Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice italiano-dialetto: un’indagine a Torino

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Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice italiano-dialetto: un’indagine a Torino 1. Introduzione L’attenzione e l’interesse dei linguisti per il discorso bilingue e per i fenomeni di plurilinguismo e contatto linguistico sono cresciuti in maniera esponenziale nel corso degli ultimi due decenni, conducendo non solo ad un consistente accumulo di descrizioni empiriche ed ipotesi interpretative, ma anche all’elaborazione di tipologie e proposte teoriche tese a classificare e dare spiegazione della svariata casistica concernente la mescolanza fra sistemi linguistici ed il comportamento del- le varietà in contatto (cf. Berruto 2001:263). Un ruolo di primo piano, nel conte- sto di tale fervore di ricerche e pubblicazioni, hanno dunque assunto gli studi sul- la commutazione di codice, diventando per molti aspetti uno dei temi centrali del dibattito scientifico internazionale sul bilinguismo (cf. Milroy/Muysken 1995: 1-10). Gli interessi e i percorsi di ricerca che ruotano attorno ai fenomeni di code switching sono, com’è noto, fortemente eterogenei e spaziano dalle componenti so- cio-pragmatiche e dal valore interazionale della commutazione di codice alle re- strizioni grammaticali e alla struttura morfosintattica delle produzioni bilingui (cf. Myers-Scotton 2002:10-11 e 44-45). Il presente contributo si pone chiaramente in una prospettiva pragmatico-fun- zionale, avendo come interesse principale quello di fornire ulteriori esempi del ruolo svolto dal code switching nella realizzazione di particolari strategie discorsi- ve e nella costruzione del significato sociale di un’interazione verbale. Si seguirà, per lo più a fini espositivi e in maniera del tutto flessibile, il tipo di approccio pro- posto da Auer (in Auer 1995 e 1998), a cui si riconduce tra l’altro una serie di lavori anche in ambito italo-romanzo (si veda, in particolare, Alfonzetti 1992a), fondato sulla dicotomia tra commutazione di codice connessa ai partecipanti e commutazione di codice connessa al discorso. L’esame delle interazioni riportate in trascrizione 1 fornirà poi, attraverso l’analisi dei valori funzionali attribuiti al di- scorso bilingue, alcuni spunti di riflessione in merito a temi quali la reversibilità della direzione del cambio di codice (e le conseguenti implicazioni circa la mag- giore o minore appropriatezza di varietà di lingua specifiche a determinati topics 1 È sembrato sufficiente, vista l’assenza di finalità fonetiche, adottare una trascrizione sem- plificata delle produzioni dialettali, seguendo il più possibile le norme ortografiche dell’italiano standard. Per ogni conversazione è poi riportata in nota (preceduta dalla sigla Trad.:) la tradu- zione in italiano degli interventi in dialetto. Per una descrizione completa dei criteri per il trat- tamento delle interazioni trascritte si rimanda comunque al termine del presente contributo.

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Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice italiano-dialetto: un’indagine a Torino

1. Introduzione

L’attenzione e l’interesse dei linguisti per il discorso bilingue e per i fenomeni diplurilinguismo e contatto linguistico sono cresciuti in maniera esponenziale nelcorso degli ultimi due decenni, conducendo non solo ad un consistente accumulodi descrizioni empiriche ed ipotesi interpretative, ma anche all’elaborazione ditipologie e proposte teoriche tese a classificare e dare spiegazione della svariatacasistica concernente la mescolanza fra sistemi linguistici ed il comportamento del-le varietà in contatto (cf. Berruto 2001:263). Un ruolo di primo piano, nel conte-sto di tale fervore di ricerche e pubblicazioni, hanno dunque assunto gli studi sul-la commutazione di codice, diventando per molti aspetti uno dei temi centrali deldibattito scientifico internazionale sul bilinguismo (cf. Milroy/Muysken 1995:1-10). Gli interessi e i percorsi di ricerca che ruotano attorno ai fenomeni di codeswitching sono, com’è noto, fortemente eterogenei e spaziano dalle componenti so-cio-pragmatiche e dal valore interazionale della commutazione di codice alle re-strizioni grammaticali e alla struttura morfosintattica delle produzioni bilingui (cf.Myers-Scotton 2002:10-11 e 44-45).

Il presente contributo si pone chiaramente in una prospettiva pragmatico-fun-zionale, avendo come interesse principale quello di fornire ulteriori esempi delruolo svolto dal code switching nella realizzazione di particolari strategie discorsi-ve e nella costruzione del significato sociale di un’interazione verbale. Si seguirà,per lo più a fini espositivi e in maniera del tutto flessibile, il tipo di approccio pro-posto da Auer (in Auer 1995 e 1998), a cui si riconduce tra l’altro una serie dilavori anche in ambito italo-romanzo (si veda, in particolare, Alfonzetti 1992a),fondato sulla dicotomia tra commutazione di codice connessa ai partecipanti ecommutazione di codice connessa al discorso. L’esame delle interazioni riportatein trascrizione1 fornirà poi, attraverso l’analisi dei valori funzionali attribuiti al di-scorso bilingue, alcuni spunti di riflessione in merito a temi quali la reversibilitàdella direzione del cambio di codice (e le conseguenti implicazioni circa la mag-giore o minore appropriatezza di varietà di lingua specifiche a determinati topics

1 È sembrato sufficiente, vista l’assenza di finalità fonetiche, adottare una trascrizione sem-plificata delle produzioni dialettali, seguendo il più possibile le norme ortografiche dell’italianostandard. Per ogni conversazione è poi riportata in nota (preceduta dalla sigla Trad.:) la tradu-zione in italiano degli interventi in dialetto. Per una descrizione completa dei criteri per il trat-tamento delle interazioni trascritte si rimanda comunque al termine del presente contributo.

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o intenzioni espressive), i meccanismi che guidano le scelte di lingua e i criteriadottati per l’interpretazione delle scelte stesse.

Nei lavori italiani relativi alla situazione italo-romanza i fenomeni di commuta-zione di codice sono generalmente studiati in funzione del contributo che portanoall’indagine dei rapporti sociolinguistici tra dialetto e lingua nazionale (cf. Berru-to in stampa). Si farà spesso anche qui riferimento alla situazione sociolinguisticadella comunità parlante in oggetto, ma ci si limiterà per lo più a qualche accenno,rimandando per gli eventuali approfondimenti, ove necessario, a Cerruti 2003. Ilpresente lavoro può infatti considerarsi una sorta di integrazione di quest’ultimo,in quanto entrambi poggiano sul medesimo corpus di parlato spontaneo2 e pren-dono le mosse da un unico rilevamento3.

È doveroso a questo punto fare un’ultima precisazione, questa volta di caratte-re terminologico, prima di iniziare l’analisi. Se da una parte, infatti, sussiste un com-pleto accordo in merito alla «sostanza» dei fenomeni linguistici etichettati comecode switching, generalmente definiti come «the juxtaposition within the samespeech exchange of passages of speech belonging to two different grammaticalsystems or subsystems» (Gumperz 1982:59) o, in maniera ancor più sintetica, «thealternative use by bilinguals of two or more languages in the same conversation»(Milroy/Muysken 1995:7), dall’altra si confrontano opinioni contrastanti in meri-to alla pertinenza della distinzione tra commutazione di codice interfrasale e in-trafrasale. A fronte di posizioni favorevoli all’impiego di cover terms entro i qualifar confluire le due diverse accezioni (cf. Myers-Scotton 1998a:106-07), pare quiragionevole, invece, mantenere la distinzione tra code switching (o commutazionedi codice) e code mixing (o enunciazione mistilingue). Questo in ragione sia dellepeculiarità di una situazione di lingua cum dialectis del tipo italiano, sia del valorepragmatico-funzionale veicolato (in genere) dal primo termine e non dal secondo(cf. Berruto 1985:59 e 2001:267).

2. Code switching connesso ai partecipanti

Gli episodi di commutazione di codice a cui pertengono i casi di code switchingconnesso ai partecipanti interessano in primo luogo «il problema interazionale dieffettuare e negoziare una scelta linguistica che, oltre a tener conto di criteri diadeguatezza situazionale, contemperi le esigenze di tutti i partecipanti» (Alfon-zetti 1992a:36). Un ruolo fondamentale viene dunque ad esercitare il sistema delle

2 Circa undici ore di registrazioni condotte a microfono nascosto in un quartiere di Torino, ilborgo Vanchiglietta.

3 La ricerca condotta per la mia tesi di laurea (della quale il presente contributo vuole essereun completamento, approfondendo alcuni spunti di riflessione e proponendone di nuovi). La tesi,dal titolo Il ruolo del dialetto nel tessuto sociolinguistico urbano. Indagine in un quartiere di Tori-no, svolta sotto la direzione del prof. G. Berruto, è stata discussa all’Università di Torino, Facoltàdi Lettere e Filosofia, nella sessione straordinaria dell’anno accademico 2001/02.

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preferenze del singolo individuo in relazione alla condotta linguistica dei propriinterlocutori e a specifiche strategie conversazionali interpersonali, inteso non tan-to in riferimento alla particolare disposizione psicologica e alle competenze lin-guistiche del parlante, «but rather in the more technical, conversation-analytic sen-se of an interactionally visible structure» (Auer 1995:125). Rientrano pertantoall’interno della categoria di code switching connesso ai partecipanti, in linea ge-nerale, tutti quei casi di commutazione di codice in cui il passaggio da una varietàdi lingua ad un’altra sia motivato da ragioni di preferenza linguistica, dal grado dicompetenza di un codice, e da strategie di convergenza e divergenza interperso-nale.

2.1 Ragioni di preferenza e strategie di convergenza/divergenza

Stando alle conversazioni che compongono il nostro corpus di parlato spontaneo,è possibile verificare l’occorrenza di due tipi differenti di scelta di lingua e di com-mutazione di codice legate a motivi di preferenza: da una parte il passaggio da unavarietà ad un’altra realizzato tra turni di parlanti diversi4, in ragione di «divergentlanguage choices, in which each one uses his or her own preferred code» (Alfon-zetti 1998:185), e dall’altra i fenomeni di code switching vero e proprio verificati-si nelle produzioni verbali di uno stesso parlante, sia all’interno di un unico turnoche tra turni successivi.

Si consideri, in proposito, la seguente interazione tra due interlocutori legati darapporti di natura familiare:

[1]5

1 M58: tutto bene te, cosa fai? . . . sempre . . .2 F29: sì, tutto bene . . .3 M58: t a stüdi sampi . . . anche ti4 F29: eh, guarda, questo . . . questo semestre è stato un continuo, perché c’ho fatto tutti gli

esoneri5 M58: ah, ecco . . .6 F29: cioè adesso devo iniziare la sessione esami ma . . . non è ancora finita quella prima . . .7 M58: eh già, eh già, ades a giügn pø, a giügn pø . . .8 F29: sì, poi quest’anno iniziano prima . . . è già dall’ultima settimana di maggio . . . sì però

comunque non ho ancora interrotto gli esami, quindi . . . è semplicemente un continuare . . .9 M58: eh . . . ah è düra co par vuiac, varda . . .

10 F29: e va bè, ma a me va bene che/se va . . . tutto bene non ho esami a settembre . . .11 M58: a ba . . .

4 L’alternanza di varietà di lingua tra turni di parlanti diversi può essere solo impropriamen-te considerata commutazione di codice; si è tuttavia deciso di tenere in considerazione tale fe-nomeno in base al significato interazionale della divergenza nella scelta del codice.

5 Trad.: «3 (M58): studi sempre . . . anche tu | 7 (M58): adesso a giugno poi, a giugno poi | 9(M58): è dura anche per voialtri, guarda | 11 (M58): a bè | 15 (M58): li dai adesso . . . e bè, bene,bene».

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12 F29: faccio poi un mese in più . . .13 M58: sì, se te li togli prima . . .14 F29: avendone dato già metà ad aprile . . .15 M58: avendone dato metà ad aprile . . . sei già/ah ecco . . . già, t i dai ades . . . e ba , ba , ba

La dimensione informale, rilassata, dello scambio verbale ed i rapporti familiari tragli interlocutori paiono stimolare comportamenti linguistici di carattere preferen-ziale, favorendo l’impiego congiunto di italiano e dialetto all’interno della conver-sazione. Si segnalano infatti, oltre alle alternanze italiano-dialetto tra turni dipartecipanti diversi (es. turni 2, 3 e 46), frequenti interventi in commutazione dicodice, sia all’interno dei singoli contributi di uno stesso parlante (t15) che tra tur-ni successivi del medesimo interlocutore (es. t1 in italiano, t3 in dialetto e t5 nuo-vamente in italiano). I contributi dialettali di M58 non paiono dunque imputabiliné a motivazioni riguardanti la migliore conoscenza di uno dei due codici, né aparticolari intenzioni espressive, quanto, piuttosto, a ragioni di preferenza legateal ruolo di lingua materna esercitato dal dialetto, al grado di rilassatezza e confi-denzialità della situazione e ad abitudini comportamentali (linguistiche) intrafa-miliari.

La condotta linguistica di entrambi i parlanti dimostra dunque di osservare emantenere, nel corso dell’intero scambio verbale, scelte di lingua preferenziali par-zialmente divergenti, ad eccezione di isolati momenti di convergenza in occasionedi turni strettamente legati tra di loro dall’azione di coppie adiacenti (t1 e t2), jointproductions (t12 e t13) o ripetizioni (t14 e t15). All’utilizzo esclusivo della linguanazionale da parte di F29 corrispondono, infatti, gli estesi e pressoché generaliz-zati interventi dialettali di M58. La pressione all’accomodazione, operante in par-ticolar modo nei confronti delle produzioni dialettali dell’interlocutore adulto, nonpare in grado di stimolare un’efficace spinta all’adeguamento né da parte di M58né, tanto meno, da parte di F29. D’altro canto, le differenze generazionali nelleconsuetudini comunicative e nelle preferenze linguistiche dei parlanti non favori-scono il raggiungimento di un accordo che preveda l’adozione del dialetto qualelinguaggio comune per l’interazione, dal momento che una convergenza di questotipo presupporrebbe un accantonamento dell’italiano da parte della partecipantepiù giovane, difficilmente ipotizzabile visti gli atteggiamenti linguistici tipici deimembri di questa classe d’età.

Tali scelte divergenti, d’altra parte, apparentemente in contrasto con la nego-ziazione del buon andamento dello scambio verbale, dimostrano di non costituireaffatto fonte di tensione per gli interlocutori, in quanto il carattere confidenzialedell’episodio di discorso ed i rapporti familiari che legano F29 e M28 contribui-scono in maniera decisiva alla definizione della comunicazione asimmetrica qualescelta non marcata (cf. Alfonzetti 1992b:177 e Myers-Scotton 2002:43). Dal mo-mento che «there are no restrictions such as situation . . . or interviewer . . . strong

6 Da ora in poi: t seguito dal numero di turno corrispondente (ad esempio t2, t3 e t4).

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enough to impose a main language on the exchange» (Moyer 1998:230), le cir-costanze informali dell’interazione consentono quindi per lunghi tratti unaconduzione dello scambio verbale «in maniera bilingue asimmetrica» (Berruto1985:61), scevra da alcuna intenzione o proposito d’accordo in merito alla condi-visione di un linguaggio comune.

Altri casi di interazione bilingue asimmetrica, non riconducibili esclusivamentea ragioni di preferenza linguistica, paiono invece richiedere un’interpretazione più«forte», in termini di vere e proprie strategie di dissociazione. Il dissenso nei con-fronti del proprio interlocutore, così come, all’opposto, la sottolineatura della for-te solidarietà tra posizioni affini, trovano frequente attestazione in tutto il corpusd’indagine veicolate dalla messa in atto di tecniche di divergenza e convergenza.Si consideri, ad esempio, il seguente episodio di discorso7:

[2]8

1 M55: dobbiamo capirci tra persone, il discorso è sempre tra persone . . . e poi tutto va bene. . . se chiel a l a ntensiu ad fela/suma andà/grazie a Luca . . . MI LU PAG FIN3ANT IN3SOLD PIÚ L DISTORB D L’AUTRA SEIRA . . . perché io son di principio, eh, c aguarda che MI FAS PERDE SOLD A GNÜN3. . . CHIEL A L É VNÍ, MI/l’autra seira vu-ria paghelu

2 M40: no ma . . . no ma io non ho mica bi/mica questo problema, eh [. . .] no perché non fun-zionava proprio, cioè . . . avevo proprio un problema che non funzio/non mi funzionava

3 M55: va bi . . . allora lasciamo stare4 M40: non sentivo niente, non sentivo niente . . .5 M55: eh . . . ha ragione però quan c a dime lunedì alle tre e me/non facciamo questioni . . .

alura, c am aspiega . . . tra duma e saba, se a pøl avnì chiel am diz n’ura, c aba pasiensa . . .dopo mezz’ora se chiel a i è ne io telefono a un altro . . . poi tramite Luca MI I PAG TÜTAL SO DISTURBO . . . perché io son di principio, il . . . il rapporto è sempre tra persone,c aba pasiensa

6 M40: . . . no ma . . . ha perfettamente ragione . . . io non posso . . . dirle altro che ha ragione7 M55: eh ma sì c a i ø razu [. . .] . . . c aba pasiensa . . . chiel è prezentase in un modo PÍ CHE

DA AMIZ, ma adesso io non capisco più in che modo m cunsidera, c a scüza . . . mi cunosnen chiel, chiel a cunos ne mi, è giüst o no? e nduma tramite n amiz anlura parlumse trapersone civili, tra piemunteiz, ANLURA PER PIEZÍ . . . TRA DUMAN3E SABA QUANC A PØL AVNÍ? e a che ura?

8 M40: alura . . . chiel duma a/a che ura . . . pøl evsie?

7 Già riportato e commentato in Cerruti 2003, a cui si rimanda per una discussione più este-sa dell’intero episodio.

8 Trad.: «1 (M55): se lei ha intenzione di farla/siamo andati/ . . . IO LA PAGO FINO ALL’UL-TIMA MONETA (FINO A UN SOLDO) PIÙ IL DISTURBO DELL’ALTRA SERA . . . guar-di che IO NON FACCIO PERDERE SOLDI A NESSUNO . . . LEI È VENUTO, IO/l’altra seravolevo pagarla | 3 (M55): va bene | 5 (M55): quando mi ha detto lunedì . . . allora, mi spieghi . . . tradomani e sabato, se può venire, lei mi dice un’ora, abbia pazienza . . . dopo mezz’ora se lei non c’èio . . . IO LE PAGO TUTTO IL SUO DISTURBO . . . abbia pazienza | 7 (M55): ma sì che ho ra-gione . . . abbia pazienza . . . lei si è presentato . . . PIÙ CHE DA AMICO . . . in che modo mi con-sidera, scusi . . . io non conosco lei, lei non conosce me, è giusto o no? ci conosciamo (andiamo)tramite un amico allora parliamoci tra persone civili, tra piemontesi, ALLORA PER PIACERE. . . TRA DOMANI E SABATO QUANDO PUÒ VENIRE? e a che ora? | 8 (M40): allora . . . leidomani a/a che ora . . . può esserci?».

99Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

I protagonisti di questa conversazione telefonica sono un tecnico informatico(M40) ed un suo cliente (M55). Come si può notare, M40 oppone ai ripetuti inter-venti dialettali del suo interlocutore (generati per lo più da un forte trasporto emo-tivo) un impiego costante dell’italiano. Tale decisione non sembra imputabile néalla mancanza di una competenza dialettale attiva, né, tantomeno, ad uno scarsocoinvolgimento personale, quanto, piuttosto, alla ferma intenzione di manifestareil proprio dissenso nei confronti del punto di vista (e delle lamentele) di M55, (an-che) attraverso una scelta di lingua divergente. Nei passaggi conclusivi dell’intera-zione, però, in seguito al parziale mea culpa di M40 (t6: no ma . . . ha perfettamenteragione . . . io non posso . . . dirle altro che ha ragione), l’uso del dialetto da parte diM55 pare funzionare ora quale vera e propria strategia di convergenza, finalizza-ta al raggiungimento di un’intesa con il proprio interlocutore sulla base di un ri-chiamo esplicito ad un comune retroterra etno-culturale (t7: anlura parlumse trapersone . . . civili, tra piemunteiz). L’iniziale divergenza (non solo linguistica) tra idue, sembra poi definitivamente risolversi, e sanarsi, con l’adeguamento finale diM40 alla scelta linguistica di M55 (t8: alura . . . chiel duma a/a che ura. . . pøl evsie?)(cf. Auer 1998:9-10).

L’uso della commutazione di codice funzionale a strategie di convergenza e di-vergenza interpersonale si rivela particolarmente diffuso all’interno della conver-sazione ordinaria, ma non è necessariamente legato a situazioni (come la prece-dente) caratterizzate da un grande coinvolgimento e da una forte contrapposizionetra gli interlocutori. Si consideri in proposito l’episodio di discorso riportato qui diseguito, raccolto tra due amici (M50 e M55) in circostanze informali:

[3]9

1 M50: ’na cosa fantastica . . . difatti, è stranissima difatti mi/nui n uma vistna sinquantamilama cume quella . . . ecco . . . ed è in Trentino, in pratica . . . in Trentino

2 M55: boia, t sei andà fi ant i Trenti ?3 M50: sì, sì . . . sima andà sü, abbiam fatto . . . ma veramant, vada, mac par diti . . . vinni vau

parti, nui giobbia d saria a øt e meza i au ncu na bità davanti na camiza, cioè savu na luc fè

4 M55: madona, t ai pasà la nøcanlura . . .5 M50: per dirti/noo . . . ma, no ma si prepara una valigia, quando si va via [. . .] . . . e anlura

sima andà sü lì . . . pø da lì sima andà a vughi, pirchè i avu stüdià, eh . . . che di lì partiva laVal Vestino, si chiama Val . . .Vestino, no? . . . ed è una valle con i/all’incima . . . si chiama . . .Top de Cima Rest . . . la Cima Rest, no? ed è/ha una caratteristica di costruzioni che si chia-mano in effetti fienili . . . e sono costruiti con tetti di paglia, ma sono . . . casette, in pratica

9 Trad.: «1 (M50): io/noi ne abbiamo viste cinquantamila ma come quella | 2 (M55): perbacco,sei andato fino in Trentino? | 3 (M50): siamo andati su, abbiamo fatto . . . ma veramente, guarda,solo per dirti . . . venerdì volevamo partire, noi giovedì sera alle otto e mezzo non avevamo ancorapreparato (messo davanti) una camicia, cioè non sapevamo cosa fare | 4 (M55): madonna, hai pas-sato la notte allora | 5 (M50): e allora siamo andati sù di lì . . . poi da lì siamo andati a vedere, per-ché avevamo studiato, eh . . . che di lì . . . proprio che alla maggioranza proprio . . . se ne frega . . .capisci | 6 (M55): no bisogna proprio essere degli amatori | 8 (M55): vanno . . . i soliti posti | 9(M50): se/se chiedi a un italiano dice ma scusi ma lei è matto».

100 Massimo Cerruti

[. . .] in un posto sperduto, no? propi che a la magiuransa propi . . . s na frega . . . cioè non vaproprio, no? capisi . . .

6 M55: no anta propi esi di amatori7 M50: e ss/bà, adesso . . . mi dai dei . . . dei termini forse . . . troppo, però . . . sicuramente non

da massa, ecco diciamo non . . .8 M55: non da massa, la massa va/a va . . . i solit post9 M50: te li devi studiare i . . . i fienili longobardi di Cima Rest . . . sa/sa ti ciami a n italia a

diz ma scüza ma chial a l è mat . . .10 M55: eh, cose che si sanno poco . . .

Nel corso dell’interazione, a scelte di lingua convergenti, stimolate dal legame dicoesione tra turni stabilito dalle coppie domanda/risposta (t2 e t3) e dalle struttu-re di joint productions (t7 e t8), o in coincidenza con termini di assenso (t5: capisi. . ., t6: no anta propi esi di amatori), si alternano costantemente scelte divergenti(es. t6 in dialetto e t7 in italiano, o t4 in dialetto e la parte iniziale di t5 in italiano).La coincidenza di tali selezioni discordanti con situazioni di dissenso o di disac-cordo tra gli interlocutori (es. M55: madona, t ai pasà la nøcanlura, M50: noo . . .ma, no ma si prepara una valigia, quando si va via) pare dunque ragionevolmenteistituire un legame con le sopra menzionate strategie di divergenza interpersona-le. L’episodio di discorso in questione rivela però un uso prettamente colloquiale,espressivo, di tali strategie di comunicazione, un impiego in qualche misura «de-bole» rispetto a quanto osservato nella conversazione precedente, laddove sceltedi lingua divergenti riflettevano le posizioni fortemente conflittuali dei parteci-panti.

Nei passaggi centrali, e soprattutto in quelli conclusivi, dell’interazione (da t5 at10), invece, l’impiego prevalente della lingua nazionale, favorito senza dubbio daun argomento di conversazione (i fienili longobardi di Cima Rest) al quale il dia-letto probabilmente non riuscirebbe a fornire contributi linguistici sufficienti, parecorrelato ad una sorta di contrapposizione tra il punto di vista dichiarato e condi-viso da entrambi i parlanti, espresso per l’appunto in italiano (M50: te li devi stu-diare i . . . i fienili longobardi di Cima Rest , M55: eh, cose che si sanno poco . . .), el’atteggiamento attribuito alla maggioranza delle persone, veicolato dall’impiegodel dialetto (M50: propi che a la magiuransa propi . . . s na frega . . ., M55: la massava/a va . . . i solit post, M50 sa/sa ti ciami a n italia a diz ma scüza ma chial a l èmat . . .). Secondo quest’ottica, l’utilizzo della lingua nazionale da parte di M55 ver-rebbe quindi a configurarsi quale strategia di convergenza verso le posizioni diM50 e, allo stesso tempo, modalità di dissociazione nei confronti della cosiddettaopinione comune, enunciata attraverso i ripetuti contributi dialettali; divergenzacondivisa, anche linguisticamente, dal proprio interlocutore. Il chiaro valore op-positivo di cui pare farsi carico tale simbolica distinzione d’uso tra codici, connes-sa a differenti «contrasting cultural styles and standards of evaluation» (Gumperz1982:66), suggerisce dunque un’ipotetica analogia con quei sentimenti di apparte-nenza e contrapposizione intergruppale tipicamente riconducibili alla nota oppo-sizione we-code vs. they-code. È da notare poi come in questo caso, nonostante gli

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interlocutori siano entrambi dialettofoni, sia la lingua nazionale e non il dialettoad esercitare il ruolo di we-code10.

2.2 Appartenenza al mondo dell’interlocutore: we-code vs. they-code

L’opposizione tra we-code e they-code, avvalorata ed impiegata in maniera pro-duttiva da una grande quantità di studi sociolinguistici, è stata, com’è noto, intro-dotta per la prima volta in letteratura da J. Gumperz (cf. Gumperz 1982). Dalmomento che i termini we-code e they-code risultano tendenzialmente riferiti, ri-spettivamente, alla varietà di lingua propria di un gruppo minoritario di parlantiinterno alla comunità, e al linguaggio ufficiale della società nella quale tale gruppoè inserito11, tale distinzione pare dunque veicolare sfere di significato riconducibi-li ad un concetto più generale di identità, per lo più connesso a differenziazioni dinatura etnica. Nonostante la suddetta dicotomia si dimostri verificata e dotata diun forte potere esplicativo nei confronti di particolari realtà sociolinguistiche (cf.tra gli altri Milroy/Wei 1995:140-46 e Jacobson 1998:44-47), nella situazione qui inindagine (specchio della lingua cum dialectis nazionale) essa non permette di le-gittimare un’opposizione tra dialetto e italiano fondata su sentimenti d’apparte-nenza a gruppi etnici differenti. Se da una parte l’esperienza ormai consolidata efatta propria di abitudini e stili di vita prettamente urbani induce gran parte deimembri della comunità linguistica di Vanchiglietta, per lo più originari di nuclei fa-miliari un tempo emigrati dalle campagne circostanti o da altre regioni d’Italia12,e che quindi ancora conservano modelli di riferimento comportamentali e ideolo-gici tipicamente rurali, a condividere una sorta di duplice identità socio-culturale,dall’altra non si notano sentimenti conflittuali di appartenenza ad uno specificogruppo etno-linguistico in contrapposizione ad altri identificati dall’uso della lin-gua nazionale. Il dialetto, dunque, rimane senza dubbio il codice preferito nelleconversazioni ordinarie tra interlocutori che condividono un comune retroterraetno- e socio-culturale, ma di certo non legittima una rigida distinzione d’uso vol-ta ad opporre all’italiano, linguaggio ufficiale della maggioranza, il dialetto, qualevarietà di lingua identificativa di una minoranza: «speakers act in a world which isentirely without ethnic conflict» (Alfonzetti 1998:197).

10 Lo stesso Gumperz, del resto, ricorda come «this association between communicative styleand group identity . . . does not directly predict actual usage» (Gumperz 1982:66). Si veda anche,a questo proposito, Sebba/Wootton 1998:263-64.

11 «The tendency is for the ethnically specific, minority language to be regarded as the ‹wecode› and become associated with in-group and informal activities, and for the majority langua-ge to serve as the ‹they code› associated with the more formal, stiffer and less personal out-grouprelations» (Gumperz 1982:66).

12 Per una panoramica più generale sulla situazione sociolinguistica e sulla composizione so-ciale della comunità di riferimento, si veda Cerruti 2003 e Noi di Vanchiglietta 2000.

102 Massimo Cerruti

In alcuni casi, addirittura, sono gli stessi parlanti a mostrare di voler «giocare»con elementi linguistici propri di un they-code a loro diatopicamente estraneo:

[4]13

M55: ueei! unni ti ni vai a chist’ura? non hai ancora finito di andare in girula?

[5]14

M50: ma non te lo dice mai la mamma di non fare il badola?

Entrambe le produzioni verbali sopra riportate, formulate da interlocutori di ori-gine meridionale, si segnalano dunque per un impiego a fini ludico-espressivi dilessemi tipici delle varietà dialettali piemontesi (girula e badola). Da notare poi,nell’esempio [4], come sia un passaggio in commutazione di codice dal dialetto si-ciliano, probabilmente la lingua madre del parlante, alla lingua nazionale (unni tini vai a chist’ura? non hai ancora finito . . .), a precedere il successivo inserimentodi un elemento lessicale piemontese (non hai ancora finito di andare in girula?).

L’impiego più frequente di dialetto ed italiano in qualità di we-code e they-codeva piuttosto correlato al legame che vincola ambiti esperienziali, conoscenze erealtà sociali di riferimento al vissuto del parlante, da cui consegue un uso diffe-renziato dei due codici «associated with in- and out-group experiences» (Gumperz1982:95). L’antitesi tra modelli di comportamento (o stili di vita) a cui si ritiened’appartenere, ed abitudini, esperienze o complessi valoriali estranei o non condi-visibili, risulta dunque veicolata dal ricorso a due diverse varietà di lingua. Per iparlanti dialettofoni, dunque, è di norma il dialetto, percepito come codice identi-ficativo del proprio gruppo di riferimento (codice dell’in-group o we-code) ad isti-tuirsi quale modalità colloquiale preferenziale per argomenti di discorso vicini aipropri domini d’esperienza, mentre è l’italiano, sentito quale codice distante dalproprio «gruppo di solidarietà» (Berruto 1995:259), a dare espressione a temi diconversazione in qualche maniera estranei alle proprie conoscenze; ma non è rarovedere verificati i casi contrari15 (cf. interazione16 [3]).

L’episodio seguente fornisce dunque un esempio concreto di alternanza we/they-code in relazione a sentimenti di appartenenza e di estraneità a realtà di riferimentodifferenti:

[6]17

1 F73: a i era i tedesc, a i era i bumbardament, anlura balavu nt i post, viscavu l lüci, saravu. . . tüt a scüri, bütavu fi a i toc c a vughisiu na la lüce da fora . . . pirché s aie/se i areoplaeh . . . hm . . . america aisu vistni campavu giü l bumbi . . . e lura noi balavu lì ma tü/e i uma

13 Trad.: «M55: dove te ne vai a quest’ora? . . . in gironzola?».14 Trad.: «M50: stupido».15 «It is not possible to make a priori assumptions about which code carries the putative ‹we›

functions and which the putative ‹they› functions» (Sebba/Wootton 1998:275-76).16 Da ora in poi int.17 Trad.: «1 (F73): c’erano i tedeschi, c’erano i bombardamenti, allora ballavamo in un posto,

accendevamo le luci, chiudevamo . . . tutto al buio, mettevamo persino i pezzi di legna in modo che

103Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

balà beli lì però la . . . l’Angiuli a a piai tüti l so vesti c a i ava . . . faudaru büteii tüca la scür. . . e i uma balà lì che . . . che da fora as vughisia gnënte gnënte l ciai . . .

2 M78: senti, Matteo?3 F73: eh, s balava mac parai . . . voi oggi andate in discoteca . . . o . . . lì dove/in un . . . in un . . .

bab

È da notare come proprio attraverso il dialetto, lingua materna e veicolo delleemozioni per la parlante dialettofona, si effettui la rievocazione da parte di F73 diun momento drammatico della propria vita, foriero di un grande coinvolgimentopersonale e di un forte trasporto emotivo. La messa a confronto di tale periodo so-cio-storico, vissuto in prima persona dal soggetto narrante, con un contesto con-temporaneo di abitudini e momenti di aggregazione giovanili, a cui F73 sente diessere del tutto estranea (il malapropismo bab18 può rivelarsi un indice significati-vo in proposito), stimolata dall’intervento di M78 (t2) volto a richiamare esplici-tamente l’attenzione del nipote, trova invece espressione per mezzo di un passag-gio in commutazione di codice dal dialetto alla lingua nazionale (t3: s balava macparai . . . voi oggi andate in discoteca . . .). L’impiego distinto dei due codici da partedella stessa parlante contribuisce quindi a marcare il contrasto tra in-group expe-riences, a cui è associato l’uso del dialetto, e out-group experiences, a cui F73 fariferimento in italiano.

Tale passaggio alla lingua nazionale, va detto, è favorito poi dalla giovane etàdell’interlocutore di riferimento e dalla possibilità di avvalersi di un code switchingper segnalare il termine dell’attività narrativa, nell’intento di sollecitare l’inter-vento dell’ascoltatore e ripristinare il normale meccanismo di avvicendamento deiturni di parola (cf. Alfonzetti 1992a:85-91 e Panese 1992:57-58).

Tra le funzioni riferite ai fenomeni di commutazione di codice è poi possibile ri-condurre alla dicotomia we/they code alcune strategie o consuetudini conversa-zionali (traducibili in una serie di opposizioni: opinione personale/fatto general-mente conosciuto, sentimento personale/notazione casuale, appello personale/avvertimento generale, ecc.19) facenti capo ad una distinzione di livello più gene-rale, definita come personalization vs. objectivization, capace di rendere conto diun buon numero di casi di code switching del nostro corpus.

da fuori non vedessero la luce . . . perché se gli aeroplani . . . americani ci avessero visti buttavanogiù le bombe . . . e allora noi ballavamo lì ma tu/abbiamo ballato lì però la . . . la Angiolina ha pre-so tutti i suoi vestiti che aveva . . . grembiuloni metterli tutti al buio . . . abbiamo ballato lì in modoche . . . che da fuori non si vedesse per niente la luce | 3 (F73): si ballava solo così».

18 La comprensione incerta ed approssimativa da parte di F73 del concetto di pub, (testimo-niata dalle frequenti richieste di chiarificazione avanzate nei confronti del nipote, sollecitandoneil paragone con il più familiare bar), spinge ad interpretare il termine bab alla stregua di un casodi malapropismo, risultante dall’interpenetrazione lessicale dei lessemi bar e pub (dunque unibridismo), imputabile alla scarsa conoscenza del secondo e riconducibile all’analogia con ilvocabolo più familiare bar. Tuttavia, una più semplice spiegazione nei termini di una cattivapronuncia della parola pub può essere ugualmente plausibile.

19 Si veda in proposito Gumperz 1982:93-94.

104 Massimo Cerruti

Si veda, in proposito, l’interazione verbale qui riportata, tratta da una conver-sazione telefonica tra il presidente (M60) ed un socio (M50) di un cineclub tori-nese:

[7]20

1 M60: nel periodo de/delle nostre lezioni, facciamo come abbiamo fatto quella sera che èvenuto nostro ospite, magari i na ve u ncura, né, s ricorda che i era anche cui d le tecniche*di ri/

2 M50: *sì sì3 M60: ecco . . . vengono due o tre persone ci presentano così i . . . i loro lavori, perché noi

non siamo proprio un cineclub . . . noi siamo proprio un . . . corso di videoripresa e mon-taggio . . . capito . . . [. . .] comunque se riesce a riabilitare il suo . . . il suo computer . . . c acerca, perchè nui l uma mandaie n’e-mail ma . . . dizu già . . . apunto/anzi fra l’aut e i eru fi astüpì perchè pensavu apunto . . . che chiel a l aveisa ricevüla e . . .

4 M50: eh già . . . no, no, senò avrìa rispundüü, l avrìa rispundüü, no e l uma proprio fuori . . . eh[. . .] va bè

5 M60: eh . . . speru . . . nsuma che . . . eventualment al prosim ani s pøsu vüdde [. . .] comunquele . . . le ripeto se riesce a attivarlo, altrimenti c am manda chiel pøi ape a c a ries . . .

6 M50: eh7 M60: nui ei suma anche n internet, e l uma anche l nost sito . . . eh . . . come università della

terza età, poi abbiamo il sito proprio nostro, come gruppo video8 M50: ah, e . . . e cul c a l è? vu vu vu . . .

È proprio in termini di objectivization e personalization che è dunque possibile in-terpretare la quasi totalità degli switch in commutazione ed alternanza di codiceitaliano-dialetto all’interno delle produzioni linguistiche di M60; i passaggi daavvisi e comunicazioni di carattere per lo più informativo, e quindi, per così dire,neutrali (es. t1: nel periodo de/delle nostre lezioni facciamo come abbiamo fattoquella sera che è venuto nostro ospite, t3: noi non siamo un cineclub . . . noi siamoproprio un . . . corso di videoripresa e montaggio), ad interventi ed appelli di natu-ra personale, implicanti il coinvolgimento del parlante (es. t1: s ricorda che i era an-che cui d le tecniche di ri/, t3: c a cerca perchè nui l uma mandaie n’e-mail21 ma . . .dizu già . . ., e i eru fi a stüpì perchè pensavu apunto . . . che chiel a l aveisa ricevüla),conoscono infatti realizzazione mediante frequenti alternanze di codice da italia-no a dialetto. Va notato, dunque, come i contributi verbali legati al concetto diobjectivization, di norma riconducibili a they-code passages, risultino in questo

20 Trad.: «1 (M60): ne vengono ancora, né, si ricorda che c’erano anche quelli delle tecniche diri/ | 3 (M60): cerchi, perchè noi le abbiamo mandato una e-mail ma . . . dico già . . . appunto/anzi tral’altro eravamo persino stupiti perchè pensavamo appunto . . . che lei l’avesse ricevuta | 4 (M50): no,sennò avrei risposto, avrei risposto, no ce l’abbiamo proprio fuori | 5 (M60): spero . . . insomma che. . . eventualmente il prossimo anno ci possiamo vedere . . . altrimenti mi mandi lei poi appena ries-ce | 7 (M60): noi ci siamo anche in internet, abbiamo anche il nostro sito | 8 (M50): qual è?».

21 Da notare, en passant, come alcuni termini tipici del gergo informatico (entrati ormai di di-ritto a far parte dell’uso quotidiano) siano inseriti all’interno di produzioni linguistiche in dia-letto senza subire alcun adattamento fonologico (nui l uma mandaie n’e-mail, nui ei suma anchen internet, e l uma anche l nost sito, e cul c a l è? vu vu vu. . .).

105Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

caso veicolati dal ricorso alla lingua nazionale, mentre le enunciazioni di caratte-re personale, generalmente connesse alle funzioni di un we-code, trovino in effet-ti espressione tramite l’impiego del dialetto.

3. Code switching connesso al discorso

Passiamo ora a considerare i fenomeni di commutazione di codice legati all’atti-vità discorsiva (a cui si è già accennato commentando i passaggi conclusivi dell’int.[6]), riguardanti dunque l’organizzazione stessa della conversazione ed i meccani-smi di successione ed alternanza dei partecipanti nel corso di un’interazione ver-bale; per dirla con Auer, «the use of code switching to organise the conversationby contributing to the interactional meaning of a particular utterance» (Auer1998:4). Appartengono a tale categoria, in altre parole, quei casi di code switchingin cui l’impiego bilingue di italiano e dialetto è sfruttato dagli interlocutori perrisolvere questioni «inerenti alla conduzione e alla strutturazione dell’attività di-scorsiva» (Alfonzetti 1992a:59); questioni connesse, quindi, (tra le altre) all’or-ganizzazione sequenziale della conversazione e al sistema delle prese di turno, allamarcatura del topic rispetto a sequenze marginali, all’apertura/chiusura dell’even-to comunicativo, al mutamento nella costellazione dei partecipanti, al cambia-mento di argomento nel corso della conversazione e alla segnalazione di sequenzedi discorso riportato.

3.1 Organizzazione, conduzione e chiusura della conversazione

3.1.1 Progressione interna e sequenze costitutive di un episodio di discorso

Dagli scambi conversazionali raccolti è dunque possibile individuare impieghi di-scorsivi di strategie connesse al code switching, in cui la giustapposizione contra-stiva di italiano e dialetto si rivela funzionale alla strutturazione dell’interazioneverbale o dell’attività narrativa in sequenze costitutive e alla scansione della pro-gressione interna di un episodio o di un aneddoto riportato. Ne è un esempio ilseguente scambio verbale:

[8]22

1 M55: oh . . . ma dimi . . .2 M50: ah . . . stasera e-eh, no rido perché . . .

22 Trad.: «1 (M55): ma dimmi | 4 (M50): stasera ho finito, ho finito un paio di lavori, no? hodetto tanto/o ne inizi un altro o invece, no ma poi ho/ | 5 (M55): sei venuto a casa prima | 6 (M50):e allora ho/alle cinque esco | 7 (M55): cinque, allora | 8 (M50): sono riuscito ad uscire alle cinquee dieci, allucinante . . . e poi ho detto tanto stasera vado a casa per . . . proprio per andare sui bal-coni, dato che . . . vado a vedermi i vasi di fiori | 9 (M55): per | 12 (M50): alle otto meno dieci èpronto».

106 Massimo Cerruti

3 M55: eh4 M50: stasaria i ø finì, i ø finì par ad travai, no? i ø dic tant/o t n ancami i nat o nveci, no

ma pø i ø/non avevo delle urgenze5 M55: ah, t sei avnì a cà prüma . . .6 M50: e anlura i ø/a sing uri sort . . . no? *cioè co/7 M55: *sing uri, anlura . . .8 M50: i ø riesì a sorti a sing e dez, allucinante, col sole alto . . . una cosa cos/e pø i ø dic tant

stasaria vag a cà par . . . propi par andè si pugiøi, dato che . . . avevo travasato i vasi di fio-ri domenica scorsa, vag a vugmi i vaz ad fiù . . . ma è una balla, cioè proprio solo per . . . coso

9 M55: par . . .10 M50: e allora . . . ti dico, uscito cinque e dieci, cena sette meno un quarto . . .11 M55: e già12 M50: cioè/alchè, arzillo vecchietto, a øt menu dez a l è prunt . . .

È evidente come, fin dai primi scambi, M50 manifesti la chiara intenzione di pro-dursi nel resoconto di un aneddoto personale che, di conseguenza, riserverà benpoco spazio agli interventi del proprio interlocutore. Diventa allora necessario so-spendere momentaneamente l’ordinario meccanismo di avvicendamento dei tur-ni di parola ed «assicurarsi susseguenti brani di discorso topicalmente coerenti»(Panese 1992:58). L’iniziale divergenza di codice (t1 in dialetto, t2 in italiano) tro-va quindi spiegazione nella volontà di M50 di segnalare a M55 l’inizio dell’attivitànarrativa. In seguito al cenno di assenso del proprio ascoltatore (t3), un cambio dicodice dall’italiano (t2) al dialetto (t4) consente poi a M50 di proseguire nel rac-conto mantenendo la varietà di lingua più familiare ad entrambi i partecipanti.

In occasione di particolari momenti dell’interazione, però, il contrasto tra il dia-letto, lingua base della conduzione e dello sviluppo dell’aneddoto, e la lingua na-zionale viene utilizzato dal parlante per distinguere osservazioni e commenti dicarattere marginale dal regolare svolgimento degli eventi narrati.Vanno quindi in-tesi in tal senso quei passaggi in commutazione di codice legati alla descrizione diavvenimenti secondari, verificatisi in un tempo antecedente rispetto all’episodioriportato (t8: stasaria vag a cà par . . . propi par andè si pugiøi, dato che . . . avevotravasato i vasi di fiori domenica scorsa), o finalizzati alla messa in rilievo enfaticadi specifiche caratteristiche del setting (t8: i ø riesì a sorti a sing e dez, allucinante,col sole alto . . . una cosa cos/) e di interventi e considerazioni particolarmenteespressivi (t8: vag a vugmi i vaz ad fiù . . . ma è una balla, cioè proprio solo per . . .coso).

È da notare come nelle sequenze conclusive dell’interazione sia invece l’italia-no ad esercitare in qualche modo il ruolo di lingua base23 dell’attività narrativa,scandendo la progressione interna del resoconto della storia. Dal contrasto tra ilsenso di autorevolezza veicolato dal ruolo di linguaggio ufficiale della comunità diriferimento (cf. Gumperz 1982:96) e il contenuto intenzionalmente auto-ironico

23 Per lingua base s’intende qui semplicemente la varietà di lingua predominante negli scam-bi verbali in questione, da non confondere con la nozione di lingua matrice, non pertinente in am-bito italo-romanzo (cf. Berruto in stampa).

107Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

degli enunciati in questione scaturisce poi lo spirito umoristico delle produzionilinguistiche di M50 (t10 e t12). È però ancora un cambio di codice, in direzione dia-lettale, a veicolare, caricandola di enfasi narrativa e di espressività, la sottolinea-tura del punto culminante (e conclusivo) dell’intera esposizione (t12: alchè, arzil-lo vecchietto, a øt menu dez a l è prunt . . .).

Casi di commutazione di codice discourse-related con funzioni del tutto analoghesi ritrovano poi nell’interazione riportata qui di seguito (che ha per oggetto il reso-conto di un viaggio), nella quale l’uso alternato di italiano e dialetto è però impie-gato in maniera più sistematica per scandire la progressione dell’attività narrativa:

[9]24

1 M50: e allora, sima andà sü, la mattina siamo arrivati erano le . . . nove, i eru zà a ToscolanoMaderno che . . . ah . . . da, da Salò, cioè le . . . le zone della Repubblica di Salò di Mussoli-ni, per intenderci, no? [. . .] tra l’altro è bellissimo perché Maderno si divide da Toscolanocon il delta del Toscolano, il fiume . . . pø sima andà s il delta . . . sima andà a vughi . . . eh . . .delle, delle costruzioni longobarde che sono lì, eccetera eccetera . . .

2 M55: hm3 M50: poi abbiamo lasciato lì, l secund punto a l era un’abbazia che si chiama . . . l’abbazia

di Montecastello, no? che è . . . a settecent/øtsant meter strapiombante sul lago4 M55: ah però, bello5 M50: che t tuca fè ne/n’escursiu p andeii nsüma6 M55: sì, comunque dev’esi bel7 M50: e . . . molto bello perché ha un . . . un contenuto, c’era una vista fan/non c’era una nu-

vola proprio, aveva fatto bellissimo [. . .] poi dopo cena abbiamo fatto ancora una passeg-giata del lungo mare/sì . . . del . . . del lungo lago . . . e pø sima andà a dørmi . . . a . . . ündez ecaicoz l era . . . e invece il giorno dopo, che era sabato, siam partiti di lì prestissimo, cola-zione in albergo veloce . . . e siamo andati/perché lì è vicino al confine col Trentino, è an-cora Veneto però . . .

8 M55: eh9 M50: è già . . . verso il Trentino, no? . . . e sima andà Trenti , io avevo visto come obiettivi

due cose importanti . . . cioè le cascate del Varone, che ti dicevo prima . . . [. . .] e poi di lì vo-levamo andare al lago di Tenno, c a i è vint, vint chilometri, che l’ata vota i eru na pas/a ieru pasà ma a i eru na andà, no? . . . tì Paolo, uno specchietto di lago blu . . .

10 M55: eh, i era per dire cume as vug11 M50: come sul verde, con un’isoletta in mezzo, che ti t pøri munteii e gireii nturn, a mez a

l’eva, che quando c’è l’alto lago non ci vai più, adesso c’era . . . poca acqua

È evidente come i frequenti passaggi in commutazione di codice, principalmentedall’italiano al dialetto, contribuiscano a definire l’organizzazione interna dellanarrazione e a marcare non tanto i fatti più salienti del racconto, quanto le diffe-

24 Trad.: «1 (M50): siamo andati su, la mattina . . . eravamo già a Toscolano Maderno . . . poi sia-mo andati sul delta . . . siamo andati a vedere | 3 (M50): il secondo punto era un’abbazia . . . otto-cento metri | 5 (M50): che ti tocca fare una/un’escursione per andarci sopra | 6 (M55): dev’esserebello | 7 (M50): e poi siamo andati a dormire . . . a . . . erano le undici e qualcosa | 9 (M50): e siamoandati in Trentino, io . . . che ci sono venti, venti chilometri, che l’altra volta non eravamo passa-ti/c’eravamo passati ma non c’eravamo andati | 10 (M55): stavo (ero) per dire come si vede | 11(M50): che tu ci puoi salire e girarci intorno, in mezzo all’acqua».

108 Massimo Cerruti

renti «tappe» secondo cui si è prima strutturato l’itinerario turistico a cui fa riferi-mento M50, ed ora si compone la relativa esposizione (es. t1: e allora sima andà süla mattina siamo arrivati erano le . . . nove, t3: poi abbiamo lasciato lì . . . l secundpunto a l era . . .). Il ricorso al code switching pare dunque trovare impiego, negliusi linguistici di M50, in relazione ad una riconosciuta «funzione di apporto allosviluppo narrativo» (Pautasso 1990:139). Il codice in direzione del quale si com-muta (generalmente il dialetto) si limita però a segnalare la progressione delle di-verse «tappe» del racconto senza permearne le intere sequenze costitutive, la cuiesposizione è in genere affidata, mediante un ulteriore switch, alla lingua base dellaquasi totalità delle produzioni verbali del parlante, vale a dire l’italiano (es. t9: esima andà Trenti . . . io avevo visto come obiettivi due cose importanti . . . cioè lecascate del Varone . . .).

Analogamente a quanto emerso dall’interazione precedente, gli altri casi di pas-saggio di codice, in entrambe le direzioni, sono da riferire per lo più alla circoscri-zione di considerazioni e commenti secondari rispetto allo svolgimento dei fattiriportati, talvolta legati al ricordo di eventi del passato (t9: e poi di lì volevamo an-dare al lago di Tenno . . . ca i è vint, vint chilometri, che l’ata vota i eru na pas/a ieru pasà ma a i eru na andà), e alla messa in rilievo enfatica di descrizioni del set-ting (es. t9: l’ata vota i eru na pas/a i eru pasà ma a i eru na andà no? tì Paolo unospecchietto di lago blu . . .). In questi casi, a differenza dei code switching connessialla strutturazione e alla progressione interna dei passi dell’esposizione, il codiceverso il quale si commuta è in genere mantenuto fino al termine della sequenzamarginale, laddove un successivo passaggio interviene poi a segnare il ritorno allalingua base dell’attività narrativa. All’interno di alcuni passaggi dedicati alla de-scrizione di caratteristiche del setting si verificano però occasionali interventi incommutazione di codice volti a distinguere ulteriori commenti (es. t11).

È interessante notare come il code switching, nonostante risponda a strategiediscorsive analoghe in entrambe le conversazioni esaminate, conosca indistinta-mente ora il dialetto ora la lingua nazionale quale codice in direzione del quale siverificano le commutazioni. Mentre nella prima interazione, infatti, l’orientamen-to degli switch è in genere rivolto dal dialetto (lingua base dello scambio verbale)all’italiano, nella seconda tale passaggio si verifica per gran parte in senso contra-rio. Si è osservato, inoltre, come nei casi di segmenti di discorso commutato fun-zionali alla progressione tematica dell’attività narrativa, l’impiego della varietà dilingua verso la quale si realizza la commutazione sia circoscritto alla marcaturadell’inizio di un nuovo momento (o «tappa») del racconto, per poi venire in seguitoabbandonato a favore del codice di base dell’intero scambio verbale. Conside-razioni di questo genere paiono dunque legittimamente impedire di accogliere l’ipotesi di code switching connessi all’organizzazione del discorso per i quali la di-rezione della commutazione di codice si direbbe motivata da ragioni di congruen-za, o di maggiore appropriatezza, di specifiche varietà di lingua a determinati to-pics. Ora il dialetto ora la lingua nazionale, infatti, si rivelano di volta in volta stru-menti delle medesime intenzioni espressive. Dal momento che è il fenomeno del

109Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

passaggio in sé a dimostrarsi significativo per la conduzione e la progressione in-terna di un episodio conversazionale, la direzione del cambio di codice non risul-ta quindi interessata da alcuna funzionalità discorsiva o valore pragmatico. Adat-tando alle nostre riflessioni una nota parafrasi di Auer, «the only ‹meaning› thecue has is . . . to ‹indicate otherness›. The direction of the change is irrelevant»(Auer 1995:124).

3.1.2 Punti di svolta: cambio di argomento e chiusura dell’interazione

Ci si propone ora di verificare, partendo dall’analisi del seguente episodio di di-scorso, l’effettivo contributo fornito dai fenomeni di commutazione di codice allasegnalazione del cambio di argomento di una conversazione e alla negoziazionetra i partecipanti del momento conclusivo di un’interazione verbale.

[10]25

1 M55: ma quindi t sei ruvà l saba d saria?2 M50: saba d saria . . . tard3 M55: ah . . . saba d saria tard, par pø duminica, ecco . . .4 M50: eh sì, pø l dì d Pasqua . . . a Vial . . . due giorni intensissimi, cioè . . . cosa ne dici?5 M55: ma menu male . . . che t ai gavati n pø da tüti si travai, e i travai cum a va ?6 M50: bene, nel senso di .. eh, praticamant i travai i eru divisi n quat part, no? e praticamant

ades finendo tutta la parte di casa sulla strada è finita la terza parte, in pratica [. . .] . . . faspasè la canalizasiu d la televiziu , d la lantarna e tüt ansema lu fas pasè ndrinta . . . e poitra venti giorni si fa la tinteggiatura . . . si tinteggia ed è finito in pratica . . .

7 M55: boia faus . . .8 M50: e i ø . . . eh praticamant . . .9 M55: e ba , ma l cozi t sai . . . dii è n cunt, pø feii . . . ma . . . ma sant an po’, ti des che t sei an

di . . . a lucal . . . sø na sarà sez meter e mez par sez meter e mez, aut doi e stanta, tüt diz-risè . . . rifè a tara [. . .] secund ti gn’è basta d vint miliu ? . . . no, ma forse t diz na coglio-nata, né, mi sø na . . . cioè ri/dizrisè, rifè

10 M50: Paolo, pøs ditlu prüma, prüma ad cozu . . . lo dovrei vedere . . . lu duvrìa vughi . . . [. . .]pirchè purtroppo, come tutto nella vita . . . mi . . . na cita esperiansa sia di lavoro, perché fac-cio ‘ste cose, e sia di esperienza di Viale me la son fatta, no, però lo dovrei vedere, capisi,perché vedendola . . .

11 M55: sì, se t ve i *par i alpini magara/12 M50: *tant al vintü avnima, no?13 M55: ve i par i alpini?

25 Trad.: «1 (M55): sei arrivato il sabato sera? | 2 (M50): sabato sera . . . tardi | 3 (M55): sabatosera tardi, per poi domenica | 4 (M50): poi il giorno di Pasqua . . . a Viale | 5 (M55): ma meno male. . . che ti sei tolto un po’ da tutti questi lavori, e i lavori come vanno? | 6 (M50): praticamente i lavorierano divisi in quattro parti, no? e praticamente adesso finendo . . . faccio passare la canalizzazio-ne della televisione, della luce e tutto insieme lo faccio passare dentro | 7 (M55): accidenti . . . | 8(M50): e ho . . . eh praticamente | 9 (M55): e bè, ma le cose sai . . . dirle è un conto, poi farle . . . ma . . .ma senti un po’, tu adesso che ci sei dentro . . . un locale . . . non so sarà sei metri e mezzo per sei me-tri e mezzo, alto due e settanta, togliere tutto l’intonaco (tutto disintonacare) . . . rifare per terra . . .secondo te sono sufficienti venti milioni? . . . forse ti dico una coglionata, né, io non so . . .cioè ri/to-gliere tutto l’intonaco (tutto disintonacare), rifare | 10 (M50): posso dirtelo prima, prima di coso . . .lo dovrei vedere . . . perchè purtroppo . . . io . . . una piccola esperienza . . . capisci | 11 (M55): se vie-ni per gli alpini magari | 12 (M50): tanto il ventuno veniamo, no? | 13 (M55): vieni per gli alpini?».

110 Massimo Cerruti

Sebbene i segmenti conclusivi dell’episodio in questione mostrino un passaggiodall’italiano (t10) al dialetto (t12), quale «strategia di contestualizzazione di unnuovo argomento» (Alfonzetti 1992a:102), favorito anche dall’adeguamento alcodice impiegato dal proprio interlocutore per introdurre il nuovo tema di discor-so (t11), l’occasionalità di tale intervento non consente una sua generalizzazioneall’intero scambio verbale. L’impiego del dialetto nella quasi totalità delle produ-zioni linguistiche di M55 non conosce infatti variazioni neppure in corrisponden-za di turni interessati da cambi di topic (es. t9). Proprio il mantenimento da partedi M55 della medesima scelta di lingua (il dialetto) nel corso dell’intero scambioverbale impedisce poi di considerare eventuali divergenze di codice nei confrontidell’interlocutore (es. M50: due giorni intensissimi, cioè . . . cosa ne dici?, M55: mamenu male . . . che t ai gavati n pø da tüti si travai, e i travai cum a va ?) alla streguadi strategie di discorso atte a segnalare a M50 la propria intenzione di cambiareargomento26.

Il contributo della commutazione di codice alla messa in rilievo di un cambio diargomento, del tutto occasionale quindi, ed assolutamente non-sistematico, si ri-vela poi in alcuni casi radicalmente assente. L’interazione verbale riportata qui diseguito risulta in tal senso esemplare:

[11]27

1 F60: a l a ciamaie a Anna se . . . andava . . . ma Anna l a dime chila vøl ne al meiz d’agu-st, io vengo a luglio . . . agosto già le giornà su pi ne tant bele n muntagna, eh . . .

2 F65: e chila a pià na bela abitüdine a ndè lì . . . menu male che s fà da mangè da sula [. . .]3 F60: e ma chila dopu quindes dì l è già stufia da stè là . . . pø l’autr’ani è avnüie cula lì, la tu-

sca a /---/ l è staita malavia . . . e chila /---/ ancura daie /---/ la vestalia e . . . na maia da suta4 F65: ricordte l mie maie, né . . .5 F60: ah . . . e perchè vøi co catemne üna mi ma . . . l’autr’ani a i eru pi ne la Liabel . . . [. . .]

su nen cume custe, a sun cule ca la al reggiseno, mi m piaz ne . . . ah, a telefunà Bruna

In accordo con quanto sostenuto in precedenza, è da notare come al frequentecambiamento del tema di conversazione non corrisponda alcun passaggio di codi-ce, né tra turni di interlocutori diversi (es. t3 e t4), né all’interno delle produzionilinguistiche del medesimo parlante (es. t5). In questo caso, dunque, le possibilitàdiscorsive legate al code switching non solo non contribuiscono alla messa in rilie-

26 Le frequenti commutazioni di codice dal dialetto all’italiano operate da M50 al termine deipropri contributi verbali sembrano invece ancora una volta rispondere alla volontà del parlantedi sollecitare l’intervento dell’interlocutore per ripristinare il normale avvicendamento dei turnidi parola (es. t4: pø l dì d Pasqua . . . a Vial . . . due giorni intensissimi cioè . . . cosa ne dici?).

27 Trad.: «1 (F60): hanno chiesto a Anna . . . Anna mi ha detto lei non vuole il mese d’agosto, io. . . le giornate non sono più tanto belle in montagna | 2 (F65): e lei ha preso una bella abitudine adandar lì . . . meno male che si fa da mangiare da sola | 3 (F60): e ma lei dopo quindici giorni è giàstufa di stare là . . . poi l’altr’anno è venuta quella lì, la toscana /---/ è stata malata . . . e lei /---/ an-cora dato /---/ la vestaglia e . . . una maglia di sotto | 4 (F65): ricordati le mie maglie, né | 5 (F60): eperchè voglio anche comprarmene una io ma . . . l’altr’anno non c’erano più la Liabel . . . non sonocome queste, sono quelle che hanno il reggiseno, a me non piace . . . ha telefonato Bruna».

111Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

vo dei ricorrenti cambi di topic, ma sembrano conoscere un impiego del tutto li-mitato e privo di valore pragmatico (ad eccezione di isolate citazioni; t1: ma Annal a dime chila vøl ne al meiz d’agust io vengo a luglio . . .), a favore di un uso qua-si esclusivo della varietà di lingua più familiare, il dialetto (cf. Cerruti 2003:77-80).

Stando a quanto emerso dai due episodi in oggetto, l’intervento di passaggi incommutazione di codice finalizzati alla sottolineatura di un cambio di argomentosi dimostra dunque tutt’altro che sistematico. È in corrispondenza di un altro, piùforte, punto di svolta dell’interazione verbale, connesso alle ordinarie sequenze dichiusura (e pre-chiusura) di un evento comunicativo, che il contributo del codeswitching si fa invece più intenso e ricorrente.

La soluzione del momento conclusivo di un episodio di discorso è un passaggioche, com’è noto, richiede una buona cooperazione tra gli interlocutori. La que-stione fondamentale da risolvere, quindi, giunti al termine di uno scambio verba-le, riguarda proprio la negoziazione tra i parlanti dell’epilogo armonico dell’inte-razione, in maniera da scongiurare l’eventualità di attriti o incomprensioni tra glistessi: «nel concludere una conversazione, i partecipanti devono essere d’accordosul fatto che non vi sia nient’altro di cui parlare, altrimenti uno dei partecipanti sisentirebbe . . . congedato in modo eccessivamente brusco» (Duranti 2000:229). Diconseguenza, sebbene nella maggior parte dei casi il compito di decretare il ter-mine dell’evento comunicativo sia in genere affidato ad una coppia di saluti (cf.Berruto 1985:62 e Pautasso 1990:132), è conveniente giungere alle circostanze dicommiato «in modo fluido e gradevole» (Duranti 2000:229). L’esigenza di coor-dinare in pieno accordo la sospensione del meccanismo di avvicendamento deiturni di parola, allo scopo di giungere simultaneamente alla concertazione del mo-mento conclusivo dell’attività conversazionale, conosce quindi, di frequente, com-pimento e realizzazione per mezzo di opportuni interventi in commutazione dicodice volti a marcare gli enunciati di pre-chiusura, i saluti finali, o le interesequenze terminali di un episodio di discorso.

Sono qui riportati i passaggi conclusivi di tre interazioni verbali, tutte condottefino a quel momento interamente in dialetto:

[12]28

1 F77: e ba , anlura magara stasaria . . . quan c as cugia ai dag al Bisolvon2 M55: e daii l Bisolvon . . .3 F77: va bene . . .4 M55: va ba , va ba , fuma parai, okey5 F77: anlura, vardè da ste ba vuiacche sei giuvu, noi ormai . . .6 M85: ciau7 F77: ciau né nlura . . . ciau, ciau8 M55: ciau

28 Trad.: «1 (F77): e bè, allora magari stasera . . . quando si corica gli dò il Bisolvon | 2 (M55): edagli il Bisolvon | 4 (M55): va bene, va bene, facciamo così | 5 (F77): allora, guardate di stare benevoialtri che siete giovani | 6 (M85): ciao | 7 (F77): ciao né allora . . . ciao, ciao | 8 (M55): ciao».

112 Massimo Cerruti

[13]29

1 M55: ma a l è pusibil che dui impiegati c a riesu mai a avai na minüta, c a sia . . . è na robaimpusibil . . .

2 M60: eh, ma sì . . . eh que t øri ndè dì, t vughi nan che . . . sai ei su tant trighi, tant . . . tantcazi

3 M55: facciamo così allora? ti devo per forza lasciare . . . il telefono . . .4 M60: va ba va ba va ba5 M55: allora rimaniamo d’accordo e ci sentiamo la metà di un’altra settimana per confer-

ma6 M60: quindi prenot i tre per il trentü e ti l dudes . . .7 M55: tre per il trentü e pø dop con il . . . dudes che sima . . . ci vediamo noi8 M60: va ba va ba , facciamo così e pø s fuma ancura na parola9 M55: ciao Giulio saluta tutti, eh10 M60: va ba , ciao

[14]30

1 F55: tüti i dì fuma l gir, s va a vugghi e . . . parei, fin c as la gavu da lur due, via . . .2 F50: eh lo so pru, lu sø pru . . .3 F55: t sai mai4 F50: infatti . . .5 F55: mah, va bè6 F50: va bè ti saluto, eh7 F55: altrettanto8 F50: grazie, eh, ciao9 F55: ciao ciao

Nel primo caso, la definizione dell’epilogo della conversazione è affidata alla rea-lizzazione da parte di F77 di un enunciato di pre-chiusura (t3), marcato da un pas-saggio di codice dal dialetto (t1) all’italiano (t3). Gli interventi successivi di M55(t4), che non realizza l’adeguamento al cambio di lingua operato dall’interlocutri-ce, e di F77 (t531) conducono poi agli scambi conclusivi dell’interazione, realizzatiinteramente in dialetto (t6, t7 e t8). Dal momento che la sequenza finale dell’epi-

29 Trad.: «1 (M55): è possibile che due impiegati che non riescono mai ad avere un minuto, chesia . . . è una cosa impossibile | 2 (M60): cosa vuoi dire (andare a dire), non vedi che . . . sai ci sonotanti problemi, tanti . . . tanti casini | 4 (M60): va bene va bene va bene | 6 (M60): prenoto i tre peril trentuno e tu il dodici | 7 (M55): tre per il trentuno e poi dopo con il . . . dodici che siamo | 8 (M60):va bene va bene . . . e poi ci diciamo ancora qualcosa (ci facciamo ancora una parola) | 10 (M60):va bene».

30 Trad.: «1 (F55): tutti i giorni facciamo il giro, si va a vedere e . . . così, finchè se la cavano loro |2 (F50): eccome, lo so eccome | 3 (F55): non sai mai».

31 È interessante notare, al di là degli obiettivi specifici del presente paragrafo, come l’antitesitra la situazione personale della parlante, rappresentativa di una sfera d’esperienza più generaleconnessa all’in-group della classe d’età d’appartenenza, e la condizione attribuita al proprio in-terlocutore, in quanto membro di un’altra categoria generazionale (out-group), conosca realizza-zione espressiva per mezzo del contrasto tra due codici differenti (t5: anlura vardè da ste ba vuiacche sei giuvu, noi ormai . . .). A dispetto della dialettofonia di F77, è però l’italiano, nell’enuncia-zione specifica, ad esercitare le funzioni tipiche di un we-code, mentre è proprio il dialetto ad agirequale they-code (cf. int. [3]).

113Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

sodio, nella quale trovano espressione i saluti di congedo, conosce il ritorno allavarietà di base dell’intera conversazione, il contributo del code switching risultaquindi limitato alla messa in rilievo del solo enunciato di pre-chiusura.

Nell’interazione successiva, invece, all’enunciato di pre-chiusura di M55 (t3), ri-spondente all’intenzione di preannunciare, ed anticipare, la sospensione delloscambio in corso, fa seguito il cenno d’intesa del proprio interlocutore (t4) e un se-condo enunciato di pre-chiusura in italiano da parte di M55 (t5), analogo al primo,che ha l’effetto di generare la serie conclusiva di scambi in dialetto (t6, t7 e t8) voltial riepilogo di quanto stabilito nel corso dell’interazione, in vista dell’imminentechiusura della conversazione. Al momento di congedarsi, infine, interviene ancoraun cambio di codice (t9) a marcare i saluti conclusivi.

Nell’ultimo episodio, infine, una volta intervenuto uno switch a segnalare la pre-chiusura dell’interazione (t4), la scelta del codice in direzione del quale avviene ilpassaggio è poi mantenuta per l’intera sequenza conclusiva. La scelta del dialettoda parte di F50, funzionale alla marcatura della pre-chiusura, è infatti corrispostadall’interlocutrice (t5) ed è poi seguita da entrambe le parlanti nel corso dei seg-menti conclusivi dell’interazione (t6, t7, t8 e t9), contenenti formule di saluto edespressioni di cortesia.

Il contributo fornito dalla commutazione di codice al raggiungimento di un’in-tesa tra i partecipanti in merito alla negoziazione dell’epilogo di un episodio di di-scorso, dimostra dunque di esercitare un’importanza fondamentale nel marcare ipassaggi terminali di uno scambio verbale, al fine di scongiurare le possibili in-comprensioni tra gli interlocutori generate dal mancato accordo sul termine dellaconversazione. Al contrario, il ruolo svolto dal code switching nel segnalare i cam-biamenti di argomento, rivelatosi marginale all’interno di produzioni linguisticherivolte per lo più ad un medesimo ascoltatore, pare conoscere ben altra diffusionee vitalità d’impiego in relazione alle ordinarie strategie di auto- ed etero-selezio-ne operanti nelle interazioni tra tre o più interlocutori.

3.2 La costellazione dei partecipanti

Una conseguenza importante del carattere sociale, collettivo e distribuito di cia-scun atto linguistico e della dimensione di scambio e reciprocità connessa ad ogniepisodio conversazionale è legata, naturalmente, all’alternanza dei parlanti all’in-terno di un evento comunicativo. Il più comune tipo di interazione nella praticaquotidiana non si compone quindi di singole produzioni linguistiche, ma è costi-tuito da sequenze di enunciati realizzati da interlocutori differenti (cf. Duranti2000:220) in base a regole di partecipazione ed accordi interpersonali più o menocondivisi. La successione regolamentata ed ordinata dei parlanti nel corso di unoscambio verbale, per lo più negoziata col procedere della conversazione, e stretta-mente interrelata all’organizzazione sequenziale del discorso, implica dunque con-tinui mutamenti nel sistema dei ruoli via via assunti dai partecipanti nell’arco del-

114 Massimo Cerruti

l’interazione e, dal punto di vista degli stessi interlocutori, un costante «cambia-mento nella posizione che assumiamo nei nostri confronti e in quelli degli altri pre-senti, espresso nel modo in cui affrontiamo la produzione e la ricezione di un enun-ciato» (Goffman 1987:180). Dal momento che tale «cambiamento di footing è ingenere legato a fatti linguistici» (Goffman 1987:180), ci si propone ora di verifica-re in che modo e con quale frequenza la commutazione di codice intervenga aregolare l’alternanza tra i partecipanti, agendo sugli ordinari meccanismi di asse-gnazione dei turni di parola.

3.2.1 Tecniche di assegnazione dei turni di parola: auto-selezioneed etero-selezione

L’organizzazione dell’avvicendamento tra gli interlocutori è regolata sia da mec-canismi di selezione etero-diretti, in base ai quali, cioè, chi detiene il turno in cor-so ha la facoltà di stabilire il parlante successivo mediante specificazione del de-stinatario (cf. Gumperz 1982:77), che da singole iniziative di auto-selezione messein atto dagli stessi partecipanti in corrispondenza di passaggi pertinenti per la tran-sizione o in parziale sovrapposizione con le produzioni linguistiche dell’interlocu-tore precedente. Così come l’ordine dei parlanti, anche la lunghezza dei singoli in-terventi è dunque negoziata nel corso dell’interazione (cf. Duranti 2000:223-24).

Assumiamo come termine di riferimento specifico l’interazione verbale ripor-tata qui di seguito, quale esempio significativo del sistema di partecipazione in in-dagine:

[15]32

1 F75: n a ancura dil tumatichi chial?2 F50: sì sì . . . sì sì3 F75: . . . le sono piaciute le/i pomodori alla tua . . .4 M23: credo di sì . . . sì, sì5 F75: ce n’è ancora tanti, ma . . . non mi oso . . .

32 Trad.: «1 (F75): ne ha ancora di pomodori lui? | 7 (F75): sono una meraviglia | 8 (M80): maguarda quello lì, poveruomo . . . aveva due figli, ma due figli . . . avranno la tua età (saranno vecchicome te), né | 10 (M80): non sono riusciti a sposarsi . . . Cesarino si era fidanzato, né | 12 (M80):quello là del sacchetto | 13 (M52): basta che rimangano delusi . . . e che non superino la delusione |15 (M52): proprio ieri . . . eh . . . poi là fuori hai visto . . . che ne so, combinazione mi sono trovatovicino . . . la fìglia del Fulvio . . . eh bè, ho parlato dei miei/ | 17 (M52): e io dicevo va bene/ | 20 (F50):è simpatico, un burlone proprio . . . né, cioè proprio | 21 (M52): io credevo fosse quello lì che veni-va a Montafia, invece è l’altro | 22 (F50): invece è l’altro | 23 (M80): e va . . . non ci va più adesso? |24 (M52): giocano, giocano . . . giocano ogni tanto, d’estate poi . . . oi | 25 (F50): perchè era spessoinsieme . . . al marito della Daniela o della Paola, che sono giocatori di bocce | 26 (M52): vuoi direche una volta giocasse a calcio? . . . sai volevano giocare . . . coso, mah non so | 27 (M80): cosa dici? |28 (M52): che quello lì una volta magari giocasse a calcio | 29 (F75): proprio . . . ha novant’anni vabene? | 31 (F75): è andata su in montagna è stata là . . . è stata bene in montagna? . . . io sto beno-ne là | 32 (M80): è mica che le ha già raccolte le carote? | 33 (F50): sì, le ha raccolte tutte . . . le haraccolte perchè ha seminato insalata e /---/ spinaci | 36 (F75): molti giorni, no? . . . sempre a . . . nonfai così tu, muovi il braccio».

115Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

6 M23: eh bè poi glieli diamo, adesso . . . sì sì . . .7 F75: se li chiami, chiamale adesso perché so/a su na meravia . . . adesso le ho lì, tutte ver-

di . . .8 M80: ma varda chial lì, povrom . . . a i ava doi fiø, ma doi fiø . . . a sara vei pai ti, né . . .9 M52: sì

10 M80: a i a na truvasi mariè . . . Cesari l era suciasi, né . . .11 F75: chi?12 M80: cul là d il sacat13 M52: a basta c a stagu delüz . . . e c a süperu na la deluziu14 F75: ah . . . sì sì15 M52: propi saria . . . eh . . . pø là fora t ai vist . . . si che sø, cumbinasiu i ø truvami tacà . . . la

fìa dil Fulvio . . . Enza . . . eh be , i ø parlà d i me/è stato interessante perché . . . musiche delmillecinque millesei, in genere queste musiche /---/ di tipo classico sono . . . milleotto, no?eh . . . quindi trovarle millecinque millesei . . .

16 F50: musiche medievali anche . . .17 M52: e mi diva *va ba /18 F50: *poi ha fatto tutta la storia . . . dei vari strumenti . . .19 M23: hm hm20 F50: è simpatic, ü batür propi . . . né, cioè propi . . .21 M52: eh, mi cardiva fisa s lì c avniva a Muntafia, nveci è l’at . . .22 F50: eh, inveci a l è l’at . . . [. . .]23 M80: e va . . . e va pi na ades?24 M52: sì sì a giøgu, a giøgu . . . a giøgu ogni tant, d’istà pø . . . øi . . .25 F50: pirchè era tant a sema . . . a l om d la Daniela o d la Paola, c a su giugadur da boci . . .26 M52: eh . . . e ieri sera, e ieri sera, momento, sua moglie, la . . . Michela, era a vedere . . . lì,

la . . . ’somma la ro/il concerto . . . [. . .] t vøri dì che na vota giügaisa al balu ? . . . t sai, a vürivugiøghi . . . cozu . . . mah, sø na . . .

27 M80: que t dizi?28 M52: che chial lì na vota magara giügaisa al balu . . .29 F75: guarda che . . . guarda che la Visenti a . . . NON HA IL BASTONE, NON HA NIEN-

TE, propi . . . a i a nuant’agn va ba ?30 M23: sì31 F75: è ndaia sü muntagna è stata là finchè sono stati loro . . . venuta giù e tutto, è staita bi

an muntagna? benone, mi stagu benone beli là . . . [. . .]32 M80: è pà c a già gavaii l caroti?33 F50: sì, a gavaii tüti . . . a gavaii perchè a sëmnà insalata e /---/ spinas . . .34 F75:ADESSO IO SONO ESENTE DA . . . DA TAGLIARE LE CAROTE . . . e lo fa lui . . .35 M23: perché?36 F75: perché io sono andata di seguito vari dì, no? . . . sempi a tagliare le carote . . . e io la ca-

rota . . . la taglio faccio così . . . t fai na parai ti, t bugi l bras . . .

È evidente come alcuni dei partecipanti alla conversazione33 in possesso di unacompetenza dialettale attiva, in maniera particolare F75, e per lo più in corrispon-denza di punti favorevoli all’avvicendamento degli interlocutori, ricorrano ad al-ternanze di codice, al termine del proprio turno di parola, per segnalare e selezio-nare il parlante successivo. A partire dai passaggi iniziali dello scambio verbale ri-portato in trascrizione è dunque possibile riconoscere, proprio nelle produzioni

33 L’interazione verbale è stata raccolta durante una cena in famiglia: F75 ed M80 sono i ge-nitori di M52, M52 ed F50 sono marito e moglie, M23 è loro figlio.

116 Massimo Cerruti

linguistiche di F75, un impiego differenziato di italiano e dialetto finalizzato allaspecificazione del destinatario e, di conseguenza, volto a stimolare l’intervento delparlante selezionato. Le prime sequenze dell’interazione mostrano infatti un usoalternato di dialetto e lingua nazionale a seconda dell’interlocutore di riferimen-to, dove l’individuazione del ricevente, in particolar modo per quanto riguarda glienunciati rivolti al parlante più giovane, sembra passare attraverso il riconosci-mento del rispettivo codice della conversazione quotidiana. Ad una prima do-manda di F75 formulata in dialetto (t1), rivolta espressamente a F50 e intesa cometale dall’interlocutrice (t2), seguono infatti un paio di interventi diretti a M23 (t3e t5), questa volta in italiano, con lo scopo di provocare la partecipazione attivaall’interazione da parte del nuovo destinatario del messaggio. Il passaggio dal dia-letto, codice della comunicazione ordinaria intrafamiliare per gli interlocutori dia-lettofoni, in questo caso utilizzato per la conversazione con F50, alla lingua nazio-nale, varietà ritenuta preferita e d’impiego abituale per le classi d’età più giovani(cf. Grassi/Sobrero/Telmon 1997:250), pare quindi designare esplicitamente il ri-cevente cui è diretto l’enunciato e concedere al parlante in questione l’opportu-nità di formulare il proprio turno di parola, determinando un inevitabile, seppurlimitato e momentaneo, cambiamento nella costellazione dei partecipanti.

In maniera del tutto analoga è possibile ritrovare all’interno delle produzioni lin-guistiche di F50 un passaggio con funzione di etero-selezione nel quale il code swit-ching è questa volta operante dall’italiano (t18, destinatario M23) al dialetto (t20,destinatario M52); il primo segmento risponde al proposito di stimolare la parteci-pazione attiva di M23 allo scambio verbale, mentre il secondo intende ridare la pa-rola al parlante precedentemente interrotto. È da notare, poi, come proprio l’inter-vento di F50 diretto a M23 (che ha causato la momentanea sospensione del discorsoda parte di M52),operando una scelta discordante,a livello di codice,rispetto al con-tributo dialettale cui parzialmente si sovrappone (t17), sia ragionevolmente inter-pretabile alla stregua di un concomitante tentativo di auto-selezione, messo in attodalla stessa parlante al fine di assicurarsi il turno di parola prima del raggiungimentodi un punto pertinente per la transizione (cf. Duranti 2000:223).

Il contrasto tra le due varietà di lingua pare dunque impiegato dai partecipanti,oltre che per la specificazione del destinatario e la selezione del parlante per l’in-tervento verbale successivo, anche allo scopo di ottenere l’attenzione dei presentie, una volta conseguito il diritto a realizzare il proprio turno di parola, garantirsicosì la possibilità di dare espressione alle proprie produzioni linguistiche. A taleproposito, nelle sequenze conclusive dell’episodio in questione, si segnala un con-tributo di F75 in italiano, marcato da un aumento del tono di voce (t34), la cuiscelta di lingua discordante rispetto agli scambi precedenti (t32 e t33) sembra ri-spondere all’intenzione di assicurarsi l’attenzione degli ascoltatori34 e auto-sele-

34 In maniera analoga a quanto osservato da Goffman: «a tavola, durante cene con otto o piùpartecipanti, si riscontra spesso una marcata instabilità di partecipazione. In questi casi un par-lante può ritenere necessario controllare il suo uditorio . . . per recuperare partecipanti vaganti eper incoraggiare quelli che sopraggiungono» (Goffman 1987:189).

117Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

zionarsi per il turno in corso (cf. Goffman 1987:180s.). Il successivo intervento diM23 (t35), in risposta all’enunciato di F75, stimola poi la parlante a proseguirenell’esposizione, operando in seguito un ulteriore code switching in occasione delmomento di selezione di un diverso interlocutore (t36, destinatario F50: t fai naparai ti, t bugi l bras).

Nei casi di commutazione finora analizzati, implicanti un cambiamento (auto- oetero-diretto) nella costellazione dei partecipanti, lo switch determinante risultaperò contribuire alla regolare progressione del discorso senza apportare concomi-tanti variazioni al tema di conversazione. In altri interventi, al contrario, al cambiodi codice per selezione del parlante è altresì correlato un corrispondente cambiodi argomento. Appartiene senza dubbio a quest’ultimo caso un’ulteriore produ-zione linguistica di F75 rivolta all’uditorio35 (t29), ancora una volta marcata da unaumento del tono di voce, tesa a catturare l’attenzione dei presenti e ad inserire lastessa parlante all’interno dei ruoli attivi dello scambio verbale, fino a quel mo-mento incentrato su un tema di discussione differente. Interrompendo l’interazio-ne in corso tra M80 e M52, dopo il momentaneo confinamento di F75 «nel ruolodi ascoltatore, in seguito alla monopolizzazione della conversazione da parte deglialtri partecipanti» (Alfonzetti 1992a:95), la scelta di una varietà di lingua diffe-rente rispetto a quella dei turni precedenti (t27 e t28) realizza quindi due funzioni:cambio nella costellazione dei partecipanti e cambio di argomento.

Analoghe osservazioni risultano valere poi per altri segmenti dell’episodio didiscorso in indagine: negli scambi centrali dell’interazione, ad esempio, un inter-vento di M52 (t26) marcato da una divergenza di codice rispetto alla scelta di lin-gua dell’interlocutrice precedente (t25), si rivela funzionale all’auto-selezione delparlante per il turno di parola e, allo stesso tempo, realizza un cambiamento di to-pic all’interno del discorso. Ancora la medesima, simultanea, attuazione dei due«conversational loci» (Auer 1995:120) in questione si verifica poi nei passaggi ini-ziali della conversazione, nelle produzioni verbali di M80 (t8); dal contrasto tra ilcodice impiegato dal parlante per l’elocuzione, il dialetto, e la varietà di base delturno dell’interlocutrice precedente (t7), l’italiano, consegue infatti la presa di pa-rola da parte di M80, foriera di un naturale cambiamento nella costellazione deipartecipanti, e un contemporaneo spostamento d’argomento, accolto e, in seguito,sostenuto attivamente dall’uditorio.

Stando a quanto emerso dalle produzioni linguistiche esaminate, un contributofondamentale alla sottolineatura delle sequenze di auto- ed etero-selezione deipartecipanti è quindi dato sia dai passaggi in commutazione o alternanza di codi-ce realizzati all’interno delle elocuzioni di un medesimo parlante, che dalle diver-genze a livello di scelta di lingua manifestate nei confronti dell’interlocutoredetenente il turno di parola precedente. È in tal senso, presumibilmente, che vadunque intesa la direzione del code switching, orientata a favore della lingua na-zionale nella maggior parte dei casi presenti nell’episodio di discorso in indagine,

35 M23 è in questo caso il ricevente apparente, o falso ricevente (cf. Duranti 2000:268).

118 Massimo Cerruti

dal momento che il dialetto risulta la varietà di base dell’intera conversazione, maallo stesso modo attestata nel verso opposto in occasione di interventi di auto- oetero-selezione marcati dal contrasto nei confronti di precedenti produzioni ver-bali in italiano. Contrariamente poi a quanto verificato nelle interazioni tra duesoli interlocutori, nelle quali, cioè, il contributo dato dalla commutazione di codi-ce alla messa in rilievo di cambiamenti d’argomento si è rivelato marginale e deltutto limitato, gli episodi comunicativi a tre o più partecipanti dimostrano di co-noscere un impiego diffuso e condiviso di strategie connesse al code switching vol-te a segnalare un mutamento nella costellazione dei parlanti, nelle quali il cambiodi codice è allo stesso tempo veicolo di un concomitante cambio di topic discor-sivo.

3.3 Il discorso riportato: le citazioni

L’ultima delle funzioni connesse al discorso svolte dal code switching delle quali ènostra intenzione rendere conto nel presente lavoro, fa capo alla messa in rilievomediante cambio di codice, in genere sotto forma di discorso diretto, di enunciatirealizzati dal parlante stesso o da altri emittenti in circostanze contestuali e tem-porali distinte dalla situazione in atto. In letteratura, il termine a cui di norma si faricorso nel riferirsi alla marcatura di sequenze riportate, altresì definita come «thesetting off of reported speech against its surrounding conversational (often narra-tive) context» (Auer 1995:119), è, com’è noto, quello di citazione.

Già le interazioni verbali considerate nei paragrafi precedenti hanno rivelato unimpiego ricorrente di passaggi in commutazione finalizzati alla segnalazione dienunciati riportati in discorso diretto. A tali conversazioni e ad altri episodi nonancora analizzati si farà quindi riferimento nel corso dell’esposizione, nel tentati-vo di contribuire a far luce sui principali criteri osservati nei casi di code switchingper citazione; criteri che ad un primo sguardo paiono decisamente correlati al prin-cipio di fedeltà alla varietà di lingua usata dall’emittente originario. Tale intento«mimetico» trova allora opportuna esemplificazione nel seguente scambio verba-le, la cui trascrizione risulta costituita quasi per intero di citazioni:

[16]36

1 F70: t ai razu . . . ma . . . des, varda . . . varda des taiuma cürt . . . luntes, luntes s a m asmìa itelefun cul tizio là, voti mai am mulaisa poc ma . . . a fà rii, sti pastigli ca ia dami . . . l memedic

36 Trad.: «1 (F70): hai ragione . . . ma . . . adesso, guarda . . . guarda adesso tagliamo corto . . . lu-nedì, lunedì se mi sembra telefono a quel tizio là, vuoi mai che mi mollasse un po’ ma . . . fa ride-re, queste pastigle che mi ha dato . . . il mio medico | 3 (F70): dice signora . . . e io . . . è troppo . . .troppo potente, allora ho fatto un giorno sì . . . faccio un giorno sì . . . io gliel’ho detto allora dico |4 (M50): e lui . . . e lui cosa ti dice? | 5 (F70): e lui dice . . . bò, lui mi ha detto così . . . ho detto al Pinodì pure a quel Borghetto che vado giù . . . c’è già Giovanni là . . . che mi aspetta, mi ha detto Rinaguarda che hai lasciato là la tosse . . . e devi anche lasciare là quella cosa lì, né . . . poi è proprio l’a-

119Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

2 M50: eh3 F70: a diz signora deve prenderla un giorno sì un giorno no, e mi . . . un giorno sì un gior-

no no è trop . . . trop putant, anlura i ø facun giorno sì e . . . fas un giorno sì e due no . . . [. . .]. . . e mi i ø diilu nlura dig ma neanche la giornata dopo non . . . mi, mi prende di nuovo èpiù forte ancora

4 M50: e chial . . . e chial que at diz?5 F70: e chil a diz eh fosse la pomata magari è un’altra cosa, ma non c’è in/ancora in Italia

. . . bò, chial a dimi parai . . . [. . .] . . . i ø dii au Pino dii püra a cul Borghetto c a vag giü . . . ai è già Giovanni là . . . c a m aspeta, a dimi Rina guara che t l as lasà là la tus . . . e t devi colasè là lu lì, né . . . [. . .] . . . pø è propi l’aria . . . cozu . . . pirchè t vughi custa qui che . . . eh, lame amiza lì c a telefunà . . . la . . . cozu, la dona d Giovanni, chial/chila co a dimi? mi se susì mia gamba a marca l vent, a marca la piøva, a marca/se su a Borghetto sei pì nen che lagamba al l’abbia . . .

Il criterio rispettato da F70 per gli switch con funzione di citazione pare dunque ri-spondere al sopra menzionato principio di fedeltà al codice impiegato per la for-mulazione originaria del messaggio. È plausibile, infatti, che la scelta della linguanazionale per il resoconto dello scambio verbale avuto con il dottore, dove al ver-bum dicendi realizzato in dialetto segue immediatamente una commutazione initaliano (es. t3: a diz signora deve prenderla un giorno sì un giorno no . . . e mi i ødiilu nlura dig ma neanche la giornata dopo non . . . mi mi prende di nuovo è piùforte ancora), per lo più limitata all’estensione del discorso riportato (es. t5: e chila diz eh fosse la pomata magari è un’altra cosa ma non c’è in/ancora in Italia . . . bò,chial a dimi parai), volta a dar voce all’interazione vera e propria, corrisponda ineffetti al comportamento (non marcato) realmente messo in atto nella situazioneoriginaria, in quanto una conversazione di media formalità di questo tipo si rivelain genere favorevole all’uso della lingua nazionale37.

Sempre in ossequio al suddetto criterio di fedeltà è poi plausibile interpretare lesuccessive scelte linguistiche di F70, dal momento che l’impiego del dialetto per lecitazioni, ora esteso al verbum dicendi (t5: i ø dii au Pino dii püra a cul Borghetto ca vag giü . . . a i è già Giovanni là . . . c a m aspeta), intende probabilmente rispettarela condotta linguistica osservata in origine, tipica delle interazioni di carattere con-fidenziale con interlocutori dialettofoni conosciuti. Tale intento «mimetico» pareaddirittura stimolare il tentativo di riprodurre, all’interno del discorso riportato, al-cuni dei tratti peculiari della varietà dialettale torinese, (presumibilmente) caratte-rizzante le elocuzioni verbali degli individui a cui si riferiscono le citazioni realizza-te dalla parlante nel corso dei passaggi conclusivi dell’esposizione (t5: Rina guarache t l as lasà là la tus . . . e t devi co lasè là lu lì né . . . mi se su sì mia gamba a marca lvent a marca la piøva a marca/se su a Borghetto sei pì nen che la gamba al l’abbia).

ria . . . coso . . . perché vedi questa qui che . . . eh, la mia amica lì che ha telefonato . . . la . . . coso, lamoglie (la donna) di Giovanni, lui/lei cosa mi ha detto? io se sono qui la mia gamba segna il ven-to, segna la pioggia, segna/se sono a Borghetto non so più di averla la gamba».

37 «The doctor is indeed a speaker with a high level of education, interacting with an unknownperson in the official role-relationship of doctor-patient, during work time» (Alfonzetti1998:200).

120 Massimo Cerruti

La rusticità del dialetto di F70, definita dalla presenza di alcuni attributi specificidell’alto piemontese, quali l’allargamento dell’occorrenza della centrale [a] in sen-so anteriore (mulaisa, putant, chial, parai, ba ) (cf. Berruto 1974:35), l’aggettivopossessivo femminile me38 (la me amiza), le forme tipiche di prima e seconda per-sona singolare del verbo avere (t ai razu , i ø fac, i ø diilu, i ø dii) (cf.Telmon 2001:70)e la palatalizzazione del nesso consonantico latino -CT (i ø fac) (cf. Telmon2001:71),mostra infatti di perdere i suoi connotati più caratteristici,a favore dei cor-rispondenti torinesi39, in occasione degli ultimi segmenti di discorso riportato. Pro-prio la realizzazione in dialetto torinese, all’interno delle citazioni conclusive, deimedesimi tratti linguistici sopra menzionati, quali la diffusione dell’anteriore [e] inluogo della centrale [a] (vent, sei pì ne ), la distinzione del paradigma femminile pergli aggettivi possessivi (mia gamba), le forme di seconda persona singolare di avere(t l as lasà), ed alcune peculiarità lessicali (guara invece del precedente varda), in-duce quindi ad ipotizzare l’esecuzione da parte di F70 di una sorta di commutazio-ne di codice da una varietà dialettale rustica, lingua base delle produzioni linguisti-che della parlante, al torinese, codice presumibilmente impiegato dal locutore delmessaggio originario. È interessante notare, quindi, come la competenza di più diuna varietà dialettale, acquisita in seguito all’esperienza di emigrazione, permettaalla parlante in questione di produrre dei passaggi di codice tra tre varietà differenti:la lingua nazionale, il dialetto d’origine e il dialetto urbano torinese.

In altri casi di code switching per citazione, però, il criterio di fedeltà al codiceimpiegato dal locutore originario non sembra costituir una spiegazione plausibiledel comportamento bilingue dei parlanti. I passaggi seguenti, ad esempio, richie-dono un tipo di interpretazione differente:

[17]40

F70: am dizìa se io dovessi stare con un/con sua sorella, con . . . con ‘ste gambe, cume farìa a fèi pia ?

[18]41

F50: eh, eh eh infatti . . . menu i ø dicuarda, se non altro . . . e quindi dato sa/sta, sta faccendaqui, suma na be que che, que che faruma

[11]42

F60: a l a ciamaie a Anna se . . . andava . . . ma Anna l a dime chila vøl ne al meiz d’agust, iovengo a luglio . . . agosto già le giornà su pi ne tant bele n muntagna, eh . . .

38 Tratto in realtà caratteristico dei dialetti monferrini (cf.Berruto 1974:34 e Telmon 2001:74).D’altra parte, molti dei fenomeni linguistici considerati tipicamente alto-piemontesi risultanoappartenere anche ad altre varietà subregionali (si rimanda, in proposito, a Telmon 2001:71s.).

39 Si veda, per una disamina più dettagliata dei tratti caratteristici del dialetto torinese e dellevarietà pedemontane rustiche, Telmon 2001:55-72.

40 Trad.: «F70: mi diceva se io . . . come farei a fare i piani?».41 Trad.: «F50: almeno ho detto guarda, se non altro . . . non sappiamo bene quello che, quello

che faremo».42 Per la traduzione si veda la nota 27.

121Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

[19]43

F77: i ø dii . . . finii il ferie Mario? . . . eh, l ei finii, e l ginui? . . . fa sempre mal . . . fa sempre navolta pì mal, grazie . . . eh, eh . . . cume dì, grasie che t ai ciamà nutisie, ma . . .

È importante notare come nei contributi in questione l’estensione dei passaggi incode switching non coincida in maniera regolare né con i confini della sequenza ci-tata, né con la marcatura del verbum dicendi introduttivo. In un caso, infatti, ad unprimo cambio di lingua volto a definire l’inizio dell’enunciato riportato (F70: amdizìa se io dovessi stare con un/con sua sorella), segue poi un’ulteriore commuta-zione di codice interna alla citazione stessa e il conseguente ritorno alla varietàprecedente (con . . . con ‘ste gambe cume farìa a fè i pian?); in un altro è un pas-saggio solo ad occorrere all’interno del segmento citato, mantenendosi quale scel-ta linguistica per il prosieguo di parte dell’esposizione (F50: i ø dicuarda, se nonaltro . . . e quindi dato sa/sta, sta facenda qui . . .); in un altro ancora è un doppioswitch, inizialmente dal dialetto all’italiano e in seguito dall’italiano al dialetto, averificarsi entro i limiti del discorso riportato (F60: ma Anna l a dime chila vøl neal meiz d’agust, io vengo a luglio . . . agosto già le giornà su pi ne tant bele n mun-tagna), e, in un ultimo caso, la commutazione è di fatto circoscritta al vocabolo checonclude la citazione (F77: e l ginui? . . . fa sempre mal . . . fa sempre na volta pì mal,grazie).

L’analisi degli enunciati trascritti pare dunque ragionevolmente confermarel’inaccettabilità di una spiegazione formulata in termini di preservazione di auten-ticità e mimesi nei confronti della varietà di lingua del messaggio originario. Risul-ta del tutto improbabile, infatti, che la decisione del parlante di operare un cambiodi codice in occasione di determinati punti del discorso possa coincidere con un cor-rispondente intervento in code switching eseguito già in origine dall’emittente cuiè riferita la citazione (cf. Alfonzetti 1998:200-02).

Per quanto riguarda le produzioni verbali in cui una o più commutazioni hannoluogo all’interno delle sequenze riportate, è quindi plausibile che tali switch, anzi-ché rispondere ai criteri di fedeltà di cui sopra, soddisfino particolari intenzioniespressive (es. la messa in rilievo di istanze contrastive: chila vøl ne al meiz d’a-gust, io vengo a luglio . . .) o contribuiscano alla realizzazione di specifiche strate-gie narrative, quali, ad esempio, l’identificazione di segmenti marginali o la sotto-lineatura enfatica di momenti culminanti dell’esposizione (fa sempre mal . . . fasempre ‘na volta pì mal, grazie). Nei casi in cui, invece, ad un primo passaggio dicodice, sia che questo segnali l’inizio della citazione o che si limiti a circoscrivereil verbum dicendi, segua un ulteriore code switching entro i confini del discorso ri-portato (es. i ø dic uarda, se non altro . . .), o, più semplicemente, la varietà indirezione della quale avviene la commutazione non risulti corrispondere, in basea ragioni di appropriatezza situazionale e deduzioni legate ad atteggiamenti lin-

43 Trad.: «F77: gli ho detto . . . finite le ferie Mario? . . . le ho finite, e il ginocchio? . . . fa sempremale . . . fa sempre più male, grazie . . . come dire, grazie che hai chiesto notizie, ma . . . ».

122 Massimo Cerruti

guistici non marcati44, alla scelta compiuta dall’emittente originario, il ricorso alcambio di lingua va riferito esclusivamente alla volontà del parlante di esplicitaree sottolineare il contrasto «between the conversational context of the quote andthe reported speech itself» (Auer 1995:119).

Sebbene nella gran parte degli episodi di citazione occorsi nel corpus di intera-zioni in indagine il criterio di autenticità nei confronti del codice originario paia ri-velarsi decisivo nell’orientare i comportamenti linguistici in questione, risulta altresìdiffusa e comprovata, dunque, l’attestazione di casi in cui l’intento «mimetico» eser-cita di fatto un ruolo di secondo piano, mentre è il code switching in sé a dimostrar-si significativo ed esibire il proprio valore pragmatico. In queste circostanze è quin-di esclusivamente la giustapposizione contrastiva di varietà di lingua differenti arealizzare intenzioni espressive specifiche o a soddisfare, per quanto possibile, l’esi-genza di riprodurre il carattere polifonico del discorso, distinguendo la conversa-zione in atto dalle sequenze riportate, talvolta mediante l’assegnazione di codici di-versi a particolari locutori (cf. Alfonzetti 1992a:137 e Sebba/Wootton 1998:274).

4. Conclusioni

Come accennato nel paragrafo introduttivo, lo studio dei fenomeni di commuta-zione di codice può fornire indicazioni utili all’interpretazione dei rapporti traitaliano e dialetto, e dunque all’indagine della situazione sociolinguistica dellacomunità di riferimento. Seppure non rientri strettamente tra gli obiettivi del pre-sente contributo, è possibile ritrovare a margine di alcune riflessioni qualche trac-cia del ruolo esercitato da dialetto e lingua nazionale all’interno del repertoriolinguistico dei parlanti osservati e qualche indizio dell’influenza di determinate va-riabili sociolinguistiche nell’orientare comportamenti e scelte di lingua. Com’erafacilmente prevedibile, tra i fattori di maggiore importanza vi sono senza dubbiole circostanze più o meno confidenziali della conversazione (es. int. [1]), l’interlo-cutore cui ci si rivolge (anche mediante il riconoscimento del rispettivo codicedella conversazione quotidiana, es. int. [15]) e la classe d’età d’appartenenza (i par-lanti più anziani, ad esempio, sembrano preferire, soprattutto in situazioni fami-liari, un impiego esclusivo del dialetto piuttosto che un uso alternato alla linguanazionale, es. int. [11]). Un peso notevole esercita poi il vissuto storico e sociolin-guistico individuale: il contatto tra sistemi linguistici differenti prodottosi inseguito ai fenomeni di migrazione interna della seconda metà del secolo scorso hainfatti in certi casi condotto all’acquisizione di una seconda varietà dialettale (ti-picamente il dialetto urbano torinese) e al suo impiego in commutazione di codice

44 Naturalmente, non è sempre possibile stabilire con certezza il codice impiegato per l’enun-ciazione originaria: «we, as researchers, cannot state exactly if the language of the quotation co-incides or not with the original one, for the simple reason that the latter is unknown to us»(Alfonzetti 1998:200).

123Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

con l’italiano e il dialetto d’origine (es. int. [16]). Proprio la percezione di solida-rietà ed il carico affettivo veicolati dalla condivisione della stessa varietà dialetta-le, connessi naturalmente ai potenziali connotativi di cui si fa portatore il comuneretroterra etno-culturale, sono poi sfruttati dagli interlocutori per soddisfare esi-genze conversazionali specifiche (es. strategie di convergenza e divergenza, int. [2],o uso di un we-code vs. they-code, int. [6]).

In alcuni casi, tuttavia, più che l’impiego di una particolare varietà di lingua è ilcambio di codice in sé ad assumere valore pragmatico e a farsi veicolo delle in-tenzioni comunicative dei parlanti; la direzione del code switching è dunque in que-sti casi sostanzialmente reversibile. Stando alle interazioni del nostro corpus, taleaffermazione è vera per la quasi totalità dei fenomeni di commutazione di codiceconnessi al discorso, in maniera particolare per quanto riguarda la scansione in se-quenze costitutive e la progressione interna di un episodio verbale, i meccanismidi auto- ed etero-assegnazione dei turni di parola e la messa in rilievo del caratterepolifonico del discorso (cf. int. [8], [9], [15], [17], [18] e [19]). È interessante notare,però, come anche in alcuni casi di code switching riconducibili all’opposizione we-code vs. they-code, quindi più fortemente legati a sentimenti di identità (etnica osociale), si verifichi una certa reversibilità nella direzione dei cambi di codice, edunque una certa flessibilità nell’uso delle varietà in gioco. Vale a dire che per iparlanti dialettofoni non è sempre il dialetto a farsi carico delle funzioni di normaassociate ad un we-code, così come non è automatico l’impiego della lingua nazio-nale in qualità di they-code (es. int. [3] e [12]).

A conclusione del presente contributo vorremmo ancora spendere due parole inmerito a una questione più volte sfiorata nel corso dell’esposizione.Si è parlato spes-so di uso della commutazione di codice come strategia conversazionale e strumen-to delle intenzioni comunicative degli interlocutori, ma va ricordato che, a parte icasi in cui è il parlante stesso a rendere esplicito il motivo (o quanto meno il fonda-mento) delle proprie scelte di lingua (es. int. [2]), il valore pragmatico-funzionale deipassaggi in code switching è qui definito per lo più sulla base di interpretazioni ra-gionate, frutto di osservazione e ricerca45. Riflettendo sul significato interazionaledella commutazione di codice, poi, si è spesso fatto riferimento ad alcune forme diorganizzazione sequenziale della conversazione e a fattori socio-situazionali. Conciò, beninteso, non si è voluto affermare l’esistenza di un’influenza diretta di tali va-riabili sulle scelte linguistiche individuali. Patterns conversazionali e fattori socio-si-tuazionali sono da intendere, piuttosto, «as a resource for making choices, not as adeterminant of choices» (Myers-Scotton/Bolonyai 2001:23); se da una parte, in-fatti, essi definiscono (e dunque limitano) l’insieme dei comportamenti linguisticinon marcati, dall’altra forniscono mezzi e risorse comunicative potenzialmentesfruttabili secondo le preferenze, le intenzioni e gli scopi dei parlanti. L’individuo,

45 Alcuni parlanti, del resto, hanno difficoltà non solo ad individuare il significato funzionaledi una particolare commutazione di codice occorsa all’interno delle proprie produzioni verbali,ma stentano persino a riconoscere il verificarsi stesso dell’avvenuto cambio di codice (si veda, adesempio, Sobrero 1992:22-26).

124 Massimo Cerruti

tenuto conto di tali limiti ed opportunità (e delle conseguenti alternative possibili),opterà poi per le scelte ritenute più adeguate al raggiungimento dei propri obietti-vi, secondo un’attenta analisi comparativa dei costi e dei benefici (cf. Myers-Scot-ton 1998b:19s. e Myers-Scotton/Bolonyai 2001:12s.). Nel caso in cui, cioè, vi siacompleto accordo tra accettabilità sociale e scopi, intenzioni o preferenze indivi-duali, la razionalità dovrebbe con ogni probabilità guidare il parlante verso le pos-sibilità di scelta non marcate suggerite dal contesto (es. int. [3]), mentre nel caso incui le due «forze» siano in contrasto l’individuo dovrà decidere se ignorare le indi-cazioni (o le prescrizioni) socio-situazionali, realizzando i propri obiettivi attraver-so l’adozione di scelte marcate (es. int. [2]), oppure seguirle, cercando di attuare ipropri intenti sfruttando le opportunità consentite. Calcoli cognitivi (consci o in-consci) del tutto analoghi, sempre basati sul confronto tra obiettivi, preferenze, co-sti e benefici, possono poi indurre i parlanti a ricorrere a strategie discorsive con-nesse all’organizzazione sequenziale della conversazione (es. int. [15]), oppure a de-cidere di farne a meno (es. int. [11]). Ci si basa qui, naturalmente, sul presuppostoche l’individuo sia un parlante razionale. Il che non equivale, ovviamente, ad affer-mare che le persone siano sempre razionali nei loro comportamenti linguistici, masignifica credere che non esistano ragioni valide per negare la fondatezza di spiega-zioni di scelte di lingua basate sull’assunto che i parlanti in indagine abbiano agitoin maniera razionale46, comparando cioè attentamente i propri scopi socio-comuni-cativi con le conseguenze derivanti dal comportamento linguistico messo in atto (cf.Myers-Scotton 1998b:35-36, e Myers-Scotton/Bolonyai 2001:24).

Torino Massimo Cerruti

Criteri per la trascrizione delle interazioni

Visti gli obiettivi del presente contributo e l’assenza di finalità fonetiche, è parsosufficiente adottare una trascrizione larga, molto semplificata, delle parti di con-versazione in dialetto, seguendo grosso modo la grafia e le norme ortografichedell’italiano standard (non si è fatta distinzione, ad esempio, tra vocali e semivo-cali e la segnalazione dell’accento è generalmente limitata alla sillaba finale di pa-role ossitone). Fanno eccezione alcuni foni, caratteristici dei dialetti piemontesi,per i quali si è deciso di usare convenzionalmente la seguente resa grafica:

ü vocale anteriore arrotondata alta (come nel fr. mur);ø vocale anteriore arrotondata medio-alta (fr. peu);ë vocale centrale media muta o indistinta (angl. about);

consonante nasale velare (angl. sing).

46 «Rationality functions both as a mechanism and as an explanation. As a mechanism, it di-rects actors . . . to find the best action . . . As an explanation, rationality tells us why choices aremade» (Myers-Scotton/Bolonyai 2001:14).

125Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice

Visto però che sia in dialetto piemontese sia in italiano la nasale conosce semprerealizzazione velare davanti a occlusiva velare, si è scelto di ricorrere al grafema solo nei casi in cui la pronuncia dialettale differisca da quella dell’italiano stan-dard; ad esempio in posizione finale di parola (es. piem. bu , «buono»).

All’interno dei segmenti di conversazione in dialetto si sono trascritte le fricati-ve dentali con i caratteri s (per la sorda) e z (per la sonora); l’assenza di affricatedentali nelle produzioni dialettali riportate in trascrizione dovrebbe escludere pos-sibili ambiguità con le norme ortografiche dell’italiano. I caratteri c e g in finale diparola presentano invece, onde evitare confusioni (e allo stesso tempo preservarecaratteristiche fonetiche peculiari di alcune varietà di dialetto piemontese), l’ag-giunta di un diacritico (ˇ) nel caso in cui corrispondano ad affricate palatali e nonad occlusive velari (es. piem. nøc, «notte», con l’affricata palatale sorda; roc, «roc-cia», con l’occlusiva velare sorda).

Si è scelto di trascrivere come pronunciati in dialetto (quindi in corsivo) sia inomi propri la cui pronuncia da parte del parlante risulti tipicamente dialettale (es.Flip, Gizep, Muncalè, Muntafia) che quelli omofoni in italiano e in dialetto all’in-terno di contesti frasali dialettali (es. Piera a l a dime, «Piera mi ha detto»); sonoinvece trascritti come pronunciati in italiano i nomi propri la cui pronuncia risultiquella della lingua nazionale (es. Filippo, Giuseppe, Moncalieri, Montafia).

Per quanto concerne poi le caratteristiche più generali del trattamento delle in-terazioni trascritte: ogni conversazione con almeno due partecipanti presenta unanumerazione continua dei turni di parola (al margine sinistro); nel corpo del testo,i turni specifici cui fa riferimento l’analisi sono riportati in forma di sigla (es. t8 perturno 8); gli interlocutori stessi sono identificati per mezzo di sigle (le quali, nellatrascrizione degli scambi verbali, seguono a distanza di tabulatore il numero di tur-no), ottenute combinando l’indicazione del sesso e dell’età (nella maggior partedei casi stimata approssimativamente) del parlante (es. M60, F50); i contributi deidiversi partecipanti ad un’interazione, qualora non intervengano indicazionidifferenti nel corso dei commenti agli esempi, sono da intendere come realizzatiper lo più in successione; le sovrapposizioni di voci meno rilevanti a fini conver-sazionali non sono generalmente indicate; alcuni accavallamenti nelle elocuzioni,in corrispondenza di interruzioni e/o avvicendamenti nei turni di parola sonotuttavia trascritti indicando con un asterisco il punto in cui inizia la sovrapposi-zione.

es. 17 M52: e mi diva *va ba /18 F50: *poi ha fatto tutta la storia . . . dei vari strumenti . . .

Altre convenzioni simboliche:

[. . .] parti dell’interazione omesse nella trascrizione;/---/ passaggi mancanti dovuti alla fedeltà carente di alcune registrazioni;, pausa di circa 1 sillaba;. . . pausa di circa 2-3 sillabe;

126 Massimo Cerruti

/ interruzioni, auto-correzioni;ABCD aumento del tono di voce del parlante.

In una nota posta in corrispondenza del numero identificativo di ogni conversa-zione trascritta è data la traduzione in italiano degli interventi in dialetto, prece-duti ciascuno dai rispettivi numero di turno e sigla del parlante; si trovano ripor-tate in nota anche alcune parti di enunciati formulati in italiano già dal parlante(distinguibili dai segmenti realmente tradotti grazie alla stessa formattazione deicaratteri seguita nelle interazioni), in quanto funzionali ad una comprensione mi-gliore della traduzione e/o ad un più agevole reperimento all’interno dell’episodiotrascritto delle produzioni dialettali cui questa è riferita. Laddove la trasposizionein italiano presenti differenze significative rispetto alla formulazione dialettale siè pensato poi di riportare tra parentesi la traduzione letterale dell’enunciato, tan-to più che spesso questa corrisponde ad espressioni caratteristiche dell’italianoregionale piemontese.

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