THE NEW MODEL OF WORKING MEMORY thesis

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da parte del prof. Andrea Velardi

Relazione sulla tesi del candidato Giuseppe Celardi

“Il nuovo modello della memoria di lavoro”

La tesi del candidato Celardi è un lavoro di alto profilo, di vera eccellenza, di grande prospettiva in

cui è stata riversata una grande passione per l'argomento trattato, il desiderio e la capacità di

occuparsi di settori di avanguardia nella ricerca internazionale, la competenza di un candidato che

ha letto e riportato i dati più aggiornati della bibliografia internazionale.

Con il suo lavoro, meritevole di ogni considerazione scientifica, Celardi ci offre un resoconto

preciso e dettagliato dello stato dell’arte sulla memoria di lavoro, la working memory, ovvero sul

sistema scoperto e documentato dallo psicologo Alan Baddeley che ha mutato il modello

tradizionale della distinzione della memoria a lungo termine e a breve termine, ponendo l’attenzione

sulla capacità attiva della memoria a breve termine di fare da torre di controllo delle nostre attività

mentali e di pescare informazioni dalla memoria a lungo termine per la gestione e la realizzazione

di molti compiti cognitivi quali la lettura, il calcolo, la soluzione dei problemi.

La memoria a breve termine non è più considerata come il semplice serbatoio temporaneo dove le

informazioni sono depositate per poi passare lentamente alla memoria a lungo termine, ma come un

sistema più complesso che risveglia e mette in azione sia la memoria a breve termine che la

memoria a lungo termine.

Nel primo modello Baddeley del 1974 distingueva alcune componenti della memoria di lavoro che

vengono illustrate da Celardi ampiamente e con precision nel III capitolo della sua tesi. Si tratta del

sistema esecutivo deputato al controllo generale delle informazioni, il loop fonologico deputato alla

produzione e comprensione linguistica, il taccuino visuo-spaziale deputato alla elaborazione delle

immagini. In seguito come ricorda Celardi “a circa venticinque anni di distanza Baddeley identifica

una quarta e nuova componente da integrare per il nuovo modello di working memory, l’episodic

buffer (il buffer episodico). Nell’articolo pubblicato nel 2000: “The episodic buffer: a new

component of working memory” Baddeley lo definisce così: ‹‹ un sistema con limitate capacità che

provvede ad un immagazzinamento temporaneodi informazioni conservate in codice multimodale

capace di integrare informazioni che provengono dai sistemi sussidiari e dalla memoria a lungo

termine, in una unitaria rappresentazione episodica».

2

Celardi ha affrontato e tradotto la letteratura in lingua inglese fornendoci il resoconto di una ricerca

di cui non esistono ancora in italiano sintesi dettagliate. La sua tesi è dunque meritevole di ogni

attenzione e il relatore la presenta alla valutazione della commissione con personale fierezza,

complimentandosi per la fatica profusa dal candidato.

VALUTAZIONE : HO GIA ’ INDICATO NELLA RELAZIONE I MOLTI MERITI DI QUESTO LAVORO

DAVVERO ECCELLENTE PER IL QUALE CHIEDO IL MASSIMO DEI VOTI E LA L ODE.

3

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE COGNITIVE DELLA

FORMAZIONE E DEGLI STUDI CULTURALI

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

SCIENZE COGNITIVE E PSICOLOGIA

____________________________________________________

IL NUOVO MODELLO DELLA MEMORIA DI LAVORO

Tesi di Laurea di : Giuseppe Celardi

Relatore: Ch.mo prof. Andrea Velardi

4

5

INDICE

Capitolo I° : cenni storici ........................................................................ 10 1.1 Dalle concezioni monolitiche alla teoria multimodale ..................... 11 1.2 Il magazzino di memoria a breve termine ........................................ 14 1.3 Dinamica del processo di memorizzazione nel modello Atkinson-Shiffrin .................................................................................... 16 1.4 Ruolo del rehearsal nella memorizzazione: verso un nuovo paradigma................................................................................................ 17 1.5 Manteinance rehearsal ed elaborative rehearsal ............................... 19 1.6 Considerazioni sul modello dei molti magazzini.............................. 21 1.7 Evidenze che confutano l’ipotesi modale di Atkinson e Shiffrin..... 23 1.8 Prove per un magazzino a breve termine non unitario ..................... 24 1.9Verso un nuovo modello di memoria a breve termine ...................... 25 Capitolo II°: I tre modelli di working memory ...................................... 29 2.0 Il primo modello................................................................................ 30 2.1 Il secondo modello ............................................................................ 32 2.3 Il nuovo modello della memoria di lavoro........................................ 33 Capitolo III°: Le componenti singole ..................................................... 37 3.0 L’ esecutivo centrale ......................................................................... 38 3.1 Collegamenti tra esecutivo centrale e funzioni base......................... 42 Conclusioni ............................................................................................. 45 3.3 Limiti del magazzino fonologico...................................................... 48 3.4 L’effetto di similarità fonologica...................................................... 49 3.5 L’effetto dell’informazione a cui non si presta attenzione ............... 50 3.7 La soppressione articolatoria ............................................................ 53 3.8 Altri compiti del loop fonologico: acquisizione del linguaggio e guida del comportamento........................................................................ 54 3.9.1 Rappresentazione e mantenimento di informazioni ...................... 60 3.9.2 Rappresentazione e mantenimento nella WM spaziale ................. 63 3.9.3 Considerazioni riassuntive sul taccuino visuospaziale .................. 65 Capitolo IV°: il buffer episodico ........................................................... 68 INTRODUZIONE............................................................... 69 Conferme sperimentali per una quarta componente ............................... 71 Revisioni al modello originale di buffer episodico................................. 74 Tentativi per una localizzazione neuro-funzionale del buffer episodico ................................................................................................. 77 Capitolo V°: evidenze per nuove funzioni della memoria di lavoro e possibili futuri sviluppi ............................................................. 82 5.0 Un’interfaccia cognitiva al servizio dell’individuo .......................... 83

6

5.1 Contributo della working memory al benessere della persona......... 85 5.2 working memory consapevolezza e meditazione……………..87 Conclusioni ............................................................................................. 93 BIBLIOGRAFIA .................................................................................... 94

7

Introduzione

La memoria è spesso concepita come un grande deposito di

conoscenze: c’è chi la immagina come una serie di cassetti, chi

come un archivio o come la memoria di un computer, chi ne studia i

processi dal punto di vista psicologico, neuro-biologico o neuro-

cognitivo; tuttavia tutti sembrano concordare sull’esistenza di

ricordi che durano a lungo, a volte tutta una vita, ed altri che

sfumano via in pochi attimi. I ricordi sono di vario genere, infatti di

una stessa esperienza possiamo tutti diversamente ricordare:

immagini, parole, rime, sensazioni, odori, episodi e molto altro

ancora. L’argomento di questa dissertazione è incentrato per la

maggiore su quel sistema di memoria a breve termine attiva che

determina il destino di un ricordo, la sua elaborazione “on line”, la

relazione tra vecchi e nuovi ricordi, in altre parole su quel sistema

che alcuni definiscono la “torre di controllo delle attività cognitive”,

ovvero la memoria di lavoro, con particolare attenzione al “nuovo

modello della memoria di lavoro” sviluppato negli ultimi anni e

ancora in evoluzione dal pioniere Alan Baddeley e dai suoi

collaboratori.

I prodromi della memoria di lavoro risalgono alla fine degli anni

’40, quando Donald Hebb postulava già una distinzione tra

memoria a breve e a lungo termine, successivamente portata avanti

da Brown e Peterson negli anni ’50. Un decennio più tardi sarà la

volta del modello multimodale di Atkinson e Shiffrin, i quali

definiscono la memoria come un sistema composto da vari

magazzini a lungo e breve termine capaci di immagazzinare

informazioni di varia natura “raccolte” dai cinque sensi. Il modello

8

però portava con sé varie limitazioni come quella di sopravvalutare

il ruolo della reiterazione come modo principale per memorizzare;

gli stessi inoltre ipotizzavano un magazzino a breve termine e uno a

breve termine unitari, ecc., mentre studi di Warrington e Shallice

negli anni ‘70 su un paziente amnestico fornivano chiare prove

dell’esistenza di diversi tipi di magazzini all’interno della memoria

a breve termine e nello stesso periodo Craik e Lockart mostravano

che qualcosa oltre la mera ripetizione “transitasse” le informazioni

verso la memoria a lungo termine. Sulla base di queste imponenti

novità nello studio della memoria e di ulteriori approfondimenti,

Baddeley e Hitch nel 1974 sostituirono il concetto di magazzino a

breve termine con quello di “memoria di lavoro.”

Nel primo capitolo di questa dissertazione viene presentato un

breve excursus storico che mostra come si è arrivati da una

concezione monolitica e passiva della memoria a quella

multicomponenziale e attiva della odierna memoria di lavoro, che fa

da ponte con la memoria a lungo termine. Il secondo capitolo

mostra l’evoluzione della working memory (memoria di lavoro) dal

primo modello del 1974 fino al terzo e nuovo modello presentato

alcuni anni fa, comprendente i relativi frazionamenti e l’aggiunta di

una quarta componente, il buffer episodico.

Il 3° capitolo presenta le componenti singole della wm con tutte le

specifiche caratteristiche ed evoluzioni nel tempo.

In primo luogo viene trattato l’esecutivo centrale, il sovrasistema di

controllo della Wm con dominio su svariate funzioni cognitive

assimilato al modello del sistema attivante superiore di Norman e

Shallice ad opera di Baddeley. In secondo luogo il phonological

loop, sistema adibito alla conservazione temporanea della traccia in

forma fonologico\acustica, integrato ad un sistema per la ripetizione

9

che, come vedremo, è implicato nell’acquisizione del linguaggio e

nella guida di alcuni comportamenti. La terza componente è il

taccuino visuo-spaziale. Il quarto capitolo descrive la quarta

componente, la più nuova ed ancora poco esplorata : il buffer

episodico, così chiamato per la capacità di immagazzinamento

temporaneo di informazioni multi-modali sotto forma di episodi

integrati.

Verranno delucidati i meccanismi finora conosciuti, la loro

relazione con la memoria a lungo termine e le più recenti revisioni

apportate al modello. Infine l’ultimo capitolo riguarderà le ultime

scoperte sulla relazione tra working memory e salute dell’individuo,

con particolare attenzione alla salute mentale, dove saranno esposte

connessioni tra meditazione, self control, attenzione e working

memory.

10

Capitolo I° Cenni storici

11

1.1 Dalle concezioni monolitiche alla teoria multimodale

Intorno agli anni sessanta importanti novità nel mondo della

psicologia della memoria entrano a far parte della letteratura

scientifica dopo secoli e secoli di teoria monolitica sull’argomento.

Fra le teorie esistenti, di cui alcune risalenti ai tempi di Platone e

fino più o meno agli anni cinquanta, il modello prevalente

rappresentava la memoria come un sistema unitario, in cui veniva

usata ‹‹la metafora spaziale››1 per spiegarne il funzionamento. Ciò

significa che la memoria non aveva distinzioni al suo interno, era

considerata come un unico magazzino (dove è necessario fare una

ricerca completa per recuperare un contenuto) o piuttosto come una

biblioteca ‹‹dove gli elementi di informazione semanticamente in

relazione tra loro sono immagazzinati insieme››2 come suggerito da

Broadbent. La psicologia cognitiva ha dato per buona la metafora

spaziale fino a tempi recenti, ma questa presentava alcuni punti non

chiari al suo interno, uno di essi identificabile nella seguente

domanda: com’è possibile recuperare un ricordo o prendere una

decisione istantaneamente e sulla base dell’esperienza passata se

dobbiamo compiere una ricerca completa nell’ intero magazzino

della memoria? In secondo luogo, nell’ottica della “memoria

biblioteca” è previsto un sistema di recupero dei “libri-ricordi”

strettamente compatibile con il sistema di classificazione e questo

non spiega perché il processo di recupero nelle operazioni

quotidiane abbia invece molta flessibilità infra-categoriale. Queste

teorie basate sul senso comune, pur presentando limitazioni erano

1 Cfr. M.W. Eysenc - M.T.Keane, Manuale di psicologia cognitiva, Sorbona , Milano, 1998, p.120. 2 Cfr. Ibidem.

12

comunque molto influenti nei primi approcci scientifici.3 Tuttavia

in questo panorama riescono ad affermarsi con particolare enfasi

nuove teorie che descrivono la memoria come: ‹‹ un sistema

composto da vari magazzini››. Prima di allora infatti il termine

memoria, come già accennato, denotava esclusivamente un sistema

unitario; anche se è d’obbligo ricordare che D.Hebb nel suo libro

The organization of behaviour del 1949 , ‹‹ aveva suggerito una

distinzione tra memoria a lungo termine che coinvolgeva

cambiamenti durevoli nel sistema nervoso, e memoria a breve

termine che egli attribuiva ad attività elettrica temporanea ››.4 Ma la

sua idea ebbe poco spazio. Egli fu il predecessore degli studi

empirici di Brown e di quelli di Peterson (fine anni ’50) che

segnavano il passaggio dalla concezione monolitica verso una

bicomponenziale. Entrambi hanno supportato l’evidenza della

rapida perdita dell’informazione (in pochi secondi) quando ai

soggetti veniva impedito di poter effettuare una ripetizione; ciò

veniva già allora attribuito all’esistenza di due forme di memoria:

una breve ed una a lungo termine5. Qualche anno più tardi la nuova

concezione bicomponenziale riesce ad affermarsi con più enfasi,

grazie all’avvento di Richard Atkinson e Richard Shiffrin, i pionieri

del primo modello “multi-store” (modello dei molti magazzini),

altrimenti conosciuto come “modello modale”.

In questo modello i due ricercatori tentano di dare spiegazioni sulla

memoria descrivendola in termini di numero di magazzini,6 ognuno

con la propria particolarità, sia per quanto riguarda la permanenza

di esso. Le componenti presenti nel modello erano tre:

3 Cfr. L.Anolli. – P.Legrenzi. Psicologia generale, Il Mulino , Bologna, 2003, p. 118. 4 A.Baddeley, Working memory and language: an overview, in ‹‹Journal of communication disorders ››, n.36, 2003, pp. 189-190. 5 Cfr. A.D.Baddeley, Working memory and language: an overview, pp.189-190. 6 Cfr. M.W.Eysenc – M.T.Keane, Manulae di psicologia cognitiva, p.121.

13

- magazzini sensoriali;

- un magazzino di memoria a breve termine;

- un magazzino di memoria a lungo termine,

ognuno in relazione con l’altro e in un certo rapporto di dipendenza

dal magazzino che lo precede7. La prima componente, la cui

esistenza è stata provata dagli studi di vari ricercatori, tra cui

Sperling8, è rappresentata dai magazzini sensoriali (visivo, ecoico,

gustativo , olfattivo e tattile-kinestesico), che hanno capacità elevata

ma rapido decadimento, dunque conservano l’informazione per un

periodo brevissimo. Quando vediamo un’immagine anche se di

sfuggita, essa permane per un pò di tempo nel magazzino sensoriale

visivo prima di sparire completamente.

E come testimoniano i risultati delle ricerche di Treisman sul

magazzino temporaneo nella modalità uditiva (o magazzino

ecoico), sembra che la durata temporale di permanenza

dell’informazione sonora sia di circa due secondi9. Ma a quale

scopo l’evoluzione avrebbe selezionato queste strutture? In realtà la

maggior parte dell’informazione proveniente dai registri sensoriali

persiste per un po’ di tempo dopo la fine della stimolazione e ‹‹la

funzione di questa persistenza dell’informazione sensoriale è di

facilitare il compito di estrazione degli aspetti più importanti per

un’analisi ulteriore ››10.

7 Cfr. Ivi, p.7. 8 L’esistenza del registro sensoriale è stata provata da vari esperimenti di Sperling. ‹‹ In uno di questi, ai soggetti veniva presentata per soli 50 m/sec, una matrice 3x3 contenente nove lettere . Il compito dei soggetti consisteva nel nominare quante più lettere potevano. I soggetti dicevano di averle viste tutte e nove , ma in effetti riuscivano a nominarne soltanto quattro o cinque. L’ipotesi di Sperling fu che i soggetti non riuscivano a conservarle abbastanza a lungo nel registro sensoriale per poi ripeterle tutte ››. (Cfr. L.Anolli – P.Legrenzi, Psicologia generale, p. 118). 9 Cfr. M.W.Eysenc – M.T.Keane, Manuale di psicologia cognitiva, p.123. 10 Cfr, ivi, p.8.

14

Dunque il destino a cui va incontro l’informazione che arriva nel

magazzino sensoriale è duplice: essere definitivamente persa o

venir selezionata dalle risorse attentive per raggiungere il

magazzino a breve termine.

1.2 Il magazzino di memoria a breve termine

Il magazzino a breve termine è un sistema di capacità piuttosto

limitata: può contenere un numero esiguo di informazioni e si

riferisce ad informazioni che rimangono coscienti e disponibili

dopo essere state percepite solo per un breve periodo di tempo,

circa mezzo minuto.11

Le sue capacità erano presagite già alla fine dell’Ottocento, da

Ebbinghaus, un noto psicologo tedesco, il quale dimostrò nei test

che dopo una sola ripetizione non si riuscivano a ricordare più di sei

o sette sillabe senza senso. Negli anni ’50 Miller12 coniò il termine

“magico numero sette più o meno due” per indicare la quantità di

informazioni diverse che si possono ricordare dopo una singola

presentazione e in assenza di ripetizioni. Gli esperimenti di Miller

corrispondevano a ciò che nell’esperienza della vita quotidiana sono

i limiti nella quantità di informazioni che si possono catturare con

un’occhiata rapida, per esempio guardando le disposizioni di pezzi

in una scacchiera13 o i dolcetti su un vassoio. La MBT ci viene in

11 Cfr. L.Anolli – P.Legrenzi, Psicologia generale, p.118. 12 Miller condusse studi investigando come il richiamo a breve termine di sequenze numeriche fosse influenzato dalla lunghezza della stringa.Sostenendo che la capacità umana di ricordare fosse limitata a “sette più o meno due” unità ,attribuendo la perdita di informazione al decadimento della traccia nel tempo e all’interferenza di nuovo materiale immesso. (G.A.Miller, The magical number seven, plus or minus two: Some limits on our capacity for processing information, in ‹‹ Psychological Review ››, n. 63, 1956 ,p. 81).

13 L. Anolli – P. Legrenzi, Psicologia generale, 2003, p.118; Come fa notare Bateson : ‹‹ non tutti i numeri si ottengono contando e in effetti sono i numeri più piccoli e pertanto i più comuni che

15

aiuto quando dobbiamo tenere a mente per pochi secondi una

informazione che non ci servirà in futuro, ma solo per qualche

istante, giusto il tempo di digitare per esempio un numero

telefonico o di sapere che l’uscita da una città che non conosciamo

e in cui non ritorneremo è a destra del semaforo appena dietro

l’angolo. Come si può intendere da quanto detto, le capacità della

MBT all’epoca erano giudicate così esigue che fu facilmente

possibile attribuirvi due caratteristiche chiave: ‹‹ (1) capacità

estremamente limitata (non possiamo ricordare una sequenza di

oltre otto numeri); e (2) fragilità dell’immagazzinamento, in quanto

la distrazione più lieve ci fa dimenticare il numero ›› 14. Ora, è vero

che dalla MBT dimentichiamo proprio in pochi secondi, a meno che

il dato, come suggerito da Atkinson e da Ebbinghaus quasi un

secolo prima, non venga continuamente “riattivato” o “ripetuto”,

per riuscire a raggiungere il magazzino a lungo termine, di cui il

magazzino a breve termine rappresenterebbe la porta d’entrata (nel

modello multimodale). Alcuni punti importanti che verranno spesso

menzionati nei capitoli più avanti, necessitano di un certo

approfondimento sintetizzabile in tre domande: in che modo

l’informazione ripetuta ricorsivamente nel magazzino a breve

termine viene trasferita in quello a lungo termine? Come funziona il

processo di memorizzazione? e il magazzino a lungo termine ?

spesso non vengono contati ma riconosciuti a colpo d’occhio come configurazioni ›› G.Bateson, Mente e natura , Adelphi , Milano, 1984, p.72. 14 M.W.Eysenc – M.T.Keane, Manuale di psicologia cognitiva, p.124.

16

1.3 Dinamica del processo di memorizzazione nel

modello Atkinson-Shiffrin

Ben distinto dalle due componenti precedenti anche se collegato ad

esse, il magazzino di memoria a lungo termine è illimitato per

capacità d’immagazzinamento e possiede la funzione straordinaria

di conservare l’informazione per periodi di tempo estremamente

lunghi, a volte anche tutta la vita. Quando ricordiamo quel cartone

animato che ci piaceva tanto durante l’infanzia, la canzoncina che la

mamma ci cantava per farci addormentare o la spiaggia della scorsa

estate, è grazie alla memoria a lungo termine se possiamo farlo.

Il funzionamento del MaLT nel modello modale è comprensibile in

rapporto alle altre componenti; dunque vediamo qui di seguito

come funziona in rapporto ad esse.

Come già si è detto, secondo le teorie dei magazzini, l’informazione

proveniente dall’esterno viene accolta nei rispettivi “magazzini

sensoriali”; se l’input è uno stimolo visivo come la luce del sole o

una mela su un tavolo, sarà per un breve periodo trattenuta nel

magazzino (sensoriale) visivo, se invece è il suono di un clacson o

il cinguettìo di un canarino, andrà nel magazzino uditivo e via di

seguito. Sappiamo già che le informazioni vi permangono per

qualche secondo per poi svanire, ma c’è una strada alternativa…

Se il soggetto vi pone abbastanza attenzione, se vi è una “messa a

fuoco”, anziché deteriorarsi (le informazioni) passano nel

magazzino a breve termine, dove possono eventualmente essere

processate per venir “depositate” infine nel magazzino a lungo

termine. Ed ecco quanto sostenuto da Atkinson e Shiffrin a questo

proposito: “il deposito”, ovvero l’immagazzinamento dei dati nella

memoria a lungo termine ‹‹ a volte dipende dalla ripetizione o

17

reiterazione, e vi è una relazione diretta tra la quantità di ripetizione

nel magazzino a breve termine e la forza della traccia mnestica

immagazzinata ››.15 In sintesi, l’attenzione medierebbe la prima

breve opportunità di conservare l’informazione, e la reiterazione (o

rehearsal) nel MaBT medierebbe il passaggio e la successiva

ritenzione nel MaLT.

1.4 Ruolo del rehearsal nella memorizzazione: verso un

nuovo paradigma

La domanda che ci si pone qui è : come la rappresentazione di un

evento viene immagazzinata in memoria?

La risposta classica a questa domanda da parte dei primi psicologi

era che l’informazione venisse memorizzata grazie alla ripetizione

(rehearsal). Un po’ come si è soliti fare da bambini per

memorizzare le poesie. “Più l’individuo ripete l’informazione,

migliore sarà la sua memorizzazione”. Come si potrà notare ciò si

rifà un pò alla “legge dell’esercizio” di Thorndike (1898) in cui si

sostiene che ‹‹ le associazioni stimolo-risposta sono rinforzate

dall’uso e indebolite dal disuso ››.16 Questa infatti era l’idea

generale dietro alla ripetizione e alla codifica delle informazioni. Lo

stesso Ebbinghaus (1885) sosteneva che la ripetizione fosse

fondamentale per la memoria, tanto da elaborare la “legge della

15 M.W.Eysenc - M.T.Keane, Manuale di psicologia cognitiva, p.124. 16 M.Poli – E. Prato Previde, Apprendere per sopravvivere. L'apprendimento animale tra

psicologia ed etologia, R.Cortina Ed., Milano, 1996, p.82.

18

ripetizione”, attraverso il “nonsense –syllabe paradigm”,

paradigma e metodo attraverso il quale si studiavano liste di sillabe

senza senso formate da vocali e consonanti alternate come: DAJ-

GEX- MUB- TEV- WOL. Questo metodo era ispirato al principio

dell’associazionismo, delle associazioni contigue, in cui ogni

gruppo di tre sillabe “nonsense” serve da stimolo per le sillabe

(anch’esse nonsense) che seguono, che a loro volta sono una

risposta a quelle di prima. Nei suoi esperimenti Ebbinghaus usava

inoltre variare il numero delle ripetizioni della lista per poi

ventiquattro ore più tardi testarne il ricordo sui soggetti, coi quali

conduceva anche esperimenti nel riapprendimento di parole già

apprese in precedenza, per vedere quanto veloce fosse la ri-

memorizzazione.

Dai risultati dei suoi test si accorse che più l’item era stato ripetuto,

meno tempo era necessario per memorizzarlo di nuovo. In base a

ciò, a quei tempi si poteva sostenere che ‹‹ la memoria, misurata in

termini di ritenzione, varia in funzione del numero di volte che la

lista è ripetuta ›› . Questi sono i dati che hanno supportato la legge

della ripetizione di Ebbinghaus; una legge che bene si inserisce nei

princìpi dell’associazionismo, dove la contiguità e l’uso rafforzano

l’associazione.

Questo paradigma è stato indiscusso per quasi cento anni, finchè

due psicologi canadesi lo rivoluzionarono ponendo le basi per un

nuovo paradigma.

19

1.5 Manteinance rehearsal ed elaborative rehearsal

Negli anni settanta gli psicologi canadesi Craik e Lockart fecero un

interessante esperimento, presentarono a dei soggetti invece che

sillabe senza senso, una lista di parole familiari e chiesero loro di

fare un semplice compito: ricordare le parole più recenti che

cominciano con una lettera “x” e ignorare le altre .

L’obiettivo dell’esperimento era però variare la quantità di

ripetizioni per ogni parola e poi testare il richiamo delle sole parole

target. Tra una parola target e l’altra vi erano altre parole che

servivano a controllarne il numero di ripetizioni, ciò per fare in

modo che alcune di queste avessero l’opportunità di essere ripetute

più o meno volte17. Da questi esperimenti Craik e Lockhart e poi

anche Watkins, ottennero risultati diversi rispetto a quelli ottenuti

da Ebbinghaus. Sorprendentemente non trovarono la correlazione

tra numero di ripetizioni e grado di memorizzazione18.

Paradossalmente items mai ripetuti venivano ricordati lo stesso o

persino meglio di quelli ripetuti tre volte o sei. Addirittura items

ripetuti cinque volte venivano ricordati meglio di quelli ripetuti

dodici. In base a ciò i ricercatori distinsero due processi per la

memorizzazione a lungo termine ovvero due tipi di rehearsal:

17 F. I. M.Craik – R.S.Lockhart, Levels of processing: A framework for memory research, in ‹‹ Journal of Verbal Learning and Verbal Behaviour ›› n. 11,1972, p.671. 18 ‹‹Mentre la quantità di reiterazione è spesso importante per la memoria a lungo termine in studi di rievocazione libera di liste di parole ( ad esempio Rundus e Atkinson, 1970) , il ruolo della reiterazione diventa molto minore se noi consideriamo altri tipi di apprendimento. Se vediamo un film o vediamo due persone che litigano in un parcheggio o leggiamo un romanzo è possibile che alcune di queste informazioni o buona parte di queste potrebbero venir conservate nella memoria a lungo termine , ma sembra impensabile pensare che ciò sia avvenuto grazie alla reiterazione. Riguardo a ciò la comunità scientifica ritiene che ‹‹anche se la reiterazione è coinvolta in compiti d’apprendimento che richiedono la rievocazione parola per parola di parole non collegate presentate rapidamente, questo non è un buon motivo per estrapolare da qui il funzionamento normale della memoria ›› (M.W.Eysenc – M.T.Keane, Manuale di psicologia cognitiva, p.124).

20

- maintenance rehearsal (o rote reharsal);

- elaborative rehearsal.

Nel maintenance rehearsal, si effettua una ripetizione continua della

parola o di ciò che s’intende memorizzare, lo scopo è quello di

mantenere un item in uno stato attivo di memoria, dove la

rappresentazione viene continuamente riaggiornata nella memoria a

breve termine19. L’elaborative rehearsal invece prevede il fare

connessioni tra l’item e altre conoscenze già in possesso. Questo

permetterebbe l’immissione o “encoding” nella memoria a lungo

termine. Ciò era quanto facevano infondo i soggetti degli

esperimenti di Ebbinghaus, tentare di legare parole nonsense con

parole simili e di suono simile per riuscire a memorizzarle. Quando

si usa il maintenance rehearsal non c’è relazione tra la quantità di

ripetizione e la memoria a lungo termine. Ma se si usa l’elaborative

rehearsal allora si possono ricordare cose per un periodo di tempo

più lungo. ‹‹Craik e Lockhart hanno dimostrato che la codifica non

riguarda esclusivamente la relazione cieca e preordinata tra MBT e

MLT ma dipende innanzi tutto dalle caratteristiche e dalla natura

del materiale da ricordare. L’apprendimento del materiale

linguistico ad esempio non è mediato solo dal meccanismo della

ripetizione verbale. La sfera semantica possiede un reticolo di

associazioni e di legami che hanno una loro presa diretta sulla

memoria indipendentemente dalla frequenza e dalla ripetizione.

Questa codifica ha un’immediatezza superiore a quella della

percezione sensoriale ›› 20. I due scienziati pubblicando il loro

rivoluzionario articolo sui livelli d’elaborazione, ampliarono la

visione semplicistica allora in voga sui processi di memoria della

19 Cfr. A.Velardi, Linguaggio e Memoria in A.Pennisi – P.Perconti (a cura di) , Manuale delle scienze cognitive del linguaggio, il Mulino, Bologna, 2006, pp. 135-161. 20 Ibidem, p.151.

21

teoria multimodale ‹‹ suggerendo di concentrarsi sui modi di

elaborazione, piuttosto che su ipotetiche strutture di memoria come

i magazzini a breve e lungo termine ›› 21. In sintesi, l’idea

consisteva nell’aver capito che esistono ‹‹ dei livelli di profondità

dell’elaborazione dell’informazione che influenzano con maggiore

o minore intensità la forza con cui uno stimolo è immagazzinato

nella memoria e influenzano altresì la possibilità che questo item

venga recuperato››.22 In senso pratico un’informazione elaborata a

livello sensoriale-superficiale, darà origine a tracce di durata

relativamente breve, un’elaborazione sonora produrrà una traccia in

qualche modo più duratura, mentre un’elaborazione semantica

profonda produrrà un apprendimento più stabile,23 perché ‹‹la

traccia è una funzione positiva della profondità di elaborazione,

dove la profondità si riferisce a gradi più ampi di implicazione

semantica ››. 24

1.6 Considerazioni sul modello dei molti magazzini

Il modello dei molti magazzini si dimostra certamente valido per

tanti aspetti, ha senz’altro avuto una funzione storica molto

importante perché ha fornito un’interpretazione sistematica delle

strutture e dei processi che costituiscono il sistema della memoria.

Dopotutto ‹‹ la distinzione concettuale tra i tre tipi di magazzini

della memoria (magazzini sensoriali, magazzino a breve termine e a

lungo termine) ha significato tutt’ora ››25 e resta “la base” per tutta

21 A.D.Baddeley, La memoria umana, il Mulino, Bologna, 2002, p.80. 22 A.Velardi, Linguaggio e Memoria, p.152. 23 Cfr. Ibidem ,151-153. 24 Cit.in Ibidem,152. 25 M.W.Eysenc – T.Keane, Manuale di psicologia cognitiva, p.126.

22

la dettagliata e minuziosa serie di ricerche compiute negli ultimi

trent’anni ed ancora in corso. Molti scienziati fanno ancora uso di

concetti che rimandano al modello. Da quanto pervenutoci dalle

ricerche moderne, tra cui quelle che hanno reso famoso Eric

Richard Kandel premio Nobel per aver scoperto i meccanismi

molecolari della memoria26 e successivamente anche altri27 tutti i

differenti sistemi di memoria hanno in comune un

immagazzinamento a breve termine ed uno a lungo termine.

L’esercizio o la ripetizione nel tempo di uno stimolo, com’è

risultato in esperimenti condotti da Kandel sull’Aplysia Californica

(ma generalizzabili anche agli altri esseri viventi), provocano

l’immagazzinamento di informazioni a breve termine in

“magazzini” a lungo termine. Ciò è biologicamente possibile grazie

‹‹all’attivazione dell’espressione genica, la sintesi di nuove proteine

e la formazione di nuove connessioni ››28. Altre prove convincenti

che dei compiti coinvolgano differenti meccanismi d’elaborazione,

uno a breve e l’altro a lungo termine si può ottenere verificando

doppie dissociazioni nei pazienti amnesici. In letteratura sono noti

casi di persone con sindrome di Korsakoff, apparentemente normali

nel partecipare ad una conversazione, la cui MBT sembra

abbastanza buona , con un normale span di cifre ed un effetto

recency intatto , ma con una scarsa MLT. Un caso opposto invece è

quello di K.F., un uomo che aveva subito una lesione parieto-

occipitale sinistra dopo un incidente, il quale non aveva problemi

con l’apprendimento e la rievocazione a lungo termine ma il suo

26 Sull’argomento: E. Kandel, Psichiatria,Psicoanalisi e Nuova Biologia della mente, Raffaello Cortina, 2012. 27 Esisterebbe una differenza addirittura per memorie a brevissimo termine (secondi) e a breve termine (minuti) confermate da risultati che mostrano distinti meccanismi molecolari per le due,nella corteccia prefrontale. (J.Runyan – P.K.Dash, Distinct prefrontal molecular mechanisms for information storage lasting seconds versus minutes. In ‹‹Learning Memory››, C.S.H Press, 2005). 28 E.Kandel, Psichiatria,Psicoanalisi e Nuova Biologia della mente, p.430.

23

span di cifre era compromesso ( due item al massimo) e mostrava

un effetto recency per un solo item durante la rievocazione libera29.

Dunque, che la memoria non fosse un “unico magazzino” era un

concetto ormai affermato ma bisognava tuttavia notare delle

limitazioni non indifferenti al modello A-S, che hanno condotto le

scienze della mente ad elaborare nuovi principi e nuovi modelli.

Prima di addentrarci in questo campo, mi sembra necessario citare

alcune evidenze che confutano il modello dei molti magazzini.

1.7 Evidenze che confutano l’ipotesi modale di Atkinson e

Shiffrin

Atkinson e Shiffrin ponevano particolare attenzione agli aspetti

strutturali della memoria, tralasciando di approfondire

adeguatamente gli aspetti che riguardano la tipologia di processi

operanti, sia “all’interno” che “tra” i vari magazzini (della

memoria).Le loro spiegazioni si rivelano alquanto incomplete

sostanzialmente per i seguenti motivi:

- Ipotizzare un magazzino di memoria a breve termine unitario.

- Sopravvalutazione del ruolo della reiterazione.

- Dar per scontato che deficit di memoria a breve termine

impedissero apprendimenti a lungo termine.

- Ipotizzare un magazzino di memoria a lungo termine unitario.

Una cosa delle cose più importanti a cui bisogna porre attenzione è

che i due consideravano il Mbt unitario e senza alcuna distinzione

29 Cfr. M.W.Eysenc – T.Keane, Manuale di psicologia cognitiva, p.126.

24

al suo interno.30 Mentre qualche anno più tardi, nuovi risultati

cominciavano a mostrare la possibilità dell’esistenza di ‹‹ differenti

magazzini nella memoria a breve termine, ognuno con la propria

capacità ››.31

1.8 Prove per un magazzino a breve termine non

unitario

Le prime prove dell’esistenza di un MBT non unitario furono

suffragate agli inizi degli anni settanta da Warrington e Shallice con

delle ricerche (oltre quelle già fatte) sul già accennato caso KF; un

caso molto interessante. La novità singolare di questo paziente era

che l’oblìo dalla memoria a breve termine di lettere e numeri che gli

si presentavano nella modalità uditiva era largamente superiore

all’oblìo per stimoli visivi, ma non solo… I risultati ottenuti tempo

dopo, indicavano che ‹‹ il difetto della memoria a breve termine di

KF era limitato a materiale verbale come lettere , parole, numeri, e

non si estendeva a comprendere suoni significativi come il miagolìo

del gatto o lo squillo del telefono››.32 Con questi dati chiaramente

continuare a sostenere l’esistenza di un MBT unitario sarebbe stato

fuorviante e questo portò Shallice e Warrington a ritenere che il

problema di KF fosse ‹‹ centrato sul magazzino uditivo-verbale

della memoria a breve termine. Pertanto la loro scoperta li spinse ad

abbandonare la visione semplicistica del magazzino a breve termine

unitario avanzata dai sostenitori della teoria dei molti magazzini››33.

L’altro problema col modello A-S ,ossìa il ruolo attribuito alla

30 Cfr. M.W.Eysenck – T.Keane , Manuale di psicologia cognitiva, p.126. 31 Ibidem, p.124. 32 Ib, p.127. 33 Ib, p.126.

25

reiterazione come principale processo che conduce alla

memorizzazione nella MLT34non spiega il tipo di apprendimento a

lungo termine che si verifica quando leggiamo dei romanzi per

esempio, dove ‹‹ di solito alcune informazioni vengono conservate

nella memoria a lungo termine, ma intuitivamente sembra

irragionevole supporre che la reiterazione ne sia abitualmente

coinvolta››.35 Tuttavia la quantità di reiterazione rimane lo stesso

importante per l’encoding nella memoria a lungo termine negli

studi di rievocazione libera di liste di parole.

A seguito di quanto esposto, la teoria dei molti magazzini iniziò a

vacillare e un nascente filone di ricerche ad opera di Alan Baddeley

e Graham Hitch gettava le basi per “un nuovo modello di memoria

a breve termine”.

1.9Verso un nuovo modello di memoria a breve termine

Un’ipotesi avvalorata da Atkinson e Shiffrin sul magazzino a breve

termine era che questo agisse ‹‹ come una memoria di lavoro

temporanea che ci aiuta ad eseguire molti altri compiti cognitivi››36

ma le prove a favore di questa ipotesi non erano sufficienti, così

Alan Baddeley e Graham Hitch decisero di verificare se l’ipotesi

fosse valida o meno, avvalendosi di una tecnica in cui al soggetto si

chiede di eseguire un “dual task” (compito doppio) che ‹‹ assorbe la

maggior parte delle capacità della sua memoria di lavoro, mentre

34 Com’è ormai risaputo Atkinson e Shiffrin e ancor prima di loro Ebbinghaus nel lontano 1885 ritenevano che quest’ultima abilità fosse il principale e fondamentale processo carrier dei dati dal magazzino a breve termine verso quello a lungo termine (Cfr. Ivi, 19). 35 Ibidem , p.127. 36 A.D. Baddeley, La memoria umana, p.84.

26

nello stesso tempo deve impegnarsi ad eseguire un altro test, di

apprendimento , ragionamento, o comprensione , che si assume

dipendere anch’esso in modo cruciale dalla memoria di lavoro››.37

La contemporanea esecuzione di un compito che impegni

doppiamente la MBT, dovrebbe letteralmente mandare il sistema il

tilt nel caso questo fosse unitario. Ciò avrebbe dovuto riflettersi

infatti in una scarsa prestazione a causa di una difficile o

impossibile capacità di sdoppiamento.

Nella fase iniziale degli esperimenti ai soggetti veniva chiesto di

ricordare solo uno o due numeri durante un compito di

ragionamento o apprendimento e come risultato: ‹‹ essi venivano

solo minimamente ostacolati da questi pochi dati››.38 Così si provò

con tre e sei numeri, mentre nel frattempo eseguivano compiti di

ragionamento o di memoria, per poi alla fine ripetere i numeri

presentati all’inizio. Ma cosa accadde?‹‹i soggetti tendevano ad

adottare una strategia di rapido ripasso dei numeri prima di spostare

l’attenzione sul compito di ragionamento o di apprendimento , per

poi tornare a recuperare quello che potevano dalla traccia dei

numeri››.39 Così facendo in realtà non si misurava la capacità

d’elaborazione contemporanea , ma ‹‹ l’effetto dell’alternanza dei

due compiti››.40 Come soluzione si pensò di far ripetere ai soggetti i

numeri a voce alta per far si che i due compiti venissero eseguiti

allo stesso momento, evitando il ripasso.Ciò avrebbe dovuto

compromettere la prestazione a causa dell’ulteriore carico, se

effettivamente il Mbt avesse agito come una memoria di lavoro a

37 A.D.Baddeley, La memoria umana, p.84. 38 Ibidem. 39 Ib, p.85. 40 Ib.

27

capacità limitata, usata per ragionare o apprendere41. In altri studi ai

soggetti veniva chiesto di ricordare delle sequenze di numeri fino ad

otto elementi, nello stesso momento in cui eseguivano un test di

ragionamento di verifica di correttezza di certe frasi. Il test di

ragionamento consisteva nel verificare la veridicità di un insieme di

frasi via via più complesse. ‹‹ Dai risultati si è scoperto che , prima

di tutto, il tempo di ragionamento aumenta in modo netto e

sistematico quando la memoria è occupata da un altro compito

concomitante,proprio come previsto dall’ipotesi della memoria di

lavoro. Ma l’effetto è lontano dall’essere catastrofico››.42

In sostanza cosa ricaviamo da questi esperimenti?

Che vi è nei soggetti una diminuzione della quantità

d’informazione ritenuta e della velocità di risposta, assieme ad

un’aumento della quantità di errori ,‹‹ma non è facile spiegare

questi risultati se si assume che la memoria di lavoro interessa un

unico magazzino la cui capacità limitata è con tutta probabilità

completamente occupata quando si è raggiunto il limite dello span

di memoria. In base a questa assunzione, un carico di otto numeri

doverbbe compromettere completamente la prestazione ed il

ragionamento››,43 ma in pratica non fu così.

In un'altra ricerca il dual task prevedeva, comprensione di brani di

prosa e contemporanea ritenzione di zero, tre o sei numeri in

sequenza. Come c’era d’aspettarselo ci fu una compromissione

della comprensione, ma soltanto nella condizione a sei numeri44.

Baddeley e Hitch suggerivano già opportunamente di prendere in

considerazione la possibilità dell’esistenza di sistemi di memoria

41 ‹‹ Quanto maggiore è il numero degli elementi da ricordare , tanta più memoria di lavoro dovrebbe essere occupata e maggiore l’interferenza che dovremmo osservare con le prestazioni di ragionamento e apprendimento ›› pensavano i ricercatori. (Cfr.Ivi, p. 86). 42 A.D.Baddeley A., La memoria umana,p. 84. 43 Ibidem. 44 Cfr. Ib, p.87.

28

differenti. Il risultato più indicativo però, arrivò somministrando a

dei volontari un test di span per i numeri contemporaneamente alla

richiesta di recuperare informazioni dalla memoria a lungo termine;

una prova che causò soltanto un rallentamento del recupero ma

lasciò illese le altre performances.

Questo suggerì che ‹‹ qualunque sia il sistema responsabile della

ritenzione dei numeri nella memoria immediata, esso non gioca

comunque un ruolo cruciale nella rievocazione , come invece era

sostenuto da molti modelli della memoria, compreso quello di

Atkinson e Shiffrin››.45 Insomma ai teorici della memoria non

restava altro che abbandonare la concezione di un magazzino a

breve termine unitario e accettare la coesistenza di più sottosistemi.

Sulla base dei risultati raccolti, Baddeley e Hitch proposero ‹‹ un

modello della memoria di lavoro in cui un sistema attenzionale di

controllo supervisiona e coordina molti sistemi sussidiari

sottoposti››.46 Il primo modello della memoria di lavoro fu

presentato alla comunità scientifica nel 1974.

.

45 Ivi, p.22. 46 Ibidem, p.89.

29

Capitolo II°

I tre modelli di working memory

30

2.0 Il primo modello

Dopo il tramonto del modello dei molti magazzini, non più usato

per i motivi ampiamente discussi nel capitolo precedente, nel 1974

Alan Baddeley e Graham Hitch apportarono approfondimenti agli

aspetti lasciati incompleti o poco esplorati nel modello precedente,

ritenendo giusto affermare che ‹‹ il concetto di magazzino a breve

termine avrebbe dovuto essere sostituito con quello di memoria di

lavoro››.47 Il termine in realtà non è nuovo ma fu coniato negli anni

‘60 da Miller, Galanter e Pribram.48 La caratteristica innovativa è

quella di considerare la MBT come un sistema efficace oltre che per

l’immagazzinamento temporaneo, soprattutto per l’elaborazione

attiva di informazioni come il calcolo aritmetico, il ragionamento

verbale, la comprensione di un discorso e i compiti mnemonici

tradizionali che richiedano attività di manipolazione “on-line” a

breve termine49. Per i due pionieri dell’innovativo modello il

sistema appropriato di MBT doveva essere composto in origine

non da uno, ma da tre sottosistemi. Eccoli qui di seguito:

- un esecutore centrale modalità-indipendente simile all’attenzione;

- un circuito articolatorio (phonological loop) che conserva

l’informazione in forma fonologica (cioè basata sul linguaggio);

- un taccuino visuo-spaziale (noto come sketch-pad) specializzato

nella codificazione spaziale e/o visiva››.50

Vediamo brevemente le peculiarità dei sottosistemi di questo primo

modello.

47 A.D. Baddeley, La memoria umana, p.128. 48 A.D.Baddeley,Working memory, Elsevier press, London , vol 25, n.4, 2010, p.136. 49 Ibidem. 50 M.W.Eysenck – T.Keane, Manuale di psicologia cognitiva, p.127.

31

La componente principale ancora unica ed indivisa è l’esecutivo

centrale: esso ha capacità limitate ed interviene quando il carico

cognitivo è tale da mettere in difficoltà la persona.

Il circuito articolatorio, anch’esso ancora considerato indiviso, si

pensava funzionasse più o meno come un circuito a nastro e si

scoprì essenziale nel trattenere le informazioni verbali circa l’ordine

corretto delle parole, per cui inibendo la sub-vocalizzazione nei test

era possibile diminuire le prestazioni dei soggetti nell’identificare

errori sintattici, mentre non vi era alcuna influenza del sistema per

errori semantici.

Il taccuino visuo-spaziale, infine, per Baddeley era ‹‹un sistema

adatto specialmente all’immagazzinamento di informazioni spaziali

che viene usato come foglio di appunti quando si cerca di risolvere

un problema geometrico››.51

La working memory del 1974 è senz’altro più completa rispetto al

modello dei molti magazzini, tuttavia non mancano delle lacune.

L’importanza data al circuito articolatorio nella gestione di input

verbali fu presto confutata dalle evidenze neuro-psicologiche di

Shallice, Warrington e Butterworth ma anche da Basso, Spinnler,

Vallar e Zanobio, rispettivamente su casi di particolari soggetti

esaminati. K.F, J.B e P.V52 (i tre soggetti), avevano infatti

compromissioni nel circuito articolatorio ma mostravano comunque

prestazioni incongruenti col modello teorico della WM. I risultati

ottenuti da questi tre casi portarono Baddeley a rivedere la sua

51 M.W. Eysenck – T. Keane, Manuale di psicologia cognitiva, p.127. 52 K.F aveva una compromissione dello span immediato di parole presentate uditivamente ma non per i suoni dotati di significato; J.B aveva prestazioni compromesse nella memoria immediata per materiale presentato uditivamente ma una fluenza di linguaggio essenzialmete normale. Pv (esaminato da Basso, Spinnler, Vallar e Zanobio) aveva processi articolatori intatti durante l’eloquio ma non era in grado di usarli nei compiti di span presentati vocalmente e mostrava peggioramenti quando le lettere avevano suoni simili. Se ne concluse che usava un elaborazione basata sul linguaggio ma senza far uso dell’articolazione. (Cf. Ibidem)

32

posizione riguardo il magazzino fonologico tanto da motivarlo ad

aggiornare il primo modello di working memory.

2.1 Il secondo modello

Nel 1986, a seguito dei risultati neuropsicologici accennati nel

paragrafo precedente sui casi K.F, J.B e P.V ma anche a seguito di

altre parti ancora poco esaurienti del primo modello, Baddeley fu

indotto a rivedere le sue posizioni e a proporre un’edizione di WM

più completa, nella quale distinse - nell’area verbale - un processo

di controllo articolatorio da un magazzino fonologico. Il primo

sarebbe ‹‹connesso alla produzione del linguaggio›› mentre il

secondo alla percezione del linguaggio e pertanto sarebbe

considerato passivo. Con queste nuove strutture e funzioni fu

possibile spiegare i risultati dei tre casi sopracitati attribuendo i

problemi ad un magazzino fonologico deficitario. L’autore chiarì

anche il modo in cui questo sistema fonologico riveduto

incamerasse dati verbali. I modi erano essenzialmente tre:

‹‹attraverso la presentazione uditiva, indirettamente attraverso la

presentazione sub-vocale o indirettamente tramite l’informazione

fonologica immagazzinata nella memoria a lungo termine››.

L’attività articolatoria sub-vocale non richiede necessariamente

l’uso dei muscoli del linguaggio ma avviene anche sottoforma di

linguaggio interno, che ‹‹ è utile soprattutto per preservare l’ordine

delle parole ›› e si rivela molto utile nei compiti di lettura.

Per quanto concerne le altre componenti Baddeley nota che

l’esecutivo centrale somiglia molto al modello di “sistema

attenzionale superiore” o “S.A.S”, di Norman e Shallice, a cui i

33

due autori attribuivano capacità di pianificazione e decisione come

risultava da pazienti con danni ai lobi frontali.53

Anche se questa edizione del 1986 è più completa e conforme alla

realtà rispetto alla precedente, è tuttavia poco esauriente per ciò che

concerne i meccanismi dell’esecutivo centrale (giudicato essere la

compente chiave del sistema); poco dunque si è spiegato finora dei

suoi compiti 54precisi o della relazione con gli slave-systems.

2.3 Il nuovo modello della memoria di lavoro

Intorno al 1990 Baddeley comincia a chiarire le parti poco spiegate

dal modello di WM del 1986. Una di queste era relativa ai compiti

dell’esecutivo centrale.55 Abbandonata l’idea che esso fosse un

sistema anche per l’immagazzinamento dei dati si concentra su altre

funzioni,56 arrivando all’ipotesi che il sistema fosse frazionabile in

sottosistemi e tralasciando all’inizio i substrati anatomici.57

Molto acutamente trova che l’EC possa non solo assomigliare, ma

essere assimilato al S.A.S. di Norman e Shallice, modello che

partiva dall’interesse di voler comprendere ‹‹ gli effetti del danno ai

lobi frontali sull’attenzione››.58

53 M. W. Eysenck – T. Keane, Manuale di psicologia cognitiva,131; Cfr. anche A.Baddeley, La memoria umana, p.155. 54 Anche se alcuni ricercatori lo considerarono un sistema unitario, che forma le basi di un generale fattore di intelligenza. 55 A.D. Baddeley, Working memory and language: an overview, In ‹‹ Journal of communication disorders››, Elsevier, London, n. 36, 2003 , p. 203. 56 Cfr, ibidem. 57 A.D.Baddeley, The central executive. A concept and some misconceptions, in ‹‹ Journal of N.P.Society ››, vol 4, n.155, 1998 , p.523. 58 A.Baddeley, La memoria umana, p. 165.

34

Fatto ciò, ne conseguì la perdita di buona parte dell’idea di un EC

unitario; com’era stato concepito in origine infatti era più

somigliante ad un “homunculus”.59

Il sistema S.A.S., da quanto dedotto da esperimenti di generazione

casuale di lettere, studi sul gioco degli scacchi e osservazioni sulla

guida di auto, funzionava proprio bene per spiegare l’EC e la

memoria di lavoro,60 quindi l’assimilazione venne giudicata

appropriata. Norman e Shallice inoltre riescono a dare spiegazioni

sul controllo dell’azione in due modi: uno è basato sulle abitudini

che si rifanno a schemi presenti nella MLT che sono automatici e di

poche risorse attentive, come potrebbe essere giudare la macchina

in condizioni normali; quando invece l’azione è imprevista, non

routinaria e in qualche modo più difficile interviene il S.A.S., con

comportamenti alternativi come ad esempio l’ evitare di investire i

passanti sulle strisce pedonali.

Basandosi sul S.A.S., Baddeley avviò una complessa serie di

ricerche per investigare le capacità attentive e di controllo dell’EC,

frazionando il sistema in più sottoprocessi. Vi è comunque accordo

sul fatto che l’EC sia responsabile del controllo della WM. e che il

controllo non è interamente assegnato ai lobi frontali. Tuttavia, ciò

che più di tutto caratterizza il nuovo modello della memoria di

lavoro (che è ancora in evoluzione) è la presentazione nel 2000 di

una nuova componente chiamata buffer episodico. ‹‹Buffer perché è

un magazzino temporaneo ed episodico perché integra le

informazioni sottoforma di episodi››,61 o comunque oggetti unitari e

59 Cfr. G.Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory: explorations in experimental cognitive psychology, in ‹‹ Neuroscience››, n. 139 , 2006, p.8.

60 Cfr, ivi, 29. 61 A.Baddeley: introduction of the episodic buffer in http: \\ www.youtube.com/watch?v=3a_cF46UiEU, ultima consultazione febbraio 2013.

35

concetti.62 Si arrivò a questo upgrade del modello a causa di alcuni

fenomeni o forse sarebbe meglio dire “grazie ad alcuni fenomeni”

che le tre componenti da sole non potevano spiegare, i quali sono

sintetizzabili nelle seguenti domande: cosa integra informazioni di

varia natura insieme nella working memory? E cosa collega la

memoria a breve termine con la memoria a lungo termine? Dagli

studi fatti sino a quel momento c’erano prove di un

immagazzinamento di informazioni ‹‹ in quantità maggiore che

sembravano eccedere le capacità dei sottosistemi periferici verbale

e visuo-spaziale››63 soprattutto nella ritenzione di passaggi di prosa

in pazienti amnestici, e queste non erano attribuibili assolutamente

alla memoria MLT.64 Ecco dunque Baddeley proporre la quarta

componente come un sistema attivo per l’immagazzinamento di

informazioni multimodali, “nutrito” dai sottosistemi visivo-spaziale

e verbale, in stretto rapporto con l’esecutivo centrale. Il modello era

abbastanza coerente e stimolante e come riporta lo stesso autore

nell’articolo “Exploring the episodic buffer” del 2010: “ ho

introdotto il nuovo concetto con trepidazione” ,volendo ammettere

il fatto che l’aggiunta dell’EB non fosse da ritenersi come un

argomento esauriente in tutte le sue caratteristiche, né assoluto, ma

piuttosto uno stimolo verso la comunità scientifica che troppo

spesso chiede prove certe anche in aree dove ciò potrebbe essere

limitante per incentivare la scoperta e la curiosità.

Alcuni anni più tardi, infatti, il BE sarà rivisto65 e verranno quasi

capovolte certe sue funzioni, l’intero sistema sarà integrato, così

come non mancheranno aggiornamenti anche sulle altre sotto-

62 A. Baddeley, Working memory and language: an overview, p. 204. 63 Cfr, ibidem, p. 29. 64 Cfr. ib. 65 Cfr. A.Baddeley – R.J.Allen - G.J- Hitch, Investigating the episodic buffer, in ‹‹ Psychologica Belgica ›› vol. 50, n. 3-4, 2010 , pp. 223-243.

36

componenti. Tuttavia la memoria di lavoro non ne verrà stravolta,

rimanendo sempre ‹‹ la “torre di controllo” delle attività

cognitive››.66

ll tutto sarà oggetto di discussione nei prossimi capitoli dove

saranno analizzate le componenti singole a fronte delle ultime

ricerche scientifiche.

66 Cfr. A.Velardi, Linguaggio e Memoria, p.137.

37

Capitolo III°

Le componenti singole

38

3.0 L’ esecutivo centrale

L’esecutivo centrale è una componente cardine del modello di

working memory proposto da Baddeley. Tuttavia per molto tempo è

rimasto in gran parte incompreso a causa della sua complessità e

della iniziale difficoltà dei ricercatori nel produrre esperimenti

capaci di sondarlo a pieno bloccando le altre componenti, tanto che

nel primo modello di working memory, lo stesso autore parla molto

poco del sistema. Come se non bastasse l’unica letteratura

disponibile sui modelli attenzionali fino ai primi anni ’80,

riguardava più che altro la relazione tra attenzione e percezione,

anziché qualcosa che potesse essere più vicino alla WM come

l’attenzione o il controllo67. Una interessante teoria di Norman e

Shallice fu intanto pubblicata nel 1986 ed adottata da Baddeley per

la spiegazione iniziale dell’esecutivo centrale. Fino ad allora il

compito dell’ E.C. sembrava relegato alle sole attività di controllo

dei suoi sottosistemi, ‹‹proprio come l’attività di un homunculus››.68

La nuova interpretazione dell’esecutivo centrale reinterpreta il

sistema non solo come un “sovrasistema” che coordina e controlla il

funzionamento della working memory ma come qualcosa di più

complesso. Studi successivi hanno inoltre ampliato il suo dominio a

molteplici abilità e funzioni cognitive, oltre alle conosciute attività

di controllo sul ciclo fonologico, al taccuino visuo–spaziale, mentre

solo di recente è stato chiarito che avrebbe a che fare in maniera

molto marginale con il buffer episodico69. La prima prova a favore

di un esecutivo centrale più complesso è arrivata come sopra

67 Cf. Badddeley, A.D., La memoria umana. 68 Baddeley,A.D, Is working memory still working? Am Psychol, 56\11 (2001) 851. 69 Berlingeri, M. et al., Anatomy of the episodic buffer: A voxel-based morphometry study in patients with dementia, in “Behavioural Neurology” 19\1-2 (2008).

39

accennato in seguito all’avvento del modello del sistema attivante

superiore o S.A.S70 di Norman e Shallice (1986), il quale aveva

fornito una spiegazione che bene si prestava a spiegare ciò che era

ancora un parziale modello di esecutivo centrale e a chiarire alcuni

dubbi generali sulla memoria di lavoro.71 In base ad alcuni dati lo

stesso Baddeley concordava come il SAS entrasse in azione durante

compiti in cui il sistema che controlla attività di routine fallisse o

necessitasse di pianificazione ulteriore72, notando che quest’ultimo

coincideva con le sue stesse osservazioni su pazienti con lesioni al

lobo frontale,73 ma non solo. In un particolare test di generazione

casuale di lettere in cui al soggetto veniva dato il compito di

produrre una lista di lettere in maniera casuale seguendo una certa

procedura, ‹‹ dopo le prime 15 – 20 lettere , la maggior parte delle

persone sosteneva che il test diventava sempre più difficile per il

prevalere della tendenza a ripetere lettere già prodotte o in sequenze

stereotipate, come l’ordine alfabetico delle componenti della

sequenza, o in acronimi familiari come CIQ, VID e BBC (in

italiano esempi simili potrebbero essere RAI, FS, TV)››74. Si è

rilevato quindi che le persone in realtà utilizzano dei comportamenti

(strategie) stereotipati basati su dati preesistenti,75 col risultato che

la sequenza non è poi cosi casuale. Nella misura in cui invece si

tentino di evitare risposte stereotipate, le richieste al SAS diventano

pressanti, ‹‹quindi se assumiamo che la capacità del SAS sia

limitata, allora quanto maggiore è la velocità di generazione

70Cfr. D.A. Norman – T. Shallice, Attention to action: Willed and automatic control of behaviour, in Davidson, R.J et al., Consciousness and self-regulation, Plenum, New York, 1986 , n. 4, pp.1-18 71 Cfr. A. Baddeley, La Memoria Umana, p.165. 72 A. Baddeley: the origins of the central executive in http:\\ www.youtube.com/watch?v=aseitqCZKQo , ultima consultazione febbraio 2013. 73 A.Baddeley, La memoria umana, p.155 74 Ibidem. 75 Cfr, ibidem, p.156.

40

richiesta, tanto minore sarà la possibilità di evitare stereotipi

esistenti››.76

I risultati di questi test cominciavano a gettare un ponte tra SAS ed

esecutivo centrale, ma altre connessioni furono possibili

esaminando la memoria di lavoro di soggetti esperti ed inesperti

durante il gioco degli scacchi. ‹‹Ai soggetti veniva permesso di dare

un breve sguardo ad una posizione degli scacchi presa durante una

partita effettivamente avvenuta tra due giocatori. I soggetti

dovevano poi tentare di riprodurre quanto si ricordavano di quella

posizione sulla scacchiera››.77

Un campione di soggetti doveva contemporaneamente produrre altri

compiti, tra i quali ad esempio la generazione casuale di lettere, allo

scopo di interferire sulle sottocomponenti della memoria di lavoro. I

risultati mostrarono che mentre la soppressione articolatoria data

dal compito interferente non influenzava la prestazione, questa

risultava molto diminuita quando ai soggetti era chiesto di premere

una serie di tasti su una tastiera che non vedevano o di produrre

lettere in modo casuale. Il gioco degli scacchi dunque impegna sia il

taccuino visuo-spaziale che l’esecutivo centrale. I sopracitati

esperimenti e il SAS furono quindi agli inizi della teoria sulla wm

buone spiegazioni sul ‹‹ funzionamento generale dell’esecutivo

centrale ››.78 E anche se non furono esaurienti su tutti i suoi aspetti,

fornirono una linea guida per individuare processi in cui è implicato

questo sistema che, come gli altri sistemi della working memory, è

frazionabile in sottosistemi››.79

76 Cfr, ib . 77 Ib, p.158. 78 Cfr, A.Baddeley, La memoria umana. 79 A. Baddeley, The central executive: A concept and some misconceptions, in ‹‹ Journal of International Neuropsychological Society ››,Cambridge University Press, vol 4 n. 5, 1998, p. 523.

41

Il suo frazionamento non fu presente sin dalle origini del modello,

ma piuttosto arrivò dopo vari sforzi scientifici nell’intento di uscire

dalla concezione di puro “homunculus”. Nell’articolo scientifico del

1996 dal titolo “Exploring the central executive” vennero postulate

e sottoposte ad indagine quattro capacità di base dell’EC il cui

studio avrebbe dovuto sondare se questo fosse da ritenersi

effettivamente come un ‹‹ sitema unificato con funzioni multiple o

piuttosto un agglomerato di processi di controllo interagenti ››.80

Ecco qui di seguito, le quattro capacità:

- ‹‹ La capacità di coordinare performances in due compiti separati;

- la capacità di recupero di strategie di switching come mostrato nel

compito di generazione casuale;

- La capacità di concentrarsi selettivamente su uno stimolo e inibire

l’effetto distruttivo degli altri;

-La capacità di mantenere e manipolare informazioni nella memoria

a lungo termine, come si evince dalle misure per il WM span ››81.

Questa ricerca assieme ad altre furono abbastanza fruttuose tanto da

spingere il modello verso un frazionamento dell’EC in cui è

mostrato il collegamento chiaro tra quest’ultimo e quattro

capacitàdi base:

- Il focus attentivo;

- L’attenzione divisa;

- Lo switch attentivo;

- L’abilità di mettere in relazione contenuti della WM con la MLT82.

Bisogna tener presente che queste capacità in realtà potrebbero

estendersi a un numero più alto, inglobando anche l’attenzione

sostenuta, tanto per citarne qualcuna. Come dimostrano infatti i

80 A.D.Baddeley, Exploring the central executive, in ‹‹ Q. J. Exp. PsychoL›› , 1996, n.49, p.5. 81 Cfr. A.D, Baddeley, Exploring the central executive, p. 5. 82 Cfr. G.Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory: explorations in experimental cognitive psychology, in ‹‹ Neuroscience ›› 2006, n. 139, p.13.

42

risultati di una ricerca pubblicata sul “Journal of neuropsychiatry

and clinical neuroscience”, con lo scopo di comparare soggetti

schizofrenici cronici con neurotipici (per abilità di coordinazione

visuo-motoria e attenzione sostenuta), gli stessi circuiti neurali

della corteccia prefrontale coinvolti nel mantenimento

dell’attenzione sostenuta condividono risorse con abilità di

competenza dell’esecutivo centrale83.

3.1 Collegamenti tra esecutivo centrale e funzioni base

L’esecutivo centrale come già anticipato è collegato e in qualche

modo sovrapposto alle funzioni attentive che sottendono lo

svolgimento di compiti cognitivi di una certa complessità. Usando

in particolare la tecnica del random digit generation task è stato

possibile sondare come l’attenzione focalizzata sia disturbata in

condizioni che pongono un sovraccarico all’esecutivo centrale e

viceversa84, ad esempio compiti di categorizzazione, calcoli di

aritmetica a mente, ragionamento sillogistico e il gioco degli

scacchi.85 Per ciò che concerne l’attenzione divisa, Baddeley

ottenne risultati che dimostrarono come questa includa una capacità

dell’esecutivo separabile grazie ad esperimenti su malati di

Alzheimer. Questi ultimi infatti, mostrando deficit di memoria

episodica a lungo termine e deficit attenzionali, portarono Baddeley

a supporre che potessero soffrire di un problema nell’esecutivo

83 H. Silver et al., Evidence for Sustained Attention and Working Memory in Schizophrenia Sharing a Common Mechanism, in ‹‹ J. Neuropsychiatry Clin. Neurosc. 2005, n.17,pp. 391-398. 84 A.D. Baddeley et al, Random generation and the executive control of working memory, in ‹‹ Q. J. Exp. Psychol. ››, 1998, n. 51, pp.819–852. 85 G.Repovs – A.D. Baddeley, The multicomponental model of working memory: explorations in experimental cognitive psychology, p.13.

43

centrale. Venne elaborato uno studio per esplorare le performances

in compiti di dual task in cui ai pazienti era richiesto di portare a

termine la consegna impiegando il phonological loop e il taccuino

visuo-spaziale.

I risultati del test mostrarono come “la manipolazione del livello di

difficoltà del singolo compito svolto da solo non comprometteva in

maniera differenziata i pazienti con AD 86, anzi, in entrambi i casi il

livello di performance in un singolo compito da solo era uguale a

quello del gruppo di controllo giovani e del gruppo di controllo

anziani. Quindi il risultato non era influenzato dall’età ma era

comunque “drammaticamente compromesso.” Si può asserire

dunque che la capacità di attenzione divisa presenti una capacità

esecutiva separabile.87 La capacità di switching attentivo invece può

essere meglio considerata come un risultato di diversi processi e

non di un singolo processo esecutivo. Svariati studi hanno fallito

nel trovare una correlazione diretta tra sovraccarico dello switch

attentivo e contemporaneo sovraccarico dell’esecutivo centrale

nella sua totalità88, o nell’affermare che lo s.a. possa essere un

processo appartenente interamente all’esecutivo centrale89.

Di contro hanno evidenziato un contributo notevole del loop

fonologico sui processi di switch, soprattutto quando i compiti

richiesti non prevedevano indizi esterni ma un auto-mantenimento

dell’istruzione verbale tramite articolazione fonologica. Impedendo

86 Cfr, ivi, p.38. 87 Cfr. G.Repovs – A.D. Baddeley, The multicomponental model of working memory: explorations in experimental cognitive psychology, p.13. 88 Cfr. A. Allport – E.A. Styles – S.Hsieh, Shifting attentional set: Exploring the dynamic control of tasks in C.Umiltà – M.Moscovitch, Attention and performance XV: Conscious and nonconscious information processing, MIT Press, Cambridge, pp. 421–452. 89 A.D.Baddeley, Is working memory still working? in ‹‹European Psychologist ››, 2002, vol. 7, n. 2, p. 85.

44

quest’ultima dunque, i soggetti diminuivano l’efficienza nel

produrre i risultati richiesti.

L’esecutivo centrale invece partecipa nella fase esecutiva del

compito specifico.90

La quarta funzione dell’E.C, ovvero il collegare contenuti di WM

con la memoria a lungo termine, è stata attribuita non più a

quest’ultimo bensì al buffer episodico, l’ultima nuova componente

della W.M.; pertanto ciò che sembrava una sovracomponente

unitaria della working memory o un semplice homunculus, è

risultato invece un sistema frazionabile. Come dimostra molta della

letteratura scientifica91, in esso possiamo distinguere diversi

sottosistemi e funzioni esecutive separabili che si occupano di

immagazzinare le informazioni e di innumerevoli processi

cognitivi, alcuni dei quali aspettano ancora di essere esaminati dalle

neuroscienze. Da un indagine con la PET (per la quale furono

selezionati compiti cognitivi ritenuti validi a sondare l’EC), nei

quali si incrociavano situazioni di ‹‹ immagazzinamento

temporaneo e manipolazione››,92 si afferma che le funzioni dell’E.C

‹‹ sono distribuite tra le regioni anteriori e posteriori del cervello ma

possono anche riflettere un simultaneo coinvolgimento del sistema

attentivo controllato (frontale) e automatico (parietale) ››.93

Insomma sarebbero sempre più le prove del fatto che l’espressione

dei processi dell’EC potrebbe essere il ‹‹ risultato di multipli e

indipendenti moduli per il processamento informazionale ognuno

90 Cfr. G.Repovs – A.D Baddeley, The multicomponental model of working memory, p.13. 91 Vedi anche P.S.Goldman Rakic – A.R.Cools – K. Srivastava, The prefrontal landscape: Implications of Functional Architecture for Understanding Human Mentation and the Central Executive [and Discussion], in ‹‹ Phil.Trans.R.Soc.Lond ›› ,1996 , p.1451. 92 F. Collette et al., Regional brain activity during tasks devoted to the central executive of working memory, in ‹‹ Cognitive Brain Research ›› ,1999, vol.7, n.3 , p. 411. 93 Nello specifico il giro frontale mediale destro e sinistro, assieme all’area parietale sinistra. (Cfr. Ibidem).

45

con le sue caratteristiche di controllo sensorio, motorio e

mnemonico››94 e persino motivazionale95.

Ciò sarebbe in accordo con i dati di Stuss, che in “Functions of the

frontal lobe” scrive: ‹‹ recenti report hanno dimostrato consistenti

relazioni anatomico funzionali in cui si constata che “non c’è

esecutivo centrale”. Ci sono invece numerosi processi domain-

general discretamente distribuiti attraverso molte regioni frontali

che agiscono insieme per portare avanti il controllo››.96

Conclusioni

All’interno del nuovo modello di working memory l’esecutivo

centrale prende una nuova forma, meno “centrale”, anatomicamente

e funzionalmente più distribuita, dove i suoi processi sembrano

coinvolti ogni volta che l’informazione immagazzinata deve essere

manipolata, mentre la semplice rappresentazione ed il

mantenimento dell’informazione possono esserne indipendenti.97

Questo sistema avvia l’attenzione focalizzata, l’attenzione divisa ed

una delle componenti dello switch attentivo per lo svolgimento di

compiti che richiedono abilità cognitive complesse e concomitanti,

con la collaborazione del loop fonologico per ciò che concerne

l’immagazzinamento di programmi d’esecuzione, e del taccuino

visuo-spaziale per la guida dell’attenzione visuo-spaziale98.

94 P.S.Goldman Rakic et al., The prefrontal landscape, p. 1451. 95 Cfr, ibidem. 96 D.D .Stuss , Functions of the Frontal Lobes: Relation to Executive Functions in ‹‹ Journal of the International Neuropsychological Society ››, 2011, vol 17, n 5, p. 759. 97 Cfr. G.Repovs – A. Baddeley.A, The multicomponental model of working memory, p.14. 98 Cfr. Ibidem, p.15.

46

3.2 Il phonological loop

All’interno del sistema working memory troviamo la verbal working

memory, identificabile con il “phonological loop”, composto da un

magazzino fonologico deputato alla conservazione temporanea

della traccia in forma acustica o fonologica, integrato ad un sistema

di rehearsal (ripetizione) o controllo articolatorio, analogo alla sub-

vocalizzazione 99 che serve sia al mantenimento della traccia

fonologica che a riarticolare le informazioni sottoforma di parole o

musica, in modo da rinnovare o “rinfrescare” (refreshing)

continuamente il dato, che altrimenti andrebbe perso, anche se è

utile dire che per i dati musicali esiste un “musical phonological

loop”100, un altro sottosistema che pur intersecandosi col

phonological loop presenta differenziazioni. Il circuito fonologico

possiede dei sub-strati neurali che abbracciano un territorio

cerebrale veramente vasto tra cui, solo per citarne alcuni: la

corteccia dorso-laterale prefrontale, la corteccia cingolata anteriore,

quella posteriore parietale, la dorso-laterale prefrontale, l’inferiore

frontale, la premotoria, la posteriore parietale e anche il

cervelletto101. Studi su pazienti con deficit del loop fonologico

risultanti da lesioni, incrociati con studi di neuro-immagine,

identificano attività a carico del suddetto sistema prevalentemente

nell’emisfero sinistro ma anche un’attività omologa nell’emisfero

destro in condizioni particolari.102 Gli studiosi ‹‹ supportano

l’ipotesi che vi siano separabili sistemi di immagazzinamento e di

rehearsal, con l’area 44 di Broadmann che rappresenta la parte della

99 A.D.Baddeley, Working memory, in ‹‹ Philos Trans R Soc ››,1983, n. 302 , pp. 311–324. 100 Alan Baddeley: introduction of the phonological loop in http:\\ www.youtube.com/watch?v=2zF15C3vnIw. 101 J.Jonides – E.H.Schumacher – E.E. Smith, The Role of Parietal Cortex in Verbal Working Memory, in ‹‹ The Journal of Neuroscience ››, 1998, vol. 18, n.13, pp. 5026-5034. 102 A.D. Baddeley, Working memory and Language : an overview, p. 192.

47

corteccia associata all’immagazzinamento, mentre il rehearsal sub-

vocale sembra essere associato all’area di Broca (Broadmann 6 e

40)››.103Ma in che modo le informazioni hanno accesso al loop

fonologico?

Nel manuale dei disturbi della memoria Baddeley , Kopelman e

Wilson propongono una struttura sul funzionamento del loop

fonologico basandosi su ‹‹ un’eccellente review di dati da pazienti

con deficit della memoria a breve termine fonologica ›› di Vallar e

Papagno riportata qui di seguito:

‹‹ Le informazioni uditive sono analizzate (A) e immesse in un

magazzino a breve termine (STS) (B). L’informazione da questo

sistema può passare ad un sistema per output fonologici (C) il quale

può risultare in output vocali o in rehearsal. Questo potrebbe

reimmettere l’informazione subvocalmente nell’STS, e quando il

rehearsal è esplicito si reimmette tramite le orecchie. Il materiale

presentato (D) potrebbe essere trasferito da un codice ortografico

verso un codice fonologico (E) e successivamente registrato

all’interno del magazzino per gli output fonologici››.104

Cosa vuol dire ciò? In altre parole, se una persona sente pronunciare

la parola caffè questa può entrare direttamente all’interno della WM

verbale; se vede l’insegna caffè o l’immagine di una tazzina,

tramite articolazione sub-vocale o ripetendo “caffè” a voce alta,

potrebbe immettere indirettamente il concetto nella wm una volta

trasdotto in codice fonologico.

Può farlo persino richiamando alla mente il concetto già disponibile

nella memoria a lungo termine105. Vi sono dunque dati della più

103 Ibidem. 104 Ib (Traduzione mia, riadattata in italiano). 105 ‹‹Gli input verbali entrano direttamente attraverso la presentazione uditiva; indirettamente attraverso l’articolazione sub-vocale e l’informazione fonologica immagazzinata nella memoria a lungo termine››. M.W.Eysenc – M.T. Keane, Manuale di psicologia cognitiva, p. 130.

48

svariata natura che hanno accesso al magazzino fonologico, ma vi

sarebbe una codifica in entrata. Nell’articolo pubblicato nel 2006

sulla rivista Neuroscience, Repovs e Baddeley scrivono:

‹‹ informazioni di altre modalità entrano nel magazzino fonologico

solo tramite recodifica in forma fonologica, un processo attuato dal

rehearsal articolatorio››.106 Tuttavia la capacità del magazzino

fonologico è limitata dal numero di items che possono essere

articolati nel tempo disponibile, prima che la traccia mnemonica sia

svanita107.

3.3 Limiti del magazzino fonologico

Le prime ricerche usando la tecnica del richiamo immediato seriale

per testare lo span del m.v.b.t. arrivarono alla conclusione che esso

può trattenere solo un gruppo limitato di informazioni, stimate a

cinque od otto.

Delle prove successive però mostrarono che a fare la differenza sul

numero di items trattenuti sarebbero proprio le varie caratteristiche

di ogni singolo item.

Gli effetti di queste caratteristiche vengono raggruppate in quattro

tipologie differenti108 riportate qui di seguito.

106 G. Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory, p. 7. 107 Cfr. Ibidem. 108 Cfr. A.D.Baddeley, La memoria umana.

49

3.4 L’effetto di similarità fonologica

Ricerche di Conrad ed Hull nei test di richiamo seriale immediato ci

mostrano come sequenze di lettere in inglese dissimili per suono

come BWYKRX sono più facili da ricordare rispetto a sequenze di

lettere simili come TCVDBG.109 I risultati dei due ricercatori

assieme a molti altri portano alla conclusione che ‹‹ mentre la

similarità nel suono compromette il numero di parole ricordate,

similarità nel significato hanno poco effetto››.110 Ma perché si

verifica ciò? Molto probabilmente perché questo magazzino

temporaneo è basato su un codice fonologico111 e così tutti i dati

che vi vengono memorizzati. Ecco perché il grado di somiglianza

fonologica nella sequenza determina il numero di items ricordato; si

pensi all’esempio di trovare una camicia “bianca” nell’armadio

cercandola tra innumerevoli camicie bianche: trovare quella giusta è

certamente più difficile che trovarla tra camicie nere per esempio o

tra pantaloni. ‹‹ Mentre invece l’apprendimento a lungo termine di

questo materiale è influenzato da similarità di significato, ma non di

suono ››112.

109 Baddeley, A.D., La memoria umana, 89. 110 Baddeley, A.D, Working memory and Language : an overview, 191. 111 Cf. Baddeley,A.D., La memoria umana, 89. 112 Repovs, G – Baddeley, A., The multicomponent model of working memory, 7.

50

3.5 L’effetto dell’informazione a cui non si presta attenzione

Presentando a dei soggetti delle liste di items da rievocare

verbalmente a breve termine è possibile interferire con la

rievocazione se contemporaneamente si è esposti a dati verbali

irrilevanti, sia che questi vengano somministrati dopo che durante la

presentazione delle liste.113 Sembrerebbe proprio che i dati di

diversa natura competano tra loro, indipendentemente dalle

tipologie. Colle e Welsh dimostrarono che è possibile interferire

presentando items visivi; Hanley e Broadbent e successivamente

anche Neath et al. che è possibile farlo con items presentati

uditivamente e con lo stesso effetto di interferenza; variazioni di

tono sia nel parlato che nella musica furono dimostrati da Jones ecc.

A quali conclusioni si è arrivati dunque? Come si spiega l’effetto?

Ricerche più recenti rispetto a quelle già presentate, come quella di

Norris et al. del 2004, dimostrano come l’effetto sia assente quando

le informazioni da ricordare non sono codificate nel magazzino

fonologico, anche quando la ripetizione sub-vocalica è impedita114.

La teoria più accreditata per spiegare l’effetto è stata avanzata da

Page e Norris col modello primacy. I due studiosi suggeriscono che

l’irrelevant sound effect arrivi attraverso una competizione di

risorse tra due parti.

La rappresentazione dell’ordine degli items nella lista da ricordare

andrebbe in competizione con l’ordine degli input nella lista di

suoni da non ricordare (lista di suoni irrilevanti). 115

113 Cfr. G.Repovs – A.Baddeley, The multicomponent model of working memory, p. 7. 114 Ibidem, p.7. 115 D.Norris – A.D. Baddeley – M.P.Page, Retroactive effects of irrelevant speech in serial recall from short term memory in ‹‹ J Exp Psychol Learn Mem Cogn ››, 2004, n. 30, pp. 1093–1105.

51

3.6 Il word lenght effect

La durata delle parole ha effetto sulla capacità di memoria

immediata, tanto che più la lunghezza delle parole presentate in

sequenza aumenta, più questa diminuisce; questo è quanto si sapeva

fino a qualche anno fa. Da esperimenti si è notato che la maggior

parte delle persone non ha problemi nel ricordare liste

monosillabiche fino a cinque parole circa, mentre incontra più

difficoltà con le polisillabiche116.

Prima di giungere ad interpretazioni più recenti, ciò fu interpretato

come un decadimento della traccia mnemonica nel tempo, solo a

causa della lunghezza delle parole, che essendo più lunghe

avrebbero necessitato di una ripetizione più lunga, che non essendo

possibile comportava il decadimento della traccia117. Il soggetto

insomma non fa in tempo a ripetersele che ha già dimenticato; e

questo è ciò che visibilmente succede: in pratica le parole, ‹‹dopo

circa un secondo e mezzo o due non possono essere più

recuperate››.118 A questo punto dunque gli studiosi cominciarono ad

intuire che ‹‹c’è una correlazione tra la velocità di emissione delle

parole e lo span di memoria di un soggetto››.119 ‹‹ Oggi sappiamo

che l’effetto di lunghezza della parola non è tanto legato

all’estensione della stringa lessicale quanto alla rapidità della

pronuncia e di lettura del singolo individuo››.120 In esperimenti di

memory span per i numeri, dove viene testata la memoria a breve

termine verbale, ai soggetti si da una stringa di numeri da ricordare

116 Cfr. A.D.Baddeley, La memoria umana, p. 91. 117 A.D.Baddeley – N. Thomson – M.Buchanan, Word length and the structure of short-term memory, in ‹‹ Journal of Verbal Learning and Verbal Behaviour ››, 1975, n.14, pp. 575–589. 118 A.Velardi, Linguaggio e memoria, p.150. 119 A.D. Baddeley , La memoria umana, p. 93. 120 A.Velardi, Linguaggio e memoria, p.150.

52

e ci si è accorti che se si fa con l’inglese lo span medio è di circa sei

numeri, in italiano è ancora meno ed in ebraico ancora meno.

Nei cinesi che usano raggruppare più numeri in uno stesso simbolo,

lo span è perfino maggiore121. ‹‹ Ellis ed Hennelly hanno notato che

i bambini di lingua gallese posseggono un’ampiezza di span per i

numeri inferiore a quella dei bambini di lingua inglese.

A spiegare questa curiosa differenza è il fatto che nella lingua

gallese i suoni che esprimono i numeri sono molto lunghi e questo

causa un impiego maggiore della memoria di lavoro ››.122

Inoltre se si ha un buono span per i numeri si è più bravi con

l’aritmetica. Non è solo un problema di ripetizione ma anche di

richiamo: più lunghe son le parole da richiamare più tempo occorre,

quindi esiste un word lenght effect.123

Un certo numero di studi ha comparato la ritenzione di parole

disillabiche comprendenti vocali corte a pronuncia veloce, come

bishop, wicket o lunghe come harpoon, e Friday e fu trovato un

effetto di durata, ma non fu lo stesso per altri ricercatori che

usarono items differenti. Muller è arrivato alla conclusione che ‹‹la

complessità fonologica di per sè potrebbe non avere rilevanti effetti

nello span di memoria oltre a quelli attribuibili alla durata

dell’articolazione del significato e alle differenze fonologiche››.124

121 Alan Baddeley: introduction of the phonological loop in http:\\ www.youtube.com/watch?v=2zF15C3vnIw 122 Cit in. A.Velardi, Linguaggio e memoria, p.150. 123 Alan Baddeley: introduction of the phonological loop in http: \\ www.youtube.com/watch?v=2zF15C3vnIw 124 Cfr. G.Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory.

53

3.7 La soppressione articolatoria

La soppressione articolatoria avviene quando un soggetto deve

effettuare ripetutamente un’articolazione implicita o esplicita di

uno stimolo irrilevante, per esempio ripetere la parola “tra” più

volte e continuamente, mentre nel frattempo gli vengono presentati

numeri per una prova di span, per via uditiva o visiva. Questa

“interferenza” è in grado di sopprimere il rehearsal articolatorio e di

diminuire lo span125. ‹‹ Si pensa che questo avvenga perché

l’articolazione di elementi irrilevanti domina il processo di

controllo articolatorio, impedendo che esso venga usato per

mantenere il materiale che è già stato inviato al magazzino

fonologico o per convertire materiale visivo in codice

fonologico››.126 In sostanza quando la funzione della ripetizione

articolatoria viene disabilitata ha effetti a cascata su molte cose;

l’effetto lunghezza di parola viene abolito per esempio, e questo fa

pensare che l’articolazione sub-vocale in tempo reale serva a

rinfrescare le tracce in decadimento nel magazzino fonologico127.

Tuttavia l’abilità di ricordare items non è mai completamente

impossibilitata, anche in soggetti con problemi, dunque ciò fa

supporre ‹‹che vi siano altre vie possibili per immagazzinare

informazioni verbali, e un candidato potrebbe essere il buffer

episodico››.128

Ma l’effetto lunghezza di parola non è l’unico ad essere influenzato

dalla soppressione articolatoria. Durante la presentazione di items

visivi da ricordare infatti, questa può disabilitare il trasferimento di

125 Cfr. A.Baddeley, La memoria umana, p. 96. 126 Ibidem. 127 Cfr. G.Repovs – A.Baddeley, The multicomponental model of working memory,p. 8. 128 Ibidem.

54

informazioni nel magazzino fonologico, come evidenziato in

condizioni di similarità fonologiche o di suoni irrilevanti.

La presenza di effetti durante la somministrazione di parole

irrilevanti o dell’ effetto di similarità fonologica, nonostante la

soppressione articolatoria durante presentazione di liste di items per

via uditiva, implica che il linguaggio abbia un accesso automatico e

privilegiato al magazzino fonologico by-passando i processi di

rehearsal articolatorio129.

3.8 Altri compiti del loop fonologico: acquisizione del linguaggio

e guida del comportamento

Il circuito fonologico è implicato nell’acquisizione del linguaggio?

Grazie ad uno studio in collaborazione tra Baddeley e i due

scienziati italiani Vallar e Papagno, furono trovate interessanti

correlazioni tra difetti nel loop fonologico e l’acquisizione di nuove

lingue o comunque di vocaboli nuovi130. Venne identificata una

paziente con difetto di memoria a breve termine e normale memoria

a lungo termine, normale intelligenza e normale linguaggio.

La paziente superò tutti i test preliminari ma quando le venne

presentato materiale nuovo da apprendere per via uditiva o visiva,

nel caso specifico alcune parole in “lingua russa”, i risultati furono

molto scadenti, comparati con quelli di altre persone normodotate.

In italiano andava bene, ma in russo, sebbene dovesse apprendere

una sequenza di sole otto parole, non riusciva. Lo stesso

esperimento è stato proposto a studenti normodotati, a cui veniva

129 Cfr. G.Repovs – A.Baddeley, The multicomponental model of working memory, p.8. 130 A.D.Baddeley – C.Papagno – G.Vallar, When long-term learning depends on short-term storage in ‹‹ Journal of Memory and Language ››, 1986, n.27, p.586.

55

provocata la soppressione articolatoria, la variazione di lunghezza

delle parole e tutto ciò che potesse bloccare il loop fonologico e i

risultati furono comparabili al caso sopracitato: interferenze

nell’acquisizione di nuovo vocabolario131. Ma problemi che

causano difficoltà nell’apprendimento del linguaggio possono

essere non solo a carico della componente articolatoria della

working memory verbale, ma anche selettivi del magazzino

fonologico.132 Investigando un gruppo di bambini con uno specifico

disturbo del linguaggio ma una normale intelligenza non verbale e

un ritardo di due anni nello sviluppo del linguaggio, comparati con

bambini normali (uguali per età ed intelligenza non verbale) e

bambini più giovani con stesse capacità linguistiche, Gathercole e

Baddeley non trovarono prove relative a difficoltà articolatorie o

uditive. Questo suggerì che il deficit doveva essere causato da un

problema nella componente del loop relativa all’

immagazzinamento fonologico133. Quindi il loop fonologico sembra

un sistema coinvolto nell’acquisizione del linguaggio e ciò è vero

anche per l’acquisizione della lingua madre: una scarsa capacità di

ripetizione correla con uno scarso apprendimento del linguaggio

anche in bambini con intelligenza normale.

Come sostiene Baddeley, ‹‹ questo non significa che avendo uno

scarso loop fonologico non si acquisirà il linguaggio o un buon

vocabolario, perché con la crescita altri fattori arrivano in aiuto.

Per esempio molto spesso è il legame tra la parola e il contesto che

da significato alla parola. Per l’apprendimento del linguaggio è

131 A.D.Baddeley, Working memory and Language : an overview, pp.194-195. 132 Cfr. Ibidem. 133 Ibidem, 194-195.

56

necessario capire il contesto e avere una certa ricchezza di stimoli

ambientali ››.134

Il l. fonologico è implicato anche nel controllo del comportamento?

In alcuni esperimenti per studiare il ruolo della memoria nel

controllo di azioni semplici o i programmi coinvolti nel passaggio

regolare (regular switching) da un compito all’altro (nel caso

specifico tra addizione e sottrazione) si è notato che la soppressione

articolatoria aveva l’abilità di disturbare principalmente la seconda

condizione135 ‹‹ e ciò ha svelato un importante ruolo per il

phonological loop nel controllo dell’azione››.136

Molti anni prima già Luria e Vygotsky avevano colto l’importanza

del linguaggio esplicito per guidare i comportamenti e le azioni,

soprattutto come forma di auto-aiuto negli individui con danni

cerebrali. ‹‹ Luria poneva enfasi sul linguaggio come sistema

cognitivo che lavora sempre in stretta relazione con processi

cognitivi non verbali››.137

Rivedendo i suoi lavori e quelli di Vigotsky , Baddeley iniziò a

studiare il modo in cui LF e comportamento sono legati, arrivando

ad asserire che la sub-vocalizzazione potrebbe essere un

meccanismo per il mantenimento “del controllo strategico”, come

quando si montano i pezzi di un oggetto, si ripassano le priorità nel

riordino della stanza o ‹‹ quando si guida lungo una strada

‹sconosciuta sotto condizioni atmosferiche stressanti››.138 Come

Miyake e Shah puntualizzano, è come se il phonological loop fosse

134 Alan Baddeley: introduction of the phonological loop http: \\ www.youtube.com/watch?v=2zF15C3vnIw 135 Cfr. A.D.Baddeley – D. Chincotta – A. Adlam, Working memory and the control of action: Evidence from task switching, in ‹‹ Journal of Experimental Psychology: General›› 2001, vol. 130, n. 4, pp. 641-657. 136 A.D. Baddeley, Working memory and Language : an overview, p. 199. 137 A.D.Baddeley et al., Working memory and the control of action,p. 641. 138 A.D. Baddeley, A.D, Working memory and Language : an overview, p.199.

57

molto più che uno slave system usato solo nell’ acquisizione del

linguaggio139.

3.9 Il taccuino visuo-spaziale

Alcuni lo considerarono in qualche modo l’analogo visivo del

phonological loop. Questo circuito serve per mantenere e

manipolare informazioni visuospaziali, un’ operazione essenziale

per portare a termine molti compiti cognitivi. In passato non vi era

una chiara scissione tra funzioni e componenti visive e spaziali, ma

nuove ricerche hanno portato ad un frazionamento del taccuino

visuo-spaziale rispetto al modello originario e gli sforzi dei

ricercatori si concentrano adesso sull’analisi delle sue componenti e

sul modo in cui le informazioni vengono mantenute e rappresentate.

Possiamo tranquillamente considerare comprovata ormai l’esistenza

di sub-componenti visive e spaziali della memoria di lavoro non

verbale: esperimenti di natura neuropsicologica come quello di

Darling et al140 hanno mostrato che compiti di “interferenza

spaziale” compromettono in maniera significativa la performance in

vari compiti della spatial working memory, mentre ciò non ha alcun

effetto sulle capacità visive, dunque dimostrerebbe l’evidenza di

una divisione.141

Sempre nello stesso ambito, numerosi altri scienziati cominciarono

ad indagare la divisione visuo-spaziale della working memory,

come Zhao e Klauer per esempio, i quali supportano ‹‹ l’esistenza

di separati magazzini visivi e spaziali, nonchè separati meccanismi

139 Cfr. A.Miyake – P. Shah, Models of working memory: mechanisms of Active Maintenance and Executive Control, Cambridge University Press, p.1999. 140 Darling et al., Behavioural evidence for separating components within visuo-spatial working memory, in ‹‹ Cognitive Processing ›› , Springer , 2007 , vol 8, n.3, pp. 175-181. 141 Cfr. G. Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory,p. 8.

58

di rehearsal per ognuno dei due, indipendenti dall’ esecutivo

centrale››.142

Quest’ultimo infatti sarebbe coinvolto soltanto in compiti di

manipolazione dell’informazione,143 mentre il mantenimento di

queste spetterebbe ad altre componenti.

A partire dalla scoperta di una organizzazione più complessa del

taccuino visuo-spaziale cominciarono ad abbondare le ricerche atte

a marcare i confini di questo sistema, per trovare legami con altri

processi cognitivi o escluderli. Ci si chiede per esempio che legame

possa avere la WM con la ricerca visiva e si trovano risposte di

vario genere, due delle quali offrono risultati davvero selettivi.144

Si tengano presenti le seguenti situazioni: ad un gruppo di soggetti a

cui vennero sottoposte prove in una condizione di dual task ‹‹ un

contemporaneo compito di WM visiva non comprometteva

l’efficienza della ricerca visiva, come dimostrato dall’ assenza di

cambiamenti nelle prestazioni di ricerca e non comprometteva

nemmeno l’accuratezza››.145 La stessa cosa non sembra accadere

per compiti di WM spaziale. Questi infatti, se presentati

contemporaneamente a compiti di ricerca visiva, riducono

l’accuratezza dei compiti di WM e riducono l’efficienza della

ricerca visiva146. Un’altra branca di esperimenti si è invece rivolta

ad osservare la visual working memory distinguendone processi

attivi e passivi, diversificandone i momenti di utilizzo.

Noti in questo campo sono gli esperimenti pubblicati sul Journal of

Cognitive Neuroscience nel 2005 di Mohr e Linden, secondo i quali

meccanismi attivi sono reclutati da compiti che richiedono modifica

142 Cf. Ibidem. 143 R.Bruyer – J.Scailquin , The visuospatial sketchpad for mental images: Testing the multicomponent model of working memory, in ‹‹Acta Psychol ››, 1998) , n.98, pp. 17–36. 144 Cfr. G.Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory, p.8. 145 Ibidem. 146 Cfr. Ibidem.

59

di informazioni, trasformazioni, integrazione e manipolazioni,

mentre diversamente i meccanismi passivi sono reclutati da compiti

che richiedono richiamo di informazioni del formato uguale a

quello dei dati memorizzati147. Questi ricercatori hanno dimostrato

interferenze in condizioni sperimentali di dual task all’interno dello

stesso dominio e nessuna interferenza tra concomitanti compiti di

manipolazione di colori e di informazioni spaziali, rispetto a

situazioni in cui il compito è singolo148.

Al contrario, “compiti di manipolazione, hanno interferito in

entrambi i domini se svolti mentre veniva presentato

contemporaneamente un random generation task, il quale è legato

fortemente all’esecutivo centrale, mentre l’interferenza era assente

nel caso di compiti di mantenimento”149.

Cosa vogliono dirci i risultati di questi esperimenti?

Che sia le componenti visive che quelle spaziali della WM

utilizzano risorse specifiche e indipendenti per i processi di

manipolazione dell’informazione, ma condividono entrambi risorse

con l’esecutivo centrale.

Ne concludiamo che la memoria di lavoro visuo-spaziale non è un

sistema unitario ma è divisa in sottosistemi visivi e spaziali ed

ognuno di essi possiede un meccanismo di immagazzinamento

indipendente da ogni altro, così come i propri processi di

mantenimento e i processi di manipolazione dipendenti

dall’esecutivo centrale150. Varie sono state le proposte scientifiche

per spiegare questi meccanismi.

147 H.M. Mohr – D.E.J. Linden, Separation of the systems for color and spatial manipulation in working memory revealed by a dual-task procedure, in ‹‹ Journal of Cognitive Neuroscience ›› 2005, n.17, p. 355–366. 148 Ibidem. 149 Cfr. G.Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory, p.8. 150 Cfr. Ibidem.

60

3.9.1 Rappresentazione e mantenimento di informazioni

Un frazionamento del taccuino visuo-spaziale (molto simile a

quello a doppia componente proposto per il loop fonologico) con un

meccanismo di immagazzinamento passivo ed un processo

dinamico di mantenimento e richiamo fu proposto da Logie,151ma

ancora non risulta formalmente accettabile; mentre una possibilità

più convincente adatta a spiegare soprattutto i meccanismi di

mantenimento e richiamo è stata avanzata da Johnson, secondo il

quale vi sarebbe un meccanismo che permette di trattere

l’informazione e di “rinfrescarla” continuamente152. Baddeley pensa

che forse ciò che facciamo sia “interrogare continuamente la

rappresentazione dell’informazione contenuta nella memoria a

lungo termine”153. Insomma il panorama di risposte è veramente

ampio e ancora non del tutto definito e alcuni ritengono che

l’informazione nella VWM potrebbe essere trattenuta nella forma di

oggetti integrati154; i risultati di Vogel et al. portano a pensare che la

quest’ultima sia infatti limitata dal numero di oggetti che bisogna

ricordare e non dal numero di caratteristiche distinguibili che

compongono ogni singolo oggetto.

Wheeler e Treisman hanno testato con quale impatto le

caratteristiche di una configurazione siano trattenute in VWM, da

151 Cfr, ivi, 55. 152 Alan Baddeley - rehearsal in visuospatial sketch pad: http //www.gocognitive.net 153 Ibidem. 154 Esperimenti di Luck e Vogel hanno stabilito che gli osservatori sono abili a trattenere informazioni circa tre o quattro differenti caratteristiche all’interno di una singola dimensione (colore e orientamento) e queste possono essere successivamente combinate con altre tre o quattro caratteristiche di un'altra dimensione quando integrate dentro oggetti. Quindi, i soggetti erano abili a ritenere sedici caratteristiche individuali quando queste erano distribuite su quattro oggetti, ognuno dei quali definito da una congiunzione di quattro caratteristiche. (Cfr. E.K. Vogel – G.F. Woodman – S.J. Luck, Storage of features, conjunctions, and objects in visual working memory, in ‹‹ Journal of Experimental Psychology››, 2001, n.27, pp. 92–114.

61

sole o in un insieme integrato155; mostrando che le singole

caratteristiche lasciano una traccia più forte, più difficile da

dimenticare e sono mantenute indipendentemente e non

necessariamente in forma integrata. Addirittura l’insieme integrato

spesso veniva dimenticato più facilmente e sembrava dipendere

dalla capacità dei soggetti di dedicare al compito quelle risorse

attenzionali che con più frequenza erano limitate156.

L’attenzione è chiaramente coinvolta e fusa in molti processi di

visual working memory e, a seconda di come i compiti richiesti in

maniera differente gravano sulle risorse attentive, gravano anche

sulla working memory. Ricerche di Barnes, Nelson e Reuter-

Lorentz atte a studiare proprio “l’overlapping” (sovrapposizione) di

meccanismi attentivi e VWM, chiariscono come due attributi

possano essere più facilmente discriminati quando sono parte di un

singolo oggetto, rispetto a quando sono parte di due oggetti

differenti e inoltre come i processi attenzionali che sono necessari e

utilizzati nel mantenere oggetti nella working memory siano gli

stessi usati anche per la selezione di oggetti percepibili in una scena

visiva157; i due meccanismi sono dunque in una certa misura

sovrapponibili. Risultati questi che si accordano a quelli della

ricerca dal titolo: “The capacity of visual short-term memory is set

both by visual information load and by number of objects” di

Alvarez e Cavanagh, in cui si evince proprio che soltanto un

155 Con esperimenti di “change detection task”. ( Cfr. M.E Wheeler – A.M.Treisman, Binding in short-term visual memory, in ‹‹J Exp Psychol Gen ››, 2002, n.131, pp. 48–64. 156 Allen, Baddeley e Hitch in una ricerca successiva a quella di Wheeler e Treisman trovano risultati che dimostrerebbero come l’integrazione (binding) di caratteristiche in realtà richieda solo un ammontare minimo di attenzione addizionale per il processamento, ma la somministrazione di items susseguenti può avere l’effetto di compromettere l’integrazione, impedendola. Cfr. R.J.Allen – A.D.Baddeley – G.J.Hitch, Is the binding of visual features in working memory resource-demanding? in ‹‹ J Exp Psychol Gen ››. 157 L.L.Barnes – J.K.Nelson - P.A.Reuter-Lorenz,Object-based attention and object working memory: overlapping processes revealed by selective interference effects in humans,in ‹‹Prog Brain Res ›› , 2001, n.134,pp. 471–481.

62

numero di oggetti veramente semplici (per carico di informazione

visiva) possono essere immagazzinati incrementando il limite fino a

cinque items; se aumentiamo il numero di questi oltre il limite dato

e\o aumentiamo il carico di informazione visiva, la capacità di

immagazzinamento viene notevolmente ridotta158; questi risultati

‹‹sono congruenti con la proposta di Wheeler e Treisman che il

numero di oggetti trattenuti in memoria dipende dal massimo

numero di distinte caratteristiche che possono essere ritenute

all’interno di una specifica dimensione››. 159

Ma quali sono i circuiti cerebrali coinvolti nei processi sopracitati?

Pare che la capacità di monitorare l’ordine in cui gli stimoli

vengono presentati ma anche “l’encoding”, e persino la capacità di

tenere a mente l’ordine preciso di una serie di stimoli dopo la

presentazione, sembri dipendere dall’attività della corteccia

prefrontale, in maniera specifica della sua sezione medio-dorsale160.

Dove ci portano i risultati di queste ricerche? Certamente sembrano

ormai chiarire alcuni punti:

- i processi di selezione visiva e di mantenimento nella working

memory condividono stesse risorse attentive;

- la ritenzione in memoria di oggetti integrati è realizzata da un

meccanismo di integrazione che ha un bagaglio di risorse

attenzionali limitate;

158 G.A. Alvarez – P. Cavanagh, The capacity of visual short-term memory is set both by visual information load and by number of objects, in ‹‹ Psychology Science ››, 2004, n.15, 106–111. 159 ‹‹ Oggetti che essi stessi combinano congiunzioni di caratteristiche all’interno delle stesse dimensioni, velocemente esauriscono il numero disponibile di distinte caratteristiche trattenute all’interno di una specifica dimensione, limitando significativamente il numero totale di oggetti trattenuti in memoria ››. (Cfr. G.Repovs – A.Baddeley, The multicomponental model of working memory). 160 Gli autori della ricerca condotta su scimmie fanno presente che ‹‹ l’accessibilità a queste informazioni distribuite in un ordine seriale così dettagliato permette pianificazioni cognitive e di manipolazione mentale di alto livello che dipendono dalla corteccia prefrontale ››. (C. Amiez – M.Petrides, Selective involvement of the mid-dorsolateral prefrontal cortex in the coding of the serial order of visual stimuli in working memory, in ‹‹ Pnas ››, 2006).

63

- il modo in cui avvengono rappresentazione e mantenimento di

caratteristiche singole nella VWM, ha avuto alcuni chiarimenti

soprattutto neuropsicologici ma necessita ancora di ulteriori studi,

pertanto non è ancora chiaro.

3.9.2 Rappresentazione e mantenimento nella WM spaziale

Baddeley fece l’ipotesi che il sistema volto a controllare

l’attenzione visiva potesse essere coinvolto nel rehearsal di

informazioni spaziali. Partendo dal fatto che l’attenzione focalizzata

è coordinata insieme ai movimenti oculari e disturbando questi

ultimi è possibile interferire con compiti di memoria di lavoro

spaziale; ciò fece ipotizzare che in qualche modo movimenti

oculari, attenzione visiva e memoria di lavoro spaziale dovessero

essere collegati. Altri ricercatori sono riusciti a dimostrare che

anche ulteriori movimenti del corpo come il tamburellare con le

chiavi o movimenti delle braccia, anche immaginati, causano

interferenze alla memoria di lavoro spaziale161.

‹‹Quindi sembrerebbe che la pianificazione dei movimenti e non

l’esecuzione di per sé, sia la sorgente dell’interferenza con la

memoria di lavoro spaziale ››.162

A questo punto si iniziò ad ipotizzare che potesse esistere un

comune meccanismo di shift dell’attenzione spaziale sia per i

movimenti delle braccia che degli occhi.

161 M.M.Smyth, Interference with rehearsal in spatial working memory in the absence of eye movements, in ‹‹ Q. J. Exp. Psychol ››, 1996, n. 49, 940–949 ; vedere anche P. Johnson, The functional equivalence of imagery and movement, in ‹‹ Q. J. Exp. Psychol ››, 1982 , n.34, pp. 349–365. 162 Cfr. G.Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory, pp. 11.

64

Per alcuni ricercatori è indiscussa infatti una funzionale

sovrapposizione tra meccanismi di working memory spaziale e

attenzione spaziale selettiva.163

A comprovare ciò, i risultati di test che mostrano come i soggetti

che sono indotti a spostare l’attenzione visiva dai “loci” che

tenevano a mente nella working memory hanno poi compromissioni

nell’ abilità di ricordare e perciò individuare questi stessi nello

spazio. Secondo Awh e Jonides il processo che dirige mentalmente

l’attenzione nelle posizioni memorizzate attua esso stesso una

funzione di rehearsal per impedire il decadimento e mantenere le

informazioni vive nella working memory spaziale; un processo

dunque tutto a carico dell’attenzione spaziale164.

Sono molti i risultati a favore di un meccanismo comune condiviso

dall’ attenzione visiva (ricerca visiva) e dalla memoria di lavoro

spaziale. Entrambe potrebbero essere collegate all’attenzione

spaziale, ‹‹ potrebbero condividere un sistema comune per

rappresentare informazioni spaziali o la memoria di lavoro spaziale

potrebbe attivamente essere coinvolta nel conservare la traccia di

luoghi gia visitati durante la ricerca visiva››.165 Alcuni autori

concludono che vi sia un meccanismo comune di interferenza come

lo shifting dell’attenzione spaziale, mostrando interferenze di egual

misura verso lo span spaziale sia che venissero coinvolti o inibiti i

movimenti saccadici degli occhi o i movimenti degli arti; 166mentre

altri dimostrarono che i movimenti oculari producevano un effetto

di interferenza ‹‹ significativamente più forte rispetto al solo shift

dell’attenzione››167 e quindi proprio i processi per il controllo oculo-

163 E.Awh – J.Jonides,Overlapping mechanisms of attention and spatial working memory in ‹‹Trends Cogn Sci ››, 2001, n.5, pp. 119 –126. 164 Cfr, ibidem. 165 Cfr. G.Repovs – A.D.Baddeley, The multicomponental model of working memory, p.11. 166 Ibidem, p.9. 167 Ibidem.

65

motorio avrebbero un ruolo fondamentale ‹‹nel rehearsal di

rappresentazioni luogo-specifiche all’interno della working

memory››.168

A quali conclusioni possiamo arrivare?

Forse è ancora un po’ presto per averne e sicuramente altre ricerche

devono essere fatte per elucidare tutti i meccanismi finora trattati e

avere maggiori certezze sul rehearsal nella memoria di lavoro

spaziale; tuttavia si può confermare l’ipotesi di uno stretto legame

tra movimenti oculari e memoria di lavoro visuo-spaziale e

considerare che luoghi o spazi all’interno della memoria di lavoro

spaziale potrebbero esistere sottoforma di rappresentazioni anche a

livello oculo-motorio.

3.9.3 Considerazioni riassuntive sul taccuino visuospaziale

Il taccuino visuo-spaziale è divisibile in sottocomponenti visive e

spaziali ognuna delle quali possiede i propri indipendenti e passivi

meccanismi di immagazzinamento, mantenimento e manipolazione.

Entrambe le sottocomponenti sono fortemente collegate a forme di

attenzione visiva, anche se la visual-working memory è

maggiormente collegata alla percezione e all’immaginazione visiva

mentre la parte spatial working memory più all’attenzione e

all’azione.169 La rappresentazione nel sottosistema visivo avviene

tramite ritenzione di un limitato numero di distinte caratteristiche di

base. Se prendiamo come esempio una mela rossa, la sua forma , il

suo colore e l’orientamento verranno immagazzinate in appositi e

specifici magazzini distinti per ognuna delle tre caratteristiche di

168 Ivi, 60. 169 Cfr. G.Repovs – A.D. Baddeley, The multicomponental model of working memory, p. 9.

66

base, che verranno poi integrate sino a formare una mela e, tramite

meccanismi che fanno riferimento al sistema attentivo, verranno

mantenuti in working memory, tuttavia il mantenimento può

risultare abbastanza vulnerabile tanto da pregiudicare l’encoding

perchè suscettibile di influenze percettive esterne.

L’encoding di informazioni nella visual w. memory ha mostrato di

essere compromesso da caratteristiche percettive bottom up come

ad esempio indizi visivi (visual cues), che si è visto influenzano il

trasferimento di informazioni visive nella working memory, come

dai risultati di Schmidt, di Woodman e di Xu.

Il primo ha notato come ‹‹ i soggetti fossero più accurati in compiti

di visual working memory quando l’item che doveva essere

individuato era preceduto da “visual cues” (indizi visivi), anche

quando l’indizio non era predittivo della dislocazione››.170 Il

secondo, come l’organizzazione percettiva di input visivi influenzi

il trasferimento di questi ultimi nella VWM, producendo risultati

empirici che gli hanno permesso di dimostrare come per fenomeni

legati ai principi gestaltici di vicinanza e connettività (indizi

percettivi bottom-up) si possa favorire o modificare l’accesso di

informazioni nella visual working memory.171 Xu mostra che le

caratteristiche degli oggetti sono trattenute in WM secondo tre gradi

di qualità, ovvero: meglio trattenute, quando sono parte dello stesso

segmento di un oggetto; meno, quando appartengono a un segmento

differente dello stesso oggetto e ancora peggio quando formano

oggetti spazialmente separati.172 Ma non sono soltanto le esperienze

bottom up ad influenzare l’encoding; l’esperienza passata è

170 G.Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory. 171 ‹‹ In un compito di change detection task infatti i soggetti erano più propensi a trovare un cambiamento in oggetti percettivamente raggruppati con l’oggetto contrassegnato rispetto ad un cambiamento in oggetti non raggruppati ›› (Ibidem). 172 Cfr, ib.

67

considerata un fattore top down capace di fare altrettanto. Resnik et

al. dimostrarono come strutture di scene visive conservate nella

memoria a lungo termine facciano da base all’attenzione del

soggetto, guidandolo nella selezione di informazioni “di un certo

tipo” che verranno poi trasferite alla working memory.

E’ come se fossimo più permeabili verso caratteristiche percettive

che appartengono ad una categoria che in passato abbiamo

giudicato “importante”, rilevante e allo stesso tempo ignorassimo

quelle irrilevanti. Nonostante molti dei meccanismi del taccuino

visuo-spaziale siano stati chiariti, possibili nuove informazioni di

notevole rilevanza riguardano la distinzione tra rappresentazioni

che appartengono ad esso e rappresentazioni che coinvolgono

l’immaginazione visiva e la sua integrazione con dati di diverso

dominio percettivo.

Adesso non resta che elucidare i processi per cui informazioni a

breve termine si fondono con informazioni a lungo termine per

mezzo del buffer episodico.

68

Capitolo IV°

Il buffer episodico

69

INTRODUZIONE

A circa venticinque anni di distanza dal primo modello di working

memory, Baddeley identifica una quarta e nuova componente da

integrare nel nuovo modello di working memory: l’episodic

buffer173 (il buffer episodico).

Nell’articolo pubblicato nel 2000: “The episodic buffer: a new

component of working memory” Baddeley lo definisce: ‹‹un sistema

con limitate capacità che provvede ad un immagazzinamento

temporaneo di informazioni conservate in codice multimodale

capace di integrare informazioni che provengono dai sistemi

sussidiari e dalla memoria a lungo termine, in una unitaria

rappresentazione episodica››.174 Anche se circa dieci anni più tardi

il modello subirà delle revisioni che saranno elucidate più avanti.

Intanto qui di seguito è presentata la versione originale.

La quarta componente della WM è chiamata dunque “buffer”

perché è un magazzino temporaneo, interfaccia tra informazioni

provenienti dagli slave systems e memoria a lungo termine.

In esso l’immagazzinamento di informazioni, piuttosto che essere

specifico per caratteristica come potrebbe essere per il taccuino

visuo-spaziale, è invece di natura episodica cioè multidimensionale,

dunque informazioni di diverso dominio vengono combinate tra

loro per formare episodi integrati; e perciò è chiamato “episodico”.

Le informazioni che afferiscono al buffer episodico per essere

immagazzinate provengono dai sistemi percettivi, dal taccuino

visuo-spaziale e dal loop fonologico, e possono essere integrate

173 Cfr. A.D.Baddeley, The episodic buffer : A new component of working memory? in ‹‹ Quarterly Journal of Experimental Psychology ››, 2000, n.51,pp. 852 - 891. 174 (Traduzione mia) A.D. Baddeley, The episodic buffer : A new component of working memory? p. 852.

70

all’interno di esso con altre provenienti dalla memoria a lungo

termine. Questo buffer non è totalmente indipendente per ciò che

concerne la coordinazione delle operazioni di integrazione e

mantenimento delle informazioni: al suo interno, “nel modello

originale”, è l’esecutivo centrale ad avere il controllo, 175‹‹ mentre il

retrieval delle informazioni è basato sulla “consapevolezza

cosciente” che mette insieme dati provenienti da più fonti e

modalità ››.176 Manipolando e integrando nuove e vecchie

informazioni e creando scenari mentali il buffer episodico “getta le

basi” per la pianificazione di azioni future.177

Molto di ciò che concerne il buffer episodico ha riguardato finora il

modo in cui informazioni multimodali e provenienti da più fonti

vengono integrate nella nostra mente. Si pensi a ciò che accade per

il processamento di informazioni visive: l’immagine viene

processata in diverse parti, colori, forme, distanze e caratteristiche

spaziali, ma alla fine noi la vediamo e ricordiamo integrata. Se

tentiamo di ricordare parole non correlate, senza contesto,

sicuramente ricorderemo meno rispetto a parole o frasi che per

esempio appartengono ad una storia. Ma dove vengono integrate

queste informazioni ? Forse, negli stadi iniziali, all’interno degli

slave systems, ma ad ogni modo, per acquisire la forma “episodica”

vengono probabilmente proiettate nel buffer episodico, che stando

alle ultime ipotesi178 di Baddeley potrebbe fungere da ‹‹schermo

passivo››179, il quale probabilmente non le integra da sè; cosa che lo

175 Cfr. G. Repovs – A.D. Baddeley, The multicomponental model of working memory: explorations in experimental cognitive psychology, in ‹‹ Neuroscience ››, 2006 , p.136. 176 Ibidem. 177 Cfr, ibidem. 178 In un’intervista, Baddeley propone una nuova versione di buffer episodico. http://www.gocognitive.net/binding in episodic buffer. Ultima consultazione, febbraio 2013. 179 Ibidem.

71

farebbe somigliare più ad un magazzino passivo “alimentato” dai

sottosistemi180.

Il modello teorico del buffer episodico non è ancora perfettamente

chiaro; sono necessarie pertanto altre ricerche scientifiche per

mettere fine ai dubbi, ma al momento può essere opportuno

esaminare la letteratura scientifica in merito all’argomento.

Conferme sperimentali per una quarta componente

In che modo Baddeley elaborò il concetto di “buffer episodico”?

Paradossalmente grazie ad alcuni problemi incontrati durante

osservazioni sperimentali a cui non si poteva dare risultato

seguendo il modello originale di working memory. Il modello a tre

componenti, infatti, non riusciva a spiegare come i soggetti di

alcuni esperimenti, sottoposti a soppressione articolatoria, potessero

richiamare dalla memoria items verbali presentati visivamente.

Normalmente la soppressione (come già esposto nel paragrafo sul

loop fonologico) impedisce la ripetizione di questo genere di

informazioni impedendone l’entrata all’interno del circuito,

rendendo impossibile il recall; ma qui, curiosamente, anche se lo

span di memoria risultava compromesso non impediva

completamente ai soggetti di rievocare un certo numero di

informazioni.181Questi dati si incrociavano con quelli di pazienti

con problemi nello span di memoria verbale a breve termine,

problemi deducibili dal fatto che questi fossero incapaci di ricordare

piu di una lettera, ma quando le informazioni anziché essergli

180 Ivi, 66. 181 Alan Baddeley: introduction of the episodic buffer in: http\\ www.youtube.com/watch?v=3a_cF46UiEU. Ultima consultaione , febbraio 2013.

72

presentate uditivamente, venivano presentate serialmente –

visivamente, la capacità di MBT saliva a più di quattro lettere;

quindi l’encoding di queste informazioni visive era portato a

termine anche se i processi di codifica visivi del taccuino visuo-

spaziale non sono capaci di attuare una ritenzione di questo tipo.

Era risaputo che il taccuino v.s. ed il loop fonologico avessero

sistemi e magazzini indipendenti, ma ‹‹ il modello non riusciva a

spiegare come informazioni dai due slave sub-systems potessero

essere integrate insieme››.182 Non potendo attribuire queste capacità

ad alcuno dei sistemi di w.m. esistenti, Baddeley propose un nuovo

sistema per l’immagazzinamento capace di codificare informazioni

anche quando gli slave systems ricevevano impedimenti, che

facilitasse il richiamo seriale e memorizzasse diversi tipi di

informazioni assieme.

Ma i problemi col modello a tre componenti non erano soltanto

quelli appena esposti; a lasciare dubbi vi erano un bel pò di risultati

tratti da osservazioni su molte aree, i quali necessitavano di un

nuovo modello teorico di riferimento. Si tengano presenti le

seguenti situazioni: se ai soggetti veniva chiesto di ricordare a breve

termine parole non collegate tra loro, il risultato era all’incirca di

cinque parole, mentre se lo stesso test era eseguito proponendo ai

soggetti delle frasi accomunate da uno stesso significato si arrivava

fino a sedici183 e comunque era evidente un vantaggio nel richiamo

di frasi integrate.

182 Cfr. G.Repovs – A. Baddeley, The multicomponental model of working memory: explorations in experimental cognitive psychology, in ‹‹Neuroscience ›› 2006, n.139, p.15. 183 A.D.Baddeley – G.J.Hitch – R.J.Allen, Working memory and binding in sentence recall, in ‹‹ Journal of Memory and Language ›› , 2009 , vol. 61, n.3, p. 438.

73

Quale processo permetteva di ricordarle piu facilmente e di

aggregarle in unità più grandi? Agli albori della nascita del

modello, la risposta era ancora sconosciuta. Per ciò che riguarda la

relazione tra consapevolezza cosciente e la memoria di lavoro

venne testata l’abilità di modellare in modi nuovi e “fantasiosi”

immagini provenienti dalla mlt, come quella di ‹‹ un elefante che

gioca a hockey sul ghiaccio››,184 o formare inoltre immagini nuove

o basate su conoscenze precedenti mentre avveniva una

contemporanea soppressione articolatoria o spaziale.

Nel frattempo i ricercatori esaminavano i giudizi di vividezza delle

immagini (dei partecipanti) e il risultato lampante era che tutte le

prove mostravano una combinazione di fattori che dovevano

necessariamente prevedere un’ interazione tra memoria di lavoro e

memoria a lungo termine185.

Ulteriori prove a supporto dell’ipotesi che il buffer episodico

esistesse186 e che fosse un sistema capace di combinare memorie a

lungo e a breve termine era il fatto che la componente fonologica

del modello non dava sufficienti spiegazioni del perchè lo span per

frasi o prosa (soprattutto se collegate da un significato) fosse

abitualmente piu grande rispetto allo span per singole parole, o più

efficiente della memoria di richiamo seriale per semplici lettere187.

184 Cfr. G. Repovs – A.Baddeley, The multicomponental model of working memory: explorations in experimental cognitive psychology, in ‹‹ Neuroscience ›› , 2006 , n. 39, p.15. 185 Cfr. A.D.Baddeley – J.Andrade, Working memory and the vividness of imagery, in ‹‹ J. Exp. Psychol.Gen ››, n. 129 , pp.126–145. 186 Sull’argomento, si suggerisce di vedere anche: P.A.Gooding – C.L.Isaac - A.R.Mayes, Prose recall and amnesia: more implications for the episodic buffer, in ‹‹Neuropsychologia ›› 2005, vol.43, n.4, pp.583–587 , http://dx.doi.org/10.1016/j.neuropsychologia.2004.07.004. 187 A.D. Baddeley, The episodic buffer : A new component of working memory?in ‹‹ Quarterly Journal of Experimental Psychology ››, 2000, n.51, pp. 852 - 891.

74

Ma forse il fatto più curioso era il notare come delle persone

avessero un ristretto span, addirittura con capienza inferiore a due

items, mentre contemporaneamente possedevano un grande span

per le frasi. Le situazioni appena esposte diedero conferma del fatto

che la memoria di lavoro avesse in qualche modo la capacità di

integrare e immagazzinare informazioni di vario dominio per poi

avere una comunicazione attiva con la memoria a lungo termine,

tanto da permettere una immediata disponibilità di informazioni

utili alla manipolazione.

Revisioni al modello originale di buffer episodico

Nell’anno 2000 come già anticipato, Baddeley caratterizza l’ EB

come un sistema a capacita limitata; separato ma alquanto

“dipendente dall’ esecutivo centrale”, che integra “attivamente” le

informazioni in blocchi (chunks),ritenendo che fosse un magazzino

attivo, potente, con capacità di fornire un ricco flusso di

informazioni multidimensionali188. Ma circa dieci anni più tardi il

modello viene rivisto e riproposto con diverse caratteristiche189 in

cui il buffer diventa ‹‹ un magazzino passivo capace di mantenere

rappresentazioni multidimensionali create ovunque all’interno del

sistema cognitivo››;190 o meglio, l’informazione può essergli

inviata dalla MLT e dalla intercessione dell’esecutivo centrale,

‹‹ ma non direttamente dai sottosistemi visivo e fonologico››.191

188 Cfr. A.D.Baddeley, The episodic buffer : A new component of working memory,p.852. 189 A.D.Baddeley – R.J.Allen – G.J.Hitch, Investigating the episodic buffer, in ‹‹Psychologica Belgica ››, 2010, vol.50 n. 3-4, pp. 223-243. 190 Ibidem. 191 Ib.

75

“Il nuovo EB è più somigliante ad un passivo schermo di un

computer”, dice Baddeley, capace di trattenere un limitato numero

di informazioni sottoforma di chunks integrati e accessibili alla

consapevolezza cosciente.192 Secondo la nuova visione, il binding

non è completamente di sua competenza, ma a seconda della natura

delle informazioni sarebbe attuato da differenti sistemi.

Ad esempio, l’assemblaggio di caratteristiche separate in oggetti da

noi percepibili sarebbe ‹‹ presumibilmente operata all’interno del

sistema percettivo ››, che assieme alla MLT fonte di conoscenze

pregresse permetterà di dare significato al percetto193.

Per un più forte richiamo di frasi o insiemi di frasi dalla MBT

sembrerebbero invece molto più implicati ‹‹ complessi fattori

sintattici e semantici194››. Si pensava inoltre che il buffer episodico

fosse interamente controllato dall’esecutivo centrale, così furono

attuati esperimenti in cui si tentava di bloccare l’EC per vedere

come ciò causasse problemi nella capacità di integrare sia dati

visivi che verbali e ‹‹ si scoprì che l’integrazione di per sé non

dipende dall’esecutivo centrale né dai sottosistemi››; anche se i

livelli di performance si abbassano, l’integrazione non viene

compromessa, e l’ipotizzato forte link con l’esecutivo centrale non

sembra dunque sussistere. Come suggeriscono anche Berlingheri et

al. da studi su soggetti affetti da Alzheimer: ‹‹ il buffer episodico è

qualcosa di indipendente dalla componente esecutiva centrale della

working- memory››.195 In un intervista apparsa su Gocognitive, lo

stesso Baddeley dice che: ‹‹ il colore e la forma di un oggetto non

192Alan Baddeley in http://www.gocognitive.net/binding in episodic buffer. 193 Ibidem . 194 Ib. 195 M.Berlingeri et al, Anatomy of the episodic buffer: A voxel-based morphometry study in patients with dementia, in ‹‹Behavioural Neurology ›› , IOS Press, 2008, vol.19, nn.1-2 , p. 29.

76

vengono integrati insieme nel buffer episodico, ma probabilmente

nel taccuino visuo-spaziale o forse ancora più periferialmente››.196

Ciò sembra confermato da uno studio portato avanti dallo stesso

Baddeley e collaboratori, atto a chiarire le contraddizioni rispetto al

modello originale, secondo il quale, appunto, i nuovi risultati

supportano una situazione in cui ‹‹ il binding avviene

automaticamente prima che le informazioni giungono nel buffer

episodico ››.197

Anche Conway et al. hanno fornito risultati dove il buffer episodico

sembra attivo nel combinare differenti sorgenti di informazione, ma

grazie ad un processo “domain-free” (libero da ogni dominio). Il

phonological loop e il v.s.sketch-pad si appaierebbero dunque in un

processo “domain-general” attraverso il buffer episodico, durante

compiti di working memory198.

E’ bene precisare che il BE riveduto non è più da considerare un

potente processore capace di fornire tutte le informazioni

multimodali alla wm,199 come lo stesso autore del modello aveva

ipotizzato nella prima edizione.200Anche se in accordo con

Takashima et al., l’EB mantiene comunque un ruolo di primo piano

nel consolidamento, nel trasferimento e nella ricezione di

196 Alan Baddeley, in http://www.gocognitive.net/binding in episodic buffer 197 R.J.Allen et al, Feature binding and attention in working memory: A resolution of previous contradictory findings, in ‹‹Quarterly Journal of Experimental Psychology››, 2012, vol.65, n.12, p.2369. 198 A.R.A.Conway et al, Working memory span tasks : A methodological review and user’s guide, in ‹‹ Psychonomic Bulletin and Review ››, 2005, n.12, pp. 769 - 786. 199 ‹‹ Il visuospatial sketchpad a sua volta riceve dal visuospatial kinestetic pad; Il phonological loop riceve suoni , linguaggio , probabilmente linguaggio del corpo e probabilmente anche da olfatto e gusto›› http://www.gocognitive.net 200 A.D.Baddeley, Investigating the episodic buffer, pp. 223-243.

77

informazioni dalla MLT201 e rimane di notevole importanza in molti

altri compiti, di cui alcuni ancora non perfettamente noti.

Tuttavia l’enigma sicuramente tra i più curiosi è quello di trovare la

localizzazione neuroanatomica-funzionale del buffer episodico.

Tentativi per una localizzazione neuro-funzionale del buffer

episodico

Stando alle ultime ricerche il BE si è dimostrato importante per lo

sviluppo del vocabolario e della conoscenza semantica e anche

necessario per il richiamo di informazioni rilevanti, riattivando la

MLT che si associa con contenuti della WM per aiutare il

ragionamento cognitivo. Vi sono prove che il BE, durante la

comprensione della lettura, abbia un ruolo nell’integrazione di

conoscenza semantica e informazioni specifiche delle parole. In

condizioni di percezione o di segnali linguistici scarsi, o se vi sono

‹‹ incorrispondenze tra informazioni fonologiche estratte dal

segnale linguistico e le informazioni fonologiche rappresentate

nella MLT, il sistema è strutturato per produrre un “segnale di

incorrispondenza” il quale evoca risorse esplicite per il

processamento ››;202 inoltre questo sembra possedere una funzione

‹‹ di rapido e automatico binding multimodale di informazioni

fonologiche (RAMBPHO) ››.203

Ma quali sono i circuiti del cervello deputati al controllo del buffer

episodico? Baddeley inizialmente ipotizzò che quest’ultimo fosse

201 Il buffer episodico è un componente intermedio tra la WM la MLT che incorpora le conoscenze pregresse per potenziare la comprensione (Takashima, Jensen, Ostenveld, Maris, Van de Coevering & Fernandez, 2005). 202 J.Rönnberg et al, Cognition counts: A working memory system for ease of language understanding (ELU) in ‹‹ International Journal of Audiology ››, 2008 , vol.47, n.2, p. 99. 203 Cfr, ibidem.

78

localizzato nell’ippocampo, per poi ipotizzare che potesse non

localizzarsi in un’area in particolare, ma che fosse una proprietà

emergente, frutto dell’interazione contingente tra vari sottosistemi

dove potrebbero esserci aree che hanno un ruolo più rilevante di

altre.204

Per testare l’ipotesi “ippocampo” fu esaminato un uomo con metà

dell’ippocampo (a causa di anossìa alla nascita) affetto da amnesia

ma con intelligenza normale e normale memoria semantica.

Fu testato per diversi compiti attribuibili alla working memory e al

buffer episodico e messo a confronto con studenti universitari.

Ma i risultati indicarono che era perfettamente normale205nelle

capacità attribuibili al BE e anche nei restanti compiti di working

memory.206 Altri studi, sempre degli stessi autori, ossìa Baddeley,

Allen e Vargha-Kadhem, hanno esplorato il funzionamento e

l’integrazione di informazioni visive a breve termine di colore e

forma di oggetti a vari livelli di difficoltà, su soggetti con vari

problemi neurologici nell’ippocampo, mentre un’altra parte delle

indagini è stata dedicata a studiare ‹‹ la capacità di usare la struttura

della frase per integrare parole in chunks nella memoria verbale a

breve termine ››. 207 I risultati? La patologia ippocampale non era

legata a nessun decremento in nessuno di questi compiti,

suggerendo che l’ippocampo non è essenziale per il binding a breve

termine nella memoria di lavoro››.208 Ma i risultati in questo campo

non concordano tutti allo stesso modo; è risaputo infatti che

cambiando alcune variabili si possono avere risultati molto diversi.

204Alan Baddeley, localization of the episodic buffer in: http://www.gocognitive.net 205 A.Baddeley – J.Allen - Vargha-Khadem, Is the hippocampus necessary for visual and verbal binding in working memory? In ‹‹ Neuropsychologia ››, 2010, vol.4, n.48, p.1089. 206 Ibidem. 207 Ib. 208 Ib.

79

Esaminando tredici soggetti nativi svedesi con esperienza nella

lingua dei segni svedese e lingua svedese dalla nascita (ma normali

per capacità uditiva), allo scopo di sondare il binding di segni

lessicali e parole nella working memory209, gli scienziati svedesi

non solo hanno ottenuto dei risultati ‹‹ che supportano la nozione di

un modulo che fa da mediatore tra codici e sorgenti come il buffer

episodico ››,210 ma hanno dimostrato che ‹‹ l’ippocampo sinistro era

coinvolto in transitori e sostenuti processi del buffer, possibilmente

riflettendo il significato e la natura degli stimoli ››.211 Un’altra

regione interessante ai fini della mappatura dei circuiti coinvolti nei

processi episodici del buffer è il lobo temporale mediale, definito

nello specifico: ‹‹ un promesso candidato per il mantenimento delle

informazioni integrate ››.212

Per determinare come questo funzioni, il progetto dell’esperimento

ha previsto la comparazione di due condizioni: in una, ai soggetti

veniva chiesto di tenere a mente tre lettere e tre zone dello spazio

presentate insieme integrate (INT), mentre nell’altra venivano

presentate separate (SEP). I risultati migliori per il livello di

ritenzione erano ottenuti nella condizione INT213.

Questi vennero poi incrociati coi dati della neuroimmagine, dove a

quanto pare ‹‹si osservava un’attivazione nel giro-paraippocampale-

destro nella condizione di encoding e nel mantenimento delle

209 ‹‹ Queste funzioni sono supportate da un network buffer-specifico di regioni posteriori incluso il lobo temporale destro mediale, possibilmente correlato al binding di rappresentazioni del loop fonologico con rappresentazioni semantiche della mlt ››. M.Rudner – J.Fransson – J.M. Ingvar, Neural representation of binding lexical signs and words in the episodic buffer of

working memory, in ‹‹Neuropsychologia››, 2007, vol.45, n.10, p. 2258. 210 Rudner, M. – Fransson, J – Ingvar, M., Neural representation of binding lexical signs and words in the episodic buffer of working memory, 2258. 211 Ibidem. 212 David, L. –Danion, J.M. –Marrer,C. et al., The right parahippocampal gyrus contributes to the formation and maintenance of bound information in working memory, in “ Brain and Cognition” 72\2 (2010), 255. 213 Cf. ibidem.

80

informazioni integrate, mentre non vi era attivazione nel lobo

temporale mediale durante il retrieval di informazioni integrate››.214

In sintesi, il giro-paraippocampale è coinvolto nel compito di

integrare e mantenere le informazioni e pertanto può ritenersi una

parte del circuito soggiacente al buffer episodico.

Ma cosa sappiamo del retrieval e del rehearsal nel buffer episodico?

Baddeley ritiene che la “consapevolezza cosciente” sia il principale

strumento per il retrieval dal buffer.

Come si è potuto notare, il modello rivisto differisce dal vecchio

principalmente per il fatto di focalizzare l’attenzione sui processi di

integrazione delle informazioni, piuttosto che sull’isolamento dei

sottosistemi. Con ciò si offre una base più adatta a tracciare i più

complessi aspetti del controllo esecutivo della working memory.215

Per quanto riguarda il rehearsal invece, si ipotizza che questo

avverrebbe molto probabilmente mantenendo l’attenzione sulla

rappresentazione e ‘rinfrescandola’ continuamente, e che questo

forse dipenderebbe anche dal contributo della memoria a lungo

termine.

Molte sono ancora le cose da spiegare riguardo al buffer episodico e

alla memoria di lavoro, ma ci si potrebbe chiedere intanto se la

working memory, oltre ai compiti intellettivi già ampiamente

esplorati, possa apportare contributi che hanno a che fare col

benessere dell’individuo. Potremmo dunque porci le seguenti

domande: la memoria di lavoro ha funzioni di interfaccia? Quali

possono essere le implicazioni nell’avere una memoria di lavoro

214 Ib. 215 A.D.Baddeley, The episodic buffer: a new component of working memory? 2000, vol.4, n.11, p. 417.

81

efficiente nella gestione di situazioni, emozioni e pensieri

quotidiani difficili? E’ possibile allenare la memoria di lavoro?

82

Capitolo V° Evidenze per nuove funzioni della memoria di lavoro e possibili futuri sviluppi

83

5.0 Un’interfaccia cognitiva al servizio dell’individuo

Nelle cellule in generale, la membrana è un’interfaccia “viva” che

permette lo scambio di sostanze, tra l’interno e l’esterno, con un

certo grado di selezione in base “ai propri gusti”, che isola le

sostanze tossiche e assimila quelle nutrienti per garantire un certo

grado di omeostasi.216 Il modo in cui un organismo o un qualche

sistema gestisce il proprio confine e ciò che vi è dentro di esso, il

modo in cui interagisce con l’ambiente, può avere differenze e

somiglianze più o meno marcate a seconda che si tratti di un

sistema a bassa o ad alta apertura logica217. Organismi come gli

esseri umani sono sistemi auto-organizzanti ad alta apertura logica,

in grado di aprirsi e chiudersi all’ingresso di informazione: sono

aperti, ma quest’apertura non modifica l’organizzazione interna.

Se osserviamo le dinamiche che occorrono tra gli organismi a

livello di “confine”, notiamo che le cellule gestiscono il proprio

confine tramite vincoli genetici- molecolari, rendendosi permeabili

o meno a certi fattori, anche se questo confine non è completamente

chiuso né completamente aperto, ma è piuttosto un processo

dinamico-adattativo che, per dirla alla Maturana e Varela.. è

caratterizzato da ‹‹ chiusura operazionale ››.218

216 Proprio perché ‹‹ in biologia tutto diventa tossico entro un certo livello ottimo ›› G.Bateson, Dove gli angeli esitano, Adelphi , Milano, 2002, p. 22. 217 I.Licata, Comunicazione , emergenze , apertura logica, in ‹‹ Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura›› , 2007 vol.4. 218 Cfr. H.Maturana – F. Varela, Autopoiesi e cognizione, Ed Marsilio, Venezia, 1985. Come dice Licata: ‹‹ a caratterizzare il tipo di sistema non è mai un mero fattore strutturale e morfologico, quanto la funzionalità di questo fattore nel favorire un rapporto di chiusura operazionale con l’ambiente; si tratta, in sintesi, di una “permeabilità” del sistema ai vari flussi informativi provenienti dall’ambiente, in grado però di conservare l’autonomia del sistema e l’originalità delle risposte adattive›› (I.Licata, Apertura logica e computazione nei modelli cognitivi , in ‹‹Manifesto per la scienza semplice ››, 2010.

84

Per tanto dobbiamo chiederci: sarà la stessa cosa anche per la nostra

mente? In che modo la nostra mente gestisce “l’ingresso” di

informazioni “nutrienti” e scarta ciò che è tossico? Può la working

memory avere parte nel filtraggio? ed essere considerata come una

zona di confine a “doppia funzione?”219 Può insomma essere un

confine nel senso di limite e nel senso di interfaccia di

collegamento nello stesso momento?220

Tagliagambe ritiene che ‹‹ tenere a freno le condizioni sfavorevoli

che possono essere determinate dall'ambiente, selezionare e

consolidare stati e configurazioni interne che rappresentano

soluzioni di problemi esterni è un meccanismo che sta in una zona

di confine... tra l'interno appunto e l'esterno››221 e sembrerebbe

proprio che in questo la memoria di lavoro possa avere qualche

ruolo, forse ancora poco esplorato. Perché è opportuno esplorarlo?

Senza nulla togliere agli esperimenti atti a studiare la competenza

della WM nei vari compiti finora discussi nei capitoli precedenti,

approfondire contributi scientifici che riguardano un suo possibile

contributo verso l’accrescimento della “felicità” delle persone ( se

così si può dire), non può essere da meno.

Lo stesso Baddeley parla del futuro della ricerca222 sulla relazione

working memory – emozioni, che come ritiene Damasio sarebbe

219 G.Celardi, Confini di relazione. Limiti o interfaccia? (tesi non pubblicata) Università L.U.M.S.A, Roma, 2008. 220 Sull’epistemologia del confine in senso generale, in rapporto alla mente, e sulla doppia funzione dei confini (Cfr. ibidem; G.Celardi , Do cells and human tribes have anything in common? La gestione del confine in sistemi con diverso grado di apertura logica (elaborato scritto non pubblicato) Università di Messina , 2012). 221 S.Tagliagambe, Il sogno di Dovstoevskij..Come la mente emerge dal cervello, Raffaello Cortina , Milano, 2002, p.174. 222 Alan Baddeley on the future of working memory research in: http:\ \ www.youtube.com/watch?v=Q9cdvCDg6gY

85

coinvolta nella trasformazione di emozioni in sentimenti; working

memory e self control, dove sarebbe particolarmente coinvolto

l’esecutivo centrale; WM e coscienza, con un ruolo di primo piano

affidato al BE e all’esecutivo centrale (per il suo controllo); e come

se non bastasse sulla “consapevolezza cosciente”, in cui il BE

‹‹avrebbe il ruolo di combinare informazioni da molte sorgenti

ognuna all’interno di un sistema che permette di riflettere su di esse

e sulla rappresentazione stessa››223.

5.1 Contributo della working memory al benessere della

persona

Pensiamo alla differenza che possono fare la selezione e il corretto

processamento di informazioni o di aspetti della realtà benefici, utili

al nostro benessere mentale, alla nostra salute psico-fisica, rispetto

al lasciarsi invadere da vere e proprie “tossine mentali” come:

pensieri disturbanti,224 ossessioni, emozioni distruttive;225 noteremo

subito come il contributo on-line della wm diventa rilevante…

Owens, Koster e Derakshan in una loro ricerca, hanno studiato

soggetti affetti da disforìa, notando in questi basse capacità di

performances nella working memory per quanto riguarda il

‹‹filtraggio di informazioni rilevanti››,226 a favore di un’alta

percentuale in “entrata” di informazioni irrilevanti.

223Alan Baddeley on working memory and consciousness in: http:\\www.youtube.com/watch?v=pAcqWd4X50g 224 Cfr. M.Ricard,.Il gusto di essere felici, Sperling Paperback, 2009. 225 Sulle emozioni distruttive Cfr. Dalai Lama – Goleman D, Emozioni distruttive. Liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio, illusione, Mondolibri , Milano, 2003. 226 M.Owens et al, Improving attention control in dysphoria through cognitive training: Transfer effects on working memory capacity and filtering efficiency, in ‹‹Psychophysiology››, SfPR, 2013.

86

L’attività di filtro e di manipolazione on-line delle informazioni è

già oggetto di studi scientifici, ma si concentra solitamente su

questioni di natura “operativo-intellettiva” che tralasciano aspetti

essenziali per la vita dell’individuo come il suo benessere mentale,

il benessere psico-fisico e cosa più importante: “la sua felicità”. I

soggetti della ricerca sopracitata dopo una fase di assessment

vennero sottoposti ad un training per il miglioramento delle

performances della memoria di lavoro (il quale prevedeva

l’inibizione di concomitanti informazioni irrilevanti e rilevanti), e

come risultato questi ultimi ottennero un miglioramento delle abilità

coinvolte nel ‹‹ facilitare il controllo attenzionale su aspetti rilevan-

ti ››227 dell’esperienza. Ciò potrebbe non sembrare apparentemente

una grande conquista, ma se pensiamo che questo normalmente è

causa di stress costante in questo tipo di disturbo, ovviamente è un

grosso miglioramento nella qualità di vita di chi ne è affetto.

È anche vero che le “tossine mentali” possono provenire

dall’interno di noi stessi e non essere “external-object-related”;

questo evidenzia nella nostra mente una modulazione top-down

dell’azione di filtro con recupero di esperienze provenienti dalla

memoria a lungo termine; operazione quest’ultima in cui sembra

avere un ruolo di primo piano il buffer episodico che manipola e

integra nuove e vecchie informazioni creando scenari mentali228.

Per meglio entrare nell’argomento, si pensi a soggetti che soffrono

di pervasivi flashback derivati da esperienze traumatiche o di altri

che anche per molto meno cadono nella trappola della “ruminazione

mentale” per ore, mesi o anni;

227 Ivi. 228 Cfr. G.Repovs – A.Baddeley, The multicomponental model of working memory: explorations in experimental cognitive psychology, in ‹‹Neuroscience››, 2006, n.139.

87

Gli studi sulle basi neurobiologiche della memoria di Kandel, ci

svelano come tramite l’esercizio ripetuto sia possibile tradurre un

ricordo a breve termine in una memoria a lungo termine passando

dal semplice aumento dell’efficienza di risposta dei neuroni, fino

alla creazione di nuove sinapsi e di circuiti “difficili da

sradicare”;229 In questa cornice è possibile immaginare come uno

scorretto uso della memoria di lavoro possa favorire

“l’apprendimento a lungo termine di sofferenza”. Proprio così, ciò

sembra davvero assurdo, ma è invece molto realistico: “possiamo

apprendere a soffrire” e rinforzare quest’apprendimento.

Il contributo della WM è rilevante anche sulla capacità di

autoregolazione dell’individuo. Vi sono correnti di ricerche molto

interessanti e innovative che riguardano in modo specifico ‹‹ l’auto-

regolazione dell’espressione e dell’esperienza emotiva ››.

Ciò è stato ad esempio l’oggetto di studio di Schmeichel et al. che

hanno trovato dimostrazione di come persone con alte capacità di

memoria di lavoro riuscivano a ‹‹ sopprimere meglio le emozioni

negative››230 o comunque ad esserne meno influenzati. Il risultato è

d’interesse generale per la comunità scientifica perché proverebbe

altresì come le abilità cognitive contribuiscano al controllo della

risposta emotiva.231 Se pensiamo ad un evento stressante o

all’esecuzione di un compito in cui non abbiamo dimestichezza,

risulta vero che certe persone più facilmente di altre possono

aiutarsi dandosi auto-istruzioni verbali tramite il loop fonologico e

tenendo a mente (nella WM) le varie operazioni da compiere.

229 E.Kandel, Psichiatria,Psicoanalisi e Nuova Biologia della mente, p. 430. 230 B.J.Schmeichel, Working memory capacity and the self-regulation of emotional expression and experience , in ‹‹ Journal of Personality and Social Psychology ››, 2008, vol. 95, n.6, p.1526. 231 Ibidem.

88

Il loop fonologico, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, è

utile nella guida dei comportamenti. E’ possibile allora ipotizzare

che bambini affetti da ADHD (disturbo da iperattività e deficit

dell’attenzione che comporta grosse difficoltà nell’inibizione e

nell’autoregolazione della motivazione a compiere certe azioni),232

abbiano carenze in alcune aree della memoria di lavoro?

In una ricerca pubblicata sulla rivista “Developmental

Neuropsychology”233 si legge, in effetti, come vi sia una stretta

correlazione tra memoria di lavoro e controllo dell’inibizione.

I risultati indicavano come bambini con ADHD che hanno deficit

nel controllo dell’inibizione, li avrebbero anche nella working

memory e nella memoria a breve termine, rispetto a bambini non

patologici.234 Una memoria di lavoro efficiente permette un

controllo più efficiente.

Sempre più scienziati stanno dedicando i propri sforzi a capire

come l’esercizio di alcune funzioni cognitive possa migliorare le

performances di persone con difficoltà non solo con ADHD, ma in

genere, e con le difficoltà di cui si è parlato finora.

Ad esempio, si cerca di esplorare ‹‹l’interconnessione tra funzioni

esecutive del cervello ed il self-control››,235 dove per funzioni

esecutive s’intende secondo la definizione di Schmeichel e

Baumeister: ‹‹ l’attivo e cosciente e intenzionale centro del sé,

responsabile per la pianificazione, iniziativa e revisione della

cognizione del comportamento›236 e questo, alla luce di quanto ne

232 J.Stevens et al, Behavioral inhibition, self-regulation of motivation, and working memory in children with attention deficit hyperactivity disorder, in ‹‹ Developmental Neuropsychology ›› , 2002, vol21, n.2, p. 117. 233 Ibidem. 234 Ib. 235 D.Boisvert et al, The Interconnection between Intellectual Achievement and Self-Control Criminal Justice and Behavior, 2013, vol.40, n.80, p.)81. 236 Ibidem.

89

sappiamo, può far pensare ad un contributo della working memory

ancora poco approfondito. In questo panorama la WM è da

considerarsi “un’interfaccia viva” caratteristica di alcuni sistemi ad

alta apertura logica come “gli individui in rapporto con l’ambiente”

e il “singolo individuo in rapporto con se stesso”, dove (la WM)

può svolgere azioni di “confine” nella doppia accezione di limite e

di interfaccia.

Ma ciò che resta da capire adesso è come usare in pratica la WM e

le funzioni cognitive per accrescere il benessere generale.

5.2 Working memory - consapevolezza e meditazione

Come si è già accennato, il modo in cui usiamo il nostro pensiero ha

documentati effetti sulla nostra salute.237 La scienza, negli ultimi

anni, si appresta a studiare sempre più l’addestramento mentale.

Le neuroscienze studiano la neuro-plasticità, la degenerazione e il

rinforzo delle connessioni neuronali,e si è notato che evidentemente

all’interno delle reti neurali avviene “una selezione” di connessioni,

dove l’esperienza e l’esercizio giocano un importante ruolo.

Allo stesso modo in cui è possibile addestrarsi nella pratica sportiva

migliorando l’efficienza atletica, stimolando l’efficienza delle

connessioni di una rete neurale collegate al gesto stesso, è possibile

farlo anche con l’addestramento “puramente mentale”. Si addestra

la mente a stare meglio, tramite l’uso della consapevolezza

cosciente. Ormai molte università prestigiose mostrano come

pratiche meditative orientali di tipo buddhista o ispirate ad esse,

modifichino il cervello in senso positivo, migliorando fortemente lo

237 Cfr. M.Ricard, Il gusto di essere felici, Sperling Paperback, 2009.

90

stato di benessere dell’individuo. I primi pionieri di queste ricerche

sono stati Richard Davidson e FranciscoVarela. In varie ricerche

sull’uso di pratiche meditative, dove per esempio è addestrata la

capacità di mantenere un’ attenzione focalizzata e sostenuta (in cui

sappiamo che è coinvolto e per certi versi fuso insieme l’esecutivo

centrale della WM) anche semplicemente sul solo respiro, si sono

ottenuti interessanti risultati. Queste pratiche hanno mostrato di

essere efficaci nel ridurre l’ansia ed incrementare gli stati mentali

positivi che correlano con cambiamenti dei substrati neuro-

funzionali del cervello, che sembrano essere specializzati per certi

tipi di emozioni negative e positive. Vi sono collegamenti con

l’attivazione sinistra di molte aree della corteccia frontale e stati

mentali positivi. E il buon funzionamento delle stesse è altresì

associato ad un’aumentata risposta immunitaria.238

Il lasciarsi invadere da stati mentali negativi e da esperienze psico-

sociali negative ha precisamente gli effetti contrari.

Ad esempio, ‹‹un’inabilità ad autoregolare le emozioni negative

sembra giocare un ruolo di prim’ordine nella genesi del disturbo

depressivo maggiore, collegata a disfunzioni dei circuiti neurali

dell’auto regolazione emozionale239.

Uno studio di Davidson assieme ad un’ equipe di altri dieci

scienziati, ha provato come persino un breve periodo di meditazione

“mindfulness” abbia effetti positivi sul sistema immunitario e sul

cervello240.

238 Davidson, R. et al., Alterations in Brain and Immune Function Produced by Mindfulness Meditation, in “Psychosomatic Medicine”, 65 (2003), 564–570. 239 Beuregard, M et al., Dysfunction in the neural circuitry of emotional self-regulation in major depressive disorder in ‹‹ Learning and Memory ›› 17\8 ( 2006) p. 843-846.

240 Davidson, R. et al., Alterations in Brain and Immune Function Produced by Mindfulness Meditation, 564.

91

La meditazione “mindfulness” o “meditazione consapevole” è un

tipo di meditazione essenzialmente basata sul focalizzare

l’attenzione sul respiro e sugli stati mentali “presenti”. Per meglio

intenderci, può essere utile riferirci al modello di Lutz, Slagter,

Dunne e Davidson, i quali classificano la meditazione in due fasi.

Nella prima, si allena l’attenzione focalizzata, che si fonde a varie

altre capacità, come l’attenzione sostenuta verso un oggetto target

(che può essere il respiro), lo switching attentivo per liberarsi da

oggetti distraenti (tipo pensieri ricorsivi) e l’attenzione selettiva per

ridirigere il focus sull’oggetto di interesse.241

La seconda parte riguarda il monitoraggio attivo dei propri stati

mentali (tutte capacità che rimandano ai compiti dell’esecutivo

centrale e della working memory in generale).

Proprio per l’ipotizzata ed evidente efficacia, un folto numero di

ricercatori molto aperti alle pratiche orientali e al benessere, negli

ultimi anni, ha avviato diversi studi sul campo delle neuroscienze-

cognitive applicate allo studio della meditazione,242 e come

mostrano i risultati vi sono forti collegamenti tra la pratica

meditativa e le performances in compiti di attenzione243 e di

working memory.244 Questi ultimi confermati anche da osservazioni

241 A. Lutz, H.A. Slagter, J.D. Dunne, R.J. Davidson, Cognitive-emotional interactions – Attention regulation and monitoring in meditation, in ‹‹Trends in Cognitive Sciences ›› , 2008, vol. 12, n.4, pp.163–169. 242 Vedi (Brefczynski-Lewis et al., 2007; Cahn e Polich, 2006; Chiesa et al., 2010; Jang et al, 2010; Lutz et al., 2004; Lutz et al., 2008; Rubia, 2009 ; Slagter et al., 2007 ; Tang e Posner, 2009). 243 A.P.Jha et al, Examining the protective effects of mindfulness training on working memory capacity and affective experience , in ‹‹Emotion ››, 2011vol.10, n.1, p. 54 ; Sull’argomento consultare anche P.A.M. van den Hurk et al., Greater efficiency in attentional processing related to mindfulness meditation, in ‹‹Quarterly Journal of Experimental Psychology ››, 2009, n.63, pp. 1168–1180. 244 M.K. van Vugt, Investigating the impact of mindfulness meditation training on working memory: A mathematical modeling approach in ‹‹ Cognitive Affective and Behavioral Neuroscience ››, 2011, vol.11, n.3, p. 344.

92

con EEG di attivazione della corteccia anteriore cingolata e altre

aree frontali, che sono notoriamente implicate anche durante

compiti di working memory.245 Per ciò che riguarda la meditazione

nello specifico, questa è in grado di promuovere (ancor più nei

giovani)246 lo sviluppo delle funzioni esecutive e l’attenzione

sostenuta (visibili addirittura dopo solo quattro sessioni) nonché

effetti positivi sull’umore, l’ansia, processi visuo-spaziali e come

già detto sulla working memory.247

Alcuni autori sostengono che la working memory mostri una forte

connessione con “ l’intelligenza fluida ” e che entrambe riflettano

‹‹ abilità di mantenere una rappresentazione attiva, particolarmente

di fronte all’interferenza e alla distrazione››,248 capacità

essenzialmente collegata all’attenzione controllata e alle funzioni

della corteccia prefrontale, allenabili come abbiamo visto tramite la

pratica meditativa.

245 J.Duncan - A.M.Owen, Common regions of the human frontal lobe recruited by diverse cognitive demands in ‹‹ Trends in Neurosciences ››, 2000, n.23, pp. 475–483. 246 Quest’ultima è piu sensibile all’allenamento nei giovani. Cfr. S.W.Wass, Training

attentional control and working memory – Is younger, better? in ‹‹Developmental review››

Elsevier press, 2012, vol.32, n.4, pp. 360–387; 247 Cfr. F. Zeidan et al., Mindfulness meditation improves cognition: Evidence of brief mental training in ‹‹Consciousness and Cognition››, Elsevier, 2010, vol.19, n.2, pp. 597–605.

248 R.W.Engle et al., Working memory, short-term memory, and general fluid intelligence: A latent-variable approach, in ‹‹Journal of Experimental Psychology: General ›› ,1999 , vol.128, n.3, pp. 309-331; doi: 10.1037/0096-3445.128.3.309

93

Conclusioni La memoria di lavoro è stata proprio una grande rivelazione nel

campo delle scienze cognitive: la sua elaborazione ha apportato un

notevole avanzamento nelle conoscenze sul funzionamento dei

processi cognitivi umani andando molto oltre l’iniziale scopo dei

ricercatori. Dall’originale scoperta e distinzione di processi a breve

e lungo termine si è giunti ad individuare il contributo della

working memory all’ apprendimento del linguaggio, alla

regolazione del comportamento, al self- control, alla regolazione

delle emozioni e, come fa presente Baddeley in una recente

intervista , vi sarebbe un contributo ancora non molto chiaro anche

per ciò che concerne la coscienza, dove sembra prender parte attiva

l’esecutivo centrale . Alcune ipotesi fanno addirittura pensare che le

emozioni possano essere trasformate in sentimenti dalla memoria di

lavoro. Il futuro della ricerca in questo ambito è molto florido e

riguarda affascinanti temi di interesse interdisciplinare, solo per

citarne alcuni: il self control, l’immaginazione visiva, la volontà e la

consapevolezza cosciente. Quest’ultima sarebbe già stata collegata

in parte all’ azione di binding multi-informazionale da parte del

buffer episodico, il quale potrebbe avere una parte persino nel

processo della riflessione e nella meta- riflessione.

Serviranno senza dubbio innumerevoli indagini per far luce sulle

zone d’ombra del modello e tracciare una “mappa” dell’intricata

rete di relazioni tra la working memory e le altre funzioni cognitive,

soprattutto la “sfuggente coscienza”, ma con il tempo questo

intricato “puzzle cognitivo” forse verrà completato.

94

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