Breve storia della scrittura celtica d’Italia. L’area Golasecchiana

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Città di Sesto Calende (Varese) Civico Museo Archeologico zi c u Studi sulla cultura celtica di Golasecca I

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Città di Sesto Calende (Varese)

Civico Museo Archeologico

zicuStudi sulla cultura celtica di Golasecca

i

ZicuStudi sulla cultura celtica di Golasecca

I

Copyright 2014 Città di Sesto Calende – Museo Civico

P.zza Mazzini, 16 Sesto Calende (Varese)

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ZIXU. Studi sulla cultura celtica di Golasecca, I. - «L’ERMA» di Bretschnei-der, 2014. - X + 104 p., ill., 4 tav. in tasca; 24 cm.

ISBN: 978-88-913-0487-2 (stampa) 978-88-913-0484-1 (PDF)ISSN: 2283-8430

CDD 930.11. Celti - Cultura

Comunità di lavoro della Regio Insubrica

Presentazione: Conoscere per comprendere (Silvia Fantino) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. VII

Zicu, paradigma della prima età del Ferro (Raffaella Poggiani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Ix

Mauro SquarzantI - Appunti di storia golasecchiana. Le ragioni di una scelta . . . . . . . . . . . . . . » 1

VeronICa CIColanI - Da Parigi a Golasecca. Il contributo della ricerca francese del XIX secolo alla definizioneeallavalorizzazionedellaciviltàdiGolasecca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 15

barbara graSSI - Elementi per la definizione del terzo periodo della cultura di Golasecca a Sesto Calende . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 41

danIele f. MaraS - Breve storia della scrittura celtica d’Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 73

Stefano prunerI - La carta archeologica di Sesto Calende: nuove prospettive e informatizzazione della banca dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 95

IndIce

Breve storia della scrittura celtica d’italia

l’area Golasecchiana

Daniele F. Maras*

Gli studi recenti hanno ormai appurato con piena evidenza la celticità della lingua trascritta dal cosid-detto ‘alfabeto di Lugano’, che viene altrimenti detta Leponzio, valorizzando solo una delle denominazio-ni etniche antiche riferibili a tale gruppo linguistico1. Sempre più in pubblicazioni recenti2 si tende ormai a parlare di ‘celtico d’Italia’3, pur tenendo conto dell’evoluzione linguistica in atto che distingue le at-testazioni arcaiche da quelle recenti, che proseguono fin oltre la romanizzazione della regione Cisalpina.

Il momento è quindi ormai maturo per tentare una riflessione sui fatti grafici, che renda conto della diacronia della scrittura, unificata sotto l’etichetta di alfabeto ‘leponzio’ o ‘di Lugano’, ma in realtà diversi-ficata e soggetta a trasformazioni e influenze esterne, che in parte segnalano nuovi fatti di lingua, in parte riflettono l’adattamento dei mezzi grafici alle mutate esigenze scrittorie.

È a questo compito che ci dedicheremo in queste pagine, prendendo le mosse dallo storico lavoro di siste-mazione delle conoscenze sulle scritture, definite «nord-etrusche» da Theodor Mommsen4, che Giovanni Colonna portò avanti nell’intento di fornire un inqua-

dramento al bicchiere di Castelletto Ticino5. Su questa base, operando i necessari aggiornamenti e le dovute revisioni, cercheremo di innestare i nuovi ritrovamenti e di fornire un quadro il più possibile completo delle conoscenze sulle scritture celtiche dell’Italia preromana, con particolare riguardo all’area golasecchiana.

1. nascita Della scrittura golasecchiana

Alcuni importanti passi avanti, nella direzione già indicata da Colonna, sono stati fatti di recente proprio relativamente all’adozione della scrittura nell’area della cultura di Golasecca.

È ormai considerata assodata l’attribuzione a lin-gua celtica dell’antica iscrizione di Sesto Calende, loc. Cascina Presualdo, graffita su una coppa prove-niente da un contesto funerario databile a una fase avanzata del G. I C (e quindi all’ultimo quarto del VII sec. a.C.: [---]iunθanaχa)6. Al momento, pertan-to, la coppa è uno dei più antichi documenti epi-grafici della scrittura celtica d’Italia, condividendo questo primato con una ciotola di Golasecca, ora nella collezione Bellini di Sesto Calende (forse anche

* Socio Corrispondente della Pontificia Accademia Romana di Archeologia.1 rubat borel 2005, p. 10 ss.2 solinas 1992-1993 e 1993-1994; eaD. 1995; MoranDi 2004a; rubat borel 2006; gaMbari 2012.3 Tralasciando definizioni di comodo come proto-, peri- o circum-celtico.

4 MoMMsen 1853.5 colonna 1988 (2005).6 Le diverse divisioni possibili sono presentate ora da r.c. De Marinis in Alle origini di Varese 2009, p. 158, cui va aggiun-to colonna 1988 (2005), p. 1722, n. 48; v. anche MoranDi 1999, p. 157 s. e sassatelli 2000, p. 54.

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più antica)7, e probabilmente con un testo lapidario ancora inedito dell’abitato di Castelletto Ticino, loc. Belvedere8.

L’arrivo della scrittura in area golasecchiana va quindi anticipato di una generazione rispetto al prin-cipio del VI sec. a.C. (G. II A 1), in cui si nota una maggiore diffusione del suo uso, anche e soprattutto tramite l’incisione di contrassegni letterali e sigle sul vasellame ceramico9.

A questo livello cronologico, il processo di tra-smissione della scrittura nell’Italia nord-occidentale a partire da quella etrusca è pressoché contempora-neo a quello che nell’Italia centrale ha portato alle prime attestazioni latine10 e sabine11, ma anche alla diffusione della scrittura nell’Etruria settentrionale, che abbraccia la seconda metà del VII secolo e della quale le prime attestazioni celtiche costituiscono una prosecuzione ideale.

Di fatto, a partire dall’area culturalmente più avan-zata facente capo alle grandi metropoli dell’Etruria meridionale (Caere, Veio, Tarquinia e Vulci), attorno alla metà del VII secolo o poco prima è iniziato un processo di irradiazione dell’uso della scrittura come mezzo di comunicazione delle aristocrazie orienta-lizzanti. Tale processo ha trovato una rapida via di propagazione proprio attraverso gli scambi di doni di prestigio, che costituivano il cuore dei rapporti sociali istituzionali tra le famiglie di rango elevato: la scrittu-ra, come strumento di registrazione dell’identità dei donatori e di fissazione nella memoria dell’azione di dono, è entrata presto a far parte integrante dello scambio e ha necessariamente innescato un proces-so di ricezione e adozione dello stesso strumento da parte delle altre élites con cui veniva in contatto12.

le famiglie aristocratiche di Caere, ad esempio, che intrattenevano stretti rapporti con Praeneste nel Lazio e con Vetulonia verso nord, sono state re-

sponsabili della trasmissione della scrittura alle élites di tali centri; da Vetulonia la propagazione del dono ‘scritto’ è osservabile tramite la diffusione dei kyathoi di impasto con decorazione incisa e a rilievo, che rag-giungono tra l’altro Murlo e Monteriggioni.

la medesima tradizione grafica è ravvisabile nell’incensiere di Artimino e nelle kotylai ad anse tra-forate di produzione dall’agro fiesolano, che docu-mentano da una parte l’adozione della scrittura in ambito certamente locale, dall’altra la sua trasmis-sione a personaggi di rango di provenienza allogena, come il Keivale responsabile del dono di due kotylai.

Nella stessa epoca la scrittura ha ormai attraver-sato l’Appennino, come dimostrato dalle attestazioni dei cippi di Rubiera, e ha raggiunto la ben più setten-trionale area golasecchiana, con particolare riguardo al polo proto-urbano di Sesto Calende – Golasecca – Castelletto Ticino, dove si concentrano le testimo-nianze più antiche.

Il procedimento di cooptazione delle élites aristo-cratiche nella comunità degli ‘scriventi’ ha quindi avuto una sorta di impennata trasversale nella se-conda metà del VII secolo, che ha oltrepassato le barriere linguistiche, viaggiando attraverso il cana-le privilegiato dei rapporti tra pari rango, anche a grande distanza, nell’ambito della koinè culturale orientalizzante, di cui la scrittura giunse a costituire uno degli elementi caratterizzanti (ma non il solo né il più importante).

La successiva maggiore diffusione di una cultura epigrafica in area golasecchiana, a partire dal prin-cipio del VI secolo a.C. (G. II A 1), è una conse-guenza di questa prima trasmissione dall’Etruria, ma non è collegata necessariamente al medesimo contesto sociale.

Nel corso della seconda generazione di scriventi della regione, quando verosimilmente erano anco-

7 squarzanti 2009, p. 385, e R.C. De Marinis, in Alle origini di Varese 2009, p. 158, n. 152.8 R.C. De Marinis, ibid., pp. 23 e 158, n. 153.9 colonna 1988 (2005), p. 1726 s.; bagnasco gianni 1999.10 Che in realtà, a parte il caso isolato dell’iscrizione di Osteria dell’Osa, forse dipendente da una diversa tradizio-ne (direttamente dalla Campania ellenizzata?), risale già al

secondo quarto del VII secolo a.C. (fibula Prenestina, coppa Bernardini).11 Di poco più recente, al principio del VI sec. a.C., è la data-zione della fiaschetta di Poggio Sommavilla; cfr. cantù 2012, p. 60 s.12 Maras 2012 a e iD. cds.

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ra all’opera i ‘maestri’ etruschi responsabili della trasmissione e dell’adattamento del nuovo mezzo di comunicazione, il prestigio di cui questo godeva presso le maggiori famiglie aristocratiche favorì un naturale processo di imitazione tra tutti gli espo-nenti di rango elevato.

La diffusione di sigle e contrassegni letterali13 non garantisce un’altrettanto estesa alfabetizzazione, ma documenta il riconoscimento del valore emble-matico della conoscenza della scrittura come segno di rango, specialmente in ambito funerario.

2. PriMa Fase: l’età Dei ‘Maestri etruschi’ (g. i c - ii a, ultiMo quarto Del Vii - PriMo quarto Del Vi sec. a.c.)

Al di là degli aspetti sociali della trasmissione della scrittura – vale a dire quali fossero gli scopi e i si-gnificati che venivano attribuiti ad essa –, essa rima-ne fondamentalmente un codice di comunicazione complesso, che necessita di regole d’uso per poter essere correttamente applicato e compreso.

In altre parole, per poter registrare e trasmettere un contenuto semantico e linguistico, deve essere di-sponibile un modello alfabetico, contenente il patri-monio di segni e delle relative varianti da utilizzare per la trascrizione dei suoni di una lingua. Ad esso si applica un sistema scrittorio, che regolamenta gli usi grafici a partire dalla selezione dei segni e dalla loro combinazione in nessi significativi, per arrivare alla scelta di convenzioni grafiche riguardanti la direzio-ne della scrittura, l’uso di interpunzione, e così via.

L’insieme di modello alfabetico e sistema scrittorio, che abbracciano sia segni e norme grafiche in uso, sia varianti e potenzialità non attuali della scrittura (abbandonate o in disuso, ma passibili di recupero), viene a costituire quello che è stato definito da Aldo luigi Prosdocimi il «corpus dottrinale» a disposizione

dei maestri e delle scuole di scrittura: un bagaglio di conoscenze cui si attinge, finché sono ancora dispo-nibili, di fronte a nuove o mutate esigenze14.

Il modello alfabetico messo a disposizione dei Celti golasecchiani è stato in origine quello etrusco settentrionale nella sua prima forma, ancora legata alla tradizione grafica dei kyathoi di Caere-Vetulonia, dai quali prende il via la diffusione della scrittura nell’Etruria del nord.

Le caratteristiche salienti di questo modello erano le seguenti:

– presenza delle tre velari gamma (di forma uncinata), kappa e qoppa, tendenti a ridursi al solo uso del kap-pa: fenomeno già realizzato entro il terzo quarto del VII secolo a.C.;

– theta di forma circolare puntata, più piccolo delle altre lettere;

– presenza di due segni per le sibilanti: tsade utilizza-to per la sibilante semplice e sigma a tre tratti per la sibilante marcata (in un caso segnata tramite il digramma sh);

– occasionale tendenza di alcune lettere a perdere la coda (epsilon, my, ny)15.

Le medesime caratteristiche si ritrovano quasi in-teramente applicate nelle più antiche iscrizioni epi-grafiche dell’area golasecchiana, databili tra l’ultimo quarto del VII e la prima metà del VI secolo a.C.16 (v. tab. I): fanno eccezione la sola moltiplicazione dei segni per le velari, che come nell’Etruria setten-trionale sembra ridursi al solo kappa17, e la presenza nell’iscrizione del bicchiere di Castelletto Ticino di due occorrenze di sigma multilineare, che sembra ri-salire ad altra tradizione18. Salvo quest’ultimo trat-to grafico, quindi, la scrittura golasecchiana si pone direttamente nel solco della tradizione facente capo all’asse Caere-Vetulonia.

13 Dei quali dev’essere ancora realizzato un censimento comple-to, che potrebbe fornire ulteriori utili dati sui modelli alfabetici in uso nell’area golasecchiana. V. anche bagnasco gianni 1999.14 A.L. ProsDociMi, in PanDolFini angeletti, ProsDociMi 1990, p. 195 s.; solinas 1995, p. 313 s., n. 9; Maras 2012, p332.15 Cfr. Maras 2012a e 2012b.

16 Theta puntato (nn. 2 e 5); sigma a tre tratti (n. 5); tsade (n. 4). Cfr. Maras cds.17 Ma v. oltre per un’attestazione tardoarcaica del qoppa in area golasecchiana.18 Cfr. colonna 1988 (2005), pp. 1730-1733; ma v. A.l. Pro-sDociMi, in PanDolFini angeletti, ProsDociMi 1990, p. 212 s.

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tab. i. le Più antiche attestazioni Della scrit-tura golasecchiana (fig. 1)1. Ciotola da Golasecca (coll. Bellini): sepiut(-)si (pieno VII sec. a.C.)19.2*. Coppa da Sesto Calende, loc. Cascina Pre-sualdo: [---]iunθanaχa (ultimo quarto del VII sec. a.C.)20.3. Iscrizione lapidaria da Castelletto Ticino, loc. Belvedere [ancora inedita] (fine del VII sec. a.C.)21.4*. Fr. di vaso contenitore da Montmorot (Jura, Francia): pris (fine VII - inizio VI sec. a.C.)22.5*. Bicchiere da Sesto Calende, via Sculati, t. 12: au. s. e.θu vik.×o.×ri (bziχu, in etrusco; primo quarto del VI sec. a.C.)23.6*. Bicchiere da Castelletto Ticino: χosioiso (pri-mo quarto del VI sec. a.C.)24.

* nota: le iscrizioni riprodotte a fig. 1 sono contras-segnate con un asterisco.

Per la trascrizione dei segni, in mancanza di un numero sufficiente di documenti, si fa riferimento a quella tradizionale dell’etrusco, ma appare evidente che sul piano interpretativo il sistema convenzionale non è sufficiente.

Rispetto al sistema fonologico etrusco settentrio-nale, al quale il modello alfabetico di partenza era adattato, la lingua leponzia aveva alcune importanti differenze, come la presenza del suono /o/, l’esisten-za di un’opposizione di sonorità delle occlusive /b d g/ vs. /(p) k t/, l’assenza di occlusive aspirate.

Alla prima di queste differenze si rispose con la rein-troduzione del segno omicron dalla sequenza alfabetica completa precedente alla riforma etrusca settentriona-le25. Per le altre due si trovò una soluzione di comodo, utilizzando i due segni etruschi per le occlusive (aspira-te vs. non aspirate) allo scopo di distinguere la diversa opposizione della lingua celtica (sonore vs. sorde)26.

Il riconoscimento dell’applicazione di questo siste-ma oppositivo è però fonte di qualche difficoltà per gli studiosi; nel lotto delle più antiche attestazioni si hanno infatti solo poche occorrenze da confrontare: nessun phi contro due pi (nn. 4 e forse 1); due chi (nn. 2 e 6) contro un kappa (forse n. 5); due theta (nn. 2 e 5) contro un tau (forse n. 1).

Non è facile in tale contesto comprendere quale fosse l’associazione originaria dei suoni opposti ai se-gni (né se l’applicazione di tale regola fosse sempre rispettata); ma di fatto, il verosimile confronto con la base *brig- per il graffito di Montmorot (n. 4, pris) e con la famiglia onomastica cosio- per il bicchiere di Castelletto Ticino (n. 6, χosioiso) fanno propendere per un’applicazione funzionale p = /b/ ~ χ = /k/, e quindi presumibilmente *φ = /p/ ~ k = /g/ ~ θ = /t/ ~ t = /d/ (ma per questa fase non vi sono prove dell’uso del phi, né che le coppie opposte sorda-aspi-rata siano state differenziate tutte allo stesso modo).

La ragione per cui per le occlusive sonore non si sia fatto ricorso ai segni corrispondenti della serie alfabetica originaria, come si era fatto per l’omicron, è stata messa in relazione da Colonna con un principio di economia, es-sendo disponibili i segni delle aspirate nel modello etru-sco; secondo lo studioso, infatti, la serie completa era stata già abbandonata (sebbene da poco consentendo il recupero dalla memoria di una delle lettere cassate),

19 Non vidi. Ipotesi di lettura di r.c. De Marinis, in Alle origini di Varese 2009, p. 158, n. 152.20 MoranDi 2004a, p. 572, n. 77; iD. 2004b, p. 82 s., n.1 ; r.c. De Marinis, in Alle origini di Varese 2009, p. 157 ss.21 r.c. De Marinis, in Alle origini di Varese 2009, p. 23.22 Verger 2001, p. 270 ss.23 binaghi, rocca 1999; sassatelli 2000, p. 55; MoranDi 2004a, p. 572 ss., n. 78; iD. 2004b, p. 82 s., n. 2; r.c. De Marinis, in Alle origini di Varese 2009, p. 424 ss. (da cui è tratto l’apografo a fig. 1.5); Maras cds.

24 colonna 1988 (2005); De Marinis, Motta 1990-1991, p. 212, n. 1; solinas 1995, p. 369, n. 113bis; MoranDi 2004a, p. 569 ss., n. 74 (con lettura χosioi<s>si, non condivisibile); cfr. anche MoranDi 1999, p. 155 s.25 Fatto che dimostra la conservazione del segno nella tradi-zione di scuola, anche se non veniva impiegato; manca al mo-mento la documentazione di alfabetari etruschi settentrionali della seconda metà del VII secolo a.C., per sapere se il segno fosse stato epurato anche dalla sequenza alfabetica.26 colonna 1988 (2005), p. 1726 ss.

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mentre invece in precedenza il latino e il sabino aveva-no potuto attingere all’intero patrimonio di segni27.

L’innalzamento cronologico dell’acquisizione della scrittura, però, comporta un riavvicinamento al mo-dello originario e impone una nuova riflessione.

Va considerato, infatti, da un lato che l’epurazione dei segni non ritenuti necessari dalla serie alfabetica (e dall’insegnamento) potrebbe essere stato un processo prolungato nel tempo, con momenti diversi per quanto riguarda le sonore e l’omicron28. Dall’altro lato è possibi-le che le corrispondenze fonologiche espresse dal corpus dottrinale non fossero comunque soddisfacenti per le esigenze della lingua celtica golasecchiana: è possibile infatti che una prima fase del processo di lenizione del-la labiale sorda /p/ avesse portato ad una pronuncia aspirata o spirante bilabiale, sentita più vicina al phi che al pi; ovvero si può immaginare (ma sarebbe un’ipotesi

ad hoc) che la pronuncia delle occlusive sorde conosces-se un coefficiente di aspirazione.

un’altra questione significativa è l’uso del sigma a tre tratti per la sibilante semplice, che si discosta dalla tradizione etrusca settentrionale, per cui tale funzione è ricoperta dal tsade. L’ipotesi tradizionale a riguar-do è che la selezione operata dagli scribi intendesse riservare al sigma la funzione di segnare la sibilante maggiormente diffusa in ogni ambito scrittorio: sem-plice in Etruria meridionale e in area golasecchiana, marcata (palatale) in etruria settentrionale29.

In proposito va ricordato, però, che nell’ultimo quar-to del VII secolo a.C. la riforma meridionale era di là da venire30 e che le prime attestazioni d’uso del tsade in funzione di sibilante semplice appartengono a Caere (kyathos Calabresi)31, dove non si può pensare che esi-stesse una tale distinzione ‘statistica’ nella pronuncia.

27 colonna 1988 (2005), p. 1727.28 Ma si consideri che in area umbro-sabina al principio del VI secolo non solo tali segni erano ancora disponibili, ma si poté utilizzare anche il samekh per la vocale intermedia palatale.29 Cfr. colonna 1988 (2005), p. 1729 s. Resta però anco-ra da dimostrare che la palatalizzazione della spirante nella pronuncia di fronte ad occlusiva o in prossimità di vocale

palatale comporti effettivamente una preponderanza in am-bito etrusco settentrionale della sibilante marcata rispetto alla semplice (cui, si ricordi, spetta la funzione di segnare le desinenze di pertinentivo e genitivo); cfr. Maras 2012 b.30 non può considerarsi operativa, infatti, che nella seconda metà del VI secolo a.C.; cfr. Maras 2012 b.31 o ad ambiti settentrionali con influenza ceretana (kyathoi vetuloniesi e situla di Plikasnas); cfr. Maras 2012 b, iD. cds.

Fig. 1. le più antiche attestazioni della scrittura golasecchiana (VII-VI sec. a.C.).

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Occorre tornare pertanto ai segni disponibili nel modello alfabetico trasmesso in area golasecchiana e confrontarli con le esigenze fonologiche della lin-gua. Di fatto l’unico utilizzo del tsade nel gruppo delle iscrizioni più antiche sembra segnare l’esito dell’in-contro tra un’occlusiva velare e una sibilante: pris < *brigs-: di fronte a tale testimonianza, si rileva che è improbabile che la ‘marca’ della sibilante comples-sa celtica fosse identica o quantomeno assimilabile a quella etrusca, che si è oggi ormai appurato essere stata di carattere palatale32.

I maestri che hanno codificato la scrittura golasec-chiana, quindi, non potevano applicare l’opposizione in uso nell’etrusco, né recuperare dal corpus dottrinale un’opposizione funzionale greca33: anche in questo

caso, come per le occlusive, la soluzione è stata utiliz-zare i due grafi disponibili per i due suoni necessari. La scelta del sigma per la sibilante semplice può essere stata un fatto spontaneo, senza scopi specifici, ovvero dipendere dalla presenza di elementi etruschi meri-dionali tra i maestri.

Quest’ultima possibilità sembra avvalorata dalla presenza di un altro elemento grafico meridiona-le, quale il sigma multilineare di Castelletto Ticino (n. 6)34, e soprattutto dal carattere meridionale dell’iscrizione ziχu che qualifica in etrusco lo ‘scri-ba’, ospite di un notabile locale, nella doppia iscri-zione di Sesto Calende, via Sculati (n. 5)35: forse proprio uno dei maestri che hanno codificato la scrittura golasecchiana (fig. 2, a-b).

3. seconDa Fase: il PerioDo arcaico (g. ii a - iii a 2, Vi-V sec. a.c.)

Importanti passi avanti si sono fatti negli ultimi de-cenni anche per quanto riguarda la contestualizzazio-ne e datazione di alcuni importanti monumenti epi-grafici, come le stele iscritte di Prestino e di Vergiate, che riflettono fasi ancora arcaiche della scrittura.

Alle iscrizioni vascolari, sostanzialmente tutte del V secolo a.C., raccolte da Colonna in appendice al suo lavoro del 1988 possono quindi essere aggiunte

altre testimonianze, in alcuni casi risalenti con sicu-rezza al VI secolo, che permettono di avere un qua-dro più articolato degli usi grafici arcaici dell’area golasecchiana (v. tab. II).

una datazione più alta della stele di Vergiate, an-cora nel corso del VI secolo a.C., è stata suggerita di recente da Raffaele Carlo de Marinis in base a considerazioni di carattere topografico, che induco-no a considerare difficile la presenza di una tomba importante nella zona di ritrovamento dopo l’inizio del V secolo36.

32 V. p.es. agostiniani 2000, p. 495 s.33 Né tantomeno fenicia, ammesso che ancora fosse a disposizione.34 colonna 1988 (2005), p. 1731.35 Maras cds., con bibl. (devo la possibilità di pubblicare le fotografie a fig. 2, a-b all’interessamento di Mauro Squar-zanti, che ringrazio calorosamente, e alla disponibilità della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia). Da

rifiutare la lettura ziχu proposta da MoranDi 2004-2009, p. 78 ss., per una forma onomastica in un’iscrizione su masso da Cevo (BS): la lettura come zeta per il segno ad H resta in-fatti da dimostrare in questo come in altri casi, a fronte della più verosimile possibilità di riconoscervi uno het evoluto, come documentato a Foppe di nadro (p.es. negli alfabetari 3c e 4d).36 R.C. De Marinis, in Alle origini di Varese 2009, p. 684 ss.

trascr. a e v θ i k n o p s r s u χpron. a e u ˘ t ? i g ? n o b ? ks ? r s u k

nota bene: per il valore fonetico di molti segni i punti interrogativi sono d’obbligo in mancanza di ulteriori conferme, soprattutto per questo primo periodo della scrittura golasecchiana.

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Fig. 2, a-b. Iscrizioni graffite ai lati opposti dell’orlo di un bicchiere d’impasto trovato nella tomba 12 della necropoli di Via Sculati, Sesto Calende; vd. tab. 1, n. 5 (Foto: Soprintendenza per i Beni Archeologici della lombardia: autorizzazione rilasciata con Prot. n. 1330, del 5-02-2013).

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Accogliendo tale cronologia, la stele si pone al principio dell’epigrafia lapidaria dell’area golasec-chiana, prima ancora della pietra di Prestino, la cui datazione più probabile si pone alla metà del V seco-lo a.C. o poco prima37.

Fra di esse si pongono la stele di Mezzovico e il ciottolone di S. Bernardino di Briona, loc. Cascina

Pierina, che si datano tra la fine del VI e la metà del V secolo a.C., attestando una notevole varietà nella tipologia delle iscrizioni lapidarie arcaiche (soprattut-to funerarie).

Vanno ancora ricordati per il VI secolo la se-quenza χut su un bicchiere da Castelletto Ticino e la problematica sequenza di un graffito dagli scavi

37 colonna 1988 (2005), p. 1715 s.

Fig. 3. Iscrizioni di epoca arcaica dall’area golasecchiana (VI-V sec. a.C.).

BReVe SToRIA DellA SCRITTuRA CelTICA D’ITAlIA 81

Giani di Golasecca (che però va forse considerata la giustapposizione di due contrassegni letterali38) e per il V secolo i graffiti vascolari di Prestino con la sequenza plioiso e gli altri frustuli epigrafici già censiti da Colonna, cui si aggiungono le ciotole di Como, via Mantegna, con la voce sekezos, ormai nella secon-da metà del secolo.

tab. ii. selezione Di testiMonianze ePigraFiche ar-caiche Dall’area golasecchiana (fig. 3).

7*. Stele di Vergiate: pelkui :: pruiam :: teu :: karite :: isos :: kar. ite :: palam. (seconda metà VI - inizio V sec. a.C.)39.8*. Bicchiere da Castelletto Ticino: χut (seconda metà VI - inizio V sec. a.C.)40.9*. Ciottolone di S. Bernardino di Briona, loc. Cascina Pierina: quormsklu (fine VI - inizio V sec. a.C.)41.10. Pietra di Prestino: uvamokozis :: plialeθu :: uvl. tiauiop.os :: ariuonepos :: sites :: tetu (prima metà V sec. a.C.)42.

tab. ii. (continua)

11*. Gruppo di tre ciotole da Rondineto ed una da S. Fermo della Battaglia (Como): plioiso (avanzato V sec. a.C.)43.12*. Ciotola da Prestino, via Isonzo: aev (secondo quarto - decenni centrali del V sec. a.C.)44.13. Gruppo di quattro ciotole da Como, via Man-tegna: sekezos (seconda metà V sec. a.C.)45.14. Ciotola-coperchio da ossuccio (Como): po k ru (seconda metà V sec. a.C.)46.15*. Frammento di vaso d’impasto da Capriate S. Gervasio, presso Bergamo: kiφisi (secondo quarto V - primo quarto IV sec. a.C.)47.16. Stele di Banco: [---]nialui : pala (V - inizio IV sec. a.C.)48.17. Stele di Vira Gambarogna: teromui : kualui (V - inizio IV sec. a.C.)49.18*. Stele da Mezzovico: akuasoni : pala : tel. ialui (ov-vero te{k}ialui; seconda metà V sec. a.C.)50.

38 colonna 1988 (2005), p. 1740. Il segno sulla destra assomiglia piuttosto strettamente alla marca associata all’iscrizione del bic-chiere di Castelletto Ticino, forse solo di poco più antica, per cui potrebbe essere rovesciata e letta uv; la sequenza restante, espun-gendo il tratto verticale a sinistra, potrebbe ridursi ad una cop-pia di lettere graffite, he, simile ad altre osservate sulla ceramica golasecchiana coeva. L’ipotesi avrebbe il vantaggio di riportare l’attestazione dello het alla categoria dei contrassegni, dov’è già attestata, mentre ancora mancano altri documenti del suo uso nell’epigrafia leponzia; cfr. anche MoranDi 2004a, p. 574, n. 79, e, per altre ipotesi di lettura, solinas 1995, p. 370, n. 118 (che riporta per errore l’apografo del n. 71, qui al n. 12 della tab. II).39 solinas 1995, p. 371, n. 119; MoranDi 2004a, p. 594 ss., n. 106.40 colonna 1988 (2005), p. 1740, n. 1; De Marinis, Motta 1990-1991, p. 212, n. 3; solinas 1995, p. 369, n. 114; Moran-Di 2004a, p. 571, n. 75.41 Per l’ultimo segno è possibile anche la lettura come pi, ma è preferibile riconoscervi un ypsilon rovesciato, come nel n. 1 e nelle iscrizioni di Tesserete (n. 20) e di levo (solinas 1995, p. 374, n. 126; MoranDi 2004a, p. 567, n. 70); tenderei invece ad escludere la possibilità che si tratti di un alpha incompleto. Cfr. rubat borel 2005, p. 15, e p. 49 in alto; v. anche iD. 2006, p. 205. Per la pos-sibilità che la seconda parte del testo sia una grafia sintetica priva

dalle vocali (‘scheletro consonantico’), si vedano setupk a Milano (solinas 1995, p. 364, n. 100), sapst[ a Rondineto (ibid., p. 362, n. 94), sp.t a Garlasco (ibid., p. 368, n. 111), e in etrusco prkns a Ponte a Moriano (ET li 2.10-11, III sec. a.C.).42 solinas 1995, p. 343 ss., n. 65; MoranDi 2004a, p. 638 ss., n. 180.43 In due casi l’iscrizione è mutila: [---]ois.[---] e [---]i.so. Cfr. co-lonna 1988 (2005), p. 1741; De Marinis, Motta 1990-1991, p. 214, n. 7; solinas 1995, p. 350, n. 80, p. 355, nn. 88-89, p. 363, n. 96; MoranDi 2004a, p. 623, n. 148, p. 625, n. 153, p. 630 s., nn. 162-163.44 colonna 1988, p. 1742, n. 9; De Marinis, Motta 1990-1991, p. 214, n. 6; solinas 1995, p. 347, n. 71; MoranDi 2004a, p. 641, n. 185.45 Motta 2000, p. 207 s., n. 13; MoranDi 2004a, p. 645 s., nn. 189-192.46 solinas 1995, p. 343, n. 64; MoranDi 2004a, p. 618 s., n. 145.47 MoranDi 2004a, p. 663 s., n. 223; rubat borel 2005, pp. 16 s., e 26 ; MoranDi 2007, p. 298, n. 24. La lettura kicrisi proposta da A. Morandi è resa improbabile dalla supposta presenza di un gamma, incompatibile con la scrittura in esame; v. supra.48 solinas 1995, p. 320, n. 2; MoranDi 2004a, p. 537, n. 31.49 solinas 1995, p. 331, n. 29; MoranDi 2004a, p. 533, n. 25.50 De Marinis, Motta 1990-91; solinas 1995, p. 327 s., n.

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19*. Stele di Davesco: a[---]×× ne.metalui [pala] (V - inizio IV sec. a.C.)51.20. Stele da Tesserete: aaui : pala (V - inizio IV sec. a.C.)52.

* nota: le iscrizioni riprodotte a fig. 3 sono contras-segnate con un asterisco.

Come si può vedere, rispetto al momento più antico dell’epigrafia celtica, tra VI e V secolo si estende di molto l’area interessata dai ritrovamenti di iscrizioni: al nucleo proto-urbano di Sesto Calende – Golasecca – Castelletto Ticino si aggiunge anche quello di Como – Prestino, secondo polo culturale golasecchiano, ma anche nelle zone montane più settentrionali si contano alcune testimonianze. E a testimonianze di lingua cel-tica o almeno con caratteri celtici si riferisce anche un gruppo di iscrizioni lapidarie dalla liguria, che però dal punto di vista della scrittura mostrano caratteristi-che autonome e non saranno trattate in questa sede53.

Per rimanere nell’ambito strettamente golasec-chiano, dal punto di vista grafico le iscrizioni di que-sto periodo mostrano di dipendere ancora sostanzial-mente dal medesimo modello documentato dalle più antiche attestazioni della scrittura nella regione.

La forma dell’alpha è ancora, fino alla fine del V secolo, quella tradizionale, approssimativamente triangolare con traversa regolarmente discendente54;

il sigma può essere a tre o a quattro tratti; si segnala la presenza del digamma, la cui occorrenza nell’iscri-zione di Prestino (n. 10) è la più antica delle rare at-testazioni in area golasecchiana55, e l’innovazione del my a quattro tratti con lungo codolo in un frustulo epigrafico da Bergamo: [---]t.ume[---], databile a. G. II A 1-2 (V sec. a.C.)56.

Per quanto riguarda i segni per le occlusive sorde e sonore, si conferma il costante valore /b/ per il pi, mentre il valore del theta a circolo puntato, presente solo nella pietra di Prestino (n. 10), merita un appro-fondimento57.

Rispetto alle scarse testimonianze della prima fase della scrittura, si ha per l’epoca arcaica un adegua-to numero di testimonianze dell’uso di una seconda dentale in opposizione (e poi si direbbe in sostituzio-ne) del theta a circolo puntato; ma non si tratta del tau, come ci si potrebbe aspettare dato il modello etrusco di riferimento, bensì del theta in forma di croce (sia retta che di S. Andrea), che in queste pagine viene trascritto diplomaticamente come t, per evitare con-fusioni58.

nella pietra di Prestino (n. 10), l’opposizione tra i due segni è evidente: il theta a circolo puntato sembra indicare la sorda /t/, mentre il segno a croce retta (di cui si contano ben quattro occorrenze) dovrebbe indicare regolarmente la sonora /d/.

Se si applica regolarmente la stessa convenzione agli altri casi databili al periodo arcaico, si deve attri-buire il valore /d/ a tutte le attestazioni del segno a croce (di regola obliqua), a fronte dell’assenza totale di occorrenze del theta circolare. La questione è im-

20; MoranDi 2004a, p. 533 s., n. 26. La correzione della ter-za lettera dell’appositivo è resa verosimile dal confronto con una stele di Sorengo (solinas 1995, p. 330, n. 26bis; MoranDi 2004a, p. 541, n. 36).51 De Marinis, Motta 1990-1991, p. 218, n. 36; solinas 1995, p. 322, n. 3; MoranDi 2004a, p. 539 s., n. 34.52 solinas 1995, p. 331, n. 27; MoranDi 2004a, p. 538, n. 32.53 le iscrizioni classificabili come celto-etrusche su statue-stele della Lunigiana sono state accolte nella recente riedizione de-gli Etruskische Texte a cura di G. Meiser: ET li 1.2 (mi nemeties, con errata attribuzione a Busca anziché a Genova), 1.3 (mezu nemunius, da emendare in nemusus, da Zignago), 1.4 (st.[---]s, da Bagnone), 1.5 (uv.ezar.u.apus, da Filetto), 1.6 (ve.metuv.is, da Biglio-

lo). Cfr. MoranDi 2004a, p. 695 ss., nn. 272-275.54 Cfr. De Marinis, Motta 1990-1991, p. 216.55 Il digamma ritorna invece nelle ricordate attestazioni celto-etrusche della Lunigiana a Zignago, a Bigliolo e forse a Filetto; cfr. MoranDi 2004a, p. 696 ss., nn. 272-273.56 Cfr. solinas 1995, p. 333 s., n. 33, tav. lxV c; MoranDi 2004a, p. 657 s., n. 211; iD. 2007, p. 290, n.1.87 Cfr. anche ProsDociMi 2007, p. 473.58 Diversamente Colonna preferiva la trascrizione come θ, che però creerebbe problemi nel caso della pietra di Prestino, dove il segno ricorre in opposizione al theta crociato. La scelta convenzionale, però, non deve far dimenticare l’origine del se-gno a croce a partire da una variante di theta; v. oltre.

BReVe SToRIA DellA SCRITTuRA CelTICA D’ITAlIA 83

portante per la lettura interpretativa di alcune iscri-zioni: ad esempio nel più antico bicchiere di Castel-letto Ticino (n. 8), la voce χut dovrebbe corrispondere a /kud/ (e non /kut/) e nella stele di Vergiate (n. 7) la voce verbale ripetuta karite dovrebbe corrispondere a un poco verosimile /garide/.

La soluzione dell’enigma59 potrebbe venire dalla strada già indicata dallo stesso Colonna60, con un chiaro parallelo nell’ambito venetico, dove si osser-vano simili fenomeni di uso differenziato (e a volte apparentemente contraddittorio) delle opposizioni grafiche funzionali per le occlusive: in tal caso si è dimostrato l’intervento di innovazioni e ‘riforme’ successive, in cui il ruolo promotore è spettato al polo culturale di Este, recepite in tempi e per durate diverse dai centri vicini61.

Pur in presenza di una documentazione meno am-pia e articolata, anche per l’ambito golasecchiano si può istituire un principio di diatopia e diacronia in combinazione, almeno per le dentali.

nel nucleo Sesto Calende – Golasecca – Castel-letto Ticino, a partire da un modello oppositivo [theta a circolo puntato ~ *tau]62, ricostruibile per la prima fase della scrittura (G. I C - II A, fino al primo quarto del VI sec. a.C.), si è arrivati nella se-conda metà del VI secolo all’introduzione del theta a croce, che avrebbe portato all’opposizione [theta a croce ~ *tau] ovvero più probabilmente all’annulla-mento dell’opposizione funzionale in favore del solo theta a croce.

nel vicino nucleo Como – Prestino, dove la scrit-tura è attestata solo a partire dal periodo arcaico, il segno a croce sembra essere subentrato in sostituzio-

ne del tau, secondo il modello [theta a circolo puntato ~ theta a croce].

Se l’ipotesi può essere considerata verosimile, di-venta comprensibile come mai vi siano spesso casi di dubbia interpretazione o occorrenze contraddittorie e si impone la necessità di verificare regolarmente il contesto culturale di appartenenza e la cronologia delle iscrizioni, per poter riconoscere il valore delle occlusive.

una conseguenza di non poco peso è inoltre il ri-conoscimento di almeno due diverse tradizioni scrit-torie (semi)indipendenti, facenti capo a due scuole scrittorie nei nuclei proto-urbani principali della regione: circostanza importante per comprendere alcuni sviluppi delle epoche seguenti63.

Per quanto riguarda l’analoga opposizione delle velari, il problema sembra non porsi, dal momento che praticamente tutte le occorrenze di kappa sem-brano riconducibili all’occlusiva sonora /g/ (nn. 7, 10, 13, 15 e 18)64, mentre nulla osta a che l’unica occorrenza di chi (la già ricordata n. 8) corrisponda alla sorda /k/.

Analogamente, anche per le labiali non vi sono problemi a riconoscere la funzione di sonora /b/ per le occorrenze note di pi (nn. 7, 10, 11 e 14)65, men-tre l’unica occorrenza del phi (n. 15) pone qualche problema di attribuzione in quanto proveniente dal Bergamasco, da un contesto periferico nel quale è immaginabile un’influenza venetica.

Di fatto, come ha osservato Francesco Rubat Bo-rel66, il migliore confronto per la voce è dato dalla serie onomastica cibisu(s) diffusa in europa centrale: non dovrebbero sussistere dubbi, pertanto, sul valore

59 Che è stato definito «il supplizio di Tantalo per chi si occupa dell’epigrafia in alfabeto di lugano» (rubat borel 2005, p. 23).60 colonna 1988 (2005), p. 1727.61 colonna 1988 (2005), p. 1727 ss; v. ora ProsDociMi 2007, p. 461 ss.62 Il primo elemento corrisponde sempre alla sorda /t/, il se-condo alla sonora /d/.63 Traccia dell’attività della scuola scrittoria di Como-Prestino si ha nell’adozione regolare dei ‘binari’ come guida del trac-ciato epigrafico, anche nei testi vascolari, e nella presenza degli unici alfabetari finora ritrovati in area golasecchiana (qui nn. 12 e 31); v. infra.

64 Nel caso della n. 14, pokru, la lettura interpretativa /bo-gru/ renderebbe più difficile il confronto con Boccus/Boccurus proposto da rubat borel 2005, p. 26. Da notare la forma ‘tagliata’ da una traversa orizzontale aggiuntiva (se ne veda l’apografo in solinas 1995, p. 343, n. 64), che ritorna in un graffito da Giubiasco (ibid., p. 325, n. 13: probabilmente uno ‘scheletro consonantico’ da leggere χnk; per il concetto v. su-pra, nt. 41).65 Fatto salvo il termine pala, di etimologia ancora discussa; cfr. tibiletti bruno 1978 p. 164 s.; solinas 1995, p. 320 s.; rubat borel 2005, p. 26 s.66 rubat borel 2005, p. 26.

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/b/ del segno, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto attendere dall’opposizione grafica con pi.

L’ipotesi della provenienza del segno dall’ambito venetico potrebbe renderne ragione, ma anche in tal caso sarebbe la spia dell’esistenza in area gola-secchiana di un sistema in cui il suono /p/ sarebbe segnato da pi. A complicare ulteriormente la questio-ne va inoltre considerata la possiblità che un graffito vascolare dell’ultimo quarto del I secolo a.C. da Giu-biasco vada letto k(i)φisa (anziché koisa o koma, come è stato finora proposto)67; potrebbe trattarsi pertanto della forma femminile del medesimo nome, con una seconda attestazione del phi, ormai alle soglie della romanizzazione e apparentemente al di fuori di qua-lunque possibilità di influenza venetica.

A questo proposito, però, vale la pena di soffer-marsi sulla possibilità che la mancanza di attestazioni del suono /p/ sia causata dall’assenza dell’occlusiva sorda nella pronuncia della lingua locale, dovuta al fenomeno della lenizione, che potrebbe essere stato in funzione già in questa epoca68.

un forte indizio in proposito viene dall’occorrenza isolata di due digamma nella pietra di Prestino (n. 10), che rimanda probabilmente alla semplice occlusiva labiale sorda /p/ in via di lenizione69 (eventualmente con pronuncia spirante bilabiale o comunque priva di riscontro grafico nel corpus dottrinale, per cui si è selezionato – e solo in questo caso – il digamma70).

A completare il discorso sulle occlusive va preso in considerazione un documento di recente scoperta, il

ciottolone di S. Bernardino di Briona (n. 9) che dimo-stra come in area golasecchiana sia stato introdotto anche il segno del qoppa, utilizzato in combinazione con la u con ogni evidenza per segnare l’esito di una labiovelare sorda precedente alla develarizzazione71.

Piuttosto che pensare alla (re)introduzione di un nuovo segno nella scrittura golasecchiana, l’occorren-za del qoppa in un’attestazione tardoarcaica va attribu-ita con piena probabilità alla sua presenza nel modello alfabetico etrusco originario: come si è osservato, infat-ti, la tradizione alfabetica dei kyathoi della serie Caere-Vetulonia conosceva in origine la norma etrusco meri-dionale delle tre velari e ne ha visto la semplificazione in ambito settentrionale a favore del solo kappa.

Similmente all’omicron, però, il segno si conser-vava nel corpus dottrinale ed era disponibile per la trascrizione dei suoni della lingua d’arrivo, come è effettivamente dimostrato, per ora, dalla sola at-testazione di S. Bernardino72. L’occorrenza perife-rica del segno, al di fuori dei centri promotori di Sesto Calende – Golasecca – Castelletto Ticino e di Como – Prestino, non permette di sapere se esso appartenesse alla tradizione principale della scrit-tura golasecchiana o ad un ramo secondario, ma in ogni caso si riallaccia alla fase introduttiva di VII - inizio VI secolo a.C.73.

Anche per le sibilanti, si registra in epoca arcaica l’occorrenza di un nuovo segno rispetto alla fase pre-cedente: l’iscrizione di Prestino (n. 10), infatti, con-

67 tibiletti bruno 1978, p. 143; solinas 1995, p. 326, n. 15; Mo-ranDi 1999, p. 161, n. 3; iD. 2004a, p. 521, n. 3. Il tracciato con-fuso del kappa iniziale potrebbe in teoria sottintendere la presenza di uno iota in legatura ovvero aggiunto in un secondo momento.68 Cfr. rubat borel 2006, p. 205 s.69 Cfr. solinas 1995, p. 344. Da scartare l’ipotesi che il digam-ma segni l’esito spirante di un originario gruppo -ps- (tibiletti bruno 1978, p. 141 s.), che non rende conto dell’uso del segno, che nel modello alfabetico etrusco originario corrispondeva a una semivocale. V. anche eska 1998 e iD. 2009, p. 23.70 Da notare che nello stesso testo ed in altre iscrizioni la funzione semivocalica è segnata dalla semplice u. Le occorrenze di digamma nei testi celtici della liguria (ET Li 1.5-6) non dipendono dalla tradizione alfabetica golasecchiana, ma sono in grafia etrusca set-tentrionale arcaica, nuovamente imprestata. V. supra, nt. 53.

71 Cfr. rubat borel 2005, p. 16, e 2006, p. 205. un identico fenomeno si osserva in latino già al principio del VI sec. a.C., con l’oscillazione grafica tra il digramma QU e la semplice Q per segnare l’esito della labiovelare sorda; cfr. Maras 2009, p. 315 ss.72 Ma vedi infra, p. 88, n. 35.73 rubat borel 2005, p. 17, propone un valore labiovelare anche per il gruppo KU antevocalico nella stele di Mezzovico (n. 18) e forse in quella di Vira Gambarogno (solinas 1995, p. 331, n. 29) e in un testo da Bioggio (solinas 2002b, p. 484 ss., n. 1). la conservazione del suono occlusivo labiovelare fino ad età tardoarcaica non ha necessariamente interessato l’intera area celtica d’Italia, dove potrebbero essersi verificati precoci processi di labializzazione, come ipotizzato per il celto-veneti-co padros pompeteguaios di oderzo (v. ancora rubat borel 2005, p. 17, con bibliografia).

BReVe SToRIA DellA SCRITTuRA CelTICA D’ITAlIA 85

serva accanto a sigma e tsade anche zeta, nella compo-nente onomastica -kozis, in cui è stato riconosciuto l’esito di un originario *ghostis > /gotsis/74.

Il segno sarebbe pertanto servito a segnare una «sif-flante complexe»75, assimilabile ad un’affricata, deri-vante da metatesi nella pronuncia del gruppo -st-; con-ferma di tale ricostruzione può essere per Rubat Borel il confronto tra il sekezos di Como via Mantegna (n. 13) e le voci idio- e toponomastiche Segesta/Segessa76.

Si pone però un problema per quanto riguarda il valore del tsade, che abbiamo visto nella prima fase a

Montmorot (n. 4) notare un’altra «sifflante comple-xe», originata dall’incontro tra -g- e -s-, mentre nella stele di Vergiate (n. 7) – dove ha già assunto la forma ‘a farfalla’ – segna proprio un’affricata derivante dal gruppo *-st- > -ts-77.

nella pietra di Prestino (n. 10), però, si immagina che lo stesso segno corrisponda all’esito di un accu-sativo plurale (sites = /sides/, con -es < -ns)78. In tal caso, a meno di non pensare ad un diverso uso della sibilante marcata a Prestino79, occorre mantenere in sospeso la ricostruzione etimologica del termine.

4. terza Fase: il PerioDo Di transizione (g. iii a 2 - iii a 3, Fine V - PriMa Metà iV sec. a.c.)

Tra la fine del V ed il principio del IV secolo a.C., si verifica una evoluzione della forma dell’alpha, che viene generalmente utilizzata come principale ele-mento di discrimine per la datazione paleografica delle iscrizioni (specialmente quelle lapidarie prive di contesto)80.

A partire dalla forma triangolare con traversa di-scendente, che in alcune attestazioni più avanzate mostrava già la traversa attaccata alla base della se-conda asta (nn. 18, 20 e 21), si arriva in età recente alla forma propriamente detta ‘a bandiera’.

In verità, però, tale evoluzione non è immediata ed è possibile identificarne i prodromi in una tradizio-ne grafica settentrionale, in cui il tracciato dell’alpha mostra la seconda asta e la traversa sono incurvate parallelamente in basso, fino a raggiungere la base della lettera (nn. 22-29). Il passaggio successivo, con le traverse rettificate e l’asta inclinata (n. 30), prelude ormai alla forma recente, morfologicamente identica al digamma arcaico.

Analizzando le iscrizioni che presentano la forma di transizione dell’alpha, si può osservare come essa rientri in una serie di caratteristiche grafiche che permettono di riconoscere un ben preciso ambito scrittorio.

trascr. a e v z θ i k l m n o p q s r s t u χ φpron. a e u˘ ts t ? i g ? l m n o b ? k ks? r s d u k b ?

74 tibiletti bruno 1978, p. 142 s.; solinas 1995, p. 343 s.; MoranDi 2004a, p. 639; rubat borel 2005, p. 24; iD. 2006, p. 206.75 Secondo la terminologia utilizzata da Emile benVeniste, in «Revue de Philologie», 4, 3e série, 1930, p. 74.76 rubat borel 2005, p. 25. Diversamente, De Marinis 2001 pensa che la voce vada confrontata piuttosto con il seχeθu di una legenda monetale di prima metà IV sec. a.C. e con la suffissazione onomastica in -edo, proponendo il valore /d/ per zeta in questa iscrizione; v. oltre.

77 Cfr. solinas 1995, p. 371, e r.c. De Marinis, in Alle origini di Varese 2009, p. 687. Si veda anche una probabile attestazione di /st/ in solinas 1995, p. 359: stu.[---], a meno che non si tratti di uno scheletro consonantico, tipo stu.[pk] = setupokios; cfr. ibid., p. 364, n. 100, e v. supra, nt. 41.78 V. già lejeune 1971, p. 104 s., e cfr. tibiletti bruno 1978, p. 142, e solinas 1995, p. 344.79 Ma va notato che le attestazioni recenti del tsade a farfalla sembrano confermare il valore di «sifflante complexe»; v. infra.80 De Marinis, Motta 1990-1991, p. 216.

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tab. iii. selezione Di testiMonianze Della traDi-zione graFica Manierata Dell’area golasecchiana (fig. 4)21*. Stele da Bioggio: [---]oni : klanalui : pala (secon-da metà V sec. a.C.)81

22. Stele da Mezzovico: bakiui p[i]uotialui (fine V - inizio IV sec. a.C.)82.23*. Stele di Davesco: bslaniai : uerkalai : pala (fine V - prima metà IV sec. a.C.)83.24. Stele da Tesserete: c[---]rkomui : pala (V - inizio IV sec. a.C.)84.25. Stele da Aranno: mationa[---] (fine V - prima metà IV sec. a.C.)85.26. Stele da Viganello: ×unalei : mako[---] (fine V - prima metà IV sec. a.C.)86.27*. Coppetta di ceramica grigia da Brescia, via Trieste: takos (prima metà IV sec. a.C.)87.28*. Stele da Bioggio: [---]oni : kuimitrui : pala (pri-ma metà IV sec. a.C.)88

29*. Stele da Mesocco: ualaunal | raneni (IV sec. a.C.)89.30. Stele da Tesserete: botiui : pala (IV sec. a.C.)90.

* nota: le iscrizioni riprodotte a fig. 4 sono contras-segnate con un asterisco.

La forma dell’alpha con traverse incurvate in basso si accompagna ad un tracciato similmente incurvato delle traverse di ny e my, che assumono rispettivamente la forma di uno e due semicerchi aperti in alto (nn. 21, 23, 24, 26, 28), e a volte del kappa, le cui traverse si inarcano verso l’alto e verso il basso (nn. 21, 24, 26).

In realtà tali caratteristiche grafiche costituiscono varianti formali ricercate, allo scopo di produrre una

scrittura manierata ed elegante, che coerentemente viene applicata per lo più alle stele funerarie, e quindi con un valore monumentale, con una diffusione che sembra limitata al comparto settentrionale, ancora del tutto compreso nel Canton Ticino.

La forma aperta dell’alpha trova un precedente nel principio di alfabetario di Prestino (n. 12), che in quanto tale costituisce probabilmente un’attestazione di scuola scrittoria, ancora datata entro i decenni cen-trali del V secolo a.C.; l’attestazione più recente, in-vece, viene da un graffito vascolare da Brescia (n. 27), datato ancora nella prima metà del IV secolo a.C. (e senz’altro indipendente dalle stele cantonticinesi).

È quindi presumibilmente dalla scuola di Como che è partita l’innovazione, divenuta in seguito il punto di partenza per la successiva evoluzione ver-so la forma ‘a bandiera’, e le sequenze di iscrizioni su alcune stele riutilizzate mostrano chiaramente la trasformazione della lettera in area settentrionale (p. es. a Davesco nn. 19 ~ 23 ~ 32, o a Tesserete nn. 20 ~ 24 ~ 30). la forma finale rettificata è quella tipica dell’età recente91 ed è diffusa uniformemente in tutto il dominio epigrafico celtico italiano.

Come si è detto, però, il punto di arrivo di tale evoluzione presuppone l’abbandono del digamma nel-la scrittura, per scongiurare l’inevitabile confusione: vale la pena, pertanto, verificare tale circostanza.

Le occorrenze più recenti del digamma appartengo-no ancora una volta all’area di Como, dove la lettera è attestata in un secondo alfabetario da Prestino (n. 31) e forse in un graffito da Rondineto92, e si datano ancora nella fase transizionale entro la prima metà del IV secolo a.C.; in seguito, coerentemente con la scelta grafica dell’alpha ‘a bandiera’, il digamma non viene più utilizzato nella scrittura celtica93.

81 solinas 2002b, p. 488 s., n. 3; MoranDi 2004a, p. 718, n. 301.82 MoranDi 2004a, p. 533 s., n. 26.83 solinas 1995, p. 322, n. 3; MoranDi 2004a, p. 539 s., n. 34.84 solinas 1995, p. 331, n. 27; MoranDi 2004a, p. 538, n. 32.85 solinas 1995, p. 319 s., n. 1 B; MoranDi 2004a, p. 535, n. 28.86 solinas 1995, p. 331, n. 28; MoranDi 2004a, p. 540 s., n. 35.87 MoranDi 2004a, p. 672, n. 235.88 solinas 2002b, p. 484 ss., n. 1; MoranDi 2004a, p. 717 s., n. 300.

89 solinas 1995, p. 327, n. 19; MoranDi 2004a, p. 519 s., n. 1.90 solinas 1995, p. 331, n. 27; MoranDi 2004a, p. 538, n. 32.91 Cfr. De Marinis, Motta 1990-1991, p. 216.92 solinas 1995, p. 354, n. 87; MoranDi 1999, p. 181, n. 29; iD. 2004a, p. 629 s., n. 161 (mei|va).93 Va esclusa pertanto la lettura v del segno, che pure è stata proposta in alcuni casi: cfr. p. es. solinas 1995, p. 341, n. 58 (ma v. oltre n. 36), MoranDi 1999, p. 181, n. 29, e iD. 2004a, p. 646, n. 193, e p. 711, n. 285.

BReVe SToRIA DellA SCRITTuRA CelTICA D’ITAlIA 87

5. quarta Fase: il PerioDo recente (la tène: iV-i sec. a.c.)

nel corso del IV secolo a.C., la scrittura celtica italiana assunse la sua configurazione definitiva, che sarebbe rimasta invariata fino alla romanizzazione

ed avrebbe acquisito un valore identitario per le po-polazioni galliche, come ha sottolineato a più riprese Patrizia Solinas94.

Nella seguente tabella si presenta una selezione molto ristretta di testi appartenenti a questa fase, funzionale ad illustrare i fenomeni grafici.

trascr. a e v i k l m n o p r s t upron. a e u ˘ i g ? l m n o b ? r s d u

94 solinas 1995, p. 311 s., e eaD. 2002a.

Fig. 4. Iscrizioni del periodo di transizione appartenenti alla tradizione grafica manierata dell’area golasecchiana (V-IV sec. a.C.).

DAnIele F. MARAS88

tab. iV. selezione Di testiMonianze ePigraFi-che Della Fase recente Dall’area golasecchiana (fig. 5)31*. Frammento di impasto da Prestino, via Ison-zo: aev (seconda metà V sec. a.C.)95.32*. Stele di Davesco: ctisiui : piuotialui : pala (IV - prima metà II sec. a.C.)96.33*. Stele da S. Pietro in Stabio: minuku : komoneos (IV - prima metà II sec. a.C.)97.34*. olla da Solduno: setupokios (III sec. a.C.)98.35. Ciotola da Gropello Cairoli (Pavia): eripo×ios (forse eripoqu

˘

ios ?; II sec. a.C.)99.36*. Vaso a trottola da Casate (Como): ze. osoris (II sec. a.C.)100.37*. Vaso a trottola da ornavasso: alatumarui : sap-sutai : pe : uinom : nasom benu clutou : i : u dmou . ea etu[---] (fine II - inizio I sec. a.C.)101.38*. Ciotola-coperchio da ornavasso: oletu amasilu (fine II - inizio I sec. a.C.)102.39*. Vaso a trottola da Giubiasco: piruk. iχes (II-I sec. a.C.)103.40. Vaso a trottola da ornavasso: sasamos (fine II-I sec. a.C.)104.

* nota: le iscrizioni riprodotte a fig. 5 sono contras-segnate con un asterisco.

Dal punto di vista meramente grafico, al di là della forma dell’alpha, di cui si è parlato105, le inno-vazioni dell’età recente furono costituite principal-mente dall’evoluzione della forma di alcune lettere e dall’abbandono di alcuni segni dall’uso.

Si è già detto della scomparsa del digamma, cui corrisponde l’uso regolare di ypsilon anche in posi-zione antevocalica (p. es. nn. 32 e 37, ma v. già nn. 23 e 29). Più delicata è la questione della ridotta documentazione dei segni chi e phi, cui si aggiunge la completa assenza del theta.

Del secondo segno si è già ricordata una possibile attestazione da Giubiasco nel I secolo a.C.106; an-che per il chi Giubiasco ha restituito un’attestazione sicura, in probabile opposizione con un kappa nella stessa voce onomastica, che fa propendere per la continuazione della distinzione funzionale arcaica (n. 39: piruk. iχes = /birugikes/).

Meno sicuro è invece il riconoscimento del chi in un graffito da Gropello Cairoli (n. 35), in cui il segno dovrebbe comparire nella formante onoma-stica /-bogios/, altrove segnata regolarmente con il kappa (v. p. es. n. 34)107. A causa della scomparsa dell’iscrizione, non è possibile verificare l’apogra-fo108: ma va rilevato che la forma irregolare del se-gno, solo vagamente assimilabile ad un tridente, potrebbe in realtà appartenere ad un qoppa (solo da poco restituito all’epigrafia leponzia arcai-ca109), eventualmente in legatura con ypsilon; e non va esclusa, infine, la possibilità che il segno vada emendato semplicemente in kappa.

Per quanto riguarda il theta, infine, si dovrebbe dedurre una generale attenuazione della distinzio-ne fonetica tra sorde e sonore, ovvero, più verosi-milmente, la scelta di non realizzare l’opposizione grafica. Ma sta di fatto che al momento non sem-bra possibile indicare un caso inequivocabile di uso del segno a croce per una dentale certamente sorda.

95 solinas 1995, p. 348, n. 74; MoranDi 1999, p. 177 s., n. 24, e iD. 2004a, p. 641 s., n. 186.96 solinas 1995, p. 322, n. 3; MoranDi 2004a, p. 539 s., n. 34.97 solinas 1995, p. 328 s., n. 22; MoranDi 2004a, p. 542, n. 39.98 solinas 1995, p. 329, n. 24; MoranDi 2004a, p. 532, n. 24.99 tibiletti bruno 1978, p. 148; solinas 1995, p. 368, n. 112; MoranDi 2004a, p. 592, n. 104.100 solinas 1995, p. 341, n. 58; MoranDi 2004a, p. 646, n. 193; rubat borel 2005, p. 24.101 solinas 1995, p. 375, n. 128; MoranDi 2004a, p. 550 ss., n. 48.102 solinas 1995, p. 376, n. 131; MoranDi 2004a, p. 549, n. 46.

103 solinas 1995, p. 324, n. 10 (pirau.i.χes’); MoranDi 1999, p. 163 s., n. 7, e iD. 2004a, p. 526, n. 14 (pira.u.i.χes).104 solinas 1995, p. 375 s., n. 129; MoranDi 2004a, p. 547 s., n. 45.105 Cfr. De Marinis, Motta 1990-1991, p. 216.106 V. supra, nt. 62.107 MoranDi 1999, p. 185 ss., n. 34, e iD. 2004a, p. 532 e 586.108 Si veda però la fotografia di un calco conservato al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, in MoranDi 1999, p. 203, tav. XVI, 3.109 Cfr. rubat borel 2005, p. 16, e 2006, p. 205.

BReVe SToRIA DellA SCRITTuRA CelTICA D’ITAlIA 89

La forma del my si semplifica da cinque a quat-tro tratti, mantenendo in un primo tempo il codolo (nn. 33, 38), per poi assumere la forma definitiva della M latina (n. 37, 40), mentre il ny tende a con-

servare il codolo; il sigma mantiene la variabilità del numero dei tratti da tre a quattro, occasional-mente ricorrenti anche nella stessa iscrizione (n. 34), senza differenza di valore.

Fig. 5. Iscrizioni di epoca recente dall’area golasecchiana (IV-I sec. a.C.).

DAnIele F. MARAS90

L’uso di zeta è documentato dalla sola attestazione di Casate (n. 36)110, in posizione iniziale nella parolet-ta ze. (ovvero za), che è stata interpretata da F. Rubat Borel come esortativo di buon augurio da *sta-, con metatesi della sibilante (*-st- > -ts-)111, confermando il valore ipotizzato per il segno in epoca arcaica112.

È invece più complessa la questione del tsade, di cui sono documentate per l’epoca recente la forma a farfalla (n. 36), a volte con codoli prolungati (n. 38) ovvero aperta in basso (n. 39), come per ripri-stinare in parte l’originaria forma a M (v. n. 4)113. In due occorrenze controverse114, un segno a ‘cles-sidra’ privo del tratto superiore è stato interpretato come variante tsade (derivante dal segno a farfalla ruotato di 90°), anche se il consenso a riguardo non è unanime115.

A parte la forma, anche il valore fonetico attribuito al tsade nelle varie attestazioni è problematico. La no-tazione di una «sifflante complexe» è compatibile con molte attestazioni, tra cui osoris (n. 36, da /oxorix/)116 e nasom (n. 37, se corrispondente a n£xioj)117. Ma non

si spiega, però, per quale motivo sia preferito il sigma nel già ricordato osoris, in posizione finale, e in sasa-mos (n. 40), se da confrontare con Saxamus come sem-bra118. Nel caso di amasilu (n. 38) e antesilu119, invece, si può pensare a un altro tipo di sibilante marcata, in base ad alcuni possibili confronti120.

un diverso tipo di marcatura della sibilante è pre-sente nel toponimo mesiolano, attestato da un’iscrizio-ne lapidaria datata tra il II e il I secolo a.C., in cui il tsade registra l’esito del gruppo -diV- (cfr. lat. Medio-lanum), presumibilmente consistente in una fricativa palatale sorda o sonora121. Più difficile, infine, è spie-gare invece la ricorrenza del tsade in posizione finale in una onomastica come piruk. iχes (n. 39), così come era stato per l’arcaico sites di Prestino (n. 10)122.

È probabile, in considerazione di queste ed altre attestazioni, che diversi tipi di sibilanti marcate po-tessero essere segnati con il tsade in contesti differenti, ma che occasionalmente si preferisse adottare una grafia semplificata con il sigma, in assenza di una re-gola generale riconosciuta.

trascr. a e z i k l m n o p s r s t u xpron. a e ts i g ? l m n o b? ks/d- ? r s t ?/d u k110 MoranDi 1999, p. 174 ss., n. 20. Lascio da parte per il momento l’attestazione anomala e non priva di dubbi della moneta aretina MoranDi 2004a, p. 700 ss., n. 276, su cui v. rubat borel 2006, p. 206.111 Cfr. rubat borel 2005, p. 24, e 2006, p. 206.112 V. supra. Si consideri però la presenza del gruppo -st- in almeno un caso: solinas 1995, p. 359, n. 94 h = MoranDi 2004a, p. 636, n. 173 (stu.[---]); v. anche supra, nt. 77.113 Il che provoca delle difficoltà nel caso di testi in cui il my è del tipo recente a 4 tratti, come il vaso di ornavasso (n. 37). la coesistenza dei due segni in età avanzata è documentata anche dalle legende monetali dei Salassi (cfr. solinas 1995, p. 313 s.).114 Il vaso di ornavasso (n. 37: nasom) e un graffito vascolare da nosate (solinas 1995, p. 366, n. 105: pesu).115 Cfr. MoranDi 2004a, p. 551, n. 48, e p. 610, n. 131, che espun-ge il tratto inferiore leggendo il segno senz’altro come /t/.116 rubat borel 2005, p. 24.117 MoranDi 1999, p. 172, n. 17; ma v. i dubbi riportati in

iD. 2004a, p. 551. una possibile conferma dell’interpretazione come “vino di Nasso” viene da un frammento di coppa da Arsa-go Seprio, loc. S. Ambrogio, tomba 10 (MoranDi 2004b, p. 85, n. 9), se la lettura può essere emendata in nasio uin. o×; va con-siderata infatti la pertinenza al contesto delle offerte funerarie nell’ustrino della tomba.118 Cfr. MoranDi 2004a, p. 547 s.119 MoranDi 2004a, p. 531 s., n. 23.120 Alessandro Morandi propone i latinizzati Amasia e Antessius.121 Con buona probabilità la medesima base lessicale (ovve-ro una formazione parallela da medh-yo-) è presente nel nome mezu attestato in grafia etrusca dalla stele arcaica di Zignago (ET Li 1.3); cfr. MoranDi 2004a, p. 697.122 solinas 1995, p. 324, propone che si tratti nel primo caso dell’esito di un “nominativo singolare in -ents su tema in -nt-?”, mentre sites sarebbe un “accusativo plurale in -es’ ”. In alternativa si potrebbe pensare per entrambe le occorrenze al possibile esito di un suffisso *-ek-s, di cui però va verificata l’attendibilità.

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Mansuelli 1978 = Guido a. Mansuelli, Le fonti storiche sui Celti cisalpini, in Galli e l’Italia 1978, pp. 71-75.

Maras 2004 = Daniele F. Maras, Dalla grande Liguria medi-terranea alla regio IX, in Liguri 2004, pp. 21-25.

Maras 2009 = Daniele F. Maras, Interferenze culturali ar-caiche etrusco-latine: la scrittura, in Gli Etruschi a Roma. Fasi monarchica e alto-repubblicana, Atti del XVI Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’etruria (2008), a cura di Giuseppe M. Della Fina, «Annali della Fondazione per il Museo “Claudio Fai-na”», XVI, 2009, pp. 309-331.

Pallottino 1978 = Massimo Pallottino, Riflessioni con-clusive: Italia e Gallia, in Galli e l’Italia 1978, pp. 270-273.

sassatelli 2008 = Giuseppe sassatelli, Gli Etruschi nella valle del Po, in La colonizzazione etrusca in Italia, pp. 71-114.

BReVe SToRIA DellA SCRITTuRA CelTICA D’ITAlIA 93

estratto – abstract

Il contributo presenta il quadro generale della situazione degli studi sull’epigrafia celtica dell’Italia preromana, centrato sull’area della cultura di Golasecca, con particolare riguardo all’origine e allo sviluppo dell’alfabeto e dei sistemi scrit-tori. L’analisi si concentra in special modo sul processo di trasmissione e sul quadro cronologico in cui si pone l’acquisi-zione del modello alfabetico originario e la diffusione della scrittura.l’articolazione dei paragrafi illustra lo sviluppo storico del fenomeno: 1. nascita della scrittura golasecchiana – 2. Prima fase: l’età dei «maestri etruschi» (G. I C - II A, ultimo quarto del VII - primo quarto del VI sec. a.C.) – 3. Seconda fase: il periodo arcaico (G. II A - III A 2, VI-V sec. a.C.) – 4. Terza fase: il periodo di transizione (G. III A 2 - III A 3, fine V - prima metà IV sec. a.C.) – 5. Quarta fase: il periodo recente (la Tène: IV-I sec. a.C.).

The paper provides a picture of the current achievements in the Celtic epigraphy of pre-Roman Italy (mostly lepontian), focusing on the Golasecca culture, with special regard to the origin and development of the alphabet and writing systems. The investigation points out the process of transmission and the chronological framework in which the acqui-sition of the alphabetic model and the actual use of writing took place.The articulation in paragraphs shows the historical development of the subject: 1. origin of writing in the Golasecca culture – 2. First phase: the age of the “etruscan masters” (G. I C - II A, last quarter of the 7th - first quarter of the 6th century BCE) – 3. Second phase: the archaic period (G. II A - III A 2, 6th-5th century BCE) – 4. Third phase: the transitional period (G. III A 2 - III A 3, end of the 5th - first half of the 4th century BCE) – 5. Fourth phase: the recent period (La Tène period: 4th-1th century BCE).