260) GIANNICHEDDA E., Rovine, reliquie, rarità, robaccia tra letteratura e archeologia

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ROVINE, RELIQUIE, RARITÀ E ROBACCIA FRA LETTERATURA E ARCHEOLOGIA Recentemente, su internet è stato dato spazio a una notizia in realtà vecchia (si veda The Telegraph del 4 ottobre 2010, all’indirizzo http://www.telegraph.co.uk /news/world news/ europe/france/8042281/Parisian-flat-containing-2.1-million-painting-lay-untouched-for-70- years.html ), ma ancora utile a riempire qualche spazio accennando, con tono romantico, a polvere e tesori, uniti del riemergere nella sempre attraente Parigi. E così, se il giornale inglese dava risalto al valore dei quadri ritrovati, altrove si punta al colore e al piacere della scoperta inattesa e che induce nostalgia: Un appartamento parigino vacante dal 1942 è stato scoperto nel quartiere di Pigalle, proprio accanto alla chiesa della Trinità. Dietro la porta, sotto uno spesso strato di polvere, un appartamento di 140 metri quadri abbandonato dal 1942. La proprietaria, Madame de Florian, era partita nel sud della Francia per sfuggire all’arrivo dei tedeschi nella capitale e non vi fece mai più ritorno. Dopo la sua scomparsa, all’età di 91 anni, gli ufficiali giudiziari hanno ritrovato un vero tesoro congelato nel tempo per ben 70 anni: alti soffitti in legno, arazzi, dipinti, mobili antichi, una stufa a legna caratteristica e animali imbalsamati(http://www.darlin.it/lifestyle/un-appartamento-a- parigi-fermo-nel-tempo-dal-1942). Benché si tratti di una non notizia, o di una notizia vecchia e confrontabile, a rigore, con tanti altri casi di edifici abbandonati per tempi assai lunghi, essa ha attirato il mio interesse perché potrebbe dirsi relativa a un caso esemplare: è un contesto chiuso con manufatti segnati dal tempo, in giacitura primaria, abbandonati (e forse selezionati) consapevolmente. Ma, ciò che conta, è che a conferire un fascino e un interesse particolare è l’avvenuto decorso di tempo. Un fascino e un interesse che sarebbero tanto maggiori quanto più la stanza fosse rimasta chiusa a lungo. In quella stanza, che nessuno peraltro si preoccupa di raccontare che cosa è diventata a seguito della scoperta, come ben evidenziano le immagini qui riprodotte, e riprese da vari siti internet, sono state ritrovate rovine, reliquie, rarità, robaccia, ma anche tesori. In buona sostanza oggetti desueti, per l’avvenuto decorso di tempo, che giacevano, per la disattenzione

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ROVINE, RELIQUIE, RARITÀ E ROBACCIA FRA LETTERATURA E

ARCHEOLOGIA

Recentemente, su internet è stato dato spazio a una notizia in realtà vecchia (si veda The Telegraph del 4 ottobre 2010, all’indirizzo http://www.telegraph.co.uk/news/world news/ europe/france/8042281/Parisian-flat-containing-2.1-million-painting-lay-untouched-for-70-years.html ), ma ancora utile a riempire qualche spazio accennando, con tono romantico, a polvere e tesori, uniti del riemergere nella sempre attraente Parigi. E così, se il giornale inglese dava risalto al valore dei quadri ritrovati, altrove si punta al colore e al piacere della scoperta inattesa e che induce nostalgia: “Un appartamento parigino vacante dal 1942 è stato scoperto nel quartiere di Pigalle, proprio accanto alla chiesa della Trinità. Dietro la porta, sotto uno spesso strato di polvere, un appartamento di 140 metri quadri abbandonato dal 1942. La proprietaria, Madame de Florian, era partita nel sud della Francia per sfuggire all’arrivo dei tedeschi nella capitale e non vi fece mai più ritorno. Dopo la sua scomparsa, all’età di 91 anni, gli ufficiali giudiziari hanno ritrovato un vero tesoro congelato nel tempo per ben 70 anni: alti soffitti in legno, arazzi, dipinti, mobili antichi, una stufa a legna caratteristica e animali imbalsamati” (http://www.darlin.it/lifestyle/un-appartamento-a-parigi-fermo-nel-tempo-dal-1942).

Benché si tratti di una non notizia, o di una notizia vecchia e confrontabile, a rigore, con tanti altri casi di edifici abbandonati per tempi assai lunghi, essa ha attirato il mio interesse perché potrebbe dirsi relativa a un caso esemplare: è un contesto chiuso con manufatti segnati dal tempo, in giacitura primaria, abbandonati (e forse selezionati) consapevolmente. Ma, ciò che conta, è che a conferire un fascino e un interesse particolare è l’avvenuto decorso di tempo. Un fascino e un interesse che sarebbero tanto maggiori quanto più la stanza fosse rimasta chiusa a lungo.

In quella stanza, che nessuno peraltro si preoccupa di raccontare che cosa è diventata a seguito della scoperta, come ben evidenziano le immagini qui riprodotte, e riprese da vari siti internet, sono state ritrovate rovine, reliquie, rarità, robaccia, ma anche tesori. In buona sostanza oggetti desueti, per l’avvenuto decorso di tempo, che giacevano, per la disattenzione

degli eredi, in un luogo inabitato. Un insieme che, secondo alcuni potrebbe offrire spunti per costruire la trama di un film o di un romanzo (letteratura).

Personalmente, quest’ultima possibilità interessa, però, ben poco, mentre l’occasione è buona per un diverso flashback, qui inteso come il rispolverare il testo originale di un articolo che, molti anni fa, ho pubblicato in una forma estremamente succinta sul Notiziario di Archeologia Medievale (GIANNICHEDDA E., Rifiuti e reperti: immagini di letteratura e archeologia, Notiziario di Archeologia Medievale, 69 - 70, 1997, pp. 19-20).

Un articolo che, senza esserne una recensione, prendeva spunto da un libro nel cui titolo si trovano tutte le parole che nelle righe sovrastanti sono in corsivo. Parole indubbiamente attrattive per ogni archeologo e, difatti, il medesimo tema l’ho poi ripreso, in Uomini e cose. Appunti di archeologia (Edipuglia, Bari 2006).

Riproporre in forma estesa quanto già sul Nam, può forse interessare pochi appassionati del genere (temo nessuno), ma lo faccio ugualmente perché, dopo averlo riletto, mi sembra ancora un lavoro apprezzabile e perché si tratta comunque di un testo a costo zero per il lettore. Inoltre, e non è poco, ottengo anche di rinviare a un saggio di letteratura davvero denso di considerazioni importanti su come noi ragioniamo dei manufatti (e quindi della vita stessa, oltre che del nostro fare ricerca) e posso chiedere, a chi dovesse proseguire nella lettura, di sfruttare il web per postare un parere, considerazioni aggiuntive, quel che ritiene utile. Alla peggio, se qualcuno apprezzerà solo le fotografie, non me ne avrò a male.

Ad integrazione del mio vecchio testo aggiungo ancora solo poche note su Francesco

Orlando, autore, per l’appunto, di Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine,

reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Einaudi , Torino, 1994, pp. 562. Nato

a Palermo nel 1934, Orlando è morto a Pisa, dove ha quasi sempre insegnato, il 22 giugno del

2010. Tema centrale del suo insegnamento, e dei suoi scritti, è stato lo studio della relazione

fra letteratura e psicoanalisi e quindi egli ha affrontato sistematicamente molte tematiche

relative alla percezione della realtà e al modo di trasporla. La sua opera è influenzata, oltre

che da Sigmund Freud, da Ignacio Matte Blanco a cui, come noto, fa riferimento in più

occasioni anche Andrea Carandini ragionando dei molteplici modi in cui si scava, nella mente

o nel terreno, per trarne conoscenze sepolte e in apparenza irraggiungibili o credute perse per

sempre.

ROVINE, RELIQUIE, RARITÀ E ROBACCIA FRA LETTERATURA E

ARCHEOLOGIA

Il presente contributo, che come si è accennato più sopra amplia e riprende contributi

precedenti, è la conseguenza dell'aver colto, in libreria il volume di Francesco Orlando, Gli

oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi

inabitati e tesori nascosti, Einaudi , Torino, 1994, pp. 562. Per il titolo e il sottotitolo, esso non

poteva non attirare l'attenzione. Raramente, difatti, si è vista con siffatta felice concisione un

elenco di quelli che sono molti degli oggetti su cui l'archeologo esercita la propria attività.

Alla lettura il ponderoso volume è risultato tanto interessante quanto peraltro lontano

dai percorsi più consueti agli archeologi e, come sottolineava l'autore, già docente di Storia

della letteratura all'università di Pisa, con un contenuto non facile da sintetizzare. Anche per

questo motivo, ma soprattutto per averlo letto con il pensiero rivolto al lavoro degli

archeologi e degli storici della cultura materiale, non se ne tenterà un'organica recensione ma

si propone una riflessione personale derivata da una lettura riduttiva e finalizzata ad interessi

diversi da quelli per i quali l'opera fu pensata; degli obiettivi originari, evidentemente

connessi alla storia della letteratura, si presume di averne colti solo alcuni, perdendone altri e,

fra questi, lo stesso piacere di lettura che può derivare dal susseguirsi di citazioni organizzate

in modo estremamente rigoroso.

L'opera di Orlando parte dal rilevare la frequenza di tre differenti costanti in molteplici

testi letterari di svariati periodi, regioni e generi: una prima costante di tipo formale e le

restanti due, invece, tematiche. Dalla combinazione delle tre, precedentemente mai

considerate insieme negli studi storico letterari, ricava quindi il filo conduttore del libro.

La costante di forma è l'elenco che ha per temi le "cose nel senso materiale della

parola, fisicamente concrete" e, fra queste, ad un livello di maggior determinazione, le cose

inutili o invecchiate o insolite, "cose private o diminuite, o in corso di privazione o

diminuzione, di funzionalità" (p.3).

Di questo modo particolare di trattare le cose, Orlando scopre, provandola con

numerosissime citazioni e riferimenti, la straordinaria fortuna letteraria, che fa supporre una

diffusa predilezione quantitativa, e forse qualitativa, per la rappresentazione di cose

desuete rispetto alla rappresentazione di cose utili o nuove o normali. Al proposito egli rileva,

come è evidente, che l'entità della posta tematica così messa ipoteticamente in gioco è enorme

e tale da comprendere il "rapporto stesso degli uomini con il mondo fisico da essi assogettato;

dei confini tra cultura e natura, nel processo di trasformazione di quel mondo. E ne andava del

rapporto stesso degli uomini con il tempo, che impone le sue tracce alle cose: proiettando

sulle cose i limiti sia della condizione umana metastorica, sia della durata storica delle civiltà"

(p. 6).

In letteratura per Orlando l"elenco ammucchia verbalmente gli oggetti uno accanto

all'altro, uno sopra l'altro, uno in alternativa immediata all'altro, facendo di tutti gli altri

oggetti l'unico prossimo contesto accordato a ciascuno". L'elenco perciò "sembra prestarsi

meglio alla negazione d'un rapporto di funzionalità fra l'uomo e le cose, che non alla

rappresentazione di esso: la quale dove esso è integrale ed intatto, prescriverebbe piuttosto di

valorizzare le cose ad una ad una" (p.5).

L'elenco in archeologia, così come l'ordinamento di collezioni e Musei, almeno nei casi

migliori, presuppone invece che si vogliano raggruppare oggetti dei quali si ritiene possibile

un recupero di funzionalità come fonti di una storia e se questo non accade esiste un difetto

(spesso dichiarato e auspicabilmente provvisorio come, ad esempio, quando si sostiene che

l'elenco, la tabella materiali, il repertorio sono lo strumento di un lavoro storico suscettibile di

sviluppi futuri).

Così, se Orlando nota che in letteratura l'elenco è un guazzabuglio, esso in archeologia è

sempre l'esito di un ordine imposto scegliendo alcuni criteri all'interno di un universo di

possibilità ben maggiori (come minimo distinguendo classificazioni etiche da emiche).

In una prospettiva comunque storicista, in cui Orlando si premura di ricordare che il

concetto di funzionale ha avuto una sua variabilità storica, e che potremo anche dire

situazionale non essendo legata solo alla cronologia, la ricerca storico letteraria su questi

tematismi si pone su un piano che crediamo possa anche ritenersi distante, ma non separato

dalla ricerca archeologica. L'ambizione del letterato, che Orlando stesso riconosce assurda

(p.7), è però quella di fare la storia del rapporto fra l'uomo e le cose attraverso una

documentazione esclusivamente di letteratura. Una documentazione che, fra l'altro, non è il

risultato di un impossibile spoglio esaustivo, ma è consapevolmente basata sui cosiddetti

capolavori, in un'accezione peraltro numericamente vasta che va ben aldilà dei pochi titoli

noti anche ai non specialisti.

I capolavori sono difatti ritenuti i depositari privilegiati delle testimonianze più

profonde sul passato storico e, proprio nel sostenere l'insostituibilità delle opere di

letteratura quali testimonianze del passato, Orlando, per l'unica volta, fa riferimento a quelli

che definisce storici professionali non letterari, fra i quali crediamo si possano collocare anche

gli archeologi le cui fonti sono dette non comparabili a quelle di letteratura.

Tenendo conto di un noto postulato freudiano, per Orlando, la letteratura, pur ospitando

un versante ufficiale e conformista, è anche il luogo dove trova espressione quanto è represso,

rifiutato, lontano, trasgressivo. Per cogliere questo, è evidente dal libro, occorre però sapere

procedere fra testi letterari non specificatamente dedicati al tema, se non forse nel caso dei

più brevi componimenti poetici, e valorizzare passaggi e brani che, in generale, possono non

essere immediatamente riconosciuti pertinenti.

Abbastanza similmente, in archeologia, solo recentemente, fra le testimonianze materiali

indagate si sono riconosciute come fonti quei correlati fossili relativi a classi, persone e

produzioni marginali arrivando a sostenere l'utilità di un'archeologia dei siti e dei periodi

"poveri", al pari di ogni altra archeologia. E ancora, insistendo nel parallelismo, quando

Orlando ricorda che le cose inutili, invecchiate, insolite, decadute, desuete e derelitte sono

anche definibili moralmente come maledette, abiette, immonde, squallide, losche, orride,

compassionevoli, commoventi, stravaganti e ridicole, è facile notare che l'emotività umana

connessa ai rifiuti, propri ed altrui, può avere du diverse conseguenze. Da un lato, può essere

almeno in parte responsabile di resistenze ad un'archeologia attenta a tutte le testimonianze,

comprese le più povere e, dall'altro, per reazione, di uno sviluppo di tali studi in campi

inesplorati e spesso occupati per la prima volta da gruppi di studiosi estranei al sistema e in

conflitto con esso (di queste due tendenze, si potrebbero citare moltissimi esempi relativi

soprattutto alla distruzione di testimonianze organiche, alla difficoltà di musealizzarle, ma

anche a progetti innovativi di cui il caposcuola può riconoscersi nel ben noto Garbage project).

Nello studio dei manufatti , mobiliari e non, solo recentemente in archeologia è stata

posta maggiore attenzione ai problemi teorici connessi alla ricostruzione dei cicli di vita (e

all'interno di questi dei cicli di produzione) distinguendo, in una sequenza né lineare né

monodirezionale, produzione (con più fasi intermedie), scambio commercio o diffusione, uso,

rottura, riuso secondario, scarto o perdita, seppellimento, stratificazione, scavo, post scavo,

musealizzazione o conservazione o seppellimento o perdita o riuso, eccetera (e i relativi

specifici indicatori). Anche intorno a questi temi, le riflessioni ricavabili dal lavoro di Orlando

e quindi indirettamente da molte opere letterarie, possono essere utili in particolar modo per

la definizione del concetto di non funzionale.

Se è il funzionale, come ricorda Orlando, a postulare obbligatoriamente il non funzionale,

allora si deve notare che quest'ultimo spesso è, casualmente e cronologicamente, precedente

ad un successivo recupero di funzionalità; la stessa non funzionalità dichiarata ed evidente di

rovine monumentali, chiese sconsacrate, fiori disseccati, reliquie necromantiche, tesori

sepolti, arredi d'antiquariato (per rifarsi ai casi citati da Orlando), è in effetti una nuova e

diversa funzionalità. Una funzionalità alternativa, talvolta addirittura un valore o un bene che

il restauro, con la pretesa di ripristinare lo stato primigenio, annulla (gli esempi, anche in

questo caso, potrebbero essere numerosi e si ricordino soltanto, fra i manufatti mobiliari, quei

beni musealizzati ed esclusi così dalla loro fruizione normale; fra i beni immobiliari, il cattivo

uso di complessi restaurati con gran spesa, sacrificando talvolta al nuovo interi depositi di

informazioni).

In altri casi, il recupero di funzionalità non è però possibile e fra gli esempi letterari che

Orlando organizza si ricordano l'abito trasandato e rattoppato (un caso di usura caratteristico

di oggetti d'uso quotidiano e di strumenti di lavoro) o quei casi in cui l'impedimento al

recupero è conseguenza del credere in incombenti pericoli e impedimenti naturali e

soprannaturali.

Quel che conta, è che in tutti gli esempi di non funzionalità, anche in quelli di letteratura,

perché questa non funzionalità risulti evidente è sempre decisivo un decorso di tempo, ora nel

fare nobilitare quanto non si configura più come attuale e contemporaneo, e quindi da

conservare, valorizzare e recuperare, ora nel consumare e rendere inservibile. A seconda dei

caratteri del decorso di tempo, ma non solo, la distinzione che si instaura in questo caso

sembra poter correre sul filo di due discipline, l'archeologia e l'etnografia. Fra chi studia

manufatti che hanno patito una dimenticanza e chi invece studia manufatti ancora in uso o dei

cui impieghi sia nota una qualche memoria.

Oltre alle riflessioni di Orlando, nel libro hanno un gran peso le citazioni letterarie. Pur

essendo numerosissime, ben poche presentano però situazioni, o meglio, elenchi,

immediatamente avvertibili come interessanti per l'archeologo. La distanza fra le descrizioni

letterarie e gli indicatori archeologici non è solo, evidentemente, la conseguenza della

mancata conservazione, fra i reperti, di molti materiali ma sottolinea come le fonti scritte in

realtà siano ancora descrittive di contesti in vita (anche se preagonici o terminali) e non dei

rispettivi correlati fossili in contesti sepolti e quindi alterati in modi più consistenti e più a

lungo. Se non fossero raggruppate e commentate, la natura di quasi tutte le citazioni potrebbe

sfuggire all'attenzione, non rilevandosi neppure la frequenza dei tematismi rilevati da

Orlando. Alcuni brani possono essere però ricordati come esemplari.

In Al faro, di Virginia Wolf (p. 42), la descrizione di una casa di villeggiatura ormai

abbandonata è inconsapevolmente resa come si trattasse del paragrafo conclusivo di una

relazione di scavo leggendo gli esiti archeologici del degrado nel pavimento cosparso di

paglia, nei calcinacci caduti, nelle travi, negli effetti distruttivi di animali e vegetali (in

archeologia, percorsi di abbandono, crolli, bioturbazioni). L'autrice, suppone addirittura una

rifrequentazione secondaria di gitanti, amanti, pastori e vagabondi e la sequenza di attività è

chiusa con il previsto crollo della struttura e il seppellimento fino al rinvenimento casuale di

un oggetto per il cui tramite si suppone che sarà possibile il riconoscimento della precedente

esistenza, in quel luogo, di una casa. E qui, ogni archeologo avrà colto che gli eventi descritti

sarebbero facilmente organizzabili in un diagramma di Harris e che questo, se non modificato,

finirebbe addirittura per celare parte dell’evidenza (in primis, i processi postdeposizionali).

In maniera molto meno aderente alla realtà archeologica più consueta, Victor Hugo nella

descrizione di una fogna della Roma imperiale tratta invece di quelle testimonianze minori

e da taluni indesiderate ma che, con Orlando, è facile convenire essere "istituzionalmente una

resa di conti della cultura alla natura" (p. 46).

La funzione di assorbire, disperdere, far scomparire materia antifunzionale porta in

effetti a concentrarla in depositi anaerobici archeologicamente indagabili e vere miniere di

informazioni paleoambientali o, come minimo, depositi inalterati di avanzi di cucine e oggetti

perduti. Fra questi ultimi, le monete e cioè il reperto paradossalmente meno importante che

possa rinvenirsi in una canaletta o in una fogna quasi sempre databile con altri mezzi. E

proprio dal confronte fra il potenziale informativo delle monete e di altri reperti può rilevrsi

che, spesso, proprio gli ecofatti costituiscono, quasi per opposizione, dei piccoli tesori

archeologici. E se, citando ancora Orlando, freudianamente, le feci sono al tempo stesso

piacere (natura) e schifo (cultura), dono e scarto, è proprio la cultura, ovvero la capacità di

disperdere e selezionare, che rende "venerabili" ovvero studiabili in quanto fonti riconosciute

non solo le fogne e le canalette con i relativi riempimenti, ma anche i cadaveri altrimenti per

natura inservibili ed eliminati (per cultura).

Per procedere ancora con citazioni che richiamino qualche aspetto della ricerca

archeologica, significativa è quella da un romanzo di Walter Scott dove, nella descrizione di un

antiquario si rileva che l'antiquariato come attività rispecchia nel concreto quello che è

stato il romanzo storico come genere letterario (p. 229). Lo stesso Orlando, nel tentativo di

dare una sistemazione cronologica ai propri materiali, aveva del resto già notato (p. 38) che

proprio negli anni '30 e '40 dell'Ottocento iniziarono a fare la loro comparsa nei testi letterari,

presi finalmente sul serio o addirittura tragicamente e non più alla lontana con fare comico o

satirico, gli attributi quotidiani, pratici, brutti e volgari della vita. Quanto sopra, ovviamente,

rimanda a quella che è stata la storia dell'archeologia nel corso dell'Ottocento con il suo

divincolarsi progressivo dall'erudizione antiquaria e dal collezionismo, fino all'attenzione per

i materiali e il verificabile, l'impostazione stratigrafica, evoluzionista, positivista dovuta al

concorso di naturalisti - archeologi e, al tempo stesso, più che in altri periodi, ad un'elitè di

uomini di cultura all’epoca ancora non afflitti da iperspecialismi ma in grado di tenere insieme

non solo storia e letteratura, o arte, ma anche il complesso dei saperi umanistici a quelli

scientifici. Fra archeologia e letteratura, o meglio fra le rispettive storie, si scorge così un

parallelismo certo conseguente alla più generale storia del pensiero, scientifico e non, fra Otto

e Novecento.

Le coincidenze, non casuali, di tempi fra l'archeologia e la stagione del romanzo storico

in letteratura discendendo da logiche culturali più generali possono forse costituire un tema

di ricerca comparata da perlustrare maggiormente per conoscere meglio le origini della

mentalità con cui solitamente si studiano gli oggetti archeologici. Questo anche cercando

elementi, non solo nella produzione propriamente archeologico - scientifica, ma nella

divulgazione e nei testi scolastici che talvolta mascherano in misura minore gli schemi mentali

da cui muovono e possono assumere forme più vicine ai vari generi letterari.

Grossomodo, nel periodo in cui Marx colse l'essenza del capitalismo nell'essere raccolta

immane di merci dove tutto ha un proprio valore, Orlando evidenzia come la letteratura

delle società capitalistiche sia un'immane raccolta di antimerci, intese come beni materiali

ormai inutilizzabili. La raccolta di antimerci nel caso dei reperti archeologici riporta

direttamente alla costante formale dell'elenco notata in letteratura da Orlando, ma in cui non

sembrava mai comparire un ordine imposto preferendosi il guazzabuglio, e il senso di

ingombro, al lindo organizzarsi delle classificazioni archeologiche. Classificazione, che, per

questo motivo, risultano meno vitali e in effetti sono conseguenza di un distacco mortale, non

patito fino in fondo dalle descrizioni letterarie che non descrivono cose morte e sepolte, ma si

soffermano proprio su quei momenti ad esse di poco precedenti e ancora sostanzialmente di

vita. Così, in letteratura si può notare la frequenza di tematiche in cui gli oggetti, quasi sempre

di materiali fisicamente deperibili e in corso di privazione della propria funzionalità, sono

descritti in elenchi disordinati, che a posteriori Orlando riconosce possibile classificare, con

quello che definisce un attardato esercizio strutturalista compiuto un po' sul serio un po' per

gioco, in dodici categorie fra loro commutabili e, comunque “da non distinguere troppo”.

Nell'ordine, il modo in cui sono presentati in letteratura gli oggeti desueti può essere un

monitorio solenne (malinconico, ideologico, argomentativo) e un frusto grottesco (più ricco in

immagini del precedente) entrambi in uso dall'antichità al Settecento; dell'Ottocento sono

invece caratteristici il venerando regressivo e il logoro realistico; il preromantico memore

affettivo e il desolato sconnesso, che sopravvivono anche nel secolo attuale; l'antichissimo

magico superstizioso, che declina insieme al gusto barocco, e il sinistro terrifico; il prezioso

potenziale e lo sterile nocivo (la fogna); il prestigioso ornamentale e l'inautentico pretenzioso

fittizio.

Dodici categorie, come si vede, raggruppabili in sei coppie di elementi in opposizione a

seconda del prevalere, da ultimo, di un atteggiamento positivo o negativo per le diverse

immagini di non funzionale. Coppie peraltro non casuali ma originate da un complesso albero

semantico costruito da Orlando con opposizioni binarie basate sull'analisi dei modi in cui il

non funzionale è, di volta in volta, presentato nelle opere letterarie.

La prima distinzione è fra quelle immagini in cui è percepibile un decorso di tempo,

rispetto a quello dell'osservatore-lettore, e quelle in cui il decorso non è presente ma, anzi, se

ne può avvertire un'incidenza sul tempo attuale. A livelli successivi di distinzione, l'autore

pone poi, nella metà sinistra dello schema, i casi in cui quanto sopra è sentito collettivamente

(socialmente) anzichè individualmente e i casi in cui ne è rilevante il perché, il come e il dove,

da quelli in cui non importa rammentare questi elementi.

Nella parte destra dello schema, le distinzioni ruotano intorno alla parola natura e

separano i casi in cui gli oggetti non funzionali incidono sul tempo attuale conformemente a

leggi naturali, ad esempio di tipo fisico, dai casi in cui a queste leggi l'immaginazione consente

invece di non corrispondere. A un livello gerarchico inferiore, la distinzione, più familiare

all'archeologo, è fra natura e cultura, ovvero fra prodotti di natura e manufatti,

rispettivamente designati da Orlando come corporeità non funzionale grezza o elaborata.

Divagando dalla letteratura all'archeologia, ma tenendo presente il precedente schema

classificatorio, è possibile cercare di considerare quali casi, ovvero quali schemi mentali,

possono essere ragionevolmente alla base di opere relative a oggetti reali defunzionalizzati e

di interesse archeologico. Secondo quali schemi, cioè, sia possibile avvicinare gli oggetti

defunzionalizzati e presentarli come immagini in opere di vario genere, ma comunque

raramente di finzione e quasi sempre di pretesa esposizione veridica (resoconti, relazioni e

saggi, ma anche mostre e esposizioni museali). La prima distinzione, relativa all'avvenuto

riconosciuto decorso di tempo non esclude la possibilità di un'incidenza sul tempo attuale

(non ne è il contrario e neppure il contradditorio).

La ricerca storica su oggetti defunzionalizzati ritiene anzi che lo studio di questi incide

comunque sulla vita attuale, pretendendo di migliorarne la qualità fino a giungere, ad

esempio, a fare indirizzare una politica del terrritorio che tenga conto dei resti di cui è

riconosciuta una nuova funzionalità come beni di interesse collettivo.

Provare, anche solo per gioco, a collocare nello schema di Orlando scritti relativi a

reperti o situazioni archeologiche concrete pone, come chiunque può sperimentare

direttamente ripartendo dal libro, molte difficoltà. Alcune categorie sembrano inafferrabili e

altre distinzioni meno nette di quanto lo schema farebbe presupporre.

Aldilà delle categorie, gli stimoli che il lavoro di Orlando può esercitare sono comunque

relativi soprattutto alla presa di coscienza dei modi letterari di considerare gli oggetti in corso

di privazione della loro funzionalità primaria e quindi potenzialmente destinati a divenire

reperti. Oggetti elencati spesso in forme disordinate quando ancora in vita (guazzabugli) e

che, in archeologia, occorre ordinare (elenchi) in modi che non eliminino dal campo delle

considerazioni deducibili la valutazione dell'avvenuto passaggio dal mondo del funzionale al

non funzionale e quindi il mutevole rapporto che in tale occasione gli uomini hanno con le

cose.

Enrico Giannichedda