Rodin lo scultore della vita moderna

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FILOLOGIA CLASSICA E MODERNA TESI DI LAUREA IN STORIA DELLE ARTI DEL NOVECENTO AUGUSTE RODIN: LO SCULTORE DELLA VITA MODERNA Relatore: Laureanda: Chiar.mo Prof. Roberto Cresti Giulia Straccia 1

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATAFACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FILOLOGIA CLASSICA E MODERNA

TESI DI LAUREA IN

STORIA DELLE ARTI DEL NOVECENTO

AUGUSTE RODIN:

LO SCULTORE DELLA VITA MODERNA

Relatore: Laureanda:

Chiar.mo Prof. Roberto Cresti Giulia Straccia

1

ANNO ACCADEMICO 2011-2012

INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: IL DIVENIRE DELLA FORMA PLASTICA

1. 1 La forma del lavoro

1.2 L’evoluzione dei volumi plastici

1.3 La complementarietà degli opposti: stili, epoche e

teorie critiche

CAPITOLO 2: LA MEMORIA MODERNA

2.1 Rodin e Michelangelo

2.2 Rodin e l’arte otto-novecentesca

2.3 Rodin e l’Italia

CONCLUSIONE

APPENDICE ICONOGRAFICA

BIBLIOGRAFIA

2

INTRODUZIONE

In occasione del Salon del 1846, Charles Baudelaire esprime

le sue considerazioni sull’arte plastica. Egli infatti

pubblica un articolo dove mette in evidenza i motivi per

cui non ama la scultura, preferendo ad essa la pittura.

Innanzitutto Baudelaire rimprovera alla scultura di essere

l’arte che più si avvicina alla natura ed è per questo

motivo, secondo lui, che anche i contadini non la amano, ma

restano sbalorditi, invece, di fronte alla pittura: «vi è

qui uno strano mistero che non si tocca con le dita»1.

Altri “inconvenienti”, come li definisce il poeta critico,

riguardano i punti di vista: la scultura risulta, a suo

pensiero2, vaga e inafferrabile, così da indurre lo

1 Charles Baudelaire, Perché la scultura è noiosa, in idem, Poesie e prose, a cura di G.Raboni, Mondadori, Milano, 1977, p. 7642 Ibidem

3

spettatore a sbagliare nella scelta di quello

corrispondente alla volontà dell’autore. Al contrario una

tela dipinta non è altro che quel che vuole essere, poiché

presuppone l’esistenza di un unico punto di vista, ossia:

«è esclusiva e dispotica»3.

Per queste ragioni, Baudelaire ritiene la scultura un’arte

complementare, il cui compito è quello di associarsi

umilmente alla pittura e all’architettura e assecondare

così le loro intenzioni. «In tutte le grandi epoche la

scultura è un complemento; in principio e alla fine, è

un’arte isolata»4.

Il periodo in cui Baudelaire scrive è quello in cui domina

una scultura fortemente accademica. Infatti egli cita

alcuni degli scultori dell’epoca, come James Pradier e così

afferma :

la miglior prova dello stato compassionevole, in cui versa la

scultura, è che Pradier ne è il sovrano. Almeno questi sa fare le

carni, ed ha delicatezze di cesello particolari; ma non possiede né

l’immaginazione necessaria per le grandi composizioni, né

l’immaginazione del disegno. È un ingegno freddo e accademico5.

L’opinione di Baudelaire potrà essere smentita soltanto

alla fine dell’Ottocento, quando la scultura comincerà ad

assumere una nuova forma e ad adattarsi al contesto della

modernità. Chi promuoverà questo cambiamento sarà lo

3 Ibidem4 Ivi, p. 7655 Ivi, p. 766

4

scultore francese Auguste Rodin con le sue opere piene di

vita:

E questo senso di vita non pervadeva soltanto le opere più famose o

più appariscenti; quelle trascurate, piccole, anonime e superflue non

erano meno ricolme di questo vibrare profondo, interiore, di questa

ricca e sorprendente irrequietezza della cosa vivente. Anche

l’immobilità, dove era presente, consisteva di cento e cento attimi di

moto che si mantenevano in equilibrio6.

Pertanto se la comparsa di Rodin sulla scena artistica

solleverà un certo clamore sarà soprattutto perché egli

riuscirà a dimostrare che anche la scultura è in grado di

manifestarsi come espressione del proprio tempo.

Come ritiene Georg Simmel a proposito di Rodin,

nei suoi lavori sentiamo di nuovo l’incessante animazione della pietra

e del bronzo, qui sembra vibrare alla sua superficie una vita interna

della pietra, sembra modellarsi da sé stessa, senza resistenza, come

ben si dice che l’anima si costruisce il suo corpo”7.

Per l’appunto il proposito del mio lavoro è stato quello di

presentare Auguste Rodin come lo scultore della vita

moderna. Ho tentato quindi di comprendere il contesto

storico della modernità e successivamente di collocarvi

adeguatamente l’opera di Rodin. Partendo dalle analisi di

6 Rainer Maria Rilke, Rodin, SE, Milano, 2004, p. 157 Georg Simmel, L’arte scultorea di Rodin e le tendenze spirituali dell’età contemporanea, in Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, Il Segnalibro, Torino, 2005, p.42

5

Simmel sulla vita nella metropoli e sul dominio della

tecnica, mi sono poi confrontata con testi di natura

filosofica e critica di Friedrich Nietzsche, di Konrad

Fiedler e di Heinrich Wöllflin per comprendere meglio ciò

che la scultura rodiniana rappresenta. Una volta inquadrato

il contesto in cui opera Rodin e ciò che la sua opera tende

a manifestare, mi sono occupata delle influenze che lo

scultore ha esercitato sugli artisti delle avanguardie

insieme all’ispirazione che egli ha avuto dal maestro

Michelangelo, per poi concludere con una panoramica

sull’arte italiana e il suo legame con la scultura

rodiniana.

In questo modo ho tentato di confutare la tesi

baudelairiana avversa alla scultura, fino a dimostrare che

con Rodin anche la scultura stessa può corrispondere alle

esigenze espressive della vita moderna, sganciandosi dalla

sudditanza rispetto al passato, rilevata anche da un altro

poeta con interessi per l’arte in generale e per quella

plastica in particolare, quale fu Rainer Maria Rilke.

Quest’ultimo affermava che la scultura dell’Ottocento

«ancora esitava per deferenza verso un grande passato»8 e

per questo occorreva intervenire con una nuova forma

espressiva: «doveva soccorrere un’epoca il cui tormento

nasceva dall’essere i suoi conflitti invisibili»9.

Rodin capì che il rinnovamento della scultura si poteva

trovare nel linguaggio del corpo a contatto con le

8 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 179 Ivi, p.17-18

6

dinamiche del tempo presente, poiché esso era l’unico in

grado di esprimere la vita senza più veli: «la vita

impressa sui volti come su quadranti, facilmente leggibile

e colma di riferimenti temporali, nei corpi era più

diffusa, più grande, più enigmatica e più eterna»10.

L’artista francese riuscì così a comprendere la realtà

della sua epoca e a dare avvio al rinnovamento della

scultura: «per anni e anni Rodin si aggirò per le strade di

questa vita, umile e desideroso di apprendere, sentendosi

un principiante»11.

10 Ivi, p.2211 Ibidem

7

CAPITOLO 1: IL DIVENIRE DELLA FORMA PLASTICA

1.1 La forma del lavoro

«Non bisogna lasciarsi ingannare dall’enorme quantità di

intelligenza con cui sono state create le basi teoriche di

quella tecnica e in cui sembra certamente avverarsi il

sogno di Platone, che era quello di fare della scienza la

regina della vita»12. Così scrive il filosofo Georg Simmel,

quando delinea il quadro della civiltà moderna che si fonda

sul principio dell’industria e della tecnica.

È infatti a partire dalla fine del 1700 che inizia la

rivoluzione industriale, prima in Inghilterra e poi negli

altri Paesi d’Europa, ovvero si assiste all’introduzione

della macchina a vapore e della meccanizzazione

dell’industria tessile e siderurgica, il che provoca una

serie di cambiamenti a livello economico, sociale e

culturale. La trasformazione continua soprattutto negli

anni 1870-1880, quando la civiltà moderna comincia ad

avvalersi dell’elettricità, dei prodotti chimici e del

petrolio.

Riferendosi proprio a questi anni, Simmel elabora

un’analisi dettagliata dell’economia, della società e

dell’arte di fine 800. Egli ci descrive un’epoca in cui la

tecnica ha preso il soppravvento e l’uomo non bada più a

ciò che vuole comunicare, piuttosto alla velocità o alla

12 Georg Simmel, Il dominio della tecnica, in Tecnica e cultura. Il dibattito fra Bismark e Weimar, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 40

8

lentezza del mezzo di comunicazione. L’uomo si allontana

mano a mano dal suo centro, dalla sua spiritualità,

attratto dalla tecnica, dalle nuove scoperte, dai nuovi

strumenti a sua disposizione, non avendo però coscienza del

suo asservimento a questa serie di novità. Infatti gli

uomini non avvertono che «i fili su cui la tecnica

inserisce nella nostra vita le forze e gli elementi della

natura sono altrettante catene che ci legano e che ci

rendono indispensabili un’infinità di cose di cui si

potrebbe e anzi si dovrebbe benissimo fare a meno ai fini

essenziali della vita»13. Si è schiavi della macchina,

delle conquiste tecniche, dei consumi e di conseguenza si è

sempre più lontani da sé stessi. La mancanza di una

“centripetalità spirituale” provoca in questo modo nello

stato d’animo umano un continuo senso di inquietudine, uno

stato febbrile che lo induce a cercare nuovi stimoli. La

condizione di confusione si manifesta così nel caos della

metropoli o nella smania di viaggi o ancora nell’incostanza

dei gusti e degli stili.

«Il fondamento psicologico su cui si eleva il tipo delle

individualità metropolitane è l’intensificazione della vita

nervosa»14, afferma Simmel descrivendo la condizione

dell’uomo nella società moderna. L’uomo che vive nella

metropoli, ogni volta che attraversa la strada o che

comunque vive il ritmo e la varietà della vita economica e

professionale subisce delle impressioni e delle sensazioni

13Ibidem 14 Georg Simmel, Le metropoli e la vita spirituale, ivi, p. 66

9

del tutto antitetiche rispetto a quelle vissute nella città

di provincia o nella vita di campagna, «col ritmo più

lento, più consueto, più uniforme della loro vita sensibile

e intellettuale»15.

Ciò che caratterizza il tipo metropolitano è

l’intellettualismo, al contrario dell’uomo che vive nella

città di provincia, orientato piuttosto verso i sentimenti

e i rapporti affettivi. Invece nell’uomo della metropoli la

reazione a qualsiasi fenomeno esterno avviene mediante

l’intelletto e quindi trasferita nell’organo psichico meno

sensibile.

Secondo Simmel l’intellettualismo, il mezzo per preservare

la vita soggettiva dalla violenza della metropoli, è in

stretta connessione con l’economia monetaria: entrambi

hanno in comune la pura oggettività nel trattare uomini e

cose. L’individualità tipica dei rapporti affettivi è

quindi assente in quelli intelletti che trattano gli uomini

come se fossero numeri, come se fossero in sé indifferenti.

L’economia metropolitana destina la sua produzione

esclusivamente per il mercato, eliminando gli ultimi resti

della produzione in proprio e determinando così “un

carattere di oggettività spietata” nei rapporti tra il

produttore e gli acquirenti. Ormai inserito nel circuito

dell’economia monetaria, l’uomo moderno calcola sempre di

più, impostando la sua vita su ritmi regolari, precisi,

puntuali. Così si spiega infatti la frase di Simmel quando

15 Ibidem

10

afferma: «se, d’improvviso, tutti gli orologi di Berlino

cominciassero a sbagliare in direzioni diverse, anche solo

per la durata di un’ora, tutta la sua vita economica e

d’altro genere sarebbe sconvolta per molto tempo»16. Questo

ritmo così scandito e puntuale determina l’odio di

pensatori come John Ruskin o Friedrich Nietzsche nei

confronti della metropoli. Sia l’uno che l’altro, a

pensiero di Simmel, «nature che trovano il valore della

vita solo in ciò che è tipicamente peculiare e non si può

precisare uniformemente per tutti e in cui perciò, dalla

stessa fonte da cui scaturisce quell’odio, scaturiscono

anche l’odio per l’economia monetaria e per

l’intellettualismo della vita»17.

Caratteristica quindi della metropoli è una forma di

estrema impersonalità, a causa della ripetitività dei gesti

e delle azioni che la tecnica ha innescato. Se da una parte

domina l’impersonalità e l’anonimato, dall’altra, sostiene

Simmel18, tipico ed estremamente personale della metropoli

è un fenomeno psicologico che egli denomina come “blasé”,

aggettivo riferito a chi ostenta scetticismo e

indifferenza. Nel contesto metropolitano l’individuo è

abituato a ricevere stimoli continui e in qualche modo si

abitua ad essi, diventando meno recettivo. Per questo

motivo l’atteggiamento blasé indica l’incapacità di reagire

a stimoli nuovi con energia ad essi adeguata, è la noia, lo

16Ivi, p. 6917 ibidem18 Ibidem

11

stato d’animo disincantato che è già evidente nei bambini

delle grandi città, rispetto a quelli cresciuti in ambienti

più tranquilli.

Inoltre le città sono prima di tutto le sedi

dell’industria, della tecnica e della divisione economica

del lavoro e il singolo si ritrova costretto a una

specializzazione professionale che gli eviti il rischio di

essere sostituito da altri . L’effetto della crescente

divisione del lavoro pretende dall’individuo una

prestazione sempre più specializzata, «il cui massimo

potenziamento determina spesso un deperimento della sua

personalità complessiva»19. Il singolo è ridotto a una

“quantité négligeable”, di fronte a un’immensa

organizzazione di cose che trasforma la sua vita soggettiva

in una vita puramente oggettiva.

È evidente quindi la difficoltà di affermare la propria

personalità che si realizza nel cercare le stranezze più

assurde, le stravaganze, il cui significato risiede nella

ricerca dell’alterità, nella volontà di distinguersi. Allo

stesso modo, fa notare Simmel20, opera un altro elemento

poco appariscente: la brevità e la rarità degli incontri

che avvengono nell’ambito della folla, rispetto ai rapporti

quotidiani che intercorrono tra gli abitanti delle città di

provincia. Questo accade perché “la tentazione di

presentarsi in forma arguta, concisa e il più possibile

caratteristica, ne risulta estremamente rafforzata rispetto

19 Ivi, p.7820 Ivi, p.77

12

alle situazioni in cui la frequenza e la durata degli

incontri bastano già a produrre nell’altro un’immagine

chiara e inequivocabile della nostra persona”21. A

proposito dei rapporti tra gli individui nella città

moderna, Simmel22 riflette sull’entità di essi e nota un

atteggiamento distaccato e riservato. Questa forma di

riserbo deriva dalla volontà degli uomini di tutelare la

propria vita soggettiva, così che ci si trova ad avere

contatti del tutto sporadici con gli altri, diversamente

dalle città di provincia dove tutti si conoscono. Allo

stesso tempo, Simmel23 sottolinea ancora che

l’atteggiamento di indifferenza e di distacco concede agli

individui una sorta di libertà personale, assente invece

nei contesti più piccoli e ristretti, limitati da

“piccinerie” e pregiudizi. Il risvolto negativo però di

questa libertà si traduce in un sentimento di solitudine e

di abbandono, tipico di chi vive nel caos della grande

città. Del resto non è detto che la libertà dell’uomo debba

determinare un senso di benessere nella sua vita affettiva.

Se da un lato la tecnica può aver facilitato la vita degli

uomini, introducendo nuovi servizi, nuovi interessi, nuovi

stimoli, dall’altro ha prodotto una serie di contenuti

impersonali e quindi un deperimento della qualità

individuale delle conoscenze. Con la rivoluzione

industriale l’utile e la tecnica prendono il sopravvento su

21 Ibidem22 Ivi, p. 71 23 Ivi, p.74

13

qualsiasi elemento culturale, proponendo così una realtà

senza immaginazione. Come afferma lo studioso Carlo Emilio

Cipolla, “il passato è morto”, contano soltanto le novità

introdotte dalla rivoluzione industriale che presenta un

notevole sviluppo nella Grande Esposizione Universale di

Londra del 1851, allestita nel Crystal Palace. Il palazzo,

realizzato completamente in vetro, costituisce “il primo

prefabbricato di grandi dimensioni nella storia

dell’architettura moderna”24. Nel Crystal Palace vennero

esposti i prodotti dell’industria moderna più disparati:

macchine a vapore e locomotive insieme ad oggetti

oscillanti tra dimensione artistica e ed esecuzione

meccanica.

Compito dell’arte contemporanea sarà allora quello di

riguadagnare un passato ormai accantonato dalla rivoluzione

industriale, di riportare alla luce la memoria, senza la

quale non è possibile affrontare la realtà. L’uomo

contemporaneo comprende di non poter vivere né senza

memoria né senza realtà. Non si rigetta ciò che è emerso

con l’industria moderna, ma allo stesso tempo viene

recuperato il passato.

24 Pierluigi De vecchi e Elda Cerchiari, Arte nel tempo, Bompiani, Milano,2006, primo tomo, p.285

14

1.2 L’evoluzione dei volumi plastici

La volontà di superare l’ostacolo posto dalla lastra di

vetro del Crystal Palace, come sinonimo di tecnica

dominante sulla vita, è uno degli obiettivi dell’arte della

seconda metà del secolo XIX e ancor più del secolo XX. Tale

volontà è per esempio evidente nella corrente

dell’espressionismo, che Simmel definisce come

l’interna commozione dell’artista che si prosegue nell’opera, o,

meglio ancora, come opera, del tutto immediatamente così quale viene

vissuta. Essa non fa ciò con una forma, o non si plasma in una forma,

che sia ad essa imposta da un’esistenza, vuoi reale, vuoi anche

ideale, ad essa esteriore25.

L’opera espressionista può derivare dall’interiorità

dell’artista così come invece essere stimolata da un

oggetto; quest’ultimo però non deve necessariamente essere

rappresentato in base al suo aspetto esteriore. «Si

potrebbe dire», sostiene Simmel, «che l’artista

espressionista ponga, in luogo del modello, l’occasione che

imprime un’eccitazione alla vita di lui, la quale nel suo

contenuto obbedisce solo a sé stessa»26. In base a questa

osservazione, è evidente che l’artista non bada più alla

ricerca della forma tradizionale per realizzare la sua

opera, ma alla vita che scorre nel suo continuo divenire e

fluttuare. È la vita in sé medesima che respinge ogni forma25 Georg Simmel, Il conflitto della civiltà moderna, SE, Milano, 1999, p. 2626 Ivi, p.28

15

comune o tradizionale, è la lotta della vita contro il

principio della forma. L’arte di Van Gogh rispecchia

sicuramente questa concezione dell’abolizione della forma

in generale: nelle sue opere l’io è ovunque e si riflette

in qualsiasi forma e l’immedesimazione è totale. Del

pittore, Simmel dichiara: «a me sembra che sia soprattutto

questa vita ardente e percepibile nella sua immediatezza(e

che veramente solo qua e là cade con l’assunzione della sua

forma visibile in un contrasto da cui questa è distrutta)

ciò che avvince larghe sfere del pubblico a Van Gogh»27.

Simmel inizia così una critica nei confronti della

classicità che “sta interamente sotto l’impero della

forma”, che è quindi l’esponente storico della forma in

generale, di cui la vita vuole liberarsi. Di questo ideale

classico tenta di liberarsi non solo la pittura, ma anche

la scultura verso la fine dell’800 grazie alle opere dello

scultore francese Auguste Rodin.

1.2.1

Rodin nasce il 12 novembre del 1840 a Parigi e nascere in

questa capitale era già di per sé un privilegio per chi

voleva intraprendere una carriera artistica. Artisti e

scrittori producevano opere di grande importanza, «in cui

modelli antichi e nuovi valori-ideale e realtà- si

scontravano e si contaminavano a vicenda»28. Nel 1857

Gustave Flaubert pubblicava Madame Bovary e Charles

27 Ivi, p. 3328 Marco Vallora, Rodin, Rizzoli/Skira: Corriere della Sera, Milano, 2005, p. 29

16

Baudelaire Les Fleurs du Mal, testi che portavano un certo

senso di inquietudine esistenziale nel panorama artistico.

Dal poeta Rilke sappiamo quanto Rodin amasse Baudelaire:

«percepiva in Baudelaire un precursore, uno che si era

lasciato sedurre dai volti e aveva cercato i corpi, dove la

vita è più grande, più crudele e più inquieta»29.

L’interesse di Rodin per il poeta-critico lo portò anche a

illustrare una copia de Les Fleurs du Mal nel 1888.

Come in campo letterario, così anche sullo scenario

artistico si potevano ammirare grandi opere come il Déjeneur

sur l’herbe del pittore Édouard Manet, il quale gettava le

basi dell’impressionismo o ancora i quadri carichi di

verità di Gustave Courbet.

Inoltre a Parigi esisteva una scuola prestigiosa come

l’École des Beaux-Arts mentre per chi aveva difficoltà

economiche o vi non era stato ammesso, poteva frequentare

gratuitamente la cosiddetta Petite École. A quest’ultima si

iscrisse nel 1854 il giovane Auguste Rodin.

Mentre l’École des Beaux-Arts basava i suoi insegnamenti su

principi classici e tradizionali, la Petite École si poneva

su un piano diverso: essa aveva l’intento di formare

artigiani in grado di realizzare oggetti ed elementi

decorativi da produrre in serie. Da questa scuola più

tecnica erano però usciti grandi scultori come Carpeaux o

Carrier-Belleuse.

29 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 24

17

Il giovane Rodin si dimostrò il migliore del corso,

vincendo nel 1857 il primo premio per la scultura e il

secondo per il disegno. Inoltre nel pomeriggio, dopo le

lezioni, egli aveva l’abitudine di recarsi a Louvre a

copiare le statue classiche che da sempre rappresentavano

il modello di perfezione formale. Rodin tentò più volte di

entrare all’École des Beaux-Arts, ma invano. Al termine dei

suoi studi iniziò a lavorare per artigiani, gioellieri e

scalpellini: un’esperienza che lui stesso ritenne

utilissima per intraprendere poi la sua carriera di

scultore.

Come fa notare Marco Vallora, «il suo genio fu quello dei

grandi artisti di ogni tempo: fare tesoro di tutto, del

passato, della natura, della storia, la capacità di essere

l’originale punto di arrivo di una storia secolare»30.

Nel 1864 Rodin iniziò a lavorare per Albert-Ernest Carrier-

Belleuse, scultore assai richiesto e lo stesso anno gli

venne rifiutata al Salon l’opera l’Uomo dal naso rotto. Sempre

nel 1864 conobbe la donna che sarebbe stata la compagna

della sua vita, Rose Beuret e che deciderà di sposare

soltanto nel 1917, alcuni mesi prima di morire.

Allo scoppio della guerra franco-prussiana, nel 1870, Rodin

fu chiamato al servizio di leva, ma fu subito riformato a

causa della miopia; così l’anno successivo partì per

Bruxelles, attirato da un’offerta di lavoro fattagli da

Carrier-Belleuse. Nel 1872 terminò la collaborazione con lo

30 Marco Vallora, Rodin, cit., p. 31

18

scultore, ma Rodin rimase comunque a Bruxelles. Poi nel

1875 realizzò un progetto comune a molti artisti: visitare

l’Italia. Di questo viaggio poi parleremo più avanti,

nell’analisi del rapporto tra Rodin e Michelangelo

Buonarroti.

Rientrato a Bruxelles completò l’opera l’ Età del bronzo che

aveva iniziato prima di partire per l’Italia e la espose al

Salon del 1877: fu il vero esordio di Rodin come scultore.

L’opera venne accusata di essere un calco dal vero:

nonostante ne derivò uno scandalo, esso si rivelò in realtà

un trampolino di lancio per Rodin.

Il 1880 fu l’anno di riabilitazione dall’accusa di calco:

lo Stato acquistò la contestata Età del bronzo e gli

commissionò la Porta dell’Inferno, un portale per il futuro

Museo delle Arti Decorative. Cominciò così un’ascesa

destinata a non declinare, tanto che era possibile trovare

lo scultore nei migliori salotti della capitale francese.

Entrando nei migliori circoli sociali e intellettuali, gli

si aprì la committenza di ritratti delle personalità più in

vista, come il busto dello scrittore Victor Hugo.

Nel 1883 Rodin iniziò una relazione con la giovane

scultrice Camille Claudel che divenne allo stesso tempo la

sua amante e la sua assistente.

L’anno successivo gli venne commissionato un monumento

celebrativo, I Bourgeois de Calais, che sarebbe diventato uno

dei suoi capolavori. Tra il 1885 e il 1888 lavorò

19

intensamente a tale monumento, alle figure della Porta

dell’Inferno e realizzò anche l’illustrazione de Les Fleurs du Mal.

Nella primavera del 1889 si tenne la mostra Rodin-Monet

alla Galerie di Georges Petit: 70 dipinti di Monet e 36

sculture di Rodin. Qui Rodin espose i Bourgeois de Calais e

ottenne il consenso di eminenti critici come Octave Mirbeau

e Gustave Geoffrey. Lo stesso anno gli venne commissionato

il Monumento a Victor Hugo mentre due anni dopo il Monumento a

Balzac: quest’ultimo, esposto nel 1896, suscitò un vero

scandalo(ne tratteremo più avanti).

Nel 1893 Rodin si trasferì a Meudon dove affittò Villa des

Brillants che fu la sua residenza fino alla morte e il

punto di incontro di numerosi artisti, come Claude Monet. È

anche l’anno in cui assunse Émile-Antoine Bourdelle come

praticante e in cui conobbe lo scultore italiano Medardo

Rosso che aiutò ad introdursi nell’ambiente parigino.

Dalla fine degli anni Ottanta nello studio di Rodin si

affacciarono nuove sperimentazioni che presenterà al

pubblico solo negli ultimi anni del secolo.

Alcune esposizioni contribuirono a consolidare il successo

internazionale dell’artista, come quelle di Amsterdam,

L’Aia e Bruxelles, organizzate dalla sua amica giornalista

e scrittrice Judith Cladel.

Inoltre in concomitanza con l’Esposizione Universale di

Parigi, nel maggio 1900, venne allestito un padiglione

speciale per circa centocinquanta opere di Rodin in place

de l’Alma. Monet e altri pittori si occuparono della

20

stesura del catalogo. Anche se l’affluenza di pubblico fu

limitata, la retrospettiva ottenne un grande successo di

critica e sancì definitivamente la fama di Rodin a livello

internazionale. In seguito il padiglione venne smontato e

allestito nel parco della villa di Meudon.

Nel frattempo l’Inghilterra preparava onori raramente

attribuiti ad un artista francese: nel 1902 Rodin si recò a

Londra per l’inaugurazione del San Giovanni Battista. Lo

scultore dovette però ripartire subito perché diretto verso

Praga, dove si stava inaugurando una sua personale. Egli

compì un viaggio trionfale attraverso la Cecoslovacchia

fino a Vienna, dove strinse contatti con gli artisti della

Secessione Viennese e dichiarò la propria ammirazione a

Gustav Klimt.

Inoltre nel 1903 lo scultore riuscì ad esporre le sue opere

anche al Metropolitan di New York e l’America rispose con

grande entusiasmo.

Rientrato a Parigi, nel 1902, Rodin ebbe il suo primo

incontro con il poeta e prosatore tedesco Rainer Maria

Rilke, autore della biografia Auguste Rodin, una delle fonti

più interessanti e affascinanti per comprendere lo

scultore. Rilke divenne il segretario di Rodin nel 1905,

per essere poi licenziato l’anno successivo. I due però si

riconciliarono nel 1907 e Rilke fu reintegrato al suo

servizio. Quest’ultimo consigliò a Rodin di affittare

alcune stanze in un palazzo a Parigi, il settecentesco

21

Hôtel Biron: vi avevano vissuto vari artisti tra cui Henri

Matisse e lo stesso Rilke.

Parigi rimaneva sempre la fonte di ispirazione principale

per Rodin: nel 1905 espose al Salon d’Automne, lo stesso

anno dei fauves mentre l’anno successivo venne organizzata

la prima retrospettiva di Paul Gauguin.

Nel 1911 Rodin pubblicò L’arte. Conversazioni raccolte da Paul Gsell e

nello stesso anno lo Stato destinò l’Hôtel Biron al

Ministero della Pubblica Istruzione e Belle Arti, così che

lo scultore dovette lasciare le stanze che aveva affittato.

L’amica Cladel pensò di trasformare l’edificio in un museo

dedicato all’opera di Rodin, ma il Parlamento avversò la

proposta, sia perché era inusuale dedicare un intero museo

ad un artista ancora in vita, sia perché egli godeva di una

certa fama soprattutto nel resto d’Europa piuttosto che in

Francia.

Seguono altri successi internazionali e altri viaggi in

Italia dello scultore: qui egli divenne famoso soprattutto

dopo la mostra dell’Alma.

Allo scoppio della guerra, nel 1914, Rodin si rifugiò con

Rose e Judith a Londra, dove era amatissimo: le sue opere

vennero esposte in diverse gallerie londinesi. A partire da

questo momento Rodin cominciò ad ammalarsi, poiché si

presentarono i primi sintomi dell’emiplegia.

Nel 1916 lo Stato accettò finalmente di trasformare l’Hôtel

Biron nel Musée Rodin, ma le condizioni di salute dello

scultore peggioravano sempre di più. Il 29 gennaio del 1917

22

decise di sposare Rose, ma la donna un mese dopo morì. La

morte giunse presto anche per Rodin che si spense il 19

novembre dello stesso anno.

1.2.2

Nel corso del XIX secolo, la scultura era ferma su

posizioni piuttosto conservatrici, come ci ha fatto notare

anche Baudelaire nel suo articolo Perché la scultura è noiosa.

Werner Hoffman per esempio ritiene che tale secolo «non fu

propizio all’arte plastica, nella quale né i contenuti

eroico-borghesi né quelli intimo-borghesi riuscirono a

esprimere una pienezza di vita convincente. La scultura non

è un genere di arte borghese»31.

Tra il 1850 e il 1870 la maggior parte delle sculture

veniva prodotta su commissione pubblica e realizzata

secondo il gusto classico, così come nel 1875, in Francia,

con l’avvento della Terza Repubblica, continuavano le

commissioni statali di grandi monumenti che vincolavano la

libertà creativa dell’artista.

Bisogna attendere la fine degli anni ‘80 per assistere al

rinnovamento della scultura: essa non è più stabile, si

muove, è fatta per girarci intorno e racchiude la vita.

Come fa notare Hoffman, l’opera di Rodin si realizza

nell’idea e nella forma: «il tema centrale è la

transitorietà dell’uomo»32, quindi la vita nel suo divenire

e per quanto riguarda la forma, «chiamata a interpretare

31 Werner Hoffman, Auguste Rodin 1840-1917, in idem, La scultura del XX secolo, Universale Cappelli, Bologna, 1962, p. 60 32 Ivi, p. 74

23

questa caducità, può esistere soltanto nell’instancabile

mutamento e nella ricerca inquieta»33. Soffermandoci sul

concetto di transitorio, possiamo rilevare che anche il

poeta Rainer Maria Rilke34 vi insiste a proposito di Rodin.

Nella scultura di quest’ultimo, Rilke individua la

separazione dell’eterno dal transitorio, il che ci rimanda

a Baudelaire e al concetto di modernità. Baudelaire si

domanda che cosa sia la modernità e così si risponde:

«liberare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico

nello storico, di cavare l’eterno dal transitorio… La

modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente,

la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e

l’immutabile»35.

La capacità di trasformare il transitorio in eterno,

secondo Rilke36, è evidente soprattutto quando Rodin

sceglie come soggetti delle sue opere avvenimenti o

personaggi storici che vuole riportare nel presente. Un

esempio è costituito dal monumento dei Bourgeois de

Calais(fig.n.1), dove ci si riferisce alla vicenda

dell’assedio di Calais da parte del re inglese Edoardo III

e a come questi non volesse concedere tregua alla città,

prostrata dalla fame, salvo finire poi per accondiscendere

a un minimo di clemenza in virtù del consegnarsi senza

condizioni dei sei cittadini più illustri nelle sue mani.

33 Ibidem 34 Cfr. Rainer Maria Rilke, Rodin,cit., p. 2135 Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in idem, Poesie e prose, cit., p. 94436 Cfr. Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p.55

24

Rodin si concentrò in particolar modo sul momento del

commiato, su come i sei si prepararono al patibolo: sentiva

come in ciascuno di loro si raccoglieva ancora una volta

tutta la vita vissuta, come ognuno carico del proprio

passato, era pronto a portarlo con sé anche al di fuori

della città. Rodin riuscì a rappresentare questi uomini,

nessuno uguale all’altro: ognuno aveva preso la sua

decisione in maniera autonoma e viveva le ultime ore di

vita a modo proprio. La volontà di Rodin era quella di

collocare il monumento davanti al Municipio di Calais,

proprio in mezzo al selciato della piazza, come un corteo

vivente di sofferenza e di sacrificio sempre imminente, in

ogni epoca. A Calais però si rifiutarono di adottare un

piedistallo così elevato e ne scelsero uno tanto sgraziato

quanto superfluo.

Per quanto riguarda la forma, Rodin «per primo trovò uno

stile con cui esprimere l’atteggiamento dell’anima moderna

verso la vita»37, dice Simmel.

Il filosofo affronta un’analisi della storia della scultura

partendo da quella greca, ove si osserva la tendenza a

realizzare una solidità che cerca la forma essenzialmente

stabile del corpo, indipendentemente cioè da qualsiasi

movimento. La scultura gotica invece è la prima a

presentare il corpo anche nel suo movimento, ma il

cristianesimo ufficiale, non riconoscendo il valore del

corpo impone allo scultore, che non ne può fare a meno, di

37 Georg Simmel, Rodin, in idem, Il volto e il ritratto:saggi sull’arte, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 201

25

operare entro una palese contraddizione. Ne scaturiscono

corpi allungati e deformati che devono “essere sostegno

dell’anima che aspira al trascendente, anzi, dell’anima che

abita nel trascendente”38. Solo Ghiberti e soprattutto

Donatello riescono poi a ricongiungere anima e corpo: il

movimento non è più negazione del corpo, ma l’anima che in

esso si esprime è esattamente l’anima del corpo che mette

in azione il movimento. Simmel però fa notare che in realtà

nemmeno in Donatello si riscontra la perfetta unione dei

due elementi: «egli ha preparato il senso della vita del

Rinascimento, ma lo ha soltanto preparato»39. La soluzione

definitiva è allora rintracciabile nella scultura di

Michelangelo: «il movimento del corpo, l’infinità di un

divenire inquieto, che annunciano le sue figure, è divenuto

il mezzo per portare la forma sostanziale, plastica,

all’espressione più completa»40. Da questo punto di vista

anche Rodin pone l’accento sul movimento del corpo, ma

nella sua scultura esso è raggiunto con mezzi di

espressione differenti. Essa presenta una nuova

flessibilità delle articolazioni e una nuova vita propria:

«infiniti contatti tra luce e materia, e ognuno di questi

contatti si rivelò diverso da ogni altro, e ognuno

singolare… Rodin aveva scoperto l’elemento fondamentale

della sua arte, era la superficie, di grandezza variabile,

diversamente sottolineata, definita con esattezza, da cui

38 Ivi, p. 20239 Ivi, p.20340 Ibidem

26

tutto poteva nascere»41. Per quanto l’unità e l’equilibrio

in Michelangelo siano perfetti, egli rimane comunque troppo

legato all’ideale classico: i movimenti delle sue sculture

vengono sempre afferrati in un relativo punto di quiete,

mentre quelli presenti nelle opere di Rodin sono realmente

quelli del tempo che fugge. Fino a Rodin sembrava

impossibile che la scultura raggiungesse l’atemporalità,

senza conferirle un carattere di quiete; invece, come

sottolinea Rilke di fronte alla scultura rodiniana, essa

«doveva conquistarsi una sede peculiare, sicura, in cui non

l’avesse collocata l’arbitrio, e doveva inserirsi nella

silenziosa atemporalità dello spazio»42.

Simmel spiega che ciò che viene rappresentato è l’uomo in

tutto il suo pensiero e in tutta la sua vita, concordando

con Rilke che appunto scrive: «Rodin colse la vita ovunque

presente là dove la vide. La colse nei punti più

impercettibili, la osservò, la seguì… Nessuna parte del

corpo era inespressiva o di poco valore: il corpo

viveva»43.

Sia Simmel che Rilke individuano il senso della vita che si

manifesta nel divenire, nel movimento; infatti un’arte che

vuole proporre un’interpretazione veritiera della vita non

poteva fondarsi sull’immobilità. I movimenti che si

scorgono nella scultura di Rodin non sono le movenze

fissate delle sculture classiche, in cui erano evidenti

41 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p.2142 Ivi, p.2043 Ivi, p.21-22

27

solo il punto di partenza e quello di arrivo. «Tra questi

due momenti essenziali si avvicendano innumerevoli fasi

intermedie, e il risultato è la vita stessa dell’uomo

contemporaneo, il cui potere o non poter agire si dipana

proprio nel contrappunto di questi trapassi»44, scrive

Rilke.

L’attenzione alla vita dell’uomo nella società moderna

rimanda ancora a Baudelaire45, in quanto egli considera

l’artista “uomo di mondo”. L’uomo di mondo si interessa del

mondo intero, la folla è il suo dominio e il suo lavoro è

quello di “sposare la folla”. «Per il perfetto curioso, per

l’osservatore appassionato, è un immenso godimento eleggere

come domicilio la folla, l’ondeggiante, il movimento, il

fuggitivo e l’infinito»46.

È lo stesso Rodin ad affermare che per l’artista la vita è

un godimento infinito, un rapimento perpetuo, un’ebbrezza

travolgente e anche nella sofferenza egli è in grado di

trovare la tragica voluttà dello stupore.

Nell’esaminare l’opera di Rodin, Rilke tende a cogliere in

particolare il momento in cui l’interiorità si rende

manifesta. In una società come quella moderna dove la

realtà interiore risulta minacciata, la scultura di Rodin

prova a restituire spazio al dato emotivo. Paul Gsell,

critico d’arte che ha raccolto le sue conversazioni con

Rodin, si rivolge allo scultore con queste parole:44 Ivi, p.4045 Cfr. Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in idem, Poesie e prose,cit., passim46 Ivi, p. 941

28

«celebrando con tanto vigore il nostro essere interiore,

avete favorito l’evoluzione della vita moderna…Avete

osservato che nell’epoca appena apertasi non vi è per voi

niente di così importante come i nostri sentimenti, il

nostro mondo intimo»47.

Animare la scultura in profondità non avviene

necessariamente attraverso la totalità del corpo, ma anche

rappresentandone solo una parte. L’idea del frammento, che

molto sarà sfruttata da Rodin, è espressa anche da Simmel:

«… [i frammenti] connessi in una costellazione di senso,

esprimono e rimandano ad una totalità, ad un tutto dove la

sintesi risulta dalla loro associazione e appartenenza

reciproca determinata da una particolare prospettiva di

sguardo»48.

Infatti Rodin costruisce frammenti di torsi, di arti e di

mani che si presentano come monumenti, come opere in sé

stesse che sono pregne di vita in ogni punto. Si tratta

quindi di una frammentarietà solo apparente, di “un

espediente per cogliere l’attimo di un divenire

incessante”49, come afferma Donatella Simon. Ancora la

Simon50 si sofferma sul frammentario e sul transitorio

della scultura rodiniana, sostenendo che si tratta

dell’aspetto che più interessa il filosofo Simmel: dal

frammento emerge sempre una totalità, un momento di

47 Auguste Rodin, L’arte. Conversazioni raccolte da Paul Gsell, a cura di Luca Quattrocchi, Abscondita, Milano, 2003, p.143, 48Donatella Simon, Le forme e il movimento. Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p.749 Ivi, p.2150 Ivi, p. 28

29

realizzazione completa a cui la modernità aspira, ma che

non riesce più a raggiungere. «Fra i tratti distintivi del

presente questo è inconfondibile: che per noi di fronte a

una sempre crescente quantità di valori l’impulso e

l’accenno valgono di più della compiutezza definita, che

non lascia alla nostra fantasia nulla da aggiungere»51,

scrive Simmel nell’analizzare il rapporto tra la scultura

di Rodin e lo spirito contemporaneo.

Anche Rilke prende in esame opere frammentarie,

particolarmente affascinato dalle sculture costituite

semplicemente da mani: «nell’opera di Rodin ci sono mani,

piccole mani autonome che, senza appartenere a un corpo,

hanno vita»52: sono mani che camminano, sono mani stanche,

sono le mani di chi lavora e via dicendo. Queste mani hanno

una loro storia, una loro cultura e allo stesso tempo

esprimono desideri e sentimenti. Ne è un esempio La mano di

Dio(fig.n.2), opera del 1897: si tratta di una mano che

viene dalla pietra per creare la pietra, poiché non c’è

limite alla creazione. Essa viene dall’informe e crea

qualcosa che è forma e informe allo stesso tempo. Può

rappresentare la mano dell’operaio o di chi usa la macchina

da scrivere o ancora si tratta di una rivendicazione della

mano creatrice. Del resto l’artista moderno è colui che

vuole immedesimarsi con il proprio lavoro, vuole entrare

nell’esperienza della forma ed esige un legame diretto,

erotico con la sua opera. «Ci si rammenta quanto piccole

51 Ivi, p. 4552 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 34

30

siano le mani dell’uomo, come si stanchino presto e quanto

sia breve il tempo loro concesso per agire. E nasce il

desiderio di vedere le due mani che hanno vissuto come

cento..»53, scrive Rilke. Dietro queste mani si cela la

fatica del lavoro, del fare,del produrre.

A proposito del lavoro, lo stesso Rodin riscontra che nella

maggior parte dei contemporanei manca la passione per la

professione svolta: gli industriali intendono solo

guadagnare e gli operai, ostili nei confronti dei padroni,

lavorano in modo approssimativo. Sembra che gli uomini

considerino il lavoro solo una necessità, mentre questo

dovrebbe essere ritenuto la loro ragion d’essere. Gli

artisti al contrario, secondo Rodin, avvertono il lavoro

come passione e tramite la via dell’arte mostrano agli

uomini la loro ragion d’essere: «l’arte rivela loro il

senso della vita, li illumina sul loro destino e dunque li

guida nell’esistenza»54.

George Bernard Shaw a proposito della scultura di Rodin

parla di “slancio vitale” e riscontra quindi un legame con

Bergson: come nella filosofia bergsoniana, la sostanza

dell’arte di Rodin è in uno stato di tensione al divenire

in cui è presente la realtà e assume forma temporanea,

nell’attimo di congiunzione tra forma e materia. Possiamo

quindi constatare che l’opera di Rodin è «un incessante

impulso vitale che assorbe tutto il passato e ribolle di

53 Ivi, p. 1354 Auguste Rodin, L’arte. Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 139

31

tutto l’avvenire»55. Ed è proprio Rodin che nel suo

Testamento si rivolge ai giovani che aspirano ad essere i

sacerdoti della bellezza con queste parole: «… è la

tradizione stessa che vi spinge a interrogare senza tregua

la realtà, e che vi impedisce di sottomettervi ciecamente a

qualsiasi maestro»56.

55Ivi, p. 15656 Ivi, p. 147

32

1.3 La complementarietà degli opposti: stili, epoche e

teorie critiche

Lo slancio vitale di cui parla Shaw ci riconduce ad

un’altra concezione artistica, ossia alla visione

dionisiaca del mondo espressa da Nietzsche. Egli parte dal

presupposto che lo sviluppo dell’arte è legato alla

compresenza di due elementi, l’apollineo e il dionisiaco.

Questi due nomi provengono dai Greci che hanno stabilito

come fonte della loro arte i due dei Apollo e Dioniso, i

quali incedono l’uno accanto all’altro quasi sempre in

contrasto concorde tra loro, poiché è in due condizioni che

l’uomo raggiunge il sentimento estatico dell’esistenza: nel

sogno e nell’ebbrezza. Esiste quindi nell’arte una

contrapposizione tra la bella illusione apollinea del mondo

del sogno, quindi l’aspetto figurativo e il mondo

dionisiaco che è quello non figurativo.

Nello stato di sogno, nella cui produzione ogni uomo è un

perfetto artista, tuttavia avvertiamo il sentimento di

illusorietà, di apparenza. Non sono solo le immagini

piacevoli che l’uomo contempla, ma anche ciò che è triste,

33

torbido, tetro, poiché il velo dell’illusione non può

nascondere le forme fondamentali della realtà. «Così,

mentre il sogno è il giuoco del singolo uomo con il reale,

l’arte dello scultore è il giuoco con il sogno»57, afferma

Nietzsche. Il dio delle rappresentazioni di sogni è proprio

Apollo, considerato la divinità dell’arte. Dio del sole e

della luce, governa anche la bella parvenza del mondo

interiore della fantasia. La perfezione dello stato del

sogno in antitesi alla realtà quotidiana lo eleva a dio

vaticinante, ma anche a dio artistico. Il dio della bella

illusione deve essere anche quello della conoscenza vera:

quel confine, quel limite dai moti più selvaggi non può

mancare a un dio plastico come Apollo, simbolo della quiete

e della saggezza.

Al contrario l’arte dionisiaca si basa sul giuoco con

l’ebbrezza e in particolare sono due le forze con cui si

sprigiona: l’impulso primaverile e la bevanda narcotica. In

entrambi gli stati viene spezzato il “ principium

individuationis ”, ossia l’elemento soggettivo che svanisce

di fronte alla violenza prorompente dell’elemento umano,

anzi universalmente naturale. Nelle feste dionisiache si

assiste a una riconciliazione tra uomo e uomo, ma anche tra

uomo e natura; qui tutte le divisioni sociali scompaiono e

l’uomo si manifesta come membro di una comunità superiore e

più ideale, in quanto non sa più né parlare né camminare.

Nello stato dionisiaco l’uomo non è più artista, ma è

57 Friedrich Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo, in idem, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e scritti dal 1870 al 1873, Adelphi, Milano, 1973, p. 49

34

diventato opera d’arte e sta, rispetto alla natura, nello

stesso rapporto in cui la statua sta rispetto all’artista

apollineo. Se l’ebbrezza è il giuoco della natura con

l’uomo, la creazione dell’artista dionisiaco è quindi il

giuoco con l’ebbrezza stessa. L’artista deve trovarsi nello

stato di ebbrezza e al tempo stesso essere fuori di sé come

un osservatore in agguato: ebbrezza e assennatezza devono

convivere.

Questa coesistenza caratterizza il punto culminante della

grecità: in origine solo Apollo è il dio dell’arte e

l’unico in grado di frenare gli impulsi e gli istinti

primordiali di Dioniso. Ben presto però quanto più si

sviluppò lo spirito artistico apollineo, tanto più

liberamente crebbe, in parallelo, lo spirito dionisiaco.

L’artista dionisiaco è in grado di rendere immediatamente

comprensibile l’essenza di ciò che gli appare: «egli domina

anzi sul caos della volontà che non ha ancora acquistato

una figura, e da ciò in ogni momento creativo può produrre

un mondo nuovo, ma altresì quello antico, noto come

apparenza»58. Fu lo spirito apollineo a reprimere con la

bellezza l’infuriare tumultuoso dello spirito dionisiaco; i

Greci conoscevano i terrori e le atrocità dell’esistenza e

tentarono di velarli. È questo uno dei motivi che li spinse

a creare il mondo olimpico degli dei, un mondo della

bellezza, della quiete e del godimento. Con questa arma i

Greci lottarono contro il talento, correlativo a quello

58 Ivi, p. 54

35

artistico, del dolore e della sapienza del dolore. «Mai

però la lotta tra la verità e bellezza fu più grande che

durante l’invasione del culto di Dioniso: in esso la natura

si svelava e parlava con terrificante chiarezza del suo

segreto, ossia con il suono, di fronte al quale la

seducente illusione quasi perdette il suo potere»59. In

tutte le forme della vita cominciò una grande rivoluzione e

dappertutto penetrò il culto dionisiaco, persino nell’arte.

Il culto figurativo della civiltà apollinea trovò il suo

scopo nell’esigenza etica della misura, ossia quella della

bellezza: il limite che bisognava mantenere era quello

della bella illusione. In questo mondo che aveva il fine di

celare la verità, tuttavia penetrò il suono estatico di

Dioniso, dove tutto l’eccesso della natura in gioia, dolore

e conoscenza si manifestò contemporaneamente. Tutto quello

che valeva come limite e misura si rivelò un’illusione:

l’eccesso si svelò come verità.

Nietzsche60 spiega a questo punto che nel mondo si

manifestò così l’armonia, che nel suo movimento ci mostra

la volontà della natura. Nasce un’arte cioè in cui la

verità scaccia l’illusione e fa ascoltare cose prima

nascoste dallo spirito apollineo.

1.3.1

La condizione prevista dallo spirito dionisiaco, quella

dell’ebbrezza, dell’irrazionalità, dell’emozione fa pensare

a quella di cui ci parla Baudelaire a proposito

59 Ivi, p. 5960 Ivi, p. 63

36

dell’artista. Secondo Baudelaire61 l’artista deve porsi

nello stato di un convalescente e questa convalescenza è

come un ritorno verso l’infanzia. Sia il convalescente sia

il fanciullo possiedono al massimo grado la capacità di

interessarsi a ogni cosa vivamente, anche a ciò che risulta

banale in apparenza. «Il fanciullo vive sempre in novità;

egli è sempre ebbro»62, dice il poeta e in seguito aggiunge

che l’uomo di genio ha i nervi saldi mentre il fanciullo li

ha deboli: nel primo ha preso il sopravvento la ragione e

nel secondo invece la sensibilità occupa quasi tutto

l’essere. «Ma il genio non è che l’infanzia ritrovata con

la volontà, l’infanzia dotata, per esprimersi, di organi

virili, e dello spirito analitico che gli permette di

ordinare il cumulo di materiali involontariamente

ammassati»63. A questa curiosità profonda e gioiosa bisogna

attribuire l’occhio estatico dei fanciulli davanti al

nuovo, qualunque esso sia. Pertanto l’uomo che riesce a

ritrovare la condizione dell’infante risulta un genio per

il quale nessun aspetto della vita ha perso la sua

primitiva vivacità.

Nemmeno Rodin perde mai l’interesse per ogni aspetto della

vita: la riconciliazione dell’uomo con la natura di cui ci

parlava Nietzsche nello spirito dionisiaco la vediamo

appunto nelle sue sculture. È proprio Rodin64 a dichiarare

61 Cfr. Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in idem, Poesie e prose,cit., p. 93962 Ibidem 63 Ibidem 64Cfr. Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 30

37

che per il grande artista in Natura tutto ha carattere e

ciò che in Natura spesso è considerato brutto, nell’arte

invece presenta maggior carattere di ciò che è considerato

bello. Per Rodin l’errore più grande dell’artista è quello

di celare l’anima e la verità:

quando attenua le smorfie del dolore, il deformarsi della vecchiaia,

l’orrore della perversità, quando abbellisce la Natura, quando la

maschera, la traveste, la mitiga per piacere al pubblico ignorante,

produce bruttezza, perché ha paura della verità65.

Questi pensieri di Rodin mi riconducono alla teoria

dell’arte di Konrad Fiedler, giudicato anche da Benedetto

Croce come il maggiore e più originale filoso dell’arte in

Europa nella seconda metà del XIX secolo.

Uno degli aspetti trattati dalla sua teoria riguarda

proprio la critica nei confronti dell’estetica: il filosofo

si scaglia contro il concetto del bello nell’arte, in

quanto il valore di un’opera non coincide con la bellezza.

«Estetica non significa teoria dell’arte. L’estetica è

volta all’indagine di un determinato tipo di sentimenti,

mentre l’arte si rivolge anzitutto all’intelletto, e ha che

fare col sentimento solo in secondo luogo»66. Infatti

Lionello Venturi67 considera Fiedler il fondatore della

“scienza dell’arte”, distinta dall’estetica. Venturi spiega

65 Ibidem 66 Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, TEA, Milano, 1994, p. 667 Cfr. Lionello Venturi, Storia della critica d’arte, Einaudi, Torino, 1970, p.287

38

che l’intento del filosofo è quello di riportare l’arte al

problema della conoscenza, di escludere il sentimento e

ridurre l’arte a conoscenza della forma: «il modo artistico

è quello della rappresentazione, della forma»68.

Secondo Fiedler69 , cercare la bellezza può apparire come

qualcosa di elevato mentre in realtà non si eleva di molto

sopra tutte le banali consuetudini dell’uomo che derivano

dal tentativo di rendere la vita più piacevole. Il bello e

il buono possono essere considerati come il gradevole e

l’utile:

di fronte a tutto ciò, solo verità e conoscenza appaiono l’unica

occupazione degna dell’uomo, e se si vuole assegnare all’arte un posto

fra le più alte tendenze dello spirito, occorre indicarle come fine

solo lo slancio alla verità, la spinta al conoscere70.

Fiedler continua a chiarire la sua teoria, secondo la quale

il giudizio estetico si forma solo attraverso la conoscenza

e non in base al gusto: «un’opera d’arte può dispiacere, ed

essere ugualmente pregevole»71. Il filosofo critica coloro

che credono di valutare nell’opera d’arte i motivi estetici

e allo stesso tempo quelli che trascurano il contenuto in

favore della forma, in quanto entrambi producono un’analisi

imprecisa e insufficiente. Egli riconosce che ad ogni modo

non può sfuggire il fatto che l’opera d’arte gravita sulla

68 Ibidem69 Cfr. Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte,cit., p. 1070 Ibidem 71 Ivi, p. 11

39

forma e da qui l’importanza di essa, ma l’errore sta

nell’attribuirle come unico valore artistico la sua

esteticità. Secondo Fiedler72 la tradizionale divisione di

soggetto e forma, quindi contenuto ed espressione, è

inessenziale: ciò che si intende per contenuto è cosa

secondaria mentre ciò che si indica per la forma è

avvilente. Infatti nell’opera d’arte è la forma stessa che

realizza il soggetto in nome del quale nasce l’opera;

questa forma è allo stesso tempo anche contenuto e pertanto

non ha da esprimere che sé stessa.

L’essenziale valore artistico della forma sta nella

conoscenza mediata ed espressa dalla forma medesima, così

il suo valore estetico e allo stesso modo quello del

contenuto appare come accessorio.

Un altro tema su cui Fiedler73 focalizza l’attenzione è il

rapporto tra scienza e arte, inevitabile nel nuovo contesto

moderno. Essendo l’arte un linguaggio al servizio della

conoscenza, essa come le scienze positive deve contribuire

al progresso. Fiedler rileva che nella società moderna si

tenta di accantonare l’arte, così come Rodin, quando

sostiene che «la nostra è l’epoca degli ingegneri e degli

industriali, non è affatto quella degli artisti»74. Rodin

nota che l’arte è morta e che l’umanità pensa di poterne

fare a meno, interessata soltanto alla ricerca dell’utile.

Fiedler75 propone di restituire valore all’arte, non72 Ivi, p.6173 Ivi, p. 35 74 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 1075 Cfr. Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, cit., p. 37

40

considerandola un accessorio, ma una indispensabile

estrinsecazione di vita. Essa deve avere parità di diritti

con le scienze positive, poiché entrambe sono parte del

mondo reale.

Spesso è sorto l’errore di ritenere l’arte qualcosa di

puramente soggettivo, ma occorre risolvere il problema

attraverso una nuova concezione. Lo spirito umano in certi

casi si vede costretto a servirsi di un altro strumento per

impadronirsi della vita stessa, in quanto quello da lui

utilizzato può presentare un difetto. È in questa

circostanza che appare l’arte: dobbiamo riconoscere che la

conoscenza scientifica ha i suoi limiti naturali, in modo

tale che l’arte risulti uno dei mezzi forniti agli uomini

per appropriarsi del mondo. «Ora la scienza ci fa conoscere

il mondo da un lato, l’arte dall’altro; nessuna delle due

esaurisce interamente il contenuto del mondo, ambedue

restando nella propria sfera. L’arte pertanto ha il compito

di contribuire dal suo lato all’oggettivazione del

mondo»76. La realtà dell’arte comincia quindi dove cessa la

validità dei mezzi scientifici; non per questo l’arte mette

da parte la sfera della realtà, ma la persegue là dove quei

mezzi non arrivano e penetra nelle radici della percezione

dei sensi, dove un’intuizione ancora sottoposta ai fini

della conoscenza concettuale non riesce ad arrivare.

L’arte è una forma di linguaggio attraverso la quale

determinati oggetti vengono elevati alla sfera della

76 Ivi, p. 45

41

coscienza umana; essa ha quindi come scopo la conoscenza di

una certa categoria di cose.

«L’arte è infinita, in ogni opera d’arte ne appare solo un

frammento, e tuttavia in sé si presenta come qualcosa di

perfettamente concluso»77, afferma Fiedler in uno dei suoi

aforismi sull’arte. L’arte è vista come una produzione

incessante e inesauribile di forme e la scultura rodiniana

ne è l’esempio calzante.

Mi sovviene una scultura di Rodin, la Menade(fig.n.3),

un’opera che non presenta la testa e per questo ad alcuni

potrebbe sembrare incompleta. In realtà Rodin rinuncia alla

totalità della figura, poiché gli basta un frammento per

esprimere l’idea: «l’opera d’arte non contiene un’idea, è

essa stessa un’idea»78, dice Fiedler. Quest’ultimo dichiara

inoltre che «qualsiasi attività che si cominci deve

rinunciare alla totalità e prendere le sue mosse dal

particolare»79.

L’arte deve nascere da un armonico equilibrarsi degli

elementi: quanto più l’equilibrio interno è ottenuto nel

più frammentato particolare, tanto più l’opera d’arte sarà

meravigliosa e soprattutto infinita.

Ancora Fiedler, affronta il problema della mimesis: «nelle

opere d’arte migliori si nota un rispettoso, umile

accostarsi alla natura; in quelle infime, la brutale

volontà di dominarla»80. Lo stesso Rodin non condivide77 Ivi, p. 6078 Ibidem 79 Ivi, p. 10780 Ivi, p. 60

42

l’atteggiamento di alcuni artisti del suo tempo che

pretendono di imitare pedissequamente la natura: «ma

violentando così la Natura, trattando gli esseri umani come

fossero bambole, rischiano di produrre opere artificiali e

morte. Quanto a me, cacciatore di verità e in appostamento

alla vita, mi guardo bene dall’imitare il loro esempio»81.

Rodin continua il suo discorso, sottolineando che una

persona mediocre, copiando, non sarà mai in grado di

produrre un’opera d’arte, poiché egli guarda senza vedere e

produrrà qualcosa di piatto e inespressivo.

Secondo Fiedler82 quando un’artista rimprovera al non-

artista di non saper vedere non vuole accentuare il fatto

che quest’ultimo veda in modo impreciso e inesatto, ma

intende qualcosa di diverso. L’occhio dell’artista giunge

in profondità, nel seno della natura e non segue che sé

stesso: si svincola da tutte le considerazioni che si

presentano necessarie al conoscere discorsivo e in questo

modo vede aprirsi di fronte a sé il mondo della realtà,

finalmente rivelato.

Infatti «l’essenza del genio è di aprire gli occhi al mondo

cosicché gli uomini pensino di essere stati ciechi prima

d’allora; e perciò il genio non ha precursori, ma soltanto

imitatori»83, scrive Venturi nell’esaminare le teorie di

Fiedler.

81 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 1982 Cfr. Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, cit., p. 8583 Lionello Venturi, Storia della critica d’arte, cit., p. 288

43

L’eterno valore delle opere d’arte si ricava, secondo

Fiedler84, soltanto dal valore intrinseco di verità

artistica: non si tratta della verità scientifica né

storica, poiché l’arte può rappresentare anche qualcosa di

non vero, di arbitrario o di fantastico, senza però che

l’altissima verità presente all’interno della

rappresentazione venga pregiudicata.

Infine mi sembra interessante citare un aforisma di Fiedler

che può ricondurci anche ad un discorso di Baudelaire: «lo

stupore è il primo inizio dell’arte come della

filosofia»85. Infatti anche secondo Baudelaire86 lo stupore

è uno dei grandi godimenti cagionati dall’arte che si

origina dalla varietà dei tipi e delle sensazioni,

altrimenti l’arte si presenterebbe monotona e impersonale.

1.3.2

Nel periodo subito successivo a quello in cui scrive

Fiedler, uno storico dell’arte, Heinrich Wölfflin, affronta

il problema della forma, compiendo un’indagine sulla storia

dell’arte del ‘400, ‘500 e ‘600. Egli si occupa di questi

periodi storici, seguendo ben cinque categorie di concetti

fondamentali: si tratta di un sistema di analisi molto

valido di cui servirsi per la critica di ogni opera d’arte.

Il punto saliente della ricerca di Wölfflin riguarda la

rappresentazione come tale, nel senso che ogni artista

risulta vincolato dall’epoca in cui vive: compito della84 Cfr. Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, cit., p. 99 85 Ivi, p. 14186 Cfr. Charles Baudelaire, Esposizione Universale, in idem, Poesie e prose, cit., p. 780

44

storia dell’arte sarà quindi quello di analizzare il modo

di vedere, ossia le determinate possibilità ottiche in una

certa epoca.

La prima categoria trattata dallo studioso è quella del

lineare e del pittorico ed è la più rilevante per

comprendere il problema della forma nell’arte moderna e nel

nostro caso la scultura rodiniana. Wölfflin87 individua un

passaggio dal lineare al pittorico, cioè dal concretarsi

della linea come guida dell’occhio alla sua graduale

svalutazione: da una parte si avvertono gli oggetti nei

loro elementi tattili e nelle superfici, dall’altra invece

si percepiscono affidandosi all’apparenza visibile della

realtà. Si tratta di due modi di vedere fondamentalmente

diversi: il pittorico si sviluppa più tardi e non si può

immaginare senza il lineare. Lo stile lineare ha messo in

risalto elementi che al pittorico non interessano più,

poiché sono due maniere diverse di vedere la vita, ma

comunque capaci, ciascuno per conto proprio, di rendere un

quadro completo della realtà visibile. In generale

possiamo affermare che lo stile lineare procede per linee

mentre il pittorico per masse: nel primo caso l’occhio

viene guidato dai contorni, nel secondo invece il vedere è

distolto dai margini e il contorno risulta indifferente.

Nel pittorico la forma comincia a farsi incostante, poiché

mira al movimento; al contrario lo stile lineare segna un

netto confine tra forma e forma.

87 Cfr. Heinrich Wölfflin, I concetti fondamentali della storia dell’arte, TEA, 1994,p. 35

45

Già gli antichi conoscevano questa distinzione, in base

alla quale esiste una rappresentazione oggettiva che

riproduce le cose come sono e una più soggettiva che pone

come base l’immagine, come appare all’occhio dell’artista e

che spesso ha poca somiglianza con l’aspetto reale delle

cose.

Wölfflin sostiene che «l’una è l’arte dell’essere, l’altra

l’arte del sembrare»88, in quanto quest’ultima desidera

rimanere fluttuante piuttosto che essere consolidata in

linee e piani.

Questa grande antitesi tra i due stili deriva da un

interesse diverso nei confronti della realtà: in quello

lineare la figura è salda e la forma misurabile e

delimitata, in quello pittorico predomina la bellezza del

movimento che vibra nel tutto e che è insieme anche la

vita.

La trasformazione del lineare in pittorico è possibile

scorgerla sia in pittura che in scultura: nel primo caso

basta osservare un dipinto impressionista, come una via

animata di Monet, in cui assolutamente nulla coincide nel

disegno con quelle forme che crediamo di conoscere in

natura. Si tratta pertanto di una pittura che si allontana

dalla rappresentazione oggettiva e preferisce mostrare il

mondo così come vien visto, ossia come appare all’artista.

Anche in scultura si riscontra una differenza tra lo stile

lineare e quello pittorico e non si distingue molto da

88 Ivi, p. 45

46

quello che si verifica in pittura. La scultura classica è

orientata verso un limite mentre a partire dal barocco ci

accorgiamo che non esistono più i contorni, nel senso che

la figura non vuole essere fissata entro i limiti di un

profilo preciso. Ovviamente anche la scultura classica può

essere osservata da vari punti di vista, ma le altre vedute

sono secondarie rispetto a quella principale; invece gli

scultori moderni si pongono l’obiettivo di creare

un’atmosfera intorno alla loro figura, che Arturo Martini89

definisce “quarta dimensione”. Egli ritiene, riprendendo

Rodin, che la quarta dimensione sia la soluzione vitale

della scultura in quanto si sposa e si esprime nello

spazio.

La scultura secondo lo stile pittorico rifiuta la forma

compiuta ed è in continuo divenire. Infatti sempre Martini

afferma che «la forma non è una precisazione, formazione di

un oggetto, ma la sua negazione essendo un fenomeno

mutabile e indipendente»90. Poi aggiunge altre

considerazioni come «la forma non è mai un solido ma un

vuoto che lo contiene… La scultura non è che un involucro

che esclude il soggetto perché ne è la forma, cioè lo

spirito del soggetto. La forma non è che il caos che si

compone volta per volta come un grembo materno»91.

Un’altra differenza tra i due stili si riscontra anche al

livello delle luci e delle ombre: mentre nell’arte classica89 Cfr. Arturo Martini, La scultura lingua morta e altri scritti, Abscondita, Milano, 2001, p. 2290 Ivi, p. 2191 Ivi, p. 22

47

il chiaroscuro è subordinato alla forma plastica, in quella

moderna sembra che le luci siano animate da una loro vita

autonoma, poiché giocano sulle superfici con molta libertà

di movimento.

La scultura moderna ricorre a un tipo di raffigurazione che

non ha più a che vedere con la forma obiettiva, ma può

qualificarsi come impressionista. Essa arriva a gareggiare

con la pittura, nel senso che anche la pietra viene piegata

a creare l’illusione di ogni specie di materia. Afferma

Wölfflin che «si impara a riprodurre lo sguardo luminoso

dell’occhio, la lucentezza della seta e la morbidezza della

carne»92. Questo perché il movimento deve sempre propagarsi

e non irrigidirsi in un’atmosfera di immobilità, producendo

una bellezza che ha il suo fondamento in una forma non

pienamente visibile, ma misteriosa.

Nel trattare i due differenti stili, Wölfflin93 arriva a

domandarsi dov’è che finisce l’elemento lineare e dove

inizia l’elemento pittorico nel corso della storia

dell’arte. Egli sostiene che è impossibile indicare il

punto esatto in cui il movimento ha preso il sopravvento

sulla staticità, poiché si tratta di un processo evolutivo

piuttosto lungo. Inoltre precisa che accanto all’esperienza

ottica prodotta dal pittorico, si avvertirà sempre

l’esigenza di un’arte che non colga soltanto gli aspetti

dinamici, ma tenti di rappresentare la realtà tramite il

linearismo. Per questo motivo Wölfflin invita ogni

92 Heinrich Wölfflin, I concetti fondamentali della storia dell’arte, cit., p. 7793 Ivi, p. 55

48

insegnante ad esercitare i suoi scolari in entrambi i modi

di rappresentazione.

In base a questa ultima considerazione, potremmo forse

affermare che torna il concetto di complementarietà di cui

ci ha parlato Nietzsche, ossia l’apollineo e il dionisiaco

insieme.

La complementarietà dei due aspetti, del lineare e del

pittorico, la riscontriamo anche nella scultura di Rodin. È

lui stesso ad affermare che «l’illusione della vita, nella

nostra arte, si ottiene solo grazie al buon modellato e al

movimento. Queste due qualità sono come il sangue e il

respiro di ogni bella creazione»94. Innanzitutto Rodin si

preoccupa di distinguere l’arte classica da quella

accademica: «mentre negli antichi la generalizzazione delle

linee è una totalizzazione, una risultante di tutti i

dettagli, la semplificazione accademica è un impoverimento,

una vuota ampollosità»95. Poi aggiunge che gli antichi

hanno realizzato le loro opere tramite la scienza del

modellato che consiste nell’immaginare le diverse parti del

corpo non come superfici più o meno piatte, ma come rilievi

di volumi interni. Oltre a considerare le forme sempre in

profondità, quindi seguendo il metodo del modellato, Rodin

non trascura l’aspetto del movimento: le sue statue

respirano e producono l’impressione della carne reale.

94 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 4195 Ivi, p. 37

49

Avendo parlato delle teorie di Fiedler e di Wölfflin, non

possiamo non citare una figura di rilievo nel contesto di

fine ‘800 come lo scultore Adolf Von Hildebrand.

Quest’ultimo non solo ha realizzato una serie di importanti

sculture, ma si è anche occupato di teoria dell’arte,

avendo pubblicato un libro intitolato Il problema della forma.

In questo testo Hildebrand affronta il problema della

costruzione stessa dell’arte plastica figurativa, non

dell’arte in generale, e si preoccupa di sottolineare il

valore razionale dell’arte, indipendentemente dall’arbitrio

personale e dai vari contenuti emozionali. Hildebrand

attribuisce alle arti figurative il concetto di

“architettonicità”, per esprimere la loro situazione

autonoma di fronte alla natura e all’uomo. La forma è un

prodotto della rappresentazione, è costruzione e non

imitazione: in questa costruzione , secondo Hildebrand96,

non c’è spazio per l’aspetto dionisiaco, ma è quello

apollineo a prevalere su tutto. La scultura da lui prodotta

è chiaramente ispirata al classicismo e ricorda la

statuaria ellenistica: essa è caratterizzata da linearismo

e semplicità, anche se si possono individuare alcuni

aspetti nuovi e che si allontanano dal classicismo puro. Si

può infatti definirlo un classicismo “spontaneo”, in quanto

dall’osservazione delle sue opere si evincono alcuni

caratteri riscontrabili anche nella scultura rodiniana. Ad

esempio alcune figure sono piegate, come Il ragazzo con la palla

96 Cfr. Adolf Hildebrand, Il problema della forma, G. D’Anna, Messina-Firenze, 1949, p.4

50

(1884) che può ricordare, per alcuni aspetti, la statua del

Pensatore di Rodin.

In generale però Hildebrand è definito come “classicista” e

sul finire del secolo decimo nono nasce l’opposizione con

Rodin. Infatti Hildebrand esprime la conversione del gusto

europeo alla “forma”, al “costruito”, secondo i moduli

della tradizione greco- romana e rinascimentale.

Il gusto di Hildebrand è rivolto all’anticromatismo e alla

realizzazione in grande e proprio per questo capiamo che

non poteva amare Rodin la cui arte gli appariva

frammentaria.

L’asse teorico del pensiero di Hildebrand riguarda la

distinzione tra visione vicina e visione lontana: la prima

è propria del procedere scientifico, la seconda

dell’artista. La visione vicina ci fornisce l’oggetto con

una sommatoria di movimenti nei quali domina la naturalità

e di fronte a cui l’occhio si comporta in modo passivo. La

visione lontana invece consente il possesso dell’oggetto a

distanza in modo unitario, con un unico atto istantaneo. Da

questi due tipi di visioni scaturisce la differenza tra due

modi di rappresentazione: il materiale o tattile e il

percettivo o ottico. A loro volta questi due modi

determinano due tipologie di forme, quella “esistenziale” e

quella “attiva”: la prima è la forma che realmente hanno

gli oggetti nella visione vicina, quando l’occhio sembra

quasi tastarli, la seconda è la forma con la quale

l’oggetto si presenta in lontananza, ossia con gli effetti

51

di cui è capace. Secondo Hildebrand97, compito dell’artista

è avere di mira la forma attiva, in modo da ottenere certi

effetti a determinate distanze.

Dietro a questo criterio possiamo leggere due aspetti e uno

di questi sta nel voler superare l’istanza imitativa della

poetica verista, principio contro cui si scaglia fortemente

anche Fiedler. L’altro invece risulta essere un indice di

corrosione della stessa visione classicistica, resa ormai

inevitabile dall’emergere delle nuove manifestazioni

artistiche da essa indipendenti come l’impressionismo.

Pertanto in quella distinzione tra materiale o tattile e

percettivo o ottico potremmo riscontrare la medesima

differenza operata da Wöllflin, quando ci parla del lineare

e del pittorico. In qualche modo nel classicismo di

Hildebrand, non esiste solo il lineare, il definito, ma si

fa strada anche il pittorico, in cui la forma non è

delimitata, ma tende al movimento. Infatti nel Problema della

forma troviamo una frase di Hildebrand che ci aiuta a

capire come anche lui avverte i cambiamenti di quel

periodo: «oggi non si dan più forme totali capaci di

possedere obiettivamente in se stesse un senso come forma e

che per questo possano essere sbozzate fin da principio

come tali»98.

Un aspetto che accomuna Hildebrand e Rodin riguarda inoltre

il rapporto con Michelangelo, assunto come modello da

seguire per intraprendere il proprio lavoro di scultori.

97 Ivi, p.798 Ivi, pp.102-103

52

Hildebrand apprezza in particolare di Michelangelo

l’aspetto del non-finito, il che potrebbe risultare una

contraddizione dato il suo scopo di realizzare una scultura

finita e conclusa. In realtà Hildebrand distingue il

massimo potenziamento della scultura michelangiolesca a

larghe masse e bloccata rispetto alla scultura francese

contemporanea che sembra diluire il soggetto nell’informe e

nell’indeterminato.

Invece Rodin, come ora vedremo, amò Michelangelo con tutte

le sue forze e riuscì ad assimilare tutto della sua arte,

in quanto seppe riconoscere la sua enorme importanza.

CAPITOLO 2: LA MEMORIA MODERNA

2.1 Rodin e Michelangelo

Nel gennaio del 1876 Rodin decise di fare un viaggio in

Italia: raggiunse Torino, Genova e Firenze, alla ricerca

dell’artista che egli amò con tutte le forze, Michelangelo

Buonarroti.

Rodin aveva sentito l’eco delle manifestazioni del

settembre 1875 per celebrare il quarto centenario dalla

nascita di Michelangelo e così decise, giunto a Firenze, di

chiudersi per quattro giorni nella Sagrestia di San Lorenzo

a studiare le tombe medicee. A contatto con le opere di

53

Michelangelo, Rodin avvertì che l’artista gli stava

consegnando qualche segreto, una rivelazione.

Come ci fa notare Marco Vallora99, il termine “segreto” era

piuttosto in voga in quel periodo, poiché utilizzato dai

simbolisti francesi.

Sebbene Rodin già conoscesse da tempo i calchi in gesso del

Louvre e le riproduzioni delle sculture di Michelangelo,

poterlo ammirare dal vero gli consentì di comprendere che

l’artista italiano aveva guardato la natura e ne aveva

tratto gli elementi per esprimere sia la vitalità che

l’inquietudine dell’essere umano.

Flavio Fergonzi ipotizza un altro paio di motivi che hanno

spinto Rodin a recarsi in Italia, perché attratto dalla

figura di Michelangelo. Uno di questi è rappresentato dalla

rivista francese L’Art che a partire dal 1875 domina la

scena artistica d’oltralpe: qui Michelangelo è

continuamente celebrato e le raffigurazioni delle sue opere

spiccano numerosissime. Inoltre sulle pagine della rivista,

Firenze appare come una sorta di luogo mitico, «dove la

semplicità severa dell’ornamentazione è il segno tangibile

del raggiunto equilibrio tra le arti»100. Infatti la

scultura di Michelangelo si accorda perfettamente sia con

le memorie dantesche che con la sobria decorazione dei

palazzi quattrocenteschi di Donatello e di Cellini.

99 Cfr. Marco Vallora, Rodin, cit.,p. 40100 Flavio Fergonzi, Maria Mimita Lamberti, Christopher Riopelle, Rodin e Michelangelo: Michelangelo nell’Ottocento, Charta, Milano, 1996, p.117

54

L’altro elemento che contribuisce ad accrescere l’interesse

verso Michelangelo, secondo Fergonzi101, risulta un articolo

del novembre 1875 in cui si affermava che l’opera del

maestro apriva all’arte moderna. Inoltre sempre all’interno

dell’articolo si annunciava l’istituzione di un concorso: a

un giovane artista scelto da una giuria si assegnavano

cinquemila franchi per un soggiorno biennale a Firenze.

Una volta giunto nella città sull’Arno, Rodin fece visita

alla Sagrestia Nuova di San Lorenzo, ma anche all’Accademia

per vedere il David e il San Matteo. All’Accademia inoltre

erano allestiti i gessi della mostra del quarto centenario

che rappresentarono per Rodin la prima occasione per

effettuare verifiche ad ampio raggio sulla statuaria

michelangiolesca. Infine la verità cruciale sul materiale

grafico è stata compiuta a Casa Buonarroti, in cui Rodin ha

cercato di carpire alcuni dei segreti dell’artista.

Rodin non decise di seguire passivamente Michelangelo, ma

scelse ciò che gli era più congeniale: in particolare

l’aspetto delle torsioni e del non-finito. In realtà, come

sottolinea Vallora102, Rodin assimilò tutto, in modo da

poter diventare un “secondo Michelangelo”.

Del viaggio in Italia fa accenno lo stesso Rodin nelle

conversazioni raccolte dal critico d’arte Paul Gsell: “io

stesso quando andai in Italia, con il cervello pieno dei

101 Ivi 102 Cfr. Marco Vallora, Rodin, cit., p. 40

55

modelli greci che avevo appassionatamente studiato al

Louvre, rimasi sconcertato davanti a Michelangelo”103.

Inoltra ricorda l’emozione provata di fronte alla Pietà nel

Duomo di Firenze e dell’amore che egli provò subito nei

confronti del grande maestro, sottolineando come le sue

opere recano tracce di questa passione. Nel suo discorso su

Michelangelo, Rodin lo considera l’erede degli artisti del

XIII e del XIV secolo, l’ultimo e il più grande degli

artisti gotici. Infatti secondo Rodin nella scultura

medioevale si ritrovano le forme e lo spirito tipici

dell’opera michelangiolesca.

Per spiegare le caratteristiche della scultura di

Michelangelo, Rodin realizza un bozzetto d’argilla di

fronte a Gsell: gira dalla stessa parte le gambe e invece

il corpo dalla parte opposta, curva il busto in avanti,

piega e incolla un braccio contro il corpo e l’altro lo

sistema dietro la testa. La posa così ottenuta presenta un

atteggiamento di sforzo, di tensione, in quanto gli arti

non stanno a riposo e il torso è animato. La scultura di

Michelangelo non sta ferma, ma è in movimento, perché vuole

esprimere l’energia inquieta, il tormento, il ripiegamento

dell’anima su sé stessa. L’idea del movimento viene ripresa

da Rodin nella sua scultura, ma, come ci fa notare

Simmel104, si tratta di un concetto diverso: Michelangelo

rimane ancora legato all’ideale classico nel voler esaltare

103 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 120104 Cfr. Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 26

56

la sostanzialità del corpo mentre nel caso dello scultore

francese la mobilità è fine a sé stessa e rappresenta un

momento dell’eterno flusso del divenire.

Se Rodin trae ispirazione dalla scultura di Michelangelo

per quanto riguarda la forma, egli intende precisare che

non condivide un aspetto dell’artista rinascimentale, ossia

il suo disprezzo per la vita. Al contrario lo scultore

francese dichiara: «per quanto mi riguarda, cerco

incessantemente di render più calma la mia visione della

natura. È verso la serenità che dobbiamo tendere…»105.

Come fa notare Donatella Simon, « è questo – ancora una

volta- il pienamente umano di Rodin, che guarda non tanto

alla tragicità dell’esistenza, quanto alla totale immanenza

della vita»106.

Nello stesso periodo in cui opera lo scultore francese, le

Accademie tentano ugualmente una ripresa dell’arte

michelangiolesca, ma l’esito è del tutto differente.

Attraverso la scultura rodiniana si evince una lettura

innovativa di Michelangelo che niente ha a che vedere con

le tentazioni accademiche del neorinascimentalismo

ottocentesco. È soprattutto su questa linea che si

concentra Maria Mimita Lamberti, quando scrive che «la

novità del linguaggio rodiniano attraversa il campo della

continuità e del rispetto accademico per Michelangelo,

finendo per suggerire un’ipotesi di storia della cultura

105 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 131106Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p.23

57

figurativa contemporanea che a Michelangelo risale per la

via quasi obbligata del successo di Rodin»107. Tramite il

recupero di Michelangelo da parte di Rodin, l’aspetto che

maggiormente emerge è l’umanizzazione: infatti lo scultore

Constantin Brancusi in un’intervista del 1925 riconosce

allo scultore francese l’importanza nel ricondurre a

dimensione umana la grande retorica michelangiolesca.

Questo aspetto viene sottolineato anche dal pittore Renato

Birolli, quando a proposito della scultura rodiniana,

sostiene che se pur si tratta ancora di culturalismo, essa

ha già una volontà di dimensione morale, in quanto Rodin è

più preoccupato dell’uomo Michelangelo che della sua opera.

Rodin si rivela scultore della vita moderna anche in questo

caso, ossia nell’intento di svelare nell’opera l’uomo e

l’anima del proprio tempo.

Continua la Lamberti108 che da Rodin parte un’ipotesi

rinnovata per l’apprezzamento moderno di Michelangelo, ma

soprattutto è interessante come gli scultori del nuovo

secolo arrivino al Buonarroti soltanto attraverso lo

scultore francese, come unico passaggio imprescindibile.

Il nesso Rodin-Michelangelo si presenta ad esempio

nell’arte futurista, come nel caso di Umberto Boccioni che

nel Manifesto tecnico della scultura futurista del 1912 evidenzia come

Rodin attualizza l’impeto eroico della scultura

michelangiolesca.

107 Flavio Fergonzi, Maria Mimita Lamberti, Christopher Riopelle, Rodin e Michelangelo, cit., p. 14108 Ivi

58

Ancora Roberto Longhi ritiene che la scultura moderna inizi

da Michelangelo e si preoccupa di sottolineare come il

nocciolo michelangiolesco riesca a riemergere nella

tradizione francese proprio grazie a Rodin che distrugge il

contesto accademico e consente una sorta di rinascita

dell’artista fiorentino.

Il rapporto tra Rodin e Michelangelo viene trattato anche

da Christopher Riopelle109 che individua due aspetti in

particolare che legano l’artista francese al Buonarroti.

Innanzitutto è il discorso della forma, della capacità

tecnica ed espressiva che Rodin riprende da Michelangelo,

ma bisogna anche tener conto che alla fine del XIX secolo

l’artista era considerato la personificazione del genio

italico. Rodin quindi si pose sia l’obiettivo di diventare

lo scultore dell’espressività della figura umana, sia di

rappresentare la genialità del suo popolo.

2.1.1

Il legame con Michelangelo nasce già nel 1865, con la

realizzazione della scultura intitolata l’Uomo dal naso

rotto(fig.n.4), con la quale Rodin si allontanava dal

convenzionale concetto di bellezza, a favore di un’opera

più rozza e d’ispirazione quotidiana. L’opera frammentaria

rivela già un recupero del non finito michelangiolesco, ma

in realtà rappresenta il ritratto dello stesso maestro

fiorentino.

109 Ivi

59

Invece nel giugno del 1875 Rodin pose mano a un nudo

maschile, L’età del bronzo(fig.n.5), a grandezza naturale;

nello stesso periodo, avvertendo che aveva bisogno di

confrontarsi dal vivo con le opere di Michelangelo,

progettò il citato viaggio in Italia. L’opera rimase

incompiuta quando Rodin partì nel 1876 per Firenze ove

eseguì bozzetti che oggi sono conservati al Musée Rodin di

Parigi.

Il viaggio in Italia lo portò inoltre a visitare Roma e la

Cappella Sistina, ma anche Napoli dove Rodin si soffermò a

studiare la scultura classica. Quest’ultima però non lo

colpì come lo attrassero invece la tensione e la torsione

delle figure michelangiolesche. La scultura classica calma

ed equilibrata non rispecchia, come ormai sappiamo, la

volontà di Rodin, che dichiarava: «lo spirito moderno

sconvolge e frantuma tutte le forme in cui si incarna».

Questo spirito moderno, più violento, più vigoroso è meglio

rappresentato dalle figure michelangiolesche e da allora

Michelangelo diventò il suo modello di riferimento.

Verso la fine del 1876 Rodin completò L’età del bronzo, nel

quale è evidente il debito nei confronti di Michelangelo,

soprattutto nella posa della figura che ricorda lo Schiavo

morente(fig.n.6). Si tratta di una delle prime opere che

mostra l’influenza michelangiolesca e l’evidente distacco

di Rodin dall’accademismo. Marco Vallora110 però ritiene sia

limitante considerare quest’opera un puro omaggio a

110 Cfr. Marco Vallora, Rodin, cit., p. 90

60

Michelangelo: anche se la posa e l’espressione richiamano

lo Schiavo morente, l’attenzione di Rodin è principalmente

rivolta alla resa dell’espressione e della superficie,

picchiettata per conferirle un senso di vibrazione. Vallora

aggiunge anche che nell’opera va rintracciata una

prospettiva simbolista, nella scelta di un soggetto vago

che può ben rappresentare “la forza di un essere che sembra

risvegliarsi da anni di torpore”111.

Secondo Riopelle, l’opera con cui Rodin giunse al più

profondo livello di comprensione dell’arte di Michelangelo

è però la Porta dell’Inferno(fig.n.7), una porta bronzea con la

rappresentazione in bassorilievo di scene della Divina

Commedia. Rodin concentrò la sua attenzione sull’Inferno: si

vedono figure che si dibattono, tormentate, disperate che

ricordano i riferimenti danteschi del Giudizio

Universale(fig.n.8) di Michelangelo. A prima vista le

immagini sembrano informi e di difficile interpretazione,

ma la Porta è presieduta, come il Cristo del Giudizio, da

figure monumentali come il Pensatore che guarda dal timpano

verso il basso e come le Tre Ombre sulla sommità.

Nel lavoro sulla Porta, Rodin cercò di cimentarsi al massimo

nella resa della mente tormentata attraverso la

rappresentazione dei corpi nudi e qui l’esempio di

Michelangelo è particolarmente significativo. Dopo un

attento esame, Rodin riuscì a comprendere in quale modo la

torsione e le tensioni che Michelangelo assegnava ai suoi

111 Ibidem

61

corpi potessero esprimere sofferenza e tumulto interiore.

L’artista francese apprese quindi da Michelangelo come

realizzare le opere monumentali, ma riuscì a raggiungere

uno stile profondamente individuale.

2.1.2In una delle opere più famose di Rodin, Il Pensatore(fig.n.9),

si avverte il richiamo delle forme michelangiolesche.

Spesso è stata sottolineata la somiglianza con il

Geremia(fig.n.10), figura pensierosa della Cappella

Sistina, ma si tratta di un’opera profondamente intrisa

dell’arte di Michelangelo. Essa ricorda il Mosè(fig.n.11) o

il David(fig.n.12), dove forma e vita si corrispondono:

infatti Fergonzi a proposito del Pensatore sostiene che «non

solo la mente ma l’intero corpo, articolato con tale

tensione, è coinvolto nel processo intellettivo»112.

Ancora una scultura che risente profondamente dell’arte di

Michelangelo è l’ Adamo(fig.n.13), la cui prima versione,

realizzata al ritorno dal viaggio in Italia, fu distrutta

dallo stesso Rodin, perché troppo vicina all’artista

rinascimentale. Rodin decise poi di riaffrontare il tema

qualche anno dopo, nel momento di massima meditazione

dell’arte di Michelangelo. L’opera realizzata è più

possente, il che deriva non solo dalla riflessione sulla

scultura michelangiolesca, ma anche dalla scelta del

modello che posò per lui. In quest’uomo Rodin ritrovò

quelle pose che aveva visto con i suoi occhi, quando aveva

112 Flavio Fergonzi, Maria Mimita Lamberti, Christopher Riopelle, Rodin e Michelangelo,cit., p. 80

62

ammirato la Pietà: la mano sinistra che scende in linea

retta dalla fronte e che appunto richiama l’arto inerte

dell’opera di Michelangelo. Inoltre va osservato anche il

dito teso della mano destra come esplicito richiamo all’

Adamo della Cappella Sistina.

Una scultura molto simile all’Adamo è l’Ombra(fig.n.14):

essa però è meno soggetta a torsione e tensione nel

movimento, appare più massiccia e particolarmente

espressiva. Fergonzi rileva che in quest’opera hanno agito

contemporaneamente lo Schiavo morente studiato al Louvre, i

nudi delle tombe medicee e anche la Pietà(fig.n.15).

Non possiamo poi tralasciare la figura di Eva(fig.n.16): se

Adamo si tende, Eva si piega verso il basso, il capo

chinato e le braccia strettissime intorno a sé stessa. La

medesima posa la riscontriamo anche nella figura di Eva

della Cacciata dal Paradiso(fig.n.17) della Cappella Sistina e

questo testimonia ancora una volta l’influenza

michelangiolesca.

Infine va citata anche la scultura intitolata Donna

accovacciata(fig.n.18), ispirata al Giovane

accovacciato(fig.n.19) attribuito a Michelangelo. In questo

caso Rodin ha concepito una scultura complessa, piena di

energia e perfettamente in sintonia con lo spazio

circostante.

2.1.3

Abbiamo visto come si susseguono numerosi i riferimenti

alle opere di Michelangelo, ma dobbiamo anche considerare

63

il ruolo della figura di Rodin nel panorama di fine

Ottocento. Grazie allo scultore francese è stato possibile

rilanciare l’arte rinascimentale di un grande maestro come

Michelangelo, come scrive sul Giornale Beatrice Buscaroli:

«Rodin riscopre la forma antica, rinascimentale e classica

e la offre al futuro»113. Aggiunge inoltre che la scelta di

rifarsi al non-finito di Michelangelo non è un modo per

rappresentare la sofferenza della condizione esistenziale,

ma piuttosto per far dialogare le figure con lo spazio

circostante. Rodin

è il solo scultore europeo che abbia il coraggio di raccogliere il

lascito di Michelangelo. Di ripartire da lì. Michelangelo non aveva

avuto veri e propri seguaci… Michelangelo è senza eredi, in tutto,

aveva risucchiato dai linguaggi tutto ciò che poteva, compreso sé

stesso. E così Rodin non avrà allievi114.

Le stesse considerazioni vengono svolte anche da Simmel, in

quanto ritiene che la storia della scultura si chiuda con

Michelangelo: «ciò che viene dopo di lui è o degenerazione

barocca o, anche nelle sue più nobili manifestazioni,

lavoro di epigoni, assoggettato alla sua lezione o a quella

dell’età antica»115. Dopo Michelangelo, Simmel non riesce ad

individuare nuovi stili nella storia dell’arte plastica,

113 Beatrice Buscaroli, Auguste Rodin, un Michelangelo della modernità, in <Il Giornale.it>, 17 ottobre 2010114 Ibidem 115 George Simmel, L’arte scultorea di Rodin e le tendenze spirituali dell’età contemporanea, in Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 35

64

fino all’arrivo di Rodin che invece «ha compiutamente

attuato la prima svolta di principio dal modello dell’età

antica- e questo dal lato e nella direzione di un nuovo

stile»116.

Rodin ha infatti dimostrato che lo stile classicista, il

quale si ritiene lo stile della scultura, in realtà non è

una forma assoluta, ma una forma storica, accanto alla

quale, altre tendenze possono avere la loro legittimità.

Nei suoi lavori Rodin ha attraversato vari stili sempre con

la capacità di fonderli allo spirito moderno.

Simmel117 individua in entrambi gli scultori, Michelangelo e

Rodin, il rifiuto della forma piena, poiché tramite la

fantasia si riesce a completare ciò che è incompiuto, a

liberare dalla pietra ciò che è ancora è celato nella

pietra. La differenza sta nel fatto che se in Michelangelo

questo aveva lo scopo di creare un effetto tragico, in

Rodin si tratta di un consapevole mezzo artistico: è l’uomo

moderno che disperde le sue energie nel lavoro

dell’industria e che schiavo della tecnica va alla ricerca

di nuovi stimoli, di nuovi interessi che gli permettano di

sopravvivere nella nuova civiltà.

Aggiunge Simmel che nel caso di Rodin «la labilità del

presente, la sua fuggevolezza, viene oggettivata nella

forma plastica ed è eternizzata»118.

116 Ivi, p. 36117 Ivi, p. 46118 Donatella Simon, Le forme e il movimento. Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 27

65

La dinamica interiore è presente nelle opere di tutti e due

gli scultori, ma nel caso di Michelangelo è meno

problematica e non richiede una forma esageratamente

sfaccettata come invece occorre per rappresentare l’anima

della società moderna, continuamente tesa verso qualcosa di

vago, di indeterminato. Lo spirito della modernità si

rivela, come ci fa notare Hoffman, nel dinamismo delle

figure che, recuperato dalla scultura michelangiolesca,

nell’opera rodiniana va oltre quel modello. A proposito di

Rodin, Hoffman aggiunge che «egli spinge la fluidità della

forma fino al limite della soluzione con perfetta coerenza,

in quanto il movimento, preso in senso assoluto, non ha né

principio né fine e deve perciò rompere ogni ricettacolo

formale»119. Ancora osserva che un segno distintivo

dell’arte rodiniana sta nell’estrema fluidità del mondo

formale attraverso la quale può rappresentare in forma

allegorica la mobilità del mondo. Rodin stesso infatti

affermò di non aver mai scolpito una statua in stato di

quiete.

Anche Simmel concorda con Hoffman riguardo alla fluidità

della forma nella scultura rodiniana, poiché essa deve

interpretare il mondo, essere conforme alla nostra

interiorità nel contesto della società moderna: «le forme

sono solo forme di movimenti»120.

119 Werner Hoffman, Auguste Rodin, 1840-191, in idem, La scultura del XX secolo, cit., p. 81120 George Simmel, L’arte di Rodin e l’idea nel movimento nella scultura, in Donatella Simon, Le forme e il movimento, cit., p. 57

66

Il lavoro sulla forma che si sviluppa nella modernità è

confermato anche da Hermann Bahr, una delle firme più

apprezzate e discusse del giornalismo letterario della fine

del XIX secolo, quando spiega qual è l’elemento che

determina un’opera d’arte: «è solo la forma, nient’altro

che la forma, unica e sola, la bella forma»121.

Poi Bahr descrive anche la missione che l’opera d’arte

deve compiere nel contesto moderno e che consiste

nell’esprimere una triplice verità: una riguarda il corpo,

una i sentimenti e una i pensieri.

Si intende vedere il corpo per conoscere l’umanità, per

sapere quali sono i destini, quali le strade da percorrere

nel corso della vita. Ancora si desidera cercare nell’opera

d’arte i sentimenti, per conoscere i propri, ma anche

quelli degli altri, i sogni e i sospiri e inoltre non

possono mancare i pensieri, lo spirito, le idee.

Potremmo così ritenere che la cosiddetta “triplice verità”

si riscontra perfettamente nella scultura di Rodin e si

realizza attraverso la propensione dell’artista «a

guardare, dall’esterno, l’interno di un oggetto, di una

forma vivente, e a rendere tale intimo nucleo nella forma

plastica che ad esso rimanda»122.

121 Hermann Bahr, Il superamento del naturalismo, SE, Milano, 1994, p. 19-20122 Donatella Simon, Le forme e il movimento. Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 14

67

2.2 Rodin e l’arte otto-novecentesca

Possiamo ormai affermare che Rodin ha dato inizio alla

rivoluzione della scultura moderna, attraverso il suo

lavoro sulla forma e sulla ricerca di espressività. Inoltre

può essere definito lo scultore della modernità, poiché è

segnato da tanti indirizzi culturali: la sua mente è aperta

ad accogliere le tendenze più varie, quelle che vengono dal

passato e quelle che lui vive nel presente. Baudelaire

infatti afferma che

68

il passato è interessante non solo per la bellezza che hanno saputo

estrarvi gli artisti per i quali esso era il presente, ma anche come

passato, per il suo valore storico. La stessa cosa è del presente. Il

piacere che noi proviamo dalla rappresentazione del presente, deriva

non solo dalla bellezza del quale può essere rivestito, ma anche dalla

sua qualità essenziale di presente123.

Classicismo, simbolismo e impressionismo si contaminano nel

lavoro di Rodin, in quanto le arti dipendono le une dalle

altre. Come scrive Baudelaire, l’artista «s’interessa del

mondo intero; egli vuol sapere, comprendere, apprezzare

tutto ciò che succede sulla faccia del nostro sferoide»124.

Per raffigurare la varietà della vita moderna, quella vita

che si svolgeva nei caffè e nei teatri delle grandi città,

Rodin ha scelto la strada della rappresentazione del corpo,

del nudo, in modo da ridare impulso e palpito ad un’arte

come quella della scultura, appesantita da uno stato di

immobilità e rigidezza. Per poter cogliere l’essenza delle

cose che osserva, Rodin arriva ad elaborare la tecnica del

non-finito e del frammento, come nel caso del Balzac, in

cui, una volta sicuro di aver colto lo spirito dello

scrittore, egli abbozzò sommariamente il busto, dando più

risalto al volto. In altri casi invece le opere di Rodin si

presentano effettivamente come frammenti: statue acefale o

senza braccia o ancora mani troncate, autonome.

123 Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in idem, Poesie e prose, cit., pp. 931-932124 Ivi, p. 938

69

Il nuovo linguaggio introdotto da Rodin venne poi portato

alle conseguenze estreme dagli artisti delle avanguardie,

come Pablo Picasso o Umberto Boccioni. Riguardo gli

elementi ripresi poi dagli artisti successivi, ci fornisce

un’analisi Flavio Fergonzi125, nel suo testo sul rapporto

tra Rodin e gli scultori moderni, in cui esamina appunto il

debito che i nuovi artisti hanno nei confronti dello

scultore francese.

Come ho già anticipato, molti artisti delle avanguardie

attinsero alla scultura rodiniana, soprattutto attraverso

le grandi esposizioni che furono i canali più efficienti.

Ad esempio durante la celebrazione per il Cinquantenario

dell’Unità italiana, tenutasi a Roma nel 1911, fu esposto

con grande successo l’Uomo che cammina(fig.n.20) di Rodin e

dal 1913 l’opera era visibile nel cortile interno del

michelangiolesco Palazzo Farnese.

Possiamo quindi pensare che Boccioni abbia subito il

fascino di quest’opera nell’elaborazione delle Forme uniche

della continuità nello spazio(fig.n.21), nonostante fosse scomodo

per un avanguardista recuperare un artista la cui fama lo

rendeva un nemico da combattere.

L’Uomo che cammina è una scultura acefala e priva di braccia

e pertanto alcuni l’hanno ritenuta incompleta; in realtà

esprime l’intenzione dell’artista che vuole rappresentare

il puro movimento. Si tratta di un passo di importanza

capitale nell’evoluzione della scultura contemporanea:

125Cfr. Flavio Fergonzi, Rodin e la nascita della scultura moderna, Milano: Il Sole 24 ore, Firenze: E-ducation.it, 2008

70

tutta l’attenzione si concentra sull’atto del camminare.

Gustave Geoffrey lo ha definito il modello del “passante”,

emblema del cammino irreparabile della modernità. La figura

del passante come simbolo della modernità è testimoniata

dal fatto che anche Baudelaire nei “Fiori del male” gli

dedica una poesia, À une passante(…perchè ignoro dove fuggi/e tu non

sai dove io vado…”126).

Per un artista futurista come Boccioni, dedito alle

riflessioni sul dinamismo, l’opera di Rodin potrebbe essere

stata fonte di ispirazione, come osserviamo anche in

un’altra opera boccioniona del 1912, Sviluppo di una bottiglia

nello spazio(fig.n.22). Quest’ultima si espande nello spazio

con moto spiraliforme, intorno a un asse statico: Boccioni

le imprime una vitalità plastica analoga a quella della

scultura rodiniana.

Il punto di contatto più significativo tra i due artisti

sta quindi nella questione del movimento, centrale

nell’ideologia del manifesto futurista. Nel Fondamento

plastico della scultura e pittura futuriste Boccioni afferma che «quello

che noi vogliamo dare è l’oggetto vissuto nel suo divenire

dinamico, cioè dare la sintesi delle trasformazioni che

l’oggetto subisce nei suoi due moti, relativo ed assoluto.

Noi vogliamo dare lo stile del movimento»127. Non deve

sorprendere che tra le possibili fonti delle teorie

futuriste ci fossero le interviste rilasciate da Rodin a126 Charles Baudelaire, I fiori del male, in Alfredo Luzi, La siepe e il viaggio, Corbo editore, Ferrara, 2011, p.51127 Umberto Boccioni, Fondamento plastico della scultura e pittura futuriste, in Lacerba, I, 6, 1913, p.52

71

Paul Gsell, in cui lo scultore difendeva la propria idea di

movimento, sostenendo che esso consiste nel passaggio da

una posizione all’altra, nella sintesi di momenti diversi.

Infatti anche Boccioni sostiene che «le distanze tra un

oggetto e l’altro non sono degli spazi vuoti ma delle

continuità di materia di diversa intensità, che noi

riveliamo con linee sensibili che non corrispondono alla

verità fotografica»128.

A proposito della fotografia, Rodin la considera un’arte

menzognera: «perché nella realtà il tempo non si ferma e se

l’artista riesce a produrre l’impressione di un gesto che

si compie in diversi istanti, la sua opera è certamente

molto meno convenzionale dell’immagine scientifica in cui

il tempo è come bruscamente sospeso»129.

Il lavoro sul movimento che accomuna i due artisti risulta

essere l’aspetto caratteristico della modernità e lo

afferma anche Bahr130. Egli sostiene infatti che «non esista

nient’altro, se non il movimento, un movimento incessante,

un flusso eterno, uno sviluppo infinito, nel quale nulla si

arresta e il passato non diviene mai presente»131.

In relazione alla modernità Bahr individua un altro

carattere particolare, considerato “la più preziosa

conquista dell’epoca”132 : la convinzione che esista una

connessione fra ogni cosa, una dipendenza da tutte le cose.

128 Ibidem 129 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 48130Cfr. Herman Bahr, Il superamento del naturalismo, cit., p.13131 Ibidem 132 Ibidem

72

D’altronde è Rodin stesso a definirsi un ponte che unisce

le due rive del passato e del presente; egli riesce infatti

a realizzare la sua opera attraverso una pluralità di

esperienze. Come scrive Simmel, «Rodin si generò attraverso

la fusione dello spirito moderno con il sentimento

artistico di Michelangelo»133.

Tornando a Boccioni e leggendo il Fondamento plastico della

scultura e pittura futuriste, mi sembra di scorgere un'altra

considerazione che potrebbe instaurare ancora un rapporto

tra il futurismo e Rodin. Essa consiste nell’importanza

assegnata all’atmosfera, descritta da Boccioni come una

materialità che varia il valore plastico delle sculture:

«io la sento, la cerco, l’afferro, l’accentuo, nelle

variazioni che le imprimono le luci, le ombre e le correnti

delle forze dei corpi. Quindi io creo l’atmosfera!»134.

La modernità di Rodin sta nell’aver anticipato queste idee,

nel momento in cui, osservando le sue opere, ci accorgiamo

che esse sono state realizzate per girarci intorno, per

essere visualizzate da più punti di vista. Infatti Rilke, a

proposito dell’opera scultorea di Rodin, afferma: «era un

qualcosa che esisteva solo in virtù di sé stessa ed era

bene conferirle l’essenza di cosa che si potesse aggirare,

affinché fosse osservabile da ogni lato»135. Per Rodin la

componente dell’aria è stata sempre fondamentale: ha133 Georg Simmel, L’arte scultorea di Rodin e le tendenze spirituali dell’età contemporanea,in Donatella Simon, Le forme e il movimento. Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 37134 Umberto Boccioni, Fondamento plastico della scultura e pittura futuriste,cit., p. 51135 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 20

73

infatti adattato allo spazio tutti gli oggetti, superficie

per superficie, il che gli ha conferito quella grandiosità

e autonomia. «Ebbene, quando chiosando la natura egli

giungeva poco a poco a rafforzare un’espressione, si

delineava insieme, un sempre più stretto rapporto tra

l’opera e l’atmosfera, come questa si disponesse attorno

alle superfici compatte in modo più partecipe, quasi

passionale»136. In questo modo accade che non sono più gli

oggetti ad essere collocati nello spazio, ma è lo spazio

che li attira a sé. Comprendiamo meglio il concetto,

osservando le opere dello scultore francese, come la Donna

accovacciata: è una scultura dinamica, in cui si percepisce

la tensione, la fatica nel gesto della donna di afferrarsi

la caviglia. La figura dialoga perfettamente con lo spazio

che ha intorno, mostrando, ogni volta che ci si muove, una

faccia diversa.

Se l’esposizione dell’Uomo che cammina ha avuto un certo

successo, ben più significativa fu la mostra personale di

centossesantasei sculture rodiniane, nel 1900, allestita

nel Padiglione a lui dedicato di Place de l’Alma.

L’esposizione, resa ancora più interessante dopo lo

scandalo del Balzac di due anni prima, ebbe il merito di

mettere in rapporto la scultura di Rodin con la più giovane

generazione di artisti giunti in massa a Parigi per

l’Esposizione Universale di quell’anno, come Henri Matisse

e Pablo Picasso. Su questi artisti le opere rodiniane

136 Ivi, p. 60

74

produssero determinate impressioni che si riversarono in

modo più o meno diretto nelle loro scelte di scultori

moderni.

Durante il primo soggiorno parigino, Picasso ebbe modo di

conoscere le sculture di Rodin ed esse ebbero un peso

decisivo nel suo esordio da scultore tra il 1902 e il

1903 , ben visibile in opere come Testa di Picador con il naso

rotto. La fonte più importante di questa opera, come ritiene

Fergonzi137, è sicuramente l’Uomo dal naso rotto di Rodin,

opera che venne rifiutata dal Salon del 1864, in quanto

negava i dettami della bellezza accademica. L’intento di

Rodin era quello di sottolineare l’espressione tormentata

del volto e come scrive Rilke: «era la pienezza di vita

raccolta in quei tratti»138. Quando Rodin creò questa

maschera aveva di fronte a sé un uomo tranquillo, sereno,

ma era il volto di una persona vivente e ad uno studio più

attento si rivelò pieno di movimento e di inquietudine.

«C’era movimento nei percorsi delle linee, movimento

nell’inclinazione delle superfici, e le ombre si toccavano

come nel sonno e la luce sembrava trascorrere lieve sulla

fronte. Non esisteva dunque immobilità, neppure nella

morte..», osserva Rilke139.

Tornando a Picasso, il suo Picador con il naso rotto, di chiara

ispirazione rodiniana, segnò l’esordio scultoreo

dell’artista. Si tratta di una maschera di un uomo,

137 Cfr. Flavio Fergonzi, Rodin e la nascita della scultura moderna,cit.138 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p.26139 Ivi, p. 28

75

realizzata nel 1903 a Barcellona e caratterizzata da una

fisionomia molto alterata e incompleta, con il volto

asimmetrico e con qualche deformità. Le analogie tra le due

opere si rivelano non solo nella ripresa dello stesso tema,

ma anche nella scelta della maschera. Picasso era molto

attratto dalla scelta rodiniana di presentare le figure in

modo incompleto e la maschera rientrava in questa

possibilità di rappresentazione, non come bozzetto ma come

opera completa.

Rispetto alla prima versione della Maschera di Rodin, il

cui volto piegato verso il basso suggeriva una connotazione

dolorosa, Picasso introdusse una nota di fierezza che

eliminava ogni possibile lettura dolente. Inoltre il debito

verso Rodin si riscontra anche nell’asprezza delle

superfici e nelle analoghe formule espressive del volto.

Nell’analisi del rapporto tra i due artisti non si può

tralasciare la mostra tenutasi alla fondazione Beyeler di

Basilea nel 2006 che ha indagato l’eros nelle opere di

entrambi. La mostra Rodin-Picasso, incentrata soprattutto

sul tema del corpo umano, sul nudo e sulla bellezza

femminile, evidenziò la loro comune visione dell’eros come

forza motrice dell’arte e della vita.. La passione e la

bellezza sono ad esempio evidenti nella scultura di Rodin

intitolata Il bacio(fig.n.22) e in un quadro di Picasso dal

medesimo titolo(fig.n.23). Da una parte quindi si vede

l’opera rodiniana, in cui i corpi dei due amanti sono

avvinti in un vortice travolgente, dall’altra la tela di

76

Picasso, realizzata quasi ottanta anni dopo, ma emblematica

della visione tragica del sentimento amoroso, nella quale

un uomo-maschera attrae a sé la giovane donna spogliata.

Nel quadro le teste della coppia sono rappresentate

contemporaneamente di fronte e di profilo; lo sguardo

dell’uomo è rivolto sia alla donna amata che allo

spettatore. Inoltre l’uomo non sembra molto giovane e i

colori dominanti tra l’ocra e il nero comunicano qualcosa

di tragico in questa scena d’amore.

La mostra Rodin-Picasso è stata la prima tappa di un ciclo

espositivo dedicato appunto all’eros, simbolo mitico

dell’amore e della passione dall’antichità ai nostri

giorni, agente di tutto ciò che esiste. La seconda tappa

invece è stata rappresentata dalle opere di Gustav Klimt e

Egon Schiele nello scenario della Vienna del 1900, con

pittura, acquerelli, disegni, ma anche modelli

architettonici, mobili, fotografie. Alla mostra vennero

esposte le tele di un Klimt patriarca della secessione

viennese e di uno Schiele amante dell’arte espressionista,

dove entrambi si cimentano nella rappresentazione

dell’eros. Klimt presenta la donna come figura da

idolatrare, sensuale ed enigmatica, come Giuditta II, mentre

Schiele al contrario figure femminili più animalesche e

struggenti: dalla linea klimtiana più morbida si passa alla

linea più nervosa dell’altro artista. Di Schiele spicca il

dipinto del 1912, Cardinale e monaca(fig.n.24): si tratta di

una blasfema parodia de Il bacio(fig.n.25) di Klimt. Vediamo

77

quindi come torna ancora il tema del bacio che anche Rodin

aveva trattato: se l’opera dello scultore francese

rappresenta i due amanti coinvolti da una intensa passione,

dove però l’uomo appare leggermente distaccato rispetto

alla donna completamente abbandonata all’estasi, il dipinto

di Klimt mostra la figura femminile in stato di totale

abbandono e dedizione nei confronti dell’amante, proteso

in avanti in segno di affetto e protezione.

A proposito del rapporto tra Klimt e Rodin, va ricordato il

viaggio che quest’ultimo ha compiuto a Vienna nel 1902. In

questa occasione Rodin ha avuto modo di conoscere Klimt,

rimanendo incantato dalle sue opere e anche dall’atmosfera

che vive nella capitale austriaca. Rodin fu estasiato dalla

musica che ascoltò insieme a Klimt e soprattutto dalla

mostra dell’artista austriaco, la XIV Esposizione della

Secessione Viennese, di cui Joseph Hoffman aveva curato

l’allestimento. All’interno del Palazzo della Secessione,

Hoffman aveva allestito uno “spazio sacro” a tre navate,

nella cui ala sinistra si trovava il Fregio di Beethoven di

Klimt, definito da Rodin “disperato e felice”140.

Riprendendo il discorso delle influenze che Rodin ha

esercitato sugli artisti delle avanguardie, dobbiamo

considerare anche le opere di un grande artista francese

come Henri Matisse. A differenza di Picasso, l’esposizione

a Place de l’Alma non fu per Matisse il primo contatto con

la scultura rodiniana. Infatti nel 1898 Matisse aveva

140 Gustav Klimt, Lettere e testimonianze, Abscondita, Milano, 2005, p.31

78

visitato lo studio di Rodin, ma sin da questo primo

incontro non nacque molta simpatia tra i due.

Nonostante Matisse intendesse mantenere le distanze dal

lavoro dello scultore francese, non mancarono attestazioni

di interesse verso di lui, come l’acquisto del busto di

gesso di Henri Rochefort del 1899, o anche momenti

emulativi, come il suo esercizio grafico su Michelangelo.

A proposito della sua attività scultorea, Matisse scrisse

di averci lavorato da pittore e non da scultore, quasi a

volerle assegnare un livello inferiore. Anche se si

concentrò in alcuni momenti specifici della sua carriera,

le sue intuizioni plastiche furono tra le più acute e

feconde del Novecento. Fergonzi141 ci fa notare come anche

in questo caso il confronto con Rodin sia inevitabile,

tanto che risulta impossibile non considerare Il servo di

Matisse, alla luce dell’Uomo che cammina o del Jean d’Aire

dei Borghesi di Calais.

Inoltre è noto che il modello per il Servo, un nudo in piedi

a gambe divaricate, privo di braccia, era stato lo stesso

utilizzato da Rodin per il San Giovanni Battista che

predica(fig.n.26), da cui poi derivò l’Uomo che cammina.

Rilke ci descrive il San Giovanni come colui che cammina, con

le braccia vibranti che parlano di questo incedere: «questo

Saint Jean è la prima figura di camminatore nell’opera di

Rodin»142.

141 Cfr. Flavio Fergonzi, Rodin e la nascita della scultura moderna,cit.142 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 31

79

Non solo notiamo nella scultura di Matisse la ripresa del

modello rodiniano, ma anche il modo di trattare la

superficie: le impronte della mano, le pressioni del

pollice, le aggiunte o le sottrazioni di materiale creavano

una superficie tormentata, tale da mettere in risalto la

fisicità.

Ancora un altro elemento che testimonia l’influenza

rodiniana si rivela nella mancanza delle braccia, così come

nell’ Uomo che cammina. Nel caso però dell’opera di Matisse,

esse sono tagliate non all’altezza dell’articolazione, ma

più in basso. Questa scelta è chiarita da Matisse in un

passo delle Note di un pittore del 1908, in cui invitava a non

tagliare le braccia delle sculture all’altezza delle

articolazioni, poiché polsi, caviglie, ginocchia e gomiti

dovevano dimostrare di essere in grado di sostenere le

membra, soprattutto quando esse sostengono il corpo.

L’idea del frammento si presenta anche in un altro artista,

Edgar Degas, nell’opera Donna che si strofina il dorso con una

spugna, nella quale egli mise insieme il tema nobile delle

Veneri classiche con il gesto quotidiano del lavarsi la

schiena. Si tratta di un torso che in qualche modo

partecipa alla poetica del frammento rodiniano, ma il

legame con lo scultore si rivela anche nella produzione di

varie statuette di cera fuse poi in bronzo. Finché era in

vita, Degas non espose mai le sue statuette, fatta

eccezione nel 1881 per la Giovane ballerina di quattordici anni,

alla VI mostra degli Impressionisti. Soltanto negli anni

80

successivi alla sua morte le oltre centocinquanta statuette

furono esposte e permisero l’invenzione storiografica di un

“Degas scultore”, da considerare, complice la qualità del

modellato, come immediato successore dell’ “impressionismo”

rodiniano.

Infine un altro rapporto da valutare riguarda quello tra

Rodin e Constantin Brancusi, visto che nel 1907 lo scultore

rumeno eseguì il suo apprendistato presso lo studio

dell’artista francese. Già alla fine dello stesso anno però

l’esperienza poteva dirsi conclusa, poiché Brancusi decise

di seguire una strada alternativa a quella rodiniana. La

presa di distanza dalla modellazione dello scultore

francese divenne sempre più netta; nonostante ciò rimaneva

l’eco delle opere rodiniane nella scelta dei temi, tanto

che Brancusi realizzò una scultura intitolata Il

bacio(fig.n.27), stesso titolo dell’opera di Rodin. Solo il

titolo mette in comune le due opere, perché il resto è

polemicamente opposto: se nell’opera di Rodin vediamo un

sinuoso abbraccio, «da tutte le superfici in contatto

sembra si levino ondate che penetrano nei corpi, brividi di

bellezza, di presagio e di forza»143, Brancusi al contrario

propone una composizione statica con i due corpi

perfettamente immobili.

Un avvicinamento a Rodin, invece, si può individuare nel

Ritratto di Nicolae Darascu, in cui Brancusi si serve della

pratica rodiniana di eliminare alcuni elementi anatomici.

143 Ivi, p. 35

81

In questo caso lo scultore rumeno sceglie di privare il

soggetto del braccio destro.

Infine, come ho già ricordato, Brancusi seppe individuare

un grande merito di Rodin, quello di riuscire ad umanizzare

Michelangelo, sfuggendo alla magniloquenza e al colossale e

riportando la scultura alla misura umana.

82

2.3 Rodin e l’Italia

In due articoli scritti da Flavio Fergonzi su Prospettiva,

rivista di storia dell’arte antica e moderna viene

analizzato il modo in cui l’arte rodiniana venne accolta in

Italia, sia dal pubblico che dagli artisti.

Da questa lettura scopriamo che nel passaggio tra nono e

decimo decennio del secolo XIX il nome di Auguste Rodin non

godeva di molta fama in Italia. Nonostante i dibattiti e le

belle riproduzioni che durante gli anni Ottanta

accompagnano lo scultore francese su due periodici

piuttosto diffusi nel nostro Paese come L’Art e la Gazette des

Beaux Arts e nonostante in altri contesti come l’Inghilterra

o la Germania Rodin risulti una delle figure chiave

dell’arte moderna, la stampa italiana presenta un totale

disinteresse.

Lungo tutto il nono decennio del secolo il nome di Rodin

compare pochissime volte, tra cui un articolo di Francesco

Cameroni, critico di simpatie socialiste, del 1889. In

83

questo articolo Cameroni144 raccomanda di visitare a Parigi

l’Esposizione del pittore Monet e dello scultore Rodin,

nella Rue de Seze. Inoltre egli si preoccupa di aggiungere

l’innegabile constatazione di una superiorità della

scultura verista italiana su quella definita tale in

Francia. Probabilmente dietro l’idea della scultura verista

italiana va individuato Medardo Rosso, lo scultore campione

del realismo lombardo.

Prima di questa data un’unica opera di Rodin era stata

visibile in Italia, ossia una Testa in bronzo, alla Prima

Esposizione di Quadri Moderni a Firenze. In questa

occasione però nessuno notò l’ opera, nonostante due anni

indietro, a Parigi, essa avesse colpito gli osservatori per

la somiglianza con i tratti del supposto Autoritratto bronzeo

di Michelangelo.

Nove anni dopo, il nome di Rodin venne colto

dall’attenzione della stampa italiana, ma si trattò di un

episodio isolato, poiché dal 1889 al 1897, fino cioè alle

opere esposte alla Biennale veneziana del 1897, esso non

riaffiorò da nessuna altra parte. La prima testimonianza di

un interesse concreto risale al giugno 1894, quando il

sindaco di Venezia, Amleto Selvatico, invitò Rodin a

partecipare alla Prima Biennale del 1895. I contatti tra i

due continuarono fino al marzo 1895 quando le opere stavano

per essere ritirate dallo studio di Rodin: qui però la

vicenda si interruppe e il nome dello scultore francese non

144 Cfr. F. Cameroni, Pei visitatori dell’Espozione di Parigi, in F.Fergonzi, Auguste Rodin e gli scultori italiani(1889-1915). 1, in «Prospettiva», 89-90, 1998, p. 42

84

risultò tra gli espositori della Prima Biennale. Inoltre

nessun’ eco giunse in Italia, nel giugno dello stesso anno,

dell’inaugurazione del monumento rodiniano I Borghesi di

Calais. Soltanto la più illustre pubblicistica francese

rilanciò l’avvenimento in Italia: dalle pagine de la Gazete

des Beaux-Arts, Roger Marx sottolineava la capacità di un

moderno di «faire ressurgir du passé les tragediés de

l’histoire»145.

Due anni dopo non sfuggì ai lettori italiani il dibattito

sul modello in gesso, parzialmente non-finito, del

monumento a Victor Hugo, realizzato da Rodin. In realtà è

soprattutto con il modello in gesso di Balzac, rifiutato

dalla Societé des Gents de Lettres, che il nome di Rodin si

fece strada in Italia, in occasione del Salon del 1898. La

Revue Encyclopédique, giornale di attualità politiche e

culturali francesi, forse più diffuso nell’Italia degli

anni Novanta, aveva riportato una serie di giudizi, dagli

insulti alle riflessioni più complesse. Ad esempio in una

pagina si leggeva che il grande gesso di Balzac veniva

considerato l’annuncio di una nuova era per la scultura

monumentale; così la lettura che l’accompagnava risultò

stimolante presso la critica italiana che da un paio di

decenni, riguardo il linguaggio della scultura, sembrava

ridotta all’afasia.

L’anno che precedette lo scandalo Balzac, cinque ma piccole

importanti sculture rodiniane in gesso vennero esposte alla

145 Roger Marx, Les Salons de 1895, ibidem

85

seconda Biennale veneziana. L’accoglienza delle opere non

fu particolarmente gradita o perlomeno incapace di

sollevare questioni: ci furono censure per

l’incomprensibilità del significato delle figure, per il

fallimento dell’intento plastico, per le deformazioni dei

corpi. In questo quadro l’unica possibile sintonia

italiana sembrava essere il confronto con Michelangelo; vi

ricorse ad esempio Ugo Ojetti146 che seppe individuare per

primo in Italia il significato del movimento delle sculture

rodiniane. Egli fece notare che le figure rappresentate

«nel pieno dell’agitazione, palpitanti, frementi, contorte,

convulse, urlanti» si potevano avvicinare a quelle della

Centauromachia di Casa Buonarroti per comprendere come «la

brama focosa di esaltare e di esasperare la vita

cogliendola nel momento più significativo»147 agisse allo

stesso modo, irrigidendo le pose e le muscolature.

Nel 1900 Rodin espose il suo padiglione personale a Parigi,

in Place de l’Alma, in occasione dell’Exposition

Universelle: il suo nome non solo venne ad occupare un

posto tra le glorie artistiche mondiali, ma iniziò ad

essere discusso con una certa attenzione anche in Italia. È

soprattutto con la città di Torino che Rodin ebbe contatti

diretti, tanto che venne ospitato lì mentre era di ritorno

dalla Toscana in Francia. Nel 1901 il Circolo degli Artisti

avrebbe organizzato una cena in onore dello scultore e

l’anno precedente Enrico Thovez gli aveva dedicato un

146 Cfr. Ugo Ojetti, L’arte mondiale, ivi, p. 45147 Ibidem

86

articolo su la Stampa. Nell’articolo, Thovez148 esprime

l’ammirazione per lo scultore, insieme ad alcune riserve

come l’eccesso di teatralità delle pose. Per la stessa

occasione dell’antologica di Place de l’Alma, Giovanni

Cena, poeta, romanziere e giornalista, pubblicò un articolo

su Rodin sulla Nuova Antologia. Cena ha avuto modo di

visitare lo studio dell’artista a Meudon, quindi di parlare

con lo scultore francese; così per la prima volta vengono

descritte con cognizione di causa le varie caratteristiche

tematiche e stilistiche dell’artista.

Non tutti però provavano la stessa ammirazione per Rodin e

ne è un esempio uno dei più popolari scultori italiani, il

siciliano da tempo fiorentinizzato Ettore Ximenes. Sulla

Rassegna Internazionale egli esprime il suo disdegno nei

confronti dell’artista francese: la sua è una delle

stroncature più violente che siano mai state scritte in

Italia contro Rodin. «Egli tentò di aprirsi la via alla

celebrità con mezzi strani ed eccentrici. Pensò non esservi

soggetto che attragga la curiosità e gli sguardi della

folla più di quello la cui rappresentazione ha in sé

qualcosa d’indefinito…»149. Ancora Ximenes aggiunge quali

secondo lui sono le qualità artistiche di Rodin:

«incertezza della forma, incompostezza delle linee, trucco

nella lavorazione»150. In questo testo che susciterà

polemiche reazioni a Torino e a Firenze, sembrano

148 E. Thovez, Rodin, ivi, p. 45149 E. Ximenes, Rodin, ivi, p. 46150 Ibidem

87

anticipate le osservazioni dei visitatori più

tradizionalisti di fronte alle venti statue di Rodin,

esposte alla Biennale del 1901.

La mostra personale di Rodin alla Quarta Biennale

veneziana, la prima monografica dedicata, nella breve

storia dell’istituzione, ad uno scultore straniero, si

presentò come un affare piuttosto delicato: si trattava di

mostrare un protagonista dell’arte d’avanguardia parigina

che spesso osteggiata in Italia era stata sistematicamente

esclusa dagli organizzatori veneziani. In occasione della

grande mostra di Place de l’Alma, il segretario della

Biennale, Fradeletto, era stato a Parigi e aveva così

invitato lo scultore ad esporre con una intera sala per

l’anno successivo. Testimonianza dei contatti tra il

segretario e Rodin è un epistolario, nel quale è evidente

il divario di attese tra i due a proposito della mostra.

Fradeletto scrisse a Rodin di volere alla mostra le opere

già diventate leggendarie come I Borghesi di Calais o l’ Eva, ma

allo stesso tempo dichiarò la sua paura di urtare i gusti

di un pubblico ancora impreparato. Rodin dal canto suo

conosceva bene i gusti attardati del pubblico italiano e la

scarsa possibilità di vendita, così riuscì a farsi

promettere da Fradeletto un diretto interessamento presso

il mercato privato. Lo scultore decise di proporre per

Venezia un’antologica incentrata sui gessi: la soluzione di

compromesso venne raggiunta aggiungendo alle tredici opere

invendute provenienti dall’appena chiusa Secessione

88

Viennese, sei tra bronzi e gessi direttamente inviati

dall’atelier, ma senza marmi, nonostante la disperata

richiesta di Fradeletto. Nella sala adibita alle opere

rodiniane, vennero disposte quelle ormai canoniche insieme

alle rare novità; Ojetti, forte dei suoi contatti col mondo

intellettuale parigino, scrisse la pagina introduttiva del

catalogo. Inoltre egli chiuse le porte alle interpretazioni

che dichiaravano Rodin un simbolista o l’audace deformatore

e pochi giorni dopo sul Corriere della sera anticipò le

prevedibili polemiche del pubblico più conservatore: «un

piede, una mano, una bocca, un deltoide, una caviglia, un

addome possono in Rodin apparire esagerati»151, ma solo per

chi confonde la realtà col calco dal vero dove «la vita

espressiva di tutta la statua scompare»152. Il rumoreggiare

fu piuttosto insistente, ma ad un livello più generale era

difficile sfuggire al fascino della sala. Un critico

nazionalista e non certo incline a tendenze moderniste come

Primo Levi l’Italico si dichiarava rapito dal

concetto fisico di una umanità vivente oggi ancora con la vigoria, con

la foga, con la forza dei tempi che ci hanno preceduto in un concetto

dell’esistenza, delle sue funzioni, della stessa indole sua, diverso

dal nostro. Sembra quasi che egli voglia appunto digerire il pensiero

e la volontà dell’uomo attuale verso un ritorno al remoto passato di

tempi primitivi..153.

151 Ugo Ojetti, Quarta Esposizione Internazionale, ivi, p. 48152 Ibidem153 Primo Levi l’Italico, La mostra ideale, ivi, p. 48

89

Il testo più lungo apparso su Rodin alla Biennale è stato

scritto da Alessandro Stella154:

Auguste Rodin è il solo scultore moderno che per intensità, profondità

ed elevatezza d’intendimenti e di opere pareggi Wagner… ma in ordine a

modernità di sentimento e di pensiero lo scultore francese lo supera,

poiché nell’ideazione ed esecuzione e per la finalità artistica delle

sue opere egli si accosta di più a quella completa libertà di spirito

che Nietzsche, nella gerarchia morale, intravvede al di là del bene e

del male, e che l’esteta moderno presuppone al di là del bello e del

brutto.

L’eco delle pagine su Rodin si protrasse per tutto il

decennio ed oltre; ad esserne sedotta sarebbe stata una

generazione di scultori che per lungo tempo era rimasta

ancorata alle leggi dell’arte scultorea come la correttezza

o la difficoltà. Per loro Rodin si presentava come

l’incarnazione di una scultura capace di affrancarsi da

virtù soltanto esecutive e soprattutto in grado di

inventare temi capaci di dialogare con il movimento

intellettuale moderno.

Molto più lenta ad affermarsi fu la lezione formale della

sala del 1901: con la sua sala di corpi nervosi, accentuati

o deformati, Rodin azzera la vitalità della linea e offre

una radicale alternativa.

Mentre tra il 1897 e il 1901 le soluzioni rodiniane

stentavano ad essere accolte dagli scultori italiani, a

partire dalla Quarta Biennale iniziò un confronto con le154 A. Stella, Dai margini, ivi, p. 49

90

opere dello scultore francese, alimentato dalle critiche

scritte per l’occasione. Ci volle ancora qualche anno

perché la lezione potesse filtrare nelle opere di scultori

già formati e passare alla generazione successiva, quella

ad esempio di Arturo Martini, che si affaccia sul secondo

decennio e gli conferisce un carattere più novecentesco.

Torino e Firenze appaiono come le città più sensibili ai

problemi aperti dalla scultura rodiniana. A Firenze Rodin

era già stato nel 1876, ma vi ritornò nel 1898: in questa

occasione è probabile che abbia attirato maggiore

attenzione il passaggio dell’artista, per il quale era

stata più volte sottolineata la dipendenza dalla scultura

di Donatello e Michelangelo.

Tornando all’influenza che Rodin ha avuto sugli scultori

italiani dopo la personale alla Biennale, va menzionato il

lavoro di Domenico Trentacoste, scultore palermitano

vissuto tra Parigi e Londra dalla metà degli anni ’80 al

1895 e trasferitosi a Firenze dopo il successo conseguito

con la Derelitta alla prima Biennale di Venezia. Nonostante

Trentacoste avesse conosciuto l’opera di Rodin a Parigi,

egli cominciò a misurarsi con essa soltanto in un secondo

tempo, al suo rientro in Italia. Trentacoste iniziò a

riflettere intorno alla questione del nudo e della sua

lingua da reinventare facendo tabula rasa degli elementi

accademici e accettando i rischi di innaturalezza. Ad

esempio in occasione della Biennale del 1903, lo scultore

italiano presentò un’opera intitolata Caino(fig.n.28), una

91

sorta di parafrasi del Pensatore di Rodin. In questo modo

Trentacoste si è voluto confrontare con la tradizione della

scultura rinascimentale, e fiorentina in particolare, in un

senso diverso dalla consueta formula neoquattrocentista.

Secondo Fergonzi, «l’unica via praticabile gli deve essere

sembrata quella, additata da Rodin, di una modellazione che

scandagliasse le leggi costruttive del corpo»155 e aggiunge

anche che «protagonista del gioco è sempre l’attenzione

tutta rodiniana per il significato plastico e chiaroscurale

della muscolatura»156.

Come ho già detto, alla Quarta Biennale di Venezia non

vennero esposti i marmi: così alla prima importante mostra

allestita in Italia, l’attenzione era stata monopolizzata

dal Rodin modellatore e bronzista. Questa scelta aveva

ottenuto lo scopo di far accantonare ai visitatori italiani

la questione del non-finito rimasta in sospeso dalla mostra

dell’Alma: «non si tratta soltanto nella scultura di

riprodurre una forma, sì di conquistare intorno a lei lo

spazio e la luce»157, commenta Giovanni Cena sulla Nuova

Antologia.

Con l’inoltrarsi del primo decennio del ‘900 la produzione

rodiniana di ritratti, statute e gruppi marmorei si fece

predominante e diventò, presso il pubblico internazionale,

la più seducente e la più facilmente comprensibile. In

Italia giunsero echi delle discussioni internazionali sui155 Ivi, p. 51156 Ibidem157 G. Cena, Artisti moderni-Auguste Rodin, in «Nuova Antologia», 4, 92, 1901, p. 301

92

marmi di Rodin ai quali veniva riconosciuto lo status di

capolavori, in quanto la tecnica del non-finito risultava

essere la più adatta a rappresentare la condizione umana di

incessante partecipazione alla vita universale. Ancora

Camille Mauclair, sulla Revue Universelle, faceva di Rodin un

Michelangelo che, quasi inconsapevolmente, liberava la vita

delle figure trattenuta dal marmo.

Inoltre, a partire dai primi anni del secolo XX, i vari

periodici illustrati del tempo mostravano le riproduzioni

di marmi rodiniani non finiti, dalla accattivante resa

fotografica.

L’importanza della tecnica del non-finito non è esente da

rischi. Come tende a precisare Fergonzi, «Rodin, nel lavoro

sul marmo, si affida all’esecuzione indiretta ma mira a

salvaguardare, in una materia che invoglia alla preziosità

superficiale, quella forza sintetica che il modellatore

aveva saputo trovare nella creta e che lo sbozzato e il

gradinato potevano conservare»158. Invece il non-finito

praticato dagli scultori italiani si rivela come il frutto

di una moda frettolosamente imparata che poco ha a che

vedere con il modello plastico di riferimento.

Un altro aspetto che emerse nelle recensioni italiane fu

quello di un Rodin capace di sperimentare pose fino ad

allora mai osate in scultura, dettate dai sensi e non da

leggi accademiche, dall’eros o dal dolore fisico: questa

scelta comportava rischi di deformazioni o di scompostezza,

158 F. Fergonzi, Auguste Rodin e gli scultori italiani(1889-1915). 1, cit., p. 52

93

ma consentiva di rinnovare il repertorio dell’invenzione

compositiva. Ad esempio, alla Biennale del 1905, il

torinese Edoardo Rubino, che era stato tra gli

organizzatori del banchetto rodiniano del Circolo degli

Artisti del 1901, presentò un bassorilievo con due amanti

che fluttuavano nell’aria. Sembrava aver preso spunto dalla

scultura rodiniana, intitolata Fugit amor(fig.n.29), mandata

da Rodin a Venezia due anni prima, nel 1903. L’operazione

di Rubino è piuttosto riduttiva perché semplifica il

tragico dinamismo rodiniano e appare molto accademica.

A partire quindi dai primi anni del ‘900 l’attenzione nei

confronti dell’arte plastica rodiniana crebbe anche in

Italia. Alla Biennale del 1903 le opere rodiniane giunte da

Parigi ricevettero la giusta accoglienza che si doveva

ormai al grande artista e la stampa italiana cominciò a

riportare le dichiarazioni di poetica di Rodin.

Successivamente va tenuto anche in conto, per il formarsi

del mito rodiniano, delle ondate di ammirazione per la

scultura del Pensatore, esposto a scala monumentale nel 1904

a Londra e a Parigi, poi nel 1906 collocato davanti al

Panthéon. Questa scultura apparve a tutti come un’opera

d’arte epocale, un’icona della condizione umana di inizio

secolo.

La vera svolta nella percezione e nella reinterpretazione

di Rodin da parte degli scultori italiani risale al 1905

quando alla VI Biennale veneziana Leonardo Bistolfi espose

il gesso della Croce, modello per il monumento funebre al

94

senatore Tito Orsini. A proposito di un confronto tra Rodin

e Bistolfi, va ricordato quello delineato da Giovanni Cena.

«Nel Rodin l’istinto e l’ideale combattono la loro lotta

dominata da una fatalità opprimente e l’ideale non esce

vincitore che dopo aver prostrato l’uomo e resolo

indicibilmente triste; nel Bistolfi è lo spirito che si

sprigiona dalla materia quasi senza lotta»159. Inoltre Rodin

è attratto dalle linee sparse, dalle attitudini violente,

dalle curve mentre Bistolfi dalle linee semplici. «Entrambi

signori della materia piegano a forma umana a secondare le

loro intenzioni, il Rodin plasmando le forti ossature e

muscolature, e i violenti attacchi…Il Bistolfi accarezzando

nei bassi rilievi forme diafane, più segnate che

plasmate..»160.

Cena nel suo articolo spiega che per Rodin la forma umana è

come un’ossessione:

per lui tutto il corpo è compenetrato d’anima, perciò egli ama le

espressioni violente nelle quali invero l’anima invade il corpo, lo

riempie, lo contrae, lo tende. Perciò trascura soventi, nelle figure

di piccole dimensioni, il volto, o lo tratta sommariamente, non

volendo imprimervi una vita troppo più intensa che non nell’intero

pezzo161.

Tornando al confronto con Bistolfi, Cena effettua un

paragone tra il Cristo(fig.n.30) con la veste stropicciata

159 G. Cena, Artisti moderni-Auguste Rodin, cit., p. 290160 Ibidem161 Ivi, p. 288

95

dal vento e il Balzac di Rodin, “un menhir sormontato da una

maschera sprezzante e terribile”162. Il saio domenicano

indossato dallo scrittore e la veste svolazzante del Cristo

apparivano a un osservatore italiano come il frutto della

stessa volontà di uscire dalle rappresentazioni veriste

degli anni Novanta.

Da questo momento si può misurare sempre di più quanto il

rodinismo in Italia fosse ormai un patrimonio comune, viste

le imitazioni che si susseguono. Alcune sono solo esterne,

superficiali, frutto di una moda che stava invadendo

l’Europa con mostre, libri e fotografie, altre invece

toccano da vicino questioni che riguardano i fondamenti

stessi della lingua scultorea. Si avverte che nel giro di

pochi anni gli scultori hanno assunto un approccio diverso

di fronte al modello in posa, alla ricerca di chiavi di

rappresentazioni diverse, più attenti alla struttura che

alla definizione dei particolari, al ritmo astratto del

modellato che all’ortodossia anatomica.

Contagiati dalla moda rodiniana che spingeva a ripensare

strutturalmente il corpo nudo, gli scultori italiani

rimasero segnati per anni da questa esperienza che

rappresentava un vero e proprio passaggio generazionale.

Questo approccio a Rodin può provocare esiti drammatici,

come nel caso di Adolfo Wildt. Quest’ultimo ricorda in una

lettera del 1915 a Carlo Siviero di aver distrutto il suo

Giardiniere che parla, dopo aver visto a Dresda, nel 1904, il

162 Ivi, p. 300

96

Saint-Jean di Rodin, che aveva precorso, per posa e

atteggiamento, la sua opera.

Per altri artisti del periodo che va tra il primo e il

secondo decennio del Novecento il confronto con Rodin è

stato meno traumatico e la sua lezione è stata assunta

dalla nuova classicità novecentesca.

Inoltre la lezione rodiniana cominciò a farsi strada anche

all’interno dell’insegnamento artistico; ad esempio

Giovanni Possamai e Severo Pozzati si presentarono

all’esame di fine anno delle scuole speciali di scultura

dell’Accademia di Brera e di quella di Bologna con due

opere che mostravano l’influenza esercitata da Rodin.

Possamai presentò una riflessione sulla posa eroica del

Pensatore mentre Pozzati un’attenzione più focalizzata sulle

indeterminatezze del modellato.

Mi sembra interessante anche rintracciare l’influenza che

la lezione rodiniana ha esercitato su un grande scultore

come Arturo Martini. Questo non partì dal Rodin

internazionalmente accreditato, lo stesso visibile nella

città su cui gravitava, Venezia, dove nel 1907 il Pensatore

era stato esposto alla Biennale. L’accesso a Rodin avvenne

quindi per vie traverse, alternative all’aspetto

monumentale delle sculture veneziane. Martini aveva scarsi

mezzi a disposizione che gli consentirono pertanto esercizi

rodiniani anticanonici. Inoltre durante il suo soggiorno a

Monaco di Baviera poté riflettere sistematicamente sulla

scultura antica e allo stesso tempo ebbe la possibilità di

97

aggiornarsi sull’arte moderna, dove il rodinismo era una

moda vincente.

La prima via per il recupero della lezione rodiniana da

parte di Martini lo condusse verso la semplificazione

decorativa. Nelle ceramiche che Martini produsse tra il

1910 e il 1911, quando lavorava stabilmente per la

manifattura di Gregorio Gregorj, la lezione di Rodin è

chiaramente applicata. La seconda via d’accesso invece

riguarda il recupero di pose estreme e gesti enfatici:

oggetto della riflessione è la qualità muscolare pura dei

corpi rodiniani, l’alternanza chiaroscurale di vuoti e

pieni. Un piccolo gesso esposto a Treviso nel 1910, Dopo la

catastrofe ricorda un Orphée, nell’analogo braccio sollevato,

nella testa rivolta all’indietro e nella muscolatura del

torso.

Ancora Martini, in seguito a un soggiorno parigino nel 1912

e alle discussioni con Boccioni, ritornò al Rodin più

classico: il gesto della sua Prostituta (fig.n.31) è una

riproposizione di quello del Pensatore, di cui vengono

capovolti in chiave grottesca i significati eroici. Lo

stesso la figura del Pensatore torna anche nelle sculture

successive di Martini. Ad esempio La Pisana(fig.n.32): una

donna dal corpo perfetto che presenta una struttura simile

ad un paesaggio, dove convivono l’idea del finito e del

non-finito. La donna qui è distesa ma se provassimo a

metterla seduta ci sembrerebbe di intravedere la figura del

pensatore. Possiamo ancora ricordare sculture come il

98

Ragazzo seduto(fig.n.33) o Il centometrista(fig.n.34) che

potrebbe sembrare un pensatore che corre.

A proposito dell’influenza che la lezione rodiniana può

aver esercitato sugli scultori italiani non possiamo

tralasciare il rapporto instauratosi tra Rodin e Medardo

Rosso. Quest’ultimo nasce a Torino nel 1858 ma pochi anni

dopo si trasferisce con la famiglia a Milano, dove studia

all’Accademia di Belle Arti di Brera. Insofferente di

fronte agli insegnamenti accademici, inizia la sua attività

artistica nell’ambito della scapigliatura milanese e nel

1883 si reca a Parigi, dove viene a contatto con gli

impressionisti. Tra gli artisti conosciuti nella capitale

francese spicca il nome di Rodin, il cui primo incontro è

documentato da una lettera del 1894, nella quale lo

scultore francese esprime tutta la sua stima nei confronti

di Rosso. Nasce tra i due una grande amicizia, interrotta

nel 1898, anno in cui Rodin espose il suo Balzac(fig.n.35),

il grande bronzo che gli era stato commissionato nel 1891

dalla Sociéte des Gents de Lettres, per suggerimento di

Zola che ne era il presidente. Quando Rodin espose la sua

opera al Salon, essa fu rifiutata, perché ritenuta

incompleta: un “menhir” come lo aveva definito Giovanni

Cena, “monumento barbarico che non ha più alcuna immagine

di bellezza”163. Cena aggiunge di fronte al Balzac: «ne

allontanate lo sguardo con timore e ripugnanza; ma quella

testa non si dimentica più»164.

163 G. Cena, Artisti moderni-Auguste Rodin, cit., p.300164 Ibidem

99

La stampa si accanì contro lo scultore, ma le offerte di

acquisto che giunsero dal Belgio e dal celebre

collezionista Auguste Pellerin confermarono che Rodin era

riuscito a catturare lo spirito dello scrittore. Sulla

rivista Saturday Review del 1898, Frank Harris165 descrive le

sue sensazioni di fronte alla statua dello scrittore: ad

una prima impressione l’opera gli appare grottesca e

mostruosa, da cui traspare qualcosa di demoniaco. Facendo

il giro della statua, si resta però colpiti dal profilo,

dove il grottesco scompare e appare la faccia vivente.

Vista di profilo, la statua mostra una chiara somiglianza

con il viso di Balzac, con i suoi occhi ardenti. Così

Harris dichiara di aver compreso l’intento di Rodin, poiché

la statua presenta due aspetti: di fronte viene mostrata

l’anima dello scrittore, l’affermazione del grande artista,

di un uomo dedito al lavoro e al trionfo, mentre dall’altro

lato si osserva la rappresentazione eterna dell’uomo, il

Balzac nella sua quotidianità, il suo spirito trattenuto

nei vestiti rozzi della corruzione.

Come sottolinea Fergonzi166, Rodin con il Balzac ha tentato di

rinnovare il repertorio di quell’eroismo di matrice

michelangiolesca che fino ad allora era stato l’aspetto

dominante della scultura a grandi dimensioni. Qui Rodin ha

scelto la via impressionistica: tale modernità della

proposta trovò il favore negli ambienti che auspicavano al

rinnovamento dell’arte scultorea, ma suscitò le opposizioni

165 F. Harris, Rodin, in Marco Vallora, Rodin, cit., pp. 182-183166 Cfr. F.Fergonzi, Rodin e e la nascita della scultura moderna, cit.

100

degli ambienti più conservatori. Rodin rappresentò lo

scrittore con un lungo saio domenicano e con le braccia

riunite all’altezza del sesso: la reazione della critica fu

violentissima e le dimensioni dello scandalo furono

paragonabili solo all’esposizione dell’ Olympia(fig.n.37) di

Manet del 1865. Allo scultore venivano rimproverati la

scarsa somiglianza con la figura di Balzac, l’aspetto

caricaturale del volto e soprattutto la struttura generale

della statua.

Riguardo al Balzac, Rilke sostiene che «Rodin gli ha

conferito una grandezza che forse sovrasta la figura dello

scrittore. L’ha colto nell’essenza della sua personalità,

ma non ne ha rispettato i confini»167. Rilke poi spiega come

Rodin per anni e anni è vissuto totalmente all’interno

della figura dello scrittore, «visse come se Balzac avesse

ideato anche lui»168. Dopo tanto lavoro, «finalmente lo vide

come doveva essere»169, una figura imponente, un volto ebbro

di creatività: «era il Balzac nella fecondità della sua

sovrabbondanza, il fondatore di generazioni, il dissipatore

di destini»170.

Guardando il Balzac, non si può fare a meno di pensare ad

una scultura di Medardo Rosso, il Bookmaker(fig.n.36),

esposto alla mostra personale dell’italiano alla Bodiniére

nel 1893. Il Bookmaker raffigura l’ingegnere civile Eugéne

Marin, direttore della fonderia del suocero Henri Rouart,167 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 61168 Ivi, p. 62169 Ivi, p. 63170 Ibidem

101

presso la quale Rosso aveva lavorato per la fusione delle

sue opere. Marin era un appassionato di corse di cavalli e

spesso si recava all’ippodromo in compagnia di Medardo

Rosso, tanto che lo scultore lo ritrae proprio in quel

contesto. L’asse fortemente inclinato della figura

suggerisce un certo dinamismo, ma allo stesso tempo rende

con efficacia la compenetrazione del personaggio con

l’ambiente, proprio perché Rosso ambiva ad applicare i

principi dell’en plein air impressionista alla scultura. La

modernità di quest’opera che si presenta all’improvviso

come un’apparizione, si rivela anche nella scelta del

soggetto, nel voler celebrare una figura emblematica della

vita parigina.

L’inclinazione della figura e l’attenzione rivolta a

mettere in risalto gli effetti atmosferici furono

probabilmente gli elementi che colpirono Rodin e che gli

offrirono lo spunto per la realizzazione del Balzac. Infatti

Medardo Rosso considerò il Balzac come un affronto al suo

principio innovativo, poiché vi era il rischio, data la

fama di Rodin, di finire con il passare secondo in una

vicenda in cui si considerava il primo. Rodin poté vedere

il Bookmaker durante una delle numerose visite che i due

artisti si scambiarono nel corso del 1894, traendone

reciproco profitto: se lo scultore francese si è ispirato

all’opera di Rosso, nonostante il Balzac, come fa notare

Fergonzi171, domina lo spazio attorno a lui e non ne è

171 Cfr. F.Fergonzi, Rodin e la nascita della scultura moderna, cit.

102

assorbito come nell’altra statua, è vero anche che da

quegli incontri Rosso maturò l’idea di tornare alla

dimensione del gruppo a grandezza umana, abbandonata dopo

la partenza da Milano. In un articolo sulla rivista Lo

Spettatore, Medardo Rosso espose tutti quelli che secondo lui

rappresentavano i limiti dell’arte di Rodin. Egli sosteneva

che Rodin non avesse compiuto nessun passo avanti nella

scultura, ma fosse rimasto sempre ancorato

all’interpretazione statuaria della negazione luce-vita,

limitato alla realizzazione di opere fatte perché “vi si

giri attorno”.

Attraverso la realizzazione del Balzac e la ripresa del

Bookmaker, molti critici cominciarono a valutare una

influenza dell’impressionismo anche nella scultura

rodiniana. J. Cladel172 infatti sostenne che Rodin fece con

la linea ciò che Monet aveva realizzato attraverso il

colore, annotò dei gesti sfuggenti così come Monet aveva

dipinto effetti rapidi di colore.

A proposito dell’impressionismo Hermann Bahr173 spiega che

si tratta di una nuova tecnica pittorica che ben si adatta

al quadro temporale della società moderna. Il mondo interno

e quello esterno così come il rapporto con esso sono

cambiati e occorre quindi utilizzare una tecnica diversa

che sappia descrivere come tutto scorre eternamente e che

il movimento esiste dappertutto. Nella modernità si assiste

172 Cfr. J.Cladel, Auguste Rodin, l’oeuvre et l’homme, in M.Vallora, Rodin, cit.,p. 184173 Cfr. Hermann Bahr, Il superamento del naturalismo,cit., p. 161

103

a una metamorfosi continua, dove non esistono confini e

l’impressionismo interpreta il momento in questo modo:

«invece di dare direttamente il colore dovuto,

l’impressionista lo divide e scompone la figura da

rappresentare in tante macchie o punti colorati che solo a

una certa distanza, d’un tratto, stranamente si fondono e,

ancora confusi, incerti, informi, si ritrovano

improvvisamente nella forma più bella»174.

Attenendoci al pensiero espresso da Bahr, potremmo

effettivamente considerare la scultura di Rodin anche in

rapporto all’impressionismo, in linea con l’idea che nello

scultore francese convergono diversi stili. Gli aspetti del

divenire, del movimento, dell’incompiutezza che

appartengono all’impressionismo sono riscontrabili anche

nella scultura di Rodin. Infatti anche Rilke mette a

confronto il senso del non-finito di Rodin con la tecnica

degli impressionisti, inizialmente criticati per i loro

dipinti spesso incompleti. Il poeta aggiunge che:

eppure ci si è rapidamente adeguati a questo effetto, si è imparato a

capire e a credere, quanto meno per la pittura, che un tutto artistico

non necessariamente deve coincidere con il tutto usuale dell’oggetto e

che all’interno del quadro nascono nuove convergenze, svincolate da

ogni dipendenza, nuovi accordi, nuovi rapporti, nuovi equilibri. Anche

in scultura non è diverso175.

174 Ivi, p. 159175 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 33

104

Se alcuni hanno visto tracce di questa tecnica pittorica

nell’opera rodiniana, c’è anche chi si è occupato di

smentire completamente questo rapporto. Donatella Simon

infatti nell’opera Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste

Rodin dedica una parte del testo a confutare questa tesi,

computando i due stili. L’autrice parte da un saggio di

György Lukàcs, il quale annovera Monet così come Rodin

nella corrente dell’impressionismo. Secondo la Simon176,

innanzitutto, l’impressionismo è un’arte senza forme che

gioca sui colori e sulle luci solo per un intento

virtuosistico mentre l’arte di Rodin riesce a dare forma al

vivente, ad esprimere il carattere della Natura.

Rodin va oltre la prima impressione dello sguardo e ne

esprime la forma, la sua essenza più profonda, «bel lontano

dalla disincantata flânerie dell’impressionismo»177. Questa

corrente pittorica si lascia cullare dal potere delle

immagini colte soltanto nelle superfici del reale mentre

Rodin è in grado di cogliere la forma più intima e più

segreta della Natura, una forma nuova che rimanda al

simbolico e anticipa tendenze dell’avanguardia

novecentesca.

Infine ciò che oppone definitivamente Rodin

all’impressionismo è la frase di Rilke178, secondo cui

nell’opera rodiniana tutto il mondo circostante è contenuto

al suo interno. L’impressionismo gioca sul puro vedere,176 Cfr. Donatella Simon, Le forme e il movimento. George Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 10177Ivi, p.12178 Cfr. Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 29

105

fine a sé stesso, mentre il “vedere” di Rodin è qualcosa di

diverso, che penetra nell’essenza delle cose. Questo

concetto del vedere rimanda a una celebre passo del Malte

di Rilke, come fa giustamente notare la Simon: «Io imparo

a vedere. Non so perché tutto penetra in me più profondo e

non rimane là dove, prima, sempre aveva fine e svaniva.

Ho un luogo interno che non conoscevo. Ora tutto va a

finire là»179.

179 Idem, Malte, in Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 15

106

CONCLUSIONI

Scrive Octave Mirbeau in un omaggio a Rodin: «E’ forse

l’unico, tra gli scultori di tutti i tempi, a realizzare

un’opera che riveli una comprensione universale della vita.

E’ sempre vicino alla vita, è sempre nella vita, nel

brivido della vita, anche quando sembra elevarsi, al di

sopra di essa, nel sogno!»180.

In effetti ogni elemento della vita umana è rintracciabile

nelle opere dello scultore francese: dalla paura della

morte nella Porta dell’Inferno, alla passione ne Il Bacio, alla

voce della storia nei Borghesi di Calais, al dinamismo della

società moderna ne L’uomo che cammina, al tema del lavoro

nelle varie mani scolpite e tanto altro ancora.

In ciascuna opera di Rodin si avverte la faticosa

esperienza del lavoro umano così come nell’opera La torre del

lavoro. In quest’ultima sfila la storia dell’uomo attraverso

la rassegna di tanti mestieri: dalle miniere, agli

altiforni, ai martelli fino all’intelletto.

Come spiega Rilke, Rodin non ha tentato di rappresentare il

lavoro riassumendolo in una grande figura o in un gesto

eclatante, ma «avanza nelle officine, nelle stanze, nelle

180 Octave Mirbeau, Omaggio a Rodin, in < http://www.raer.it/media/ACTIVIDADES/act_0678dekt>

107

menti:al buio»181. Egli ha voluto rappresentare il corpo che

lavora, come invece in altre sculture lo ha rappresentato

in amore: «sarà una nuova rivelazione della vita»182.

Tale scelta può derivare da due elementi: innanzitutto

Rodin ci viene descritto come un indefesso lavoratore,

intento a penetrare nel profondo del suo mezzo artistico.

Poi però va anche considerato il contesto della rivoluzione

industriale e della progressiva divisione economica del

lavoro che uno scultore della vita moderna non può evitare

di considerare.

Rodin si dimostra l’artista della modernità anche per altri

motivi, come nel grande lavoro di ricerca della forma: egli

si impossessa di ogni materia animandola e agitandola fino

a farle emanare uno spirito pieno di vita. Nel susseguirsi

delle sue opere assistiamo ad una progressiva perdita della

forma plastica tradizionale, perdita corrispondente a

un’epoca di grandi cambiamenti individuali e collettivi.

Rodin è immerso in tali cambiamenti, ma resta in intimo

contatto col passato: egli vive cioè fra tradizione e

modernità, traendo insegnamenti dalla memoria onde poi

affrontare il presente. Passato e presente convivono nella

sue opera e questa complementarietà la rende davvero al

passo con i tempi e persino con “tutti” i tempi. Le

sculture rodiniane presentano un’esperienza in cui si

realizza la contemporanea presenza degli estremi o degli

181 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 66182 Ibidem

108

opposti che la modernità avverte tanto vicini, come

l’apollineo e il dionisiaco, in lotta tra di loro ad

esempio nella Porta dell’Inferno. In quest’opera Rodin presenta

da una parte tante figure diverse, dagli uomini, ai mostri,

alle sirene, ai centauri, attraversando tutti i drammi

della vita, come la follia, il dolore, l’angoscia, la

passione: «qui c’erano i vizi e le bestemmie, le dannazioni

e le beatitudini, e di colpo apparve chiaro quanto fosse

povero un mondo che celava e affossava tutto questo, come

se non esistesse»183, osserva Rilke. Dall’altra parte, però,

si erge nello spazio raccolto e quasi “di soglia” de Il

Pensatore, ovvero dell’uomo che medita, riflette e che da

solo tenta di contrastare il caos e il movimento fluido e

impetuoso che lo circonda. Altri artisti poi, partendo dal

questo precedente, tenteranno di creare nuove sintesi

“moderne” fra il presente e il passato, fra memoria e

attualità, fra tradizione e innovazione.

183 Ivi, p. 38

109

APPENDICE ICONOGRAFICA

Fig.1 A.Rodin, I Borghesi di Calais, 1889,bronzo, Calais, Piazza del Milite Ignoto

110

Fig.2 A.Rodin, La mano di Dio, 1902, Fig.3 A.Rodin, La Menade, 1891,marmo, 95,5 x 75 x 56, Musée Rodin, bronzo, cm 82,7 x 69 x 63,Parigi Musée Rodin, Parigi

111

Fig.4 A.Rodin, Uomo dal naso rotto, 1863-1864, bronzo,cm 26,2 x 18,8 x 23,3, Musée Rodin, Parigi

112

Fig.5 A.Rodin, L’età del bronzo, 1875-1876, Fig.6 Michelangelo, Lo Schiavo Morente, 1513, bronzo, cm 181 x 66,5 x 63, marmo, cm 229, Museo del Louvre,Musée Rodin, Parigi Parigi

113

Fig.7 A.Rodin, La Porta dell’Inferno, Fig.8 Michelangelo,Giudizio universale,1880-1917, bronzo, cm 635 x 400 x 100, 1536-1541, affresco, cm 1370 x 1200,Musée Rodin, Parigi Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma

114

Fig.9 A.Rodin, Il Pensatore,1902-1904, Fig.17 Michelangelo, Geremia, 1512,bronzo, cm 200 x 130 x 140, affresco,cm 390 x 380, Cappella Sistina,Musée Rodin, Parigi Musei Vaticani, Città delVaticano, Roma

115

Fig.11 Michelangelo, Mosè, 1513-1515, Fig.12

Michelangelo, David, 1501-1504,

marmo, cm 235, Basilica di San Pietro marmo bianco,

cm 410, Galleria dell’Accademia,

in Vincoli, Roma

Firenze

116

Fig.13 A.Rodin, Adamo, 1880,

Fig.14 A.Rodin, L’Ombra, 1880, bronzo, cm 196, 1 x 76,5 x 78,

Musée Rodin, Parigi

Musée Rodin, Parigi

117

Fig.15 Michelangelo, La Pietà, 1497-1499,

marmo, cm 174 x 195 x 69,

Basilica di San Pietro in Vaticano, Roma

118

Fig.16 A.Rodin, Eva, 1881, Fig.17 Michelangelo, Eva, Cacciata dal Paradiso,1510, bronzo, cm 172 x 52 x 64, affresco, cm 280 x 570, Capella Sistina, Musei vaticani,Musée Rodin, Parigi Città del Vaticano, Roma

119

Fig.18 A.Rodin, Donna Accovacciata, Fig.19 Michelangelo,Giovane accovacciato, 1880-1882, bronzo, cm 85,8 x 60 x 52, 1524, marmo, cm 54, Museo dell’Ermitage,Musée Rodin, Parigi San Pietroburgo

120

Fig.20 Auguste Rodin, L’uomo che cammina, 1907, bronzo, cm 213 x 161x72,

Musée d’Orsay, Parigi

121

Fig.21 U.Boccioni, Forme uniche della continuità Fig.22 U.Boccioni, Sviluppo di una bottiglia nello spazio,1913, bronzo, cm 126,4, nello spazio, 1912, bronzo, cm 32,3, Civico varie versioni Museo d’Arte Contemporanea, Milano

122

Fig.22 A.Rodin, Il bacio, 1888-1889, Fig.23, P.Picasso, Il bacio, 1969, olio su tela, marmo, cm 181,5 x 112,3 x 117, cm 130x 97,7, Muée National Picasso,Musée Rodin, Parigi Parigi

123

Fig.24 E.Schiele, Cardinale e monaca, 1912, Fig.25 G.Klimt, Il bacio, 1908, olio su tela, olio su tela cm 180 x 180, Österreichische Galerie Belvedere, Vienna

124

Fig.26 A.Rodin, San Giovanni Battista, 1878-1879,Musée Rodin, Parigi

125

Fig.27 C.Brancusi, Il bacio, 1907,pietra, cm 28,

Muzeul de Arta, Craiova

Fig.28 D.Trentacoste, Caino, 1903, Fig.29 A.Rodin, Fugit amor, 1890-1895, marmo, cm 80 x 80 x 115,marmo, cm 61 x 105 x 43,Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Musée Rodin,Parigi Roma

126

Fig.30 L.Bistolfi, Cristo, 1903, Fig.31A.Martini, Prostituta, 1913,Piazzola sul Brenta, Padova Galleria d’Arte

Moderna Ca’ Pesaro, Venezia

Fig.32 A.Martini, La Pisana, 1928,pietra di Vicenza, cm 142,5 x 73 x 57,

Collezione privata

127

Fig.33 A.Martini, Ragazzo seduto, Fig.34A.Martini, Il centometrista, 1935,1930Galleria d’Arte Moderna Ca’ Pesaro, Venezia

128

Fig.35 A.Rodin, Balzac, 1898, Fig.36M.Rosso, Il Bookmaker, 1894,bronzo, Musée d’Orsay, Parigi cera, cm48, Museo Medardo Rosso, Barzio

129

Fig.37 E.Manet, Olympia, 1863,olio su tela, cm 130 x 190,

Musée d’Orsay, Parigi

130

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-Wölfflin Heinrich, I concetti fondamentali della storia dell’arte, TEA,

Milano, 1994

133

RINGRAZIAMENTI

134

Il primo ringraziamento è rivolto al Professor Roberto

Cresti che mi ha seguito in questo percorso e dal quale ho

ricevuto validi insegnamenti. Affascinata dalla sua

sterminata cultura e preparazione, ho scelto di realizzare

questo lavoro insieme a lui. Egli ha messo a disposizione

la sua esperienza e la sua professionalità, offrendomi

saggi consigli e guidandomi nella scelta di materiale e di

letture.

Ancora un GRAZIE va alla mia famiglia che mi ha sostenuto

sempre, sia economicamente, ma anche e, soprattutto,

moralmente. Punti di riferimento imprescindibili, i miei

genitori e mio fratello Massimo si sono rivelati il mio

supporto costante, anche nelle situazioni più inaspettate.

Un grandissimo GRAZIE va a Chiara, con la quale ho

condiviso ogni attimo del percorso universitario: dalle

prime lezioni, al primo esame, alla convivenza in Via

Mozzi, alle lunghe chiacchierate prima di coricarci. Anni

di studio e di amicizia, lasceranno un’impronta indelebile

nella mia vita.

Un GRAZIE va inoltre a tutte le mie amiche di sempre: da

Claudia, Arianna, Eleonora e a tutte le altre che

135

compongono il mio gruppo storico. Dopo tutti questi anni,

ancora unite, sempre pronte a condividere momenti di svago

e a rendere spensierate quelle giornate più cupe.

Grazie anche a tutti i parenti, a tutti gli altri amici,

alle coinquiline(Arianna, Claudia, Laura, Elisa), ad

Alessandro(da un anno entrato nella mia vita per renderla

sicuramente più lieta e che ha saputo ascoltare tutti i

miei sfoghi nei momenti di maggior sconforto) e a tutti

quelli che in qualche modo hanno contribuito alla

realizzazione di questo traguardo!!!

136