Comunicazione per immagini e rappresentazione della modernità. Due Esposizioni a confronto: Milano...

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Storia in Lombardia, anno XXVIII, n. 1, 2008 Ricerche COMUNICAZIONE PER IMMAGINI E RAPPRESENTAZIONE DELLA MODERNITÀ. DUE ESPOSIZIONI A CONFRONTO: MILANO 1881 – MILANO 1906 di Ilaria M.P. Barzaghi Al giorno d’oggi è evidente a chiunque che le immagini hanno un ruolo primario in tutte le circostanze in cui ci si vuole rivolgere a un pubblico il più vasto possibile e per così dire “indifferenziato”, nel senso di non specialistico, non settoriale o di nicchia; al punto che “civiltà di massa” e “civiltà dell’immagine” sono diventati – almeno nella vulgata giornalistica – praticamente intercambiabili. Ma questa situazione è il punto d’arrivo di un lungo percorso storico. Tra gli eventi e i luoghi della modernità cruciali per l’origine della civiltà dominata dai mass-media ci sono le ottocentesche esposizioni universali e industriali, che hanno preso forma a partire dalla Great Exhibition di Londra, 1851. In questo saggio mi occupo delle immagini usate per comunicare e proporre i contenuti e gli ideali del progetto (culturale, politico, economico) a cui l’Esposizione internazionale del Sempione dava corpo, mettendole in relazione con il materiale iconografico dell’Esposizione industriale nazionale, svoltasi sempre a Milano nel 1881, che ne costituisce il precedente più importante 1 . Per Milano, tali eventi sono gli estremi di un discorso sulla modernità che si sviluppa e matura nell’arco di venticinque anni 2 e che di lì a poco, raggiunto il culmine, sarebbe stato dolorosamente spezzato dalla prima guerra mondiale. 1. Questa comunicazione scritta ha dovuto assumere una forma differente rispetto all’intervento orale per il convegno Milano e l’Esposizione internazionale del 1906. La rappresentazione della modernità, 18-19 dicembre 2006, dal momento che in quella sede ho potuto avvalermi della proiezione di numerose immagini (136 slides, molte delle quali multiple): patrimonio che nel volume è stato necessario distillare in poche tavole emblematicamente esemplificative. 2. Si vedano: E. Decleva, Milano industriale fra mito e realtà: le esposizioni 1871-1906, «Museoscienza - periodico del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci», luglio-settembre 1982, n. 3, pp. 21-32; E. Decleva, L’Esposizione del 1881 e le origini del mito di Milano, in Dallo Stato di Milano alla Lombardia contemporanea, a cura di S. Pizzetti, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1980, pp. 181-211 e C. G. Lacaita, Esposizioni industriali e sviluppo economico a Milano tra Otto e Novecento, in Industria e conoscenza. La Camera di Commercio di Milano, le

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Storia in Lombardia, anno XXVIII, n. 1, 2008

Ricerche

COMUNICAZIONE PER IMMAGINI E RAPPRESENTAZIONE DELLA MODERNITÀ. DUE ESPOSIZIONI A CONFRONTO:

MILANO 1881 – MILANO 1906

di Ilaria M.P. Barzaghi

Al giorno d’oggi è evidente a chiunque che le immagini hanno un ruolo primario in tutte le circostanze in cui ci si vuole rivolgere a un pubblico il più vasto possibile e per così dire “indifferenziato”, nel senso di non specialistico, non settoriale o di nicchia; al punto che “civiltà di massa” e “civiltà dell’immagine” sono diventati – almeno nella vulgata giornalistica – praticamente intercambiabili.

Ma questa situazione è il punto d’arrivo di un lungo percorso storico. Tra gli eventi e i luoghi della modernità cruciali per l’origine della civiltà dominata dai mass-media ci sono le ottocentesche esposizioni universali e industriali, che hanno preso forma a partire dalla Great Exhibition di Londra, 1851.

In questo saggio mi occupo delle immagini usate per comunicare e proporre i contenuti e gli ideali del progetto (culturale, politico, economico) a cui l’Esposizione internazionale del Sempione dava corpo, mettendole in relazione con il materiale iconografico dell’Esposizione industriale nazionale, svoltasi sempre a Milano nel 1881, che ne costituisce il precedente più importante1.

Per Milano, tali eventi sono gli estremi di un discorso sulla modernità che si sviluppa e matura nell’arco di venticinque anni2 e che di lì a poco, raggiunto il culmine, sarebbe stato dolorosamente spezzato dalla prima guerra mondiale.

1. Questa comunicazione scritta ha dovuto assumere una forma differente rispetto all’intervento orale

per il convegno Milano e l’Esposizione internazionale del 1906. La rappresentazione della modernità, 18-19 dicembre 2006, dal momento che in quella sede ho potuto avvalermi della proiezione di numerose immagini (136 slides, molte delle quali multiple): patrimonio che nel volume è stato necessario distillare in poche tavole emblematicamente esemplificative.

2. Si vedano: E. Decleva, Milano industriale fra mito e realtà: le esposizioni 1871-1906, «Museoscienza - periodico del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci», luglio-settembre 1982, n. 3, pp. 21-32; E. Decleva, L’Esposizione del 1881 e le origini del mito di Milano, in Dallo Stato di Milano alla Lombardia contemporanea, a cura di S. Pizzetti, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1980, pp. 181-211 e C. G. Lacaita, Esposizioni industriali e sviluppo economico a Milano tra Otto e Novecento, in Industria e conoscenza. La Camera di Commercio di Milano, le

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L’eredità dell’Esposizione del Sempione sarà in parte raccolta, più tardi, dalla Fiera di Milano, persino negli stessi luoghi (in Piazza d’Armi, a partire dalla quarta edizione, 19233), in un contesto culturale però radicalmente mutato: il lascito sarà infatti depurato dallo slancio utopico che è invece costitutivo dell’esposizione del 1906 (e in generale rintracciabile in tutte le esposizioni universali dell’Ottocento, in modi e proporzioni diversi). Mi riferisco alla retorica del progresso necessariamente pacificatore dei popoli, alla competizione economica e commerciale intesa a sostituire lo scontro bellico (si parlava di pacifiche gare di produttività), all’internazionalismo progressista, così come all’esaltazione del lavoro dell’uomo in quanto vittoria sulle forze brute della natura e della materia, domate e sconfitte anche grazie all’innovazione tecnologica.

Le esposizioni universali (e analogamente anche le industriali, internazionali e nazionali), erano veicoli privilegiati di questi valori, che – in sintesi – svolgevano l’immane compito di socializzare la modernità. Erano infatti giganteschi e complessi apparati mass-mediatici, dotati di un grande potere di persuasione e di una straordinaria capacità mitopoietica, in cui aveva un ruolo preminente la comunicazione visuale4.

È da questo punto di vista che tratto dell’iconografia di queste rassegne: pensando alle esposizioni come a mass-media integrati, alla cui costituzione e articolazione concorrevano l’architettura della sede, l’allestimento, i simboli, i manifesti, le proposte pubblicitarie e promozionali, le immagini, i progetti editoriali ufficiali o meno, la stampa e qualunque iniziativa collegata ne accrescesse la risonanza.

Cominciamo con l’Esposizione nazionale del 1881. A vent’anni dall’Unità d’Italia, la mostra industriale era un’iniziativa pensata a Milano per tirare le Esposizioni industriali e le “gite di istruzione” degli operai lombardi alle Esposizioni internazionali (Parigi 1900 - Bruxelles 1910), a cura di E. Gramegna, Milano, Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Milano - Fondazione Giacomo Brodolini, 1997, pp. 13-31.

3. Per un attento inquadramento storico della Fiera di Milano, si veda: G. M. Longoni, La Fiera nella storia di Milano, Milano, Federico Motta Editore, 1987.

4. La bibliografia relativa alle esposizioni universali è molto vasta e sfaccettata (oltre che parcellizzata). Si segnalano qui, come contributi imprescindibili per la comprensione della loro peculiare e complessa natura di mass-media: A. Abruzzese, Estetiche del conflitto e del potere, in Le esposizioni del ‘900 in Italia e nel mondo, «Quaderni di», 1991, n.11, pp. 13-26; P. Bolchini, Un sujet de delire du XIX siécle, in: Il cammino del commercio – dal baratto al codice a barre, Catalogo della mostra (Milano, Fiera, 8.11 - 12.12.1991), Milano, Leonardo-De Luca, 1991, pp. 57-69 e A. C. T. Geppert, Città brevi: storia, storiografia e teoria delle pratiche espositive europee, 1851-2000, in Esposizioni in Europa tra Otto e Novecento. Spazi, organizzazione, rappresentazioni, a cura di A. C. T. Geppert, M. Baioni, numero monografico di «Memoria e ricerca. Rivista di storia contemporanea», settembre-dicembre 2004, n. 17, pp. 7-18. Inoltre, per uno sguardo d’insieme al fenomeno, si segnalano: L. Aimone, C. Olmo, Le esposizioni universali. 1851-1900. Il progresso in scena, Torino, Allemandi, 1990; A. Baculo, S. Gallo, M. Mangone, Le grandi esposizioni nel mondo 1851-1900, Napoli, Liguori, 1988 e M. Picone Petrusa, M. R. Pessolano, A. Bianco, Le grandi esposizioni in Italia, Napoli, Liguori, 1988.

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somme e rilanciare l’economia del paese. È il momento della piena esplosione del mito di Milano capitale morale, in antitesi al mito paludato e anticheggiante di Roma; Milano capitale morale è la città moderna, tutta proiettata nel futuro: la contrapposizione, carica di implicazioni polemiche, è davvero tra passato e futuro5. Nell’affermazione e nel consolidamento di questo ideale identitario, la rassegna industriale si poneva come evento determinante.

Nel 1881 il discorso dell’esposizione si focalizzava in particolare sull’indu-strializzazione come prosieguo del progetto risorgimentale con altri mezzi: dopo lo straordinario risultato politico dell’unificazione, era necessario agire anche sul piano economico, affinchè l’Italia non restasse indietro o, peggio, fosse esclusa dal novero degli stati moderni e potenti6.

Ma nelle immagini rivolte al vasto pubblico, del progetto modernizzatore e industrialista di cui tale evento è esito e portavoce al contempo, cosa traspare? E viceversa (fattore altrettanto importante, se non addirittura più rivelatore), cosa manca? Da una ricognizione della stampa illustrata7 e di altri materiali

5. Si vedano: V. Spinazzola, La “capitale morale”. Cultura milanese e mitologia urbana, «Belfagor»,

maggio 1981, pp. 317-327; G. Rosa, Il mito della capitale morale. Letteratura e pubblicistica a Milano tra Otto e Novecento, Milano, Comunità, 1982, oltre ai titoli di Decleva già citati in nota 2.

6. Si veda in particolare il Manifesto per l’Esposizione Industriale Italiana del 1881 in Milano, in Esposizione industriale italiana del 1881 in Milano - Catalogo ufficiale, Milano, Sonzogno, 1881 e anche in Relazione Generale [dell’Esposizione di Milano 1881] compilata dall’Ingegner Amabile Terruggia, segretario generale, e pubblicata per cura del Comitato esecutivo dell’esposizione, Milano, Tipografia Bernardoni di C. Rebeschini e C., 1883, pp. XVIII-XXV.

7. La ricerca sulla rappresentazione della modernità nell’iconografia dell’Esposizione Industriale del 1881 da me svolta per il dottorato di ricerca (che estendendosi, al di fuori della tesi, allo studio dell’Esposizione del Sempione, è all’origine di questo convegno) ha preso in considerazione numerose testate: «Emporio pittoresco – Illustrazione universale», Sonzogno; «Gazzetta illustrata – Rivista settimanale», Treves; «Il Corriere delle esposizioni italiane»; «L’Illustrazione italiana», Treves; «L’Illustrazione popolare», Treves; «In Famiglia» (dono agli abbonati del «Pungolo»), Garbini; «Giornale dei Fanciulli» e «La ricreazione» (facevano parte di «La Pergola – Giornale di tutta la famiglia riccamente illustrato»), Treves; «La Valigia – Foglio illustrato settimanale», Garbini; «Margherita – Giornale delle signore italiane», Treves; «Rivista illustrata settimanale – Politica, letteratura, scienze, belle arti e varietà», Garbini; «Il Bazar: giornale illustrato delle famiglie», Garbini; «Il Fanfulla della domenica»; «Il Politecnico. Giornale dell’ingegnere architetto civile ed industriale», Milano, Tipografia e litografia degli ingegneri. Sono naturalmente state vagliate anche le iniziative editoriali dedicate alla rassegna; ricordiamo: L’Esposizione italiana del 1881 in Milano illustrata, Milano, Sonzogno, 1881 (altrimenti nota come Giornale dell’Esposizione, 40 dispense); Milano e l’esposizione italiana del 1881. Cronaca illustrata della esposizione nazionale industriale ed artistica del 1881, Milano, Treves, 1881 (40 dispense); Ricordo dell’Esposizione di Milano 1881, Milano, Garbini, 1881; Album-ricordo dell’esposizione nazionale del 1881 in Milano, Milano, Treves, 1881; Guida del visitatore alla esposizione industriale italiana del 1881 in Milano: sola pubblicazione autorizzata e compilata sotto la sorveglianza del Comitato esecutivo dell’Esposizione industriale, Milano, Sonzogno, 1881; Zig zag per l’Esposizione Nazionale. Guida generale del visitatore all’Esposizione Industriale, all’Esposizione Artistica, all’Esposizione Musicale e alla Indisposizione Artistica, seguita dalla Storia dell’Espo-sizione. Con la pianta dell’Esposizione, Milano, Treves, 1881; Annuario Scientifico ed Industriale Fondato da F. Grispigni, L. Trevellini ed E. Treves, Anno Diciottesimo - 1881, Contenente il resoconto dell’Esposizione Nazionale del 1881 (Milano), dell’Esposizione Internazionale di Elettricità (Parigi) e dell’Esposizione Internazionale di Geografia

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affini, come le stampe-ricordo dell’esposizione8, emerge che l’attenzione è selettivamente rivolta soprattutto ad alcuni aspetti: in primo luogo alle costruzioni che costituiscono la sede espositiva (collocate tra gli alberi dei Giardini pubblici di Via Palestro). Troviamo una grandissima quantità di incisioni dedicate a singoli edifici, vedute a volo d’uccello (una tipologia di grande richiamo), scene di cantiere dell’esposizione in costruzione.

Prevalgono la decorosa facciata principale, in stile neorinascimentale, e la cosiddetta Porta veneziana (un accesso secondario in stile gotico flamboyant, ispirato al Palazzo Ducale di Venezia), opere dell’eclettico Giovanni Ceruti9, architetto ufficiale dell’esposizione, a cui si devono gli interventi principali; ma hanno grande rilievo anche i chioschi disseminati nei Giardini, compresi i piccoli edifici commerciali, architettonicamente molto modesti. Si trattava in tutti i casi di architettura effimera (con grande impiego di legno, gesso e illusioni ottiche), che sarebbe durata giusto sei mesi. A questa produzione corrispondeva una proliferazione di piante dell’esposizione, che ne sottolineavano il carattere di piccola città nella città.

Quasi altrettanto frequenti sono le immagini che fissano scene di visita all’esposizione, cerimonie, scene sociali qui situate, in cui è preminente la rappresentazione del pubblico, che è sempre – tranne che in casi propriamente eccezionali – costitutito da visitatori borghesi ed eleganti. L’esposizione è cioè presentata come un intrattenimento sociale, o perfino un avvenimento mondano, peculiarmente moderno, che non si può assolutamente perdere, se non si vuole essere out; talvolta la mostra industriale si riduce a cornice – quando non addirittura a pretesto – di incontri in società. L’attenzione si focalizza in particolare sull’abbigliamento dei visitatori: sulle raffinate mises delle signore con i loro vezzosi accessori e sui cappelli degli uomini (soprattutto i cilindri, che sono indubbio segno di distinzione sociale).

A tutto ciò nelle illustrazioni fanno riscontro, in modo inversamente proporzionale, la sostanziale assenza di visitatori di estrazione popolare, di

(Venezia), Milano, Treves, 1882; L’Ingegneria alla Esposizione industriale italiana in Milano 1881, opera dedicata a S.M. Umberto I, patrono dell’espo-sizione, Milano, Tipo-litografia degli ingegneri di B. Saldini, 1882; Carlo Valentini, L’Ingegneria all’Esposizione industriale italiana del 1881 in Milano, Milano, Hoepli, 1882.

Il catalogo ufficiale non è illustrato. Per questa relazione si è deciso di escludere l’analisi delle riviste satiriche, che avrebbero aperto un vasto fronte a parte. Allo stesso modo, non si è qui analizzato il contributo dei quotidiani, solo eccezionalmente corredati da illustrazioni.

8. Gli altri materiali esaminati, oltre alle tipiche stampe-ricordo, sono souvenirs di stoffa, piante dell’esposizione, stampati pubblicitari.

9. Giovanni Ceruti (1842-1907), di famiglia milanese, studiò a Torino, a Pavia e al Politecnico di Milano, dove fu allievo di Francesco Brioschi, e in seguito si perfezionò in architettura con Camillo Boito. Dopo aver studiato i grandi alberghi in Svizzera e Germania, realizzò l’Hotel Bellagio (1870), sul lago di Como. Il suo nome è rimasto legato soprattutto al Museo civico di storia naturale di Milano, in stile neoromanico (1888-1892).

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delegazioni operaie (che erano invece numerose) e l’eccezionalità della rappresentazione del lavoro, che in verità è – insieme all’innovazione tecnologica – uno dei temi centrali di un’esposizione industriale.

In modo apparentemente paradossale, le tavole dedicate ai prodotti industriali e alle macchine, che dovrebbero essere il soggetto per antonomasia di queste immagini, sono molto meno numerose, oltre che di dimensioni più ridotte; e hanno una posizione di minore rilievo all’interno di riviste e dispense. Tra quanto esposto, maggiore spazio si guadagnano oggetti e pezzi unici legati a produzioni ancora tradizionali, in tutto o in parte artigianali: la divulgazione delle novità tecnologiche è delegata (e in pratica confinata) alle pubblicazioni tecniche per specialisti, quindi al disegno tecnico.

Nelle immagini dell’Esposizione industriale del 1881, tuttavia la modernità c’è: ma è la modernità sociale della vita urbana, a cui le esposizioni sono organicamente legate, nel senso che la città è una conditio sine qua non di un’esposizione, che sia universale o industriale. Queste sono immagini “della vita moderna” in senso baudelairiano10.

Ma, mentre Baudelaire esortava il pittore della vita moderna a osservare, aggirandosi giorno e notte nella metropoli parigina vivendo da flaneur, e a dipingere una vasta gamma di personaggi e di vicende, dagli ambienti più sordidi, fino ai riti sfavillanti dell’aristocrazia, qui hanno il diritto di essere rappresentati (tranne le eccezioni che confermano la regola) personaggi dalla media borghesia in su. Risulta del tutto rimossa la questione sociale, ovvero la questione dei costi umani e sociali della modernizzazione.

Si tratta di una scelta precisa, ascrivibile evidentemente al bisogno di persuadere alla modernità senza spaventare, di attrarre rassicurando rispetto alla paura dei conflitti sociali prodotti dall’industrializzazione, che si erano verificati nei paesi più avanzati, e ai timori legati alle profonde trasformazioni che la modernizzazione operava in ogni ambito.

Vengono a tal fine messi in atto dei meccanismi di “attenuazione”, che generano questo tipo di raffigurazioni. Grande importanza riveste l’uso di “mediatori”: tra cui svolge un ruolo fondamentale la figura femminile, che allo stesso tempo ingentilisce la mostra industriale, rendendola elegante, e avvicina il pubblico all’esposizione, comunicando che non è solo un evento per specialisti, tecnici, ingegneri, lavoratori, ma per tutti, se anche le signore possono visitarla con piacere e – chissà – forse capirla.

Questo, a grandi linee, è il quadro relativo al 1881. Venticinque anni dopo, alla fine di aprile del 1906, si apriva la grande

Esposizione internazionale, intesa a celebrare il traforo del Sempione, che

10. Si veda C. Baudelaire, Le peintre de la vie moderne, «Figaro», 26 e 29 novembre, 3 dicembre

1863, ora in edizione italiana, Il pittore della vita moderna, in Scritti sull’arte, Torino, Einaudi, 1992.

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congiungeva l’Italia all’Europa, agevolando gli scambi culturali e commerciali a quasi cinquant’anni dall’Unità.

La più ricorrente metafora con cui la sensibilità comune indicava la montagna perforata è quella del gigante, una greve entità materica, che viene vinta dalla scienza (applicata) e dal lavoro dell’uomo, creatura incomparabilmente più piccola e vulnerabile. In questa lotta prometeica contro le forze cieche della natura, gli uomini possono vincere se si alleano, riscoprendosi fratelli al di là di ogni divisione:

Il gigante, trafitto nel cor dalla lancia fatale del nano, echeggiante pel monte e pel piano gettò un grido… morente leon! … Fra le nere macerie fumanti i fratelli si strinser la mano; da ogni parte del suolo italiano sorse l’inno di gloria e d’amor11.

Inizialmente dedicata ai mezzi di trasporto e di comunicazione, che

permettono ai popoli di incontrarsi e arricchirsi reciprocamente, durante una lunga gestazione la manifestazione andò accrescendosi di nuove sezioni e nuovi apporti, configurandosi in modo da fornire una panoramica generale di attività produttive, risorse tecnologiche e creatività. Per ampiezza e ambizioni, è quanto di più simile a un’esposizione universale abbia mai avuto luogo in Italia.

Mentre la mostra nazionale del 1881 segnalava lo sforzo di modernizzarsi del paese, spingendo verso la concretizzazione dell’“ipotesi industrialista”12, l’esposizione del Sempione simboleggiava pienamente l’Italia nel momento del (tardivo) decollo economico, finalmente arrivato: un avanzamento che la metteva nelle condizioni di presentarsi degnamente accanto e di fronte alle altre nazioni, in un’adunata mondiale.

La kermesse poteva infatti vantare la partecipazione di grandi paesi europei come l’Inghilterra, la Francia, la Germania, il Belgio ma anche di Canada,

11. Versi tratti da Il traforo del Sempione. Inno per voci bianche, parole di Cecilia Leidi, musica del

Maestro G. Pontoglio, cantato dagli alunni delle Scuole comunali nel Salone dei Festeggiamenti all’Esposizione internazionale di Milano il 25 giugno 1906. Il testo, rinvenuto nel Fondo Esposizioni dell’Archivio storico civico di Milano - Biblioteca Trivulziana, è interessante in quanto mediocre prodotto letterario, banalmente retorico, che testimonia un sentire diffuso anziché un’originale interpretazione autoriale del tema.

12. Si veda E. Decleva, Milano industriale e l’Esposizione del 1881, in L’Italia industriale nel 1881: conferenze sulla Esposizione Nazionale di Milano (prefazione di Mario Talamona), a cura di E. Decleva, Milano, Banca del Monte di Milano, 1984, pp. XV-LXXII, XXIX.

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Repubbliche Sudamericane, Russia, Cina, Giapppone e molti altri. Ancora una volta, la sede di questo evento non poteva essere che la città di Milano, all’avanguardia in Italia, depositaria dei fermenti, delle qualità e delle contraddizioni della modernità.

È naturale chiedersi se e in che modo le mutate condizioni del paese e il differente stadio attuativo del progetto di modernizzazione nazionale condizionassero la rappresentazione della modernità nelle immagini indirizzate al pubblico generalista, venticinque anni dopo.

Cominciamo col vedere cosa c’è di diverso nel 1906. In primo luogo, le fonti iconografiche a cui attingiamo per studiare l’esposizione del 1881 e quella del 1906 sono differenti. Nel 1906, infatti, il materiale iconografico non solo è decisamente aumentato, ma non è più ricavato in netta prevalenza dalla stampa illustrata, come nel 1881: è molto forte la presenza di iniziative di comunicazione “istituzionale”.

Il comitato organizzatore decise infatti di bandire tre concorsi grafici: uno per la cosiddetta sigla (il logo), uno per il manifesto ufficiale da esporre al chiuso e infine uno per il manifesto stradale ufficiale, che ebbero vicende piuttosto travagliate. Alla fine, Adolfo Hohenstein, in competizione contro altri novanta partecipanti, si aggiudicò la vittoria per il logo, mentre le altre due gare si chiusero senza vincitori. Per il manifesto stradale, la scelta cadde poi su un lavoro presentato fuori concorso da Leopoldo Metlicovitz e in seguito venne selezionata un’illustrazione realizzata da Giovanni Mataloni come altra immagine ufficiale.

Nella sigla di Hohenstein, un giovane uomo prestante è ritratto di schiena, nell’atto di lanciare una ruota ferroviaria alata verso il traforo del Sempione: la figura virile, che ci dà le spalle in quanto chiaramente rivolta al futuro, è un nudo eroico senza caratteri mitologici, che i contemporanei identificavano nel “tipo del lavoratore” o addirittura nella personificazione del Lavoro13, però le ali, qui conferite alla ruota più moderna, sono uno degli attributi fondamentali di Mercurio, il veloce dio del commercio e della comunicazione.

Il riferimento è del tutto esplicito nel celebre manifesto di Metlicovitz; al centro c’è ancora un vigoroso uomo nudo di schiena, che questa volta indossa un caschetto alato: è proprio Mercurio. Accovacciato su una locomotiva che sta per sbucare fuori dal tunnel del Sempione nella larga pianura (sul cui orizzonte si decifra, piccolissimo, il profilo del Duomo di Milano), ha accanto una donna dall’elegante capigliatura; la sua compagna potrebbe essere l’Industria, tradizionalmente abbinata al Commercio, o forse l’Abbondanza (generata da un’economia moderna) oppure ancora, in un’ottica propriamente positivista, la Scienza, che fornisce gli strumenti conoscitivi necessari al Progresso.

13. Cfr. Anonimo, La cronistoria dell’Esposizione. Il concorso della sigla, in L’Esposizione Illustrata di Milano 1906. Giornale ufficiale del Comitato Esecutivo, Milano, Sonzogno, 1906, dispensa n. 3.

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Su entrambe le figure si riflettono i bagliori rossastri della caldaia, accentuati dal buio della galleria: l’ambientazione richiama il mondo ctonio o infernale, chiaramente contrapposto alla luminosità dello spazio che si apre all’uscita. Una simbologia trasparente, pienamente conforme alla consolidata tradizione illuminista, sfociata poi nella retorica positivista dell’Excelsior (che d’altra parte, mutatis mutandis, è, prima ancora, cristiana): si passa dal buio alla luce, ossia dalla miseria e dall’ignoranza alla Verità, al benessere, al progresso; dal male al bene.

Nel disegno di Giovanni Mataloni, che suggellava i biglietti d’ingresso, Mercurio è sdoppiato in due figure specularmente contrapposte (di fronte e di schiena), dotate di tutte le prerogative della divinità: il caschetto alato, il caduceo e anche la ruota (sempre ferroviaria) alata sotto il piede, oltre a un corno e a una lanterna (la comunicazione e la luce). Tra loro, una donna di proporzioni colossali, coronata dal Duomo di Milano, tiene nelle mani due corone d’alloro entro cui è scritto, rispettivamente, “Ars” e “Labor”: è la città di Milano. Qui i simboli, tra passato e presente, evidentemente si addensano; i caducei sono usati come aste per le bandiere di Italia e Svizzera, le due nazioni che ormai, dopo il traforo, sono unite anziché divise dal Sempione, il cui imbocco è raffigurato dietro.

Si tratta di un’opera che rifiuta la plastica vigoria dei lavori di Metlicovitz e Hohenstein, aderendo piuttosto ai canoni stilizzati di un’elegante linearismo già liberty e funzionale a un’analitica descrittività14.

Le tre opere ufficiali, che pur sono indipendenti tra loro, vengono dunque a costituire una sorta di sistema simbolico dell’esposizione non privo di una sua compattezza, in seguito alla ricorrenza di alcuni riferimenti, in primo luogo alla figura mitologica di Mercurio, con gli ideali e gli ambiti a cui allude.

Ed è un richiamo che non scomparirà insieme all’esposizione. A Milano, si radica nell’immaginario legato alle mostre del progresso economico-industriale, se diversi anni dopo – superata anche la cesura epocale della prima guerra mondiale – ritroviamo puntualmente un Mercurio rosso nei manifesti della Fiera: nel 1921 disegnato da Giorgio Muggiani e nel 1929 da Piero Todeschini, e ancora addirittura nel 1941, quando nell’opera di Manlio (Manlio Parrini), oltre al casco alato e al caduceo, esibisce con fierezza anche un fascio littorio (quest’ultimo era stato preceduto nel 1930 dal duro profilo stilizzato del dio,

14. Adolfo Hohenstein (1854-1928), Leopoldo Metlicovitz (1868-1944) e Giovanni Mataloni (1869 -

1944), illustratori e cartellonisti, appartenevano tutti alla scuderia delle Officine grafiche Ricordi di Giulio Ricordi, un vivacissimo laboratorio, tecnicamente e creativamente all’avanguardia in Italia, in cui confluivano numerosi artisti di varie matrici stilistiche e di diversa provenienza (tra cui anche Marcello Dudovich, Gian Emilio Malerba, Aleardo Terzi, Aleardo Villa), la cui opera era complessivamente al livello della più smagliante produzione europea.

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azzurro, nel suo casco alato, ritratto da Araca con fattezze inequivocabilmente fasciste, benchè privo di attributi del regime)15.

Molto diversamente, per quanto riguarda l’elaborazione di simboli e la loro minuziosa diffusione, Milano 1881 era stata in grado di fare poco. La situazione non era matura per iniziative di questo genere, si era ancora lontani dall’istituzionalizzare la pervasiva presenza di emblemi ricorrenti.

L’elemento che costituiva il maggiore sforzo dal punto di vista simbolico si trovava sul grande arcone centrale dell’ingresso principale: la lunetta di Emilio Bisi16, un altorilievo raffigurante l’Italia, tra l’Industria e la Scienza, nell’atto di premiare il Lavoro (che non viene però rappresentato). Scienza e Industria sono sedute ai lati dell’Italia, ansiosamente volte verso di lei, in attesa del suo responso; la prima, colei che crea, tiene un libro, l’altra, che applica, ha un martello. L’Italia, in piedi, alza la mano sinistra mostrando un serto di fronde in un gesto di incoronazione; anche nella destra ha una corona (pare d’alloro), che appoggia su una spada serrata nel fodero, a manifestarne il desiderio di pace: ma l’arma è comunque vicina alla sua mano, in caso di necessità può facilmente essere sguainata. Si tratta dunque di un gruppo allegorico scolpito, non di una soluzione grafica da riprodurre serialmente; va anzi rilevato che la leggibilità dell’opera nelle frequentissime immagini della facciata neo-rinascimentale, con cui ben si accorda stilisticamente, è di solito, a causa delle dimensioni, molto modesta17. Con scarsissima incivisità, l’Industria, dinamico motore primo della perseguita modernizzazione economica, viene proposta al grande pubblico, che per entrare ci passava sotto, con una figura allegorica femminile dalle forme pacatamente tradizionali.

Di fatto erano le riproduzioni della fronte maggiore a svolgere il ruolo di marchio dell’esposizione: si trovavano ovunque, in dimensioni che variavano dal formato “francobollo” alla stampa da parete.

D’altra parte, per la mostra industriale non erano stati previsti manifesti analoghi per finalità a quelli del 1906. Ne erano stati realizzati alcuni per diramare semplici comunicati testuali, privi di immagini, mono e bi-cromatici, in particolare relativi alla lotteria nazionale; mentre solo per reclamizzare i

15. Per un quadro relativo agli aspetti mitico-simbolici della kermesse milanese, si veda I.M.P.

Barzaghi, “Città Bianca” o Città del Lavoro? Mito e simboli dell’Esposizione Internazionale del Sempione: appunti per un percorso, in La scienza, la città, la vita. Milano 1906: l’Esposizione internazionale del Sempione, a cura di P. Redondi, D. Lini, Catalogo della mostra, (Milano, Galleria delle scienze dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, 26.5 - 30.6.2006), pp. 41-48.

16. Emilio Bisi, scultore e pittore milanese (1850-1886), figlio del più noto Luigi, pittore prospettico. 17. L’Esposizione internazionale del 1906 ospitava sulla sua vasta superficie edificata numerose

sculture, che ornavano gli edifici all’esterno e all’interno, oltre a decorazioni dipinte: un ricco complesso di opere d’arte, in cui l’aspetto simbolico non era affatto secondario. Tali lavori, a noi in parte tramandati grazie a fotografie e disegni, insieme all’Acquario civico, richiedono però uno studio specifico.

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cosiddetti divertimenti ne era stato predisposto uno più vivace, con disegni a colori, ma di soggetto generico18.

Nel 1906, la proliferazione di immagini simboliche, riprodotte in serie su vasta scala, si avvantaggiava inoltre del traino svolto dalle molte proposte iconografiche che festeggiavano il traforo del Sempione, ma d’altro canto era possibile grazie all’evoluzione tecnica della stampa; due fattori di cui non potè beneficiare la mostra del 1881, legata a sua volta all’opera del Gottardo, che sarà però inaugurata l’anno seguente, cosicchè i due avvenimenti risultarono di fatto indipendenti.

Viceversa, nel 1881 c’era stato piuttosto un fervore di originali iniziative pubblicistico-editoriali, che si ponevano intenzionalmente come complementi alla mostra industriale: Milano 1881 (edito da Ottino, a cui parteciparono anche Verga e Capuana) e i quattro volumi di Mediolanum (Vallardi) delineavano lo scenario milanese come realtà nazionale di punta, nei vari settori economico, politico-amministrativo e culturale. Analogamente realizzati con un taglio innovativo, di matrice positivista e sostanzialmente anti letterario, entrambi i titoli consistevano in una raccolta di brevi saggi e articoli, redatti avvalendosi prevalentemente degli strumenti e del linguaggio dell’indagine giornalistica19.

Mettendo globalmente a confronto il patrimonio iconografico del 1881 e quello del 1906, emerge che le novità sono strettamente intrecciate alla continuità dei canoni rappresentativi delle illustrazioni apparse sui periodici20.

18. Conservati all’Archivio storico civico di Milano - Biblioteca Trivulziana. 19. Per un’ampia e puntuale disamina dei titoli in questione, si veda G. Rosa, Il mito della capitale

morale cit. 20. Queste le principali testate analizzate per l’Esposizione del 1906: «La Domenica del Corriere»;

«L’Illustrazione italiana», Treves; «L’Illustrazione popolare», Treves; «Il Secolo illustrato della domenica», Sonzogno; «L’automobile. Rivista settimanale illustrata»; «Emporium»; «Il gazzettino quotidiano dell’Esposizione» poi «Il Gazzettino quotidiano: giornale di cronaca lombarda e dell’Esposizione di Milano 1906»; «Il Sempione: Giornale illustrato dell’Esposizione internazionale di Milano del 1906»; «Rivista internazionale illustrata: organo delle arti ed industrie italiane ed estere, con speciale rubrica delle mostre dell’Esposizione di Milano». Altre pubblicazioni specificamente dedicate alla kermesse che sono state esaminate: L’Esposizione illustrata di Milano del 1906 - Giornale Ufficiale del Comitato Esecutivo. Corredata di 1038 fotoincisioni, Milano, Sonzogno, 1906 (40 dispense); Milano e l’Esposizione Internazionale del Sempione, 1906: cronaca illustrata dell’Esposizione, Milano, Treves, 1906 (40 dispense); Milano e la sua Esposizione per il Sempione, Milano, Treves, 1906; Ricordo dell’Esposizione Internazionale di Milano per il traforo del Sempione, Milano, Treves, 1906; Esposizione Internazionale (Milano 1906): guida ufficiale, Milano, Max Franck e C., 1906; Il Duomo di Milano all’Esposizione Internazionale del 1906. Comparto speciale delle Belle Arti. Sezione di architettura, Milano, maggio-settembre 1906, Tip. Sonzogno - edito a cura dell’Amministrazione della Fabbrica del Duomo; Le giornate dei Reali a Milano 1906, in occasione dell’Esposizione Internazionale, della posa della prima pietra della nuova grande stazione Centrale e dell’apertura del nuovo valico del Sempione, Milano, Tip. Koschitz e C., 1906; 1906: Milano e la sua esposizione per il Sempione con due piante Pharus, Milano, F.lli Treves - Berlino, Pharus Verlag Editori, 1906; Guida Album di Milano e dell’Esposizione 1906, Milano, Stabilimento Arti Grafiche Galileo, 1906. I cataloghi ufficiali delle molte sezioni non erano illustrati. Numerosi invece i materiali illustrati di vario genere:

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Uno dei dirompenti fattori di cambiamento, che salta letteralmente all’occhio, è il colore. L’ormai ampia diffusione della cromolitografia in Italia sul finire del secolo modifica profondamente la stampa periodica, stravolgendone l’impatto visivo (oltre ad aprire la nuova era dei manifesti). Il colore introduce una maggiore possibilità di sintesi, sia nell’organizzazione dell’immagine, sia per gli aspetti espressivi ed emotivi, laddove le incisioni al tratto, in bianco e nero, si contraddistinguono specificamente per una notevole analiticità descrittiva. Le illustrazioni tendono cioè ad assomigliare sempre più a dipinti, anziché a disegni.

Ma nel 1906 anche la fotografia ha ormai fatto il suo ingresso sistematico e non occasionale nelle riviste illustrate, con ripercussioni ancora più radicali sulla produzione grafica, che da un lato complessivamente diminuisce e dall’altro si specializza. Soprattutto, si verifica la divaricazione (senza ritorno) tra fotografia e illustrazione, da cui emergono due narrazioni diverse e complementari dell’esposizione.

La fotografia è impiegata con una valenza più documentaria e “dinamica”, mentre l’illustrazione ormai entra in gioco quando è necessario mettere in risalto il decoro e il prestigio dell’iniziativa, o se ne vuole sottolineare l’eleganza: in definitiva soprattutto quando se ne deve dare un’immagine di rappresentanza, e socialmente allettante.

È dunque in questi casi, al di là della scontata evoluzione tecnica e dei diversi influssi della pittura coeva, che persiste una sostanziale omogeneità rappresentativa rispetto alle illustrazioni del 1881. Le tavole sulla stampa illustrata sono cioè estremamente simili a quelle del 1881 per quanto riguarda soggetti e trattamento narrativo, anche se formalmente risentono di una maggiore influenza della tecnica fotografica, in particolare nei tagli compositivi (d’altra parte a questa data è molto estesa la pratica di dipingere d’après la fotografia).

Si tratta di illustrazioni che ritraggono prevalentemente scene di visita del pubblico elegante, avvenimenti mondani e ufficiali spesso con la presenza dei Reali o di autorità, quadri d’insieme di cui è protagonista una folla chic e in cui ancora prevale la raffinata figura femminile; nel 1906 tali scene sono quasi esclusivamente ambientate in esterni.

Nelle fotografie, invece, i visitatori (anche autorevoli) sono presenze molto più dimesse e meno rilevanti di fronte alle forme e alla mole degli imponenti ma fragili edifici della Città Bianca21, che di frequente vengono proposti con una valenza di grande e scenografica spettacolarità.

souvenirs, cartoline, locandine, manifesti, piante, biglietti d’ingresso, passi e contromarche, dépliants, fogli pubblicitari e perfino menu.

21. Tale denominazione, che ebbe una diffusione straordinaria, si deve a un componimento del poeta Giovanni Bertacchi (1869-1942): Bianca Città, rintracciabile in L’Esposizione Illustrata di Milano

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È peraltro possibile ritrovare l’atmosfera spontanea in cui erano in realtà immersi gli ospiti, ma occorre rivolgersi soprattutto a un altro genere di fotografie: vere e proprie tranches de vie si rinvengono in istantanee più piccole, solitamente pubblicate dalle riviste in gruppi (ad esempio di quattro o sei per pagina), in cui si vedono le persone mentre camminano o chiacchierano, sorprese dal fotografo confuso in mezzo a loro, di cui forse neppure si sono accorte. Tutto considerato, le pagine dei periodici assumono nell’insieme una veste che è già abbastanza familiare al lettore contemporaneo.

Tuttavia c’è anche un elemento di profonda difformità tra l’iconografia del 1881 e quella del 1906: è la rappresentazione del lavoro, che nel 1906 fa pienamente parte del racconto dell’esposizione, in forma molto più diretta ed esplicita. I lavoratori che hanno partecipato alla realizzazione della Città Bianca sono ripetutamente raffigurati mentre svolgono le proprie faticose mansioni all’interno del cantiere in costruzione, anche in grandi tavole dal taglio ravvicinato, che hanno lo stesso rilievo delle illustrazioni di cui è protagonista il pubblico “signorile”.

Mentre nei numerosi disegni che nel 1881 erano stati dedicati al cantiere della mostra industriale, l’interesse era essenzialmente rivolto agli edifici in costruzione, con sentimenti di orgoglio per l’iniziativa milanese (il merito andava al gruppo dirigente che l’aveva promossa, nel 1906 l’attenzione all’interno delle scene equivalenti si focalizza anche sui lavoratori, che da generiche figurine sullo sfondo passano in primo piano.

Questo scarto è una spia della particolare temperie legata all’impresa del Sempione, prima che alla rassegna internazionale da cui è celebrata: il cantiere del traforo ha infatti costituito un modello per la tutela dei lavoratori, grazie alla determinazione di applicare le innovazioni tecnologiche non soltanto alla produttività, ma anche alle condizioni di lavoro in un ambiente ostile e pericoloso per l’uomo, rivestendo un ruolo importante nella fondazione della medicina del lavoro. Lo slancio utopico della rassegna del 1906 può vantare radici profonde e ben più tangibili della mera retorica progressista tipica di tutte le esposizioni universali, che non veniva direttamente messa alla prova al di fuori del recinto espositivo. In questo caso, la socializzazione delle scienze 1906. Giornale ufficiale del Comitato Esecutivo, dispensa n. 15, Milano, Sonzogno, maggio 1906. L’aggettivo fa riferimento all’aspetto complessivo dell’esposizione, dovuto all’impiego di gesso, cartongesso e cartapesta per le costruzioni, tutte effimere tranne l’Acquario (progettato fin dall’inizio e costruito come “dono” duraturo per Milano), disegnate in uno stile liberty tutt’altro che sobrio dagli architetti-ingegneri associati Carlo Bianchi, Francesco Magnani e Mario Rondoni e dagli architetti Sebastiano Locati e Orsino Bongi (i cinque vincitori ex-aequo del concorso per il progetto generale, a cui vanno aggiunti gli autori di singoli edifici e di chioschi commerciali); complessivamente occupava un’area di circa un milione di metri quadri. La metafora della città peraltro era una delle più comuni per alludere a esposizioni universali e industriali, realizzate in simbiosi eppure in contrapposizione agli agglomerati urbani moderni che le ospitavano: si veda ancora I.M.P. Barzaghi, “Città Bianca” o Città del Lavoro?, cit., in particolare pp. 41-43.

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non si limitava al piano teorico-divulgativo, ma corrispondeva a un autentico slancio sociale concretizzatosi nell’impegno per affrancare l’uomo da fatica, malattie e sofferenza22.

Dal punto di vista formale, meritano di essere segnalati gli sforzi di far coesistere fotografia e pittura sulla stampa illustrata: la varietà e l’incertezza dei tentativi indicano chiaramente un momento di transizione, con la difficoltà di gestire un nuovo mezzo, di cui bisogna accettare e capire la specificità di linguaggio. Talvolta la veduta fotografica è trattata come se fosse una tavola disegnata, che viene arricchita da sinuose ed eleganti cornici grafiche; in altri casi, le fotografie vengono affiancate alle illustrazioni nella stessa pagina, palesemente trascurando l’effetto straniante di tale accostamento; oppure si interviene sulle fotografie con ritocchi di tipo pittorico, in un concorso di risorse complementari finalizzate a una resa rappresentativa la più esauriente possibile.

Una tipologia di immagine che si rinnova completamente sia grazie al colore, che alla fotografia, è la veduta a volo d’uccello dell’esposizione, che aveva da sempre esercitato un notevole appeal sui lettori. Le accresciute possibilità di immortalare il paesaggio da altezze sempre più elevate, anche in seguito agli sviluppi dell’aeronautica, comportano un drastico calo delle stampe di questo genere, “superate” dalla fotografia aerea. In ogni caso, il colpo d’occhio da queste (poche) offerto è impareggiabile rispetto a quelle del 1881: da un lato per il maggiore realismo dovuto al colore, dall’altro per una superiore capacità di sintesi, verosimilmente ispirata dalla visione di istantanee fotografiche.

Analogamente, le piante dell’esposizione subiscono una profonda trasformazione, in cui gioca un ruolo fondamentale ancora una volta il colore, unito all’uso di soluzioni grafiche più accattivanti (come è facile constatare da un raffronto tra planimetrie del 1881 e del 1906) nell’ambito dei souvenirs, piuttosto trascurato dagli studiosi, ma molto rilevante per la diffusione di massa di immagini, spicca un fenomeno di notevoli dimensioni: la proliferazione di cartoline illustrate, siano fotografie o disegni, policrome o in bianco e nero, tra cui si segnala la serie ufficiale pubblicata dall’editore Pilade Rocco e C., che raffigura le numerosissime costruzioni della Città Bianca, in acquerelli dai colori spesso sgargianti.

In definitiva anche nel 1906, come nel 1881, i soggetti privilegiati sono gli

edifici espositivi e le scene sociali.

22. Si vedano P. Redondi, Amor et labor, in La scienza, la città, la vita. Milano 1906, a cura di P.

Redondi, D. Lini, cit., pp. 23-26 e P. Redondi, Postfazione. Una storia interamente da scrivere: il momento 1906, in Milano 1906. L’Esposizione internazionale del Sempione. La scienza, la città, la vita, a cura di P. Redondi, P. Zocchi, Milano, Guerini e associati, 2006, pp. 248-256.

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La documentazione degli interni con i prodotti (vale a dire dell’esposizione vera e propria) è delegata alla fotografia, che ci dà immagini più prosaiche, meno romantiche e idealizzate delle corrispondenti illustrazioni del 1881. L’atmosfera, al di là dell’esuberanza merceologica, è sobria e comunica una certa staticità; sovente i padiglioni sono deserti, oppure sono visibili gli addetti agli stands, in posa ma con un aspetto tra lo sgualcito e il modesto: il fasto delle grandi tavole illustrate non è rintracciabile qui. Esattamente come nel 1881, la visibilità degli articoli esposti è molto scarsa. In queste istantanee, luoghi fondamentali dell’expo, quali la Galleria del lavoro e la Galleria delle mostre temporanee, risultano essere ambienti in cui l’affastellamento dei prodotti (pressoché illeggibili) suggerisce principalmente un’idea di abbondanza e quindi di prosperità economica: fanno già pensare alla Fiera campionaria.

Viceversa, si puntava sulla spettacolarità delle macchine: in particolare, dei macchinari ferroviari e bellici, che, con la loro mole imponente, permettevano ad allestitori e operatori della comunicazione di isolare e valorizzare il singolo oggetto analogamente a una scultura, privilegiando il piano della suggestione emotiva alla lettura razionalista della qualità scientifica e dell’innovazione tecnologica (per le quali c’è il mondo a parte delle riviste tecniche specialistiche). Non si trattava però di una scelta dettata da esigenze meramente formali. Lo chiarisce bene una fotografia di grande densità simbolica, che documenta l’inaugurazione della Sezione germanica: i cannoni Krupp si ergono, mastodontici, attorniati da una piccola folla spensierata in abiti festivi. È un’immagine profetica, che mette insieme passato e futuro: non solo annuncia la catastrofe che avrebbe travolto l’Europa di lì otto anni e di cui gli astanti sono del tutto ignari, ma testimonia la torsione del concetto di progresso ormai in atto. Un rovesciamento di segno che porterà dall’utopia della scienza pacifisticamente applicata in favore di tutto il consorzio umano, alla realtà della tecnologia (bellica ma non solo) asservita alla politica di potenza delle singole nazioni.