UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI
Dipartimento Interateneo di Fisica “M. Merlin”
Corso di Laurea in Fisica
Tesi di Laurea Triennale
Caratterizzazione elettrica di
un sensore planare al silicio
a bordo attivo irraggiato
Relatore:
Dott. Salvatore My
Laureando:
Davide Santostasi
Anno Accademico 2013/2014
ii
Indice
Introduzione ........................................................................................................ 2
Capitolo 1 - Caratteristiche generali dei sensori al silicio ...................... 3
1.1 Caratteristiche dei materiali semiconduttori .............................................. 4
1.1.1 Teoria delle bande nei solidi ................................................................... 4
1.1.2 Trasporto di carica elettrica nei semiconduttori ................................... 7
1.1.3 Semiconduttore intrinseco e semiconduttore estrinseco ..................... 9
1.1.4 Mobilità dei portatori di carica ............................................................ 11
1.1.5 Centri di ricombinazione ...................................................................... 12
1.2 La giunzione p-n .......................................................................................... 14
1.2.1 Caratteristiche della regione di svuotamento ..................................... 15
1.2.2 Giunzione polarizzata inversamente ................................................... 15
1.2.3 Il fenomeno del Breakdown ................................................................. 16
1.3 Utilizzo di una giunzione come rivelatore ................................................. 17
1.3.1 Carica generata .................................................................................... 18
1.3.2 Tempo di raccolta della carica e segnale ............................................. 20
1.3.3 Rivelatore a semiconduttore ideale ..................................................... 21
1.4 Danno da radiazione ................................................................................... 22
1.4.1 Il fenomeno dell’annealing della corrente........................................... 24
1.4.2 Migliorare la resistenza alla radiazione dei sensori a
semiconduttore.................................................................................... 26
1.5 Rivelatori a strip .......................................................................................... 26
1.5.1 Polarizzazione di un rivelatore e meccanismo del punchthrough ...... 28
Capitolo 2 - Laboratorio di Misura e Descrizione del Sensore Planare
a Bordo Attivo ............................................................................................... 30
2.1 La Camera Pulita ......................................................................................... 30
2.1.1 Probe Station Karl Suss PA200 ............................................................. 31
2.1.2 HP4142B Modular DC Source/Monitor ............................................... 33
2.1.3 HP4284A LCR Meter ............................................................................. 36
2.2 I sensori planari a bordo attivo .................................................................. 39
2.2.1 Tecnica planare .................................................................................... 39
2.2.2 Tecnica Deep Reactive Ion Etching (DRIE) ........................................... 41
1
2.3 Caratteristiche del sensore planare a bordo attivo studiato in questa
tesi ............................................................................................................... 43
2.4 Irraggiamento del sensore .......................................................................... 45
Capitolo 3 - Caratterizzazione elettrica del sensore planare a bordo
attivo irraggiato ............................................................................................ 48
3.1 Proprietà elettriche misurate ........................................................................ 48
3.2 Caratteristica I-V totale .................................................................................. 48
3.3 Misura della caratteristica I-V per alcune strip ............................................. 53
3.4 Tensione di Punchthrough ............................................................................ 55
3.5 Misura della Resistenza interstrip ................................................................ 57
3.6 Misura della Capacità Totale ......................................................................... 59
3.7 Misura della capacità di accoppiamento ...................................................... 62
3.8 Misura della capacità interstrip .................................................................... 64
Conclusione ....................................................................................................... 67
Elenco delle figure ........................................................................................... 69
Bibliografia ......................................................................................................... 72
Ringraziamenti…….…………………………………………………………………..……74
2
Introduzione
In questo lavoro di tesi sono state misurate le caratteristiche elettriche di un
sensore planare a bordo attivo su substrato di silicio irraggiato con un flusso di
neutroni da 1 MeV equivalenti pari a 1·1014 n/cm2. Il sensore è stato prodotto
dalla Fondazione Bruno Kessler (FKB) di Trento in collaborazione con l’Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).
Nel Capitolo 1 sono descritte alcune proprietà generali dei sensori a
semiconduttore utilizzati per la rivelazione di particelle cariche. Viene inoltre
dato un accenno agli effetti provocati da intensi flussi di radiazione sui sensori al
silicio.
Nel Capitolo 2 è descritta la strumentazione usata per effettuare le misure presso
il laboratorio Camera Pulita della Sezione di Bari dell’Istituto Nazionale di Fisica
Nucleare (INFN) e dopo un accenno alla tecnica di produzione dei sensori planari
a bordo attivo, è descritto il sensore oggetto della tesi.
Il Capitolo 3 è dedicato alla presentazione dei risultati della caratterizzazione
elettrica del sensore. In particolare sono state misurate le seguenti proprietà:
caratteristica I-V totale e di alcune strip, tensione di punchthrough, resistenza
interstrip, capacità totale, capacità interstrip e capacità di accoppiamento verso
l’elettronica di lettura. I risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti prima
dell’irraggiamento in un altro lavoro di tesi[1] e si è cercato, lì dove possibile
nell’ambito di una tesi triennale, di fornire una interpretazione ai risultati delle
misure.
3
Capitolo 1
CARATTERISTICHE GENERALI DEI
SENSORI AL SILICIO
I sensori a stato solido sono largamente utilizzati nella Fisica delle Alte Energie
per tracciare e identificare le particelle cariche[2,3,4]. Tra i sensori a stato solido,
i più usati sono quelli al silicio. Il principio di funzionamento di questi sensori si
basa su quello della giunzione p-n in polarizzazione inversa. Il segnale prodotto è
costituito dalla carica elettrica indotta sugli elettrodi di lettura dal moto di deriva
di elettroni (e) e lacune (h), creati dal passaggio nel volume sensibile del sensore
dal passaggio di una particella carica, in numero proporzionale all’energia che
questa perde nel volume del sensore al silicio.
I vantaggi dei sensori al silicio rispetto ad altri rivelatori di tracciatura sono i
seguenti:
- la possibilità di realizzare sensori sottili caratterizzati da un’elevata
precisione spaziale (< 10 μm) grazie alla grande perdita di energia per
unità di distanza delle particelle cariche che li attraversano;
- bassa energia di ionizzazione, sono sufficienti circa 3.3 eV per
generare una coppia e-h (10 volte minore dell’energia richiesta per la
creazione di una coppia elettrone-ione nei rivelatori a gas);
- possibilità di beneficiare della grande esperienza nella produzione di
microchip (al silicio) a livello industriale;
- facile integrazione con l’elettronica di lettura.
Un sensore al silicio è, in sostanza, costituito da una giunzione p-n polarizzata
inversamente. Grazie alla tensione applicata ai capi della giunzione, gli elettroni,
migrando verso l’anodo, e le lacune, migrando verso il catodo, inducono un
segnale di corrente misurabile sugli elettrodi.
4
Nel seguito del capitolo si descrive più dettagliatamente il principio di
funzionamento dei rivelatori al silicio e gli effetti di elevati flussi di radiazione
sulle loro prestazioni.
1.1 Caratteristiche dei materiali semiconduttori[5]
In questo paragrafo sono messe in evidenza le proprietà dei materiali
semiconduttori che ne permettono l’utilizzo come rivelatori di particelle.
1.1.1 Teoria delle bande nei solidi
La maggior parte delle proprietà elettroniche dei solidi può essere spiegata
nell’ambito della cosiddetta “teoria delle bande” che prevede una modifica dei
livelli energetici discreti a disposizione degli elettroni nel singolo atomo quando
più atomi sono vicini.
Considerando alcuni atomi della stessa specie inizialmente lontani gli uni dagli
altri, in maniera che non si influenzino tra di loro, ciascun atomo presenta livelli
energetici discreti per gli elettroni e ogni livello presenta una degenerazione pari
al numero di atomi. La teoria delle bande prevede che quando gli atomi si
avvicinano tanto da sovrapporre le funzioni d’onda, ciascun livello energetico
assuma un valore leggermente diverso in ciascun atomo. In questo modo la
degenerazione scompare e per un numero di atomi molto grande, tendente
all’infinito, ciascun livello inizialmente discreto corrisponde ad un intervallo
continuo di energie accessibili agli elettroni. A tale intervallo si dà il nome di
banda energetica e la differenza tra il valore energetico massimo e quello
minimo è detto ampiezza di banda. In figura 1.1 è riportata l’evoluzione dei due
livelli energetici più alti nel silicio (E1 e E2) al variare della distanza interatomica in
base ai calcoli della meccanica quantistica.
5
Figura 1.1 - Livelli energetici di atomi di silicio in funzione della distanza interatomica.
A grandi distanze interatomiche i livelli energetici costituiscono un insieme discreto. A
piccole distanze, le energie accessibili agli elettroni formano degli intervalli chiamati
bande.
La banda in cui si trovano gli elettroni di valenza è detta banda di valenza mentre
la banda corrispondente a energie più alte è detta banda di conduzione. La
differenza tra il valore minimo della banda di conduzione (BC) ed il valore
massimo della banda di valenza (BV) è detta energy gap (Eg). Il valore dell’energy
gap dipende dalla temperatura (oltre che dal grado di purezza del materiale). In
figura 1.2 è mostrata tale dipendenza per l’energy gap del silicio (insieme a
quella del GaAs, semiconduttore composto da atomi di due specie differenti).
Figura 1.2 - Energy gap del silicio (e del GaAs) in funzione della temperatura.
6
Gli elettroni si distribuiscono, nelle varie bande, seguendo la distribuzione di
Fermi-Dirac. A seconda di come sono riempite le bande di energia più elevata si
parla di conduttore, isolante o semiconduttore:
- Conduttore: gli elettroni di valenza riempiono parzialmente la banda di
valenza nella quale restano dei livelli liberi nei quali gli elettroni possono
spostarsi anche per effetto di piccole variazione energetiche come quelle
causate da aumenti di temperatura del materiale.
Nei conduttori la banda di valenza e quella di conduzione possono anche
sovrapporsi creando così un unico intervallo energetico accessibile agli
elettroni. La caratteristica fondamentale,quindi, dei conduttori consiste
nel fatto che gli elettroni nella banda di valenza sono liberi di muoversi
nel metallo.
- Isolante: la banda di valenza è completamente riempita di elettroni. Fra
questa e la banda di conduzione c’è un’elevata energy gap (dell’ordine di
5-6 eV o superiore) che impedisce agli elettroni della banda di valenza di
acquistare energia sufficiente per effetto dell’agitazione termica o di un
campo elettrico applicato, e transitare nella banda di conduzione.
- Semiconduttore: stessa configurazione elettronica dell’isolante, ma la
energy gap è sufficientemente piccola (dell’ordine di un paio di eV) da
consentire agli elettroni di avere una probabilità di saltare la banda
proibita anche per agitazione termica.
In figura 1.3 è riportata schematicamente la distinzione tra i materiali
descritti in termini della energy gap tra banda di valenza e banda di
conduzione.
7
Figura 1.3 - Struttura a bande di un conduttore, di un semiconduttore e di un isolante.
In un conduttore gli elettroni riempiono parzialmente la banda di valenza (BV) oppure,
come mostrato, la banda di valenza e quella di conduzione (BC) si sovrappongono
creando così un unico intervallo energetico accessibile agli elettroni. In un
semiconduttore le due bande sono separate da una energy gap di pochi eV. In un
isolante invece l’energy gap è maggiore e di fatto impedisce il passaggio degli elettroni
dalla banda di valenza a quella di conduzione.
1.1.2 Trasporto di carica elettrica nei semiconduttori
I semiconduttori diventano ottimi conduttori elettrici dopo essere stati drogati
con taluni atomi di altra specie (impurezze). Gli isolanti rimangono tali anche
dopo essere stati drogati. Questo diverso comportamento tra semiconduttori ed
isolanti è dovuto alla differente natura del legame chimico tra gli atomi del
materiale semiconduttore e di quello isolante. Mentre gli atomi del materiale
isolante sono tenuti insieme da forze elettrostatiche o da forze di Van der Waals
(nel caso di molecole), quelli del materiale semiconduttore sono tenuti insieme
da legami covalenti. Nel caso del silicio, ogni atomo condivide i suoi quattro
elettroni di valenza con quattro atomi vicini. Come conseguenza i cristalli di silicio
hanno la struttura, tipica del diamante, mostrata in figura 1.4.
8
Figura 1.4 – Reticolo dei cristalli di silicio. Gli atomi all’interno del reticolo sono legati da legami covalenti: ciascun atomo condivide i suoi 4 elettroni di valenza con altrettanti atomi vicini. Il passo reticolare, a, è di 5.43 Å.
Alla temperatura di 0 K, gli elettroni di valenza sono legati agli atomi; a
temperatura ambiente, invece, le vibrazioni termiche possono spezzare i legami
liberando così alcuni elettroni dai legami covalenti e permettendo loro di passare
in banda di conduzione (figura 1.5).
Figura 1.5 Legami covalenti nel silicio: a sinistra la situazione a 0 K, in cui tutti gli
elettroni partecipano ai legami covalenti, a destra la situazione a temperatura
maggiore, in cui alcuni legami sono rotti dalle vibrazioni termiche promuovendo degli
elettroni in banda di conduzione e lasciando una lacuna in banda di valenza.
La lacuna che si forma nella posizione originaria dell’elettrone, può essere
colmata da un altro elettrone di valenza, che può facilmente abbandonare il suo
legame per andare in quello “libero”. Se questo processo si ripete di volta in
volta per gli elettroni vicini alla lacuna, si ottiene uno spostamento “virtuale”
della lacuna all’interno del reticolo. Poiché la lacuna può essere considerata
9
come una particella di carica positiva, il movimento delle lacune contribuisce al
trasporto di carica all’interno del semiconduttore.
La probabilità che una coppia e-h sia generata per agitazione termica è data dalla
formula:
(1.1)
in cui KBT = 0.025 eV (per T = 300 K).
Questo processo di creazione di coppie e-h viene bilanciato dalle coppie che si
ricombinano. In condizioni stabili si raggiunge un equilibrio fra l’eccitazione e la
ricombinazione. La concentrazione di equilibrio di portatori di carica è data dalla
formula:
(1.2)
dove NC è il numero di stati nella banda di conduzione, Nv è il numero di stati
nella banda di valenza, Eg è l’energy gap a 0 K e kB è la costante di Boltzmann.
1.1.3 Semiconduttore intrinseco e semiconduttore
estrinseco
Si definisce semiconduttore intrinseco, un semiconduttore in cui il numero di
lacune nella banda di valenza è uguale al numero di elettroni in banda di
conduzione.
Di contro, si definisce semiconduttore estrinseco un semiconduttore in cui un
piccolo numero di atomi della struttura cristallina è sostituito con atomi con un
elettrone di valenza in più (drogaggio n) o con uno in meno (drogaggio p)
rispetto al materiale di partenza. La concentrazione di atomi dopanti, per sensori
al silicio che debbano operare in ambienti non caratterizzati da elevati flussi di
radiazione, è di circa 1012 atomi/cm3.
La presenza di atomi droganti comporta la comparsa di livelli energetici tra la
banda di valenza e quella di conduzione alterando quindi la conduttività del
silicio.
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Esaminiamo meglio i due tipi di drogaggio, n o p:
- Il drogaggio n si ottiene aggiungendo atomi pentavalenti alla struttura
cristallina del silicio (cioè che hanno cinque elettroni di valenza come
fosforo, arsenico, antimonio). Quattro dei cinque elettroni di valenza
formeranno quattro legami covalenti con altrettanti atomi di silicio,
mentre il quinto elettrone, solo debolmente legato, può essere
facilmente promosso in banda di conduzione (come descritto in figura
1.6); il numero di elettroni in questi materiali è superiore a quello delle
lacune. In questo caso gli elettroni sono portatori di carica maggioritari e
le lacune portatori di carica minoritari.
Figura 1.6 – Drogaggio di tipo n. L’aggiunta di un atomo pentavalente permette la
liberazione di un elettrone che viene promosso in banda di valenza.
- Il drogaggio p si ottiene aggiungendo atomi trivalenti alla struttura
cristallina del silicio (cioè che hanno tre elettroni di valenza come boro,
gallio). Un elettrone manca da uno dei possibili quattro legami covalenti,
come descritto in figura 1.7. In questa caso le lacune sono i portatori di
carica maggioritari e gli elettroni i portatori di carica minoritari.
11
Figura 1.7 - Drogaggio di tipo p. L’aggiunta di un atomo trivalente permette la
creazione di una lacuna.
Statisticamente la concentrazione di elettroni e di lacune in un semiconduttore
drogato di tipo n o di tipo p segue la legge di azione di massa:
(1.3)
dove n e p rappresentano, rispettivamente, la concentrazione di elettroni e di
lacune, ni rappresenta la concentrazione di equilibrio data dalla formula 1.2. La
legge dell’azione di massa stabilisce che il prodotto delle concentrazioni, di
elettroni e lacune, rimane costante.
1.1.4 Mobilità dei portatori di carica
Applicando un campo elettrico esterno al silicio, gli elettroni nella banda di
conduzione e le lacune nella banda di valenza acquistano una velocità di deriva
secondo le seguenti relazioni:
elettroni dove
(1.4)
lacune dove
(1.5)
in cui μn,p, τn,p e mn,p rappresentano, rispettivamente, la mobilità, il tempo medio
e la massa efficace di elettroni e lacune, e la carica dell’elettrone, il campo
elettrico esterno.
12
Come si vede dalla figura 1.8 la velocità di deriva degli elettroni è maggiore di
quella delle lacune. Inoltre per E < 1 KV/cm le velocità sono proporzionali ad E
perché le mobilità sono costanti. Per E dell’ordine di 104 V/cm, μ varia come E1/2.
Si raggiunge un valore limite di circa 107 cm/s per gli elettroni e 0.6·107 cm/s per
le lacune.
Figura 1.8 Velocità di deriva di elettroni e lacune nel silicio in funzione del campo
elettrico esterno applicato. La velocità di deriva degli elettroni è maggiore di quella
della lacune. In questo caso, per T= 300K si ha μn ≈ 1450 cm2/Vs e μp ≈450 cm2/Vs.
1.1.5 Centri di ricombinazione
Accanto al fenomeno di produzione di coppie e-h come già detto, avvengono
una serie di meccanismi che provocano la ricombinazione delle coppie:
- ricombinazione banda-banda. L’elettrone in banda di conduzione decade
in banda di valenza dissipando energia sotto forma di fotoni.
- Ricombinazione non radiativa banda-impurezza. È un meccanismo che
sfrutta la presenza di livelli nella gap tra banda di valenza e banda di
conduzione dovuti ad impurezze nel reticolo.
- Ricombinazione Auger. È piuttosto improbabile se non nel caso di
materiali molto drogati; si tratta di un processo a tre corpi, in quanto
l’energia viene trasferita dall’elettrone ad un altro elettrone.
13
Le impurità nel cristallo introducono dei livelli addizionali all’interno della banda
proibita che danno vita a quattro processi distinti di ricombinazione (figura 1.9):
Figura 1.9 - Processi di generazione e ricombinazione dovuti a livelli introdotti nella
gap tra banda di valenza e banda di conduzione da impurezze nel reticolo cristallino.
L’impurezza agisce come centro di ricombinazione. Processo A: emissione termica di
elettroni; processo B: cattura di elettroni; processo C: emissione termica di una lacuna;
processo D: cattura di una lacuna.
emissione termica di elettroni: dopo un certo tempo un elettrone, che
occupa un livello nella gap tra banda di valenza e banda di conduzione,
può essere restituito alla banda di conduzione.
cattura di elettroni: un elettrone in banda di conduzione va ad occupare il
livello vuoto di un’impurezza. La probabilità di un tale evento dipende
dalla concentrazione di elettroni in banda di conduzione e dalla
concentrazione di impurezze libere.
emissione termica di una lacuna: elettroni in banda di valenza possono
transitare nel livello energetico dell’impurezza;
cattura di una lacuna: in modo analogo il centro di ricombinazione può
“catturare” una lacuna dalla banda di valenza.
Per i rivelatori l’esistenza di centri di ricombinazione riduce il tempo medio in cui
un portatore di carica rimane libero con effetti sul segnale prodotto dal
passaggio di una particella nel sensore. I centri di ricombinazione non sono solo
dovuti alla presenza di impurezze nel cristallo, ma possono insorgere anche a
causa di shock termici o meccanici o a causa di elevata esposizione alla
radiazione.
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1.2 La giunzione p-n[6]
Alla base di tutti i tipi di sensori al silicio c’è la giunzione p-n. Questa è una
struttura ottenuta ponendo a contatto due semiconduttori con drogaggio
opposto (figura 1.10).
Figura 1.10 – Schema della giunzione p-n. Sovrapposto allo schema, il grafico che
riporta la concentrazione dei portatori di carica. Gli elettroni dalla zona n tendono a
diffondere nella zona p, mentre le lacune dalla zona p diffondono nella zona n.
Gli elettroni della zona n tendono a muoversi, per diffusione, nella zona drogata
p. Ugualmente le lacune diffonderanno dalla zona p alla zona n. All’avanzare del
processo di diffusione si crea una carica netta, positiva nel lato n e negativa in
quello p, a ridosso della giunzione. L’effetto netto è quello di creare una regione
a potenziale variabile tra le parti del dispositivo differentemente drogate e,
quindi, un campo elettrico noto come campo elettrico di contatto che si oppone
all’ulteriore diffusione dei portatori fino al raggiungimento di una condizione di
equilibrio; questa è caratterizzata dalla creazione di una regione di svuotamento
che deve il suo nome al fatto di essere svuotata di cariche mobili. Questa
caratteristica è interessante per la rivelazione di particelle: la radiazione
ionizzante, entrando in questa zona, creerà una coppia elettrone-lacuna che sarà
espulsa dalla zona di svuotamento per effetto del campo elettrico di contatto.
Piazzando dei contatti elettrici alle estremità della giunzione si può misurare una
corrente proporzionale alla ionizzazione avvenuta nella zona di svuotamento.
15
1.2.1 Caratteristiche della regione di svuotamento
Nell’ipotesi in cui la giunzione sia delimitata da due superfici piane illimitate si
può considerare il problema unidimensionale. Il calcolo del campo elettrico e del
potenziale nella giunzione è fornito dalla risoluzione dell’equazione di Poisson,
nota la densità lineare di carica ρ(x) e la costante dielettrica ε:
(1.6)
dove x rappresenta la coordinata nella direzione ortogonale alle superfici
considerate. Conoscendo la concentrazione di droganti NA nel lato p e ND nel lato
n, la conservazione della carica nella giunzione impone che
NA xP= ND xn (1.7)
Questo implica che, se i due lati della giunzione sono differentemente drogati, la
regione di svuotamento si estende per lo più nel lato meno drogato.
Nei sensori di particelle si utilizzano sempre configurazioni asimmetriche nel
drogaggio, ovvero giunzioni di tipo p+-n o di tipo n+-p, dove l’apice + indica una
concentrazione maggiore.
Si può inoltre avere una stima della larghezza della regione di svuotamento
attraverso la relazione:
(1.8)
dove V0 è la tensione di contatto presente ai capi della giunzione.
La zona di svuotamento presenta anche un aspetto capacitivo. Per una
geometria planare si ha che:
(1.9)
dove A è l’area della zona di svuotamento e d la sua larghezza.
1.2.2 Giunzione p-n polarizzata inversamente
Affinchè una giunzione p-n possa essere usata come rivelatore di particelle è
necessario che sia polarizzata inversamente, cioè che sia applicata una tensione
16
negativa sul lato drogato p e una tensione positiva sul lato drogato n (come
mostrato in figura 1.11).
Figura 1.11 – Giunzione p-n con polarizzazione inversa. La tensione applicata causa un
allargamento della regione di svuotamento.
Questa tensione avrà l’effetto di allargare la regione di svuotamento e quindi di
aumentare il volume disponibile per la rivelazione. La larghezza della regione di
svuotamento può essere calcolata attraverso la relazione 1.8 sostituendo alla
tensione V0 la somma V0+Vext dove Vext è la tensione inversa applicata
esternamente. In generale però V0 può essere trascurato in quanto V0 << Vext.
Con l’allargamento della zona di svuotamento si ha un aumento del volume
disponibile per la rivelazione, che al massimo può coincidere con le dimensioni
geometriche della giunzione.
Si deve però prestare attenzione che, per tensioni elevate, la giunzione va
incontro al breakdown e inizia a condurre.
1.2.3 Il fenomeno del Breakdown
Il breakdown è un rapido aumento della corrente che scorre in una giunzione
polarizzata inversamente a causa di una tensione di polarizzazione inversa
abbastanza elevata.
Il fenomeno del breakdown può essere di due tipi: il “breakdown Zener” e il
“breakdown a valanga”.
Il “breakdown Zener” avviene quando elettroni in banda di valenza del lato p
passano, per effetto tunnel, in banda di conduzione del lato n attraversando
tutta la regione di svuotamento. La probabilità che ciò accada dipende
17
dall’estensione della regione di svuotamento; maggiore è la regione, minore
risulterà essere la probabilità.
Il breakdown a valanga, avviene nei dispositivi caratterizzati da basso drogaggio:
se il campo elettrico nella regione di svuotamento è sufficientemente elevato, un
elettrone ha una probabilità di acquistare abbastanza energia, colpire quindi un
elettrone di valenza che, a sua volta, può colpire altri portatori. Si ottiene così un
processo di moltiplicazione a valanga di portatori che può generare una non
trascurabile corrente.
La tensione di breakdown è un fattore limite per l’operabilità di un rivelatore, in
quanto, per tensioni di polarizzazione vicine a quella di breakdown, questo andrà
incontro ad un aumento di temperatura e quindi ad una possibile rottura.
1.3 Utilizzo di una giunzione come rivelatore
Un rivelatore a semiconduttore consiste, dunque, in una giunzione p-n
polarizzata inversamente; quando una particella lo attraversa si producono, per
ionizzazione, delle coppie e-h che si muovono per effetto del campo elettrico
presente nella giunzione. Le cariche vengono quindi raccolte da due elettrodi
disposti sui due lati della giunzione (come mostrato in figura 1.12). Si genera
quindi un segnale che permette di rivelare il passaggio della particella.
Figura 1.12 – Configurazione standard per l’utilizzo di una giunzione come rivelatore.
La radiazione incide sull’area attiva del dispositivo, genera una coppia e-h che deriva
verso gli elettrodi generando un segnale. Lo strato di metallo, di solito alluminio, serve
a realizzare i contatti che raccolgono la carica.
18
La giunzione è dunque formata da uno strato di alto drogaggio ed un substrato
meno drogato, come mostrato in figura 1.12 in cui è rappresentata una giunzione
p+-n.
Nel seguito chiameremo lato front il lato della giunzione e lato back il lato
opposto, quello ohmico.
Sul back è opportuno non depositare il metallo direttamente sul semiconduttore,
per evitare di creare una giunzione rettificatrice; si usa quindi interporre del
materiale con drogaggio dello segno del substrato di silicio, ma con una
concentrazione maggiore (nel caso mostrato in figura si usa quindi del materiale
drogato n+).
1.3.1 Carica generata
Una particella carica che attraversa un rivelatore al silicio perde energia per
effetto dell’interazione elettromagnetica con il materiale, cedendola così agli
atomi di silicio. L’energia rilasciata nel mezzo attraversato è data dall’equazione
di Bethe-Block[7]:
(1.10)
dove β è il rapporto tra la velocità della particella e la velocità della luce, E è
l’energia della particella incidente, x è la distanza percorsa nel mezzo, c è la
velocità della luce, z la carica della particella incidente, e è la carica
dell’elettrone, me è la massa a riposo dell’elettrone (9.109· 10-31Kg), ρ è la
densità del materiale, re è il raggio classico dell’elettrone (2.8·10-15m), NA è il
numero di Avogadro (6.022·1023 molecole/mole), Z ed A sono rispettivamente il
numero e il peso atomico del materiale, Wmax è la massima energia trasferita in
un singolo urto, I il potenziale medio di eccitazione degli atomi del materiale, δ è
la correzione di densità, C è la correzione di shell.
Il termine di correzione di densità è un effetto significativo ad energie elevate; la
particella carica che attraversa il mezzo lo polarizza e la polarizzazione produce
19
un effetto di schermo sugli atomi lontani. La particella interagisce di meno con gli
atomi più lontani e questo comporta una diminuzione della dE/dx.
Il termine di correzione di shell dipende dalla velocità v della particella v ed è
importante quando v è paragonabile alla velocità orbitale degli elettroni legati.
L’andamento della formula di Bethe-Block con e senza termini di correzione,
divisa per la densità del materiale, è riportato in figura 1.13
Figura 1.13 – Curva di Bethe-Block con e senza termini di correzione, divisa per la
densità del materiale. Dividendo per la densità del mezzo materiale si ottiene una
curva indipendente dal tipo di materiale.
Per piccoli valori di β, la perdita di energia va come 1/ β2, per poi passare per un
minimo e risalire in maniera logaritmica (risalita relativistica). Le particelle che
interagiscono con il mezzo dei rivelatori sono, tipicamente, al minimo di energia
di ionizzazione (e vengono dette MIP “minimum ionizing particle”) e sono
importanti per studiare la statistica dei portatori generati dal passaggio di una
particella.
L’energia media rilasciata quindi non dipende dal tipo di particella o dalla sua
energia, ma unicamente dal tipo di materiale con cui questa interagisce. A
seconda di quanta energia viene rilasciata si producono più o meno coppie e-h.
Uno dei principali vantaggi dei rivelatori al silicio è la piccola quantità di energia
20
necessaria per creare una coppia e-h; infatti, a temperatura ambiente, questo
valore è di circa 3.3 eV, come già detto.
Poiché la perdita di energia nel silicio di una MIP è in media di circa 3.88
MeV/cm, per un rivelatore con una regione attiva spessa 300 μm, si vengono a
creare in media 32000 coppie.
Il numero di coppie create segue però una distribuzione non simmetrica, quella
di Landau, quindi il valore più probabile è minore del valore medio, e si attesta su
circa 22000 coppie.
Se si confronta il numero di portatori generati nelle camere di ionizzazione a gas
e nei contatori a scintillazione, si trovano, rispettivamente, uno e due ordini di
grandezza in meno rispetto al numero creato nei rivelatori al silicio.
Inoltre il motivo per cui servono circa 3 eV per creare una coppia, mentre
l’energy gap tra banda di conduzione e banda di valenza è all’incirca di 1.12 eV, è
da imputare essenzialmente a fenomeni di eccitazione vibrazionale degli atomi
che dissipano i due terzi dell’energia rilasciata.
1.3.2 Tempo di raccolta della carica e segnale
Per effetto del campo elettrico, gli elettroni si muovono verso il lato soggetto ad
una tensione maggiore, le lacune verso il lato soggetto ad una tensione minore. Il
tempo necessario ad elettrone e lacuna per attraversare il volume sensibile è
detto tempo di raccolta della carica.
Considerando un sensore parzialmente svuotato, il tempo necessario per una
carica originata in un punto x0 per raggiungere la posizione x è:
(1.11)
dove d è la larghezza della regione attiva. Tipicamente, per spessori di 300 μm, si
trova un valore di 9 ns per gli elettroni e di 27 ns per le lacune.
Non appena le cariche iniziano a muoversi, si crea una carica indotta sugli
elettrodi che fornisce già un segnale di corrente. Man mano che le cariche si
muovono attraverso la giunzione, la carica indotta sugli elettrodi cambia
21
continuamente; più le cariche si avvicinano più la carica indotta aumenta.
L’intensità della corrente indotta viene espressa matematicamente dal teorema
di Ramo:
(1.12)
dove q è la carica del portatore, la velocità istantanea, il campo elettrico
pesato ottenuto ponendo a 1 V il potenziale sull’elettrodo su cui si misura il
segnale e a 0 V tutti gli altri.
Si dimostra quindi che elettroni e lacune contribuiscono in egual misura alla
corrente su entrambi gli elettrodi e che la corrente istantanea è la stessa in ogni
momento (anche se di segno opposto) su tutti gli elettrodi.
Quindi il segnale fornito da un rivelatore al silicio è un impulso di corrente
piccolo (ampiezza di qualche μA) e veloce (decine di nanosecondi); questo
impedisce in pratica di trasmettere il segnale a lunga distanza e perciò deve
essere amplificato attraverso un preamplificatore che, a causa della piccola
ampiezza del segnale, deve essere caratterizzato da un rumore piuttosto basso.
Poiché gran parte del rumore è dovuto proprio ai dispositivi elettronici che
formano l’amplificatore stesso, si può cercare di ridurlo mettendo un filtro in
cascata all’amplificatore. [6]
1.3.3 Rivelatore a semiconduttore ideale
Uno dei parametri più importanti di un rivelatore di particelle è il rapporto
segnale/rumore (SNR: signal to noise ratio). Un buon rivelatore dovrebbe avere
un SNR alto, ciò porta a due requisiti in contraddizione tra loro: segnale alto e
rumore basso. Infatti per avere un segnale alto è necessaria un’energia di
ionizzazione bassa e quindi una energy gap piccola; per avere un rumore basso
bisogna avere pochi portatori intrinseci e quindi una energy gap grande. Il
materiale ideale dovrebbe avere una energy gap di circa 6 eV. Infatti, in questo
caso, a temperatura ambiente la banda di conduzione è quasi vuota e la energy
gap è sufficientemente piccola da creare un gran numero di coppie e-h per
ionizzazione. Un materiale con queste caratteristiche è il diamante, tuttavia
anche i diamanti artificiali sono troppo costosi per rivelatori estesi.
22
Si può calcolare quanto è il SNR in un rivelatore intrinseco di silicio. Si è
proceduto già a menzionare l’entità del segnale, cioè il numero di coppie e-h più
probabile che si formano in seguito al passaggio di una MIP (circa 2.2·104). Il
rumore è dato dalla concentrazione di portatori intrinseci presenti nella regione
attiva (che, tipicamente, ha uno spessore d = 300 μm e un’area A = 1 cm2) a
temperatura ambiente (300 K):
e si trova un SNR di circa 10-4! Per aumentare il SNR è necessario, infatti, ridurre i
portatori di carica dalla regione attiva, per questo si lavora con la giunzione p-n
svuotata.
1.4 Danno da radiazione[8]
Il corretto funzionamento dei dispositivi a semiconduttore dipende dalla
struttura del reticolo cristallino. A causa della radiazione incidente sul
dispositivo, possono insorgere difetti che intrappolano i portatori di carica
causando una non perfetta raccolta del segnale prodotto dalla radiazione
incidente.
I danni da radiazione si dividono, principalmente, in due tipologie: danni di
superficie e danni di volume.
I danni di superficie riguardano essenzialmente lo strato di SiO2 superficiale che
si deposita su tutta la superficie del sensore per passivarlo. La particella crea
coppie e-h anche nel passaggio attraverso l’ossido, una parte delle quali si
ricombina. L’effetto dell’irraggiamento è quello di intrappolare una certa
quantità di carica in livelli profondi interni nell’ossido e soprattutto nelle
vicinanze con il silicio e con il metallo. Avendo gli elettroni una mobilità maggiore
rispetto alle lacune, riescono a raggiungere il confine dell’ossido e ad essere
espulsi nel metallo o nel semiconduttore. Si verrà a creare quindi un eccesso di
carica positiva all’interfaccia. La presenza di questa carica induce la formazione di
un canale di elettroni nel substrato di silicio che influisce sull’isolamento fra gli
elettrodi di raccolta del segnale.
23
I danni di volume invece hanno effetti più gravi sul corretto funzionamento del
rivelatore. Una particella non perde energia unicamente a causa della creazione
di coppie e-h, ma anche per via degli urti con gli ioni del reticolo. In questi urti si
possono rompere i legami covalenti che l’atomo ha con quelli vicini e imprimergli
una quantità di moto che lo indurrà a spostarsi all’interno del reticolo (danno di
Frenkel). Ciò introduce dei nuovi livelli energetici all’interno della banda proibita
che hanno un effetto sensibile sulle proprietà di rivelazione e sulla capacità di
raccolta della carica. Il numero di danni di Frenkel prodotti da irraggiamento con
neutroni è circa molte volte maggiore rispetto ad altre particelle come protoni e
particelle alfa. Infatti, per spostare un atomo di silicio dalla sua collocazione
all’interno del reticolo è necessario trasferire all’atomo circa 25 eV, mentre la
minima energia dei neutroni necessaria a superare questa soglia è di 180 eV. Di
fatto, quasi tutti i neutroni veloci superano questo valore minimo causando
quindi molti danni di Frenkel e introducendo di conseguenza molti livelli
intermedi all’interno della gap tra banda di valenza e banda di conduzione. Se
l’energia trasferita è dell’ordine dei keV allora possono insorgere agglomerati di
difetti puntiformi detti cluster, che tipicamente hanno la dimensione di 5 nm.
Questi nuovi livelli danno luogo a effetti macroscopici quali un cambiamento
della tensione di svuotamento, una diminuzione dell’efficienza di raccolta della
carica e un aumento della corrente inversa.
Il meccanismo di perdita di energia della particella nel substrato di silicio, e
quindi il danno prodotto, dipende sia dal tipo di particella sia dalla sua energia.
Dal momento che non è l’energia persa per ionizzazione a causare un danno
stabile nel silicio, bensì gli urti con gli atomi, è possibile correlare il danno
prodotto con l’energia persa dalla particella stessa in questi processi non
ionizzanti. Questa ipotesi è nota con il nome di ipotesi della perdita di energia
non ionizzante (NIEL, Non Ionizing Energy Loss).
L’ipotesi NIEL permette di rapportare il danno prodotto in un irraggiamento con
particelle diverse e con un complesso spettro di energia a quello prodotto da un
unico tipo di particella monoenergetica con la stessa fluenza, dove per fluenza si
intende il numero di particelle incidenti sul rivelatore per unità di superficie, che
tipicamente sono 1013 ÷ 1016 particelle·cm-2.
24
Per ragioni storiche la fluenza di un dato irraggiamento viene normalizzata alla
fluenza equivalente di neutroni da 1 MeV.
1.4.1 Il fenomeno dell’annealing della corrente
Uno egli effetti macroscopici dell’irraggiamento di un sensore al silicio è
rappresentato dall’aumento della corrente inversa. La corrente inversa, tuttavia,
misurata dopo l’irraggiamento non rimane costante nel tempo, ma mostra una
progressiva decrescita. Questo processo detto annealing della corrente dipende
fortemente dalla temperatura a cui è mantenuto il sensore. Questo fenomeno
evidenzia che alcuni difetti introdotti dall’irraggiamento sono mobili al variare
della temperatura e si annichilano (annealing benefico) o si ricombinano in difetti
più complessi; il risultato netto di questo processo è un minor tasso di
generazione di coppie e, quindi, una minore corrente inversa.
Una scomparsa vera e propria dei difetti non esiste, tranne nel caso di annealing
benefico. I difetti subiscono delle modifiche che ne alterano le proprietà, può
anche accadere che con il passare del tempo difetti elettricamente inattivi
diventino attivi oppure che difetti neutri interagiscano tra di loro creando un
difetto complesso carico.
Dalla conoscenza della fluenza equivalente di irraggiamento si può prevedere
l’aumento della corrente attraverso la relazione:
(1.13)
dove α è detto “parametro di danno” ed è dipendente dal tempo trascorso dalla
fine dell’irraggiamento (t) e dalla temperatura (T), ma è indipendente dal tipo di
materiale, dalle caratteristiche del substrato quali drogaggio, resistività e
orientazione dei cristalli, dal tipo di radiazione e dalla sua fluenza in un intervallo
di fluenze compreso tra 1011 e 1018 cm-2.
Il fenomeno dell’annealing è evidente dalla figura 1.14 che rappresenta il
parametro di danno in funzione del tempo trascorso dalla fine
dell’irraggiamento (detto tempo di annealing) in corrispondenza di alcune
temperature a cui è stato costantemente tenuto il sensore al silicio dopo
l’irraggiamento (temperatura di annealing).
25
Figura 1.14 – Parametro di danno in funzione del tempo a diverse temperature[9].
Come si vede dalla figura 1.14, il parametro di danno diminuisce continuamente
all’aumentare del tempo ed è più piccolo a temperature più alte. Solo per
temperature elevate, 106 0C nella figura 1.14, si nota una tendenza di alla
saturazione dopo un mese dall’irraggiamento. L’andamento di in funzione del
tempo può essere approssimato dalla seguente parametrizzazione:
a(t) =a I exp -t
t I
æ
èç
ö
ø÷+a0 - b ln
t
t0
æ
èç
ö
ø÷ (1.14)
dove I, 0, I e sono delle quantità che dipendono dalla temperatura di
annealing e a t0 viene dato il valore di 1 minuto. Questa parametrizzazione non
vale per tempi di annealing al di sotto del minuto e non descrive l’andamento dei
dati sperimentali per tempi di annealing fino a qualche giorno nel caso di
temperature vicine a quella ambiente, come si vede dalla figura 1.14. In
quest’ultimo caso sono necessarie delle correzioni per descrivere l’andamento
dei dati sperimentali.
26
1.4.2 Migliorare la resistenza alla radiazione dei sensori a
semiconduttore
Sono attivi alcuni progetti di ricerca con l’obiettivo di sviluppare la tecnologia più
adatta per realizzare i rivelatori per i futuri esperimenti caratterizzati da elevati
flussi di radiazione. Di seguito ne sono elencati alcuni:
- RD39: sviluppo di rivelatori al silicio criogenici super resistenti alla
radiazione [10];
- RD42: sviluppo di rivelatori al diamante per esperimenti ad alta
luminosità [11];
- RD50: sviluppo di rivelatori a semiconduttore per esperimenti ad alta
luminosità [12].
La strategia comune riguarda la comprensione dei meccanismi alla base del
danno da radiazione e lo sviluppo di nuovi materiali per limitare la comparsa dei
difetti.
1.5 Rivelatori a strip
I rivelatori a strip presentano il lato front con elettrodi segmentati e i sensori p+-n
a strip sono realizzati su un substrato di silicio di tipo n di alcuni cm2 su cui
vengono impiantate delle sottili strisce di tipo p+, mentre, sul back viene
impiantato un elettrodo n+. Si ottiene così una particolare giunzione p-n in cui
ogni striscia costituisce un elemento sensibile. Uno schema di un rivelatore a
strip è mostrato in figura 1.15.
27
Figura 1.15 – Sezione di un rivelatore a strip p+-n. La giunzione è formata da ciascuna
striscia (drogaggio p+) e il substrato di tipo n. La particella incidente crea una coppia e-
h che genera un segnale rivelato dalle strip di alluminio.
I rivelatori a strip si distinguono a seconda di varie caratteristiche geometriche: il
passo, la larghezza delle strip e lo spessore. Il passo è la distanza tra due strip
adiacenti ed è una costante di tutto il rivelatore, questo può variare, a seconda
dei casi, da 25 μm a 240 μm. La larghezza delle strip, invece, può variare
dall’ordine del mm (e si parla di strip macroscopiche) fino ad arrivare a valori del
μm (e si parla di microstrip). Il passo delle strip influenza l’accuratezza con cui si
riesce a identificare la posizione in cui è avvenuto il passaggio della particella.
Come si evince dalla figura 1.15, è presente uno strato di ossido di silicio; quando
sotto i contatti di alluminio viene impiantato questo strato, esso funge da
capacità di accoppiamento tra la strip ed il corrispondente canale dell’elettronica
di lettura e impedisce il passaggio della componente continua della corrente di
buio, dovuta alla polarizzazione, all’ingresso dell’elettronica: in tal caso si parla di
accoppiamento AC. Ciò non avviene se invece questo strato manca, e quindi i
contatti di alluminio sono aderenti direttamente alle strip: si parla di
accoppiamento DC.
I rivelatori a strip oggetto di questo lavoro di tesi saranno descritti
dettagliatamente nel Capitolo 2.
28
1.5.1 Polarizzazione di un rivelatore e meccanismo del
punchthrough
Affinché il dispositivo possa rivelare il passaggio di radiazione, deve essere
opportunamente polarizzato. È necessario quindi che ci sia la giusta differenza di
potenziale tre le strip e il back.
Le tecniche di polarizzazione sono essenzialmente due:
ciascuna striscia è alimentata tramite una resistenza, generalmente in
polisilicio, connessa alla cosiddetta linea di polarizzazione, un anello di
alluminio che può o meno percorrere tutto il perimetro del sensore
(figura 1.16);
ciascuna striscia è alimentata per punchthrough. Al di sotto della linea di
bias si realizza un drogaggio dello stesso tipo di quello delle strisce.
Fornendo tensione alla linea di polarizzazione, la regione sottostante si
svuota di carica spaziale e questa regione di svuotamento raggiunge le
strip ancorandole ad una tensione vicina a quella fornita alla linea di
polarizzazione (figura 1.17).
Figura 1.16 – Sezione di un tipico sensore al silicio alimentato mediante la
realizzazione di resistenze in polisilicio.
29
Figura 1.17 – Sezione di un tipico sensore al silicio alimentato mediante la tecnica di
punchthrough.
30
Capitolo 2
LABORATORIO DI MISURA E
DESCRIZIONE DEL SENSORE
PLANARE A BORDO ATTIVO
2.1 La Camera Pulita
Le misure presentate in questo lavoro di tesi sono state realizzate presso il
laboratorio Camera Pulita (o Camera Bianca) della Sezione di Bari dell’Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). La Camera Pulita è un ambiente in cui il
livello di particolato nell’aria è mantenuto al di sotto di un certo valore, che ne
definisce la cosiddetta classe, mediante un sistema di aerazione forzata e di
opportuni filtri. La necessità di operare in una Camera Pulita nasce dal fatto che
le particelle in sospensione nell’aria possono danneggiare le microstrutture
presenti sui sensori al silicio. In particolare, secondo la normativa ISO 14644-
1[13], la Camera Pulita in cui sono state eseguite le misure qui descritte è di
classe ISO 7 equivalente ad un livello di particelle (di dimensioni superiori a 0.5
m) per metro cubo al di sotto di 352000. Il laboratorio è dotato, inoltre, di un
sistema di controllo della temperatura e dell’umidità ambientali.
Le misure di caratterizzazione elettrica del sensore planare a bordo attivo sono
state eseguite mediante i seguenti strumenti installati all’interno della Camera
Pulita:
- Probe Station Karl Suss PA200[14];
- HP4142B Modular DC Source/Monitor[15];
- HP4284A Precision LCR Meter[16];
31
I due strumenti HP4142B e HP4284A sono pilotati da PC tramite l’interfaccia
GPIB (General Purpose Interface Bus IEEE-488)[17] e mediante un programma
scritto in LabView[18] che consente di impostare automaticamente gli strumenti
in base al tipo di misura da eseguire e di visualizzare on-line il risultato delle
misure.
L’analisi delle misure è stata eseguita mediante ROOT[19] con alcuni semplici
programmi appositamente scritti grazie ai quali è stato possibile rappresentare
graficamente i risultati ed estrarre i valori di alcuni parametri caratteristici dei
sensori.
2.1.1 Probe Station Karl Suss PA200
Per la caratterizzazione elettrica di sensori a semiconduttore è fondamentale
ricorrere a stazioni che ne consentano un posizionamento micrometrico. Una
tale stazione è chiamata Probe Station. La figura 2.1 mostra la Probe Station
installata nella Camera Pulita di Bari. L’intera stazione è collocata all’interno di
una gabbia di Faraday in grado di isolare l’ambiente all’interno da qualunque
campo elettromagnetico presente al suo esterno per evitare che del rumore
indesiderato venga indotto nei dispositivi in esame.
La Probe Station è costituita essenzialmente dai seguenti elementi:
- un chuck;
- una stazione mobile;
- un microscopio;
- alcuni microposizionatori dotati di micropunte.
Una foto dettagliata del chuck con le micropunte, i microposizionatori e il
sensore planare a bordo attivo è mostrata in figura 2.2.
Il chuck consiste, nella versione installata a Bari, in una base circolare con la
superficie di oro con un diametro di 20 mm su cui è possibile depositare i sensori
da analizzare. Il chuck è collegato ad un impianto a vuoto che aspira l’aria
attraverso delle scanalature circolari e dei fori presenti sulla sua superficie
superiore. Il vuoto è necessario per bloccare i dispositivi una volta che questi
siano stati poggiati. Il chuck è in oro in modo da polarizzare i dispositivi dal back;
il chuck infatti possiede una connessione coassiale elettrica la cui estremità
32
consiste in un adattamento di impedenza a 50 tramite la quale può essere
collegato ad una delle uscite degli strumenti di misura.
Figura 2.1 – Foto della Probe Station installata nella Camera Pulita della Sezione INFN
di Bari.
La stazione mobile permette di spostare il chuck in tutte e tre le dimensioni.
Questa consiste essenzialmente in una base mobile i cui movimenti si possono
facilmente controllare via software o manualmente attraverso un joystick. I
movimenti sono caratterizzati da una risoluzione di 0.5 m lungo il piano
orizzontale e di 0.25 m nella direzione verticale.
Il microscopio è installato su supporti mobili che gli permettono di muoversi sul
piano orizzontale. Questa possibilità di movimento risulta molto comoda nel
posizionamento delle micropunte sul sensore. Il microscopio, in dotazione nella
Probe Station di Bari, è dotato di due obiettivi a diverso ingrandimento per
consentire un più agevole posizionamento delle micropunte sul sensore.
I microposizionatori sono dei piccoli apparati che posizionano le punte con
precisione micrometrica attraverso un braccio che può muoversi in tutte e tre le
33
dimensioni. Gli spostamenti sono controllati da opportune viti, ognuna
responsabile del movimento in una singola dimensione. Il braccio è fatto di
materiale conduttivo ed è ricoperto di plastica isolante. I microposizionatori sono
dotati di una base magnetica che permette loro di aderire ad un supporto
metallico in modo da rimanere fermi durante le operazioni di posizionamento. Ai
microposizionatori sono collegati dei cavi, con impedenza caratteristica di 50 ,
che escono dalla gabbia di Faraday attraverso due pannelli con connettori, e
arrivano agli strumenti di misura, nel nostro caso HP4142B e HP4284A.
Il segnale, di corrente o di tensione, fornito dai due strumenti di misura, arriva,
attraverso il braccio dei microposizionatori, alle micropunte. Queste sono in
sostanza degli aghi di materiale conduttivo che permettono di contattare
singolarmente le microstrutture dei sensori. Esistono punte di varie dimensioni,
con diametri che variano da 2.5 μm a 50 μm.
Figura 2.2 – Il chuck della Probe Station su cui è disposto il sensore. Attraverso le
micropunte i singoli elettrodi realizzati sul sensore sono messi in contatto con gli
strumenti di misura.
2.1.2 HP4142B Modular DC Source/Monitor
Si tratta di uno strumento ad alte prestazioni in grado di misurare corrente
continua e fornire tensione con lo stesso terminale detto Source/Monitor Unit
34
(SMU) oppure di misurare tensione in regime continuo ed erogare un valore
fissato di corrente. Lo strumento è caratterizzato da un’architettura modulare
adatta a vari ambiti e presenta le seguenti caratteristiche:
- Ampio raggio di misurazione (fino a 10 A o 1000 V);
- Precisione elevata (nella misura di tensioni 0.05%, nella misura di correnti
0.2%);
- Alta velocità (tempo di misura da 4 ms a 400 ms).
Lo strumento è controllato da un PC utilizzando il bus di comunicazione GPIB,
come già detto.
Lo strumento utilizzato per le misure descritte in questa tesi è composto dai
seguenti tipi di moduli:
- HP41423A: unità dedicata a fornire tensioni da 2 mV a 1000 V. Può
eseguire misure di correnti da un valore minimo di 2 pA a uno massimo di
10 mA.
- HP41421B: unità dedicata alla misura di corrente, può fornire tensioni da
40 μV a 100 V e può eseguire misure di correnti per valori che vanno da
20 fA a 100 mA.
- HP41420A: può fornire tensioni da 40 μV a 200 V e può eseguire misure
di corrente per valori che vanno da 20 fA a 1 A.
In particolare lo strumento usato in laboratorio è equipaggiato con due moduli
HP41421B, un modulo HP41423A e un modulo HP41420A. In seguito i terminali
dei due moduli HP41421B saranno identificati con SMU1 e SMU2,
rispettivamente, quello del modulo HP41423A con SMU3 mentre quello del
modulo HP41423A con HVU. Ciascun modulo, oltre alle uscite SMU1 o 2 o 3 o
HVU, che sono quelle effettivamente utilizzate per fornire tensione e misurare
corrente o viceversa, presenta un SENSE che ha il compito di misurare la tensione
effettiva che l’apparato fornisce al sensore, in modo da compensare le cadute di
tensione che si possono verificare lungo i cavi.
In tutte le misure descritte nella tesi, lo strumento è stato utilizzato nel modo
seguente: sono stati impostati il valore iniziale (start) e quello finale (stop) della
tensione o della corrente, il numero di misure intermedie (numero di step), il
tempo di holding e il tempo di ritardo, descritti dopo. Ogni misura inizia in
35
seguito ad un trigger. Ognuno dei parametri precedenti, che permettono di
affinare la qualità della misura, interviene nella procedura di misurazione come
mostrato in figura 2.3.
Figura 2.3 – Illustrazione dei parametri che si possono impostare in una tipica misura
con l’HP4142B
Il numero di step (N), è il numero di misure che lo strumento effettua tra il valore
di start e il valore di stop impostati. Nel nostro caso, si è usato un numero di step
di 50 o di 100 a seconda del tipo di misura da eseguire.
Il tempo di settaggio (Ts), è una costante dello strumento (4 ms) ed è il tempo
che impiega per impostare il valore iniziale.
Il tempo di holding (Th) è il tempo di attesa antecedente alla prima misura. È un
parametro impostabile e, nel nostro caso, si è usato un valore di 0.5 s per tutte le
misure effettuate.
Il tempo di delay (Td) è il tempo di ritardo che lo strumento lascia passare tra una
misura e la successiva. Anche questo è un parametro impostabile e, nel nostro
caso, si è usato un valore di 1 s per tutte le misure.
Il tempo di misurazione (Tm) è il tempo che impiega lo strumento ad effettuare la
misura e varia da 4 ms a 400 ms a seconda di quanto è alto il numero di campioni
che acquisisce per effettuare la misura. Questa, infatti, viene fatta eseguendo
una serie di misurazioni in successione e poi facendo una media in modo da
“filtrare” eventuali campioni errati o corrotti da eventuali disturbi. Il numero di
misure è anch’esso variabile (si va da un minimo di 5 ad un massimo di 100). Nel
nostro caso si è usato il valore di default dello strumento, 10.
36
La figura 2.4 mostra la finestra grafica da cui è possibile impostare tutti i
parametri dello strumento (e di tutti quelli collegati al PC) e di controllare le
misure.
Figura 2.4 – Pannello di controllo del programma in LabView da cui è possibile
controllare gli strumenti di misura.
Tra i parametri da non dimenticare da impostare vi è il valore limite di corrente
(compliance) che può fluire nel sensore. Appena lo strumento rileva una corrente
maggiore alla corrente di compliance impedisce di aumentare ulteriormente la
tensione applicata. In questo caso la corrente di compliance è stata impostata a 1
mA, valore sufficientemente elevato da permettere di misurare la corrente anche
alla tensione di breakdown e sufficientemente basso da non danneggiare il
sensore.
2.1.3 HP4284A LCR Meter
L’HP4284A LCR Meter è un misuratore di impedenze complesse, capacitive,
resistive ed induttive, ad alta precisione, nell’intervallo 0100 M. Nel seguito
verrà trattato solamente come capacimetro, poiché per le altre tipologie di
misure tale strumento non è stato utilizzato.
L’HP4284A permette di realizzare misure di capacità con una precisione relativa
pari allo 0.05%.
37
Lo strumento può essere controllato, cosi come per l’HP4142B, direttamente da
PC mediante interfaccia GPIB situata sul retro dello strumento.
Lo strumento presenta quattro terminali: Hcur, Hpot, Lcur, Lpot. Come mostrato in
figura 2.5, una tensione variabile viene fornita in uscita al terminale Hcur e la
corrente che scorre attraverso il sensore è misurata dal terminale Lcur. I terminali
Hpot e Lpot misurano la caduta di tensione ai capi del sensore. Nella figura il
sensore è rappresentato dal simbolo del condensatore ed è chiamato DUT
(Device Under Test).
Figura 2.5 – Schema della tecnica di misura della capacità utilizzata dall’LCR meter
HP4284A.
I terminali Hcur e Hpot sono collegati tra di loro a formare un unico terminale, in
seguito indicato con HIGH, così come i terminali Lcur e Lpot sono collegati tra loro a
formare il terminale che nel seguito sarà indicato con LOW.
Nel centro e nello schermo dei cavi scorre corrente in verso opposto annullando
eventuali induttanze parassite.
Lo strumento non è in grado di fornire anche un livello di tensione continua in
modo da polarizzare il sensore durante la misura della capacità. Per ovviare a
questo, si aggiunge al segnale di tensione variabile presente su HIGH un segnale
di tensione continua fornito dall’HP4142B. Per questo scopo è stata usata una
scatola custom di adattamento. Così facendo è possibile realizzare misure di
capacità sia in funzione della frequenza del segnale di tensione variabile fornito
38
dall’HP4284A (in un range che va da 20 Hz a 1 MHz) in corrispondenza di tensioni
continue fissate e fornite dall’HP4142B, sia in funzione della tensione continua in
corrispondenza di frequenze fissate.
Lo strumento è dotato di funzioni che consentono di correggere le misure da
eventuali impedenze parassite dovute ai cavi e al sistema di test in generale.
La capacità tra due elettrodi del sensore (front e back nel caso della capacità
totale, due strip nel caso della capacità interstrip) è misurata assumendo un
modello per l’impedenza tra gli stessi elettrodi, come mostrato in figura 2.6. In
particolare si assume che l’impedenza complessiva sia dovuta ad un capacitore
(C), ad un resistore (RP) in parallelo al capacitore e ad un resistore (RS) in serie al
parallelo.
Figura 2.6 – Modello elettrico per la misura della capacità. Per piccoli valori di capacità
il circuito si riduce ad un bipolo CR parallelo. Per grandi valori diventa un bipolo CR
serie.
L’impedenza totale del circuito mostrato in figura 2.6 si può scrivere come:
dove rappresenta la pulsazione del segnale variabile fornito dall’HP4284A.
Dall’equazione precedente si osserva che per piccoli accoppiamenti capacitivi, la
resistenza in serie è trascurabile e, quindi, il circuito si riduce ad un bipolo
puramente parallelo mentre per grandi valori di capacità è trascurabile la
resistenza in parallelo ottenendo un bipolo CR di tipo serie.
39
Dato che le capacità attese sono piccole, lo strumento è stato impostato per
eseguire le misure secondo il modello puramente parallelo e più precisamente è
stata misurata la capacità C e la grandezza definita dalla seguente relazione
detta fattore di dissipazione e dove f è la frequenza della tensione applicata ai
capi del bipolo. Nel caso di ammettenza puramente capacitiva il fattore di
dissipazione è piccolo.
Ai fini della caratterizzazione elettrica del sensore oggetto di questa tesi la
grandezza D non è stata presa in considerazione.
2.2 I sensori planari a bordo attivo
I sensori planari a bordo attivo sono essenzialmente sensori realizzati con la
tecnica planare con l’aggiunta di un bordo attivo realizzato mediante la tecnica
Deep Reactive Ion Etching (DRIE) che consente di ridurre al minimo l’area morta
ai lati dei sensori. Il bordo attivo ha come conseguenza l’eliminazione dei
problemi legati al taglio tradizionale dei sensori e consente una più facile
distribuzione dei sensori su superfici estese.
2.2.1 Tecnica planare
La tecnica per la produzione dei dispositivi planari è caratterizzata dalla seguente
procedura:
- produzione di un wafer di silicio con uno spessore di 200 ÷ 300 μm
(generalmente di tipo n) e deposito di uno strato di ossido di Si02 (figura
2.7a);
- apertura di finestre nello strato di ossido (figura 2.7b);
- drogaggio con fosforo per substrati di tipo n (figura 2.7c e 2.7d);
- passaggi standard per la realizzazione di contatti e strati isolanti.
40
Figura 2.7 – Tecnica planare. Si parte da un wafer di silicio con uno spessore di
200÷300 μm e si deposita uno strato di ossido di Si02 (a). Si aprono finestre nello strato
superficiale di ossido (b). Si passa alla fase di drogaggio, ad esempio con fosforo per
substrati di tipo n (c,d).
In genere su ogni wafer si realizzano uno o più sensori. Per separare i sensori tra
di loro o dai bordi del wafer si procede al taglio utilizzando una sega diamantata.
Il procedimento di taglio tradizionale, però, presenta degli svantaggi. Uno di
questi è la presenza di un’ampia regione insensibile sul bordo del sensore, come
si può vedere in figura 2.8.
Figura 2.8 – Fotografia dell’angolo di un sensore al silicio tagliato con la tecnica
tradizionale. E’ visibile una zona morta che circonda l’area attiva.
41
La necessità di prevedere un’ampia zona morta ai bordi di un sensore
tradizionale è dovuta al fatto che il taglio meccanico, come quello di una sega
diamantata, produce delle imperfezioni che causano un’elevata corrente
superficiale (le imperfezioni meccaniche introducono infatti dei livelli energetici
nella energy gap). Per impedire che tale corrente superficiale arrivi fino all’area
attiva per la rivelazione occorre inserire tra il bordo e la stessa area attiva una
serie di anelli di guardia (guard ring) come si vede nella figura 2.8.
A seconda dei parametri geometrici e tecnologici (spessore substrato,
concentrazione del drogaggio) la dimensione della regione insensibile può
variare da qualche centinaio di micron a più di un millimetro.
2.2.2 Tecnica Deep Reactive Ion Etching (DRIE)
Esistono particolari tecniche di taglio in grado di diminuire i danni dovuti a
questa operazione e, di conseguenza, di ridurre la dimensione della regione
inattiva. Le tecniche più diffuse sono principalmente due:
- Current Terminating Structure (CTS) che ricorre all’utilizzo di un laser;
- Deep Reactive Ion Etching (DRIE) che consiste nel bombardare con ioni la
superficie del sensore.
La tecnica DRIE è una procedura di erosione altamente anisotropa usata per
creare buchi e trincee profonde e con pareti ripide nei wafer, ottenendo rapporti
tra profondità e larghezza pari a 20:1 o migliori. Essenzialmente, invece che
segare i bordi del sensore, si realizzano degli ”scavi” attorno all’area attiva dello
stesso bombardando le zone da incidere con degli ioni. Questi ”scavi” vengono
poi riempiti con silicio policristallino; ciò permette di ridurre l’area morta di
bordo a pochi micrometri. La figura 2.9 mostra una tipica trincea scavata con la
tecnica DRIE e la figura 2.10 mostra l’angolo di un sensore planare con i bordi
attivi realizzato proprio con la tecnica DRIE presso la Fondazione Bruno Kessler di
Trento.
42
Figura 2.9 – Immagine SEM di una trincea scavata nel substrato di un sensore al silicio
ottenuta con la tecnica DRIE (Deep Reactive Ion Etching).
Figura 2.10 – Fotografia dell’angolo di un sensore planare con i bordi attivi realizzato
con la tecnica DRIE (Deep Reactive ion Etching).
Dato che le trincee sono passanti lungo tutto lo spessore del wafer è importante
usare un wafer di supporto durante tutte le fasi di produzione al fine di garantire
la tenuta meccanica dei vari pezzi. La realizzazione dei bordi attivi richiede quindi
un passo preliminare all’inizio della fase di produzione che è quello
43
dell’incollaggio del wafer su cui saranno realizzati i sensori con il wafer di
supporto.
2.3 Caratteristiche del sensore planare a bordo
attivo studiato in questa tesi
Il sensore planare a bordo attivo studiato è stato realizzato dalla Fondazione
Bruno Kessler (FKB) in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
(INFN). La figura 2.11 mostra il layout del wafer da cui è stato ricavato il sensore.
Figura 2.11 - Layout del wafer con il sensore planare a bordo attivo caratterizzato in
questa tesi (il numero 2).
Il wafer su cui è stato realizzato il sensore in questione è di tipo n, caratterizzato
da una concentrazione di atomi droganti di fosforo pari a 2·1011 P/cm3 (alta
resistività), con orientazione del reticolo <100>.
Data la presenza del wafer di supporto il back del sensore è inaccessibile e
questo implica che la tensione sul back deve essere fornita dal front. A questo
scopo è stato realizzato un contatto ohmico tra una piazzola realizzata sul front
44
del sensore, in seguito chiamata Pad, ed il back come si può vedere dalla figura
2.12.
Il sensore ha una superficie di 1 cm x 1 cm e uno spessore di 200 m. Sulla sua
superficie sono state realizzate 198 strisce di lettura di tipo p+ con un passo di 50
μm. Su una striscia ogni due sono realizzate una piazzola DC che è in contatto
diretto con l’impiantazione e due piazzole AC separate dall’impiantazione da uno
strato di ossido. L’impiantazione, la piazzola AC e l’ossido si comportano come un
condensatore che blocca la corrente di leakage impedendone l’ingresso nei
canali del chip di read-out eventualmente connessi alle piazzole AC. Le strisce
sono polarizzate mediante la tecnica del punchthrough descritta nel Capitolo 1.
Oltre alle strisce di lettura sono state impiantate anche delle strisce floating
alternate a quelle di lettura. In generale la presenza di queste strip influenza
positivamente la risoluzione spaziale del sensore.
C’è inoltre da registrare la completa assenza di guard ring.
In figura 2.13 è mostrato il dettaglio della superficie del sensore. Si può notare la
Pad per fornire tensione al back, come già detto, le piazzole DC e quelle AC sulle
strisce e la linea di polarizzazione delle strisce, Bias Line.
Figura 2.12 – Sezione trasversa del rivelatore a bordo attivo caratterizzato. Si nota
come il back sia inaccessibile a causa della presenza del wafer di supporto. L’unico
modo per polarizzare il back è dare tensione al pad sul front.
45
Figura 2.13 – Angolo alto sinistro del sensore. Si notano la Pad di Bias del back, la linea
di Bias per le strisce, le pad DC e AC delle singole strisce. Si nota anche la mancanza del
guard ring.
2.4 Irraggiamento del sensore
Il sensore oggetto di questa tesi è stato irraggiato a dicembre 2012 con neutroni
da 1 MeV equivalenti, corrispondenti ad una fluenza di 1·1014 n/cm2, al reattore
nucleare sperimentale TRIGA Mark II situato presso l’Istituto Jožef Stefan di
Lubiana (SI)[20]. Qui i campioni sono irraggiati inserendoli nel core del reattore
mediante tubi di sezione circolare con un diametro di 2.2 cm oppure di sezione
ellittica con assi di 7 cm e 5 cm (vedi figura 2.14).
Uno dei vantaggi nell’irraggiare direttamente nel core di un reattore è quello di
avere un elevato flusso di neutroni. La figura 2.15 mostra lo spettro energetico
dei neutroni in un tipico tubo usato per gli irraggiamenti.
Dallo spettro energetico si può ricavare, facendo uso della funzione di
danneggiamento, il flusso di neutroni di 1 MeV equivalenti nel reattore. Nel tubo
di sezione minore, che è stato quello utilizzato per irraggiare il sensore planare a
bordo attivo, il flusso risulta essere pari a 8.8·109 n/kWcm2s.
46
Figura 2.14 Sezione del reattore sperimentale in cui è stato irraggiato il sensore oggetto di questa tesi. I campioni da irraggiare vengono inseriti direttamente nel core del reattore tramite tubi che occupano la posizione di una barra di combustibile.
Figura 2.15 Spettro energetico dei neutroni in uno dei tubi usati per l’irraggiamento dei campioni con il reattore sperimentale di Lubiana.
Il reattore può operare con potenze comprese tra pochi kW e 250 kW. Con una
potenza di operazione tipica di 25 kW si può raggiungere la fluenza di 1·1014
n/cm2 in circa 220 s.
47
Gli svantaggi nell’uso di neutroni di un reattore nucleare sono rappresentati
dall’inevitabile attivazione dei campioni irraggiati che perciò non possono essere
utilizzati subito dopo l’irraggiamento e dal fatto che i campioni non possono
essere raffreddati o alimentati durante l’irraggiamento.
48
Capitolo 3
CARATTERIZZAZIONE ELETTRICA DEL
SENSORE PLANARE A BORDO
ATTIVO IRRAGGIATO
3.1 Proprietà elettriche misurate
Lo scopo delle misure è di studiare alcune proprietà elettriche di un sensore al
silicio a bordo attivo dopo l’irraggiamento e di confrontarle con quelle misurate
prima dell’irraggiamento.
In particolare, sono state misurate le seguenti proprietà elettriche: (i) la
caratteristica corrente-tensione (I-V) totale in polarizzazione inversa, (ii) la
caratteristica I-V di alcune singole strisce, (iii) la caratteristica di punchthrough,
(iv) la resistenza tra due strisce adiacenti, (v) la capacità totale tra front e back
del sensore, (vi) la capacità di accoppiamento tra striscia e relativo canale
dell’elettronica di lettura (capacità AC), (vii) la capacità tra due strisce adiacenti.
Tutte le misure sono state eseguite alla temperatura T = 25 °C e con 44% di
umidità relativa.
3.2 Caratteristica I-V totale
La misura della corrente totale del sensore consente di valutare il range della
tensione di polarizzazione in cui il sensore può essere utilizzato. La stessa misura
dopo l’irraggiamento consente, inoltre, di valutare la fluenza effettiva
dell’irraggiamento e di seguire nel tempo l’evoluzione del processo di annealing.
49
La misura della caratteristica I-V totale è stata effettuata posizionando le
micropunte, collegate allo strumento HP4142B, descritto nel Capitolo
precedente, come mostrato in figura 3.1.
Figura 3.1 – Schema di polarizzazione del sensore per la misura della
caratteristica I-V totale. La Bias Line è stata mantenuta alla tensione costante
di 0 V tramite la SMU1 mentre alla Pad è stata applicata una tensione
variabile tra 0 e 180 V tramite HVU.
La Bias Line è stata mantenuta a 0 V mentre è stata applicata una tensione
variabile da 0 a 180 V alla Pad collegata al Back. Come già detto nel Capitolo 2, il
sensore deve essere polarizzato utilizzando esclusivamente i contatti sul lato
Front.
La micropunta a 0 V sulla Bias Line è stata collegata alla SMU1, mentre la
micropunta sul Pad è stata collegata all’uscita HVU.
Per la misura della caratteristica I-V è stata impostata la modalità “linear steps”
con cui è stato possibile applicare una serie di tensioni crescenti distribuite in
maniera uniforme nell’intervallo indicato di 0180 V.
Il risultato della misura è mostrato in figura 3.2.
50
Figura 3.2 – Caratteristica I-V totale del sensore planare a bordo attivo dopo 19 mesi
dall’irraggiamento. La corrente totale è sempre inferiore a 0.1 mA e il sensore va in
breakdown alla tensione di 176 V.
La corrente misurata si mantiene sempre al di sotto di 0.1 mA fino a quando non
si innesca il breakdown alla tensione di 176 V.
In figura 3.3 è rappresentata la misura della caratteristica corrente-tensione
ottenuta prima dell’irraggiamento alla temperatura T = 24 °C.
Figura 3.3 - Caratteristica I-V totale del sensore planare a bordo attivo prima
dell’irraggiamento. Dopo il completo svuotamento la corrente si mantiene al di sotto
di 2 A e il sensore va in breakdown alla tensione di 135 V.
51
La corrente del sensore non irraggiato è sempre minore di 2 A e la tensione di
breakdown è di 135 V.
La corrente del sensore dopo l’irraggiamento è più alta di quella misurata prima
dell’irraggiamento, come atteso da quanto detto nel Capitolo 1 sugli effetti della
radiazione. Infatti uno degli effetti macroscopici dell’irraggiamento è quello
dell’aumento della corrente di leakage proporzionalmente alla fluenza di
irraggiamento equivalente a neutroni da 1 MeV ed al volume del sensore,
secondo la relazione (1.13): , dove è valutata nella zona di
saturazione della curva I-V.
Tenuto conto che il sensore in esame, caratterizzato da un volume V = 0.02 cm3
(come si può calcolare dalle caratteristiche geometriche descritte nel Capitolo 2),
è stato irraggiato, come già detto, ad una fluenza equivalente a neutroni da 1
MeV pari a eq = 1·1014 n/cm2, e considerando per il parametro di danno i valori
mostrati nella figura 1.14 misurati per sensori di tipo n ad alta resistività alla
temperatura di 21 °C, possiamo stimare il livello della corrente subito dopo
l’irraggiamento nella regione di saturazione prima del breakdown.
Prima, però, di procedere con la stima conviene scalare la corrente misurata
prima dell’irraggiamento alla temperatura di 21 °C (o 294.15 K) mediante la
formula 3.1:
I (T) = I (T0 )T
T0
æ
èç
ö
ø÷
2
exp -Eg
2kB
1
T-
1
T0
æ
èç
ö
ø÷
é
ëê
ù
ûú
(3.1)
dove T0 è la temperatura a cui è stata eseguita la misura, Eg è la gap tra banda di
valenza e banda di conduzione del silicio (1.12 eV) e kB è la costante di
Boltzmann. Il risultato è mostrato in figura 3.4a. In figura 3.4b è stata scalata a 21
°C anche la corrente misurata dopo l’irraggiamento.
52
Figura 3.4 – a) Corrente totale prima dell’irraggiamento scalata a 21 °C
b) Corrente totale dopo l’irraggiamento scalata a 21 °C .
Dalla figura 1.14 ricaviamo che dopo un paio di minuti dall’irraggiamento
=9.5·10-17 A/cm da cui I2min I2min 0.20 mA. Per la corrente dopo circa 30
minuti dall’irraggiamento si ricava il valore a I30min I30min 0.15 mA (=7.5·10-
17 A/cm).
Dal grafico in figura 3.4b si vede che la corrente, nella regione di saturazione
prima del breakdown, dopo 19 mesi dall’irraggiamento risulta essere pari a circa
0.06 mA contro circa 1.1 A prima dell’irraggiamento. Usando la stessa formula
1.13 possiamo, quindi, stimare che dopo 19 mesi dall’irraggiamento il sensore si
comporta come se fosse stato appena irraggiato con neutroni da 1 MeV ad una
fluenza eq ~ 5.4·1013 n/cm2, inferiore alla effettiva fluenza di irraggiamento.
Questo comportamento rappresenta una chiara evidenza del fenomeno
dell’annealing che, come già detto nel Capitolo 1, comporta una riduzione degli
effetti dell’irraggiamento sulla corrente di leakage.
Calcolando il parametro di danno attuale, prendendo in considerazione
l’aumento di corrente pari a 0.06 mA e la fluenza di irraggiamento, otteniamo,
sempre utilizzando la formula 1.13, 3·10-17 A/cm. Il valore ottenuto è
consistente con la curva rappresentata in figura 1.14 relativamente alla
temperatura di 21 °C. Nei 19 mesi dopo l’irraggiamento, infatti, il sensore è stato
tenuto per gran parte del tempo alla temperatura di 0 °C, rallentando l’annealing
fino quasi a fermarlo e solo negli ultimi 2-3 mesi, prima di effettuare le misure
riportate in questa tesi, è stato tenuto a temperatura ambiente.
(a) (b)
53
3.3 Misura della caratteristica I-V per alcune strip
Figura 3.5 – Posizionamento delle micropunte per la misura della caratteristica I-V di
singola strip.
In figura 3.5 è mostrato lo schema utilizzato per la misura della corrente di
singola strip. La Bias Line è stata mantenuta a 0 V mentre è stata applicata una
tensione variabile da 0 a 180 V alla Pad collegata al Back. Sulla strip (piazzola DC)
di cui si vuole misurare la caratteristica I-V, la tensione è stata vincolata al valore
nullo e si è misurata la corrente sulla stessa strip al variare della tensione di
polarizzazione fornita alla Pad.
La micropunta a 0 V sulla Bias Line è stata collegata all’uscita SMU1, quella sulla
strip in esame all’uscita SMU2 mentre la micropunta sul Pad è stata collegata
all’uscita HVU.
La misura della corrente di ciascuna strip è importante ai fini della stima del
rumore del canale dell’elettronica di lettura connesso a quella strip [21].
In figura 3.6 sono mostrate le caratteristiche I-V di singola strip solo per alcune
strip, prima (3.6a) e dopo l’irraggiamento (3.6b).
54
Figura 3.6 - Caratteristica IV di alcune strip prima (a) e dopo (b) l’irraggiamento.
Si nota che la corrente di tutte le strip è notevolmente aumentata, come atteso,
dopo l’irraggiamento. La somma delle correnti di tutte le strip dovrebbe essere
molto vicina al valore della corrente totale misurato nel paragrafo precedente.
Infatti, la somma delle correnti di leakage di tutte le strip alla tensione di 100 V,
prima dell’irraggiamento, (considerando una corrente media per ciascuna strip
data dal valore medio di quelle misurate e tenendo conto che la corrente è più
alta verso le strisce di bordo) produce un valore di circa 1.4 μA molto vicino al
valore di 1.5 μA nel grafico in figura 3.3. Lo stesso ragionamento, alla tensione di
100 V, dopo l’irraggiamento porta al risultato che la somma delle correnti di
tutte le strip è quasi il doppio della corrente totale (0.18 mA contro 0.078 mA).
Come vedremo nel paragrafo successivo, la resistenza elettrica tra le strip dopo
l’irraggiamento è molto piccola (a differenza di quello che accadeva prima
dell’irraggiamento) e questo comporta che la corrente misurata da ciascuna strip
è la somma della corrente di leakage della giunzione al di sotto di quella strip e di
una parte della corrente di leakage delle strip adiacenti. Alla tensione di 100 V,
risulta più efficiente l’isolamento tra le strip di bordo e infatti la corrente
misurata sulle strisce di bordo è circa la metà di quella misurata sulle strip
centrali, come si può vedere nella figura 3.6b.
L’andamento della corrente delle singole strip presenta, inoltre, dopo
l’irraggiamento, delle differenze con quello della corrente totale. La corrente
totale è caratterizzata da un andamento monotono crescente fino alla tensione
55
di breakdown, la corrente delle singole strip, invece, fatta eccezione per le strip
di bordo, cambia pendenza attorno a 90 V e attorno ai 130 V e fino alla massima
tensione di misura diminuisce. Una spiegazione di questo andamento
richiederebbe una simulazione del sensore che va al di là dello scopo di una tesi
triennale.
3.4 Tensione di Punchthrough
Ricordando che la polarizzazione delle strip sul sensore oggetto di misura in
questa tesi, avviene mediante il fenomeno del punchthrough, descritto nel
Capitolo 1, risulta utile uno studio della tensione a cui si portano le strip alle
diverse tensioni di polarizzazione per verificare il corretto funzionamento di
questo meccanismo di polarizzazione anche dopo l’irraggiamento. La misura è
stata effettuata posizionando le micropunte sul sensore come mostrato in figura
3.7.
Figura 3.7 – Posizionamento delle micropunte per la misura della tensione di
punchthrough.
La Bias Line è stata mantenuta a 0 V mentre è stata applicata una tensione
variabile da 0 a 150 V alla Pad collegata al Back. Sulle strip (piazzola DC) su cui si
è effettuata la misura della tensione di punchthrough, la corrente è stata
vincolata a 0 A e si è misurata la tensione di strip al variare di quella di
polarizzazione. La micropunta a 0 V è stata collegata all’uscita SMU1, quella sulla
56
strip sotto misura all’uscita SMU2 mentre la micropunta sul Pad è stata collegata
all’uscita HVU. In figura 3.8 è mostrata la tensione di punchthrough misurata su
due strip: una di bordo (la numero 1) e un’altra centrale (la numero 42).
Figura 3.8 - Tensione di punchthrough di due strip (la numero 1 in verde e la numero
42 in rosso) dopo l’irraggiamento.
La tensione sulle strip cresce con l’aumentare della tensione di polarizzazione. La
differenza della tensione fra le due strip, di bordo e centrale, è al massimo di 1 V.
In figura 3.9 sono riportati, invece, i risultati della tensione di punchthrough
prima dell’irraggiamento.
Figura 3.9 - Tensione di punchthrough delle strip 1 (in verde) e 42 (in rosso) prima
dell’irraggiamento.
57
La tensione a cui si portano le strip dopo l’irraggiamento è, a parità di tensione di
polarizzazione, paragonabile a quella a cui si portavano prima dell’irraggiamento
anche se l’andamento è differente.
3.5 Misura della Resistenza Interstrip
La resistenza, così come la capacità, tra le strip influisce sulla divisione del
segnale raccolto da una strip su quelle vicine. Se la resistenza interstrip è bassa il
segnale si può distribuire dalla strip più vicina al punto di passaggio della
particella ionizzante nel sensore su più strip adiacenti comportando una mancata
rivelazione o una bassa risoluzione spaziale. La misura degli effetti della
radiazione sulla resistenza interstrip è, quindi, importante.
Figura 3.10 – Disposizione delle micropunte per la misura della resistenza interstrip.
La misura consiste nel valutare la resistenza equivalente tra una strip e le due
adiacenti ed è stata eseguita posizionando le micropunte come in figura 3.10. La
Bias Line, collegata all’uscita SMU1, è stata mantenuta a 0 V mentre sono state
applicate tre diverse tensioni di polarizzazione (10 V, 60 V, 100 V) alla Pad
collegata al Back, tramite l’uscita HVU. I valori delle tensioni di polarizzazione
applicate sono gli stessi di quelli delle tensioni applicate prima dell’irraggiamento
in modo da facilitare il confronto. Sulla strip centrale tra le tre considerate la
58
tensione, VS, è stata fatta variare da -100 mV a +100 mV, tramite l’uscita SMU2,
mentre le due strip adiacenti, collegate in parallelo all’uscita SMU3, sono state
vincolate a 0 V ed è stata misurata la corrente, IS, tra la strip centrale e le due
adiacenti per effetto della differenza di potenziale applicata. Il valore della
resistenza interstrip è dato dalla semplice relazione
La figura 3.11 mostra la corrente IS in funzione di VS per tutto l’intervallo 100
mV e per i tre diversi valori della tensione di polarizzazione detti, per la strip N.2
(fig. 3.11a) e per la strip N. 42 (fig. 3.11b).
Figura 3.11 – Corrente di strip dovuta alla differenza di potenziale con le due strip adiacenti. Il grafico (a) si riferisce alla striscia N. 2 e il grafico (b) alla striscia N. 42.
Nella tabella 1 sono riportati i valori della resistenza interstrip misurata. Nella
stessa tabella sono riportati anche i valori della resistenza interstrip misurata
prima dell’irraggiamento sulle due stesse strip.
Strip2 Strip42
Tensione sul back (V)
Dopo
l’irraggiamento
R(MΩ)
Prima
dell’irraggiamento
R(GΩ)
Dopo
l’irraggiamento
R(MΩ)
Prima
dell’irraggiamento
R(GΩ)
10 7.1 0.41 4.1 0.72
60 12.5 1.77 5.22 4.61
100 101.8 2.96 4.5 7.2
Tabella 1 – Valore della resistenza interstrip del rivelatore planare a bordo attivo
prima e dopo l’irraggiamento per la strip N.2 e la strip N. 42.
59
I valori della resistenza misurati per la strip N. 2 risultano variare all’incirca di due
ordini di grandezza facendo variare la tensione di polarizzazione da 10 V a 100 V.
Mentre per la strip N. 42 la resistenza interstrip è indipendente dalla tensione di
polarizzazione.
Per garantire un isolamento accettabile tra le strip sono tipicamente necessarie
resistenze superiori ai 100 M. Come si vede solo la strip di bordo sembra
raggiungere tale valore minimo e solo per alte tensioni di polarizzazione. La
resistenza interstrip per la strip centrale, invece, è sempre al di sotto due ordini
di grandezza di tale valore minimo. Prima dell’irraggiamento la resistenza
interstrip presentava valori accettabili.
L’isolamento tra le strip, in special modo per un sensore di tipo p+-n, dipende
molto dalla carica presente all’interfaccia ossido-silicio. Nel sensore sotto esame
in questa tesi la carica all’interfaccia ossido-silicio non è ottimizzata per garantire
buone prestazioni dopo l’irraggiamento tenuto conto anche del fatto che il
substrato può passare da tipo n a tipo p.
3.6 Misura della Capacità Totale
Figura 3.12 – Disposizione delle micropunte per la misura della capacità totale.
60
In figura 3.12 è mostrata la disposizione delle micropunte per la misura della
capacità totale. La Bias Line è stata connessa all’uscita LOW del capacimetro,
mentre il Pad è stato connesso all’uscita HIGH.
In figura 3.13 è riportato l’andamento della capacità in funzione della tensione di
polarizzazione per quattro valori differenti di frequenza: 1 kHz, 10 kHz, 100KHz e
1 MHz.
Figura 3.13 – Capacità totale in funzione della tensione di polarizzazione per quattro
diversi valori della frequenza (1 kHz, 10 kHz, 100 kHz e 1 MHz).
Come si vede dalla figura 3.13 la capacità, a parte il transiente iniziale,
all’aumentare della tensione di polarizzazione e in riferimento alle due frequenze
più basse tende a diminuire, come ci si aspetta per un diodo da quanto detto nel
Capitolo 1. Per le due frequenze più alte, invece, presenta variazioni minime al
variare della tensione di polarizzazione.
Ad alte tensioni ci si aspetta che la capacità totale tenda verso il valore della
capacità geometrica in quanto il substrato del sensore dovrebbe essere
completamente svuotato. La capacità geometrica del sensore, calcolata
attraverso la formula 1.9, in cui sono stati utilizzati i parametri geometrici indicati
nel Capitolo 2 e la costante dielettrica relativa del silicio (r = 11.7), vale
61
La capacità asintotica misurata è molto vicina a questo valore nel caso delle due
frequenze intermedie, invece è pari a 25 pF (inferiore di circa il 50%) per la
frequenza più alta ed è pari a 70 pF (superiore al valore geometrico di circa il
50%) per la frequenza più bassa.
Nella figura 3.13 si osservano alcuni effetti sulla capacità riscontrabili nei sensori
irraggiati, come la presenza di un picco iniziale a tensioni di polarizzazione
basse[22].
Figura 3.14 - Capacità totale in funzione della frequenza
La figura 3.14 mostra l’andamento della capacità totale in funzione della
frequenza per tre diversi valori della tensione di polarizzazione: 10 V, 60 V e 100
V.
Per confronto, in figura 3.15 è riportata la capacità totale in funzione della
tensione di polarizzazione (fig. 3.15a) ed in funzione della frequenza (fig. 3.15b)
misurate prima dell’irraggiamento.
62
Figura 3.15 – Risultati delle misure della capacità totale in funzione della tensione di
polarizzazione (a) e della frequenza (b), ottenute prima dell’irraggiamento.
3.7 Misura della capacità di accoppiamento
Figura 3.16 – Disposizione delle micropunte per la misura della capacità di
accoppiamento.
In figura 3.16 sono mostrati i due diversi schemi utilizzati per la misura della
capacità di accoppiamento. La Bias Line è stata vincolata a 0 V, il Pad ad una
tensione di 60 V, e si è contattata la piazzola DC della strip con il terminale LOW
del capacimetro e la strip con il terminale HIGH.
In figura 3.17 è mostrato l’andamento della capacità di accoppiamento, misurata
alla tensione di polarizzazione di 60 V, in funzione della frequenza per 7 diverse
(a)
(b)
63
strip distribuite sul sensore: strip 1, 22, 42, 84, 128, 168, 198. Tutte le strip
sembrano comportarsi allo stesso modo, a parte qualche differenza alle basse
frequenze per la strip 198.
Figura 3.17 – Capacità di accoppiamento dopo l’irraggiamento in funzione della
frequenza per alcune strip.
In figura 3.18, invece, è mostrato l’andamento della capacità di accoppiamento
prima dell’irraggiamento. Come si vede la capacità di accoppiamento dopo
l’irraggiamento differisce da quella misurata prima dell’irraggiamento per
frequenze al di sotto di 104 Hz. Al di sopra di 104 Hz la differenza è quasi
trascurabile.
64
Figura 3.18 –Capacità di accoppiamento in funzione della frequenza prima
dell’irraggiamento per alcune strip.
3.8 Misura della capacità interstrip
Figura 3.19 – Disposizione delle micropunte per la misura della capacità interstrip.
65
Nella misura della capacità interstrip la Bias Line è sempre stata vincolata a 0 V,
mentre il Pad è stato portato a tre diverse tensioni: 10 V, 60 V e 100 V. Inoltre la
strip centrale è stata connessa al terminale HIGH del capacimetro e quelle
adiacenti al terminale LOW.
In figura 3.20 è mostrato l’andamento misurato della capacità interstrip per la
strip 42.
Figura 3.20 – Capacità interstrip in funzione della tensione di polarizzazione, a sinistra,
e della frequenza, a desta, per la strip 42, dopo l’irraggiamento.
In figura 3.21 sono riportate le stesse misure ottenute prima dell’irraggiamento.
Figura 3.21 - Capacità interstrip in funzione della tensione di polarizzazione, a sinistra,
e della frequenza, a desta, per la strip 42, prima dell’irraggiamento.
66
Affinché un rivelatore sia efficiente è necessario che la capacità di
accoppiamento sia maggiore della capacità interstrip, ad esempio CAC/Cint 20.
Infatti, se le due capacità non sono in questo rapporto, la carica generata dal
passaggio di radiazione sotto una strip si distribuirà anche su molte altre strip con
la conseguenza che il segnale su ciascuna strip sia al di sotto del rumore e,
quindi, non rivelato.
Il rivelatore in esame non presentava già prima dell’irraggiamento questa
caratteristica, e, a maggior ragione, non la presenta neanche ora (il rapporto è
circa 5).
In questi casi è necessario inserire una capacità di accoppiamento esterna.
67
Conclusione
In questo lavoro di tesi sono state misurate le caratteristiche elettriche di un
sensore planare a bordo attivo realizzato dalla Fondazione Bruno Kessler (FKB) in
collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) irraggiato con
neutroni da 1Mev equivalenti, corrispondenti ad una fluenza di 1·1014 n/cm2, al
reattore nucleare sperimentale TRIG Mark II situato presso l’Istituto Jožef Stefan
di Lubiana.
Le misure sono state effettuate presso il laboratorio Camera Pulita della Sezione
di Bari dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).
I principali risultati ottenuti in questo lavoro di tesi sono i seguenti:
- Verifica dell’annealing della corrente di leakage.
Dalla caratteristica I-V, eseguita alla temperatura di 25 °C, si ottiene che
la corrente di leakage è inferiore a 0.1 mA e il sensore va in breakdown
alla tensione di 176V. Prima dell’irraggiamento invece la caratteristica I-V
(T=24 °C) mostrava che la corrente di leakage si manteneva al di sotto di
2 A e il sensore andava in breakdown alla tensione di 135V.
La corrente misurata è in accordo a quanto previsto dal fenomeno
dell’annealing che comporta, con il passare del tempo dopo
l’irraggiamento, una riduzione della corrente di leakage rispetto al valore
immediatamente dopo l’irraggiamento.
- Caratteristica IV di alcune strip.
Si nota che la corrente di tutte le strip è notevolmente aumentata, come
atteso, dopo l’irraggiamento. L’andamento della corrente delle singole
strip, però, presenta delle differenze con quello della corrente totale. La
corrente totale è caratterizzata da un andamento crescente fino alla
tensione di breakdown, la corrente delle singole strip, invece, fatta
eccezione per le strip di bordo, cresce fino alla tensione di 130 V e poi
diminuisce fino alla tensione massima di misura.
Da notare che prima dell’irraggiamento le strip vicine al bordo erano
caratterizzate da correnti più alte rispetto alle altre, in un rapporto che si
68
attestava a circa 3 volte. Dopo l’irraggiamento invece le stesse strip
presentano correnti più basse rispetto alle altre di circa la metà.
- Caratteristica di punchthrough.
La tensione a cui si portano le strip dopo l’irraggiamento è, a parità di
tensione di polarizzazione, paragonabile a quella a cui si portavano prima
dell’irraggiamento anche se l’andamento è leggermente differente.
- Resistenza interstrip.
Dalla misura della corrente di strip dovuta alla differenza di potenziale
con le due strip adiacenti si trova un valore della resistenza di due ordine
di grandezza inferiore al valore ottenuto prima dell’irraggiamento.
- Capacità totale.
L’andamento della capacità in funzione della tensione di polarizzazione e
della frequenza mostra caratteristiche riscontrabili nei sensori irraggiati,
come il picco a basse tensioni.
- Capacità interstrip e di accoppiamento.
Si notano differenze con le stesse grandezze misurate prima
dell’irraggiamento a basse frequenze.
I risultati ottenuti in questo lavoro di tesi sono interessanti ai fini della
realizzazione di sensori resistenti alla radiazione e meriterebbero un’analisi più
accurata anche mediante simulazioni del sensore che va al di la degli scopi di una
tesi triennale.
69
Elenco delle figure
Figura 1.1 - Livelli energetici di atomi di silicio in funzione della distanza interatomica .. 5
Figura 1.2 - Energy gap del silicio (e del GaAs) in funzione della temperatura……………. 5
Figura 1.3 - Struttura a bande di un conduttore, un isolante e un semiconduttore. In un
conduttore gli elettroni riempiono parzialmente la banda di valenza (BV) oppure, come
mostrato, la banda di valenza e quella di conduzione (BC) si sovrappongono creando così
un unico intervallo occupabile dagli elettroni. In un semiconduttore le due bande sono
separate da una band gap di pochi eV. In un isolante invece la band gap è maggiore e di
fatto impedisce il passaggio degli elettroni dalla banda di valenza . .................................. 7
Figura 1.4 – Reticolo cristallino dei semiconduttori al silicio. Gli atomi all’interno del
reticolo sono legati da legami covalenti: ciascun atomo condivide i suoi 4 elettroni di
valenza con altrettanti atomi vicini. Il passo reticolare, a, è di 5.43 Å. .............................. 8
Figura 1.6 – Drogaggio di tipo n. L’aggiunta di un atomo pentavalente permette la
liberazione di un elettrone che viene promosso in banda di valenza. ............................. 10
Figura 1.7 - Drogaggio di tipo p. L’aggiunta di un atomo trivalente permette la creazione
di una lacuna. .................................................................................................................... 11
Figura 1.8 Velocità di drift in funzione del campo elettrico esterno applicato. La velocità
di deriva degli elettroni è maggiore di quella della lacune. In questo caso, per T= 300K si
ha μn ≈ 1450 cm2/Vs e μp ≈450 cm2/Vs. ............................................................................ 12
Figura 1.9 - Processi di generazione e ricombinazione dovuti a livelli introdotti nelle
band gap da impurezze nel reticolo cristallino. L’impurezza agisce come centro di
ricombinazione. ................................................................................................................. 13
Figura 1.10 – Schema della giunzione p-n. Sovrapposto allo schema, il grafico che
riporta, in scala logaritmica, la concentrazione dei portatori. Gli elettroni dalla zona n
tendono a diffondere nella zona p.................................................................................... 14
Figura 1.11 – Giunzione p-n con polarizzazione inversa. La tensione applicata causa un
allargamento della depletion layer. .................................................................................. 16
Figura 1.12 – Configurazione standard per l’utilizzo di una giunzione come rivelatore.
La radiazione incide sull’area attiva del dispositivo, genera una coppia e-h che drifta
verso gli elettrodi generando un segnale. Lo strato di metallo, di solito alluminio, serve a
realizzare i contatti che raccolgono la carica. ................................................................... 17
Figura 1.13 – Curva di Bethe-Block. Dividendo per la densità del mezzo materiale si
ottiene una curva indipendente dal tipo di materiale. ..................................................... 19
Figura 1.14 – Parametro di danno in funzione del tempo a diverse temperature ......... 25
Figura 1.15 – Sezione di un rivelatore a strip. La giunzione è formata da ciascuna striscia
(drogaggio p+) e il substrato di tipo n. La particella incidente crea una coppia elettrone-
lacuna che genera un segnale rivelato dalle strip di alluminio. ........................................ 27
Figura 1.16 – Sezione di un tipico sensore al silicio alimentato mediante la realizzazione
di resistenze in polisilicio. ................................................................................................. 28
Figura 1.17 – Sezione di un tipico sensore al silicio alimentato mediante la tecnica di
punch-through .................................................................................................................. 29
70
Figura 2.1 – Foto della Probe Station installata nella Camera Pulita della Sezione INFN di
Bari. ................................................................................................................................... 32
Figura 2.2 – Il chuck della Probe Station su cui è disposto il sensore. Attraverso le
micropunte i singoli elettrodi realizzati sul sensore sono messi in contatto con gli
strumenti di misura. .......................................................................................................... 33
Figura 2.3 – Illustrazione dei parametri che si possono impostare in una tipica misura
con l’HP4142B ................................................................................................................... 35
Figura 2.4 – Pannello di controllo del programma in LabView da cui è possibile
controllare gli strumenti di misura. .................................................................................. 36
Figura 2.5 – Schema della tecnica di misura della capacità utilizzata dall’LCR meter
HP4284A. .......................................................................................................................... 37
Figura 2.6 – Modello elettrico per la misura della capacità. Per piccoli valori di capacità
il circuito si riduce ad un bipolo CR paralleo.. ................................................................... 38
Figura 2.7 – Tecnica planare. Si parte da un wafer di silicio con uno spessore di 200÷300
μm e resistività di 1÷4 kΩcm e si deposita uno strato di ossido di Si02 (a). Si aprono
finestre nello strato superficiale di ossido (b). Si passa alla fase di drogaggio, ad esempio
con fosforo per substrati di tipo n (c,d). ........................................................................... 40
Figura 2.8 – Fotografia dell’angolo di un sensore al silicio tagliato con la tecnica
tradizionale. E’ visibile una zona morta che circonda l’area attiva................................... 40
Figura 2.9 – Immagine SEM di una trincea scavata nel substrato di un sensore al silicio
ottenuta con la tecnica DRIE (Deep Reactive ion Etching). .............................................. 42
Figura 2.10 – Fotografia dell’angolo di un sensore planare con i bordi attivi realizzato
con la tecnica DRIE (Deep Reactive ion Etching). ............................................................. 42
Figura 2.11 - Layout del wafer con il sensore planare a bordo attivo caratterizzato in
questa tesi (il numero 2). .................................................................................................. 43
Figura 2.12 – Sezione trasversa del rivelatore a bordo attivo caratterizzato. Si nota
come il back sia inaccessibile a causa della presenza del wafer di supporto. L’unico modo
per polarizzare il back è dare tensione al pad sul front. ................................................... 44
Figura 2.13 – Angolo alto sinistro del sensore. Si notano la Pad di Bias del back, la linea
di Bias per le strisce, le pad DC e AC delle singole strisce. Si nota anche la mancanza del
Guard Ring. ....................................................................................................................... 45
Figura 2.14 Sezione del reattore sperimentale in cui è stato irraggiato il sensore oggetto
di questa tesi. I campioni da irraggiare vengono inseriti direttamente nel core del
reattore tramite tubi che occupano la posizione di una barra di combustibile. .............. 46
Figura 2.15 Spettro energetico dei neutroni in uno dei tubi usati per l’irraggiamento dei
campioni con il reattore sperimentale di Lubiana. ........................................................... 46
Figura 3.1 – Schema di polarizzazione del sensore per la misura della caratteristica I-V
totale. La Bias Line è stata mantenuta alla tensione costante di 0 V tramite la SMU1
mentre alla Pad è stata applicata una tensione variabile tra 0 e 180 V tramite HVU. ..... 49
Figura 3.2 – Caratteristica I-V totale del sensore planare a bordo attivo dopo 19 mesi
dall’irraggiamento. La corrente totale è sempre inferiore a 0.1 mA e il sensore va in
breakdown alla tensione di 176 V. .................................................................................... 50
71
Figura 3.3 - Caratteristica I-V totale del sensore planare a bordo attivo prima
dell’irraggiamento. Dopo il completo svuotamento la corrente si mantiene al di sotto di
2 A e il sensore va in breakdown alla tensione di 135 V. ............................................... 50
Figura 3.4 – a) Corrente totale prima dell’irraggiamento scalata a 21 0C ....................... 52
b) Corrente totale dopo l’irraggiamento scalata a 21 0C . ................................................ 52
Figura 3.5 – Posizionamento delle micropunte per la misura della caratteristica I-V di
singola strip ....................................................................................................................... 53
Figura 3.6 - Caratteristica IV di alcune strip prima (a) e dopo (b) l’irraggiamento. ........ 54
Figura 3.7 – Posizionamento delle micropunte per la misura della tensione di
punchthrough .................................................................................................................... 55
Figura 3.8 - Tensione di punchthrough di due strip (la numero 1 in verde e la numero 42
in rosso) dopo l’irraggiamento .......................................................................................... 56
Figura 3.9 - Tensione di punchthrough delle strip 1 (in verde) e 42 (in rosso) prima
dell’irraggiamento ............................................................................................................. 56
Figura 3.10 – Disposizione delle micropunte per la misura della resistenza interstrip. .. 57
Figura 3.11 – Corrente di strip dovuta alla differenza di potenziale con le due strip
adiacenti. Il grafico (a) si riferisce alla striscia N. 2 e il grafico (b) alla striscia N. 42. ....... 58
Figura 3.12 – Disposizione delle micropunte per la misura della capacità totale. .......... 59
Figura 3.13 – Capacità totale in funzione della tensione di polarizzazione per quattro
diversi valori della frequenza (1 kHz, 10 kHz, 100 kHz e 1 MHz). ..................................... 60
Figura 3.14 - Capacità totale in funzione della frequenza .............................................. 61
Figura 3.15 – Risultati delle misure della capacità totale in funzione della tensione di
polarizzazione (a) e della frequenza (b), ottenute prima dell’irraggiamento. .................. 62
Figura 3.16 – Disposizione delle micropunte per la misura della capacità di
accoppiamento. ................................................................................................................ 62
Figura 3.17 – Capacità di accoppiamento dopo l’irraggiamento in funzione della
frequenza per alcune strip. ............................................................................................... 63
Figura 3.18 – Capacità di accoppiamento in funzione della frequenza prima
dell’irraggiamento per alcune strip................................................................................... 64
Figura 3.19 – Disposizione delle micropunte per la misura della capacità interstrip. .... 64
Figura 3.20 – Capacità interstrip in funzione della tensione di polarizzazione, a sinistra, e
della frequenza, a desta, per la strip 42, dopo l’irraggiamento. ....................................... 65
Figura 3.21 - Capacità interstrip in funzione della tensione di polarizzazione, a sinistra, e
della frequenza, a desta, per la strip 42, prima dell’irraggiamento. ................................ 65
72
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