Assertività russa, ambiguità UE e disimpegno USA

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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale del 353/2003 - conv. in L. 27/02/04 n. 46 - art. 1, comma 1 - dcb Roma RIVISTA QUADRIMESTRALE DI GEOPOLITICA E GLOBALIZZAZIONE ISSN 2038-8942 EURODUBBI 3 6 imperi N. ANNO 12 2015

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DI GEOPOLITICA E GLOBALIZZAZIONE

ISSN 2038-8942

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N. ANNO 12 2015

COMITATO DI REDAZIONE: Luciano Garibaldi, Raffaele Cazzola Hofmann,

Andrea Marcigliano, Alberico Travierso, Pietro Romano, Antonio Pannullo, Salvatore

Santangelo, Bruno Tiozzo, Giorgio Torchia

COMITATO SCIENTIFICO:Franco Cardini, Salvatore Prisco,

Daniela Santus, Francesco Crocenzi, Gianfranco De Turris,

Federico Eichberg, Domenico Fisichella, Gennaro Malgieri, Adolfo Morganti,

Enrico Nistri, Gaetano Rasi, Raoul Romoli Venturi,

Antonio Saccà, Fabio Torriero

HANNO COLLABORATO A “IMPERI” Carlo Jean, Adolfo Urso,

Alfredo Mantica, Nazzareno Mollicone, Luca Galantini, Gerardo Picardo, Luigi Ramponi, Aleksandr Dugin,

Paolo Quercia, Luciano Arcella, Michele Guerriero, Francesco Demattè,

Giano Accame, Andrea Cucco, Shaykh ‘Abd al-Wahid Pallavicini,

Sara Buzzurro, Gianluca Scagnetti, Alessandro Grossato, Federico Guiglia,

Giovanni Perez

PROGETTO GRAFICO: Francesco Callegher

DirettoreEugenio Balsamo

Direttore responsabileLuciano Lucarini

Rivista quadrimestrale Anno 12 n. 36-2015Issn 2038-8942

Viale delle Medaglie d’Oro, 7300136 Roma

Tel. 06/45468600Fax 06/39738771

Rivista fondata daAldo Di Lello

Editoriale

5 Ma la crisi non è quella greca: è l’Europa in debito con se stessa

Eugenio Balsamo

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19 Muore l’Irlanda, muore l’Europa

Italo Inglese

26 Grecia, il disastro rimandato

Alberico Travierso

41 “Noi ad Atene facciamo così”

Maria Grazia Leo

Indice

54 Le (troppe) incertezze europee nel ‘mare di casa’

Raffaele Cazzola Hofmann

66 La “nuova” Spagna tra ripresa e politica “non convenzionale”

Alberico Travierso

77 Debito estero, orgoglio nazionale: l’Europa

sudamericana

Eugenio Balsamo

91 Assertività russa, ambiguità Ue e disimpegno americano

Massimo Ciullo

Indice

108 Osservatorio Globale

111 I “nodi” di Ankara: metamorfosi della geopolitica turca

Andrea Marcigliano

122 Democrazia, aristocrazia e il nichilismo indifferenziato

Antonio Saccà

148 Geoscaffale

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Nel 2009, l’allora segretario di Stato, Hillary Clinton, incontrandoa Ginevra il suo omologo russo Sergei Lavrov, gli regalò un

grande pulsante rosso con la scritta “reset” in inglese e peregruz-ka in russo: un gesto simbolico e distensivo a significare la volon-tà della nuova amministrazione americana, da poco insediatasi al-la Casa bianca, di normalizzare i rapporti tra Washington e Mosca,dopo la fine dell’era Bush. Il plenipotenziario russo accettò dibuon grado il simpatico presente, evidenziando però l’errore ditraduzione (reset in russo si traduce con “perezagruzka”): la scrittastampigliata sul bottone significava “sovraccarico”.

LE RELAZIONI TRA RUSSIA, STATI UNITI E EUROPAE con un sovraccarico di tensioni si era concluso il secondo man-dato del predecessore di Barack Obama, che aveva rinverdito i fa-sti della guerra fredda con un confronto duro e serrato con gli ere-di dell’ex potenza sovietica. Il programma dello scudo stellare,l’empasse sul trattato Start, l’invasione russa in Georgia a soste-gno delle rivendicazioni indipendentiste di osseti e abkhazi, ave-vano raffreddato i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico, facen-do tornare in mente scenari pre-1989.Pur di mantenere fede al nuovo corso della sua amministrazione,Barack Obama non ha esitato a buttare a mare il progetto di dife-sa missilistica (lasciando in serie difficoltà i governi di Polonia eRepubblica Ceca che su quel progetto avevano investito capitali ecredibilità politica); ha accettato le condizioni di Mosca per il nuo-

Assertività russa, ambiguità Uee disimpegno americanoLe nuove tensioni tra Stati Uniti e Russia, sebbene per nulla paragonabilialla passata contrapposizione, hanno in comune con la vecchia guerrafredda di “giocarsi” sul suolo europeo. Ancora una volta sono soprattutto i confini orientali del Vecchio continente a vivere il confronto Est-Ovest

Massimo Ciullo

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vo trattato Start, scaduto a dicembre 2009, (d’altro canto era statoda poco insignito con il Nobel per la Pace) firmando a Praga adaprile 2010 il nuovo accordo ed acconsentì anche ad uno scambiodi spie (per una strana concezione di reciprocità, dieci agenti russiper quattro americani). L’alternanza tra George Bush Jr e Barack Obama ha prodotto unmutamento fondamentale dell’atteggiamento statunitense nei con-fronti della Russia, senza per altro conseguire nessuno degli effettisperati. Non è così nel caso della coppia Putin-Medvedev che si al-terna da circa un decennio al potere in Russia senza soluzione dicontinuità in fatto di politica estera. Il gioco del falco e della co-lomba impersonato dai due, soprattutto nei rapporti con gli Usa,non ha mai sostanzialmente messo in discussione le linee-guida dipolitica internazionale del Cremlino: l’obiettivo dichiarato di en-trambi è sempre stato quello di cercare di rinverdire i fasti dellagloriosa Unione Sovietica. Sia Putin, sia il suo attuale premier,hanno fortemente resistito a all’“accerchiamento” da parte dellaNato, quando l’Alleanza atlantica ha inglobato buona parte deipaesi dell’Europa dell’Est, ex membri del Patto di Varsavia. Alla po-sizione “morbida” di Medvedev, soprattutto dopo l’elezione di Ba-rack Obama, ha sempre fatto da contraltare l’estrema durezza diPutin, che ha indotto l’inquilino della Casa Bianca a congelare i

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piani del suo predecessore, G. Bush jr., per l’installazione di posta-zioni radaristiche e missilistiche in Polonia e Repubblica Ceca, ilfamoso “Scudo Stellare” di reaganiana memoria, considerato unaminaccia diretta contro Mosca.

AMBIGUITÀ EUROPEEL’intenzione di normalizzare i rapporti con la Russia è sempre statapresente in alcuni leader europei dell’ultimo decennio. Da JacquesChirac a Romano Prodi, da Silvio Berlusconi a Gerhard Schroeder,c’è stata una specie di gara per ingraziarsi gli ospiti del Cremlino.Vladimir Putin, ripreso lo scranno presidenziale dopo l’ennesimastaffetta con il fedelissimo Dmitri Medvedev, è stato ospite fisso inSardegna nelle ville di Berlusconi. L’ex cancelliere tedesco già dal2005 era stato cooptato da Gazprom, il colosso russo del gas, echi ha preso il suo posto, vale a dire Angela Mekel si è guardatabene dal compiere il minimo gesto di disappunto nei confronti dichi aveva dato il suo placet alla riunificazione delle due Germanie.E solo la crisi ucraina ha impedito alla Francia di portare a compi-mento l’affaire Mistral, le famose portaelicotteri commissionatedalla Russia e pronte a salpare verso qualche porto sul Baltico osul Mar Nero. Ora Parigi sarà costretta pure a risarcire Mosca conun miliardo e duecento milioni di euro per la mancata consegna.

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La faccia cattiva dell’Unione europea nei rapporti con la Russia èstata appannaggio esclusivo dei suoi ex alleati del Patto di Varsa-via. Chi ha conosciuto la materiale presenza dell’Armata rossa nonsi mai fidata dei suoi eredi. Così, Polonia, Repubblica Ceca, Roma-nia, Estonia, Lituania e Lettonia hanno sempre cercato di metterein guardia i propri partner Ue sulle reali intenzioni di Mosca, rice-vendo spesso in cambio l’accusa di essere “russofobe”. A Varsaviacome a Praga, le oscillazioni di Bruxelles su questo tema hannosempre provocato una certa irritazione. Polacchi, cechi, bulgari, ru-meni hanno ancora vivo il ricordo della Cortina di Ferro e dellasoggezione imposta dall’Unione sovietica. Ciò è fonte di grandepreoccupazione, alimentata anche dal nuovo corso della politicadi potenza russa. Ed è quasi scontato che quando devono pensa-re alle strategie di difesa rispetto all’ex alleato, gli occhi si rivolga-no verso Washington e non Bruxelles. Una situazione molto gradi-ta alla Casa Bianca, che può continuare a dettare l’agenda delladifesa europea senza dover ricorrere neanche allo strumento del“divide et impera”, tanto più divisi di così.La recente annessione della Crimea e il sostegno ai separatistidelle regioni orientali dell’Ucraina hanno dato ragione a chi sostie-

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ne che la sindrome di accerchiamento di cui soffre Mosca è unafoglia di fico per ridisegnare i vecchi confini dell’ex Unione sovieti-ca. Il nuovo presidente polacco Andrzej Duda nei suoi primi inter-venti da capo dello Stato ha sottolineato l’urgente necessità diuna maggiore presenza della Nato sul territorio e la prima visitaufficiale l’ha compiuta in Estonia, Paese con cui condivide i timoriper la nuova aggressività russa. Con un certo ritardo, alcuni analisti hanno iniziato a prendere sulserio gli ammonimenti provenienti dai leader dell’Europa orientalee hanno cominciato a riconsiderare la Russia come una minacciaalla sicurezza dello spazio europeo.

NESSUNA “NORMALIZZAZIONE”Alcuni importanti messaggi che i tre attori internazionali si sonoscambiati negli ultimi mesi, hanno lasciato intendere che diversipunti di frizione persistono e rischiano di produrre nuove escala-tion.Partiamo dal documento del Pentagono sulla Strategia militare na-zionale per il 2015, firmato dal generale Martin Dempsey, che pre-siede il Joint Chiefs of Staff. Stiamo parlando dunque, delle nuovelinee-guida per la politica militare statunitense dopo quelle adot-tate quattro anni fa con un documento simile. Ebbene, nel 2011, leteste d’uovo del Pentagono avevano riservato una piccola menzio-ne alla Russia, focalizzando la loro attenzione sul disimpegno sta-tunitense dai teatri afgano e irakeno. A quattro anni di distanza,gli eredi dell’ex-Unione Sovietica tornano a far paura e compaionoaccanto a minacce come l’Isis, la Cina e la Corea del Nord.A far cambiare opinione ai generali del Pentagono sono bastate le“intrusioni” di Mosca (qualcuno ha parlato di velleità neoimperiali-stiche del Cremlino) in tutte le situazioni “calde” ai confini dell’eximpero sovietico: il massiccio sostegno agli insorti filorussi delDonbass nel teatro ucraino; la creazione di governi fantoccio nelleauto-proclamate repubbliche di Abkhazia e Ossezia del Nord inGeorgia; l’aggressività nei confronti delle Repubbliche Baltiche e

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gli sconfinamenti aerei e sottomarini nel quadrante scandinavo.Naturalmente, il nuovo atteggiamento statunitense ha avuto le suele prime ripercussioni in ambito Nato, partendo proprio dall’estre-mo nord. La Norvegia infatti, ha deciso di portare al due per centodel prodotto interno lordo il suo investimento nel sistema di dife-sa missilistico dell’Alleanza atlantica. I rapporti tra Mosca e Oslo,hanno subito un brusco raffreddamento lo scorso anno, all’indo-mani dell’annessione della Crimea alla Federazione russa. La rispo-sta norvegese si è concretizzata nel congelamento di ogni forma dicooperazione militare con la Russia.

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Il sistema di difesa a cui sta lavorando la Nato è cominciato nel2012 e coinvolge numerosi paesi e installazioni militari, tra cuinuove batterie anti-missile a terra in Romania e in Polonia. Ne fan-no già parte un sistema radar in Turchia e almeno due navi. L’o-biettivo finale è un coordinamento tra tutti i sistemi di difesa daimissili balistici del continente e la Nato prevede che il sistema sa-rà a pieno regime a breve.

“OTTOBRE ROSSO” TRA BALTICO E MARE DEL NORDLo scorso ottobre, la Svezia è stata costretta a lanciare una mas-

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siccia operazione navale di guerra sottomarina (Asw, Anti-Submari-ne Warfare), per cercare di stanare alcuni sommergibili non identi-ficati che avrebbero violato le sue acque territoriali. Non accadevadai tempi della guerra fredda e naturalmente i primi sospetti si so-no rivolti verso la Russia, anche se da Mosca sono giunte imme-diate e vigorose smentite sulla presenza di propri mezzi navali rus-si nelle acque sottoposte a verifica. Il governo di Stoccolma hacercato di mantenere un profilo basso, sostenendo di aver autoriz-zato un’operazione di intelligence con lo scopo di monitorare leproprie acque territoriali, ma gli esperti sostengono che l’incursio-ne sottomarina (e si tratta dell’ultima di una lunga serie) ha messoin serie ambasce l’esecutivo svedese preoccupato per la presenzadi sommergibili nelle acque prospicienti la capitale. La marina militare scandinava sostiene di avere avuto almeno tresegnalazioni credibili di attività sottomarina straniera per un perio-do di 72 ore al largo di Stoccolma; indiscrezioni provenienti dal-l’intelligence svedese (non confermate da fonti ufficiali) hanno la-sciato intuire che sono state intercettate delle comunicazioni d’e-

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mergenza, provenienti da un sottomarino in difficoltà, tra Kalinin-grad (l’enclave russa in Lituania, quartier generale della Flotta Rus-sa del Baltico) e l’arcipelago di Stoccolma. Inoltre, nelle stesseore, una nave mercantile russa, la Ns Concord, è rimasta per alcunigiorni alla fonda, poco fuori dalle acque territoriali svedesi, senzaalcuna ragione apparente, elemento che ha messo in ulteriore al-lerta le autorità svedesi.Che la tensione nel Baltico e nel Mare del Nord stia tornando ai li-velli del periodo della Guerra Fredda è, oramai, un dato di fatto.Poche settimane prima degli avvistamenti svedesi, si è conclusal’operazione “Northern Archer”, un’esercitazione navale congiuntatra Svezia, Danimarca, Polonia e Olanda; tra gli altri obiettivi dellemanovre navali, anche la verifica delle risposte in caso di minacciasottomarina. Secondo l’opinione diffusa tra molti analisti, la pre-senza di unità sottomarine russe nell’area, si giustificherebbe conla volontà della marina di Mosca di spiare le manovre tra svedesie membri della Nato e le reali capacità delle forze navali in campo.L’incidente del sottomarino “fantasma” giunge in un momento par-

ticolarmente delicato per il governo di minoranza di Stoccolmapoiché pone al centro dell’attenzione nuovamente i temi della si-curezza e difesa. Nel paese, il dibattito sull’eventuale adesioneall’Alleanza atlantica è molto acceso, anche se l’esecutivo svedeseha sempre cercato di minimizzare la partnership con la Nato, enfa-tizzando invece, il ruolo guida della Svezia all’interno di un siste-ma regionale di cooperazione per la sicurezza e difesa nell’ambitodi una struttura sotto l’egida delle Nazioni Unite. La tradizionaleposizione “neutralista” di Stoccolma, molto radicata nell’opinionepubblica, difficilmente potrà spostarsi in maniera repentina verso

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una richiesta di adesione al Patto atlantico in tempi brevi. Anche ilpesante ridimensionamento che la flotta militare ha subito nell’ul-timo decennio è un indice inequivocabile della tenuta delle linee-guida nelle politiche di difesa dei vari governi svedesi, succedutisidall’implosione dell’ex impero sovietico a oggi. Un cambiamento radicale di scenario potrebbe essere provocatosolo dal comportamento di Mosca, che negli ultimi mesi ha messoin atto una serie di provocazioni per testare la capacità di reazio-ne dei suoi vicini scandinavi. Lo scorso anno, l’azione più clamo-rosa ha visto nuovamente al centro delle attenzioni particolari del-la Russia, proprio la capitale svedese: in un’esercitazione aera dicacciabombardieri è stato simulato un attacco su Stoccolma. Unatto gravissimo che ha provocato le vibrate proteste del governosvedese e ha, di fatto, determinato un decisivo riavvicinamentodella Svezia verso la Nato.

IL VENTRE MOLLE DELL’ALLEANZAMa non c’è solo la Svezia nel mirino del Cremlino: la nuova ag-gressività russa si è manifestata verso tutti i paesi dell’area scan-dinava e baltica. Le intercettazioni di aerei-spia di Mosca sulle Re-pubbliche baltiche non si contano più. Incursioni simili si sono re-gistrate nello spazio aereo finlandese. Il timore che possano accendersi focolai come quelli scoppiati nelCaucaso e in Ucraina, fomentati da Mosca, non è poi così infonda-to. Estonia, Lettonia e Lituania sono considerate il “ventre molle”del Patto atlantico nel quadrante nord-orientale. Il ministero dellaDifesa della Federazione Russa, ha confermato che i battaglionidelle forze missilistiche operanti nel settore occidentale dei confinirussi e nell’enclave di Kalinigrad, hanno ricevuto in dotazione estanno già effettuando lanci di esercitazione con i missili Iskander,i nuovi sistemi d’arma in grado di colpire obiettivi strategici del-l’Europa centrorientale. Bersagli ad oltre 400 chilometri di distanzadal loro punto di lancio non dovrebbero avere scampo: il missileha un accuratezza nominale di 200 metri, ma le ultime versioni in

possesso dell’esercito russo posseggono una precisione impressio-nate di soli 10-15 metri di Cep (Circular Error Probability). Inoltre,l’Iskander è posizionato su un veicolo di trasporto e lancio total-mente indipendente, in grado di viaggiare per oltre 1000 chilome-tri senza rifornimento, protetto dalla minaccia nucleare, batteriolo-gica e chimica. Il veicolo è per di più anfibio ed è indipendenteanche per la gestione e il lancio del missile.Questa estrema accuratezza rende gli Iskander in grado di colpirebersagli ad alto valore strategico come postazioni di comando econtrollo, postazioni antiaeree, aeroporti, sistemi missilistici strate-gici come il sistema antimissile americano di prossima installazio-ne in Europa. Ma i missili Iskander posseggono un’altra caratteri-stica che lo rende unico. La testata del missile, in fase di rientro,dopo essersi separata dal resto del vettore, dispiega delle false te-state in grado di confondere i sistemi radar delle difese antimissi-le. La stessa testata è inoltre dotata di superfici di controllo chepermettono di eseguire manovre evasive a oltre 30G. La combina-zione delle capacità di manovra e della presenza delle false testa-te rende i missili Iskander bersagli estremamente difficili per i si-stemi antimissile, ecco perché la presenza di queste armi ai confinicon l’Europa, incute timore a molti paesi della Nato.Le tre repubbliche baltiche, che hanno conquistato l’indipendenzada Mosca solo nel 1991, restano ad alto rischio sia per la loro ri-dotta capacità difensiva, sia per la forte presenza di minoranzerussofone che Mosca aizza contro gli esecutivi più schiacciati suposizioni filo-occidentali. Per questa ragione, i comandi Nato han-no cercato di intensificare la loro presenza nell’area aumentando ilnumero delle esercitazioni nel Mar Baltico negli ultimi dodici mesi,lasciando intendere al Cremlino che l’Alleanza è pronta ad interve-nire in caso di minacce concrete contro i suoi membri (Repubbli-che baltiche, in primis) ed anche contro partner storici come Fin-landia e Svezia.A surriscaldare un clima già infuocato, sono arrivate le ammonizio-ni di Sergei Lavrov su una eventuale adesione alla Nato di Finlan-

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dia e Svezia. Lavrov ha parlato della “russofobia” che allignerebbenegli establishment politici finlandesi e svedesi, assicurando che laRussia non ha alcun atteggiamento aggressivo nei confronti deisuoi vicini baltici e scandinavi. Lo scorso anno, Sergei Markov, unodei più fidati consiglieri politici del presidente Vladimir Putin, inun’intervista rilasciata ad un giornale svedese, ha detto che “laFinlandia dovrebbe ponderare attentamente un’eventuale adesionealla Nato. L’antisemitismo scatenò la II guerra mondiale; la russo-fobia potrebbe innescare la III”. Secondo Markov, un’alleanza co-me quella atlantica, controllata in tutto e per tutto da Washington,non può avere un “ruolo positivo” nelle politiche di difesa euro-pee, e ha rincarato la dose affermando che i membri della Ue sonodelle “colonie” Usa. Che il presidente russo e il suo entourage non nutrano più alcuntimore reverenziale nei confronti di Usa e Nato è evidente anchedal mutamento di linguaggio operato dall’establishment del Crem-lino. Nell’ultima dichiarazione di Putin al consiglio di sicurezza na-zionale della Federazione russa, il 3 luglio 2015, il leader russo hausato il termine, parlando delle altre potenze, di “oppositori geo-politici” (se non “avversari geopolitici”). Finora Putin, almeno nelleoccasioni ufficiali, aveva sempre parlato dei “nostri partner occi-dentali”. Ad accorgersene è stata Danielle Ryan, analista di Politi-co.com, che ha sottolineato in particolare, una frase del presidenterusso:“Non possiamo aspettarci un cambiamento nelle politicheostili di certi nostri avversari geopolitici nell’immediato futuro”.Sul deterioramento dei rapporti tra Russia e Europa si è discussoanche al Global Security Forum di Bratislava, lo scorso giugno. Inuno dei panel più interessanti, c’è stato un dibattito sulle nuoveforme di propaganda russa e ha suscitato scalpore l’uscita di undocumentario della televisione russa sulla repressione della Prima-vera di Praga, presentata ancora una volta come il soccorso pre-stato ad un popolo fratello minacciato da un colpo di stato fasci-sta…

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DISARMO EUROPEO L’ultimo vertice europeo sul tema della difesa comune ha deluso leaspettative dei più. Nella, oramai, consolidata tradizione dell’Unio-ne Europea, quando si tratta di affrontare un capitolo decisivo delpercorso d’integrazione, riemergono puntualmente tutti i pregiudizie tutte le diffidenze campanilistiche, che portano a chiedersi se èancora valido il progetto della costruzione della casa comune eu-ropea. Nonostante la grande enfasi conferita all’incontro tra i capidi Stato e di governo degli allora 27, nessun leader ha brillato perchiarezza di vedute e lungimiranza in un settore cruciale per lastessa sopravvivenza dell’Unione. Ciò che più sorprende sta nelfatto che quasi tutti i decision-maker condividono la necessità ine-luttabile di una maggiore integrazione nel campo della Politica co-mune di sicurezza e difesa (Pcsd); ad eccezione dei britannici, (le-gati a doppio filo alla special relationship con gli Usa), tutti gli al-tri leader europei, almeno a parole, concordano sul fatto cheun’Europa disarmata è esposta ad enormi rischi sullo scenariogeopolitico attuale. Nessuno però, riesce ad andare oltre la sem-plice petizione di principio. Lo sforzo per arrivare alla dichiarazio-ne finale condivisa da tutti, la dice lunga sul futuro prossimo dellaPcsd. Basti pensare alla questione dell’industria militare: il consiglio haaccolto le raccomandazioni della commissione, volte a rilanciare ilruolo dell’Agenzia europea di difesa nell’attuazione delle due di-rettive del 2009 in materia di difesa. Quando e come ciò avverràperò, non è dato sapere. È chiaro, si tratta di un settore, quellodei prodotti destinati alla difesa, estremamente delicato e nessunoè disposto a condividere a cuor leggero con i partner europei ipropri segreti militari. Alla fine, è stata stabilita una sorta di road-map che porterà all’implementazione di una base comune per l’in-dustria militare europea. Un percorso che prevede un sostegno al-la pmi che operano nel settore, investimenti nella cyber-difesa enello sviluppo di aerei senza pilota e aerei di lunga autonomia ed

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alte quote… in pratica, un libro dei sogni. Dal lancio al consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 sonopassati circa sedici anni per quello che era considerato, insiemealla politica estera, il “secondo pilastro”, dell’edificio europeo de-stinato ad ospitare non solo istituzioni economiche, ma anche po-litiche. In questo lungo lasso temporale, nessuno dei nodi emersidal secondo dopoguerra ad oggi, è stato sciolto. Primo fra tutti, ilrapporto ambiguo tra politica di difesa europea e Alleanza atlanti-ca. Gli europei non hanno ancora deciso di diventare grandi esembrano ancora ben disposti a ripararsi sotto l’ombrello statuni-tense, costi quel che costi.Ventuno paesi Ue sono anche membri del club atlantico e sonomolti a chiedersi quale sia la necessità di avere una politica di di-fesa europea quando esistono già le strutture della Nato. In real-tà, questa esigenza è stata molto più avvertita un decennio fa,quando soprattutto dalle parti dell’Eliseo, si pensò che fosse giun-ta l’ora di risolvere il patto con l’altra sponda dell’Atlantico. All’ini-zio del nuovo millennio, l’Unione europea ha velatamente cullatol’idea di potersi affrancare dalla soggezione Usa e di potersi rita-gliare un ruolo anche di potenza militare nel nuovo sistema inter-nazionale multipolare, nato dalle ceneri della guerra fredda.L’asse portante del modello europeo di difesa e sicurezza sarebbedovuto quello tra Parigi e Berlino. Peccato che francesi e tedeschiabbiano sempre avuto idee divergenti in merito. Posizioni che so-no emerse ancora una volta all’ultimo vertice belga e che si pos-sono riassumere nella tendenza francese a vedere la difesa euro-pea proiettata verso l’esterno (un’attitudine che dia spazio all’in-terventismo transalpino nei principali teatri di crisi), e la propen-sione tedesca a rimanere ancorati ad un sistema di sicurezza fon-damentalmente “interno”. La Francia ha sempre dimostrato un in-teresse strumentale verso la difesa europea, vista come una pos-sibilità per i membri del club di Bruxelles di coordinare a livellointergovernativo i loro sistemi di difesa, fermo restando il princi-pio intangibile della sovranità nazionale sull’argomento. Un princi-

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pio ribadito recentemente dal presidente François Hollande che,nel licenziare il testo sulle linee-guida in materia di difesa, ha con-fermato il postulato che la Francia debba intervenire sempre perprima nelle situazioni di conflitto. Una dottrina di cui si è vista lapiena applicazione nel caso della crisi libica del 2011, sotto la pre-sidenza di Nikolas Sarkozy, quando i caccia francesi entrarono inazione senza avvertire i partner della coalizione “Odyssey Dawn”.Per Parigi, la Psdc rimane dunque uno strumento al servizio deisingoli membri Ue per rinforzare e collegare le loro capacità d’in-tervento nei conflitti internazionali nel mondo e solo marginal-mente uno strumento per approfondire l’integrazione europea.La Germania invece, riassume la posizione comune anche ad altripaesi, compresa l’Italia, per cui la Psdc deve essere concepita co-me un’ulteriore possibilità di rafforzamento dei legami europei at-traverso l’integrazione delle forze armate, delle forze di polizia edei sistemi d’intelligence. Solo in misura minore, questo capitolodella politica europeo deve occuparsi della proiezione internazio-nale della Ue.

Massimo CiulloDirettore di “Eunomia”, rivista di Storia e politica internazionale,già docente di Scienza politica e Relazioni internazionali presso l’Università del Salento

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