Tertullianus redivivus. Il primo libro dell'Adversus Marcionem secondo Beatus Rhenanus

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3 Indice Introduzione ...................................................................................................... 4 La tradizione manoscritta di Tertulliano ......................................................... 7 1.1 Le collezioni della tradizione .................................................................... 7 1.2 Il corpus Cluniacense: manoscritti ed edizioni .........................................11 L’editio princeps ed il rapporto con il perduto Hirsaugiensis .........................18 2.1 L’acquisizione dei manoscritti e la struttura dell’edizione .........................18 2.2 Il rapporto tra l’editio princeps e l’Hirsaugiensis deperditus ...................24 La seconda edizione e l’emendatio ope ingenii .................................................43 3.1 L’edizione del 1528: alcune informazioni preliminari ...............................43 3.2 Le innovazioni apportate al primo libro dell’Adversus Marcionem ...........48 La terza edizione di Tertulliano: un nuovo testimone ....................................63 4.1 La collatio Gorziensis: la base per una nuova pubblicazione ....................63 4.2 La fine di un lavoro ventennale: le ultime modifiche al primo libro dell’Adversus Marcionem ...............................................................................66 Conclusioni .......................................................................................................79 Bibliografia citata .............................................................................................81

Transcript of Tertullianus redivivus. Il primo libro dell'Adversus Marcionem secondo Beatus Rhenanus

3

Indice

Introduzione ...................................................................................................... 4

La tradizione manoscritta di Tertulliano ......................................................... 7

1.1 Le collezioni della tradizione .................................................................... 7

1.2 Il corpus Cluniacense: manoscritti ed edizioni .........................................11

L’editio princeps ed il rapporto con il perduto Hirsaugiensis .........................18

2.1 L’acquisizione dei manoscritti e la struttura dell’edizione .........................18

2.2 Il rapporto tra l’editio princeps e l’Hirsaugiensis deperditus ...................24

La seconda edizione e l’emendatio ope ingenii .................................................43

3.1 L’edizione del 1528: alcune informazioni preliminari ...............................43

3.2 Le innovazioni apportate al primo libro dell’Adversus Marcionem ...........48

La terza edizione di Tertulliano: un nuovo testimone ....................................63

4.1 La collatio Gorziensis: la base per una nuova pubblicazione ....................63

4.2 La fine di un lavoro ventennale: le ultime modifiche al primo libro

dell’Adversus Marcionem ...............................................................................66

Conclusioni .......................................................................................................79

Bibliografia citata .............................................................................................81

4

Introduzione

Tra le numerose opere di Tertulliano, l’Adversus Marcionem è sicuramente una

delle più importanti e conosciute: per la sua estensione e per la molteplicità dei

temi che vi sono affrontati, è considerata la più rappresentativa della produzione

dogmatica del nostro autore.

Nel secolo appena trascorso, dopo che il Kroymann realizzò un’edizione

fondata per la prima volta su basi realmente scientifiche (1906), furono numerosi

gli studiosi che si rivolsero al Cartaginese e a questa sua opera: fra i tanti lavori

critici, non possiamo non citare l’edizione del Moreschini (1971), quella

dell’Evans (1972) e poi quella più recente, curata ancora dal Moreschini in

collaborazione con il Braun (1990-2004)1. Grazie a questi e a molti altri lavori che

si sono succeduti nel tempo, lo studio della tradizione manoscritta dell’Adversus

Marcionem è stato continuamente aggiornato e migliorato, ma ci sono ancora

molti aspetti che meritano di essere approfonditi.

In un articolo del 19662, il Moreschini avvertiva che alcuni risultati positivi si

sarebbero potuti ottenere da un’analisi dettagliata dell’editio princeps, ovvero di

quel testimone che coincide con la prima edizione a stampa delle opere di

Tertulliano, edita nel 1521 ad opera del filologo umanista Beatus Rhenanus

(1485-1547). L’anno successivo, in un altro breve articolo3

, il Moreschini

allargava i suoi obbiettivi: venivano infatti genericamente analizzati anche gli altri

due lavori critici curati dallo stesso editore (1528-1539).

Per quanto assennate ed autorevoli, le pagine del Moreschini rischiano di

essere troppo poche per un argomento così vasto: per scongiurare questo pericolo,

abbiamo deciso di approfondire ulteriormente la questione, limitandoci

1 In realtà si tratta di cinque diverse edizioni, una per ogni libro: le prime tre (1990-1991-1994)

sono state realizzate esclusivamente dal Braun; soltanto le altre due sono state pubblicate insieme

al Moreschini (2001-2004). 2 Cfr. C. Moreschini, Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem di

Tertulliano, ASNP II, vol. 35 (1966), pp. 293-308, p. 307. 3 Cfr. C. Moreschini, Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem di

Tertulliano, ASNP II, vol. 36 (1967), pp. 93-102, 236-244.

5

esclusivamente al primo libro dell’Adversus Marcionem. Proprio in questo

consiste il nostro merito ed il nostro limite: una simile scelta, se da un lato

consentirà la realizzazione di un’analisi maggiormente dettagliata, dall’altro non

ci permetterà di raggiungere considerazioni sicuramente generali.

In ogni caso, la realizzazione del presente lavoro è giustificata, a nostro avviso,

dall’innegabile importanza delle tre edizioni del Rhenanus: oltre ad aver strappato

dall’oblio i trattati del Cartaginese, queste pubblicazioni, che già ci hanno

permesso di ricostruire alcuni importanti manoscritti perduti, potrebbero fornire

ulteriori informazioni ai fini della constitutio textus. Anche nel caso in cui questa

ipotesi non si dovesse concretizzare, il nostro lavoro non perderebbe certo il suo

valore di analisi storica e metodologica di uno dei più grandi filologi ed editori del

XVI secolo. Con l’intenzione di raggiungere questi obbiettivi, abbiamo diviso il

nostro studio in quattro parti.

Nel primo capitolo presenteremo brevemente le diverse collezioni che formano

la tradizione manoscritta delle opere di Tertulliano, soffermandoci principalmente

sulla famiglia Cluniacense, l’unica ad aver tramandato l’Adversus Marcionem.

Il secondo capitolo sarà invece dedicato all’editio princeps: nella prima parte

verranno fornite alcune informazioni generali relative alla sua pubblicazione;

nell’altra si entrerà nello specifico con l’analisi del testo del primo libro

dell’Adversus Marcionem. Nel fare questo, cercheremo di selezionare quelle

lezioni che meglio permettono di cogliere il legame con il perduto codex

Hirsaugiensis, unico testimone (almeno per questo trattato) consultato dal

Rhenanus, nonché capostipite del ramo β della famiglia di Cluny.

Nel terzo capitolo si passa alla trattazione dell’edizione del 1528. Anche in

questo caso alla sezione più generale, seguirà una parte in cui l’analisi si farà più

dettagliata: si avrà così modo di conoscere le varie emendationes ope ingenii

apportate dal Rhenanus sul testo del primo libro dell’Adversus Marcionem.

Nell’ultimo capitolo, prima di concludere, tratteremo dell’edizione del 1539,

l’ultima realizzata dal filologo di Sélestat. La necessità di un ulteriore intervento

derivava dalla consultazione di un nuovo testimone: analizzando il primo libro

6

dell’Adversus Marcionem, potremo cogliere alcune delle numerose modifiche

inserite a causa di questa importante acquisizione.

7

Capitolo primo

La tradizione manoscritta di Tertulliano

In questo capitolo introduttivo si vuole offrire al lettore una breve ma completa

panoramica sulla tradizione manoscritta di Tertulliano. Tenendo a mente lo scopo

del presente studio, dopo una rapida descrizione delle diverse collezioni, seguirà

un’analisi più approfondita del Corpus Cluniacense, unica famiglia ad aver

trasmesso l’Adversus Marcionem, e dei suoi punti di maggior contatto con le

edizioni critiche realizzate dal Rhenanus nel 1521, nel 1528 e nel 1539. Se si

riuscirà anche nell’intento di illustrare quali siano i più recenti risultati ottenuti nel

campo della recensio, questo lavoro introduttivo non risulterà certo privo di una

sua utilità. Per facilitare la comprensione, viene presentato, in fondo al capitolo,

lo stemma codicum già elaborato dal Moreschini.1

1.1 Le collezioni della tradizione

Come sempre accade per i testi antichi, anche le opere di Tertulliano hanno

dovuto superare numerosi ostacoli per giungere fino a noi. Oltre al lunghissimo

tempo che separa la nostra epoca da quella del Cartaginese (fattore, questo,

certamente costante ed inevitabile), si possono trovare anche delle cause più

specifiche per spiegare il motivo per cui la tradizione manoscritta di Tertulliano

non è certo oggi rappresentata da un numero elevato di testimoni, specialmente se

escludiamo tutti quei manoscritti risalenti all’epoca umanistico-rinascimentale. In

questo periodo vi fu infatti una così intensa attività di copiatura, specie in Italia e a

Firenze, tanto che alcuni studiosi hanno parlato di una vera “riscoperta” di

Tertulliano.2 Come suggerisce il Moreschini3, almeno due fattori hanno giocato un

1 Cfr. R. Braun, , Contre Marcion: Tome I (Livre I), SChr 365, Paris 1990, p. 30. La sezione

introduttiva Manuscrits et éditions è stata curata dallo studioso di Pisa. 2 ivi, p. 20. 3 ibid.

8

peso notevole nella storia della tradizione dei testi del nostro autore: da una parte

un motivo stilistico e contenutistico, l’estrema difficoltà di lettura dei suoi testi;

dall’altra un evento storico, ovvero la condanna inflitta col Decretum Gelasianum,

tradizionalmente attribuito a papa Gelasio I e risalente con buona probabilità al

496; un documento nel quale, oltre ad una lista di opere religiose da considerare

canoniche, è presente anche un elenco di testi da rigettare: fra questi vengono

citati per l’appunto gli opuscula Tertulliani.4

Fatta questa premessa, per entrare ora nel vivo della questione, è necessario

offrire uno sguardo d’insieme ai manoscritti più significativi contenenti le opere

del Cartaginese. Con l’eccezione dell’Apologeticum, che ha attraversato i secoli in

modo indipendente dagli altri trattati (sebbene in alcuni testimoni più tardi sia

stato poi affiancato ad essi), tutte le altre opere del nostro autore sono contenute in

una serie di manoscritti, i cui esemplari più antichi, poco numerosi, non sono in

nessun caso anteriori al tardo VIII secolo. Come prima accennato, sono invece

molte le copie di epoca rinascimentale. Presi singolarmente, questi manoscritti

contengono soltanto alcune delle opere di Tertulliano: si tratta dunque sempre di

una selezione dei suoi trattati e non esiste alcun testimone che li riunisca tutti

insieme. Attraverso lo studio ed il loro confronto, è stato possibile individuare

alcuni rapporti di parentela e, ad oggi, sembra corretta la distinzione in cinque

diverse collezioni o famiglie.

Il gruppo principale, quello che conta il più alto numero di manoscritti, è noto

come corpus Cluniacense. Un antico catalogo, risalente all’XI secolo, ci informa

della presenza, nell’abbazia di Cluny, di un manoscritto costituito da due volumi e

contenente alcune opere di Tertulliano. Si tratta, in ogni caso, dei testimoni più

antichi di cui abbiamo notizia, e, seppur siano poi andati perduti, si è oggi

propensi nell’identificarli come diretti antenati della collezione successiva, della

quale possediamo alcuni esemplari. Sempre secondo la communis opinio, questo

corpus avrebbe avuto origine addirittura nel VII secolo, forse in Spagna e in un

4 < http://www.thelatinlibrary.com/decretum.html > [ultima consultazione 21- 10-2013].

9

ambiente molto vicino a quello di Isidoro di Siviglia, la cui conoscenza di

Tertulliano è infatti ormai sufficientemente documentata.5

I numerosi studi filologici condotti a riguardo hanno dimostrato che la

trasmissione di questa collezione si è separata in due rami distinti in un punto

indeterminato, ma comunque precedente ai testimoni più antichi in nostro

possesso. Tradizionalmente si parla di un “ramo α” o “Montpellier” e di un “ramo

β” o “Hirsau”: proprio in queste due città, infatti, erano conservati anticamente i

due manoscritti da cui sarebbero poi derivati tutti gli altri rappresentanti della

collezione. I manoscritti in nostro possesso appartenenti al ramo α contengono,

solitamente, ventotto trattati, uno in più rispetto a quelli del secondo ramo, nei

quali infatti non compare mai l’Apologeticum. Nel corso del tempo ed in

particolar modo durante il secolo passato, molti studiosi hanno analizzato questi

manoscritti, cercando di illustrare i rapporti e le loro reciproche relazioni: se un

enorme contributo venne offerto dal Kroymann 6 nella prima metà del secolo,

ottimi risultati si sono raggiunti nella seconda metà grazie alle opere di altri

studiosi7, tra cui fondamentale è stato l’apporto del Moreschini8.

Del corpus Corbeiense, di cui dovevano esistere sicuramente esemplari a

Corbie, Cologne e Malmesbury, non possediamo attualmente nessun manoscritto.

Fortunatamente i testi appartenenti a questo gruppo ci sono noti grazie alle

edizioni a stampa realizzate prima della scomparsa di tutti i testimoni,

inizialmente per opera del Mesnart (1545), poi del Gelenius (1550) ed infine del

Pamelius (1579). Si tratta dell’unica collezione che ha trasmesso le opere

“eretiche” del Cartaginese; questa la lista completa dei trattati presenti nel gruppo:

5 Cfr. M. Klussmann, Excerpta Tertullianea in Isidori Hispalensis Etymologiis, Hamburg 1892; A.

C. Lawson, The sources of the De ecclesiasticis officiis of S. Isidore of Seville, RBen L (1938), pp.

26-36. 6 Cfr. Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, CCSL I (1954), pp. 437-730. 7 Cfr. J. Ph. W. Borleffs, Zur Luxemburger Tertullianhandschrift, Mn III, 2 (1935), pp 299-308;

Tertulliani, De patientia De baptismo De paenitentia, ed. J. Ph. W. Borleffs, Hagie Comitis 1948;

Q. S. F. Tertulliani, Adversus Iudaeos, Mit Einleitung und kritischem Kommentar hereausgegeben

von H. Tränkle, Wiesbaden 1964; Q. S. F. Tertulliani, Adversus Hermogenem liber, ed. J. H.

Waszink, Ultraiecti/Antverpiae 1956. 8 Cfr. C. Moreschini, Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem di

Tertulliano, ASNP II, vol. 35 (1966), pp. 293-308; vol. 36 (1967), pp.93-102, 236-244.

10

De carnis resurrectione, De Trinitate, De spectaculis, De praescriptione

haereticorum, De ieiunio adversos Psychicos, De monogamia, De pudicitia.

Del corpus Trecense abbiamo invece oggi un unico rappresentante: si tratta per

l’appunto del Codex Trecensis, scoperto a Troyes dal Wilmart nel 1916 e scritto a

Chiaravalle nel corso del XII secolo. L’edizione a stampa del Mesnart (1545) reca

nei margini alcune lezioni desunte, probabilmente, da un testo ricollegabile a

questa famiglia. Il gruppo ha trasmesso soltanto un limitato numero di opere di

Tertulliano (Adversos Iuadaeos, De Carne Christi, De resurrectione mortuorum,

De baptismo, De paenitentia).

Il corpus Agobardinus, realizzato probabilmente nel V secolo, doveva

contenere ventuno dei trattati scritti dal Cartaginese. Sfortunatamente, il nostro

rappresentante principale, il Codex Agobardinus, un codice manoscritto del IX

secolo, è giunto incompleto: privo della parte finale, contiene soltanto tredici

opere.

Per completare la panoramica sulla tradizione manoscritta di Tertulliano,

bisogna ricordare che nel corso degli anni Cinquanta del Novecento venne

scoperto un codice del XIV secolo: il Codex Ottobonianus, il quale contiene

lunghi estratti di alcune delle opere del nostro autore (De pudicitia, De

paenitentia, De patientia, De spectaculis). Un’analisi di questo manoscritto ha

fatto pensare che esso rientrerebbe in una collezione diversa da quelle che già

conoscevamo: per questo si parla oggi anche del corpus Ottobonianus.

Cluniacense, Corbeiense, Trecense, Agobardinus, Ottobonianus: queste sono

dunque le cinque famiglie che formano la tradizione manoscritta di Tertulliano,

entro le quali si possono ricondurre tutti i manoscritti in nostro possesso. Tuttavia,

concentrandosi il nostro studio sul lavoro filologico compiuto dal Rhenanus nelle

sue tre edizioni critiche alle opere del Cartaginese e prendendo in considerazione

soltanto il primo libro dell’Adversus Marcionem, sarà fondamentale, ai fini della

nostra ricerca, focalizzarsi esclusivamente su quella parte della tradizione che ha

trasmesso questo particolare trattato. Delle cinque collezioni appena presentate,

soltanto il Corpus Cluniacense lo contiene nella maggior parte dei suoi

11

rappresentanti. Sembra dunque necessaria una descrizione maggiormente

approfondita di questa famiglia.

1.2 Il corpus Cluniacense: manoscritti ed edizioni

Come già accennato, il Corpus Cluniacense rappresenta senza dubbio la

collezione principale, quella che sicuramente contiene ed ha trasmesso il maggior

numero di opere del Cartaginese. Sembra ormai certa la sua divisione in due

distinti rami, solitamente denominati e β, o anche, rispettivamente, Montpellier

ed Hirsau dal nome della località in cui sono stati ritrovati, o dovevano trovarsi, i

testimoni più antichi, dai quali si è originata questa diramazione.

Nel corso del tempo molti studiosi9 hanno cercato di definire con certezza i vari

rapporti che intercorrono tra i manoscritti e di collocare correttamente quest’ultimi

all’interno delle due diramazioni; la nostra analisi si baserà principalmente sulle

acquisizione raggiunte nella seconda metà del Novecento dal Moreschini 10 , il

quale, a nostro avviso, ha in molti punti migliorato il pur ottimo lavoro realizzato,

ormai più di mezzo secolo fa, dal Kroymann11.

L’unico testimone indipendente a noi pervenuto del Corpus Cluniacense è

conservato oggi nella Biblioteca di Medicina dell’Università di Montpellier: per

questo motivo viene chiamato Montepessulanus ed è tradizionalmente siglato M

dagli editori. Questo manoscritto, dall’aspetto elegante e raffinato, contiene

soltanto sette trattati del nostro autore (De patientia, de carne Christi, De

resurrectione mortuorum, Adversus Praxean, Adversus Valentinianos, Adversus

Marcionem, Apologeticum), ma, come suggerito dal Kroymann 12 , potrebbe

trattarsi soltanto della prima parte di una raccolta originariamente composta da

due volumi. Quei trattati che non sono contenuti nel Montepessulanus sono

tuttavia conservati nei suoi apografi e discendenti e più precisamente: nel

9 Cfr. supra, nota 6, 7, 8. 10 Cfr. supra, nota 8. 11 Cfr. Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, cit. 12

ibid.

12

Florentinus Magliabechianus I. VI. 9, del XV secolo, abitualmente indicato con la

lettera N; nel codex Divionensis (D), oggi perduto ma comunque ricostruibile in

buona parte grazie alle annotazioni di alcuni editori che in passato hanno potuto

leggerlo 13 ; infine nel Gorziensis (G), manoscritto anch’esso perduto e non

databile, ma considerato già dal Kroymann 14 copia di N o, più probabilmente,

dello stesso M. Rispetto agli altri apografi di M, quest’ultimo codice ha

sicuramente un’importanza maggiore, non tanto per la qualità delle sue lezioni,

quasi sempre inferiori rispetto a quelle del suo antigrafo, ma soprattutto per il

ruolo che ha avuto nella storia della tradizione dei testi di Tertulliano. Esso venne

infatti collazionato dal Rhenanus nella sua terza edizione alle opere del nostro

autore (1539): per la prima volta venivano così riuniti, e forse inconsapevolmente,

i due rami della tradizione del Corpus Cluniacense.15

Confrontato con i suoi apografi, M risulta essere un buon manoscritto, il

migliore per la qualità delle lezioni, ma per i trattati che non contiene deve

ovviamente essere sostituito con le sue copie e con i suoi discendenti. Essendo

tuttavia l’Adversus Marcionem contenuto in M, non sarà necessario, nel nostro

caso, dilungarsi troppo nella descrizione dei suoi apografi: per questo trattato il

Montepessulanus è senza alcun dubbio il miglior testimone e non solo all’interno

del primo ramo della tradizione.

Passando al secondo ramo del Corpus Cluniacense, il più antico esemplare

sembra essere il cosiddetto Hirsaugiensis, della cui esistenza ci informa lo stesso

Rhenanus. Nella praefatio dell’editio princeps (1521), curata proprio

dall’umanista alsaziano, l’editore sostiene infatti di aver consultato due

manoscritti: il codex Paterniacensis (P) ed il codex Hirsaugiensis (H). Il

Paterniacensis è ancora oggi conservato nella Bibliotèque Humaniste di Sélestat,

ma il suo valore è per la nostra indagine molto basso in quanto non contiene

13 Theodore De Beze ne trascrisse alcune varianti in una copia in suo possesso dell’edizione del

Mesnart e altrettanto fece P. Pithou su una copia dell’edizione del Gelenius; anche Rigaltius lo

deve aver consultato per il suo lavoro del 1634. Cfr. F. Chapot, Tertullien, Contre Hermogenem,

SChr 439, Paris 1999, p. 54-55 14 Cfr. Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, cit. 15 Più in seguito avremo certamente modo di approfondire la questione, cfr. cap. 4.

13

l’Adversus Marcionem; d’altra parte, invece, il codex Hirsaugiensis è andato

perduto, probabilmente in seguito alla distruzione dell’abbazia di Hirsau (dove era

conservato e da cui ne deriva il nome) avvenuta nel corso della Guerra dei

Trent’anni.

Questo codice è tradizionalmente considerato il capostipite del secondo ramo

della tradizione, da cui deriverebbero tutti gli altri manoscritti, tra cui i cosiddetti

Italici: enorme è dunque la sua importanza e fondamentale la sua ricostruzione.

Tendendo a questo fine, dal momento che ignoriamo quanto il Rhenanus sia

intervenuto sul testo originale, è chiaro come non ci si possa basare unicamente

sull’editio princeps (R): l’editore, seguendo le consuetudini del suo tempo, ha

emendato il testo senza specificare con precisione in quali punti e secondo quale

criterio ha apportato delle correzioni. Se R non lo riporta fedelmente, come è

possibile stabilire il testo originale di H? Per trovare una risposta è necessario

prendere in considerazione altri manoscritti, copie dirette o indirette di H, che

andranno poste a fianco di R e con esso confrontate: solo seguendo una simile

operazione sarà possibile ricostruire un testo che sia il più vicino possibile a

quello di H. È a questo punto che entrano in gioco il Florentinus Magliabechianus

I. VI. 10 e il Luxemburgensis 75.

Il Florentinus Magliabechianus I. VI. 10 (F per gli editori) è un codice

manoscritto realizzato a Pforzheim nel 1426 e scritto in lettera bastarda da due

mani, i monaci francescani Johann von Lautenbach e Thomas von Lyphain, che

distinguono due sezioni. Si trattava di un testo ricopiato per il Cardinale Giordano

Orsini e del quale entrò poi in possesso, nel 1431, l’umanista Niccolò Niccoli.

Ottenuto questo manoscritto, il Niccoli poté finalmente correggere la copia che

aveva precedentemente realizzato16

e che, dunque, egli non desunse direttamente

da F, ma da un altro esemplare, un apografo intermedio che potrebbe essere

16 Si tratta dell’attuale Florentinus Magliabechianus I. VI. 11, anche detto F1, da cui derivano tutti

i recentiores.

14

identificato con quello di cui sembra informarci il Traversari.17 Con la morte del

Niccoli le due copie (F e F1) passarono alla Biblioteca di San Marco, mentre oggi

sono entrambe conservate nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

A differenza del Florentinus Magliabechianus I.VI.10 (F), la stima del valore

del Codex Luxemburgensis 75 (X) si è ampiamente modificata nel corso del

tempo, specialmente durante il secolo appena trascorso. In effetti, nella prima

metà del Novecento, i vari editori che si occuparono di Tertulliano diedero i pareri

più discordi nei riguardi di questo codice: se da una parte il Kroymann, allora

considerato il massimo esperto di Tertulliano, non ne tenne considerazione né per

la preparazione del volume XXXXVII del C.S.E.L. (1906)18, né per quella del

volume LXX del C.C.S.L. (1942)19; dall’altra parte il Borleffs, con un po’ di

presunzione, credette addirittura di poterlo ritenere copia diretta

dell’Hirsaugiensis deperditus (1935) 20 . Il primo utilizzò dunque, per le sue

edizioni, soltanto F e non sistematicamente, ma esclusivamente per controllare le

lezioni di R1 (vale a dire per distinguere le congetture del Rhenanus, dalle lezioni

dell’Hirsaugiensis perduto), metodo certamente valido, ma che avrebbe avuto

maggior valore se fosse stato ugualmente applicato ad X; il secondo invece,

ipotizzando una derivazione in linea diretta dall’Hirsaugiensis, sostenne la

superiorità di X su F e sugli altri testimoni del secondo ramo della tradizione. Gli

editori successivi, abbandonato il criterio del «tutto Tertulliano», ebbero tutti

considerazione di X, seppur in maniera completamente differente l’uno dall’altro

(si segnalano i lavori del Tränkle 21 e del Waszink 22 ). A far chiarezza sulla

17 A. Traversari, Epist. 8, 37. Per maggiori informazioni cfr.: L. Labardi, Niccolò Niccoli e la

tradizione manoscritta di Tertulliano, “Orpheus”, 2 (1981), pp. 380-396; P. Petitmengin,

Tertullien entre la fin du XIIe et le début du XVIe siècle, in M. Cortesi (ed.), Padri Greci e Latini a

confronto: Atti del Convegno di studi della Società Internazionale per lo Studio del Medioevo

Latino. Firenze (2004), pp. 63-88. 18 Cfr. Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, CSEL, vol. XXXXVII pars III

(1906). 19 Cfr. Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, CCSL, cit. 20 J. Ph. W. Borleffs, Zur Luxemburger Tertullianhandschrift, cit. 21 Cfr. Q. S. F. Tertulliani, Adversus Iudaeos, Mit Einleitung und kritischem Kommentar

hereausgegeben von H. Tränkle, cit. 22 Cfr. Q. S. F. Tertulliani, Adversus Hermogenem liber, ed. J. H. Waszink, cit.

15

questione fu il Moreschini, in una sua pubblicazione apparsa nel 1966 negli

Annali della Scuola Normale di Pisa 23 . A differenza di quanto sostenuto dal

Borleffs, lo studioso italiano ha dimostrato la derivazione indipendente di F e di X

da un testimone comune che doveva trovarsi a Pforzheim24

e che poi sarebbe

andato perduto. Questo codice, definito Pforzhinensis amissus, sarebbe dunque un

intermediario tra l’Hirsaugiensis e i suoi derivati F ed X, i quali devono pertanto

essere posti sullo stesso piano, senza alcuna gerarchia di valore. Secondo questa

ipotesi è possibile ricostruire il testo dell’Hirsaugiensis deperditus tramite la

collazione di F, X e R1.

Sempre il Moreschini, e negli stessi studi, ha dimostrato la derivazione

successiva di altri due testimoni a partire da F (o, più probabilmente, da un

intermediario di F): il Vindoboniensis 4194 (V), che a partire dal 1918 è situato

nella Biblioteca Nazionale di Napoli (= Neapolitanus 55), e il Leidensis latinus 2

(L). Si tratta di due manoscritti italiani del XV secolo che, secondo la recente

ricostruzione del Petitmengin 25 , sono in strettissimo contatto: la simultanea

mancanza, in ambedue i testimoni, degli ultimi cinque fogli dimostrerebbe la

diretta derivazione di L da V. Questo particolare, per lungo tempo sfuggito agli

altri studiosi, smentirebbe la più antica considerazione di L come testimone

indipendente. Questi sono, in generale, i manoscritti più importanti del Corpus

Cluniacense.

Per concludere, tenendo a mente il nostro scopo, riteniamo utile fornire un elenco

riassuntivo di tutti i documenti più importanti che contengono l’Adversus

Marcionem e, di seguito, lo stemma codicum elaborato secondo le teorie

precedentemente esposte del Moreschini.

● Montepessulanus (M)

● Florentinus Magliabechianus I.VI.9 (N)

23 Cfr. C. Moreschini, Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem di

Tertulliano, cit. 24 La stessa località dove F venne copiato nel 1426. Cfr. pp. 7-8. 25 P. Petitmengin, op. cit, p. 79.

16

● Luxemburgensis 75 (X)

● Florentinus Magliabechianus I.VI.10 (F)

● L’editio princeps curata dal Rhenanus nel 1521 (R1), riveduta e corretta

nelle successive edizioni del 1528 (R2) e del 1539 (R3). La descrizione delle varie

edizioni realizzate dal Rhenanus costituirà l’argomento dei prossimi capitoli.

17

18

Capitolo secondo

L’editio princeps ed il rapporto con il perduto Hirsaugiensis

Il presente capitolo mira, nella sua prima parte, a fornire al lettore una conoscenza

preliminare e generale sulla struttura compositiva dell’editio princeps, edita dal

Rhenanus nell’anno 1521, e sulle vicende storiche che hanno portato alla sua

realizzazione. Successivamente si andranno ad analizzare, ed in maniera più

approfondita, i legami che intercorrono tra questa edizione ed il perduto codice

Hirsaugiensis, limitandosi specificamente all’analisi del primo libro dell’Adversus

Marcionem. Il nostro lavoro, mediante l’ausilio delle ricerche condotte

precedentemente da alcuni autorevoli studiosi, auspica di mettere in luce la

modalità con cui Beatus Rhenanus, in questa sua prima edizione, è intervenuto

nell’emendare il testo.

2.1 L’acquisizione dei manoscritti e la struttura dell’edizione

Nel giorno delle calende di luglio dell’anno 1521, dopo un intenso lavoro

protrattosi per più di un anno, Beathus Rhenanus di Sélestat riusciva finalmente a

pubblicare la prima edizione a stampa degli Opera Omnia di Tertulliano. Prima di

lui furono ben pochi gli studiosi umanisti che si interessarono dell’antico autore

Cartaginese e delle sue opere: rimangono tracce soltanto di alcuni vecchi

incunaboli e ristampe di essi, nelle quali il solo Apologeticum veniva sempre

posto in appendice alle opere di Lattanzio. L’ultimo lavoro impostato in una

simile maniera era piuttosto recente: si trattava del primo libro stampato dalla

famosa tipografia veneziana, dopo la morte del suo fondatore Aldus Manutius

(1515).

Estremamente diversa dunque l’intenzione e la visione di fondo del Rhenanus:

la scelta di trattare l’intero corpus di Tertulliano non era soltanto originale, ma

anche piuttosto ambiziosa e introduceva lo stesso editore in un terreno irto di

19

ostacoli. Oltre alla mancanza di una documentazione piuttosto recente sulla quale

basarsi, non considerati gli anni di lungo oblio nei quale erano caduti gli scritti del

Cartaginese, determinanti, nel rendere ancor più difficile il lavoro del Rhenanus,

furono la durevolezza dello stile di Tertulliano e la presenza, nelle pagine dei

testimoni manoscritti, di numerosissime mende che andavano corrette. Tutti

fattori dei quali, come avremo modo di vedere in seguito, si lamenterà lo stesso

Rhenanus.

Egli mostra dunque di avere una duplice consapevolezza: da una parte la

coscienza di un lavoro immane, dall’altra la certezza del ruolo di salvatore. Al di

là delle refutazioni di maniera, il Rhenanus non nasconderà certo il vanto, seppur

garbato ed ampiamente meritato, di aver sottratto dall’oblio e dal dimenticatoio i

testi residui del primo scrittore cristiano di lingua latina. “Opera Q. Septimii

Florentis Tertulliani [...] per Beatum Rhenanum Seletstadiensem e tenebris eruta

atque a situ pro virili vindicata”: questa la frase fatta apporre dall’editore sul

frontespizio dell’editio princeps e poi ripetuta anche in quello delle due edizioni

successive (1528-1539). Un giudizio, questo, che il filologo umanista aveva già in

precedenza espresso, e quasi con le stesse parole, nella lettera prefatoria alla sua

edizione di Velleio Patercolo, datata 15 novembre 1520: ut nunc non solum

Velleium aediderim semilacerum, sed etiam Tertulliani libros, vetustissimi inter

chriastianos scriptoris, mendosi tamen, mea cura e tenebris erutos.1

Si tratta effettivamente di una pubblicazione di grande pregio e notevole

valore, non solo dal punto di vista filologico e contenutistico, ma anche per la

qualità della forma e dell’aspetto esteriore. Di questo, certo, va attribuito grande

merito alla tipografia di Basilea e al suo celebre proprietario, Johann Froben

(latinizzato Frobenius), collaboratore di lunga data nonché intimo amico del

Rhenanus e dello stesso Erasmo. Durante la prima metà del XVI secolo, i torchi di

Froben erano fra i più apprezzati di tutta Europa ed il loro lavoro era impreziosito

dalla collaborazione con impeccabili e rinomati artisti e artigiani, quali Jacob

1 A. Horawitz, K. Hartfelder, Briefwechsel des Beatus Rhenanus, Reihneim, 1966 [1886], p. 254.

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Faber, noto incisore e xilografo, e i due fratelli Ambroise e Hans Holbein (il

Giovane), ambedue abilissimi pittori. L’eleganza e la raffinatezza che

caratterizzano l’editio princeps, in assoluto la più suntuosa tra le edizioni

cinquecentesche di Tertulliano, ben testimoniano l’altissima fattura del loro

lavoro. Gli ampi margini, la chiara impostazione della pagina, la forma grafica

delle lettere e i raffinati disegni costituiscono un chiaro esempio.

L’editio princeps, notevole già per la sua grandezza, si apre con un frontespizio

piuttosto raffinato: le poche righe che ci informano sul contenuto del volume,

sull’antico autore e sulle difficoltà incontrate dall’editore nel corso del suo lavoro

appaiono come incastonate fra i quadretti laterali; si tratta di incisioni che

raffigurano alcune scenette di vita aulica, nei termini in cui erano state descritte ed

immaginate all’interno dell’opera De mercede conductis dell’antico autore greco

Luciano.

Nella pagina immediatamente successiva trova spazio il Catalogus operum Q.

Septimii Florentis Tertulliani, quae in hoc volumine continentur: racchiusi entro

la rappresentazione di tre colonne, sono qui inseriti i titoli dei testi presenti

nell’edizione. L’ordine con cui questi testi sono disposti sembra essere stato scelto

direttamente dal Rhenanus, in quanto non sarebbe desunto dai due manoscritti

consultati dall’editore. Il testo dell’Apologeticum, posizionato alla fine del

volume, venne integralmente copiato dall’edizione aldina sopra citata.

In seguito, nella terza facciata, ha invece inizio una lunga lettera dedicata dal

Rhenanus a Stanislaus Turzus2, vescovo di Olmutz, città della Moravia orientale,

suffraganeo dell’arcivescovo di Brno. Al di là delle eleganti incisioni, che

decorano i margini della sua prima pagina con i disegni della storia leggendaria di

Tantalo, la lettera al vescovo Stanislao ha tutti i caratteri di un testo prefatorio: il

Rhenanus, dopo i saluti di circostanza, fornisce al lettore numerose ed utili

informazioni circa le modalità di reperimento dei testimoni, lo sforzo e i problemi

incontrati durante l’emendazione, i temi e le questioni affrontate dallo scrittore

2 ivi, p. 282.

21

antico nei diversi trattati ed il loro peso nel tempo, senza dimenticare di esprimere

la speranza di poter curare in futuro nuove edizioni.

Per completare il quadro sulla struttura compositiva dell’editio princeps,

bisognerà poi parlare della presenza di una breve descrizione della vita di

Tertulliano, di un successivo e più lungo avvertimento al lettore su alcuni dei

dogmi dello scrittore Cartaginese, per poi giungere finalmente agli stessi trattati, i

cui testi vengono presentati suddivisi in libri, ciascuno anticipato da un veloce

Argomentum (una sorta di breve riassunto). L’Adversus Marcionem, diviso in

cinque libri, inizia a pagina 142.

Ai fini della nostra ricerca, sarà tuttavia necessario fare un piccolo passo

indietro e ritornare alla lettera prefatoria: una sua attenta lettura potrà infatti

fornire utili notizie a colui che voglia indagare l’attività emendatrice del primo

editore di Tertulliano. Due i punti di maggiore interesse: alcune righe

immediatamente successive ai saluti di circostanza, nelle quali il Rhenanus espone

la storia di come sia riuscito a venire in possesso dei due testimoni, e la maggior

parte della pagina finale, dove, prima di dare commiato, illustra le difficoltà

incontrate nel percorso, spiega le cause della corruzione dei testi di Tertulliano,

espone infine le sue speranze per il futuro.

Nel primo estratto, il Rhenanus racconta al vescovo Stanislao le vicende che lo

portarono a consultare il codex Paterniacensis e l’antichissimo codex

Hirsaugiensis: i due unici testimoni sulla base dei quali fondò la sua editio

princeps.

Del primo, a giudicare dal suo racconto, egli vi entrò in possesso in una

maniera piuttosto fortuita: essendosi trovato nel corso del 1520 a Colmaria

(l’odierna cittadina francese di Colmar) in compagnia del suo amico Udalricus

Zasius, umanista tedesco ed insigne giurista, decise insieme a questi di far visita al

decano locale, tale Iacobus Zimmermanus, bonorum studiorum fautorem. Fu

consultando la sua fornitissima biblioteca che il Rhenanus si imbatté casualmente

in un codice contenente alcuni opuscula Tertulliani e proveniente dal monastero

di Paterniacum (l’attuale cittadina svizzera di Payerne). Vedendolo bramoso di

22

poter leggere quel libro, Zimmerman accettò ben volentieri di donarlo al noto

umanista. Nel giro di breve tempo il Rhenanus riuscì a mettere mano anche al

manoscritto che sapeva essere conservato nel monastero benedettino di Hirsau:

per realizzare quest’operazione si servì dell’aiuto e dell’intermediazione del suo

caro amico Thomas Rappius, vir bonus et literatus. Questo, ancor prima di

giungere ad Hirsau, riuscì fortunatamente ad incontrare l’abate di quel monastero

e lo convinse, senza troppe difficoltà, a prestargli il codice in questione affinché

l’amico Rhenanus lo emendasse. Dalla lettera del 22 settembre 1520, indirizzata

dal Rappius allo stesso Rhenanus3, apprendiamo i termini del prestito: il codice

doveva essere riconsegnato nel giro di mezzo anno o poco più, senza macchie,

danni o alcun tipo di deperimento. A sugellare il patto veniva scritta una sorta di

garanzia.

Il Rhenanus poteva così finalmente dare inizio alla sua attività emendatrice,

basandosi sulla collazione di due manoscritti antichi: da una parte il

Paterniacensis, dall’altra l’Hirsaugiensis. Il grande entusiasmo e le speranze

iniziali vennero tuttavia presto disilluse: ciascuno dei due codici conteneva un

così alto numero di mende che persino il loro confronto avrebbe condotto ad un

esito incerto. Il Rhenanus, che sperava di potersi affidare al Paterniacensis,

almeno per i trattati che contiene, fu costretto a ricredersi: tam erat utrobique

corrupta scriptura, ut alter ab altero videretur descriptus. In ogni caso, seppur il

lavoro si presentasse assai arduo, egli sapeva di non poter perdere l’occasione di

consegnare l’edizione alle stampe: il tempo di cui disponeva era limitato dalle

condizioni del prestito dei manoscritti; mentre le presse di Froben, in quel

periodo, erano per giunta prive di lavoro. A meno di un anno di distanza

dall’ottenimento del codex Hirsaugiensis, venivano dunque stampati per la prima

volta gli Opera Omnia Tertulliani, ma i risultati ottenuti dall’edizione, per stessa

ammissione di chi li aveva conseguiti, non dovevano certo essere considerati

quelli definitivi.

3 ivi., p. 248.

23

Ma quale fu dunque il metodo seguito dall’editore nell’atto di emendare i testi?

E quale l’origine dei numerosi errori presenti in ambedue i testimoni? Con un

grado di attendibilità tutto da verificare4, è lo stesso Rhenanus a darci una risposta

nell’ultimo foglio della lettera prefatoria.

L’alto numero di errori che caratterizza i due codici consultati lo costrinsero ad

intervenire numerose volte ope ingenii, ovvero mediante il ricorso a personali

congetture. Tuttavia queste congetture, a detta del Rhenanus, sono sempre state

riportate ai margini del testo proprio affinché questo, nel rispetto dei testimoni,

non venisse in alcun modo modificato: sciens religiose esse tractanda autorum

scripta non secus ac res sacras, nihil mutare volui (qui tamen multis mos est) sed

coniecturas, quae tunc mentem forte veniebant, in marginibus adieci. Il valore di

questi personali interventi, spiega poi il filologo umanista, non è sempre costante:

alcune congetture non convincono neppure il loro stesso autore, ma il suo

tentativo di fornire al lettore dubbioso una plausibile alternativa rimane pur

sempre apprezzabile.

Dopo l’invocazione e l’augurio di poter in futuro consultare altri manoscritti

(quelli conservati a Gorze, Fulda e Roma) per migliorare la correzione dei trattati,

il Rhenanus passa ad esaminare la natura degli errori riscontrati nei due testimoni,

elencandone le cause. A suo giudizio due sono le motivazioni principali: il lungo

periodo durante il quale le opere di Tertulliano non vennero più studiate (e quindi

neanche ricopiate) e lo stile arduo, affettato e veemente dello stesso autore. La

lettera prefatoria si conclude poi piuttosto velocemente con gli ultimi saluti al

vescovo di Olmutz.

Rientrando entro i margini della nostra indagine, forti di queste informazioni

preliminari e generali, possiamo ora approfondire il rapporto che lega l’editio

princeps del Rhenanus al perduto codex Hirsaugiensis, limitandoci all’analisi

testuale del solo primo libro dell’Adversus Marcionem.

4 Cfr. C. Moreschini, Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem, ASNP II,

vol. 36 (1967), pp. 93-102.

24

2.2 Il rapporto tra l’editio princeps e l’Hirsaugiensis deperditus

Delle considerazioni appena esposte appartenenti al Rhenanus, riteniamo utile

approfondirne principalmente due: la denuncia dell’editore circa lo stato di grande

corruttela delle fonti ed il loro valore ai fini della constitutio textus, per come

questa appare nell’editio princeps.

Riguardo al primo aspetto, che pure crediamo di aver sufficientemente

evidenziato, non sarà superfluo aggiungere qualche breve riflessione. Come

abbiamo avuto modo di osservare, il Rhenanus non nasconde mai la difficoltà

incontrata nella fase di revisione del testo e causata dalla natura fortemente

corrotta dei due testimoni. A questo proposito, risulta certamente illuminante il

post scriptum aggiunto alla lettera dell’11 marzo 1521, inviata dallo stesso

Rhenanus al suo amico Georg Spalatinus: Edo nunc Opera Tertulliani, immo

mendas potius. Nam quidam libri tam sunt insigniter depravati, ut vix una constet

sententia. Sed tamen pergendum est, quando cepimus. Nullam venor gloriam, nec

adsequar. Duntaxat cupio prodesse. 5

Pur trovandosi a pochi mesi di distanza

dalla pubblicazione, l’editore sente il bisogno di sottolineare fortemente l’estrema

depravazione dei codici manoscritti in suo possesso. L’insistenza sul tema (nostra

e dell’editore) non sia da sottovalutare: sarà proprio questa consapevolezza che

indurrà il Rhenanus a lavorare per una nuova edizione, il cui studio preparatorio

sarà questa seconda volta ben più ampio (l’edizione verrà pubblicata infatti solo

nel 1528).

L’altra questione merita invece una trattazione certamente più ampia ed

articolata. Il Rhenanus sostiene chiaramente di aver avuto accesso soltanto ai due

codici provenienti da Hirsau (H) e da Peterlingen (P): mentre il primo è andato

perduto, il secondo è ancor oggi conservato nella Bibliotèque humaniste di

Sélestat. Abbiamo tuttavia già constatato quanto sia superfluo, ai fini della nostra

ricerca, lo studio del codex Paterniacensis: in esso non vi è infatti traccia

5 A. Horawitz, K. Hartfelder, op. cit., p. 269.

25

dell’Adversus Marcionem. Pertanto sarà bene concentrarsi unicamente

sull’Hirsaugiensis perduto.

Il codex Hirsaugiensis, come già sappiamo, è tradizionalmente considerato il

capostipite del secondo ramo della collezione Cluniacense: da esso sarebbero

quindi derivati tutti i successivi manoscritti appartenenti a questa famiglia. Dalle

notizie in nostro possesso, abbiamo la certezza che il codice, redatto

probabilmente nel corso del XII secolo, si componeva di più volumi, quasi

certamente due6. Di questo codice si sono purtroppo perse le tracce nel corso del

tempo: sembra plausibile che sia scomparso in seguito alla distruzione del

monastero di Hirsau, avvenuta durante la Guerra dei Trent’Anni. Considerata la

sua importanza ai fini della constitutio textus, questa perdita ha certamente

complicato la questione.

Fortunatamente, nell’arco di tempo in cui è esistito, il testo dell’Hirsaugiensis

è stato consultato quasi certamente almeno in due occasioni: sicuramente dal

Rhenanus, come base di collazione ma anche come testimone unico nella sua

editio princeps; molto probabilmente da un ignoto copista, il quale ne deve aver

tratto una copia poi conservata nel monastero di Pforzheim. Seguendo l’ipotesi del

Moreschini, oggi ampiamente accettata, da questo Pforzhinensis amissus

dipenderebbero poi i due codici comunemente siglati F ed X.7

Questi due

manoscritti, copiati indipendentemente l’uno dall’altro, presentano, oltre ad errori

propri, anche numerose lezioni comuni evidentemente errate o comunque inferiori

rispetto a quelle di R1.8 In questa situazione, per la ricostruzione del testo di H,

dovremo tenere in considerazione non solo l’accordo di FX (= γ) con R1, ma

anche quello relativo soltanto ad F con X nei casi in cui R1 si rivela come una

evidente emendazione di quello di H. Le altre eventualità (i casi di accordo ora di

6 Prove evidenti del fatto sono: l’utilizzo, da parte del Rhenanus, dei termini volumina e libros

rispettivamente nella prima e nella seconda pagina della sua lettera prefatoria e specialmente la

lettera indirizzata dal Rappius proprio al Rhenanus6 in cui si parla innegabilmente di duo volumina

Hirsaugiensis. 7 Cfr. supra, cap , p. 8. 8 Secondo le tradizionali norme del metodo stemmatico questa situazione è sufficiente per

dimostrare l’esistenza di un antigrafo comune: in questo caso lo Pforzhinensis amissus.

26

F, ora di X con R1 , rispettivamente contro X ed F e i casi di totale discordanza fra

i tre codici) daranno ovviamente esito ad una soluzione pacifica: si

evidenzieranno in questo modo le lectiones singulares di X o di F, evidentemente

non contenute nel subarchetipo H.

Attraverso l’analisi del comportamento tenuto dal Rhenanus nell’editare il

primo libro dell’Adversus Marcionem, il presente capitolo si prefigge ora di

illustrare i rapporti che intercorrono tra R ed il perduto Hirsaugiensis: nel caso si

riuscisse anche a giovare alla ricostruzione del testo di H o ad aprire nuovi scenari

nel campo della recensio, si sarebbero allora superate le intenzioni iniziali.

Come già anticipato, i casi di accordo tra FXR (= β) permettono di risalire

senza alcun dubbio al testo del subarchetipo H. Un’analisi maggiormente

dettagliata potrebbe condurre a due diverse possibilità. La prima è quella che si

presenta laddove il Rhenanus accoglie, in tutte le sue edizioni, le stesse lezioni di

F e di X. In questo caso il testo di H è pienamente ricostruito e può essere subito

confrontato con quello di M per l’identificazione dell’archetipo: se c’è

concordanza, il passo in questione è pienamente restituito; se invece c’è

opposizione, si manifesta allora chiaramente la divisione del corpus in due

famiglie. Nel primo libro dell’Adversus Marcionem abbiamo contato almeno

cinquantanove casi di opposizione fra β ed M. Eccone alcuni esempi:

I, 2, 2 (lin. 11) obtusis M Kr. Mor. : obtunsis β Ev.; I, 2, 3 (lin. 30) ostendemus M

Kr. Mor. Ev. : -dimus β; I, 4, 1 (lin. 5) quot β : quod M; I, 11, 5 (lin. 23)

necessarium M Kr. Mor. : necessarium sit β; I, 13, 1 (lin. 3) praesignarit M Kr.

Mor. : praesignaverit β Ev.; I, 20, 2 (lin. 11) currisset M Kr. : cucurrisset β Ev..

Riteniamo superfluo ampliare ulteriormente l’elenco, in quanto la scelta dell’una

o dell’altra variante, laddove non si ritenga di dover intervenire diversamente,

deve essere valutata di volta in volta dall’editore moderno e certo non rientra tra

gli obbiettivi di questa nostra indagine.

27

L’altra possibilità è quella che si concretizza nei casi in cui le edizioni del

Rhenanus non sono tra loro concordi. Osservando e confrontando insieme le

diverse lezioni contenute in R1, R2 ed R3 la questione diventa assai più spinosa. Si

apre così un ampio scenario che lascia spazio a diverse possibilità: si avrà modo di

identificare i casi di intervento congetturale presenti in R2 e di stabilirne il valore;

si potrà valutare il numero di congetture formulate in R2 e poi confluite in R3; si

potranno infine osservare i punti, contenuti in R3, nei quali il Rhenanus è ricorso

alla consultazione del codex Gorziensis (appartenente all’altro ramo della

collezione Cluniacense). Tuttavia, essendo sempre almeno R1 in accordo con γ, la

ricostruzione di H è comunque garantita in ciascuna di queste circostanze. Tutte

le considerazioni riguardanti le edizioni del 1528 e del 1539 verranno esposte nei

capitoli successivi. Nel testo del primo libro dell’Adversus Marcionem abbiamo

contato trentaquattro casi di accordo di FX ed almeno R1 con M e soltanto sedici

di incongruenza. Forniamo di seguito alcuni esempi:

I, 1, 3 (lin. 13) qui igitur (qui intellige ut aliqui) Mγ R1 R2 Mor. : igitur qui R3 Kr.;

I, 5, 1 (lin. 5) Sigen, tum Lat. Kr. Mor. Ev. : Sigeneum Mγ R1 Sigen, cum R2R3; I,

5, 4 (lin. 22) qua M (dubie) R3 Kr. Mor. Ev. : quae γ R1 R2; I, 8, 1 (lin. 7) ipsa R3

Kr. Mor. Ev. : ipsum Mγ R1R2; I, 10, 2 (lin. 11) tantam Mγ R1 R2 Kr. Mor. Ev. :

tanta coni. R1 R2 (unde R3); I, 10, 3 (lin. 18-19) Iudaeorum - deum M G R3 Mor.

Ev. : om. γ R1 R2 Kr.; I, 19, 2 (lin. 12) aura R3 Kr. Mor. Ev. : aula Mγ R1 R2; I,

20, 1 (lin. 7) tibi scilicet M Kr. Mor. : tibi γ R1 R2 scilicet tibi G R3 Ev.; I, 25, 6

(lin. 41-42) indignatio bilis R3 Kr. Mor. Ev. : indignabilis Mγ R1 R2; I, 28, 3 (lin.

26) quam M R3 Kr. Mor. Ev. : ut γ R1 R2. Tra gli esempi selezionati, sono a nostro

giudizio significativi i casi di omissione che ricorrono in I, 10, 3 e in I, 20, 1: la

divisione del corpus in due famiglie si manifesta qui con netta evidenza.

Oltre ai casi di totale coincidenza fra le lezioni di F, X ed R1, è necessario

prendere in considerazione anche le situazioni in cui l’accordo di F con X si

oppone ad R1: in queste circostanze, per ricostruire il testo di H, bisognerà cercare

28

di stabilire la natura della lezione presente in R1. Infatti nel caso in cui R1 si

rivelasse come una congettura realizzata dal Rhenanus, allora il testo di H

coinciderebbe, con buona probabilità, con quello di FX; se invece la lezione di R1

non sembra avere le caratteristiche di un intervento ope ingenii, allora

l’opposizione di R1 con FX richiede un’ulteriore riflessione per essere spiegata.

Su quale dei due rami dovremo dunque basare la ricostruzione di H? Se si

riconoscerà che in FX è ancora conservata la lezione del subarchetipo, allora si

dovrà ammettere che il Rhenanus, nel copiare il testo di H, ha introdotto un certo

errore (avendo precedentemente escluso la possibilità di un suo intervento

congetturale); se invece reputassimo sana la lezione di R1, dovremmo in tal caso

giudicare errata la versione tramandata da FX. Ma come può uno stesso errore

trovarsi nei testi di ambedue i codici? L’errore si è generato indipendentemente in

F e in X oppure era già presente nel loro antigrafo, il codex Pforzhinensis

amissus?

Se poi confrontassimo le lezioni di F, X ed R1 con quelle di M la questione

lascerebbe spazio a nuovi interrogativi: se M è in accordo ad R1 ed insieme si

oppongono al gruppo FX, fino a che punto siamo autorizzati a credere ad un

intervento congetturale da parte del Rhenanus?9 Se l’oscillazione di M fosse

invece verso FX, quale sarebbe il ruolo di R1 nei confronti di H? E ancora, quale

delle due varianti ricostruirebbe il testo di H: quella contenuta in R1, o quella

appartenente al gruppo FX, coincidente con la lezione di M? Se fosse quella di

FX, allora H non si sarebbe originariamente opposto ad M (e Rhenanus avrebbe

per qualche motivo modificato il testo del suo antigrafo); se invece fosse corretta

la versione di R1, in tal caso H sarebbe stato in disaccordo con M: accettando

questa ipotesi, come spiegheremmo la presenza dello stesso errore in due gruppi

9 Non si vuole qui necessariamente insinuare un dubbio di contaminazione, possibilità che pure è

stata avanzata dal Moreschini (Cfr. C. Moreschini, Prolegomena ad una futura edizione

dell’Adversus Marcionem, ASNP II, vol. 35 (1966), pp 293-308). Ci si vuole principalmente

chiedere se l’accordo di M con R1 debba inevitabilmente indurci a supporre un intervento

congetturale del Rhenanus sul testo di H; o se invece sia ancora ammissibile pensare ad una

depravazione del testo di H contenuta in modo comune in FX.

29

di codici tradizionalmente considerati indipendenti? Si tratterebbe di una mera

casualità (cosa difficile a credersi) o ci sarebbero gli estremi per ipotizzare la

presenza di contaminazione?

Da questo schema teorico così intricato e complesso, possiamo

preliminarmente dedurre che soltanto un’analisi approfondita del testo di R1 e

della sua natura potrà aiutarci a risolvere le varie questioni. Prima di scendere dal

campo teorico a quello pratico, sarà bene richiamare alla mente quanto già

evidenziato nel paragrafo precedente: nella lettera prefatoria della sua editio

princeps, il Rhenanus afferma di aver sempre agito nel rispetto totale dei suoi

testimoni e di aver quindi posto i suoi personali interventi sempre al margine del

testo. Anche questa affermazione merita di essere valutata: quanto sono attendibili

le parole dell’editore?

Negli esempi sottostanti, i richiami al testo del primo libro dell’Adversus

Marcionem sono effettuati sulla base dell’editio princeps del Rhenanus,

pubblicata nel 1521, e dell’edizione di R. Braun (1990).

● Un elenco di concordanze tra FX contro R1, con M che si discosta da

ambedue le varianti, è il seguente:

P. 150 lin. 1 - I, 9, 7 (lin. 38) ecquid R edd. : Haec, quid M hec quid γ

La lezione da adottare è sicuramente quella proposta dal Rhenanus. Viene subito

da pensare di trovarsi in questo caso di fronte ad un’ottima congettura del nostro

editore: la lezione hec attestata in γ è indubbiamente inferiore ed il Rhenanus,

accortosene, è intervenuto sul testo ope ingenii. La lezione di M ci porta a

compiere un’ulteriore riflessione: essendo infatti molto simile a quella di γ

(ricordiamo che in FX è molto frequente lo scambio tra ae ed e), si potrebbe

collocare l’origine dell’errore addirittura in θ.

P. 151 lin. 10 – I, 11, 4 (lin. 16) et hoc ex forma M Kr. Mor. Ev. : ex forma

et hoc γ coni. R2 ex forma hoc et R

30

La costruzione et hoc ex forma si ripropone identica nella proposizione successiva

ed in questo caso tutta la tradizione manoscritta si mostra concorde. Tuttavia, nel

passo in questione, avviene uno strano scambio di posizioni: ex forma è posto

dopo et hoc in M a differenza di R e γ che lo collocano prima; et hoc è attestato

secondo quest’ordine in γ e in M, mentre hoc et compare solo nelle edizioni del

Rhenanus. Se nel primo caso la posizione anticipata di ex forma può trovare

origine in un errore di sostituzione presente già in H, nel secondo caso siamo più

dubbiosi nel prendere una posizione ferma. La vicinanza di γ con M sembra

indicare che in H fosse conservata la versione et hoc; ma l’insistenza del

Rhenanus con la formula hoc et, ripetuta costantemente in ogni sua edizione,

nonché la presenza in R2 di un’annotazione marginale coincidente con la versione

di γ, potrebbero far pensare anche ad una corretta lettura del subarchetipo da parte

del Rhenanus. In caso contrario (cioè ammettendo che in H fosse attestata la

lezione di γ) bisognerà ipotizzare che il Rhenanus abbia inserito nel testo una sua

congettura, riportando invece la vera lezione di H soltanto nel margine di R2.

P. 156 lin. 38 - I, 19, 4 (lin. 27) indurantur M G R3 Kr. Mor. Ev. :

inducantur γ indicantur R1 R2

Le lezioni di R1 e di γ si differenziano soltanto per una singola vocale. Il senso

della frase è inoltre garantito in ambedue i casi. Consultando l’Index

Tertullianeus10

scopriamo tuttavia che il verbo indicare è utilizzato un’altra sola

volta in tutto il corpus del Cartaginese (Ad nationes II, 13 (7), 98,24). La lezione

di M, che è da preferire, non ci aiuta a ricostruire con certezza il testo di H. La

questione rimane a nostro avviso aperta.

P. 163 lin. 12 - I, 25, 6 (lin. 38-39) et ea Vrs. Kr. Mor. Ev. : eum θ (cum

R1)

10 G. Claesson, Index Tertullianeus, vol. 2, F-P, Paris 1975, p. 769

31

La lezione comune nei manoscritti è eum: il Rhenanus corregge in cum nella sua

prima edizione, ma ritorna su eum nei suoi due lavori successivi (1528, 1539).

Nessuna delle due lezioni ha però convinto gli editori più moderni: entrambe le

varianti limitano fortemente il senso del periodo. Con cosa concorderebbe il

successivo de quibus? La soluzione proposta dal Braun11

è piuttosto convincente:

et ea sarebbe in questo caso in correlazione con il precedente et eum e si

andrebbero così a creare due proposizioni speculari. Al di là della giusta lezione,

manifestandosi in questo caso un totale accordo in tutta la tradizione manoscritta,

sembra facile ricostruire il testo di H: esso dovrebbe coincidere con la lezione

riportata in FX, mentre R1 potrebbe essere una emendatio ope coniecturae o

anche, ma meno probabilmente, un errore del filologo umanista.

● Abbiamo riscontrato nel testo i seguenti casi di accordo di MR1 contro

FX:

P. 144 lin. 35 - I, 2, 1 (lin. 3) id est nostrum M R Kr. Mor. : om. γ

L’omissione di queste tre parole deve aver avuto origine nel codex Pforzhinensis,

intermediario tra H e i due codici F ed X. Se così non fosse, come avrebbe potuto

il Rhenanus emendare il testo, per giunta reintegrandolo con la stessa lezione

contenuta in M?

P. 146 lin. 39 - I, 5, 1 (lin. 6-7) Aeneiae Iun. Rig. Kr. Mor. Ev. : aeoneiae

M R1 R2 eoneie γ aeoniae R3

Già il Braun12

ha dimostrato l’uso perfettamente chiaro del genitivo all’interno

della frase: esso deve essere ricollegato ai triginta fetus precedentemente citati. La

presenza della o subito dopo il primo dittongo ae è testimoniata in ambedue i rami

del corpus Cluniacense: non riteniamo pertanto errato sostenere che fosse già

11 R. Braun, Tertullien, Contre Marcion: Tome I (Livre I), SChr 365 (1990), p 224. 12 ivi., p. 256.

32

presente nel testo dell’archetipo. La riduzione riscontrabile in FX dei due

dittonghi ae in e è invece sintomo di una cattiva interpretazione, che può essersi

generata indipendentemente nei due manoscritti o già a partire dal codex

Pforzhinensis (lo scambio tra ae e e è usuale in FX). L’annotazione marginale

contenuta nella terza edizione mostra tutta l’erudizione del nostro autore e del suo

primo editore: XXX cap. foetus enixa iacebat è infatti una dotta citazione

virgiliana (En. 3, 390-392; En. 8, 43-45), realizzata da Tertulliano e prontamente

colta dal Rhenanus.

P. 154 lin. 10 - I, 15, 3 (lin. 22) subsiciua Ciacconius Kr. Mor. Ev. :

subsciua M R subscidiua γ coni. R1 subcisiua coni. R3 Pam.

L’alto numero di varianti offerte nel tempo dai vari editori è già un evidente

sintomo di quanto dibattuto e oscuro sia il caso in questione. Da notare che la

lezione scelta dal Rhenanus si mantiene costante in tutte e tre le sue edizioni,

anche se al margine dei relativi testi appone diverse soluzioni alternative. Si

osservi in particolar modo la nota marginale presente in R1, la quale, introdotta dal

termine als (=alias), risulta coincidere con la lezione contenuta nel gruppo FXVL:

il Moreschini ha in questo caso ipotizzato che l’annotazione potesse essere

addirittura contenuta nel margine dello stesso Hirsaugiensis.13

Come

suggeriscono quasi tutti gli editori, il termine a cui si fa qui riferimento dovrebbe

essere subsiciua: consultando l’Index Tertullianus di G. Claesson14

, il termine

sembra costituire un hàpax all’interno di tutta la produzione del Cartaginese. A

giudicare dall’accordo di M con R, la probabile sostituzione di subsiciua con

l’inesatto subsciua sarebbe già contenuta nell’archetipo θ. Rhenanus potrebbe

dunque essere stato fedele al suo antigrafo, mentre la lezione di FX si sarebbe

ulteriormente deteriorata (probabilmente già a partire dal codex Pforzhinensis).

13 Cfr. C. Moreschini, Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem, cit. (1967). 14 G. Claesson, Index Tertullianeus, vol. 3, Q-Z, Paris 1975, p. 1545.

33

P. 154 lin. 10 - I, 15, 4 (lin. 31) Et materia M R Kr. Mor. Ev. : Est materia

γ

La lezione di γ è corrotta. Secondo l’usus scribendi dell’autore, la prima posizione

del verbo all’interno della frase è alquanto improbabile. È invece plausibile che

l’accordo di R1 con M riporti in questo caso direttamente alla lezione

dell’archetipo.

● I casi in cui R1 si oppone al gruppo FXM sono ben più numerosi,

precisamente ventisei. Di seguito verranno presentati gli esempi più significativi:

P. 144 lin. 5 - I, 1, 3 (lin. 19) qui Mγ R3 Kr. Mor. Ev. : quis R1 R2 B

La lezione di R1, poi confluita in R2 ma non in R3, potrebbe essere una congettura

del Rhenanus. Infatti nel contesto in cui è inserito, il pronome indefinito quis

sarebbe preferibile rispetto al più raro pronome qui. Eppure noi sappiamo che lo

scambio di qui pro quis (così come quello di aliqui pro aliquis) rientra nelle

consuetudini stilistiche di Tertulliano: ce lo testimoniano non solo gli autorevoli

studi conseguiti da H. Hoppe e confluiti nell’utilissima Sintassi e stile di

Tertulliano15

, ma anche alcuni esempi riscontrabili nel testo dello stesso primo

libro dell’Adversus Marcionem. Soltanto poche righe più in alto (lin. 12) troviamo

infatti Pontus qui igitur e allo stesso modo si osservi I, 11, 5 (lin. 26), dove

leggiamo ut novus aliqui Triptolemus praedicaretur. Pertanto il nostro Rhenanus,

credendo di leggere in H una lezione corrotta, potrebbe essere intervenuto con

l’intenzione di riportare il testo alla sua forma originale. Seppure la nostra ipotesi

sembra essere piuttosto convincente, è tuttavia necessario soffermarci almeno su

un caso che potrebbe rimettere tutto in discussione: in un’annotazione marginale

collocata a pagina 154 dell’editio princeps leggiamo chiaramente aliqui pro

aliquis. Sebbene questo costituisca un ulteriore esempio dell’utilizzo di qui (o

15 H. Hoppe, Sintassi e stile di Tertullia, Edizione italiana a cura di Giuseppina Allegri, Brescia

1985 (Syntax und Stil des Tertullian, Leipzig 1903)

34

aliqui) al posto di quis o (aliquis), abbiamo ora la certezza che anche il Rhenanus

era consapevole della presenza in Tertulliano di questo fenomeno stilistico. La

questione rimane dunque ancora aperta.

P. 144 lin. 16 - I, 1, 4 (lin. 33) Hamaxobio R edd. : maxobio Mγ

In questo caso la lezione contenuta in M e in γ è chiaramente inferiore a quella di

R1: tutti gli editori sono infatti in accordo sulla questione. Non riteniamo errato

ipotizzare un intervento congetturale da parte del Rhenanus: l’errore sarebbe

passato ad M e a γ in quanto contenuto già nell’archetipo.

P 145 lin. 25 - I, 3, 3 (lin. 15) convenit Mγ Kr. Mor. : conveniat R Ev.

Le due varianti testimoniate differiscono unicamente per la scelta del modo

verbale. Il verbo, che svolge nella frase una funzione causale, deve essere

ricollegato al cum posto in precedenza: in questo caso, secondo le convenzioni

della grammatica classica, è previsto l’utilizzo del congiuntivo. Per svolgere le

medesime funzioni è tuttavia attestato in Tertulliano l’uso del modo indicativo.16

Appare chiaro, dunque, l’intervento congetturale del Rhenanus il quale, non

considerando l’usus scribendi del Cartaginese, ha cercato di riportare il caso

particolare alla norma tradizionale. Secondo il nostro parere M e γ conservano

pertanto il testo dell’archetipo.

P. 150 lin. 3 - I, 9, 7 (lin. 40) ad hanc R edd. : adhuc Mγ

Quella di R è sicuramente lezione poziore. I copisti di M e γ possono essere caduti

in inganno indipendentemente l’uno dall’altro: potrebbero aver ambedue ripetuto

il termine adhuc che, infatti, compare poco dopo. Non è improbabile che H si

debba ricostruire sulla base di R.

P 150 lin. 34 - I, 10, 3 (lin. 19) barbare R edd. : barbarare Mγ

16 ivi p. 154.

35

Secondo noi siamo qui di fronte ad una congettura del Rhenanus. Escludendo la

contaminatio, l’evidente lezione errata barbarare deve essere stata trasmessa a

partire da θ: solo in questo caso ci spiegheremmo la coincidenza del gruppo MFX

in lezione inferiore.

P. 151 lin. 18 - I, 11, 5 (lin. 26) aliqui Mγ Kr. Mor. Ev. : aliquis R

È il caso già citato nel primo esempio di questo elenco: se ne possono fare le

stesse considerazioni.

P. 152 lin. 17 - I, 12, 3 (lin. 21) qua R edd. : quam Mγ

La lezione di R è migliore di quella conservata in Mγ. La ripetizione del qua

riflette la composizione della frase precedente (Impuditiae, qua - Malignitatis,

qua). Si tratta anche in questo caso di un intervento ope ingenii compiuto dal

Rhenanus?

P. 153 lin. 3 - I, 13, 4 (lin. 35) aquam Mγ Kr. Mor. : aquas R Ev.

Prima Kroymann (1954), poi anche Moreschini (1971) e Braun(1990) hanno visto

in Mγ la lezione più adeguata. Anche noi siamo dello stesso parere:

nell’elencazione in cui il termine è inserito, si crea in questo modo una perfetta

specularità ( Iovem in substantiam - Iunonem in aëream - Vestam in ignem -

Camenas in aquam - Magna matrem in terram). Ci sentiamo di escludere in

questo caso il dubbio di contaminazione: la variante presentata dal Rhenanus

potrebbe essere una cattiva congettura, o anche un’errore di copiatura, causato

dalla ripetizione della desinenza -as presente nel termine immediatamente

precedente Camenas.

P.154 lin 4 - I, 15, 2 (lin. 14) domino R Kr. Mor. Ev. : -num Mγ

Corretta è la lezione di R1: domino svolge infatti nel contesto il ruolo di secondo

termine di paragone (nisi domino fortasse maiorem). La variante dominum

presente in FXM potrebbe derivare dalla presenza dell’errore già nell’archetipo.

36

P. 156 lin. 3 - I, 18, 2 (lin. 10) dehinc Mγ Kr. Mor. : deinde R Ev.

Secondo il nostro parere la lezione deinde, attestata solo nelle edizioni del

Rhenanus, non ha motivo di essere considerata poziore rispetto al dehinc

testimoniato in ambedue i rami della collezione. Il nostro editore deve essere qui

caduto in errore.

P.156 lin. 12 - I, 18, 3 (lin. 13) cognosci R edd. : cognoscis Mγ

L’utilizzo dell’infinito passivo cognosci è imposto dal senso della frase. La

lezione di R, in consenso con quella di tutti gli editori successivi, è indubbiamente

corretta. L’altra variante, presente già in M, doveva essere testimoniata anche dal

testo di H.

P. 159 lin. 36 - I, 22, 8 (lin. 51) proficiunt M γ coni. R3 Kr. Mor. Ev. :

prosiliunt R

I due predicati hanno all’incirca il medesimo significato ma, consultando l’Index

Tertullianeus17

ci si accorge che prosiliunt compare soltanto un’altra volta

all’interno degli opuscula Tertulliani (Ap. 50: 382, 4 ), mentre proficiunt è

largamente attestato. Sembrerebbe un caso di lectio difficilior e, almeno in un

primo momento, si propenderebbe per ricostruire H sulla base di R. La questione

si complica però nel momento in cui si chiama in causa M, il quale contiene infatti

la stessa lezione di FX. Come spiegare questa coincidenza? Se è da escludere una

congettura del Rhenanus, rimane comunque aperta l’ipotesi di una sua erronea

interpretazione di H. È altamente improbabile la possibilità di contaminatio tra M

ed FX.

La lunga elencazione di esempi appena fornita mette per prima cosa in

evidenza quanto sia fondamentale, nel campo filologico, l’approccio diretto con il

testo e l’analisi approfondita di ogni singolo caso: l’aspetto pratico risulta a volte

17 G. Claesson, op. cit., p. 1261.

37

molto più esplicativo di quello puramente teorico. E in effetti lo studio dei casi

appena presentati ci ha permesso di liberare la mente da alcuni dubbi sorti in

precedenza e di giungere ad alcune importanti considerazioni.

In primo luogo, alla luce dei risultati ottenuti, ci sentiamo autorizzati a credere

che il Rhenanus abbia inserito, in alcuni punti della sua editio princeps, alcune

modifiche al testo di H. Non possiamo però sapere con quale grado di

consapevolezza egli abbia agito: in alcuni casi sembra di poter identificare in

quelle presunte modifiche una emendatio ope ingenii; in altri, al contrario,

potrebbe benissimo trattarsi di un errore di comprensione o addirittura di

copiatura del testo del subarchetipo H. In ogni caso non ci sembra un aspetto di

poco conto: le parole dello stesso editore, quando sosteneva di aver riportato tutti i

suoi personali interventi congetturali ai margini del testo, finirebbero così per

essere screditate.

Fra le congetture inserite nel testo dal Rhenanus, possiamo distinguerne alcune

di maggiore valore e fortuna e altre che, non essendo in seguito state più riprese

(né dal Rhenanus, né da altri editori), hanno goduto di minor vita. Tra le buone

congetture andranno inserite quelle che sono ancora attualmente preferite dai

moderni editori, ma anche quelle poi accolte nell’edizione del 1528 e ancora

successivamente in quella del 1539.

Almeno per il primo libro dell’Adversus Marcionem, crediamo infine di poter

respingere l’ipotesi di una contaminazione fra i due rami della collezione

Cluniacense. Anche i casi che maggiormente potrebbero giustificare

un’affermazione del genere, ovvero quelli di accordo tra MFX contro R1, possono

essere spiegati molto più facilmente: o ammettendo la presenza di un errore

comune in MFX, talmente banale da essersi ripresentato nella stessa forma ma

indipendentemente in ogni testimone; o sostenendo la derivazione della menda a

partire dall’archetipo.

Nei Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem, il

Moreschini invita il futuro editore di questo testo ad esaminare con attenzione

quei casi in cui l’opposizione delle due famiglie M e R1FX si spezza per dar luogo

38

ad una caratteristica oscillazione ora di X, ora di F verso M, vale a dire si

verificano dei casi di concordanza tra MF contro R1X sia in lezione inferiore, sia

in lezione poziore e di MX contro R1F, ugualmente in lezione inferiore e in lezione

poziore.18

Sempre secondo il suo pensiero, le concordanze in errore tra M e F e tra M ed

X possono essere considerate irrilevanti in quanto l’errore è spesso così banale

che i due manoscritti possono averlo commesso indipendentemente l’uno

dall’altro. In questo caso dunque, l’oscillazione di X o di F verso M sarà del tutto

apparente e la divisione in due famiglie del corpus Cluniacense risulterà ancora

preservata: la lezione del perduto Hirsaugiensis sarebbe in questo caso da far

coincidere con il raggruppamento R1F (nel caso sia X a coincidere con M) o con

R1X (nel caso sia invece F ad oscillare verso M). Ben più difficile, ipotizza ancora

il Moreschini, sarebbe spiegare i casi di concordanza tra M e F o tra M e X

(rispettivamente contro R1X e R1F) in lezione poziore. In questi casi si potrebbe a

suo giudizio insinuare il dubbio di contaminazione, perché sembra piuttosto

improbabile pensare che F o X (quando si accordano con M) rappresentino

entrambi la lezione del Hirsaugiensis, corrottasi poi tanto in R1X (nel caso del

raggruppamento MF) tanto in R1F (nel caso del raggruppamento MX) però - e

questo è il punto difficile ad ammettersi – corrottasi nello stesso modo nei due

manoscritti, ma indipendentemente in entrambi.

Esortati da questi studi, abbiamo esaminato il testo del primo libro

dell’Adversus Marcionem, cercando di evidenziare tutti i casi di opposizione fra

MF e R1X e fra MX e R1F.19

Va innanzitutto sottolineata l’estrema rarità con cui

ricorrono questi fenomeni: abbiamo individuato soltanto tre casi in cui il gruppo

MF si oppone ad R1X e nessun caso in cui MX contrasta con R1F. Inoltre in

ambedue le circostanze, la lezione migliore è sempre quella che non oscilla verso

M ma che tende a coincidere con R1. Attraverso una semplice elencazione dei casi

18 Cfr. C. Moreschini, op. cit. (1967). 19 Tralasciamo di riportare i semplici casi di opposizione tra F ed R1X e tra X e R1F in quanto la

soluzione in queste situazioni è evidentemente pacifica: si individuerebbero così soltanto le

lectiones singulares a volte di F, a volte di X e dunque i loro errori particolari.

39

in questione, sarà possibile intuire quanto banali siano gli errori presenti in MF e

quanto sia dunque alta la possibilità di una corruzione identica, ma indipendente,

nei due manoscritti.

P. 153 lin. 2 – I, 13, 4 (lin. 33) aëream X R Kr Mor. Ev. : aeriam M F;

p 159 lin. 40 – I, 22, 9 (lin. 56) oneratum X R edd. : honeratum M F;

p. 153 lin. 4 – I, 13, 4 (lin.37) Osiris R1 F : ostris M X.

In ogni occasione in cui MF o MX si mostrano in accordo contro R1X o R1F,

almeno per quanto riguardo il primo libro dell’Adversus Marcionem, possiamo

affermare con sicurezza che il testo dell’Hirsaugiensis deve essere

necessariamente ricostruito sulla base del raggruppamento di cui fa parte R1. In

altre parole, in queste situazioni (per quanto rarissime), abbiamo la certezza che il

Rhenanus ha trasmesso correttamente la lezione del manoscritto H da cui

ricopiava.

Prima di concludere, sarà bene completare questa trattazione della prima

edizione alle opere di Tertulliano fornendo una breve descrizione delle

annotazioni marginali in essa contenute.

Il Kroymann, dopo aver ricordato che l’Adversus Marcionem rientra nel

gruppo di quei tredici trattati che il Rhenanus poteva leggere soltanto

nell’Hirsaugiensis20

, affermava che tutte le annotazioni marginali contenute

nell’editio princeps sarebbero esclusivamente il risultato del lavoro congetturale

effettuato dal filologo umanista.21

Più di mezzo secolo dopo, il Moreschini22

è

intervenuto sulla questione con una posizione completamente differente:

riesaminando tutto il complesso delle annotazioni marginali, è giunto a sospettare

delle stesse parole dell’editore. Secondo il suo giudizio, non tutte le annotazioni

avrebbero l’evidente aspetto di congetture, ve ne sarebbero infatti altre che danno

20 Il Rhenanus, come sappiamo, non conosceva infatti né il Montepessulanus, né altri manoscritti

appartenenti al primo ramo del corpus Cluniacense. 21 Cfr. E. Kroymann, Kritische Vorarbeiten für den dritten und vierten Band der neuen Tertullian-

Ausgabe,SAWW 143, 6 (1900), pp. 2-3. 22 Cfr. C. Moreschini, op. cit. (1967).

40

l’impressione di essere lezioni desunte da una tradizione autonoma da quella del

Hirsaugiensis, su cui è costruita l’edizione del Rhenanus. Una prova a sostegno di

questa ipotesi potrebbe essere il frequente utilizzo di due formule che spesso si

alternano nell’introdurre le correzioni in margine: forte o forsan da un lato, alias

dall’altro. Sostiene il Moreschini che questo fatto non può essere dovuto al caso:

perché il Rhenanus avrebbe dovuto distinguere alcune congetture dalle altre, se

poi erano tutte, sia quelle introdotte da “forte” sia quelle introdotte da “alias”,

frutto della sua mirabile capacità divinatrice? E conclude affermando che a voler

giudicare senza preconcetti […] sembra logico pensare che con l’annotazione

“alias” il Rhenanus volesse indicare quelle lezioni da lui desunte dalla collazione

di un altro manoscritto (come di solito avviene in casi del genere), mentre quelle

introdotte con “forte” o simili indicherebbero le sue congetture personali.

Basandosi su alcune coincidenze testuali, il Moreschini crede di poter avanzare

l’ipotesi che il Rhenanus avesse a sua disposizione altri due manoscritti,

imparentati l’uno con l’Agobardinus, l’altro con il Magliabechianus N, se non

direttamente con il Montepessulanus

A questa affascinante teoria si è però successivamente opposto il Van der Nat,

in una lettera di risposta proprio al Moreschini. Con il suo intervento, egli cerca di

riportare la questione entro margini più tradizionali, pur distaccandosi dalle

supposizioni più radicali del Kroymann. Il Van der Nat sostiene infatti che il

Rhenanus ha costruito il testo dei trattati non presenti in P unicamente sulla base

di H; in questo caso rimangono aperte soltanto due possibilità: il Rhenanus può

avere accolto nel testo della sua edizione le stesse lezioni dell’Hirsaugiensis,

oppure può avervi introdotto una sua congettura. Nel primo caso le varianti

marginali coinciderebbero con gli interventi congetturali elaborati dal filologo

umanista, nel secondo avremmo invece conservato nei margini il testo originale di

H. Se la prima possibilità è quella certo più frequente, il Van der Nat non manca

di sottolineare che anche la seconda sembra essersi in qualche luogo

concretizzata. Non ritiene inoltre probante l’utilizzo delle due diverse formule

41

introduttive alias e forte perché la loro origine non è chiara: persino H, ipotizza,

sembra contenesse lezioni marginali.

Alla luce di tutte queste considerazioni, ci è sembrato opportuno esaminare

tutte le annotazioni marginali dell’editio princeps presenti nel primo libro

dell’Adversus Marcionem. Potremmo suddividere queste note marginali in tre

categorie: quelle introdotte da for. (= forte o forsan), quelle introdotte da als. (=

alias) e altre che non presentano formule introduttive.

Le note introdotte da als. ricorrono soltanto in tre casi: le soluzioni alternative

ivi fornite sono tutte banalizzazioni o facili miglioramenti del testo. Consultando

gli apparati critici del Braun (1990) e del Kroymann (1954) laddove il primo tace,

abbiamo verificato che in nessun caso le varianti offerte nei margini si mostrano

in accordo con l’altro ramo della collezione Cluniacense: ci sembra così di poter

respingere, almeno per quanto riguarda il primo libro dell’Adversus Marcionem,

la tesi avvalorata dal Moreschini.23

Presentiamo di seguito i casi riscontrati:

p. 145 mg. lin. 15 – I, 7, 3 (lin. 15) voce vel nota als. R1 : notae R1;

p. 154 mg. lin. 10 – I, 15, 3 (lin.22) subscidiua als. R1 : subsciua R1;

p. 154 mg. lin. 39 – I, 16, 2 (lin. 13) deo creatori als R1 : deo creatore R1.

Le annotazioni marginali introdotte da for. sono leggermente più numerose, in

totale ne abbiamo contate sette. Si tratta in ogni caso di evidenti congetture e non

ci sembra vi siano indizi per poterne negare la paternità del Rhenanus. Tra questi

interventi ope ingenii troviamo soprattutto congetture che non sono state poi

riproposte né dal Rhenanus, né da altri editori. In nessun caso una congettura

introdotta da forte e presente in R1 entra poi a far parte del testo di R2; accade

invece in una sola circostanza che essa venga riproposta nel margine di R2, seppur

con un’ulteriore aggiunta. Il caso merita di essere segnalato:

23 Sarebbe intellettualmente scorretto non ricordare che lo stesso Moreschini aveva già fatto simili

considerazioni in merito allo stesso trattato. Cfr ibid.

42

p. 150 mg lin. 28 – I, 10, 2 (lin. 11) tanta idolotriae dominatione coni. R1

vel etiam intantum coni. R2 : tantam idolotriae dominationem R1 R2

Le altre note a margine, ovvero quelle non introdotte da nessuna formula, sono

invece molto più numerose. Tuttavia esse hanno per lo più natura esplicativa:

sono quasi dei richiami al testo che il Rhenanus inserisce per migliorarne la lettura

o per spiegare il senso di qualche singolo passo. Soltanto quattro di queste

annotazioni hanno valore di congetture: in due casi la soluzione proposta non

sembra convincere neppure il Rhenanus, poiché nell’edizione successiva del 1528

la sostituirà con un’altra annotazione (p 159 mg. lin. 39,40 e p. 160 mg. lin, 29); le

altre due occasioni meritano invece di essere annotate, la prima perché da essa

dipenderà poi il testo di R2 e di R3, l’altra perché sarà riproposta a margine di R2

per poi infine entrare nel testo di R3.

P. 153 mg. lin 25 – I, 14, 5 (lin. 29) muta apocarteresi coni. R1 R2 R3 :

muta porcartere R1;

p. 156 mg. lin. 27 – I, 19, 2 (lin. 12) aura canicularis coni. R1 coni. R2 R3 :

aula canicularis R1.

Abbiamo creduto che fosse opportuno soffermarci tanto a lungo sui rapporti

che intercorrono tra il perduto codex Hirsaugiensis e la prima edizione critica alle

opere di Tertulliano, per poter così meglio definire ed inquadrare l’attività

emendatrice del nostro Rhenanus. I dibattiti e le varie ipotesi che nel corso degli

anni sono state presentate dai più autorevoli studiosi in merito al valore di questa

editio princeps, giustificano, a nostro parere, la lunghezza del presente capitolo.

Tuttavia sarà bene ora concentrarsi sulla seconda edizione di Tertulliano,

pubblicata sempre dal Rhenanus nell’anno 1528.

43

Capitolo terzo

La seconda edizione e l’emendatio ope ingenii

Nel capitolo seguente verrà presentata una descrizione della seconda edizione

delle opere di Tertulliano, curata ancora una volta dal Rhenanus e pubblicata

nuovamente a Basilea, nel mese di marzo del 1528. Nel primo paragrafo si

cercherà innanzitutto di spiegare quali sono le motivazioni che hanno spinto

l’editore umanista a rivedere il suo precedente lavoro, per poi passare ad

analizzare i nuovi presupposti e le rinnovate intenzioni. Nell’altra sezione

verranno invece segnalate le differenze più sostanziali che intercorrono tra la

prima e la seconda edizione: grande spazio verrà lasciato al tema dell’emendatio

ope ingenii, assolutamente fondamentale in questo nuovo lavoro. La nostra analisi

sarà condotta unicamente sulla base del primo libro dell’Adversus Marcionem.

3.1 L’edizione del 1528: alcune informazioni preliminari

Il 15 dicembre del 1527 Beatus Rhenanus invia da Basilea un breve biglietto al

barone polacco Jan Łaski1, il quale aveva in precedenza soggiornato presso la

dimora di Erasmo2. Nella parte finale di questo documento, dopo aver rivolto

alcuni sinceri auguri al giovane amico, lo studioso di Sélestat passa a trattare della

sua grande fatica del momento: la seconda edizione delle opere di Tertulliano.

Ancora una volta egli tende a sottolineare la complessità e la temerarietà del suo

lavoro, dettate ambedue dall’estrema difficoltà di lettura dei soliti manoscritti,

ampiamente corrotti. Le cause di questa enorme depravazione sono le stesse che

aveva già denunciato nella lettera prefatoria della prima edizione3: l’antiquitatem,

ovvero il lungo tempo di disinteresse generale per le opere del Cartaginese, e

1 A. Horawitz, K. Hartfelder, Briefwechsel des Beatus Rhenanus, Reihneim 1966 [1886], p. 374. 2 Cfr. P. Armandi, Erasmo da Rotterdam e i libri. Storia di una biblioteca,

<http://picus.sns.it/documenti/armandi_ocr.pdf, p. 32> [ultima cons. 21-10-2013]. 3 Cfr. supra, cap. 2, p. 17.

44

l’obscuritatem styli. Ciononostante il Rhenanus si mostra molto fiducioso, se non

proprio soddisfatto, dei risultati che stava ottenendo: nam innumeras mendas

castigavi, difficiliora loca quaedam aperui, vocabula autori peculiaria

loquendique formulas annotavi. Prima di congedarsi, il nostro umanista invita

l’amico a verificare personalmente i miglioramenti apportati al testo, non appena

l’edizione sarà completata.

Già da questo breve documento possiamo estrapolare almeno un’importante

informazione che sarà poi ribadita, all’interno dell’edizione, dallo stesso

Rhenanus: la mancanza di nuovi testimoni manoscritti è supplita dalle maggiori

attenzioni dell’editore verso la lingua e lo stile di Tertulliano. La consapevolezza

e la soddisfazione per i miglioramenti conseguiti, sono la testimonianza di

un’accresciuta dimestichezza con l’usus scribendi dell’autore. A tutto questo va

poi certamente unita la grande esperienza filologica ottenuta e maturata dal

Rhenanus nel corso di questi sette anni4.

Il 29 febbraio del 1528, sotto la forma di una lettera al lettore5, Rhenanus scrive

una nuova prefazione alla sua seconda editio Tertulliani. Inserita dopo un sobrio

frontespizio6 e dopo il catalogus delle opere contenute

7, questa lettera fornisce al

lettore alcune importanti informazioni: in una prima parte vengono spiegate le

motivazioni che hanno convinto l’editore a curare una nuova pubblicazione,

nell’altra sono invece illustrate le modalità con le quali il Rhenanus è intervenuto

nuovamente sul testo e le innovazioni così ottenute. Al termine di questa lettera,

viene poi presentata un’altra sezione, nella quale l’editore, oltre a fornire una

spiegazione di alcune sue importanti congetture, si preoccupa di descrivere alcune

consuetudini stilistiche, grammaticali e sintattiche dello scrittore Cartaginese: di

queste annotationes ci interesseremo più avanti.

4 Tanti ne passano fra la pubblicazione dell’editio princeps (1521) e di questa seconda edizione

(1528). 5 Cfr. Anche A. Horawitz, K. Hartfelder, op. cit., pp. 374-376. 6 Non compaiono più le splendide incisioni che erano state applicate nel frontespizio dell’editio

princeps. Oltre al titolo dell’opera e ad una sua breve descrizione, troviamo ora solo la marca

tipografica di Johann Froben. 7 Il catalogus presenta la stessa forma grafica di quello contenuto nell’editio princeps.

45

Sin dalle prime righe di questa nuova prefazione si intuisce quanto il Rhenanus

si sia impegnato per entrare maggiormente in sintonia con lo stile particolarissimo

di Tertulliano: sebbene questo venga ancora definito come oscuro, affettato e

duro, per la prima volta il nostro editore parla apertamente di un linguaggio che

presenta molte peculiarità riconducibili al latino anticamente parlato nelle regioni

africane, dalle quali Tertulliano proveniva. La lingua ardua dell’autore, unita alle

numerose mende sorte nel tempo per mano dei librarii, hanno reso difficilissima

la lettura dei suoi trattati: se per la maggior parte degli altri autori - dice il

Rhenanus - una certa facilitas sermonis permette molto spesso di cogliere il senso

del discorso, nel caso di Tertulliano, al contrario, divinandum est saepissime.

Dopo questo accenno a delle tematiche che avrà poi modo di riprendere e di

approfondire ulteriormente, il Rhenanus passa a motivare la pubblicazione di

questa sua seconda edizione. Veniamo così a sapere che, almeno nelle intenzioni

primordiali, il filologo umanista non avrebbe voluto curare una nuova edizione

critica delle opere del Cartaginese, se prima non avesse potuto consultare altri

manoscritti, reputati addirittura migliori dei precedenti. Expectabam avide ex

Mediomatrici Gorziensem codicem, et a Treviris Spectaculorum libros8, sed

frustra9: queste le parole che il Rhenanus riporta in proposito. Nonostante non

fosse dunque in possesso di nuovi manoscritti, l’umanista alsaziano decise

ugualmente di intraprendere questo nuovo lavoro critico, istigato, o meglio

pressato, dalle insistenti richieste del tipografo Froben. Quest’ultimo si era infatti

convinto della necessità di intervenire nuovamente con una seconda

pubblicazione, sia per evitare che qualche tipografo o editore rivale potesse

migliorare il loro precedente lavoro, sia per soddisfare le richieste dei molti

8 Dalle annotationes posposte all’Adversus Valentinianos (p. 403) apprendiamo ulteriori

informazioni su questo codice contenente il trattato De spectaculis: ne era in possesso il giurista

Ulrich Fabritius di Koblenz, il quale aveva deciso di cederlo al Rhenanus, affinché questi ne

curasse l’edizione. Purtroppo morì prima di consegnarlo al filologo umanista ed in seguito alla sua

scomparsa si persero le tracce del codice. 9 Sempre nelle annotationes poste al termine dell’Adversus Valentinianos (p. 403) Rhenanus parla

anche di un codice conservato a Fulda. Dice di non averlo potuto consultare a causa di non meglio

specificati “tumulti popolari”.

46

studiosi che, da più parti, ricercavano ulteriori spiegazioni sui testi di Tertulliano.

Il Rhenanus accettò quasi forzatamente questa proposta del Frobenius e, sempre

nel corso della lettera prefatoria, confessa apertamente al lettore che, almeno nelle

fasi iniziali, partecipò molto svogliatamente al progetto. Tuttavia, proseguendo nei

lavori, si rese gradualmente conto che andava ottenendo risultati sempre più

interessanti, pur citra praesidium exemplarium vetustorium, ma appellandosi

soltanto alla propria capacità divinatrice: quanto più aumentava questa

consapevolezza, tanto più accresceva la sua partecipazione ed il suo entusiasmo.

Al termine dell’opera, Rhenanus sentiva di aver compiuto un ottimo lavoro e

poteva sostenere, con un pizzico di fierezza, di aver realizzato un’edizione di gran

lunga migliore rispetto alla precedente. Tuttavia, per mantenersi coerente con la

sua indole improntata alla modestia, il filologo di Sélestat dichiara che la

superiorità di questo nuovo lavoro dipende principalmente dalla grandissima

diligenza con cui tutti (compresi i correttori) si sono applicati e non, certo, perché

ritenga che sia stata prodotta un’edizione ad unguem castigata: d’altronde, come

avrebbero potuto i suoi aiutanti non prendere degli abbagli, immersi nel gran

tumulto delle presse, mentre i librai, infastiditi dai ritardi e ansiosi di ottenere un

guadagno, incitavano alla fretta?

Terminato questo excursus, utile ad illustrare il retroscena storico inerente alla

stesura di questa seconda edizione, il Rhenanus passa ad esporre il metodo

utilizzato per emendare i trattati di Tertulliano: grande attenzione viene

naturalmente prestata al tema della emendatio ope coniecturae.

L’intervento congetturale, come prima anticipato, viene ora nuovamente

presentato, in questo specifico caso, come necessario: le opere dell’autore

Cartaginese erano così depravate che l’editore, in mancanza di altri manoscritti da

poter collazionare, si è potuto appellare unicamente a questo metodo emendatorio

e, dunque, alla sua capacità divinatrice. Tuttavia il Rhenanus, da esperto filologo

qual era, non perde occasione per avvertire il lettore circa i pericoli che si corrono

quando il prurito congetturale, usato in maniera eccessiva e sconsiderata, prende il

sopravvento persino sull’autorità dei più antichi codici manoscritti. A suo

47

giudizio, è invece fondamentale agire con estrema cautela, nel pieno rispetto della

lingua e dello stile dell’autore: nell’edizione critica di un testo non esiste minaccia

più grande di quella costituita dalla realizzazione di un intervento per divinatio,

che sia sconsiderato e frettoloso. Riconoscendo questo pericolo, il Rhenanus

spiega di essere intervenuto solo in casi di estrema necessità e, cosa fondamentale,

di aver sempre motivato ogni suo intervento congetturale: lasciare la libertà di

giudizio al lettore è un fattore che non deve essere assolutamente sottovalutato. A

questo proposito, sostiene che è molto preferibile centum loca per coniecturam

exponere, quam unicam sillabam in quocumque autore perperam mutare. Colui

che utilizza una simile impostazione – conclude poi il Rhenanus – otterrà forse

una minor gloria, ma sarà per lui minore anche la possibilità di commettere un

errore. In effetti lo scrupolo con il quale il Rhenanus ha lavorato in questa seconda

edizione è visibilmente maggiore rispetto a quello avuto nella precedente

esperienza e, di conseguenza, più numerosi sono anche i buoni risultati. Questa

sua grande diligenza lo porta a ribadire più volte la bontà del metodo utilizzato.

Infatti, nelle annotationes dell’Adversus Hermogenem10

, dopo essersi nuovamente

lamentato per il gran numero di corruttele presenti nel testo dei testimoni, ribadise

ancora una volta il largo ricorso a correzioni congetturali, che però dichiara di

aver messo sempre in evidenza, sia perché il lettore possa giudicare da sé, sia

perché magna religione tractanda sunt veterum scripta.

Proprio per non nascondere le numerose modifiche ottenute tramite divinatio,

il nostro editore inserisce nuovi spazi, separati dal testo dei trattati, nei quali

discute liberamente le scelte compiute, illustrandole dettagliatamente. La

massiccia presenza del materiale congetturale ha reso infatti impossibile il solo

utilizzo dei margini laterali, anche se questa soluzione era preferita dallo stesso

autore: Maluissemus nostras coniecturas in marginibus chartarum apponere, sed

cum longiscule essent, non est visa sufficere exiguitas spatii brevioris.11

La

presenza di questi spazi, nominati semplicemente annotationes, non solo permette

10 Opera Tertulliani (1528), pp. 355-356, Adversus Hermogenem. 11 ivi p. 356, Adversus Hermogenem.

48

all’editore di commentare le proprie proposte di modifiche al testo, ma anche di

gettare luce su alcuni passi oscuri, di richiamare l’attenzione del lettore

sull’utilizzo, da parte dell’autore, di termini proverbiali e popolari e, infine, di

analizzare le particolarità linguistiche del latino di Tertulliano: appellandosi

unicamente alla sua abilità, e a quella dei suoi collaboratori, il Rhenanus cerca in

ogni modo di avvicinarsi quanto più possibile alla ipsissima Tertulliani lectio12

.

L’introduzione delle annotationes, vero tratto distintivo di questa seconda

edizione, contribuì fortemente allo sviluppo degli studi del Rhenanus su

Tertulliano: lo stesso sistema sarà poi ripreso, e persino ampliato, nell’edizione

del 1539. In questo suo secondo lavoro, egli scrive invece otto pagine di note

aggiuntive, inserite subito dopo la lettera al lettore, nelle quali si occupa prima del

De Patientia e poi, più brevemente, dei primi sette trattati (De Patientia, De carne

Christi, De resurrectione carnis, De praescriptione haereticorum, Adversus

omneis haereses, Adversus Iudaeos, Adversus Marcionem). Ma non basta: anche

per tutti gli altri scritti il Rhenanus inserisce delle singole annotationes.

Questa, in definitiva, la struttura generale della seconda edizione di Tertulliano,

curata dal Rhenanus e pubblicata nel marzo del 1528. Già dalle sue prime pagine,

specialmente nella lettera Ad lectorem, si possono intuire quali sono gli aspetti

che, nel corso della nostra analisi, meritano di essere maggiormente indagati: il

ruolo e il peso della congettura, la modalità con cui essa viene presentata ed il

desiderio di chiarezza, l’attenzione dell’editore alle peculiarità linguistiche dello

scrittore africano. Nel paragrafo successivo, offriremo un’analisi del primo libro

dell’Adversus Marcionem, per come esso si presenta in questa seconda edizione.

3.2 Le innovazioni apportate al primo libro dell’Adversus Marcionem

12 ivi p. 545, De fuga in persecutione.

49

Il primo libro dell’Adversus Marcionem, nell’edizione a stampa del 1528,

inizia a pagina 152 ed è preceduto soltanto da un breve argomentum. Nelle

annotationes inserite subito dopo la lettera prefatoria, troviamo davvero poche

notizie che riguardano direttamente il primo libro dell’Adversus Marcionem: il

Rhenanus, dopo aver trattato singolarmente il De patientia, ha preferito infatti

esporre brevi considerazioni generali, riportando poi soltanto alcuni esempi tratti

dal testo dei primi sette trattati: neque enim commentarium scribere voluimus. Tra

queste considerazioni, non ci sono solo delucidazioni sulle congetture effettuate,

ma anche spiegazioni circa le consuetudini linguistiche di Tertulliano e sul suo

stile: il Rhenanus cerca di documentare tutti i casi in cui l’autore Cartaginese si

allontana dal latino tradizionale, in favore di quello parlato nella provincia

Africana. A volte il nostro editore, per illustrare un principio generale o per

dimostrare il valore di una sua congettura, utilizza un passo contenuto proprio nel

primo libro dell’Adversus Marcionem. Facciamo qualche esempio:

Quem tantum tu iudicem tenes dispensatorem si forte bonitatis ostendis

intelligendum, non profusorem, quod tuo vendicas. (p. 172 lin. 14 – I, 24, 3 lin.

19). Il suddetto passo viene preso come testimonianza del ripetuto uso, da parte di

Tertulliano, della formula si forte al posto del semplice forte (si forte perpetuo

Tertullianus usurpat pro forte).

Iam et bestiis illius barbariei importunior Marcion (p. 153 lin. 11 – I, 1, 5

lin. 37). Qui il Rhenanus consiglia al lettore di leggere barbariae al posto di

barbariei: nam Barbariam pro regione Barbarorum usurpat.

Tentabis ad haec de nomine dei concutere retractatum, ut passiuo et in

alios quoque permisso (p. 157 lin. 5 – I, 7, 1 lin. 2). Rhenanus riporta questa frase

per dimostrare che Tertulliano utilizza il termine passivus col significato di

“comune” o “promiscuo”. Nella nota marginale posta al fianco del passo indicato,

tenterà poi di spiegare che il termine in questione sarebbe derivato dall’avverbio

passim ed è per questo che consiglia di leggere ut passimo, in luogo di ut passivo.

50

Quo denique initiantur et indicantur in hanc haeresim ( p.166 lin. 15 – I,

19, 4 lin. 27). Indicari in haeresim – spiega il Rhenanus nelle annotationes – est

initiari haeresi, sive dedicari haeresi. Questa sua spiegazione viene poi ribadita a

fianco del testo, dove consiglierà al lettore di sostituire il verbo indicantur con

dedicantur.

Si qui pro quis frequentissum est apud Tertullianum. […] Item aliqui pro

aliquis. […] Sic dicit ne qui, pro ne quis. In questa circostanza il nostro editore

enuncia una tendenza generale che si riscontra spesso negli scritti del Cartaginese.

Sebbene egli non faccia qui una chiara allusione al primo libro dell’Adversus

Marcionem, ci è sembrato opportuno segnalare la conoscenza da parte del

Rhenanus di un tratto caratteristico dell’usus scribendi di Tertulliano; una

peculiarità che spesso incontriamo anche nel testo che è oggetto della nostra

analisi (I, 1, 3 lin. 12 e 19 - I, 11, 5 lin. 26)

Al di là delle annotationes iniziali, sarà ancora una volta fondamentale

analizzare il testo del trattato per comprendere il metodo seguito dal nostro editore

e per cogliere le differenze con la precedente edizione.

Ovviamente i casi in cui il testo di R2 coincide con quello di R1 sono

numerosissimi: ripetiamo che il Rhenanus non aveva a disposizione codici

manoscritti diversi da quelli collazionati per l’editio princeps e che, nell’edizione

del 1528, cercò di migliorare il testo facendo esclusivamente appello al suo

ingegno. Soltanto nella terza edizione (1539), con l’apporto del Gorziensis, egli

riuscirà ad inserire o a correggere molte lezioni, persino quelle che prima non

avrebbe potuto riconoscere come errate. Assai esplicativo è, a questo proposito, il

caso di omissione che si riscontra in I, 10, 3 lin. 18 e 19: l’intera frase Iudaeorum

enim deum dicunt animae deum compare solo a partire da R3. In casi come questo

51

si intravede chiaramente la netta divisione del corpus Cluniacense in due distinti

rami.13

Osservando gli spazi marginali del testo, è possibile verificare come il

Rhenanus abbia mantenuto, in molte occasioni, le stesse annotazioni già presenti

in R1, apportando tutt’al più solo piccole modifiche. Queste ripetizioni non hanno

altro valore, se non quello di mostrare i punti di continuità fra la prima e la

seconda edizione: molto più importante sarà invece l’analisi delle loro differenze,

presenti sia all’interno del testo, sia nelle note marginali.

Abbiamo riscontrato venticinque casi in cui la lezione di R2 differisce da quella

di R1. Per spiegare l’origine di queste modifiche esistono solo due possibilità: o

sono state inserite volontariamente da parte dell’editore, oppure sono confluite nel

testo indipendentemente dalla sua volontà, a causa di una svista o di qualche altro

errore. Soltanto con un esame autoptico potremo ottenere delle risposte più

concrete. Tendendo a questo fine, presentiamo qualche esempio:

p. 155 lin. 34 – I, 5, 1 (lin. 5) Bythum et Sigen, cum R2 : Bythium et

Sigeneum R1

Entrambi i sostantivi subiscono una variazione in questa seconda edizione:

bisognerà tuttavia dividere la questione in due casi separati. Il primo termine,

omesso nell’apparato del Braun14

, è stato invece discusso dal Kroymann15

:

apprendiamo così che la versione Bythum di R2 rispecchia quella contenuta tanto

in M, quanto in F; ci sembra pertanto di poter affermare che la suddetta lezione

fosse contenuta già in H16

, se non addirittura in θ, e che R1, per qualche motivo, si

discostò. L’ipotetico ritorno di R2 alla lezione di H lascia spazio ad

13 Ricordiamo infatti che, per quanto riguarda l’Adversus Marcionem e gli altri trattati non

contenuti nel Paterniacensis, R1 ed R2 sono stampati sulla base del solo codex Hirsaugiensis

(ramo β del corpus Cluniacense). In R3 si è potuto invece consultare anche il Gorziensis, venendo

così in contatto anche con il ramo α della tradizione. 14 R. Braun, Tertullien, Contre Marcion: Tome I (Livre I), SChr 365 (1990), p. 120. 15

Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, CCSL I (1954), pp. 437-730, p. 446. 16 Purtroppo il Kroymann non teneva in considerazione le lezioni di X, cosa che avrebbe aiutato a

chiarire maggiormente la vicenda.

52

un’interessante interrogativo: il Rhenanus aveva ancora a disposizione i due

volumi dell’Hirsaugiensis, pur dopo la pubblicazione dell’editio princeps? Mentre

il Moreschini vuole confermare questa ipotesi17

, noi, seppur propensi, riteniamo di

non poterci esprimere sulla base di questo unico passo: il Rhenanus potrebbe aver

ritenuto errata la lezione precedentemente pubblicata e la correzione di Bythium in

Bythum potrebbe essere stata pensata come evidente. Il secondo caso vede invece

la contrapposizione di Sigeneum (R1) con Sigen, cum (R2): dall’apparato del

Braun verifichiamo che la prima versione non era contenuta solo nell’editio

princeps, ma anche in M ed in γ. Nel suo secondo lavoro, il nostro editore, non

soddisfatto della precedente lezione, è quindi intervenuto per divinatio: il termine

Sigen è un’evidente grecismo. La lezione proposta dal Braun e da altri editori più

moderni (Sigen, tum) sembra essere la più appropriata.

P. 159 lin. 10 – I, 9, 7 (lin. 45-46) sin de certis R2 : si non de certis R1

La versione di R1 concordava con quella di M e di γ ed è stata poi accolta da R.

Braun nel testo della sua edizione critica18

, dal cui apparato apprendiamo invece

che Moreschini19

e Kroymann20

avevano preferito la lezione di R2 (confluita poi

in R3). Riprendendo l’editio princeps è possibile leggere, ai lati del testo, una nota

critica: Forte, si vero de certis. Come abbiamo visto, nella sua seconda edizione il

Rhenanus rifiuta la precedente congettura e, con buona probabilità, ne introduce

un’altra. Accettando questa ricostruzione, dovremo ammettere di trovarci di fronte

ad un caso nel quale l’editore, pur avendo modificato il testo tramite divinatio,

non ha in alcun modo segnalato l’intervento.

17 Cfr. Cfr. C. Moreschini, Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem di

Tertulliano, ASNP II, vol. 36 (1967), pp. 93-102, 236-244. 18 R. Braun, op. cit., p. 140. 19 C. Moreschini, Q. S. F. Tertulliani Adversus Marcionem, “Testi e documenti per lo studio

dell’antichità” 35 (1971). 20 Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, cit., pp. 437-726.

53

P. 160 lin. 15 – I, 11, 3 (lin. 14) falsae R2 : false R1

Il testo di R1 è evidentemente errato: Rhenanus se ne è accorto ed ha corretto il

testo nella sua seconda edizione. La presenza di una variante non è segnalata

nell’apparato critico del Braun.21

P. 162 lin. 17 – I, 13, 5 (lin. 37) Osirin R2 : Osiris R1

Nella prima edizione il nome della dea Osiride era posto al caso nominativo, nella

seconda viene invece ridotto nell’inconsueta forma Osirin. Riteniamo più

probabile pensare che si tratti di un errore, piuttosto che di una congettura.

Tuttavia rimane da capire per quale motivo il Rhenanus decise di adottare la

stessa forma anche nella sua terza edizione (1539).

P. 162 lin. 20 – I, 13, 5 (lin.45) una tetraonis R2 : una tetra pauonis R1

La lezione tetra pauonis sembra piuttosto problematica: a chi dovrebbe essere

ricollegato il termine tetra? L’altra variante è invece frutto di una eccellente

congettura del Rhenanus, puntualmente delucidata nel margine laterale: tetrao,

tetraonis è un sostantivo che indica una particolare razza di uccello. L’editore

ricorda di averne già avuto notizia in Plinio, nella sua Naturalis Historia (10, 22-

29).

P. 162 lin 39 – I, 14, 4 (lin. 25) plane inimicam R2 : plane inimica R1

Il passo in questione è certamente assai oscuro e dibattuto. Il Rhenanus, in tutte e

tre le sue edizioni, cambierà sempre versione: inimica (1521), inimicam (1528) ed

infine inimice (1539). Analizzando l’apparato critico del Braun22

, leggiamo che γ

aveva inimice, mentre M tramandava la lezione inimicae, oggi più comunemente

accettata. Evidentemente in R1 il Rhenanus non era riuscito a leggere chiaramente

il testo di H da cui ricopiava o, più semplicemente, lo aveva considerato errato. In

21 R. Braun, op. cit, p148. 22 ivi., p. 166.

54

ogni caso nella seconda edizione preferisce la lezione inimicam, ponendo quindi il

termine al caso accusativo: così facendo l’aggettivo tende a riferirsi al sostantivo

terram o al successivo matricem. In questo modo si otterrebbe però una leggera

modifica del senso generale del discorso: a nostro giudizio Tertulliano vuole qui

indicare come sua nemica la carne (carnem) e non la terra (terram). Siamo dunque

propensi a ritenere corretta la lezione conservata in M. Ai fini del nostro studio è

comunque importante sottolineare che, ancora una volta, il Rhenanus ha

dimenticato di segnalare al lettore la presenza di un suo nuovo intervento

congetturale.

P. 163 lin. 3 – I, 14, 5 (lin. 29-30) Hypocritam ut apocarteresi R2 :

Hypocrita muta porcartere si R1

La lezione tramandata in γ, e da lì confluita in R1, non doveva aver convinto per

nulla il Rhenanus, il quale aveva già ammesso, in una nota marginale dell’editio

princeps, di aver ragionato molto sul passo in questione. Suggerisce infatti di

leggere muta apocartaresi al posto dell’emblematico muta porcartere: il termine

consigliato – spiega – sarebbe l’errata traslitterazione del verbo greco

αποκαρταρειν, che, tra gli altri significati indicati dall’autore della Suda,

indicherebbe l’azione di “morire per digiuno”. Nella seconda edizione il nostro

filologo giunge a mettere in dubbio, post multas coniecturas, anche il termine

muta: preferisce aggiungere un ut prima dell’ormai appurato apocartaresi e

portare poi all’accusativo il primo termine del periodo (Hypocritam). Sarebbe così

spiegata l’origine della lezione errata: il copista dell’Hirsaugiensis (o addirittura

qualcuno prima di lui), leggendo male la sequenza Hypocritam ut apocartaresi, o

non comprendendone il senso, avrebbe preferito separare la m di Hypocritam,

unirla ad ut ed alla a di aporcartaresi (=muta) e considerare indipendente la

terminazione si dello stesso apocartaresi (praticamente da HypocritaM UT

ApocartareSI si sarebbe passati a leggere Hypocrita MUTA porcartere SI). La

pregevolezza di questa congettura mostra la grande capacità filologica del nostro

55

editore. Il Braun23

preferisce non segnare in apparato l’esistenza della variante

Hypocritam, presente unicamente in R2 (in R3 Rhenanus tornerà a scrivere

Hypocrita).24

P. 163 lin. 22 – I, 15, 3 (lin. 23) aliquis R2 : aliqui R1

Come abbiamo già visto25

, il Rhenanus aveva segnalato nelle sue annotationes la

frequente presenza di questo fenomeno nei testi di Tertulliano. In questa

situazione il nostro editore sceglie la versione che sarebbe più corretta dal punto

di vista della grammatica normativa (aliquis), senza neppure segnalare la modifica

rispetto al testo della sua prima edizione. Nei margini dell’editio princeps

compariva invece la nota aliqui pro aliquis. Anche in questo caso il Braun26

tace.

P. 172 lin. 37 – I, 25, 4 (lin. 4) curabit R2 : curavit R1

Il cambio di un’unica consonante determina tuttavia la modifica del tempo

verbale. Sapendo che M e γ tramandavano concordemente la versione poi

accettata in R1, siamo legittimati a supporre che in R2 il filologo di Sélestat sia

intervenuto tramite divinatio. Osservando il contesto, l’uso del futuro sembra

effettivamente più probabile: in questo modo si creerebbe una costruzione

speculare nelle due proposizioni interrogative quasi adiacenti (Quis volet quod

non concupiscet? […] Quis enim volet quid et concupiscet, et non curabis?).

P. 172 lin. 37 – I, 25, 6 (lin. 38-39) liberaturus: eum R2 : liberaturus, cum

R1

La lezione contenuta in R2 è tramandata in tutta la tradizione manoscritta. Sorge

spontanea una domanda: come può il Rhenanus tornare alla lezione contenuta in

H, scartando invece quella precedentemente scelta nell’editio princeps? Ancora

23 R. Braun, op. cit., p. 166. 24 È invece normale non trovare alcuna indicazione nell’edizione del Kroymann, in quanto egli non

tenne minimamente conto del testo di R2 per la realizzazione del suo lavoro critico. 25 Cfr. supra, cap. 3, par. 2, p. 45. 26 R. Braun, op. cit., p. 170.

56

una volta bisognerà ipotizzare o che il nostro editore abbia congetturato il testo di

R1, fornendo casualmente la stessa lezione di H, oppure che egli avesse ancora a

disposizione il testo dell’antico codice manoscritto.

P. 172 lin. 24 – I, 27, 5 (lin. 32) circi furentis R2 : circumfurentis R1

Anche in questo caso, nell’edizione del Braun non troviamo alcuna segnalazione

che ci informi sulla presenza di due varianti.27

Dall’apparato critico fornito

precedentemente dal Kroymann28

, apprendiamo tuttavia che la lezione di R1 si

differenzia da quella contenuta in F soltanto per una minima questione di spazi

(circum furentis in F e circumfurentis in R1). Pur non conoscendo il testo di X,

siamo autorizzati a credere che la lezione di H fosse del tutto simile a quella di R1

o di F: il Rhenanus, nella sua seconda edizione, avrebbe riconosciuto l’errore

precedentemente accettato ed avrebbe così fornito una nuova lezione, molto più

plausibile. Il probabile intervento congetturale non viene però in alcun modo

segnalato al lettore.

La lunga lista di esempi appena fornita, ci permette di far luce su alcune

caratteristiche del lavoro emendatorio realizzato dal Rhenanus in questa sua

seconda edizione di Tertulliano. Per prima cosa sentiamo la necessità di

sottolineare come il nostro editore, ancora una volta, non si mantenga strettamente

fedele alle originali intenzioni: come sappiamo, il filologo umanista aveva

espresso più di una volta la volontà di commentare o segnalare ogni suo

intervento nel testo, in modo da lasciare libertà di giudizio al lettore. Da quanto

abbiamo potuto vedere, questa volontà non è stata pienamente rispettata: si

segnalano infatti molti casi in cui il Rhenanus sfugge a queste sue dichiarazioni,

inserendo tacitamente alcune modifiche. Inoltre questi cambiamenti si dimostrano

in alcune situazioni intenzionali, vale a dire delle vere e proprie congetture ideate

27 Ivi., p. 232. 28 Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, cit., p. 471.

57

dall’editore, delle quali molte sono per altro di gran valore; in altri casi

l’ambiguità dell’intervento induce a pensare ad un errore di stampa. Prima di

passare all’analisi ed alla trattazione delle note marginali, è bene concludere con

la ripetizione di una domanda alla quale non siamo riusciti a dare una risposta

certa: il Rhenanus, per questa sua seconda edizione, aveva ancora a disposizione il

testo dell’Hirsaugiensis deperditus? Seppur alcuni passi sembrano confermare

questa ipotesi, pensiamo di non poter esprimere un giudizio definitivo sulla base

del solo primo libro dell’Adversus Marcionem.

In uno studio basato unicamente sull’Adversus Hermogenem29

, F. Chapot ha

dimostrato che, fra le tre edizioni di Tertulliano curate dal Rhenanus, la seconda è

quella che contiene il più alto numero di note marginali. Nel nostro caso,

considerando soltanto il primo libro dell’Adversus Marcionem, basta sfogliare

velocemente il testo per rendersi conto quanto sia più ampio, rispetto alla prima

edizione, il complesso delle annotazioni marginali: per l’esattezza abbiamo

contato trentotto note contenute in R1 e almeno settantotto presenti in R2 (salgono

invece a ottantanove quelle appartenenti ad R3). Di queste settantotto note,

soltanto ventinove sono utilizzate dall’editore per indicare una variante o

comunque un problema relativo alla critica del testo30

; le altre, che sono quindi in

netta maggioranza, tendono principalmente ad attrarre l’attenzione del lettore su

un concetto importante, a chiarire il significato di una parola o di un’intera frase,

ad indicare la presenza di un detto proverbiale e, in definitiva, a fornire il maggior

numero di notizie utili a migliorare la comprensione del testo. In effetti, i dati di

questa statistica ben testimoniano il grande sforzo compiuto dal Rhenanus nel

rendere più chiaro un testo veramente molto arduo, reso faticoso non solo dalle

numerose corruttele, ma anche dall’artificiosità tipica dello stile di Tertulliano.

Tuttavia, per meglio valutare la qualità del lavoro strettamente filologico del

nostro editore, sarà bene soffermarsi principalmente su quelle note che

29 F. Chapot, Dans l’officine d’un philologue. Beatus Rhenanus éditeur de l’Adu. Hermogenem de

Tertullien (Bâle 1521, 1528, 1529), “Beatus Rhenanus (1485-1547). Lecteur et editeur des textes

anciens“ (2000), pp. 263-283, p. 266. 30 Quindici sono invece quelle contenute in R1.

58

contengono indicazioni relative alla critica testuale. Nel proporre una selezione di

queste ventotto annotazioni, preferiamo concentrarci su quelle che sono state

inserite ex novo, evitando quindi di riprendere quelle già presenti nei fogli

dell’editio princeps31

o le altre precedentemente esposte nelle annotationes

iniziali:

p. 153 mg. lin. 2 – I, 1, 3 (lin.25) livens humus coni. R2 : libens, unus R2

Nel testo della seconda edizione troviamo dapprima il termine libens, che va

ricollegato al precedente raggruppamento sol nunquam; poi l’aggettivo numerale

unus, che è invece da unire al successivo aër. Il Rhenanus, non convinto, ipotizza

una diversa costruzione: ritiene di poter considerare indipendente il gruppo sol

nunquam e propone di leggere livens humus (= terra scura) al posto del precedente

libens, unus (tra l’altro tramandato in maniera concorde dall’intera tradizione

manoscritta). Giustifica questa ipotesi ricordando che Virgilio aveva utilizzato

nell’Eneide (6, 320) la forma vada livida (= onde oscure). Nel testo della sua terza

edizione il nostro editore riproporrà la lezione libens, unus.

P. 153 mg. lin. 17 – I, 1, 6 (lin. 45) fort. illi R2 : illis R2

Tutti i manoscritti in nostro possesso conservano la lezione illis ed anche il

Rhenanus la pone nel testo dei suoi tre lavori su Tertulliano. Tuttavia la lezione è

evidentemente corrotta: nel contesto in cui è situata essa si riferisce

necessariamente al termine discipuli, ma come poteva Marcione avere dei propri

discepoli prima della sua rottura con la Chiesa? Il Rhenanus deve aver pensato ciò

nel consigliare al lettore la versione illi (mentre in R3 torna a scrivere illis volendo

probabilmente rispettare l’autorità del codex Gorziensis). Anche il Braun, e per le

stesse ragioni, preferisce questa stessa variante32

.

31 Riguardo a queste annotazioni abbiamo già fatto un accenno (cfr. cap. 3, p.46). 32 R. Braun, op. cit., p. 105, 252.

59

P. 153 mg. lin. 26 – I, 2, 1 (lin. 1) fort. Ponticus Marcion coni. R2 : Duos

Ponticos R2

Nel margine di R2 Rhenanus propone correttamente la lezione Ponticus: il

termine, precedentemente presentato all’accusativo e ricollegato ai duos deos,

svolge ora la funzione di soggetto. “Colui che proviene dal Ponto” è un chiaro

riferimento a Marcione, tuttavia l’inserimento del sostantivo Marcion, proposto

anch’esso dal nostro editore, sembra essere eccessivo: in R3 accetterà infatti la

semplice formula Duos Ponticus (in seguito accolta tanto dal Kroymann33

, quanto

dal Braun34

).

P 154 mg. lin. 3 – I, 2, 3 (lin.22) forte acore coni. R2 : acrore R2

Dalle note critiche contenute nell’edizione del Braun35

, apprendiamo che il

termine acror è una voce tipica del linguaggio popolare, usata in sostituzione di

acor. Nel contesto familiare in cui il termine è utilizzato, Tertulliano potrebbe

aver preferito questa versione quotidiana per aumentare il sarcasmo

dell’immagine (“con quel poco di lievito così ricavato fece andar a male con

l’acido dell’eresia tutta la massa della fede”). Rhenanus, magari ignorando

quest’uso popolare, suggeriva di riportare la parola nella sua forma più

tradizionale (e in R3 troveremo proprio questa versione).

P. 158 mg. lin. 2 – I, 8, 1 (lin. 4) fort. mox ob vanam coni. R2 : mox vanam

R2

A nostro giudizio il Rhenanus ha colto pienamente il senso della frase, che sembra

voler dire: “i fanciulli, a causa della loro vanagloria, saranno picchiati dal vecchio

pedagogo”. Dal punto di vista grammaticale sarebbe quindi corretto inserire la

preposizione ob che, retta dall’accusativo, introduce il complemento di causa

33 Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, cit., p. 442. 34 R. Braun, op. cit., p. 106, 252. 35 ivi, p. 108.

60

esterna. La concorde trasmissione in tutta la tradizione manoscritta della versione

priva di questa preposizione deve aver convinto il Rhenanus a mantenere, in tutte

le tre edizioni, la stessa forma.

P. 158 mg. lin. 10 – I, 8, 2 (lin. 15) fort. quin coni. R2 : quia R2

Non comprendiamo su quale base il Rhenanus ritenga necessario compiere questo

intervento, dal momento che la tradizione manoscritta conserva esclusivamente la

lezione quia, la quale, per giunta, non entra in conflitto con il senso della frase.

P. 162 mg. lin. 17 – I, 13, 5 (lin. 40) leones inire coni. R2 : leones mire R2

Il filologo di Sélestat, appellandosi alla sua vasta erudizione, elabora una

congettura davvero lodevole, che però verrà inficiata a partire da R3 (determinante

sarà l’apporto del Gorziensis). Ritenendo depravata la lezione che aveva ricopiato

dall’Hirsaugiensis, il Rhenanus sostiene, in questa sua seconda edizione, che sia

preferibile leggere leones inire: intendeva con questo far riferimento alla dea

Cibele, Magna Mater, la quale spesso, nei racconti dei poeti, veniva rappresentata

seduta su di un carro trasportato proprio da leoni. Il Braun non ha segnalato questa

variante.

P. 168 mg. lin. 21 – I, 22, 1 (lin.1) fort. evertetur coni. R2 : eventetur R2

La forma eventetur deve essere stata considerata errata dal Rhenanus: la proposta

avanzata nel margine di R2 sarà accettata poi nel testo di R3. Effettivamente la

sostituzione con evertetur sarebbe accettabile sia considerando il senso del

periodo, sia dal punto di vista filologico: basterebbe infatti aver errato durante la

lettura, confondendo una r per una n. Quello che è difficile ammettere è che tanto

M, quanto γ, indipendenti gli uni dagli altri, siano caduti contemporaneamente

nello stesso errore. Il Braun36

potrebbe aver risolto il problema: egli sostiene che

eventare sia un verbo piuttosto raro che dovrebbe significare “ridurre in vapore”

36 ivi., p. 200, 274.

61

(vaporando minuere); in questo caso il suo impiego potrebbe essere giustificato

con un richiamo satirico all’immagine dell’aura canicularis precedentemente

evocata (I, 19, 2).

P. 169 mg. lin 5 – I, 22, 6 (lin.42) forte quae se ita coni. R2 : quae si ita R2

Nel testo di R1 e poi di R2 troviamo la particella ipotetica si, che conferisce al

periodo un valore ipotetico. Nella seconda edizione, il Rhenanus suggerisce però

di sostituire si con il pronome riflessivo se. Questa soluzione entrerà poi nel testo

di R3. Purtroppo né il Kroymann, né il Braun hanno segnalato questa modifica

nelle loro edizioni.

P. 175 mg. lin. 20 – I, 28, 4 (lin. 33) fort. rependens coni. R2 : reprehendens

R2

In questo passo Rhenanus non è convinto della correttezza del participio

reprehendens. Progetta pertanto una lungimirante congettura: il termine

reprehendens potrebbe essersi corrotto a partire da rependens. Questa ipotesi,

avanzata in un primo momento per migliorare il senso del discorso, si è dimostrata

poi molto attendibile, essendo venuta a coincidere con la lezione trasmessa dal

Montepessulanus, il codice sicuramente più autorevole. Non è un caso se il

Rhenanus introdurrà nel testo della sua terza edizione proprio questa variante.

Gli esempi fin qui forniti sono già ampiamente sufficienti per trarre alcune

conclusioni, relative al ruolo e al valore delle congetture marginali. Due sono gli

aspetti che colpiscono maggiormente: la grande erudizione del nostro editore,

della quale abbiamo assaporato soltanto alcuni assaggi, e la sua formidabile

capacità critica. Certo, non tutte le alternative proposte dal Rhenanus in questa sua

seconda edizione saranno confermate nel corso del tempo, ma la grande

attenzione con cui ha lavorato sul testo gli ha impedito di teorizzare congetture

che non fossero in qualche modo giustificabili. Il solo fatto che molti di questi

62

interventi ope ingenii confluiranno addirittura nel testo di R3, dimostra

l’eccezionale perizia raggiunta nel campo filologico dall’umanista di Sélestat.

Da un’analisi più generale, risulterà evidente come in questa edizione del

1528, avendo già alle spalle numerosi ed importanti lavori, il Rhenanus si dimostri

ormai un critico pienamente maturo. Il notevole ampliamento del sistema delle

annotazioni riflette il suo ardente desiderio di migliorare il precedente lavoro su

Tertulliano; l’attenzione al testo dei trattati viene incrementata con lo studio più

approfondito delle consuetudini stilistiche e linguistiche dell’autore; l’intervento

congetturale, sempre rispettoso del contesto e della lingua del Cartaginese, diventa

ancora più attendibile. Vi sono però anche degli aspetti negativi che meritano di

essere indagati e che rendono il suo metodo critico ancora piuttosto distante dagli

ideali di totale chiarezza e precisione ansiosamente perseguiti: nonostante nei suoi

discorsi programmatici si faccia ripetutamente appello alla necessità di rimanere

fedeli all’autorità conferita ai testimoni manoscritti, egli spesso interviene

arbitrariamente nel testo, decidendo di ignorare la lezione contenuta nel

manoscritto e magari tralasciando persino di segnalare questa nuova introduzione.

Tuttavia, in un tempo in cui la critica testuale era ancora particolarmente

caratterizzata dall’assenza di una precisa normativa alla quale attenersi, il

tentativo effettuato dal Rhenanus di illustrare dettagliatamente qualsiasi intervento

realizzato, doveva risultare un elemento fortemente innovativo.

63

Capitolo quarto

La terza edizione di Tertulliano: un nuovo testimone

In quest’ultimo capitolo si cercherà di offrire una completa analisi della terza

edizione delle opere di Tertulliano, curata nuovamente dal Rhenanus e pubblicata

a Basilea nel 1539. Seguendo uno schema già collaudato, il capitolo si dividerà in

due parti: nella prima sezione, dopo aver presentato le motivazioni che spinsero

l’editore ad intraprendere un nuovo lavoro, viene offerta una breve descrizione

della struttura dell’edizione; nella seconda parte si cerca invece di analizzare il

metodo critico adottato dal Rhenanus, cercando di evidenziarne gli aspetti

positivi, ma anche quelli negativi. Fondamentale, per questa nuova edizione, è

l’apporto di un nuovo testimone che, come vedremo, conteneva alcune lezioni

derivate dal codex Gorziensis.

4.1 La collatio Gorziensis: la base per una nuova pubblicazione

Expectabam avide ex Mediomatrici Gorziensem codicem […] sed frustra1. Nel

presentare la sua seconda edizione, il Rhenanus esprimeva con queste parole tutto

il suo rammarico: ancora una volta non era riuscito infatti a consultare quel

manoscritto, che sapeva conservato nel monastero di Gorze e di cui aveva notizia

ormai da molto tempo. Già nella parte finale della lettera indirizzata al vescovo

Stanislao (1521), manifestava la speranza di poter in futuro visionare alcuni codici

contenenti le opere di Tertulliano e dispersi in diverse località d’Europa: fra

questi, per l’appunto, anche la copia exemplaris, quod in Gorziensi coenobio

servatur, id abest ad tertium miliarium ab urbe Mediomatricum2.

Dopo alcuni anni d’attesa, nel 1527 sembrava essersi finalmente presentata la

giusta occasione: il tipografo Froben era entrato in contatto con il giurista e

umanista Claudius Cantiuncula (Claude Chansonette), al quale aveva chiesto una

1 Cfr. supra, cap. 3, p. 40; Opera Tertulliani (1528), p. 403, Adversus Valentinianos. 2 A. Horawitz, K. Hartfelder, Briefwechsel des Beatus Rhenanus, Reihneim 1966 [1886], p. 288.

64

copia o una collazione del codex Gorziensis.3 Sembra che Chansonette iniziò

presto a lavorare su questo progetto ma, per un motivo che ancora ignoriamo, non

riuscì a completarlo in tempo per la realizzazione dell’edizione del 1528. Non

sappiamo in quale data il filologo di Sélestat ebbe a disposizione i risultati del

lavoro di Chansonette, quello che è certo è che l’attesa, seppur molto lunga, venne

ampiamente ripagata: nel marzo del 1539 il Rhenanus si vedeva infatti costretto a

pubblicare una nuova edizione delle opere di Tertulliano. Dopo quasi venti anni le

sue preghiere erano state finalmente esaudite: come aveva giustamente previsto, la

consultazione di un nuovo testimone rese possibile l’aggiunta di numerosi

interventi e il raggiungimento di indubitabili miglioramenti.

Ancora una volta il Rhenanus affida alla lettera prefatoria (molto breve in

questa edizione) la funzione di svelare le cause e di illustrare gli eventi che hanno

reso possibile la realizzazione del suo nuovo sforzo emendatorio, nonché le

modifiche e i risultati conseguiti. Scopriamo così che egli aveva ottenuto soltanto

una collazione del codex Gorziensis: realizzata dal monaco Hubertus Custineus

con l’aiuto dello stesso Chansonette e di un certo Dominicus Florentinus, essa

venne trascritta su un esemplare dell’edizione a stampa del 1528.4 Il filologo

umanista ammette poi che un grande miglioramento si è innegabilmente ottenuto

con il riconoscimento della tendenza, molto comune in Tertulliano, di latinizzare

non solo parole, ma anche costruzioni ed intere frasi idiomatiche appartenenti alla

lingua greca: il Cartaginese aveva evidentemente letto e consultato l’opera di

molti autori greci, soprattutto cristiani e, tra questi, sicuramente Ireneo. Al termine

della lettera, il Rhenanus ci informa che al momento della stampa non si trovava

personalmente a Basilea e che quindi fu Sigismundus Gelenius, homo magni in

literis iudicii et eruditione summa praeditus, a supervisionare la preparazione

dell’edizione.

3 J. F. D’Amico, Theory and Practice in Renaissance Textual Criticism: Beatus Rhenanus Between

Conjecture and History, Berkeley 1988, p. 136. 4 Di questo manoscritto siamo ancora in possesso: esso è conservato nella Bibliothèque Humaniste

di Sélestat (K 1040). Cfr. P. Petitmengin, Beatus Rhenanus et les manuscrits latin, AABS 35

(1985), pp. 245-247, p. 246.

65

Il materiale contenuto nella collazione proveniente da Gorze permise al

Rhenanus di revisionare il testo dei lavori precedenti, di ampliare e di espandere il

complesso delle annotazioni (tanto di quelle marginali, quanto di quelle premesse

al testo) e di chiarire infine numerosi passi oscuri, che finora erano rimasti sempre

piuttosto ambigui. Ancora una volta viene prestata molta attenzione alla lingua e

all’usus scribendi di Tertulliano: l’elegantia africana, tipica del suo stile, era stata

sempre più studiata ed apprezzata dall’editore umanista nel corso degli anni. Il

Rhenanus è ormai in grado di cogliere e di evidenziare numerose peculiarità

linguistiche caratteristiche del latino del Cartaginese, come la preferenza per un

lessico arcaico, la presenza di idiomi volgari, soprattutto greci. Il filologo

umanista è però consapevole che Tertulliano fu anche un grande innovatore, tanto

dal punto di vista linguistico, quanto nei confronti dei contenuti: anche se la

dipendenza dai primi autori cristiani di lingua greca è piuttosto evidente, egli non

si limitò mai a ricopiare meccanicamente un termine o un concetto, ma, nel

riportarli in latino, ha sempre contribuito a personalizzarne la forma ed il

significato. Se nelle prime due edizioni lo stile di Tertulliano veniva presentato

come oscuro, duro e ostile, ora Rhenanus preferisce parlare di un solennis mos

loquendi5

. Questa miglior conoscenza delle consuetudini linguistiche del

Cartaginese garantì, per riflesso, anche una più ampia consultazione, da parte del

Rhenanus, delle fonti utilizzate dallo stesso autore: diventava così sempre più

approfondito anche lo studio dei costumi del Cristianesimo e della Chiesa delle

origini.

Rinnovata e fortemente migliorata risulta anche la struttura dell’edizione, che

tende, in ogni suo aspetto, a raggiungere una maggior chiarezza ed omogeneità.

Benché sia ribadita la preferenza per le note poste in margine6, il sistema già

sperimentato nella seconda edizione non viene solo riproposto, ma anche

notevolmente rafforzato: ciascun trattato è ora preceduto da un argomentum, cioè

5 Opera Tertulliani (1539) p. 383, Adversus Hermogenes. 6 ivi, p. 380, Adversus Hermogenes: Maluissemus nostras coniecturas in marginibus chartarum

apponere, sed cum longiscule essent, non est visa sufficere exiguitas spatii brevioris.

66

una sorta di breve riassunto dei contenuti, e da una sezione indipendente di

annotationes7, nelle quali l’editore concentra le sue principali segnalazioni al

lettore. Rispetto alle edizioni precedenti, un’altra importante aggiunta è

sicuramente costituita dalla raccolta dei proverbia che più ricorrono nei trattati di

Tertulliano; questa nuova sezione è situata subito dopo la lettera prefatoria8.

Nonostante questi innegabili miglioramenti, permangono ancora diversi aspetti

ambigui, in special modo nei riguardi del metodo critico adottato dal Rhenanus. Si

pensi, ad esempio, all’eccessiva fiducia che pone nei confronti del documento

proveniente da Gorze: si tratta infatti di una semplice collazione e non di un vero

codice manoscritto. Il Rhenanus sembra invece non tener minimamente conto di

questa considerazione, fidandosi infatti ciecamente del lavoro di confronto

realizzato per lui dal monaco Custine e dagli altri suoi collaboratori (mentre non

sarebbe affatto infondato ipotizzare che, almeno in qualche punto, il testo della

loro collazione possa non coincidere con quello effettivo del Gorziensis). 9

Altre considerazioni sul lavoro critico del Rhenanus e sul suo metodo

emendatorio potranno essere tratte soltanto dopo un’attenta lettura dei testi

dell’edizione, analizzando in particolar modo il ruolo dei testimoni manoscritti e

quello attribuito agli interventi congetturali.

4.2 La fine di un lavoro ventennale: le ultime modifiche al primo libro

dell’Adversus Marcionem

Dopo quasi venti anni di ricerche, il Rhenanus aveva finalmente la possibilità

di leggere un nuovo documento che conteneva alcune opere di Tertulliano. Ai

testimoni precedentemente consultati, il Paterniacensis e l’Hirsaugiensis, si

7 Maggiori informazioni verranno fornite nel paragrafo successivo. 8 Opera Tertulliani (1539) p. a * 3 v. 9 Sarà importante notare che il Rhenanus, nel far riferimento al nuovo testimone, si mostra spesso

davvero poco preciso: in alcuni casi parla di lezioni provenienti ex collatione Gorziensis, ex

castigatiuncolis Gorziensis, ex Gorziensibus adnotamentis o ex annotatiuncolis Gorziensibus. In

altre circostanze accenna ad un Gorziense exemplar, ma si tratta di un errore: come sappiamo,

l’editore non aveva a disposizione il testo del manoscritto, ma soltanto una sua collazione.

67

aggiungeva ora la collazione del manoscritto conservato nel monastero di Gorze:

seppur non si trattasse del codice originale, le informazioni in esso contenute

erano comunque sufficienti per giustificare nuovi interventi e svariate modifiche.

Il Rhenanus non poteva certo comprendere a pieno l’enorme importanza di

questa sua nuova acquisizione: inconsapevolmente e per la prima volta aveva

riunito i due rami della collezione Cluniacense. Oggi sappiamo infatti che il codex

Gorziensis, attualmente perduto, faceva parte del ramo α della famiglia originata

dai due volume provenienti da Cluny: si è addirittura propensi a credere che possa

trattarsi di una copia diretta del Montepessulanus, il più autorevole fra tutti i

manoscritti della collezione.10

Tornando al Rhenanus, nel caso dell’Adversus Marcionem, era ormai possibile

fare affidamento su due diverse tipologie di documenti: l’editore aveva da una

parte le sue antiche edizioni (1521, 1528), costruite sulla base del codex

Hirsaugiensis; dall’altra la nuova collatio, fondata sul manoscritto di Gorze.

Basterà leggere il complesso delle annotazioni e analizzare con accortezza il testo,

per rendersi conto quanto ampiamente il Rhenanus abbia utilizzato il materiale

proveniente dal Gorziensis: l’editore corregge alcune vecchie lezioni, integra

diversi passi e ne illustra molti altri sulla base di questo recente documento, la cui

autorità è reputata dunque maggiore rispetto a quella dell’Hirsaugiensis. Questa

scelta, che certo non stupirebbe il moderno editore, è alquanto ingiustificata nel

caso del Rhenanus: come poteva il filologo umanista preferire un manoscritto ad

un altro, non conoscendo affatto la ramificazione della tradizione? Quella che

potrebbe sembrare una sterile e banale argomentazione, si dimostra invece

rivelatrice di un’importante lacuna nel metodo critico del Rhenanus: l’editore

umanista, pur non accontentandosi di un'unica fonte, corregge il testo ricorrendo

in modo acritico e arbitrario ai suoi testimoni. In altre parole, egli non giustifica le

10 Per la collocazione del Gorziensis nel primo ramo della famiglia Cluniacense si veda: J. -C.

Fredouille, Tertullien, Contre les Valentiniens: Tome I, SChr 280, Paris 1980, pp. 56-58; per la

derivazione di G da M si veda anche: F. Chapot, Dans l’officine d’un philologue. Beatus Rhenanus

éditeur de l’Adu. Hermogenem de Tertullien ( Bâle 1521, 1528, 1539), “Beatus Rhenanus (1485-

1547). Lecteur et éditeur des textes anciens” (2000), pp 263-283.

68

motivazioni che lo spingono a scegliere le lezioni di G, rispetto a quelle derivate

da H: questo fatto, che testimonia l’assenza di un metodo sistematico nella fase di

confronto tra le fonti, era più che consueto in ambito filologico, almeno fino

all’introduzione del moderno metodo stemmatico. Se da una parte, con la mente

rivolta al presente, non abbiamo potuto fare a meno di sottolineare questa

mancanza, dall’altra sentiamo dunque il dovere di contestualizzare la vicenda:

sbaglieremmo infatti se volessimo valutare l’operato del Rhenanus alla luce delle

più recenti tecniche filologiche; al contrario, calandoci nel tempo in cui l’umanista

si trovò a lavorare, dovremmo certo convenire di trovarci di fronte ad uno dei più

abili ed innovatori filologi del XVI secolo. Quando incitava i suoi contemporanei

a ricercare incessantemente nuovi fonti nelle varie biblioteche, oppure quando li

invitava a prestare grande attenzione alle lezioni dei manoscritti, in tutti questi

casi stava stabilendo un principio di carattere generale, valido per tutti gli autori e

per tutti i tempi. La critica testuale, come tutte le tecniche umane, ha dovuto

seguire un percorso particolare prima di giungere al suo stato attuale: il rigore di

oggi non sarebbe stato possibile senza il lavoro di questi antichi editori.

Tuttavia, iudicium ed ingenium hanno ancora un ruolo importante nel metodo

del Rhenanus: in più di un’occasione egli preferisce non accettare nessuna delle

varianti tramandate dai manoscritti, proponendo invece alcune soluzioni personali.

Nonostante egli dichiari esplicitamente che sia suo costume maneggiare con

grande scrupolo i testi degli antichi11

, il ricorso a correzioni ottenute per via

congetturale è ancora ampiamente testimoniato. Se in alcuni casi è lo stesso

editore a sottolineare (e poi anche a giustificare) la presenza di una emendatio ope

ingenii, in molte altre situazioni non riusciamo a stabilire se la variante segnalata

nelle annotazioni alluda alla lezione contenuta nella collazione del Gorziensis, o

se invece debba essere considerata frutto di una ricostruzione arbitraria. In queste

circostanze neanche la consultazione di M potrà venire in nostro aiuto: essendo

11 Opera Tertulliani (1539), p. 439, Adversus Valentinanos: Scio religiose versandum esse in

monimentis veterum autorum nec temere aut statim inutandum [sic] quod non intelligas, et hic

meus est mos.

69

perduto il testo di G, potremmo avanzare soltanto delle ipotesi. Nei casi in cui la

lezione di R3 coincide con quella di M, si potrebbe pensare, ad esempio, che essa

sia entrata nel testo perché già contenuta nella collazione del Gorziensis. Così

facendo ci addentreremmo però in un campo puramente teorico, perché la

coincidenza potrebbe avere un’origine casuale12

e sarà bene, dunque, procedere

cautamente per questa via. Rimane un’unica certezza: il testo di G, fatta eccezione

per le lezioni entrate in R3 e segnalate dal Rhenanus 13

, è ormai irrimediabilmente

perduto.

Tutte queste considerazioni possono essere dedotte semplicemente leggendo

con attenzione le annotationes premesse al testo dei vari trattati, vale a dire quegli

spazi nei quali l’editore concentra principalmente le sue segnalazioni al lettore. In

queste sezioni il Rhenanus presenta le varianti trasmesse dalle fonti, ma anche le

sue personali congetture; fornisce vari elementi utili per chiarire passi, allusioni o

concetti piuttosto oscuri e di difficile comprensione; giustifica le modifiche e le

aggiunte che si è visto costretto ad inserire; segnala, infine, quelle particolarità

linguistiche e stilistiche che si incontrano nel testo. Per riflesso, appare molto

ridimensionato il ruolo delle note marginali, seppure il loro numero sia

tendenzialmente ancora molto alto. Nel caso del primo libro dell’Adversus

Marcionem, su un totale di ottantanove annotazioni marginali14

, soltanto due

hanno carattere filologico (p. 172 mg. lin. 16; p. 175 mg. lin. 20); tutte le altre

svolgono invece la semplice funzione di richiamare l’attenzione del lettore su

alcuni aspetti particolari, i quali, nella maggior parte dei casi, sono stati

precedentemente trattati proprio nella sezione dedicata esclusivamente a contenere

i commenti critici dell’editore.

Presentiamo ora una serie di lezioni che, per differenti motivazioni, sono state

discusse all’interno delle annotationes premesse al testo del primo libro

12 Il Rhenanus, congetturando, potrebbe aver scelto una lezione casualmente identica a quella

contenuta in M. 13 Anche questo caso è, in realtà, tutto da verificare. Ricordiamo infatti che il Rhenanus non ha

accesso diretto al testo del Gorziensis, ma lo conosce solo per mezzo di una collazione di cui non

ha potuto valutare l’effettiva correttezza. 14 Contro le settantotto della seconda edizione e le trentotto della prima.

70

dell’Adversus Marcionem15

: soltanto in questo modo, fornendo cioè degli esempi

concreti, potremo confermare quanto finora detto sul metodo critico adottato dal

Rhenanus in questa terza edizione di Tertulliano:16

p. 164 lin. 10 – I, 1, 3 (lin. 12) natura R3 : om. R1 R2

Il termine natura viene inserito per la prima volta nella terza edizione, ex

Gorziensibus adnotamentis. Il Braun preferisce non annotare la questione nel suo

apparato critico17

, mentre Kroymann18

segnalava che l’omissione era presente

soltanto in R1 (non teneva infatti conto del testo di R2). Se questo fosse

confermato, come si potrebbe giustificare il fatto? Il Rhenanus, nelle prime due

edizioni, aveva omesso volontariamente il termine o si era trattato di un semplice

errore di stampa?

P. 165 lin. 19 – I, 1, 5 (lin. 38) barbariae coni. R2 unde R3 : barbariei M

R1 R2

Come aveva già suggerito nelle annotazioni della seconda edizione19

, l’editore

propone di leggere barbariae al posto della lezione barbariei, presente in R1 e in

R2. Sostiene questa scelta affermando che poco prima (I, 1, 3 lin. 15) Tertulliano

aveva utilizzato lo stesso termine, nella stessa identica forma. È interessante

notare che la lezione contenuta nelle prime due edizioni è testimoniata anche in

M: qual’era, dunque, il testo di G? Se fosse stato uguale a quello di M (e quindi a

quello di R1 R2), allora il Rhenanus avrebbe ora introdotto una sua congettura (tra

l’altro già testimoniata in R2); nell’altro caso, con G diverso da M, saremmo nel

15 Opera Tertulliani (1539), pp. 161-164. 16 Tutti i richiami al testo che sono forniti di seguito fanno riferimento alla posizione che occupa il

passo in questione nel testo della terza edizione del Rhenanus ed in quello della recente

pubblicazione del Braun (R. Braun, Tertullien, Contre Marcion: Tome I (livre I), SChr 365, Paris

1990; i commenti dell’editore, come già annunciato (cfr. nota 16), sono concentrati nella sezione

delle annotationes che precede il primo libro dell’Adversus Marcionem. 17 R. Braun, op. cit., p. 100. 18 Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, C.C.S.L., vol. 1 (1954), p. 441. 19 Cfr. supra, cap 3, p. 45.

71

campo delle infinite possibilità. La nostra opinione è che siamo di fronte ad un

caso di emendatio ope ingenii.

P. 167 lin. 25 – I, 4, 5 (lin. 26) si minutalibus M G R3 : si in minutalibus

R1 R2

L’editore dichiara chiaramente di aver eliminato la preposizione in, non essendo

infatti presente nel testo della collazione del Gorziensis. Questa scelta ci permette

di capire che il Rhenanus ha attributo alla sua nuova fonte una maggiore autorità,

senza giustificare tuttavia questa disparità di giudizio.

P. 168 lin. 3-4 – I, 5, 2 (lin. 10) post M G R3 : potest R1 R2 γ

Si tratta di un caso da segnalare, poiché, nel motivare la scelta, l’editore scrive:

reposuimus ex Gorziensi. La terminologia utilizzata è piuttosto ambigua:

sappiamo infatti che egli consultò soltanto una collazione del Gorziensis, non il

manoscritto stesso, come invece verrebbe da pensare leggendo queste parole.

P. 169 lin. 6 – I, 6, 4 (lin. 32) es M R3 : est R1 R2

L‘editore sostiene di aver preferito (malim) la forma es al posto della lezione est

precedentemente accettata. È una spiegazione poco chiara: ha desunto la nuova

lezione dalla collazione di G, oppure è il risultato di una sua valida congettura?

P. 169 lin. 8 – I, 7, 1 (lin. 2) passiuo R

Si tratta di una nota puramente informativa. Viene ribadito quanto già affermato

nella seconda edizione: il termine passiuum, utilizzato con l’accezione di

“comune” o “promiscuo”, sarebbe derivato dall’avverbio passim.20

P. 169 lin. 29 – I, 7, 5 (lin. 30) quia R3 : quia qui M γ R1 R2

20 Ibid.

72

A proposito di questo passo il Rhenanus scrive: qui videtur supervacaneum, senza

offrire ulteriori spiegazioni. Essendo tanto γ, quanto M concordi, saremmo portati

a credere che si possa trattare di una emendatio ope ingenii, la quale, tra l’altro, è

stata accettata dalla maggior parte degli editori moderni (Kroymann 1954,

Moreschini 1971, Evans 1972, Braun 1990).

P 170 lin. 4 – I, 8, 1 (lin. 4) vanam gloriam R

Sebbene abbia conservato in tutte le tre edizioni la stessa lezione, il Rhenanus, nel

suo secondo lavoro, aveva espresso un dubbio: nella annotazioni marginali aveva

infatti proposto la variante ob vanam gloriam. Nella terza edizione, avendo

probabilmente notato che anche la collazione fondata sul Gorziensis non

segnalava la presenza della preposizione ob, deve essersi arreso all’autorità delle

sue fonti. In compenso dichiara che, in questa espressione, è da considerare

sottointeso il termine secundum.

P. 171 lin. 39 – I, 10, 3 (lin. 18) Iudeorum enim deum, dicunt animae deum

M G R3 : om. γ R1 R2

Nel motivare l’aggiunta di questo periodo, il filologo umanista scrive: ex

Gorziensi (ecco un’altra occasione nella quale il Rhenanus confonde la collazione

del Gorziensis, alla quale aveva accesso, con il Gorziensis stesso, che non riuscì

mai a consultare). La frase in questione doveva essere sfuggita per qualche motivo

al copista dell’Hirsaugiensis, non essendo presente né in γ, né nell’editio

princeps.

P. 172 lin. 3 – I, 10, 4 (lin. 23) intellegetur coni. R2 unde R3 : -gitur M γ

R1 R2

Rhenanus preferisce inserire nel testo di R3 la congettura suggerita già nel

margine di R2. La concordanza di M con γ ci induce a credere che anche G

73

contenesse la lezione intellegitur: l’editore avrebbe dunque agito arbitrariamente,

scavalcando l’autorità dei suoi testimoni.

P. 174 lin. 16 – I, 13, 5 (lin. 40) leones Mithrae R3 : leones inire coni. R2

leones mire R1 leones Mitrae M

Nella seconda edizione il Rhenanus aveva pensato di correggere mire con inire,

facendo riferimento all’immagine con la quale veniva spesso rappresentata la dea

Cibele.21

Il testo della nuova testimonianza desunta dal Gorziensis lo induce ora a

rinunciare alla sua antica congettura e a modificare quindi mire in Mithrae. In

questo caso, la grande erudizione dell’editore lo aveva condotto fuori strada.

P. 174 lin. 20 – I, 13, 5 (lin. 45) tetraonis R2 R3 : tetra pauonis M γ R1

Come abbiamo già accennato22

, la problematica lezione tetra pauonis era

conservata in ambedue i rami della collezione di Cluny. Con buona probabilità, il

Rhenanus lesse proprio questa forma nella collazione del Gorziensis: in questo

caso preferì tuttavia dare fiducia alla lezione che aveva già inserito in R2 e che

aveva ottenuto tramite divinatio. Pur opponendosi all’autorità delle fonti, è

comunque riuscito a fornire una variante che è indubbiamente da preferire.

P. 178 lin. 11 – I, 19, 4 (lin. 29) evangelii R3 : om. R1 R2

Dal momento che Braun23

non riporta alcuna notizia in apparato, ci affidiamo

all’edizione del Kroymann24

. Purtroppo, in questo caso, non ci viene offerta

nessuna informazione relativa alla tradizione manoscritta. Nelle annotationes

della terza edizione, il Rhenanus sostiene che il termine evangelii sia stato inserito

ex Gorziensi (ancora un altro esempio di ambiguità terminologica). Sarebbe

21 Cfr. supra, cap 3, p. 55. 22 Cfr. supra, cap 3, p. 48. 23 R. Braun, op. cit., p. 188. 24 Q. S. F. Tertulliani, Opera, ex recensione Ae. Kroymann, cit., p 460.

74

interessante verificare se l’omissione di questa lezione derivi dall’Hirsaugiensis o

se invece sia comparsa per la prima volta nell’editio princeps.

P. 181 lin. 10 – I, 22, 8 (lin. 51) proficiunt M γ coni. R3 : prosiliunt R

prosiliant coni. R3

Nel testo della terza edizione troviamo la stessa lezione presente in R1 e in R2: et

exinde prosiliunt delicta25

. Nelle annotationes l’editore aveva invece suggerito

due varianti: Et exinde prosiliant delicta. Alias proficiunt. La prima proposta

sembra essere ideata sulla base della lezione inserita coerentemente in tutte le tre

edizioni; la seconda merita invece di essere maggiormente analizzata. Che cosa

intende il Rhenanus con il termine alias? Si tratta di un’altra sua congettura o

vuole invece segnalare che quella particolare lezione era presente nelle sue fonti?

Effettivamente, osservando che tanto M, quanto γ contengono proficiunt, siamo

spinti ad ipotizzare che il Rhenanus abbia letto questa lezione già

nell’Hirsaugiensis, ma che non ne sia rimasto così convinto, fino al punto di non

inserirla mai nel testo delle sue edizioni, neanche quando l’avrebbe ritrovata nella

collazione del Gorziensis. Questa teoria, seppur probabile, non può tuttavia essere

dimostrata.

P. 182 lin. 24 – I, 23, 9 (lin. 59) An putem R3 : Non putem R1 R2

Nelle annotationes l’editore scrive At putem: si tratta probabilmente di un

semplice errore di stampa, infatti nel testo della terza edizione troviamo An putem.

In ogni caso, il Rhenanus ha modificato la vecchia lezione (Non putem) presente

in R1 e in R2. Su quale base ha compiuto questo cambiamento? Pensiamo che si

possa trattare di un superfluo intervento congetturale: la negazione non, presente

nella lezione originaria, non crea infatti alcun contrasto col senso del periodo.

25 Cfr. supra, cap. 2, p. 30.

75

P. 184 lin. 37 – I, 25, 4 (lin. 27) Quis volet quod non concupiscet? γ R1 R2

: om. M G R3

Il Rhenanus spiega chiaramente che l’intero periodo non era presente nella

collazione del Gorziensis: per questo motivo lo espunge dal testo della sua terza

edizione. Ma commette un errore: su quale base conferisce maggiore autorità al

suo nuovo testimone? In questa situazione si manifesta chiaramente la divisione in

due rami della collezione Cluniacense.

P. 185 lin. 36 – I, 27, 3 (lin. 16) prae se ferunt M R3 : se praeferunt γ R1 R2

Riferendosi alla lezione se praeferunt contenuta in R1 R2, l’editore commenta:

castigavimus, atque adeo prae se ferunt Marcionitae. Ci informa quindi che nella

sua terza edizione ha effettuato una correzione, portando la vecchia lezione ad una

nuova forma: quello che non spiega è su quale base abbia effettuato tale modifica.

Si tratta di una emendatio ope ingenii o di una emendatio ope codicum?

Per quanto approfondita, l’analisi delle annotazioni inserite dall’editore non

sarà sufficiente per uno studio completo dell’edizione del 1539. Tuttavia,

un’attenta lettura del testo dei vari trattati, unita ad un serrato confronto con le

lezioni contenute nelle due precedenti edizioni, permetterà di esprimere ulteriori

considerazioni, non solo a riguardo del metodo critico adottato dal Rhenanus in

questa terza pubblicazione, ma anche, ad un livello più generale, del suo intero

lavoro filologico sulle opere di Tertulliano: uno sforzo che si protrasse per quasi

un ventennio.

Le lezioni contenute nella terza edizione, almeno per quanto riguarda il primo

libro dell’Adversus Marcionem, possono essere suddivise in tre categorie: quelle

che hanno mantenuto la stessa forma in tutte le tre edizioni; quelle che derivano

dalle congetture elaborate in R2 e, per ultime, quelle che si incontrano per la prima

volta proprio in R3. Sarà bene analizzare separatamente queste diverse situazioni.

76

Riguardo a quelle lezioni che mantengono la stessa forma in tutte le tre

edizioni, abbiamo ben poco da dire. Le uniche degne di nota sono quelle per le

quali il Rhenanus, nella sua seconda edizione, aveva proposto un’alternativa, che

però non fu accettata nella terza. Di queste lezioni, abbiamo trovato soltanto

quattro esempi, che elenchiamo di seguito:

p. 165 lin. 10 – I, 1, 3 (lin. 25) livens humus coni. R2 : libens, unus R θ;

p. 165 lin. 25 – I, 1, 6 (lin. 45) illi coni. R2 : illis R θ;

p. 170 lin. 12 – I, 8, 2 (lin. 15) quin et illum coni. R2 : quia et illum R;

p. 177 lin. 37 – I, 19, 2 (lin. 10) Marcionis insalutaris coni. R2 : salutaris

Marcionis R θ

Cerchiamo di fornire una possibile spiegazione: nell’editio princeps il Rhenanus

avrebbe semplicemente trascritto la lezione che leggeva nell’Hirsaugiensis.

Questa sarebbe stata poi riconfermata nel testo della seconda edizione, nella

quale, però, compariva anche una soluzione alternativa. Nell’ultima edizione

l’editore abbandona l’idea di un intervento congetturale e ripropone

definitivamente la vecchia lezione: la conferma era forse giunta dal confronto con

la collazione del Gorziensis?

Alcune delle numerose congetture elaborate in R226

sono entrate

direttamente nel testo di R3: in tutti questi casi sembra che l’editore abbia

compiuto una scelta arbitraria, preferendo cioè una propria ricostruzione alle

lezioni testimoniate dalle fonti. Infatti, negli esempi che andiamo ad elencare, non

accade mai di trovare M in accordo con R327

:

26 Tanto quelle inserite negli spazi marginali, quanto quelle che invece erano entrate tacitamente

nel testo. Cfr. supra, cap. 3. 27 Come già espresso nelle pp. 64-65, questo procedimento non ci permette di stabilire la reale

lezione del Gorziensis; tuttavia, avanzando per ipotesi, ci sembra più probabile supporre che

questa fosse più vicina alla lezione del Montepessulanus, piuttosto che alla congettura elaborata

successivamente dal Rhenanus.

77

p. 166 lin. 10 – I, 2, 3 (lin. 22) acrore coni. R2 unde R3 : acore R1 M; p. 167 lin.

40 – I, 5, 1 (lin. 5) Bythum et Sigen R2 R3 : Bythium et Sigeneum R1 M γ; p. 171

lin. 12 – I, 9, 7 (lin. 45-46) Sin de certis R2 R3 : Si non de certis R1 M γ; p. 174 lin.

13 – I, 13, 5 (lin. 37) Osirin R2 R3 : Osiris R1 ostris M; p. 177 lin. 39 – I, 19, 2

(lin. 12) aura canicularis coni. R1 coni. R2 unde R3 : aula canicularis R1 R2 M γ;

p. 180 lin. 13 – I, 22, 1 (lin. 1) evertetur coni. R2 unde R3 : eventetur R1 R2 M γ; p.

184 lin. 18 – I, 25, 4 (lin. 29) curabit R2 R3 : curavit R1 M γ; p. 186 lin. 23 – I, 28,

1 (lin. 5) sulphuratiorem coni. R2 unde R3 : sulphurationem R1 R2 M γ.

Fra le numerose lezioni che compaiono per la prima volta in R3, soltanto

alcune sono state discusse dall’editore all’interno delle annotationes; molte altre

non sono state invece minimamente segnalate: un difetto che possiamo definire

quindi costante nel metodo critico del Rhenanus28

. Su queste lezioni tacitamente

modificate possiamo fare poche riflessioni: non conoscendo infatti il testo di G,

non siamo in grado di stabilire se questi cambiamenti siano dovuti a decisioni

arbitrarie dell’editore, o se invece siano entrati nel testo proprio perché contenuti

nella collatio Gorziensis. L’unica possibilità, che come sappiamo non garantisce

alcuna certezza, consiste nel confrontare il testo di M con quello di R329

: se

coincidono, siamo spinti ad ipotizzare una mediazione del Gorziensis; se invece

differiscono, pensiamo che il Rhenanus abbia introdotto una nuova congettura.

Elenchiamo alcuni di questi casi:

p. 165 lin. 5 – I, 1, 3 (lin. 18) indicibus R3 : ut indicibus notentur R1 R2 M γ; p.

165 lin. 5 – I, 1, 3 (lin. 19) ne temere quis R3 : ne quis R1 R2 ne qui M γ; p. 165

lin. 19 – I, 1, 4 (lin. 37) lancinatur R3 : laciniatur R1 R2 M X lacimatur F; p. 170

lin. 6 – I, 8, 1 (lin. 7) ipsa ignorantia R3 : ipsum ignorantia R1 R2 M γ; p. 170 lin.

40 – I, 9, 5 (lin. 30) didicisti R3 M

PC : didicistis R1 R2 M

AC γ; p. 171 lin. 16 – I, 9,

9 (lin. 51) vero R3 M : vere R1 R2; p. 173 lin. 15 – I, 12, 1 (lin. 6) rem ipsam R3 M

: res ipsa R1 R2; p. 178 lin. 35 – I, 20, 3 (lin. 19) suspectam R3 M : susceptam R1

28 Cfr. supra, cap. 2, p. 31; cap. 3, p. 52. 29 Cfr. supra, pp. 64-65, 72.

78

R2 γ; p. 180 lin. 7 – I, 21, 5 (lin. 36) haeretici R3 M : haeretice R1 R2; p. 185 lin.

25 – I, 26, 5 (lin. 44) et boni R3 M : ut boni R1 R2 γ.

Grazie ai dati appena esposti è possibile notare quanto alta sia la frequenza dei

casi di disaccordo tra M e R3: questo fatto sembrerebbe spingerci a supporre che,

ancora in questa terza edizione, l’editore sia intervenuto svariate volte per

divinatio, senza neppure avvertire il lettore.

Al di là di questi aspetti negativi, che sarebbero certo imperdonabili per un

editore moderno, la terza edizione del Rhenanus permise di approfondire la

conoscenza di Tertulliano e di migliorare gli studi filologici in generale. Davanti

ai nostri occhi appare ormai la figura di un filologo davvero molto esperto, abile

nel coniugare la cultura dell’erudito con la sensibilità del critico: anche quando il

prurito congetturale sembra prendere il sopravvento, i suoi interventi non sono

mai avventati, né spregiudicati, cercando di mantenere sempre un certo rispetto

nei confronti delle norme grammaticali, delle consuetudini linguistiche e

stilistiche di Tertulliano, ma anche del contesto storico e culturale.

L’impegno del Rhenanus sui testi del Cartaginese non si esaurì con questa terza

edizione: anche negli ultimi anni della sua vita portò avanti questi studi. Prima di

morire (1547) riuscì infatti ad ottenere e a collazionare un nuovo manoscritto

proveniente da Malmesbury: l’edizione del 1550, curata dal Gelenius, si baserà

proprio su questo suo ultimo lavoro.

79

Conclusioni

La terza edizione di Tertulliano rappresenta il punto d’arrivo della nostra

analisi e della filologia del Rhenanus. Attraverso lo studio di questi suoi lavori,

abbiamo avuto l’occasione di ripercorrere alcune fasi dell’attività critica di uno

dei più noti ed esperti filologi del XVI secolo.

I maggiori risultati di questo nostro studio provengono proprio dall’analisi del

metodo critico appartenuto al Rhenanus: dalle prime esperienze dell’editio

princeps, in cui la grande corruttela delle fonti e le ristrettezze temporali avevano

giocato un ruolo fondamentale, siamo passati ad analizzare la massiccia mole

degli interventi congetturali che caratterizzano l’edizione del 1528. Di qui, siamo

poi giunti all’ultimo lavoro critico, quello del 1539, in cui l’apporto del Gorziensis

ha reso possibile realizzare numerose modifiche, che pure non hanno allontanato

alcuni vecchi difetti. La segnalazione non completa degli interventi realizzati;

l’utilizzo di un linguaggio a volte troppo ambiguo e confusionale; l’arbitrarietà

con cui sceglie tra le diverse varianti o con cui preferisce le sue personali

congetture, sono tutti aspetti che, seppur in diversa misura, si manifestano in

ciascuna delle tre edizioni. D’altra parte, l’ansiosa ricerca di nuovi testimoni; la

tendenza ad ottenere una sempre maggiore chiarezza e precisione; la grande

attenzione prestata alla lingua, allo stile, al contesto storico dell’autore e non solo

al mero dato testuale, rendono assai preziosi i contributi filologici del nostro

umanista.

Risultati più incerti sono stati invece raggiunti sull’altro nostro iniziale intento:

soltanto un’analisi più ampia, che non si basi su un unico libro, potrà verificare se

sia possibile recare ulteriori benefici alla costitutio textus tramite uno studio

approfondito delle tre edizioni del Rhenanus.

80

Abbreviazioni

AABS Annuaire des amis de la Bibliothèque Humaniste de Sélestat.

Sélestat, Soc. d’histoire et de archéologie.

ASNP Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Cl. di Lettere e

Filosofia. Pisa, Piazza dei Cavalieri.

CCSL Corpus Christianorum Series Latina. Turnholti, Brepols.

CSEL Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum. Vindobonae,

Österreichische Akademie der Wissenschaften.

Mn Mnemosyne. Bibliotheca Classica Batava. Leiden, Brill.

RBen Revue Bénédectine. Abbaye de Maredsous, Belgique.

SAWW Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaft der DDR,

Gesellschaftswissenschaften (G). Berlin, Akademie-Verlag.

SChr Sources Chrétiénnes. Paris, Les Editions du Cerf.

81

Bibliografia citata

In via preliminare, segnaliamo l’edizione moderna alla quale abbiamo fatto

riferimento in tutto il nostro studio:

BRAUN R., Tertullien, Contre Marcion: Tome I (Livre I), SChr 365, Paris 1990.

Di seguito elenchiamo invece tutti gli altri testi consultati:

BORLEFFS J. PH. W., Zur Luxemburger Tertullianhandschrift, Mn III, 2 (1935), p.

299-308.

CHAPOT F., Dans l’officine d’un philologue. Beatus Rhenanus éditeur de l’Adu.

Hermogenem de Tertullien (Bâle 1521, 1528, 1539), “Beatus Rhenanus (1485-

1547). Lecteur er éditeur des textes anciens“ (2000).

- ,Tertullien, Contre Hermogenem, SChr 439, Paris 1999.

CLAESSON G., Index Tertullianeus, Paris 1975.

D’AMICO J., Theory and Practice in Renaissance Textual Criticism: Beatus

Rhenanus Between Conjecture and History, Berkeley 1988.

FREDOUILLE J.-CL., Tertullien, Contre les Valentiniens: Tome I, SChr 280, Paris

1980.

HOPPE H., Sintassi e stile di Tertulliano, Edizione italiana a cura di ALLEGRI

Giuseppina, Brescia 1985 (Syntax und stil des Tertullian, Leipzig 1903).

HORAWITZ A., HARTFELDER K., Briefwechsel des Beatus Rhenanus, Reinheim

1966 [1886].

KLUSMANN M., Excerpta Tertullianea in Isidori Hispalensis Etymologiis,

Hamburg 1892.

82

KROYMANN E., Kritische Vorarbeiten für den III und IV Band der neuen

Tertullian-Ausgabe, SAWW 143, 6 (1900).

LABARDI L., Niccolò Niccoli e la tradizione manoscritta di Tertulliano, “Orpheus”

2 (1981), pp. 380-396.

LAWSON K., The sources of the De ecclesiasticis officiis of Isidore of Seville,

RBen L (1938).

MORESCHINI C., Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem di

Tertulliano, ASNP II, vol. 35 (1966), pp. 293-308.

- , Prolegomena ad una futura edizione dell’Adversus Marcionem di

Tertulliano, ASNP II, vol. 36 (1967), pp. 93-102, 236-244.

- , Tertulliani, Adversus Marcionem, “Testi e documenti per lo studio

dell’antichità” 35 (1971).

PETITMENGIN P., Beatus Rhenanus et les manuscrits latin, AABS 35 (1985), pp.

245-247.

- , Tertullien entre la fin du XIIe et le début de XVI

e siecle, in M. Cortesi

(ed.), Padri Greci e Latini a confronto: Atti del Convegno di studi della

Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino, Firenze 2004.

TERTULLIANI Q. S. F., Adversus Hermogenem liber, ed. J. H. Waszink,

Ultraiecti/Antverpiae 1956.

- ,Adversus Iudaeos, Mit Einleitung und kritischem Kommentar

hereausgegeben von H. Tränkle, Wiesbaden 1964.

- , De patientia De baptismo De paenitentia, ed. J. Ph. W. Borleffs, Hagie

Comitis 1948.

- , Opera, Ex recensione Ae. Kroymann, CCSL I (1954), pp.437-730.

- , Opera, Ex recensione Ae. Kroymann, CSEL XXXXVII, pars. III (1906).

83

Sitografia citata

ARMANDI P., Erasmo da Rotterdam e i libri. Storia di una biblioteca,

<http://picus.sns.it/documenti/armandi_ocr.pdf, p. 32>.

Decretum Gelasianum, <http://www.thelatinlibrary.com/decretum.html>.

Ultima consultazione in data 21-10-2013.