. nicholl, The Field of Bones, cit.40 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., p. 28.41 Ivi, p. 18.42 t. coryate, Mr Thomas Coriat to his Friends, cit.43 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., pp. 21-23. 44 Ivi, p. 20.45 Ivi, p. 43.46 essendo nato nel 1569, nel 1615 Jahangir aveva in realtà quarantasei anni.

tra Gerusalemme e questa città, un viaggio di quindici mesi e alcuni giorni, di cui quattro meno una settimana trascorsi ad aleppo, e due e cinque giorni circa trascorsi a isfahan, la città capitale della Persia, dove il re di Persia tiene corte più di frequente. e il motivo per cui ho passato sei mesi degli anzidetti quindici in queste due città è stato che ho dovuto attendere che vi fossero carovane per viaggiare, che non è sicuro che un viaggiatore trovi subito, quando è pronto per il viaggio, ma deve attendere con pazienza il momento opportuno. e la carovana nella quale ho viaggiato tra isfahan e l’india comprendeva 2000 cam-melli, 1500 cavalli, oltre 1000 muli, 800 asini e seimila persone. che ciò ti dia dunque, cara madre, una forte speranza in un mio felice ritorno in inghilterra35.

nel corrispondente passo della lettera a laurence Whitaker sono presenti indicazioni più precise su alcune tappe intermedie e sui tempi di percorrenza e di sosta, e brevi passi descrittivi e apprezzamenti sui luoghi, particolari su cui non vale la pena sof-fermarsi. il testo di questa lettera risulta invece molto utile per ricostruire a grandi linee la parte successiva dell ’itinerario, dalla partenza da isfahan nel mese di febbraio 1615 all ’arrivo ad ajmer a metà luglio.

coryate racconta all’amico che seguendo la carovana attraversò parte della Persia e dell’india, visitando lahore, «una delle città più grandi di tutto l’universo […], ma una dozzina di giorni prima di ar-rivare a lahore attraversai il famoso fiume indo, che è ancor più lar-go del nostro tamigi a londra»36. Più avanti aggiunge che il tragitto tra lahore e agra, la «città […] in cui il mogol, ad eccezione che in questi due anni, ha sempre tenuto corte»37 lo percorse in venti giorni, e quello tra agra e ajmer in dieci, precisando infine che il viaggio da Gerusalemme alla corte del Gran mogol lo fece tutto «a piedi, ma con diverse paia di scarpe»38. Per chi conosce coryate il particolare delle scarpe è estremamente importante, perché fa tornare alla me-moria quelle con cui compì il viaggio sul continente che lasciò appese

35 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., pp. 49-50.36 Ivi, pp. 13-14.37 Ivi, p. 18.38 Ivi, p. 19.

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che io abbia mai sentito dire sia stato inviato a un principe in tutta la mia vita; questo consisteva di diverse parti, una erano elefanti, [in numero di] 31, e di questi, due tanto magnificamente adornati che mai ho visto […], né mai rivedrò nulla di simile finché vivrò: avevano quattro catene attorno al corpo tutte d’oro battuto, due catene intorno alle zampe dello stesso, ornamenti di oro puro per i glutei e due leoni sulla testa del me-desimo oro. Gli ornamenti di ciascun elefante ammontavano a un valore di quasi ottomila sterline, e l’intero dono valeva dieci leak […]: essendo un leak diecimila sterline, in tutto centomila sterline54.

Durante il lungo periodo trascorso ad ajmer coryate si dedicò con passione allo studio del persiano, del turco e dell’arabo. nella seconda lettera alla madre scrive che nei paesi che dovrà attraversare sulla via del ritorno la conoscenza di queste lingue gli sarà «tanto utile quanto i soldi nella borsa, essendo il principale o, meglio, l’unico mezzo per ottenere denaro se mi dovesse accadere di trovarmi senza»55.

Fu probabilmente nel mese di agosto del 1616 che coryate, di nascosto dall’ambasciatore e suscitando le sue ire, pronunciò un di-scorso in persiano davanti al Gran mogol presentandosi come un fa-chiro, un derviscio56, quindi certamente come un povero mendicante ma, secondo la mentalità orientale – e ciò a coryate non sfuggiva di certo – un mendicante degno di grande rispetto:

e per quanto riguarda la lingua persiana, che ho studiato molto seriamente, ho raggiunto una tale ragionevole abilità, e questo in po-chi mesi, che ho fatto un’orazione al re davanti a molti dei suoi nobili in questa lingua, e dopo aver terminato la stessa, ho anche conversato con sua maestà in tale lingua senza difficoltà e con familiarità57.

uno dei punti del discorso di coryate era la richiesta al Gran mogol di un lasciapassare per la tartaria, poiché era suo desiderio visitare la tomba di tamerlano a Samarcanda. il sovrano lo dissuase ardentemente dal portare avanti il suo proposito, spiegandogli che a

54 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., pp. 31-32.55 t. coryate, Mr Thomas Coriat to his Friends, cit.56 Ivi.57 Ivi.

ponendo sull’altro piatto un quantità d’oro corrispondente al peso del suo corpo, e poi ha distribuito lo stesso ai poveri47.

Più avanti coryate scrive che il sovrano ha una carnagione oliva-stra ed è fisicamente gradevole, poi continua:

la sua statura è di poco diversa […] dalla mia, ma è molto più cor-pulento di me»48. […] Si dice che sia incirconciso, e in ciò egli si differen-zia da tutti gli altri principi maomettani che siano mai esistiti al mon-do. Parla in modo molto riverente del nostro Salvatore chiamandolo in lingua indiana Isazaret Eesa, cioè il grande profeta Gesù, e tratta tutti i cristiani, specialmente noi inglesi, tanto benevolmente quanto nessun principe maomettano49. […] il re si presenta ai nobili infallibilmente tre volte al giorno: al sorgere del sole, che adora con l’elevazione delle mani, a mezzogiorno e alle cinque della sera; ma sta in una stanza in alto, da solo, e guarda su di loro da una finestra che ha una sontuosa copertu-ra ricamata sostenuta da due pilastri d’argento per dargli ombra50 […]. [egli] mantiene un migliaio di donne per il proprio corpo, la più impor-tante delle quali, la sua regina, si chiama normal51.

ripensando ai «doni eccellenti di grande valore da parte del-la compagnia, tra cui una splendida carrozza del valore di 150 sterline»52 portati da roe a Jahangir, e fermo restando che i parame-tri di valutazione dell’entità dei doni nella società indiana di allora non si basavano sul loro prezzo in denaro, ma erano strettamente correlati con l’autorità del donatore e del destinatario53, vale la pena di mettere a confronto il passo citato con un altro in cui risulta chia-ro che genere di regali il sovrano fosse abituato a ricevere:

Dopo il mio arrivo qui, è stato inviato al re uno dei doni più ricchi

47 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., pp. 20-21 passim.48 Ivi, p. 21.49 Ivi, pp. 23-24.50 Ivi, p. 25.51 Ivi, p. 26.52 Ivi, p. 35; vedi supra, citazione e nota 29.53 cfr. J. G. Singh, Colonial Narratives, cit., p. 27 e passim.

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siano acqua pura) mi sostenteranno molto discretamente tre anni nel mio viaggio per mangiare, bere e vestirmi61.

Sperando di ricevere altro denaro per coprire le spese, e non es-sendo riuscito a vedere il re di Persia all’andata, coryate parla alla madre del suo progetto per ottenere un’udienza dal sovrano durante il viaggio di ritorno:

Finora non ho avuto l’opportunità di vedere il re di Persia […], ma ho deciso di andare da lui quando arriverò vicino ai suoi territori, e di cercarlo ovunque io possa trovarlo nel suo regno per vedere di poter di-scorrere con lui in lingua persiana. non dubito che andando da lui in forma di pellegrino, non solo mi riceverà con buone parole, ma mi darà una degna ricompensa che si addica alla sua dignità e alla sua persona; per la qual causa mi sono premunito in anticipo con un pezzo eccellente scritto in persiano che ho intenzione di presentargli. in tale maniera spero di ottenere benevolenze da persone illustri per mantenermi in modo adeguato per tutto il pellegrinaggio fino al mio ritorno in inghil-terra, e ritengo che questo sia un corso altrettanto lodevole e più sicuro [da seguire] che se portassi continuamente molto denaro con me62.

nel mese di settembre del 1616 la corte del Gran mogol lasciò ajmer per spostarsi a mandu, e l’ambasciatore e i suoi più stretti collaboratori furono costretti a seguirla. Da più passi delle lettere risulta chiaro che per il viaggio di ritorno, messa da parte l’idea di arrivare fino a Samarcanda per rendere onore alla tomba di tamer-lano, coryate aveva in mente di fare la stessa strada dell’andata, e per questo decise di non seguire l’ambasciatore e di dirigersi di nuovo ad agra in compagnia di due mercanti. nella seconda lettera alla madre egli scrive:

il luogo dal quale ho scritto questa lettera è agra […], la capita-le di tutto il dominio del […] mogol, a 10 giorni di viaggio dalla sua corte nella detta ajmer […], da cui sono partito il giorno 12 settembre dell’anno 1616 dopo avervi dimorato 12 mesi e 60 giorni63.

61 t. coryate, Mr Thomas Coriat to his Friends, cit.62 Ivi.63 Ivi.

causa dell’inimicizia tra lui e i tartari le sue lettere non lo avrebbero assolutamente aiutato e che, considerato l’odio dei tartari verso i cri-stiani, sarebbe stato sicuramente ucciso.

terminata l’udienza, il Gran mogol gli gettò dalla finestra alla quale stava affacciato «cento monete d’argento, ognuna del valore di due scellini, equivalenti a dieci sterline […] dentro un telo annodato ai quattro angoli»58. riguardo all’entità della somma elargitagli, il reverendo terry scrive:

Guardando a lui come a un derviscio, un devoto, un pellegrino […], e coloro che portano quel nome in quel paese non sembrano cu-rarsi molto del denaro, quella, immagino, fu la ragione per cui [il Gran mogol] non gli diede una ricompensa più abbondante59.

in altri passi delle lettere coryate riferisce da chi e come ha rice-vuto somme di denaro e quanto ha con sé, e si preoccupa costante-mente di procurarsi risorse sufficienti per andare avanti senza pro-blemi e senza correre il rischio di essere derubato come gli accadde in mesopotamia, ben sapendo, sulla base dell’esperienza dell’andata, che per sostentarsi nel viaggio di ritorno gli sarebbe bastato molto poco. nella lettera a laurence Whitaker scrive:

Durante i miei dieci mesi di viaggio tra aleppo e la corte del mo-gol ho speso solo tre sterline, eppure a tavola mi sono trattato ragione-volmente bene ogni giorno, essendo le vettovaglie così a buon mercato in alcuni paesi in cui ho viaggiato, che molte volte ho vissuto discreta-mente per un centesimo al giorno60.

Questo è invece quanto si legge nella seconda lettera alla madre:

attualmente […] ho circa dodici sterline che, secondo il mio modo di vivere lungo il cammino a due centesimi al giorno (poiché con tale somma posso vivere abbastanza bene, tanto è basso il prezzo delle cose da mangiare in asia, mentre le bevande non costano nulla, dato che nel mio pellegrinaggio raramente bevo altri liquidi che non

58 Ivi.59 e. terry, A Voyage, cit., p. 67.60 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., pp. 28-29.

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affatto dei migliori, e che egli stesso cominciava a temere per la pro-pria vita66.

nel frattempo dall’inghilterra arrivarono per roe ordini molto diversi da quelli che attendeva, che gli imponevano di continuare a seguire l’imperatore ovunque andasse e che, a causa del lentissimo andamento delle negoziazioni, non gli lasciavano alcuna speranza di poter tornare a casa prima che fosse trascorso un altro anno.

così, quando il 24 ottobre del 1617 la corte del Gran mogol lasciò mandu per una destinazione non certa, sperando che fosse agra, il 29 ottobre coryate partì con roe. raggiunta Dhar fu però chiaro che il sovrano era diretto a Gujarat, e il camminatore, ormai troppo stanco, decise di proseguire da solo fino a Surat, dove avrebbe trovato certa ospitalità presso la stazione della compagnia. egli lasciò l’accampa-mento intorno al 13 novembre, e al suo arrivo a Surat fu accolto con gioia dai mercanti, i quali gli offrirono un vino chiamato sack67.

abituato a bere quasi esclusivamente acqua68, il povero Thomas fu ben felice di dissetarsi con il buon vino spagnolo arrivato dall’in-ghilterra, ma ciò non fece che peggiorare la dissenteria che lo per-seguitava da chissà quanto tempo, conducendolo rapidamente alla morte nel mese di dicembre del 1617.

Sulla via del ritorno egli avrebbe voluto visitare di nuovo la Persia e rendere onore al suo re e poi, come scrisse alla madre, passando per

babilonia e ninive e il monte ararat, dove l’arca di noè si posò, [tor-nare] ad aleppo dai miei connazionali e […], per la via di Damasco, ancora una volta a Gaza nella terra dei Filistei fino al cairo, in egitto. Di là, lungo il nilo, ad alessandria, da dove, finalmente, spero di po-termi imbarcare per qualche parte del mondo cristiano69.

tra le altre possibili vie per il ritorno che il viaggiatore pensa-va di seguire vi era quella attraverso la turchia e costantinopoli,

66 cfr. e. terry, A Voyage, cit., pp. 71-72.67 vino bianco secco importato in inghilterra dalla Spagna e dalle canarie du-

rante i secoli Xvi e il Xvii.68 v. supra, citazione e nota 61.69 t. coryate, Thomas Coriat Traueller, cit., p. 51.

Dall’inizio del 1617 coryate riprese a viaggiare e visitò, tra altri luoghi, Kangra e hardwar, come documentato in parte nelle lettere e in parte negli scritti di roe e terry. nel passo seguente egli parla alla madre della sua prossima visita ad hardwar in occasione del capodanno indù64:

in questa città di agra dove sono ora resterò ancora circa tre set-timane, al fine di attendere un’eccellente opportunità, che allora mi si offrirà, di andare al famoso fiume Gange, a circa cinque giorni di viag-gio, per osservare un raduno memorabile del gentile popolo di questo paese, chiamato Baieans, al quale circa quattrocentomila persone si re-cano allo scopo di bagnarsi e radersi nel fiume, e sacrificare un mondo d’oro al fiume stesso, parte in monete e parte in grandi pezzi massicci e [barrette in forma di] cunei, gettandolo nel fiume come sacrificio e compiendo altri strani cerimoniali molto degni di osservazione [...]. Questa celebrazione la fanno una volta l’anno, recandosi là da luoghi lontani quasi mille miglia, e onorano il fiume come dio, creatore e sal-vatore65.

nel mese di luglio del 1617 coryate tornò ad agra e l ’amba-sciatore, avuta notizia del suo rientro, in una lettera del 20 luglio inviata da mandu a un agente della stazione commerciale chiese di conoscere se il viaggiatore avesse deciso di prendere la strada del ritorno o restare e, nella seconda ipotesi, se avesse intenzione di raggiungerlo e seguirlo. l’ambasciatore era infatti in attesa di istruzioni dall ’inghilterra, e non sapeva ancora se avrebbe dovu-to trasferirsi in Persia o, come sperava, tornare in patria via mare all ’inizio del 1618.

Poiché entrambe le opzioni risultavano per lui interessanti, coryate decise di unirsi di nuovo al seguito dell’ambasciatore e ar-rivò a mandu all’inizio di settembre. Fu allora che conobbe il reve-rendo terry e condivise con lui la camera e, durante gli spostamenti, la tenda. Dalle notizie fornite da terry per questo periodo risulta chiaro che lo stato di salute dell’instancabile camminatore non era

64 cfr. W. Foster, Early Travels, cit., p. 238.65 t. coryate, Mr Thomas Coriat to his Friends, cit.

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Daniela Giosuè

la Grecia continentale e la Slavonia, dalla quale avrebbe raggiunto «l’inestimabile diamante incastonato nell’anello dell’adriatico […] la venerea venezia»70.

il suo ultimo desiderio prima di rientrare in patria sarebbe stato, infine, quello di viaggiare per altri «due anni in italia e sia nell’alta che nella bassa Germania»71.

i suoi sogni furono sepolti con lui in un’anonima, misera tomba che il reverendo terry andò a visitare nel 1619, segnalandola in un luogo poco lontano da Surat72 che sembra non corrispondere affatto con i siti in cui altri due viaggiatori, Sir Thomas herbert nel 162773, e John Fryer circa cinquant’anni dopo74, credettero di individuare la tomba del «fachiro inglese»75.

70 Ivi, p. 40.71 Ivi, p. 51.72 cfr. e. terry, A Voyage, cit., p. 55.73 t. herbert, Some Yeares Travels into Divers Parts of Asia and Afrique, london

1638, p. 35.74 J. Fryer, A New Account of East India and Persia, london 1698, p. 100.75 Ibidem.