Rodin lo scultore della vita moderna
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATAFACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FILOLOGIA CLASSICA E MODERNA
TESI DI LAUREA IN
STORIA DELLE ARTI DEL NOVECENTO
AUGUSTE RODIN:
LO SCULTORE DELLA VITA MODERNA
Relatore: Laureanda:
Chiar.mo Prof. Roberto Cresti Giulia Straccia
1
ANNO ACCADEMICO 2011-2012
INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO 1: IL DIVENIRE DELLA FORMA PLASTICA
1. 1 La forma del lavoro
1.2 L’evoluzione dei volumi plastici
1.3 La complementarietà degli opposti: stili, epoche e
teorie critiche
CAPITOLO 2: LA MEMORIA MODERNA
2.1 Rodin e Michelangelo
2.2 Rodin e l’arte otto-novecentesca
2.3 Rodin e l’Italia
CONCLUSIONE
APPENDICE ICONOGRAFICA
BIBLIOGRAFIA
2
INTRODUZIONE
In occasione del Salon del 1846, Charles Baudelaire esprime
le sue considerazioni sull’arte plastica. Egli infatti
pubblica un articolo dove mette in evidenza i motivi per
cui non ama la scultura, preferendo ad essa la pittura.
Innanzitutto Baudelaire rimprovera alla scultura di essere
l’arte che più si avvicina alla natura ed è per questo
motivo, secondo lui, che anche i contadini non la amano, ma
restano sbalorditi, invece, di fronte alla pittura: «vi è
qui uno strano mistero che non si tocca con le dita»1.
Altri “inconvenienti”, come li definisce il poeta critico,
riguardano i punti di vista: la scultura risulta, a suo
pensiero2, vaga e inafferrabile, così da indurre lo
1 Charles Baudelaire, Perché la scultura è noiosa, in idem, Poesie e prose, a cura di G.Raboni, Mondadori, Milano, 1977, p. 7642 Ibidem
3
spettatore a sbagliare nella scelta di quello
corrispondente alla volontà dell’autore. Al contrario una
tela dipinta non è altro che quel che vuole essere, poiché
presuppone l’esistenza di un unico punto di vista, ossia:
«è esclusiva e dispotica»3.
Per queste ragioni, Baudelaire ritiene la scultura un’arte
complementare, il cui compito è quello di associarsi
umilmente alla pittura e all’architettura e assecondare
così le loro intenzioni. «In tutte le grandi epoche la
scultura è un complemento; in principio e alla fine, è
un’arte isolata»4.
Il periodo in cui Baudelaire scrive è quello in cui domina
una scultura fortemente accademica. Infatti egli cita
alcuni degli scultori dell’epoca, come James Pradier e così
afferma :
la miglior prova dello stato compassionevole, in cui versa la
scultura, è che Pradier ne è il sovrano. Almeno questi sa fare le
carni, ed ha delicatezze di cesello particolari; ma non possiede né
l’immaginazione necessaria per le grandi composizioni, né
l’immaginazione del disegno. È un ingegno freddo e accademico5.
L’opinione di Baudelaire potrà essere smentita soltanto
alla fine dell’Ottocento, quando la scultura comincerà ad
assumere una nuova forma e ad adattarsi al contesto della
modernità. Chi promuoverà questo cambiamento sarà lo
3 Ibidem4 Ivi, p. 7655 Ivi, p. 766
4
scultore francese Auguste Rodin con le sue opere piene di
vita:
E questo senso di vita non pervadeva soltanto le opere più famose o
più appariscenti; quelle trascurate, piccole, anonime e superflue non
erano meno ricolme di questo vibrare profondo, interiore, di questa
ricca e sorprendente irrequietezza della cosa vivente. Anche
l’immobilità, dove era presente, consisteva di cento e cento attimi di
moto che si mantenevano in equilibrio6.
Pertanto se la comparsa di Rodin sulla scena artistica
solleverà un certo clamore sarà soprattutto perché egli
riuscirà a dimostrare che anche la scultura è in grado di
manifestarsi come espressione del proprio tempo.
Come ritiene Georg Simmel a proposito di Rodin,
nei suoi lavori sentiamo di nuovo l’incessante animazione della pietra
e del bronzo, qui sembra vibrare alla sua superficie una vita interna
della pietra, sembra modellarsi da sé stessa, senza resistenza, come
ben si dice che l’anima si costruisce il suo corpo”7.
Per l’appunto il proposito del mio lavoro è stato quello di
presentare Auguste Rodin come lo scultore della vita
moderna. Ho tentato quindi di comprendere il contesto
storico della modernità e successivamente di collocarvi
adeguatamente l’opera di Rodin. Partendo dalle analisi di
6 Rainer Maria Rilke, Rodin, SE, Milano, 2004, p. 157 Georg Simmel, L’arte scultorea di Rodin e le tendenze spirituali dell’età contemporanea, in Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, Il Segnalibro, Torino, 2005, p.42
5
Simmel sulla vita nella metropoli e sul dominio della
tecnica, mi sono poi confrontata con testi di natura
filosofica e critica di Friedrich Nietzsche, di Konrad
Fiedler e di Heinrich Wöllflin per comprendere meglio ciò
che la scultura rodiniana rappresenta. Una volta inquadrato
il contesto in cui opera Rodin e ciò che la sua opera tende
a manifestare, mi sono occupata delle influenze che lo
scultore ha esercitato sugli artisti delle avanguardie
insieme all’ispirazione che egli ha avuto dal maestro
Michelangelo, per poi concludere con una panoramica
sull’arte italiana e il suo legame con la scultura
rodiniana.
In questo modo ho tentato di confutare la tesi
baudelairiana avversa alla scultura, fino a dimostrare che
con Rodin anche la scultura stessa può corrispondere alle
esigenze espressive della vita moderna, sganciandosi dalla
sudditanza rispetto al passato, rilevata anche da un altro
poeta con interessi per l’arte in generale e per quella
plastica in particolare, quale fu Rainer Maria Rilke.
Quest’ultimo affermava che la scultura dell’Ottocento
«ancora esitava per deferenza verso un grande passato»8 e
per questo occorreva intervenire con una nuova forma
espressiva: «doveva soccorrere un’epoca il cui tormento
nasceva dall’essere i suoi conflitti invisibili»9.
Rodin capì che il rinnovamento della scultura si poteva
trovare nel linguaggio del corpo a contatto con le
8 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 179 Ivi, p.17-18
6
dinamiche del tempo presente, poiché esso era l’unico in
grado di esprimere la vita senza più veli: «la vita
impressa sui volti come su quadranti, facilmente leggibile
e colma di riferimenti temporali, nei corpi era più
diffusa, più grande, più enigmatica e più eterna»10.
L’artista francese riuscì così a comprendere la realtà
della sua epoca e a dare avvio al rinnovamento della
scultura: «per anni e anni Rodin si aggirò per le strade di
questa vita, umile e desideroso di apprendere, sentendosi
un principiante»11.
10 Ivi, p.2211 Ibidem
7
CAPITOLO 1: IL DIVENIRE DELLA FORMA PLASTICA
1.1 La forma del lavoro
«Non bisogna lasciarsi ingannare dall’enorme quantità di
intelligenza con cui sono state create le basi teoriche di
quella tecnica e in cui sembra certamente avverarsi il
sogno di Platone, che era quello di fare della scienza la
regina della vita»12. Così scrive il filosofo Georg Simmel,
quando delinea il quadro della civiltà moderna che si fonda
sul principio dell’industria e della tecnica.
È infatti a partire dalla fine del 1700 che inizia la
rivoluzione industriale, prima in Inghilterra e poi negli
altri Paesi d’Europa, ovvero si assiste all’introduzione
della macchina a vapore e della meccanizzazione
dell’industria tessile e siderurgica, il che provoca una
serie di cambiamenti a livello economico, sociale e
culturale. La trasformazione continua soprattutto negli
anni 1870-1880, quando la civiltà moderna comincia ad
avvalersi dell’elettricità, dei prodotti chimici e del
petrolio.
Riferendosi proprio a questi anni, Simmel elabora
un’analisi dettagliata dell’economia, della società e
dell’arte di fine 800. Egli ci descrive un’epoca in cui la
tecnica ha preso il soppravvento e l’uomo non bada più a
ciò che vuole comunicare, piuttosto alla velocità o alla
12 Georg Simmel, Il dominio della tecnica, in Tecnica e cultura. Il dibattito fra Bismark e Weimar, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 40
8
lentezza del mezzo di comunicazione. L’uomo si allontana
mano a mano dal suo centro, dalla sua spiritualità,
attratto dalla tecnica, dalle nuove scoperte, dai nuovi
strumenti a sua disposizione, non avendo però coscienza del
suo asservimento a questa serie di novità. Infatti gli
uomini non avvertono che «i fili su cui la tecnica
inserisce nella nostra vita le forze e gli elementi della
natura sono altrettante catene che ci legano e che ci
rendono indispensabili un’infinità di cose di cui si
potrebbe e anzi si dovrebbe benissimo fare a meno ai fini
essenziali della vita»13. Si è schiavi della macchina,
delle conquiste tecniche, dei consumi e di conseguenza si è
sempre più lontani da sé stessi. La mancanza di una
“centripetalità spirituale” provoca in questo modo nello
stato d’animo umano un continuo senso di inquietudine, uno
stato febbrile che lo induce a cercare nuovi stimoli. La
condizione di confusione si manifesta così nel caos della
metropoli o nella smania di viaggi o ancora nell’incostanza
dei gusti e degli stili.
«Il fondamento psicologico su cui si eleva il tipo delle
individualità metropolitane è l’intensificazione della vita
nervosa»14, afferma Simmel descrivendo la condizione
dell’uomo nella società moderna. L’uomo che vive nella
metropoli, ogni volta che attraversa la strada o che
comunque vive il ritmo e la varietà della vita economica e
professionale subisce delle impressioni e delle sensazioni
13Ibidem 14 Georg Simmel, Le metropoli e la vita spirituale, ivi, p. 66
9
del tutto antitetiche rispetto a quelle vissute nella città
di provincia o nella vita di campagna, «col ritmo più
lento, più consueto, più uniforme della loro vita sensibile
e intellettuale»15.
Ciò che caratterizza il tipo metropolitano è
l’intellettualismo, al contrario dell’uomo che vive nella
città di provincia, orientato piuttosto verso i sentimenti
e i rapporti affettivi. Invece nell’uomo della metropoli la
reazione a qualsiasi fenomeno esterno avviene mediante
l’intelletto e quindi trasferita nell’organo psichico meno
sensibile.
Secondo Simmel l’intellettualismo, il mezzo per preservare
la vita soggettiva dalla violenza della metropoli, è in
stretta connessione con l’economia monetaria: entrambi
hanno in comune la pura oggettività nel trattare uomini e
cose. L’individualità tipica dei rapporti affettivi è
quindi assente in quelli intelletti che trattano gli uomini
come se fossero numeri, come se fossero in sé indifferenti.
L’economia metropolitana destina la sua produzione
esclusivamente per il mercato, eliminando gli ultimi resti
della produzione in proprio e determinando così “un
carattere di oggettività spietata” nei rapporti tra il
produttore e gli acquirenti. Ormai inserito nel circuito
dell’economia monetaria, l’uomo moderno calcola sempre di
più, impostando la sua vita su ritmi regolari, precisi,
puntuali. Così si spiega infatti la frase di Simmel quando
15 Ibidem
10
afferma: «se, d’improvviso, tutti gli orologi di Berlino
cominciassero a sbagliare in direzioni diverse, anche solo
per la durata di un’ora, tutta la sua vita economica e
d’altro genere sarebbe sconvolta per molto tempo»16. Questo
ritmo così scandito e puntuale determina l’odio di
pensatori come John Ruskin o Friedrich Nietzsche nei
confronti della metropoli. Sia l’uno che l’altro, a
pensiero di Simmel, «nature che trovano il valore della
vita solo in ciò che è tipicamente peculiare e non si può
precisare uniformemente per tutti e in cui perciò, dalla
stessa fonte da cui scaturisce quell’odio, scaturiscono
anche l’odio per l’economia monetaria e per
l’intellettualismo della vita»17.
Caratteristica quindi della metropoli è una forma di
estrema impersonalità, a causa della ripetitività dei gesti
e delle azioni che la tecnica ha innescato. Se da una parte
domina l’impersonalità e l’anonimato, dall’altra, sostiene
Simmel18, tipico ed estremamente personale della metropoli
è un fenomeno psicologico che egli denomina come “blasé”,
aggettivo riferito a chi ostenta scetticismo e
indifferenza. Nel contesto metropolitano l’individuo è
abituato a ricevere stimoli continui e in qualche modo si
abitua ad essi, diventando meno recettivo. Per questo
motivo l’atteggiamento blasé indica l’incapacità di reagire
a stimoli nuovi con energia ad essi adeguata, è la noia, lo
16Ivi, p. 6917 ibidem18 Ibidem
11
stato d’animo disincantato che è già evidente nei bambini
delle grandi città, rispetto a quelli cresciuti in ambienti
più tranquilli.
Inoltre le città sono prima di tutto le sedi
dell’industria, della tecnica e della divisione economica
del lavoro e il singolo si ritrova costretto a una
specializzazione professionale che gli eviti il rischio di
essere sostituito da altri . L’effetto della crescente
divisione del lavoro pretende dall’individuo una
prestazione sempre più specializzata, «il cui massimo
potenziamento determina spesso un deperimento della sua
personalità complessiva»19. Il singolo è ridotto a una
“quantité négligeable”, di fronte a un’immensa
organizzazione di cose che trasforma la sua vita soggettiva
in una vita puramente oggettiva.
È evidente quindi la difficoltà di affermare la propria
personalità che si realizza nel cercare le stranezze più
assurde, le stravaganze, il cui significato risiede nella
ricerca dell’alterità, nella volontà di distinguersi. Allo
stesso modo, fa notare Simmel20, opera un altro elemento
poco appariscente: la brevità e la rarità degli incontri
che avvengono nell’ambito della folla, rispetto ai rapporti
quotidiani che intercorrono tra gli abitanti delle città di
provincia. Questo accade perché “la tentazione di
presentarsi in forma arguta, concisa e il più possibile
caratteristica, ne risulta estremamente rafforzata rispetto
19 Ivi, p.7820 Ivi, p.77
12
alle situazioni in cui la frequenza e la durata degli
incontri bastano già a produrre nell’altro un’immagine
chiara e inequivocabile della nostra persona”21. A
proposito dei rapporti tra gli individui nella città
moderna, Simmel22 riflette sull’entità di essi e nota un
atteggiamento distaccato e riservato. Questa forma di
riserbo deriva dalla volontà degli uomini di tutelare la
propria vita soggettiva, così che ci si trova ad avere
contatti del tutto sporadici con gli altri, diversamente
dalle città di provincia dove tutti si conoscono. Allo
stesso tempo, Simmel23 sottolinea ancora che
l’atteggiamento di indifferenza e di distacco concede agli
individui una sorta di libertà personale, assente invece
nei contesti più piccoli e ristretti, limitati da
“piccinerie” e pregiudizi. Il risvolto negativo però di
questa libertà si traduce in un sentimento di solitudine e
di abbandono, tipico di chi vive nel caos della grande
città. Del resto non è detto che la libertà dell’uomo debba
determinare un senso di benessere nella sua vita affettiva.
Se da un lato la tecnica può aver facilitato la vita degli
uomini, introducendo nuovi servizi, nuovi interessi, nuovi
stimoli, dall’altro ha prodotto una serie di contenuti
impersonali e quindi un deperimento della qualità
individuale delle conoscenze. Con la rivoluzione
industriale l’utile e la tecnica prendono il sopravvento su
21 Ibidem22 Ivi, p. 71 23 Ivi, p.74
13
qualsiasi elemento culturale, proponendo così una realtà
senza immaginazione. Come afferma lo studioso Carlo Emilio
Cipolla, “il passato è morto”, contano soltanto le novità
introdotte dalla rivoluzione industriale che presenta un
notevole sviluppo nella Grande Esposizione Universale di
Londra del 1851, allestita nel Crystal Palace. Il palazzo,
realizzato completamente in vetro, costituisce “il primo
prefabbricato di grandi dimensioni nella storia
dell’architettura moderna”24. Nel Crystal Palace vennero
esposti i prodotti dell’industria moderna più disparati:
macchine a vapore e locomotive insieme ad oggetti
oscillanti tra dimensione artistica e ed esecuzione
meccanica.
Compito dell’arte contemporanea sarà allora quello di
riguadagnare un passato ormai accantonato dalla rivoluzione
industriale, di riportare alla luce la memoria, senza la
quale non è possibile affrontare la realtà. L’uomo
contemporaneo comprende di non poter vivere né senza
memoria né senza realtà. Non si rigetta ciò che è emerso
con l’industria moderna, ma allo stesso tempo viene
recuperato il passato.
24 Pierluigi De vecchi e Elda Cerchiari, Arte nel tempo, Bompiani, Milano,2006, primo tomo, p.285
14
1.2 L’evoluzione dei volumi plastici
La volontà di superare l’ostacolo posto dalla lastra di
vetro del Crystal Palace, come sinonimo di tecnica
dominante sulla vita, è uno degli obiettivi dell’arte della
seconda metà del secolo XIX e ancor più del secolo XX. Tale
volontà è per esempio evidente nella corrente
dell’espressionismo, che Simmel definisce come
l’interna commozione dell’artista che si prosegue nell’opera, o,
meglio ancora, come opera, del tutto immediatamente così quale viene
vissuta. Essa non fa ciò con una forma, o non si plasma in una forma,
che sia ad essa imposta da un’esistenza, vuoi reale, vuoi anche
ideale, ad essa esteriore25.
L’opera espressionista può derivare dall’interiorità
dell’artista così come invece essere stimolata da un
oggetto; quest’ultimo però non deve necessariamente essere
rappresentato in base al suo aspetto esteriore. «Si
potrebbe dire», sostiene Simmel, «che l’artista
espressionista ponga, in luogo del modello, l’occasione che
imprime un’eccitazione alla vita di lui, la quale nel suo
contenuto obbedisce solo a sé stessa»26. In base a questa
osservazione, è evidente che l’artista non bada più alla
ricerca della forma tradizionale per realizzare la sua
opera, ma alla vita che scorre nel suo continuo divenire e
fluttuare. È la vita in sé medesima che respinge ogni forma25 Georg Simmel, Il conflitto della civiltà moderna, SE, Milano, 1999, p. 2626 Ivi, p.28
15
comune o tradizionale, è la lotta della vita contro il
principio della forma. L’arte di Van Gogh rispecchia
sicuramente questa concezione dell’abolizione della forma
in generale: nelle sue opere l’io è ovunque e si riflette
in qualsiasi forma e l’immedesimazione è totale. Del
pittore, Simmel dichiara: «a me sembra che sia soprattutto
questa vita ardente e percepibile nella sua immediatezza(e
che veramente solo qua e là cade con l’assunzione della sua
forma visibile in un contrasto da cui questa è distrutta)
ciò che avvince larghe sfere del pubblico a Van Gogh»27.
Simmel inizia così una critica nei confronti della
classicità che “sta interamente sotto l’impero della
forma”, che è quindi l’esponente storico della forma in
generale, di cui la vita vuole liberarsi. Di questo ideale
classico tenta di liberarsi non solo la pittura, ma anche
la scultura verso la fine dell’800 grazie alle opere dello
scultore francese Auguste Rodin.
1.2.1
Rodin nasce il 12 novembre del 1840 a Parigi e nascere in
questa capitale era già di per sé un privilegio per chi
voleva intraprendere una carriera artistica. Artisti e
scrittori producevano opere di grande importanza, «in cui
modelli antichi e nuovi valori-ideale e realtà- si
scontravano e si contaminavano a vicenda»28. Nel 1857
Gustave Flaubert pubblicava Madame Bovary e Charles
27 Ivi, p. 3328 Marco Vallora, Rodin, Rizzoli/Skira: Corriere della Sera, Milano, 2005, p. 29
16
Baudelaire Les Fleurs du Mal, testi che portavano un certo
senso di inquietudine esistenziale nel panorama artistico.
Dal poeta Rilke sappiamo quanto Rodin amasse Baudelaire:
«percepiva in Baudelaire un precursore, uno che si era
lasciato sedurre dai volti e aveva cercato i corpi, dove la
vita è più grande, più crudele e più inquieta»29.
L’interesse di Rodin per il poeta-critico lo portò anche a
illustrare una copia de Les Fleurs du Mal nel 1888.
Come in campo letterario, così anche sullo scenario
artistico si potevano ammirare grandi opere come il Déjeneur
sur l’herbe del pittore Édouard Manet, il quale gettava le
basi dell’impressionismo o ancora i quadri carichi di
verità di Gustave Courbet.
Inoltre a Parigi esisteva una scuola prestigiosa come
l’École des Beaux-Arts mentre per chi aveva difficoltà
economiche o vi non era stato ammesso, poteva frequentare
gratuitamente la cosiddetta Petite École. A quest’ultima si
iscrisse nel 1854 il giovane Auguste Rodin.
Mentre l’École des Beaux-Arts basava i suoi insegnamenti su
principi classici e tradizionali, la Petite École si poneva
su un piano diverso: essa aveva l’intento di formare
artigiani in grado di realizzare oggetti ed elementi
decorativi da produrre in serie. Da questa scuola più
tecnica erano però usciti grandi scultori come Carpeaux o
Carrier-Belleuse.
29 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 24
17
Il giovane Rodin si dimostrò il migliore del corso,
vincendo nel 1857 il primo premio per la scultura e il
secondo per il disegno. Inoltre nel pomeriggio, dopo le
lezioni, egli aveva l’abitudine di recarsi a Louvre a
copiare le statue classiche che da sempre rappresentavano
il modello di perfezione formale. Rodin tentò più volte di
entrare all’École des Beaux-Arts, ma invano. Al termine dei
suoi studi iniziò a lavorare per artigiani, gioellieri e
scalpellini: un’esperienza che lui stesso ritenne
utilissima per intraprendere poi la sua carriera di
scultore.
Come fa notare Marco Vallora, «il suo genio fu quello dei
grandi artisti di ogni tempo: fare tesoro di tutto, del
passato, della natura, della storia, la capacità di essere
l’originale punto di arrivo di una storia secolare»30.
Nel 1864 Rodin iniziò a lavorare per Albert-Ernest Carrier-
Belleuse, scultore assai richiesto e lo stesso anno gli
venne rifiutata al Salon l’opera l’Uomo dal naso rotto. Sempre
nel 1864 conobbe la donna che sarebbe stata la compagna
della sua vita, Rose Beuret e che deciderà di sposare
soltanto nel 1917, alcuni mesi prima di morire.
Allo scoppio della guerra franco-prussiana, nel 1870, Rodin
fu chiamato al servizio di leva, ma fu subito riformato a
causa della miopia; così l’anno successivo partì per
Bruxelles, attirato da un’offerta di lavoro fattagli da
Carrier-Belleuse. Nel 1872 terminò la collaborazione con lo
30 Marco Vallora, Rodin, cit., p. 31
18
scultore, ma Rodin rimase comunque a Bruxelles. Poi nel
1875 realizzò un progetto comune a molti artisti: visitare
l’Italia. Di questo viaggio poi parleremo più avanti,
nell’analisi del rapporto tra Rodin e Michelangelo
Buonarroti.
Rientrato a Bruxelles completò l’opera l’ Età del bronzo che
aveva iniziato prima di partire per l’Italia e la espose al
Salon del 1877: fu il vero esordio di Rodin come scultore.
L’opera venne accusata di essere un calco dal vero:
nonostante ne derivò uno scandalo, esso si rivelò in realtà
un trampolino di lancio per Rodin.
Il 1880 fu l’anno di riabilitazione dall’accusa di calco:
lo Stato acquistò la contestata Età del bronzo e gli
commissionò la Porta dell’Inferno, un portale per il futuro
Museo delle Arti Decorative. Cominciò così un’ascesa
destinata a non declinare, tanto che era possibile trovare
lo scultore nei migliori salotti della capitale francese.
Entrando nei migliori circoli sociali e intellettuali, gli
si aprì la committenza di ritratti delle personalità più in
vista, come il busto dello scrittore Victor Hugo.
Nel 1883 Rodin iniziò una relazione con la giovane
scultrice Camille Claudel che divenne allo stesso tempo la
sua amante e la sua assistente.
L’anno successivo gli venne commissionato un monumento
celebrativo, I Bourgeois de Calais, che sarebbe diventato uno
dei suoi capolavori. Tra il 1885 e il 1888 lavorò
19
intensamente a tale monumento, alle figure della Porta
dell’Inferno e realizzò anche l’illustrazione de Les Fleurs du Mal.
Nella primavera del 1889 si tenne la mostra Rodin-Monet
alla Galerie di Georges Petit: 70 dipinti di Monet e 36
sculture di Rodin. Qui Rodin espose i Bourgeois de Calais e
ottenne il consenso di eminenti critici come Octave Mirbeau
e Gustave Geoffrey. Lo stesso anno gli venne commissionato
il Monumento a Victor Hugo mentre due anni dopo il Monumento a
Balzac: quest’ultimo, esposto nel 1896, suscitò un vero
scandalo(ne tratteremo più avanti).
Nel 1893 Rodin si trasferì a Meudon dove affittò Villa des
Brillants che fu la sua residenza fino alla morte e il
punto di incontro di numerosi artisti, come Claude Monet. È
anche l’anno in cui assunse Émile-Antoine Bourdelle come
praticante e in cui conobbe lo scultore italiano Medardo
Rosso che aiutò ad introdursi nell’ambiente parigino.
Dalla fine degli anni Ottanta nello studio di Rodin si
affacciarono nuove sperimentazioni che presenterà al
pubblico solo negli ultimi anni del secolo.
Alcune esposizioni contribuirono a consolidare il successo
internazionale dell’artista, come quelle di Amsterdam,
L’Aia e Bruxelles, organizzate dalla sua amica giornalista
e scrittrice Judith Cladel.
Inoltre in concomitanza con l’Esposizione Universale di
Parigi, nel maggio 1900, venne allestito un padiglione
speciale per circa centocinquanta opere di Rodin in place
de l’Alma. Monet e altri pittori si occuparono della
20
stesura del catalogo. Anche se l’affluenza di pubblico fu
limitata, la retrospettiva ottenne un grande successo di
critica e sancì definitivamente la fama di Rodin a livello
internazionale. In seguito il padiglione venne smontato e
allestito nel parco della villa di Meudon.
Nel frattempo l’Inghilterra preparava onori raramente
attribuiti ad un artista francese: nel 1902 Rodin si recò a
Londra per l’inaugurazione del San Giovanni Battista. Lo
scultore dovette però ripartire subito perché diretto verso
Praga, dove si stava inaugurando una sua personale. Egli
compì un viaggio trionfale attraverso la Cecoslovacchia
fino a Vienna, dove strinse contatti con gli artisti della
Secessione Viennese e dichiarò la propria ammirazione a
Gustav Klimt.
Inoltre nel 1903 lo scultore riuscì ad esporre le sue opere
anche al Metropolitan di New York e l’America rispose con
grande entusiasmo.
Rientrato a Parigi, nel 1902, Rodin ebbe il suo primo
incontro con il poeta e prosatore tedesco Rainer Maria
Rilke, autore della biografia Auguste Rodin, una delle fonti
più interessanti e affascinanti per comprendere lo
scultore. Rilke divenne il segretario di Rodin nel 1905,
per essere poi licenziato l’anno successivo. I due però si
riconciliarono nel 1907 e Rilke fu reintegrato al suo
servizio. Quest’ultimo consigliò a Rodin di affittare
alcune stanze in un palazzo a Parigi, il settecentesco
21
Hôtel Biron: vi avevano vissuto vari artisti tra cui Henri
Matisse e lo stesso Rilke.
Parigi rimaneva sempre la fonte di ispirazione principale
per Rodin: nel 1905 espose al Salon d’Automne, lo stesso
anno dei fauves mentre l’anno successivo venne organizzata
la prima retrospettiva di Paul Gauguin.
Nel 1911 Rodin pubblicò L’arte. Conversazioni raccolte da Paul Gsell e
nello stesso anno lo Stato destinò l’Hôtel Biron al
Ministero della Pubblica Istruzione e Belle Arti, così che
lo scultore dovette lasciare le stanze che aveva affittato.
L’amica Cladel pensò di trasformare l’edificio in un museo
dedicato all’opera di Rodin, ma il Parlamento avversò la
proposta, sia perché era inusuale dedicare un intero museo
ad un artista ancora in vita, sia perché egli godeva di una
certa fama soprattutto nel resto d’Europa piuttosto che in
Francia.
Seguono altri successi internazionali e altri viaggi in
Italia dello scultore: qui egli divenne famoso soprattutto
dopo la mostra dell’Alma.
Allo scoppio della guerra, nel 1914, Rodin si rifugiò con
Rose e Judith a Londra, dove era amatissimo: le sue opere
vennero esposte in diverse gallerie londinesi. A partire da
questo momento Rodin cominciò ad ammalarsi, poiché si
presentarono i primi sintomi dell’emiplegia.
Nel 1916 lo Stato accettò finalmente di trasformare l’Hôtel
Biron nel Musée Rodin, ma le condizioni di salute dello
scultore peggioravano sempre di più. Il 29 gennaio del 1917
22
decise di sposare Rose, ma la donna un mese dopo morì. La
morte giunse presto anche per Rodin che si spense il 19
novembre dello stesso anno.
1.2.2
Nel corso del XIX secolo, la scultura era ferma su
posizioni piuttosto conservatrici, come ci ha fatto notare
anche Baudelaire nel suo articolo Perché la scultura è noiosa.
Werner Hoffman per esempio ritiene che tale secolo «non fu
propizio all’arte plastica, nella quale né i contenuti
eroico-borghesi né quelli intimo-borghesi riuscirono a
esprimere una pienezza di vita convincente. La scultura non
è un genere di arte borghese»31.
Tra il 1850 e il 1870 la maggior parte delle sculture
veniva prodotta su commissione pubblica e realizzata
secondo il gusto classico, così come nel 1875, in Francia,
con l’avvento della Terza Repubblica, continuavano le
commissioni statali di grandi monumenti che vincolavano la
libertà creativa dell’artista.
Bisogna attendere la fine degli anni ‘80 per assistere al
rinnovamento della scultura: essa non è più stabile, si
muove, è fatta per girarci intorno e racchiude la vita.
Come fa notare Hoffman, l’opera di Rodin si realizza
nell’idea e nella forma: «il tema centrale è la
transitorietà dell’uomo»32, quindi la vita nel suo divenire
e per quanto riguarda la forma, «chiamata a interpretare
31 Werner Hoffman, Auguste Rodin 1840-1917, in idem, La scultura del XX secolo, Universale Cappelli, Bologna, 1962, p. 60 32 Ivi, p. 74
23
questa caducità, può esistere soltanto nell’instancabile
mutamento e nella ricerca inquieta»33. Soffermandoci sul
concetto di transitorio, possiamo rilevare che anche il
poeta Rainer Maria Rilke34 vi insiste a proposito di Rodin.
Nella scultura di quest’ultimo, Rilke individua la
separazione dell’eterno dal transitorio, il che ci rimanda
a Baudelaire e al concetto di modernità. Baudelaire si
domanda che cosa sia la modernità e così si risponde:
«liberare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico
nello storico, di cavare l’eterno dal transitorio… La
modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente,
la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e
l’immutabile»35.
La capacità di trasformare il transitorio in eterno,
secondo Rilke36, è evidente soprattutto quando Rodin
sceglie come soggetti delle sue opere avvenimenti o
personaggi storici che vuole riportare nel presente. Un
esempio è costituito dal monumento dei Bourgeois de
Calais(fig.n.1), dove ci si riferisce alla vicenda
dell’assedio di Calais da parte del re inglese Edoardo III
e a come questi non volesse concedere tregua alla città,
prostrata dalla fame, salvo finire poi per accondiscendere
a un minimo di clemenza in virtù del consegnarsi senza
condizioni dei sei cittadini più illustri nelle sue mani.
33 Ibidem 34 Cfr. Rainer Maria Rilke, Rodin,cit., p. 2135 Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in idem, Poesie e prose, cit., p. 94436 Cfr. Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p.55
24
Rodin si concentrò in particolar modo sul momento del
commiato, su come i sei si prepararono al patibolo: sentiva
come in ciascuno di loro si raccoglieva ancora una volta
tutta la vita vissuta, come ognuno carico del proprio
passato, era pronto a portarlo con sé anche al di fuori
della città. Rodin riuscì a rappresentare questi uomini,
nessuno uguale all’altro: ognuno aveva preso la sua
decisione in maniera autonoma e viveva le ultime ore di
vita a modo proprio. La volontà di Rodin era quella di
collocare il monumento davanti al Municipio di Calais,
proprio in mezzo al selciato della piazza, come un corteo
vivente di sofferenza e di sacrificio sempre imminente, in
ogni epoca. A Calais però si rifiutarono di adottare un
piedistallo così elevato e ne scelsero uno tanto sgraziato
quanto superfluo.
Per quanto riguarda la forma, Rodin «per primo trovò uno
stile con cui esprimere l’atteggiamento dell’anima moderna
verso la vita»37, dice Simmel.
Il filosofo affronta un’analisi della storia della scultura
partendo da quella greca, ove si osserva la tendenza a
realizzare una solidità che cerca la forma essenzialmente
stabile del corpo, indipendentemente cioè da qualsiasi
movimento. La scultura gotica invece è la prima a
presentare il corpo anche nel suo movimento, ma il
cristianesimo ufficiale, non riconoscendo il valore del
corpo impone allo scultore, che non ne può fare a meno, di
37 Georg Simmel, Rodin, in idem, Il volto e il ritratto:saggi sull’arte, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 201
25
operare entro una palese contraddizione. Ne scaturiscono
corpi allungati e deformati che devono “essere sostegno
dell’anima che aspira al trascendente, anzi, dell’anima che
abita nel trascendente”38. Solo Ghiberti e soprattutto
Donatello riescono poi a ricongiungere anima e corpo: il
movimento non è più negazione del corpo, ma l’anima che in
esso si esprime è esattamente l’anima del corpo che mette
in azione il movimento. Simmel però fa notare che in realtà
nemmeno in Donatello si riscontra la perfetta unione dei
due elementi: «egli ha preparato il senso della vita del
Rinascimento, ma lo ha soltanto preparato»39. La soluzione
definitiva è allora rintracciabile nella scultura di
Michelangelo: «il movimento del corpo, l’infinità di un
divenire inquieto, che annunciano le sue figure, è divenuto
il mezzo per portare la forma sostanziale, plastica,
all’espressione più completa»40. Da questo punto di vista
anche Rodin pone l’accento sul movimento del corpo, ma
nella sua scultura esso è raggiunto con mezzi di
espressione differenti. Essa presenta una nuova
flessibilità delle articolazioni e una nuova vita propria:
«infiniti contatti tra luce e materia, e ognuno di questi
contatti si rivelò diverso da ogni altro, e ognuno
singolare… Rodin aveva scoperto l’elemento fondamentale
della sua arte, era la superficie, di grandezza variabile,
diversamente sottolineata, definita con esattezza, da cui
38 Ivi, p. 20239 Ivi, p.20340 Ibidem
26
tutto poteva nascere»41. Per quanto l’unità e l’equilibrio
in Michelangelo siano perfetti, egli rimane comunque troppo
legato all’ideale classico: i movimenti delle sue sculture
vengono sempre afferrati in un relativo punto di quiete,
mentre quelli presenti nelle opere di Rodin sono realmente
quelli del tempo che fugge. Fino a Rodin sembrava
impossibile che la scultura raggiungesse l’atemporalità,
senza conferirle un carattere di quiete; invece, come
sottolinea Rilke di fronte alla scultura rodiniana, essa
«doveva conquistarsi una sede peculiare, sicura, in cui non
l’avesse collocata l’arbitrio, e doveva inserirsi nella
silenziosa atemporalità dello spazio»42.
Simmel spiega che ciò che viene rappresentato è l’uomo in
tutto il suo pensiero e in tutta la sua vita, concordando
con Rilke che appunto scrive: «Rodin colse la vita ovunque
presente là dove la vide. La colse nei punti più
impercettibili, la osservò, la seguì… Nessuna parte del
corpo era inespressiva o di poco valore: il corpo
viveva»43.
Sia Simmel che Rilke individuano il senso della vita che si
manifesta nel divenire, nel movimento; infatti un’arte che
vuole proporre un’interpretazione veritiera della vita non
poteva fondarsi sull’immobilità. I movimenti che si
scorgono nella scultura di Rodin non sono le movenze
fissate delle sculture classiche, in cui erano evidenti
41 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p.2142 Ivi, p.2043 Ivi, p.21-22
27
solo il punto di partenza e quello di arrivo. «Tra questi
due momenti essenziali si avvicendano innumerevoli fasi
intermedie, e il risultato è la vita stessa dell’uomo
contemporaneo, il cui potere o non poter agire si dipana
proprio nel contrappunto di questi trapassi»44, scrive
Rilke.
L’attenzione alla vita dell’uomo nella società moderna
rimanda ancora a Baudelaire45, in quanto egli considera
l’artista “uomo di mondo”. L’uomo di mondo si interessa del
mondo intero, la folla è il suo dominio e il suo lavoro è
quello di “sposare la folla”. «Per il perfetto curioso, per
l’osservatore appassionato, è un immenso godimento eleggere
come domicilio la folla, l’ondeggiante, il movimento, il
fuggitivo e l’infinito»46.
È lo stesso Rodin ad affermare che per l’artista la vita è
un godimento infinito, un rapimento perpetuo, un’ebbrezza
travolgente e anche nella sofferenza egli è in grado di
trovare la tragica voluttà dello stupore.
Nell’esaminare l’opera di Rodin, Rilke tende a cogliere in
particolare il momento in cui l’interiorità si rende
manifesta. In una società come quella moderna dove la
realtà interiore risulta minacciata, la scultura di Rodin
prova a restituire spazio al dato emotivo. Paul Gsell,
critico d’arte che ha raccolto le sue conversazioni con
Rodin, si rivolge allo scultore con queste parole:44 Ivi, p.4045 Cfr. Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in idem, Poesie e prose,cit., passim46 Ivi, p. 941
28
«celebrando con tanto vigore il nostro essere interiore,
avete favorito l’evoluzione della vita moderna…Avete
osservato che nell’epoca appena apertasi non vi è per voi
niente di così importante come i nostri sentimenti, il
nostro mondo intimo»47.
Animare la scultura in profondità non avviene
necessariamente attraverso la totalità del corpo, ma anche
rappresentandone solo una parte. L’idea del frammento, che
molto sarà sfruttata da Rodin, è espressa anche da Simmel:
«… [i frammenti] connessi in una costellazione di senso,
esprimono e rimandano ad una totalità, ad un tutto dove la
sintesi risulta dalla loro associazione e appartenenza
reciproca determinata da una particolare prospettiva di
sguardo»48.
Infatti Rodin costruisce frammenti di torsi, di arti e di
mani che si presentano come monumenti, come opere in sé
stesse che sono pregne di vita in ogni punto. Si tratta
quindi di una frammentarietà solo apparente, di “un
espediente per cogliere l’attimo di un divenire
incessante”49, come afferma Donatella Simon. Ancora la
Simon50 si sofferma sul frammentario e sul transitorio
della scultura rodiniana, sostenendo che si tratta
dell’aspetto che più interessa il filosofo Simmel: dal
frammento emerge sempre una totalità, un momento di
47 Auguste Rodin, L’arte. Conversazioni raccolte da Paul Gsell, a cura di Luca Quattrocchi, Abscondita, Milano, 2003, p.143, 48Donatella Simon, Le forme e il movimento. Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p.749 Ivi, p.2150 Ivi, p. 28
29
realizzazione completa a cui la modernità aspira, ma che
non riesce più a raggiungere. «Fra i tratti distintivi del
presente questo è inconfondibile: che per noi di fronte a
una sempre crescente quantità di valori l’impulso e
l’accenno valgono di più della compiutezza definita, che
non lascia alla nostra fantasia nulla da aggiungere»51,
scrive Simmel nell’analizzare il rapporto tra la scultura
di Rodin e lo spirito contemporaneo.
Anche Rilke prende in esame opere frammentarie,
particolarmente affascinato dalle sculture costituite
semplicemente da mani: «nell’opera di Rodin ci sono mani,
piccole mani autonome che, senza appartenere a un corpo,
hanno vita»52: sono mani che camminano, sono mani stanche,
sono le mani di chi lavora e via dicendo. Queste mani hanno
una loro storia, una loro cultura e allo stesso tempo
esprimono desideri e sentimenti. Ne è un esempio La mano di
Dio(fig.n.2), opera del 1897: si tratta di una mano che
viene dalla pietra per creare la pietra, poiché non c’è
limite alla creazione. Essa viene dall’informe e crea
qualcosa che è forma e informe allo stesso tempo. Può
rappresentare la mano dell’operaio o di chi usa la macchina
da scrivere o ancora si tratta di una rivendicazione della
mano creatrice. Del resto l’artista moderno è colui che
vuole immedesimarsi con il proprio lavoro, vuole entrare
nell’esperienza della forma ed esige un legame diretto,
erotico con la sua opera. «Ci si rammenta quanto piccole
51 Ivi, p. 4552 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 34
30
siano le mani dell’uomo, come si stanchino presto e quanto
sia breve il tempo loro concesso per agire. E nasce il
desiderio di vedere le due mani che hanno vissuto come
cento..»53, scrive Rilke. Dietro queste mani si cela la
fatica del lavoro, del fare,del produrre.
A proposito del lavoro, lo stesso Rodin riscontra che nella
maggior parte dei contemporanei manca la passione per la
professione svolta: gli industriali intendono solo
guadagnare e gli operai, ostili nei confronti dei padroni,
lavorano in modo approssimativo. Sembra che gli uomini
considerino il lavoro solo una necessità, mentre questo
dovrebbe essere ritenuto la loro ragion d’essere. Gli
artisti al contrario, secondo Rodin, avvertono il lavoro
come passione e tramite la via dell’arte mostrano agli
uomini la loro ragion d’essere: «l’arte rivela loro il
senso della vita, li illumina sul loro destino e dunque li
guida nell’esistenza»54.
George Bernard Shaw a proposito della scultura di Rodin
parla di “slancio vitale” e riscontra quindi un legame con
Bergson: come nella filosofia bergsoniana, la sostanza
dell’arte di Rodin è in uno stato di tensione al divenire
in cui è presente la realtà e assume forma temporanea,
nell’attimo di congiunzione tra forma e materia. Possiamo
quindi constatare che l’opera di Rodin è «un incessante
impulso vitale che assorbe tutto il passato e ribolle di
53 Ivi, p. 1354 Auguste Rodin, L’arte. Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 139
31
tutto l’avvenire»55. Ed è proprio Rodin che nel suo
Testamento si rivolge ai giovani che aspirano ad essere i
sacerdoti della bellezza con queste parole: «… è la
tradizione stessa che vi spinge a interrogare senza tregua
la realtà, e che vi impedisce di sottomettervi ciecamente a
qualsiasi maestro»56.
55Ivi, p. 15656 Ivi, p. 147
32
1.3 La complementarietà degli opposti: stili, epoche e
teorie critiche
Lo slancio vitale di cui parla Shaw ci riconduce ad
un’altra concezione artistica, ossia alla visione
dionisiaca del mondo espressa da Nietzsche. Egli parte dal
presupposto che lo sviluppo dell’arte è legato alla
compresenza di due elementi, l’apollineo e il dionisiaco.
Questi due nomi provengono dai Greci che hanno stabilito
come fonte della loro arte i due dei Apollo e Dioniso, i
quali incedono l’uno accanto all’altro quasi sempre in
contrasto concorde tra loro, poiché è in due condizioni che
l’uomo raggiunge il sentimento estatico dell’esistenza: nel
sogno e nell’ebbrezza. Esiste quindi nell’arte una
contrapposizione tra la bella illusione apollinea del mondo
del sogno, quindi l’aspetto figurativo e il mondo
dionisiaco che è quello non figurativo.
Nello stato di sogno, nella cui produzione ogni uomo è un
perfetto artista, tuttavia avvertiamo il sentimento di
illusorietà, di apparenza. Non sono solo le immagini
piacevoli che l’uomo contempla, ma anche ciò che è triste,
33
torbido, tetro, poiché il velo dell’illusione non può
nascondere le forme fondamentali della realtà. «Così,
mentre il sogno è il giuoco del singolo uomo con il reale,
l’arte dello scultore è il giuoco con il sogno»57, afferma
Nietzsche. Il dio delle rappresentazioni di sogni è proprio
Apollo, considerato la divinità dell’arte. Dio del sole e
della luce, governa anche la bella parvenza del mondo
interiore della fantasia. La perfezione dello stato del
sogno in antitesi alla realtà quotidiana lo eleva a dio
vaticinante, ma anche a dio artistico. Il dio della bella
illusione deve essere anche quello della conoscenza vera:
quel confine, quel limite dai moti più selvaggi non può
mancare a un dio plastico come Apollo, simbolo della quiete
e della saggezza.
Al contrario l’arte dionisiaca si basa sul giuoco con
l’ebbrezza e in particolare sono due le forze con cui si
sprigiona: l’impulso primaverile e la bevanda narcotica. In
entrambi gli stati viene spezzato il “ principium
individuationis ”, ossia l’elemento soggettivo che svanisce
di fronte alla violenza prorompente dell’elemento umano,
anzi universalmente naturale. Nelle feste dionisiache si
assiste a una riconciliazione tra uomo e uomo, ma anche tra
uomo e natura; qui tutte le divisioni sociali scompaiono e
l’uomo si manifesta come membro di una comunità superiore e
più ideale, in quanto non sa più né parlare né camminare.
Nello stato dionisiaco l’uomo non è più artista, ma è
57 Friedrich Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo, in idem, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e scritti dal 1870 al 1873, Adelphi, Milano, 1973, p. 49
34
diventato opera d’arte e sta, rispetto alla natura, nello
stesso rapporto in cui la statua sta rispetto all’artista
apollineo. Se l’ebbrezza è il giuoco della natura con
l’uomo, la creazione dell’artista dionisiaco è quindi il
giuoco con l’ebbrezza stessa. L’artista deve trovarsi nello
stato di ebbrezza e al tempo stesso essere fuori di sé come
un osservatore in agguato: ebbrezza e assennatezza devono
convivere.
Questa coesistenza caratterizza il punto culminante della
grecità: in origine solo Apollo è il dio dell’arte e
l’unico in grado di frenare gli impulsi e gli istinti
primordiali di Dioniso. Ben presto però quanto più si
sviluppò lo spirito artistico apollineo, tanto più
liberamente crebbe, in parallelo, lo spirito dionisiaco.
L’artista dionisiaco è in grado di rendere immediatamente
comprensibile l’essenza di ciò che gli appare: «egli domina
anzi sul caos della volontà che non ha ancora acquistato
una figura, e da ciò in ogni momento creativo può produrre
un mondo nuovo, ma altresì quello antico, noto come
apparenza»58. Fu lo spirito apollineo a reprimere con la
bellezza l’infuriare tumultuoso dello spirito dionisiaco; i
Greci conoscevano i terrori e le atrocità dell’esistenza e
tentarono di velarli. È questo uno dei motivi che li spinse
a creare il mondo olimpico degli dei, un mondo della
bellezza, della quiete e del godimento. Con questa arma i
Greci lottarono contro il talento, correlativo a quello
58 Ivi, p. 54
35
artistico, del dolore e della sapienza del dolore. «Mai
però la lotta tra la verità e bellezza fu più grande che
durante l’invasione del culto di Dioniso: in esso la natura
si svelava e parlava con terrificante chiarezza del suo
segreto, ossia con il suono, di fronte al quale la
seducente illusione quasi perdette il suo potere»59. In
tutte le forme della vita cominciò una grande rivoluzione e
dappertutto penetrò il culto dionisiaco, persino nell’arte.
Il culto figurativo della civiltà apollinea trovò il suo
scopo nell’esigenza etica della misura, ossia quella della
bellezza: il limite che bisognava mantenere era quello
della bella illusione. In questo mondo che aveva il fine di
celare la verità, tuttavia penetrò il suono estatico di
Dioniso, dove tutto l’eccesso della natura in gioia, dolore
e conoscenza si manifestò contemporaneamente. Tutto quello
che valeva come limite e misura si rivelò un’illusione:
l’eccesso si svelò come verità.
Nietzsche60 spiega a questo punto che nel mondo si
manifestò così l’armonia, che nel suo movimento ci mostra
la volontà della natura. Nasce un’arte cioè in cui la
verità scaccia l’illusione e fa ascoltare cose prima
nascoste dallo spirito apollineo.
1.3.1
La condizione prevista dallo spirito dionisiaco, quella
dell’ebbrezza, dell’irrazionalità, dell’emozione fa pensare
a quella di cui ci parla Baudelaire a proposito
59 Ivi, p. 5960 Ivi, p. 63
36
dell’artista. Secondo Baudelaire61 l’artista deve porsi
nello stato di un convalescente e questa convalescenza è
come un ritorno verso l’infanzia. Sia il convalescente sia
il fanciullo possiedono al massimo grado la capacità di
interessarsi a ogni cosa vivamente, anche a ciò che risulta
banale in apparenza. «Il fanciullo vive sempre in novità;
egli è sempre ebbro»62, dice il poeta e in seguito aggiunge
che l’uomo di genio ha i nervi saldi mentre il fanciullo li
ha deboli: nel primo ha preso il sopravvento la ragione e
nel secondo invece la sensibilità occupa quasi tutto
l’essere. «Ma il genio non è che l’infanzia ritrovata con
la volontà, l’infanzia dotata, per esprimersi, di organi
virili, e dello spirito analitico che gli permette di
ordinare il cumulo di materiali involontariamente
ammassati»63. A questa curiosità profonda e gioiosa bisogna
attribuire l’occhio estatico dei fanciulli davanti al
nuovo, qualunque esso sia. Pertanto l’uomo che riesce a
ritrovare la condizione dell’infante risulta un genio per
il quale nessun aspetto della vita ha perso la sua
primitiva vivacità.
Nemmeno Rodin perde mai l’interesse per ogni aspetto della
vita: la riconciliazione dell’uomo con la natura di cui ci
parlava Nietzsche nello spirito dionisiaco la vediamo
appunto nelle sue sculture. È proprio Rodin64 a dichiarare
61 Cfr. Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in idem, Poesie e prose,cit., p. 93962 Ibidem 63 Ibidem 64Cfr. Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 30
37
che per il grande artista in Natura tutto ha carattere e
ciò che in Natura spesso è considerato brutto, nell’arte
invece presenta maggior carattere di ciò che è considerato
bello. Per Rodin l’errore più grande dell’artista è quello
di celare l’anima e la verità:
quando attenua le smorfie del dolore, il deformarsi della vecchiaia,
l’orrore della perversità, quando abbellisce la Natura, quando la
maschera, la traveste, la mitiga per piacere al pubblico ignorante,
produce bruttezza, perché ha paura della verità65.
Questi pensieri di Rodin mi riconducono alla teoria
dell’arte di Konrad Fiedler, giudicato anche da Benedetto
Croce come il maggiore e più originale filoso dell’arte in
Europa nella seconda metà del XIX secolo.
Uno degli aspetti trattati dalla sua teoria riguarda
proprio la critica nei confronti dell’estetica: il filosofo
si scaglia contro il concetto del bello nell’arte, in
quanto il valore di un’opera non coincide con la bellezza.
«Estetica non significa teoria dell’arte. L’estetica è
volta all’indagine di un determinato tipo di sentimenti,
mentre l’arte si rivolge anzitutto all’intelletto, e ha che
fare col sentimento solo in secondo luogo»66. Infatti
Lionello Venturi67 considera Fiedler il fondatore della
“scienza dell’arte”, distinta dall’estetica. Venturi spiega
65 Ibidem 66 Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, TEA, Milano, 1994, p. 667 Cfr. Lionello Venturi, Storia della critica d’arte, Einaudi, Torino, 1970, p.287
38
che l’intento del filosofo è quello di riportare l’arte al
problema della conoscenza, di escludere il sentimento e
ridurre l’arte a conoscenza della forma: «il modo artistico
è quello della rappresentazione, della forma»68.
Secondo Fiedler69 , cercare la bellezza può apparire come
qualcosa di elevato mentre in realtà non si eleva di molto
sopra tutte le banali consuetudini dell’uomo che derivano
dal tentativo di rendere la vita più piacevole. Il bello e
il buono possono essere considerati come il gradevole e
l’utile:
di fronte a tutto ciò, solo verità e conoscenza appaiono l’unica
occupazione degna dell’uomo, e se si vuole assegnare all’arte un posto
fra le più alte tendenze dello spirito, occorre indicarle come fine
solo lo slancio alla verità, la spinta al conoscere70.
Fiedler continua a chiarire la sua teoria, secondo la quale
il giudizio estetico si forma solo attraverso la conoscenza
e non in base al gusto: «un’opera d’arte può dispiacere, ed
essere ugualmente pregevole»71. Il filosofo critica coloro
che credono di valutare nell’opera d’arte i motivi estetici
e allo stesso tempo quelli che trascurano il contenuto in
favore della forma, in quanto entrambi producono un’analisi
imprecisa e insufficiente. Egli riconosce che ad ogni modo
non può sfuggire il fatto che l’opera d’arte gravita sulla
68 Ibidem69 Cfr. Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte,cit., p. 1070 Ibidem 71 Ivi, p. 11
39
forma e da qui l’importanza di essa, ma l’errore sta
nell’attribuirle come unico valore artistico la sua
esteticità. Secondo Fiedler72 la tradizionale divisione di
soggetto e forma, quindi contenuto ed espressione, è
inessenziale: ciò che si intende per contenuto è cosa
secondaria mentre ciò che si indica per la forma è
avvilente. Infatti nell’opera d’arte è la forma stessa che
realizza il soggetto in nome del quale nasce l’opera;
questa forma è allo stesso tempo anche contenuto e pertanto
non ha da esprimere che sé stessa.
L’essenziale valore artistico della forma sta nella
conoscenza mediata ed espressa dalla forma medesima, così
il suo valore estetico e allo stesso modo quello del
contenuto appare come accessorio.
Un altro tema su cui Fiedler73 focalizza l’attenzione è il
rapporto tra scienza e arte, inevitabile nel nuovo contesto
moderno. Essendo l’arte un linguaggio al servizio della
conoscenza, essa come le scienze positive deve contribuire
al progresso. Fiedler rileva che nella società moderna si
tenta di accantonare l’arte, così come Rodin, quando
sostiene che «la nostra è l’epoca degli ingegneri e degli
industriali, non è affatto quella degli artisti»74. Rodin
nota che l’arte è morta e che l’umanità pensa di poterne
fare a meno, interessata soltanto alla ricerca dell’utile.
Fiedler75 propone di restituire valore all’arte, non72 Ivi, p.6173 Ivi, p. 35 74 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 1075 Cfr. Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, cit., p. 37
40
considerandola un accessorio, ma una indispensabile
estrinsecazione di vita. Essa deve avere parità di diritti
con le scienze positive, poiché entrambe sono parte del
mondo reale.
Spesso è sorto l’errore di ritenere l’arte qualcosa di
puramente soggettivo, ma occorre risolvere il problema
attraverso una nuova concezione. Lo spirito umano in certi
casi si vede costretto a servirsi di un altro strumento per
impadronirsi della vita stessa, in quanto quello da lui
utilizzato può presentare un difetto. È in questa
circostanza che appare l’arte: dobbiamo riconoscere che la
conoscenza scientifica ha i suoi limiti naturali, in modo
tale che l’arte risulti uno dei mezzi forniti agli uomini
per appropriarsi del mondo. «Ora la scienza ci fa conoscere
il mondo da un lato, l’arte dall’altro; nessuna delle due
esaurisce interamente il contenuto del mondo, ambedue
restando nella propria sfera. L’arte pertanto ha il compito
di contribuire dal suo lato all’oggettivazione del
mondo»76. La realtà dell’arte comincia quindi dove cessa la
validità dei mezzi scientifici; non per questo l’arte mette
da parte la sfera della realtà, ma la persegue là dove quei
mezzi non arrivano e penetra nelle radici della percezione
dei sensi, dove un’intuizione ancora sottoposta ai fini
della conoscenza concettuale non riesce ad arrivare.
L’arte è una forma di linguaggio attraverso la quale
determinati oggetti vengono elevati alla sfera della
76 Ivi, p. 45
41
coscienza umana; essa ha quindi come scopo la conoscenza di
una certa categoria di cose.
«L’arte è infinita, in ogni opera d’arte ne appare solo un
frammento, e tuttavia in sé si presenta come qualcosa di
perfettamente concluso»77, afferma Fiedler in uno dei suoi
aforismi sull’arte. L’arte è vista come una produzione
incessante e inesauribile di forme e la scultura rodiniana
ne è l’esempio calzante.
Mi sovviene una scultura di Rodin, la Menade(fig.n.3),
un’opera che non presenta la testa e per questo ad alcuni
potrebbe sembrare incompleta. In realtà Rodin rinuncia alla
totalità della figura, poiché gli basta un frammento per
esprimere l’idea: «l’opera d’arte non contiene un’idea, è
essa stessa un’idea»78, dice Fiedler. Quest’ultimo dichiara
inoltre che «qualsiasi attività che si cominci deve
rinunciare alla totalità e prendere le sue mosse dal
particolare»79.
L’arte deve nascere da un armonico equilibrarsi degli
elementi: quanto più l’equilibrio interno è ottenuto nel
più frammentato particolare, tanto più l’opera d’arte sarà
meravigliosa e soprattutto infinita.
Ancora Fiedler, affronta il problema della mimesis: «nelle
opere d’arte migliori si nota un rispettoso, umile
accostarsi alla natura; in quelle infime, la brutale
volontà di dominarla»80. Lo stesso Rodin non condivide77 Ivi, p. 6078 Ibidem 79 Ivi, p. 10780 Ivi, p. 60
42
l’atteggiamento di alcuni artisti del suo tempo che
pretendono di imitare pedissequamente la natura: «ma
violentando così la Natura, trattando gli esseri umani come
fossero bambole, rischiano di produrre opere artificiali e
morte. Quanto a me, cacciatore di verità e in appostamento
alla vita, mi guardo bene dall’imitare il loro esempio»81.
Rodin continua il suo discorso, sottolineando che una
persona mediocre, copiando, non sarà mai in grado di
produrre un’opera d’arte, poiché egli guarda senza vedere e
produrrà qualcosa di piatto e inespressivo.
Secondo Fiedler82 quando un’artista rimprovera al non-
artista di non saper vedere non vuole accentuare il fatto
che quest’ultimo veda in modo impreciso e inesatto, ma
intende qualcosa di diverso. L’occhio dell’artista giunge
in profondità, nel seno della natura e non segue che sé
stesso: si svincola da tutte le considerazioni che si
presentano necessarie al conoscere discorsivo e in questo
modo vede aprirsi di fronte a sé il mondo della realtà,
finalmente rivelato.
Infatti «l’essenza del genio è di aprire gli occhi al mondo
cosicché gli uomini pensino di essere stati ciechi prima
d’allora; e perciò il genio non ha precursori, ma soltanto
imitatori»83, scrive Venturi nell’esaminare le teorie di
Fiedler.
81 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 1982 Cfr. Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, cit., p. 8583 Lionello Venturi, Storia della critica d’arte, cit., p. 288
43
L’eterno valore delle opere d’arte si ricava, secondo
Fiedler84, soltanto dal valore intrinseco di verità
artistica: non si tratta della verità scientifica né
storica, poiché l’arte può rappresentare anche qualcosa di
non vero, di arbitrario o di fantastico, senza però che
l’altissima verità presente all’interno della
rappresentazione venga pregiudicata.
Infine mi sembra interessante citare un aforisma di Fiedler
che può ricondurci anche ad un discorso di Baudelaire: «lo
stupore è il primo inizio dell’arte come della
filosofia»85. Infatti anche secondo Baudelaire86 lo stupore
è uno dei grandi godimenti cagionati dall’arte che si
origina dalla varietà dei tipi e delle sensazioni,
altrimenti l’arte si presenterebbe monotona e impersonale.
1.3.2
Nel periodo subito successivo a quello in cui scrive
Fiedler, uno storico dell’arte, Heinrich Wölfflin, affronta
il problema della forma, compiendo un’indagine sulla storia
dell’arte del ‘400, ‘500 e ‘600. Egli si occupa di questi
periodi storici, seguendo ben cinque categorie di concetti
fondamentali: si tratta di un sistema di analisi molto
valido di cui servirsi per la critica di ogni opera d’arte.
Il punto saliente della ricerca di Wölfflin riguarda la
rappresentazione come tale, nel senso che ogni artista
risulta vincolato dall’epoca in cui vive: compito della84 Cfr. Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, cit., p. 99 85 Ivi, p. 14186 Cfr. Charles Baudelaire, Esposizione Universale, in idem, Poesie e prose, cit., p. 780
44
storia dell’arte sarà quindi quello di analizzare il modo
di vedere, ossia le determinate possibilità ottiche in una
certa epoca.
La prima categoria trattata dallo studioso è quella del
lineare e del pittorico ed è la più rilevante per
comprendere il problema della forma nell’arte moderna e nel
nostro caso la scultura rodiniana. Wölfflin87 individua un
passaggio dal lineare al pittorico, cioè dal concretarsi
della linea come guida dell’occhio alla sua graduale
svalutazione: da una parte si avvertono gli oggetti nei
loro elementi tattili e nelle superfici, dall’altra invece
si percepiscono affidandosi all’apparenza visibile della
realtà. Si tratta di due modi di vedere fondamentalmente
diversi: il pittorico si sviluppa più tardi e non si può
immaginare senza il lineare. Lo stile lineare ha messo in
risalto elementi che al pittorico non interessano più,
poiché sono due maniere diverse di vedere la vita, ma
comunque capaci, ciascuno per conto proprio, di rendere un
quadro completo della realtà visibile. In generale
possiamo affermare che lo stile lineare procede per linee
mentre il pittorico per masse: nel primo caso l’occhio
viene guidato dai contorni, nel secondo invece il vedere è
distolto dai margini e il contorno risulta indifferente.
Nel pittorico la forma comincia a farsi incostante, poiché
mira al movimento; al contrario lo stile lineare segna un
netto confine tra forma e forma.
87 Cfr. Heinrich Wölfflin, I concetti fondamentali della storia dell’arte, TEA, 1994,p. 35
45
Già gli antichi conoscevano questa distinzione, in base
alla quale esiste una rappresentazione oggettiva che
riproduce le cose come sono e una più soggettiva che pone
come base l’immagine, come appare all’occhio dell’artista e
che spesso ha poca somiglianza con l’aspetto reale delle
cose.
Wölfflin sostiene che «l’una è l’arte dell’essere, l’altra
l’arte del sembrare»88, in quanto quest’ultima desidera
rimanere fluttuante piuttosto che essere consolidata in
linee e piani.
Questa grande antitesi tra i due stili deriva da un
interesse diverso nei confronti della realtà: in quello
lineare la figura è salda e la forma misurabile e
delimitata, in quello pittorico predomina la bellezza del
movimento che vibra nel tutto e che è insieme anche la
vita.
La trasformazione del lineare in pittorico è possibile
scorgerla sia in pittura che in scultura: nel primo caso
basta osservare un dipinto impressionista, come una via
animata di Monet, in cui assolutamente nulla coincide nel
disegno con quelle forme che crediamo di conoscere in
natura. Si tratta pertanto di una pittura che si allontana
dalla rappresentazione oggettiva e preferisce mostrare il
mondo così come vien visto, ossia come appare all’artista.
Anche in scultura si riscontra una differenza tra lo stile
lineare e quello pittorico e non si distingue molto da
88 Ivi, p. 45
46
quello che si verifica in pittura. La scultura classica è
orientata verso un limite mentre a partire dal barocco ci
accorgiamo che non esistono più i contorni, nel senso che
la figura non vuole essere fissata entro i limiti di un
profilo preciso. Ovviamente anche la scultura classica può
essere osservata da vari punti di vista, ma le altre vedute
sono secondarie rispetto a quella principale; invece gli
scultori moderni si pongono l’obiettivo di creare
un’atmosfera intorno alla loro figura, che Arturo Martini89
definisce “quarta dimensione”. Egli ritiene, riprendendo
Rodin, che la quarta dimensione sia la soluzione vitale
della scultura in quanto si sposa e si esprime nello
spazio.
La scultura secondo lo stile pittorico rifiuta la forma
compiuta ed è in continuo divenire. Infatti sempre Martini
afferma che «la forma non è una precisazione, formazione di
un oggetto, ma la sua negazione essendo un fenomeno
mutabile e indipendente»90. Poi aggiunge altre
considerazioni come «la forma non è mai un solido ma un
vuoto che lo contiene… La scultura non è che un involucro
che esclude il soggetto perché ne è la forma, cioè lo
spirito del soggetto. La forma non è che il caos che si
compone volta per volta come un grembo materno»91.
Un’altra differenza tra i due stili si riscontra anche al
livello delle luci e delle ombre: mentre nell’arte classica89 Cfr. Arturo Martini, La scultura lingua morta e altri scritti, Abscondita, Milano, 2001, p. 2290 Ivi, p. 2191 Ivi, p. 22
47
il chiaroscuro è subordinato alla forma plastica, in quella
moderna sembra che le luci siano animate da una loro vita
autonoma, poiché giocano sulle superfici con molta libertà
di movimento.
La scultura moderna ricorre a un tipo di raffigurazione che
non ha più a che vedere con la forma obiettiva, ma può
qualificarsi come impressionista. Essa arriva a gareggiare
con la pittura, nel senso che anche la pietra viene piegata
a creare l’illusione di ogni specie di materia. Afferma
Wölfflin che «si impara a riprodurre lo sguardo luminoso
dell’occhio, la lucentezza della seta e la morbidezza della
carne»92. Questo perché il movimento deve sempre propagarsi
e non irrigidirsi in un’atmosfera di immobilità, producendo
una bellezza che ha il suo fondamento in una forma non
pienamente visibile, ma misteriosa.
Nel trattare i due differenti stili, Wölfflin93 arriva a
domandarsi dov’è che finisce l’elemento lineare e dove
inizia l’elemento pittorico nel corso della storia
dell’arte. Egli sostiene che è impossibile indicare il
punto esatto in cui il movimento ha preso il sopravvento
sulla staticità, poiché si tratta di un processo evolutivo
piuttosto lungo. Inoltre precisa che accanto all’esperienza
ottica prodotta dal pittorico, si avvertirà sempre
l’esigenza di un’arte che non colga soltanto gli aspetti
dinamici, ma tenti di rappresentare la realtà tramite il
linearismo. Per questo motivo Wölfflin invita ogni
92 Heinrich Wölfflin, I concetti fondamentali della storia dell’arte, cit., p. 7793 Ivi, p. 55
48
insegnante ad esercitare i suoi scolari in entrambi i modi
di rappresentazione.
In base a questa ultima considerazione, potremmo forse
affermare che torna il concetto di complementarietà di cui
ci ha parlato Nietzsche, ossia l’apollineo e il dionisiaco
insieme.
La complementarietà dei due aspetti, del lineare e del
pittorico, la riscontriamo anche nella scultura di Rodin. È
lui stesso ad affermare che «l’illusione della vita, nella
nostra arte, si ottiene solo grazie al buon modellato e al
movimento. Queste due qualità sono come il sangue e il
respiro di ogni bella creazione»94. Innanzitutto Rodin si
preoccupa di distinguere l’arte classica da quella
accademica: «mentre negli antichi la generalizzazione delle
linee è una totalizzazione, una risultante di tutti i
dettagli, la semplificazione accademica è un impoverimento,
una vuota ampollosità»95. Poi aggiunge che gli antichi
hanno realizzato le loro opere tramite la scienza del
modellato che consiste nell’immaginare le diverse parti del
corpo non come superfici più o meno piatte, ma come rilievi
di volumi interni. Oltre a considerare le forme sempre in
profondità, quindi seguendo il metodo del modellato, Rodin
non trascura l’aspetto del movimento: le sue statue
respirano e producono l’impressione della carne reale.
94 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 4195 Ivi, p. 37
49
Avendo parlato delle teorie di Fiedler e di Wölfflin, non
possiamo non citare una figura di rilievo nel contesto di
fine ‘800 come lo scultore Adolf Von Hildebrand.
Quest’ultimo non solo ha realizzato una serie di importanti
sculture, ma si è anche occupato di teoria dell’arte,
avendo pubblicato un libro intitolato Il problema della forma.
In questo testo Hildebrand affronta il problema della
costruzione stessa dell’arte plastica figurativa, non
dell’arte in generale, e si preoccupa di sottolineare il
valore razionale dell’arte, indipendentemente dall’arbitrio
personale e dai vari contenuti emozionali. Hildebrand
attribuisce alle arti figurative il concetto di
“architettonicità”, per esprimere la loro situazione
autonoma di fronte alla natura e all’uomo. La forma è un
prodotto della rappresentazione, è costruzione e non
imitazione: in questa costruzione , secondo Hildebrand96,
non c’è spazio per l’aspetto dionisiaco, ma è quello
apollineo a prevalere su tutto. La scultura da lui prodotta
è chiaramente ispirata al classicismo e ricorda la
statuaria ellenistica: essa è caratterizzata da linearismo
e semplicità, anche se si possono individuare alcuni
aspetti nuovi e che si allontanano dal classicismo puro. Si
può infatti definirlo un classicismo “spontaneo”, in quanto
dall’osservazione delle sue opere si evincono alcuni
caratteri riscontrabili anche nella scultura rodiniana. Ad
esempio alcune figure sono piegate, come Il ragazzo con la palla
96 Cfr. Adolf Hildebrand, Il problema della forma, G. D’Anna, Messina-Firenze, 1949, p.4
50
(1884) che può ricordare, per alcuni aspetti, la statua del
Pensatore di Rodin.
In generale però Hildebrand è definito come “classicista” e
sul finire del secolo decimo nono nasce l’opposizione con
Rodin. Infatti Hildebrand esprime la conversione del gusto
europeo alla “forma”, al “costruito”, secondo i moduli
della tradizione greco- romana e rinascimentale.
Il gusto di Hildebrand è rivolto all’anticromatismo e alla
realizzazione in grande e proprio per questo capiamo che
non poteva amare Rodin la cui arte gli appariva
frammentaria.
L’asse teorico del pensiero di Hildebrand riguarda la
distinzione tra visione vicina e visione lontana: la prima
è propria del procedere scientifico, la seconda
dell’artista. La visione vicina ci fornisce l’oggetto con
una sommatoria di movimenti nei quali domina la naturalità
e di fronte a cui l’occhio si comporta in modo passivo. La
visione lontana invece consente il possesso dell’oggetto a
distanza in modo unitario, con un unico atto istantaneo. Da
questi due tipi di visioni scaturisce la differenza tra due
modi di rappresentazione: il materiale o tattile e il
percettivo o ottico. A loro volta questi due modi
determinano due tipologie di forme, quella “esistenziale” e
quella “attiva”: la prima è la forma che realmente hanno
gli oggetti nella visione vicina, quando l’occhio sembra
quasi tastarli, la seconda è la forma con la quale
l’oggetto si presenta in lontananza, ossia con gli effetti
51
di cui è capace. Secondo Hildebrand97, compito dell’artista
è avere di mira la forma attiva, in modo da ottenere certi
effetti a determinate distanze.
Dietro a questo criterio possiamo leggere due aspetti e uno
di questi sta nel voler superare l’istanza imitativa della
poetica verista, principio contro cui si scaglia fortemente
anche Fiedler. L’altro invece risulta essere un indice di
corrosione della stessa visione classicistica, resa ormai
inevitabile dall’emergere delle nuove manifestazioni
artistiche da essa indipendenti come l’impressionismo.
Pertanto in quella distinzione tra materiale o tattile e
percettivo o ottico potremmo riscontrare la medesima
differenza operata da Wöllflin, quando ci parla del lineare
e del pittorico. In qualche modo nel classicismo di
Hildebrand, non esiste solo il lineare, il definito, ma si
fa strada anche il pittorico, in cui la forma non è
delimitata, ma tende al movimento. Infatti nel Problema della
forma troviamo una frase di Hildebrand che ci aiuta a
capire come anche lui avverte i cambiamenti di quel
periodo: «oggi non si dan più forme totali capaci di
possedere obiettivamente in se stesse un senso come forma e
che per questo possano essere sbozzate fin da principio
come tali»98.
Un aspetto che accomuna Hildebrand e Rodin riguarda inoltre
il rapporto con Michelangelo, assunto come modello da
seguire per intraprendere il proprio lavoro di scultori.
97 Ivi, p.798 Ivi, pp.102-103
52
Hildebrand apprezza in particolare di Michelangelo
l’aspetto del non-finito, il che potrebbe risultare una
contraddizione dato il suo scopo di realizzare una scultura
finita e conclusa. In realtà Hildebrand distingue il
massimo potenziamento della scultura michelangiolesca a
larghe masse e bloccata rispetto alla scultura francese
contemporanea che sembra diluire il soggetto nell’informe e
nell’indeterminato.
Invece Rodin, come ora vedremo, amò Michelangelo con tutte
le sue forze e riuscì ad assimilare tutto della sua arte,
in quanto seppe riconoscere la sua enorme importanza.
CAPITOLO 2: LA MEMORIA MODERNA
2.1 Rodin e Michelangelo
Nel gennaio del 1876 Rodin decise di fare un viaggio in
Italia: raggiunse Torino, Genova e Firenze, alla ricerca
dell’artista che egli amò con tutte le forze, Michelangelo
Buonarroti.
Rodin aveva sentito l’eco delle manifestazioni del
settembre 1875 per celebrare il quarto centenario dalla
nascita di Michelangelo e così decise, giunto a Firenze, di
chiudersi per quattro giorni nella Sagrestia di San Lorenzo
a studiare le tombe medicee. A contatto con le opere di
53
Michelangelo, Rodin avvertì che l’artista gli stava
consegnando qualche segreto, una rivelazione.
Come ci fa notare Marco Vallora99, il termine “segreto” era
piuttosto in voga in quel periodo, poiché utilizzato dai
simbolisti francesi.
Sebbene Rodin già conoscesse da tempo i calchi in gesso del
Louvre e le riproduzioni delle sculture di Michelangelo,
poterlo ammirare dal vero gli consentì di comprendere che
l’artista italiano aveva guardato la natura e ne aveva
tratto gli elementi per esprimere sia la vitalità che
l’inquietudine dell’essere umano.
Flavio Fergonzi ipotizza un altro paio di motivi che hanno
spinto Rodin a recarsi in Italia, perché attratto dalla
figura di Michelangelo. Uno di questi è rappresentato dalla
rivista francese L’Art che a partire dal 1875 domina la
scena artistica d’oltralpe: qui Michelangelo è
continuamente celebrato e le raffigurazioni delle sue opere
spiccano numerosissime. Inoltre sulle pagine della rivista,
Firenze appare come una sorta di luogo mitico, «dove la
semplicità severa dell’ornamentazione è il segno tangibile
del raggiunto equilibrio tra le arti»100. Infatti la
scultura di Michelangelo si accorda perfettamente sia con
le memorie dantesche che con la sobria decorazione dei
palazzi quattrocenteschi di Donatello e di Cellini.
99 Cfr. Marco Vallora, Rodin, cit.,p. 40100 Flavio Fergonzi, Maria Mimita Lamberti, Christopher Riopelle, Rodin e Michelangelo: Michelangelo nell’Ottocento, Charta, Milano, 1996, p.117
54
L’altro elemento che contribuisce ad accrescere l’interesse
verso Michelangelo, secondo Fergonzi101, risulta un articolo
del novembre 1875 in cui si affermava che l’opera del
maestro apriva all’arte moderna. Inoltre sempre all’interno
dell’articolo si annunciava l’istituzione di un concorso: a
un giovane artista scelto da una giuria si assegnavano
cinquemila franchi per un soggiorno biennale a Firenze.
Una volta giunto nella città sull’Arno, Rodin fece visita
alla Sagrestia Nuova di San Lorenzo, ma anche all’Accademia
per vedere il David e il San Matteo. All’Accademia inoltre
erano allestiti i gessi della mostra del quarto centenario
che rappresentarono per Rodin la prima occasione per
effettuare verifiche ad ampio raggio sulla statuaria
michelangiolesca. Infine la verità cruciale sul materiale
grafico è stata compiuta a Casa Buonarroti, in cui Rodin ha
cercato di carpire alcuni dei segreti dell’artista.
Rodin non decise di seguire passivamente Michelangelo, ma
scelse ciò che gli era più congeniale: in particolare
l’aspetto delle torsioni e del non-finito. In realtà, come
sottolinea Vallora102, Rodin assimilò tutto, in modo da
poter diventare un “secondo Michelangelo”.
Del viaggio in Italia fa accenno lo stesso Rodin nelle
conversazioni raccolte dal critico d’arte Paul Gsell: “io
stesso quando andai in Italia, con il cervello pieno dei
101 Ivi 102 Cfr. Marco Vallora, Rodin, cit., p. 40
55
modelli greci che avevo appassionatamente studiato al
Louvre, rimasi sconcertato davanti a Michelangelo”103.
Inoltra ricorda l’emozione provata di fronte alla Pietà nel
Duomo di Firenze e dell’amore che egli provò subito nei
confronti del grande maestro, sottolineando come le sue
opere recano tracce di questa passione. Nel suo discorso su
Michelangelo, Rodin lo considera l’erede degli artisti del
XIII e del XIV secolo, l’ultimo e il più grande degli
artisti gotici. Infatti secondo Rodin nella scultura
medioevale si ritrovano le forme e lo spirito tipici
dell’opera michelangiolesca.
Per spiegare le caratteristiche della scultura di
Michelangelo, Rodin realizza un bozzetto d’argilla di
fronte a Gsell: gira dalla stessa parte le gambe e invece
il corpo dalla parte opposta, curva il busto in avanti,
piega e incolla un braccio contro il corpo e l’altro lo
sistema dietro la testa. La posa così ottenuta presenta un
atteggiamento di sforzo, di tensione, in quanto gli arti
non stanno a riposo e il torso è animato. La scultura di
Michelangelo non sta ferma, ma è in movimento, perché vuole
esprimere l’energia inquieta, il tormento, il ripiegamento
dell’anima su sé stessa. L’idea del movimento viene ripresa
da Rodin nella sua scultura, ma, come ci fa notare
Simmel104, si tratta di un concetto diverso: Michelangelo
rimane ancora legato all’ideale classico nel voler esaltare
103 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 120104 Cfr. Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 26
56
la sostanzialità del corpo mentre nel caso dello scultore
francese la mobilità è fine a sé stessa e rappresenta un
momento dell’eterno flusso del divenire.
Se Rodin trae ispirazione dalla scultura di Michelangelo
per quanto riguarda la forma, egli intende precisare che
non condivide un aspetto dell’artista rinascimentale, ossia
il suo disprezzo per la vita. Al contrario lo scultore
francese dichiara: «per quanto mi riguarda, cerco
incessantemente di render più calma la mia visione della
natura. È verso la serenità che dobbiamo tendere…»105.
Come fa notare Donatella Simon, « è questo – ancora una
volta- il pienamente umano di Rodin, che guarda non tanto
alla tragicità dell’esistenza, quanto alla totale immanenza
della vita»106.
Nello stesso periodo in cui opera lo scultore francese, le
Accademie tentano ugualmente una ripresa dell’arte
michelangiolesca, ma l’esito è del tutto differente.
Attraverso la scultura rodiniana si evince una lettura
innovativa di Michelangelo che niente ha a che vedere con
le tentazioni accademiche del neorinascimentalismo
ottocentesco. È soprattutto su questa linea che si
concentra Maria Mimita Lamberti, quando scrive che «la
novità del linguaggio rodiniano attraversa il campo della
continuità e del rispetto accademico per Michelangelo,
finendo per suggerire un’ipotesi di storia della cultura
105 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 131106Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p.23
57
figurativa contemporanea che a Michelangelo risale per la
via quasi obbligata del successo di Rodin»107. Tramite il
recupero di Michelangelo da parte di Rodin, l’aspetto che
maggiormente emerge è l’umanizzazione: infatti lo scultore
Constantin Brancusi in un’intervista del 1925 riconosce
allo scultore francese l’importanza nel ricondurre a
dimensione umana la grande retorica michelangiolesca.
Questo aspetto viene sottolineato anche dal pittore Renato
Birolli, quando a proposito della scultura rodiniana,
sostiene che se pur si tratta ancora di culturalismo, essa
ha già una volontà di dimensione morale, in quanto Rodin è
più preoccupato dell’uomo Michelangelo che della sua opera.
Rodin si rivela scultore della vita moderna anche in questo
caso, ossia nell’intento di svelare nell’opera l’uomo e
l’anima del proprio tempo.
Continua la Lamberti108 che da Rodin parte un’ipotesi
rinnovata per l’apprezzamento moderno di Michelangelo, ma
soprattutto è interessante come gli scultori del nuovo
secolo arrivino al Buonarroti soltanto attraverso lo
scultore francese, come unico passaggio imprescindibile.
Il nesso Rodin-Michelangelo si presenta ad esempio
nell’arte futurista, come nel caso di Umberto Boccioni che
nel Manifesto tecnico della scultura futurista del 1912 evidenzia come
Rodin attualizza l’impeto eroico della scultura
michelangiolesca.
107 Flavio Fergonzi, Maria Mimita Lamberti, Christopher Riopelle, Rodin e Michelangelo, cit., p. 14108 Ivi
58
Ancora Roberto Longhi ritiene che la scultura moderna inizi
da Michelangelo e si preoccupa di sottolineare come il
nocciolo michelangiolesco riesca a riemergere nella
tradizione francese proprio grazie a Rodin che distrugge il
contesto accademico e consente una sorta di rinascita
dell’artista fiorentino.
Il rapporto tra Rodin e Michelangelo viene trattato anche
da Christopher Riopelle109 che individua due aspetti in
particolare che legano l’artista francese al Buonarroti.
Innanzitutto è il discorso della forma, della capacità
tecnica ed espressiva che Rodin riprende da Michelangelo,
ma bisogna anche tener conto che alla fine del XIX secolo
l’artista era considerato la personificazione del genio
italico. Rodin quindi si pose sia l’obiettivo di diventare
lo scultore dell’espressività della figura umana, sia di
rappresentare la genialità del suo popolo.
2.1.1
Il legame con Michelangelo nasce già nel 1865, con la
realizzazione della scultura intitolata l’Uomo dal naso
rotto(fig.n.4), con la quale Rodin si allontanava dal
convenzionale concetto di bellezza, a favore di un’opera
più rozza e d’ispirazione quotidiana. L’opera frammentaria
rivela già un recupero del non finito michelangiolesco, ma
in realtà rappresenta il ritratto dello stesso maestro
fiorentino.
109 Ivi
59
Invece nel giugno del 1875 Rodin pose mano a un nudo
maschile, L’età del bronzo(fig.n.5), a grandezza naturale;
nello stesso periodo, avvertendo che aveva bisogno di
confrontarsi dal vivo con le opere di Michelangelo,
progettò il citato viaggio in Italia. L’opera rimase
incompiuta quando Rodin partì nel 1876 per Firenze ove
eseguì bozzetti che oggi sono conservati al Musée Rodin di
Parigi.
Il viaggio in Italia lo portò inoltre a visitare Roma e la
Cappella Sistina, ma anche Napoli dove Rodin si soffermò a
studiare la scultura classica. Quest’ultima però non lo
colpì come lo attrassero invece la tensione e la torsione
delle figure michelangiolesche. La scultura classica calma
ed equilibrata non rispecchia, come ormai sappiamo, la
volontà di Rodin, che dichiarava: «lo spirito moderno
sconvolge e frantuma tutte le forme in cui si incarna».
Questo spirito moderno, più violento, più vigoroso è meglio
rappresentato dalle figure michelangiolesche e da allora
Michelangelo diventò il suo modello di riferimento.
Verso la fine del 1876 Rodin completò L’età del bronzo, nel
quale è evidente il debito nei confronti di Michelangelo,
soprattutto nella posa della figura che ricorda lo Schiavo
morente(fig.n.6). Si tratta di una delle prime opere che
mostra l’influenza michelangiolesca e l’evidente distacco
di Rodin dall’accademismo. Marco Vallora110 però ritiene sia
limitante considerare quest’opera un puro omaggio a
110 Cfr. Marco Vallora, Rodin, cit., p. 90
60
Michelangelo: anche se la posa e l’espressione richiamano
lo Schiavo morente, l’attenzione di Rodin è principalmente
rivolta alla resa dell’espressione e della superficie,
picchiettata per conferirle un senso di vibrazione. Vallora
aggiunge anche che nell’opera va rintracciata una
prospettiva simbolista, nella scelta di un soggetto vago
che può ben rappresentare “la forza di un essere che sembra
risvegliarsi da anni di torpore”111.
Secondo Riopelle, l’opera con cui Rodin giunse al più
profondo livello di comprensione dell’arte di Michelangelo
è però la Porta dell’Inferno(fig.n.7), una porta bronzea con la
rappresentazione in bassorilievo di scene della Divina
Commedia. Rodin concentrò la sua attenzione sull’Inferno: si
vedono figure che si dibattono, tormentate, disperate che
ricordano i riferimenti danteschi del Giudizio
Universale(fig.n.8) di Michelangelo. A prima vista le
immagini sembrano informi e di difficile interpretazione,
ma la Porta è presieduta, come il Cristo del Giudizio, da
figure monumentali come il Pensatore che guarda dal timpano
verso il basso e come le Tre Ombre sulla sommità.
Nel lavoro sulla Porta, Rodin cercò di cimentarsi al massimo
nella resa della mente tormentata attraverso la
rappresentazione dei corpi nudi e qui l’esempio di
Michelangelo è particolarmente significativo. Dopo un
attento esame, Rodin riuscì a comprendere in quale modo la
torsione e le tensioni che Michelangelo assegnava ai suoi
111 Ibidem
61
corpi potessero esprimere sofferenza e tumulto interiore.
L’artista francese apprese quindi da Michelangelo come
realizzare le opere monumentali, ma riuscì a raggiungere
uno stile profondamente individuale.
2.1.2In una delle opere più famose di Rodin, Il Pensatore(fig.n.9),
si avverte il richiamo delle forme michelangiolesche.
Spesso è stata sottolineata la somiglianza con il
Geremia(fig.n.10), figura pensierosa della Cappella
Sistina, ma si tratta di un’opera profondamente intrisa
dell’arte di Michelangelo. Essa ricorda il Mosè(fig.n.11) o
il David(fig.n.12), dove forma e vita si corrispondono:
infatti Fergonzi a proposito del Pensatore sostiene che «non
solo la mente ma l’intero corpo, articolato con tale
tensione, è coinvolto nel processo intellettivo»112.
Ancora una scultura che risente profondamente dell’arte di
Michelangelo è l’ Adamo(fig.n.13), la cui prima versione,
realizzata al ritorno dal viaggio in Italia, fu distrutta
dallo stesso Rodin, perché troppo vicina all’artista
rinascimentale. Rodin decise poi di riaffrontare il tema
qualche anno dopo, nel momento di massima meditazione
dell’arte di Michelangelo. L’opera realizzata è più
possente, il che deriva non solo dalla riflessione sulla
scultura michelangiolesca, ma anche dalla scelta del
modello che posò per lui. In quest’uomo Rodin ritrovò
quelle pose che aveva visto con i suoi occhi, quando aveva
112 Flavio Fergonzi, Maria Mimita Lamberti, Christopher Riopelle, Rodin e Michelangelo,cit., p. 80
62
ammirato la Pietà: la mano sinistra che scende in linea
retta dalla fronte e che appunto richiama l’arto inerte
dell’opera di Michelangelo. Inoltre va osservato anche il
dito teso della mano destra come esplicito richiamo all’
Adamo della Cappella Sistina.
Una scultura molto simile all’Adamo è l’Ombra(fig.n.14):
essa però è meno soggetta a torsione e tensione nel
movimento, appare più massiccia e particolarmente
espressiva. Fergonzi rileva che in quest’opera hanno agito
contemporaneamente lo Schiavo morente studiato al Louvre, i
nudi delle tombe medicee e anche la Pietà(fig.n.15).
Non possiamo poi tralasciare la figura di Eva(fig.n.16): se
Adamo si tende, Eva si piega verso il basso, il capo
chinato e le braccia strettissime intorno a sé stessa. La
medesima posa la riscontriamo anche nella figura di Eva
della Cacciata dal Paradiso(fig.n.17) della Cappella Sistina e
questo testimonia ancora una volta l’influenza
michelangiolesca.
Infine va citata anche la scultura intitolata Donna
accovacciata(fig.n.18), ispirata al Giovane
accovacciato(fig.n.19) attribuito a Michelangelo. In questo
caso Rodin ha concepito una scultura complessa, piena di
energia e perfettamente in sintonia con lo spazio
circostante.
2.1.3
Abbiamo visto come si susseguono numerosi i riferimenti
alle opere di Michelangelo, ma dobbiamo anche considerare
63
il ruolo della figura di Rodin nel panorama di fine
Ottocento. Grazie allo scultore francese è stato possibile
rilanciare l’arte rinascimentale di un grande maestro come
Michelangelo, come scrive sul Giornale Beatrice Buscaroli:
«Rodin riscopre la forma antica, rinascimentale e classica
e la offre al futuro»113. Aggiunge inoltre che la scelta di
rifarsi al non-finito di Michelangelo non è un modo per
rappresentare la sofferenza della condizione esistenziale,
ma piuttosto per far dialogare le figure con lo spazio
circostante. Rodin
è il solo scultore europeo che abbia il coraggio di raccogliere il
lascito di Michelangelo. Di ripartire da lì. Michelangelo non aveva
avuto veri e propri seguaci… Michelangelo è senza eredi, in tutto,
aveva risucchiato dai linguaggi tutto ciò che poteva, compreso sé
stesso. E così Rodin non avrà allievi114.
Le stesse considerazioni vengono svolte anche da Simmel, in
quanto ritiene che la storia della scultura si chiuda con
Michelangelo: «ciò che viene dopo di lui è o degenerazione
barocca o, anche nelle sue più nobili manifestazioni,
lavoro di epigoni, assoggettato alla sua lezione o a quella
dell’età antica»115. Dopo Michelangelo, Simmel non riesce ad
individuare nuovi stili nella storia dell’arte plastica,
113 Beatrice Buscaroli, Auguste Rodin, un Michelangelo della modernità, in <Il Giornale.it>, 17 ottobre 2010114 Ibidem 115 George Simmel, L’arte scultorea di Rodin e le tendenze spirituali dell’età contemporanea, in Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 35
64
fino all’arrivo di Rodin che invece «ha compiutamente
attuato la prima svolta di principio dal modello dell’età
antica- e questo dal lato e nella direzione di un nuovo
stile»116.
Rodin ha infatti dimostrato che lo stile classicista, il
quale si ritiene lo stile della scultura, in realtà non è
una forma assoluta, ma una forma storica, accanto alla
quale, altre tendenze possono avere la loro legittimità.
Nei suoi lavori Rodin ha attraversato vari stili sempre con
la capacità di fonderli allo spirito moderno.
Simmel117 individua in entrambi gli scultori, Michelangelo e
Rodin, il rifiuto della forma piena, poiché tramite la
fantasia si riesce a completare ciò che è incompiuto, a
liberare dalla pietra ciò che è ancora è celato nella
pietra. La differenza sta nel fatto che se in Michelangelo
questo aveva lo scopo di creare un effetto tragico, in
Rodin si tratta di un consapevole mezzo artistico: è l’uomo
moderno che disperde le sue energie nel lavoro
dell’industria e che schiavo della tecnica va alla ricerca
di nuovi stimoli, di nuovi interessi che gli permettano di
sopravvivere nella nuova civiltà.
Aggiunge Simmel che nel caso di Rodin «la labilità del
presente, la sua fuggevolezza, viene oggettivata nella
forma plastica ed è eternizzata»118.
116 Ivi, p. 36117 Ivi, p. 46118 Donatella Simon, Le forme e il movimento. Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 27
65
La dinamica interiore è presente nelle opere di tutti e due
gli scultori, ma nel caso di Michelangelo è meno
problematica e non richiede una forma esageratamente
sfaccettata come invece occorre per rappresentare l’anima
della società moderna, continuamente tesa verso qualcosa di
vago, di indeterminato. Lo spirito della modernità si
rivela, come ci fa notare Hoffman, nel dinamismo delle
figure che, recuperato dalla scultura michelangiolesca,
nell’opera rodiniana va oltre quel modello. A proposito di
Rodin, Hoffman aggiunge che «egli spinge la fluidità della
forma fino al limite della soluzione con perfetta coerenza,
in quanto il movimento, preso in senso assoluto, non ha né
principio né fine e deve perciò rompere ogni ricettacolo
formale»119. Ancora osserva che un segno distintivo
dell’arte rodiniana sta nell’estrema fluidità del mondo
formale attraverso la quale può rappresentare in forma
allegorica la mobilità del mondo. Rodin stesso infatti
affermò di non aver mai scolpito una statua in stato di
quiete.
Anche Simmel concorda con Hoffman riguardo alla fluidità
della forma nella scultura rodiniana, poiché essa deve
interpretare il mondo, essere conforme alla nostra
interiorità nel contesto della società moderna: «le forme
sono solo forme di movimenti»120.
119 Werner Hoffman, Auguste Rodin, 1840-191, in idem, La scultura del XX secolo, cit., p. 81120 George Simmel, L’arte di Rodin e l’idea nel movimento nella scultura, in Donatella Simon, Le forme e il movimento, cit., p. 57
66
Il lavoro sulla forma che si sviluppa nella modernità è
confermato anche da Hermann Bahr, una delle firme più
apprezzate e discusse del giornalismo letterario della fine
del XIX secolo, quando spiega qual è l’elemento che
determina un’opera d’arte: «è solo la forma, nient’altro
che la forma, unica e sola, la bella forma»121.
Poi Bahr descrive anche la missione che l’opera d’arte
deve compiere nel contesto moderno e che consiste
nell’esprimere una triplice verità: una riguarda il corpo,
una i sentimenti e una i pensieri.
Si intende vedere il corpo per conoscere l’umanità, per
sapere quali sono i destini, quali le strade da percorrere
nel corso della vita. Ancora si desidera cercare nell’opera
d’arte i sentimenti, per conoscere i propri, ma anche
quelli degli altri, i sogni e i sospiri e inoltre non
possono mancare i pensieri, lo spirito, le idee.
Potremmo così ritenere che la cosiddetta “triplice verità”
si riscontra perfettamente nella scultura di Rodin e si
realizza attraverso la propensione dell’artista «a
guardare, dall’esterno, l’interno di un oggetto, di una
forma vivente, e a rendere tale intimo nucleo nella forma
plastica che ad esso rimanda»122.
121 Hermann Bahr, Il superamento del naturalismo, SE, Milano, 1994, p. 19-20122 Donatella Simon, Le forme e il movimento. Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 14
67
2.2 Rodin e l’arte otto-novecentesca
Possiamo ormai affermare che Rodin ha dato inizio alla
rivoluzione della scultura moderna, attraverso il suo
lavoro sulla forma e sulla ricerca di espressività. Inoltre
può essere definito lo scultore della modernità, poiché è
segnato da tanti indirizzi culturali: la sua mente è aperta
ad accogliere le tendenze più varie, quelle che vengono dal
passato e quelle che lui vive nel presente. Baudelaire
infatti afferma che
68
il passato è interessante non solo per la bellezza che hanno saputo
estrarvi gli artisti per i quali esso era il presente, ma anche come
passato, per il suo valore storico. La stessa cosa è del presente. Il
piacere che noi proviamo dalla rappresentazione del presente, deriva
non solo dalla bellezza del quale può essere rivestito, ma anche dalla
sua qualità essenziale di presente123.
Classicismo, simbolismo e impressionismo si contaminano nel
lavoro di Rodin, in quanto le arti dipendono le une dalle
altre. Come scrive Baudelaire, l’artista «s’interessa del
mondo intero; egli vuol sapere, comprendere, apprezzare
tutto ciò che succede sulla faccia del nostro sferoide»124.
Per raffigurare la varietà della vita moderna, quella vita
che si svolgeva nei caffè e nei teatri delle grandi città,
Rodin ha scelto la strada della rappresentazione del corpo,
del nudo, in modo da ridare impulso e palpito ad un’arte
come quella della scultura, appesantita da uno stato di
immobilità e rigidezza. Per poter cogliere l’essenza delle
cose che osserva, Rodin arriva ad elaborare la tecnica del
non-finito e del frammento, come nel caso del Balzac, in
cui, una volta sicuro di aver colto lo spirito dello
scrittore, egli abbozzò sommariamente il busto, dando più
risalto al volto. In altri casi invece le opere di Rodin si
presentano effettivamente come frammenti: statue acefale o
senza braccia o ancora mani troncate, autonome.
123 Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in idem, Poesie e prose, cit., pp. 931-932124 Ivi, p. 938
69
Il nuovo linguaggio introdotto da Rodin venne poi portato
alle conseguenze estreme dagli artisti delle avanguardie,
come Pablo Picasso o Umberto Boccioni. Riguardo gli
elementi ripresi poi dagli artisti successivi, ci fornisce
un’analisi Flavio Fergonzi125, nel suo testo sul rapporto
tra Rodin e gli scultori moderni, in cui esamina appunto il
debito che i nuovi artisti hanno nei confronti dello
scultore francese.
Come ho già anticipato, molti artisti delle avanguardie
attinsero alla scultura rodiniana, soprattutto attraverso
le grandi esposizioni che furono i canali più efficienti.
Ad esempio durante la celebrazione per il Cinquantenario
dell’Unità italiana, tenutasi a Roma nel 1911, fu esposto
con grande successo l’Uomo che cammina(fig.n.20) di Rodin e
dal 1913 l’opera era visibile nel cortile interno del
michelangiolesco Palazzo Farnese.
Possiamo quindi pensare che Boccioni abbia subito il
fascino di quest’opera nell’elaborazione delle Forme uniche
della continuità nello spazio(fig.n.21), nonostante fosse scomodo
per un avanguardista recuperare un artista la cui fama lo
rendeva un nemico da combattere.
L’Uomo che cammina è una scultura acefala e priva di braccia
e pertanto alcuni l’hanno ritenuta incompleta; in realtà
esprime l’intenzione dell’artista che vuole rappresentare
il puro movimento. Si tratta di un passo di importanza
capitale nell’evoluzione della scultura contemporanea:
125Cfr. Flavio Fergonzi, Rodin e la nascita della scultura moderna, Milano: Il Sole 24 ore, Firenze: E-ducation.it, 2008
70
tutta l’attenzione si concentra sull’atto del camminare.
Gustave Geoffrey lo ha definito il modello del “passante”,
emblema del cammino irreparabile della modernità. La figura
del passante come simbolo della modernità è testimoniata
dal fatto che anche Baudelaire nei “Fiori del male” gli
dedica una poesia, À une passante(…perchè ignoro dove fuggi/e tu non
sai dove io vado…”126).
Per un artista futurista come Boccioni, dedito alle
riflessioni sul dinamismo, l’opera di Rodin potrebbe essere
stata fonte di ispirazione, come osserviamo anche in
un’altra opera boccioniona del 1912, Sviluppo di una bottiglia
nello spazio(fig.n.22). Quest’ultima si espande nello spazio
con moto spiraliforme, intorno a un asse statico: Boccioni
le imprime una vitalità plastica analoga a quella della
scultura rodiniana.
Il punto di contatto più significativo tra i due artisti
sta quindi nella questione del movimento, centrale
nell’ideologia del manifesto futurista. Nel Fondamento
plastico della scultura e pittura futuriste Boccioni afferma che «quello
che noi vogliamo dare è l’oggetto vissuto nel suo divenire
dinamico, cioè dare la sintesi delle trasformazioni che
l’oggetto subisce nei suoi due moti, relativo ed assoluto.
Noi vogliamo dare lo stile del movimento»127. Non deve
sorprendere che tra le possibili fonti delle teorie
futuriste ci fossero le interviste rilasciate da Rodin a126 Charles Baudelaire, I fiori del male, in Alfredo Luzi, La siepe e il viaggio, Corbo editore, Ferrara, 2011, p.51127 Umberto Boccioni, Fondamento plastico della scultura e pittura futuriste, in Lacerba, I, 6, 1913, p.52
71
Paul Gsell, in cui lo scultore difendeva la propria idea di
movimento, sostenendo che esso consiste nel passaggio da
una posizione all’altra, nella sintesi di momenti diversi.
Infatti anche Boccioni sostiene che «le distanze tra un
oggetto e l’altro non sono degli spazi vuoti ma delle
continuità di materia di diversa intensità, che noi
riveliamo con linee sensibili che non corrispondono alla
verità fotografica»128.
A proposito della fotografia, Rodin la considera un’arte
menzognera: «perché nella realtà il tempo non si ferma e se
l’artista riesce a produrre l’impressione di un gesto che
si compie in diversi istanti, la sua opera è certamente
molto meno convenzionale dell’immagine scientifica in cui
il tempo è come bruscamente sospeso»129.
Il lavoro sul movimento che accomuna i due artisti risulta
essere l’aspetto caratteristico della modernità e lo
afferma anche Bahr130. Egli sostiene infatti che «non esista
nient’altro, se non il movimento, un movimento incessante,
un flusso eterno, uno sviluppo infinito, nel quale nulla si
arresta e il passato non diviene mai presente»131.
In relazione alla modernità Bahr individua un altro
carattere particolare, considerato “la più preziosa
conquista dell’epoca”132 : la convinzione che esista una
connessione fra ogni cosa, una dipendenza da tutte le cose.
128 Ibidem 129 Auguste Rodin, L’arte.Conversazioni raccolte da Paul Gsell, cit., p. 48130Cfr. Herman Bahr, Il superamento del naturalismo, cit., p.13131 Ibidem 132 Ibidem
72
D’altronde è Rodin stesso a definirsi un ponte che unisce
le due rive del passato e del presente; egli riesce infatti
a realizzare la sua opera attraverso una pluralità di
esperienze. Come scrive Simmel, «Rodin si generò attraverso
la fusione dello spirito moderno con il sentimento
artistico di Michelangelo»133.
Tornando a Boccioni e leggendo il Fondamento plastico della
scultura e pittura futuriste, mi sembra di scorgere un'altra
considerazione che potrebbe instaurare ancora un rapporto
tra il futurismo e Rodin. Essa consiste nell’importanza
assegnata all’atmosfera, descritta da Boccioni come una
materialità che varia il valore plastico delle sculture:
«io la sento, la cerco, l’afferro, l’accentuo, nelle
variazioni che le imprimono le luci, le ombre e le correnti
delle forze dei corpi. Quindi io creo l’atmosfera!»134.
La modernità di Rodin sta nell’aver anticipato queste idee,
nel momento in cui, osservando le sue opere, ci accorgiamo
che esse sono state realizzate per girarci intorno, per
essere visualizzate da più punti di vista. Infatti Rilke, a
proposito dell’opera scultorea di Rodin, afferma: «era un
qualcosa che esisteva solo in virtù di sé stessa ed era
bene conferirle l’essenza di cosa che si potesse aggirare,
affinché fosse osservabile da ogni lato»135. Per Rodin la
componente dell’aria è stata sempre fondamentale: ha133 Georg Simmel, L’arte scultorea di Rodin e le tendenze spirituali dell’età contemporanea,in Donatella Simon, Le forme e il movimento. Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 37134 Umberto Boccioni, Fondamento plastico della scultura e pittura futuriste,cit., p. 51135 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 20
73
infatti adattato allo spazio tutti gli oggetti, superficie
per superficie, il che gli ha conferito quella grandiosità
e autonomia. «Ebbene, quando chiosando la natura egli
giungeva poco a poco a rafforzare un’espressione, si
delineava insieme, un sempre più stretto rapporto tra
l’opera e l’atmosfera, come questa si disponesse attorno
alle superfici compatte in modo più partecipe, quasi
passionale»136. In questo modo accade che non sono più gli
oggetti ad essere collocati nello spazio, ma è lo spazio
che li attira a sé. Comprendiamo meglio il concetto,
osservando le opere dello scultore francese, come la Donna
accovacciata: è una scultura dinamica, in cui si percepisce
la tensione, la fatica nel gesto della donna di afferrarsi
la caviglia. La figura dialoga perfettamente con lo spazio
che ha intorno, mostrando, ogni volta che ci si muove, una
faccia diversa.
Se l’esposizione dell’Uomo che cammina ha avuto un certo
successo, ben più significativa fu la mostra personale di
centossesantasei sculture rodiniane, nel 1900, allestita
nel Padiglione a lui dedicato di Place de l’Alma.
L’esposizione, resa ancora più interessante dopo lo
scandalo del Balzac di due anni prima, ebbe il merito di
mettere in rapporto la scultura di Rodin con la più giovane
generazione di artisti giunti in massa a Parigi per
l’Esposizione Universale di quell’anno, come Henri Matisse
e Pablo Picasso. Su questi artisti le opere rodiniane
136 Ivi, p. 60
74
produssero determinate impressioni che si riversarono in
modo più o meno diretto nelle loro scelte di scultori
moderni.
Durante il primo soggiorno parigino, Picasso ebbe modo di
conoscere le sculture di Rodin ed esse ebbero un peso
decisivo nel suo esordio da scultore tra il 1902 e il
1903 , ben visibile in opere come Testa di Picador con il naso
rotto. La fonte più importante di questa opera, come ritiene
Fergonzi137, è sicuramente l’Uomo dal naso rotto di Rodin,
opera che venne rifiutata dal Salon del 1864, in quanto
negava i dettami della bellezza accademica. L’intento di
Rodin era quello di sottolineare l’espressione tormentata
del volto e come scrive Rilke: «era la pienezza di vita
raccolta in quei tratti»138. Quando Rodin creò questa
maschera aveva di fronte a sé un uomo tranquillo, sereno,
ma era il volto di una persona vivente e ad uno studio più
attento si rivelò pieno di movimento e di inquietudine.
«C’era movimento nei percorsi delle linee, movimento
nell’inclinazione delle superfici, e le ombre si toccavano
come nel sonno e la luce sembrava trascorrere lieve sulla
fronte. Non esisteva dunque immobilità, neppure nella
morte..», osserva Rilke139.
Tornando a Picasso, il suo Picador con il naso rotto, di chiara
ispirazione rodiniana, segnò l’esordio scultoreo
dell’artista. Si tratta di una maschera di un uomo,
137 Cfr. Flavio Fergonzi, Rodin e la nascita della scultura moderna,cit.138 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p.26139 Ivi, p. 28
75
realizzata nel 1903 a Barcellona e caratterizzata da una
fisionomia molto alterata e incompleta, con il volto
asimmetrico e con qualche deformità. Le analogie tra le due
opere si rivelano non solo nella ripresa dello stesso tema,
ma anche nella scelta della maschera. Picasso era molto
attratto dalla scelta rodiniana di presentare le figure in
modo incompleto e la maschera rientrava in questa
possibilità di rappresentazione, non come bozzetto ma come
opera completa.
Rispetto alla prima versione della Maschera di Rodin, il
cui volto piegato verso il basso suggeriva una connotazione
dolorosa, Picasso introdusse una nota di fierezza che
eliminava ogni possibile lettura dolente. Inoltre il debito
verso Rodin si riscontra anche nell’asprezza delle
superfici e nelle analoghe formule espressive del volto.
Nell’analisi del rapporto tra i due artisti non si può
tralasciare la mostra tenutasi alla fondazione Beyeler di
Basilea nel 2006 che ha indagato l’eros nelle opere di
entrambi. La mostra Rodin-Picasso, incentrata soprattutto
sul tema del corpo umano, sul nudo e sulla bellezza
femminile, evidenziò la loro comune visione dell’eros come
forza motrice dell’arte e della vita.. La passione e la
bellezza sono ad esempio evidenti nella scultura di Rodin
intitolata Il bacio(fig.n.22) e in un quadro di Picasso dal
medesimo titolo(fig.n.23). Da una parte quindi si vede
l’opera rodiniana, in cui i corpi dei due amanti sono
avvinti in un vortice travolgente, dall’altra la tela di
76
Picasso, realizzata quasi ottanta anni dopo, ma emblematica
della visione tragica del sentimento amoroso, nella quale
un uomo-maschera attrae a sé la giovane donna spogliata.
Nel quadro le teste della coppia sono rappresentate
contemporaneamente di fronte e di profilo; lo sguardo
dell’uomo è rivolto sia alla donna amata che allo
spettatore. Inoltre l’uomo non sembra molto giovane e i
colori dominanti tra l’ocra e il nero comunicano qualcosa
di tragico in questa scena d’amore.
La mostra Rodin-Picasso è stata la prima tappa di un ciclo
espositivo dedicato appunto all’eros, simbolo mitico
dell’amore e della passione dall’antichità ai nostri
giorni, agente di tutto ciò che esiste. La seconda tappa
invece è stata rappresentata dalle opere di Gustav Klimt e
Egon Schiele nello scenario della Vienna del 1900, con
pittura, acquerelli, disegni, ma anche modelli
architettonici, mobili, fotografie. Alla mostra vennero
esposte le tele di un Klimt patriarca della secessione
viennese e di uno Schiele amante dell’arte espressionista,
dove entrambi si cimentano nella rappresentazione
dell’eros. Klimt presenta la donna come figura da
idolatrare, sensuale ed enigmatica, come Giuditta II, mentre
Schiele al contrario figure femminili più animalesche e
struggenti: dalla linea klimtiana più morbida si passa alla
linea più nervosa dell’altro artista. Di Schiele spicca il
dipinto del 1912, Cardinale e monaca(fig.n.24): si tratta di
una blasfema parodia de Il bacio(fig.n.25) di Klimt. Vediamo
77
quindi come torna ancora il tema del bacio che anche Rodin
aveva trattato: se l’opera dello scultore francese
rappresenta i due amanti coinvolti da una intensa passione,
dove però l’uomo appare leggermente distaccato rispetto
alla donna completamente abbandonata all’estasi, il dipinto
di Klimt mostra la figura femminile in stato di totale
abbandono e dedizione nei confronti dell’amante, proteso
in avanti in segno di affetto e protezione.
A proposito del rapporto tra Klimt e Rodin, va ricordato il
viaggio che quest’ultimo ha compiuto a Vienna nel 1902. In
questa occasione Rodin ha avuto modo di conoscere Klimt,
rimanendo incantato dalle sue opere e anche dall’atmosfera
che vive nella capitale austriaca. Rodin fu estasiato dalla
musica che ascoltò insieme a Klimt e soprattutto dalla
mostra dell’artista austriaco, la XIV Esposizione della
Secessione Viennese, di cui Joseph Hoffman aveva curato
l’allestimento. All’interno del Palazzo della Secessione,
Hoffman aveva allestito uno “spazio sacro” a tre navate,
nella cui ala sinistra si trovava il Fregio di Beethoven di
Klimt, definito da Rodin “disperato e felice”140.
Riprendendo il discorso delle influenze che Rodin ha
esercitato sugli artisti delle avanguardie, dobbiamo
considerare anche le opere di un grande artista francese
come Henri Matisse. A differenza di Picasso, l’esposizione
a Place de l’Alma non fu per Matisse il primo contatto con
la scultura rodiniana. Infatti nel 1898 Matisse aveva
140 Gustav Klimt, Lettere e testimonianze, Abscondita, Milano, 2005, p.31
78
visitato lo studio di Rodin, ma sin da questo primo
incontro non nacque molta simpatia tra i due.
Nonostante Matisse intendesse mantenere le distanze dal
lavoro dello scultore francese, non mancarono attestazioni
di interesse verso di lui, come l’acquisto del busto di
gesso di Henri Rochefort del 1899, o anche momenti
emulativi, come il suo esercizio grafico su Michelangelo.
A proposito della sua attività scultorea, Matisse scrisse
di averci lavorato da pittore e non da scultore, quasi a
volerle assegnare un livello inferiore. Anche se si
concentrò in alcuni momenti specifici della sua carriera,
le sue intuizioni plastiche furono tra le più acute e
feconde del Novecento. Fergonzi141 ci fa notare come anche
in questo caso il confronto con Rodin sia inevitabile,
tanto che risulta impossibile non considerare Il servo di
Matisse, alla luce dell’Uomo che cammina o del Jean d’Aire
dei Borghesi di Calais.
Inoltre è noto che il modello per il Servo, un nudo in piedi
a gambe divaricate, privo di braccia, era stato lo stesso
utilizzato da Rodin per il San Giovanni Battista che
predica(fig.n.26), da cui poi derivò l’Uomo che cammina.
Rilke ci descrive il San Giovanni come colui che cammina, con
le braccia vibranti che parlano di questo incedere: «questo
Saint Jean è la prima figura di camminatore nell’opera di
Rodin»142.
141 Cfr. Flavio Fergonzi, Rodin e la nascita della scultura moderna,cit.142 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 31
79
Non solo notiamo nella scultura di Matisse la ripresa del
modello rodiniano, ma anche il modo di trattare la
superficie: le impronte della mano, le pressioni del
pollice, le aggiunte o le sottrazioni di materiale creavano
una superficie tormentata, tale da mettere in risalto la
fisicità.
Ancora un altro elemento che testimonia l’influenza
rodiniana si rivela nella mancanza delle braccia, così come
nell’ Uomo che cammina. Nel caso però dell’opera di Matisse,
esse sono tagliate non all’altezza dell’articolazione, ma
più in basso. Questa scelta è chiarita da Matisse in un
passo delle Note di un pittore del 1908, in cui invitava a non
tagliare le braccia delle sculture all’altezza delle
articolazioni, poiché polsi, caviglie, ginocchia e gomiti
dovevano dimostrare di essere in grado di sostenere le
membra, soprattutto quando esse sostengono il corpo.
L’idea del frammento si presenta anche in un altro artista,
Edgar Degas, nell’opera Donna che si strofina il dorso con una
spugna, nella quale egli mise insieme il tema nobile delle
Veneri classiche con il gesto quotidiano del lavarsi la
schiena. Si tratta di un torso che in qualche modo
partecipa alla poetica del frammento rodiniano, ma il
legame con lo scultore si rivela anche nella produzione di
varie statuette di cera fuse poi in bronzo. Finché era in
vita, Degas non espose mai le sue statuette, fatta
eccezione nel 1881 per la Giovane ballerina di quattordici anni,
alla VI mostra degli Impressionisti. Soltanto negli anni
80
successivi alla sua morte le oltre centocinquanta statuette
furono esposte e permisero l’invenzione storiografica di un
“Degas scultore”, da considerare, complice la qualità del
modellato, come immediato successore dell’ “impressionismo”
rodiniano.
Infine un altro rapporto da valutare riguarda quello tra
Rodin e Constantin Brancusi, visto che nel 1907 lo scultore
rumeno eseguì il suo apprendistato presso lo studio
dell’artista francese. Già alla fine dello stesso anno però
l’esperienza poteva dirsi conclusa, poiché Brancusi decise
di seguire una strada alternativa a quella rodiniana. La
presa di distanza dalla modellazione dello scultore
francese divenne sempre più netta; nonostante ciò rimaneva
l’eco delle opere rodiniane nella scelta dei temi, tanto
che Brancusi realizzò una scultura intitolata Il
bacio(fig.n.27), stesso titolo dell’opera di Rodin. Solo il
titolo mette in comune le due opere, perché il resto è
polemicamente opposto: se nell’opera di Rodin vediamo un
sinuoso abbraccio, «da tutte le superfici in contatto
sembra si levino ondate che penetrano nei corpi, brividi di
bellezza, di presagio e di forza»143, Brancusi al contrario
propone una composizione statica con i due corpi
perfettamente immobili.
Un avvicinamento a Rodin, invece, si può individuare nel
Ritratto di Nicolae Darascu, in cui Brancusi si serve della
pratica rodiniana di eliminare alcuni elementi anatomici.
143 Ivi, p. 35
81
In questo caso lo scultore rumeno sceglie di privare il
soggetto del braccio destro.
Infine, come ho già ricordato, Brancusi seppe individuare
un grande merito di Rodin, quello di riuscire ad umanizzare
Michelangelo, sfuggendo alla magniloquenza e al colossale e
riportando la scultura alla misura umana.
82
2.3 Rodin e l’Italia
In due articoli scritti da Flavio Fergonzi su Prospettiva,
rivista di storia dell’arte antica e moderna viene
analizzato il modo in cui l’arte rodiniana venne accolta in
Italia, sia dal pubblico che dagli artisti.
Da questa lettura scopriamo che nel passaggio tra nono e
decimo decennio del secolo XIX il nome di Auguste Rodin non
godeva di molta fama in Italia. Nonostante i dibattiti e le
belle riproduzioni che durante gli anni Ottanta
accompagnano lo scultore francese su due periodici
piuttosto diffusi nel nostro Paese come L’Art e la Gazette des
Beaux Arts e nonostante in altri contesti come l’Inghilterra
o la Germania Rodin risulti una delle figure chiave
dell’arte moderna, la stampa italiana presenta un totale
disinteresse.
Lungo tutto il nono decennio del secolo il nome di Rodin
compare pochissime volte, tra cui un articolo di Francesco
Cameroni, critico di simpatie socialiste, del 1889. In
83
questo articolo Cameroni144 raccomanda di visitare a Parigi
l’Esposizione del pittore Monet e dello scultore Rodin,
nella Rue de Seze. Inoltre egli si preoccupa di aggiungere
l’innegabile constatazione di una superiorità della
scultura verista italiana su quella definita tale in
Francia. Probabilmente dietro l’idea della scultura verista
italiana va individuato Medardo Rosso, lo scultore campione
del realismo lombardo.
Prima di questa data un’unica opera di Rodin era stata
visibile in Italia, ossia una Testa in bronzo, alla Prima
Esposizione di Quadri Moderni a Firenze. In questa
occasione però nessuno notò l’ opera, nonostante due anni
indietro, a Parigi, essa avesse colpito gli osservatori per
la somiglianza con i tratti del supposto Autoritratto bronzeo
di Michelangelo.
Nove anni dopo, il nome di Rodin venne colto
dall’attenzione della stampa italiana, ma si trattò di un
episodio isolato, poiché dal 1889 al 1897, fino cioè alle
opere esposte alla Biennale veneziana del 1897, esso non
riaffiorò da nessuna altra parte. La prima testimonianza di
un interesse concreto risale al giugno 1894, quando il
sindaco di Venezia, Amleto Selvatico, invitò Rodin a
partecipare alla Prima Biennale del 1895. I contatti tra i
due continuarono fino al marzo 1895 quando le opere stavano
per essere ritirate dallo studio di Rodin: qui però la
vicenda si interruppe e il nome dello scultore francese non
144 Cfr. F. Cameroni, Pei visitatori dell’Espozione di Parigi, in F.Fergonzi, Auguste Rodin e gli scultori italiani(1889-1915). 1, in «Prospettiva», 89-90, 1998, p. 42
84
risultò tra gli espositori della Prima Biennale. Inoltre
nessun’ eco giunse in Italia, nel giugno dello stesso anno,
dell’inaugurazione del monumento rodiniano I Borghesi di
Calais. Soltanto la più illustre pubblicistica francese
rilanciò l’avvenimento in Italia: dalle pagine de la Gazete
des Beaux-Arts, Roger Marx sottolineava la capacità di un
moderno di «faire ressurgir du passé les tragediés de
l’histoire»145.
Due anni dopo non sfuggì ai lettori italiani il dibattito
sul modello in gesso, parzialmente non-finito, del
monumento a Victor Hugo, realizzato da Rodin. In realtà è
soprattutto con il modello in gesso di Balzac, rifiutato
dalla Societé des Gents de Lettres, che il nome di Rodin si
fece strada in Italia, in occasione del Salon del 1898. La
Revue Encyclopédique, giornale di attualità politiche e
culturali francesi, forse più diffuso nell’Italia degli
anni Novanta, aveva riportato una serie di giudizi, dagli
insulti alle riflessioni più complesse. Ad esempio in una
pagina si leggeva che il grande gesso di Balzac veniva
considerato l’annuncio di una nuova era per la scultura
monumentale; così la lettura che l’accompagnava risultò
stimolante presso la critica italiana che da un paio di
decenni, riguardo il linguaggio della scultura, sembrava
ridotta all’afasia.
L’anno che precedette lo scandalo Balzac, cinque ma piccole
importanti sculture rodiniane in gesso vennero esposte alla
145 Roger Marx, Les Salons de 1895, ibidem
85
seconda Biennale veneziana. L’accoglienza delle opere non
fu particolarmente gradita o perlomeno incapace di
sollevare questioni: ci furono censure per
l’incomprensibilità del significato delle figure, per il
fallimento dell’intento plastico, per le deformazioni dei
corpi. In questo quadro l’unica possibile sintonia
italiana sembrava essere il confronto con Michelangelo; vi
ricorse ad esempio Ugo Ojetti146 che seppe individuare per
primo in Italia il significato del movimento delle sculture
rodiniane. Egli fece notare che le figure rappresentate
«nel pieno dell’agitazione, palpitanti, frementi, contorte,
convulse, urlanti» si potevano avvicinare a quelle della
Centauromachia di Casa Buonarroti per comprendere come «la
brama focosa di esaltare e di esasperare la vita
cogliendola nel momento più significativo»147 agisse allo
stesso modo, irrigidendo le pose e le muscolature.
Nel 1900 Rodin espose il suo padiglione personale a Parigi,
in Place de l’Alma, in occasione dell’Exposition
Universelle: il suo nome non solo venne ad occupare un
posto tra le glorie artistiche mondiali, ma iniziò ad
essere discusso con una certa attenzione anche in Italia. È
soprattutto con la città di Torino che Rodin ebbe contatti
diretti, tanto che venne ospitato lì mentre era di ritorno
dalla Toscana in Francia. Nel 1901 il Circolo degli Artisti
avrebbe organizzato una cena in onore dello scultore e
l’anno precedente Enrico Thovez gli aveva dedicato un
146 Cfr. Ugo Ojetti, L’arte mondiale, ivi, p. 45147 Ibidem
86
articolo su la Stampa. Nell’articolo, Thovez148 esprime
l’ammirazione per lo scultore, insieme ad alcune riserve
come l’eccesso di teatralità delle pose. Per la stessa
occasione dell’antologica di Place de l’Alma, Giovanni
Cena, poeta, romanziere e giornalista, pubblicò un articolo
su Rodin sulla Nuova Antologia. Cena ha avuto modo di
visitare lo studio dell’artista a Meudon, quindi di parlare
con lo scultore francese; così per la prima volta vengono
descritte con cognizione di causa le varie caratteristiche
tematiche e stilistiche dell’artista.
Non tutti però provavano la stessa ammirazione per Rodin e
ne è un esempio uno dei più popolari scultori italiani, il
siciliano da tempo fiorentinizzato Ettore Ximenes. Sulla
Rassegna Internazionale egli esprime il suo disdegno nei
confronti dell’artista francese: la sua è una delle
stroncature più violente che siano mai state scritte in
Italia contro Rodin. «Egli tentò di aprirsi la via alla
celebrità con mezzi strani ed eccentrici. Pensò non esservi
soggetto che attragga la curiosità e gli sguardi della
folla più di quello la cui rappresentazione ha in sé
qualcosa d’indefinito…»149. Ancora Ximenes aggiunge quali
secondo lui sono le qualità artistiche di Rodin:
«incertezza della forma, incompostezza delle linee, trucco
nella lavorazione»150. In questo testo che susciterà
polemiche reazioni a Torino e a Firenze, sembrano
148 E. Thovez, Rodin, ivi, p. 45149 E. Ximenes, Rodin, ivi, p. 46150 Ibidem
87
anticipate le osservazioni dei visitatori più
tradizionalisti di fronte alle venti statue di Rodin,
esposte alla Biennale del 1901.
La mostra personale di Rodin alla Quarta Biennale
veneziana, la prima monografica dedicata, nella breve
storia dell’istituzione, ad uno scultore straniero, si
presentò come un affare piuttosto delicato: si trattava di
mostrare un protagonista dell’arte d’avanguardia parigina
che spesso osteggiata in Italia era stata sistematicamente
esclusa dagli organizzatori veneziani. In occasione della
grande mostra di Place de l’Alma, il segretario della
Biennale, Fradeletto, era stato a Parigi e aveva così
invitato lo scultore ad esporre con una intera sala per
l’anno successivo. Testimonianza dei contatti tra il
segretario e Rodin è un epistolario, nel quale è evidente
il divario di attese tra i due a proposito della mostra.
Fradeletto scrisse a Rodin di volere alla mostra le opere
già diventate leggendarie come I Borghesi di Calais o l’ Eva, ma
allo stesso tempo dichiarò la sua paura di urtare i gusti
di un pubblico ancora impreparato. Rodin dal canto suo
conosceva bene i gusti attardati del pubblico italiano e la
scarsa possibilità di vendita, così riuscì a farsi
promettere da Fradeletto un diretto interessamento presso
il mercato privato. Lo scultore decise di proporre per
Venezia un’antologica incentrata sui gessi: la soluzione di
compromesso venne raggiunta aggiungendo alle tredici opere
invendute provenienti dall’appena chiusa Secessione
88
Viennese, sei tra bronzi e gessi direttamente inviati
dall’atelier, ma senza marmi, nonostante la disperata
richiesta di Fradeletto. Nella sala adibita alle opere
rodiniane, vennero disposte quelle ormai canoniche insieme
alle rare novità; Ojetti, forte dei suoi contatti col mondo
intellettuale parigino, scrisse la pagina introduttiva del
catalogo. Inoltre egli chiuse le porte alle interpretazioni
che dichiaravano Rodin un simbolista o l’audace deformatore
e pochi giorni dopo sul Corriere della sera anticipò le
prevedibili polemiche del pubblico più conservatore: «un
piede, una mano, una bocca, un deltoide, una caviglia, un
addome possono in Rodin apparire esagerati»151, ma solo per
chi confonde la realtà col calco dal vero dove «la vita
espressiva di tutta la statua scompare»152. Il rumoreggiare
fu piuttosto insistente, ma ad un livello più generale era
difficile sfuggire al fascino della sala. Un critico
nazionalista e non certo incline a tendenze moderniste come
Primo Levi l’Italico si dichiarava rapito dal
concetto fisico di una umanità vivente oggi ancora con la vigoria, con
la foga, con la forza dei tempi che ci hanno preceduto in un concetto
dell’esistenza, delle sue funzioni, della stessa indole sua, diverso
dal nostro. Sembra quasi che egli voglia appunto digerire il pensiero
e la volontà dell’uomo attuale verso un ritorno al remoto passato di
tempi primitivi..153.
151 Ugo Ojetti, Quarta Esposizione Internazionale, ivi, p. 48152 Ibidem153 Primo Levi l’Italico, La mostra ideale, ivi, p. 48
89
Il testo più lungo apparso su Rodin alla Biennale è stato
scritto da Alessandro Stella154:
Auguste Rodin è il solo scultore moderno che per intensità, profondità
ed elevatezza d’intendimenti e di opere pareggi Wagner… ma in ordine a
modernità di sentimento e di pensiero lo scultore francese lo supera,
poiché nell’ideazione ed esecuzione e per la finalità artistica delle
sue opere egli si accosta di più a quella completa libertà di spirito
che Nietzsche, nella gerarchia morale, intravvede al di là del bene e
del male, e che l’esteta moderno presuppone al di là del bello e del
brutto.
L’eco delle pagine su Rodin si protrasse per tutto il
decennio ed oltre; ad esserne sedotta sarebbe stata una
generazione di scultori che per lungo tempo era rimasta
ancorata alle leggi dell’arte scultorea come la correttezza
o la difficoltà. Per loro Rodin si presentava come
l’incarnazione di una scultura capace di affrancarsi da
virtù soltanto esecutive e soprattutto in grado di
inventare temi capaci di dialogare con il movimento
intellettuale moderno.
Molto più lenta ad affermarsi fu la lezione formale della
sala del 1901: con la sua sala di corpi nervosi, accentuati
o deformati, Rodin azzera la vitalità della linea e offre
una radicale alternativa.
Mentre tra il 1897 e il 1901 le soluzioni rodiniane
stentavano ad essere accolte dagli scultori italiani, a
partire dalla Quarta Biennale iniziò un confronto con le154 A. Stella, Dai margini, ivi, p. 49
90
opere dello scultore francese, alimentato dalle critiche
scritte per l’occasione. Ci volle ancora qualche anno
perché la lezione potesse filtrare nelle opere di scultori
già formati e passare alla generazione successiva, quella
ad esempio di Arturo Martini, che si affaccia sul secondo
decennio e gli conferisce un carattere più novecentesco.
Torino e Firenze appaiono come le città più sensibili ai
problemi aperti dalla scultura rodiniana. A Firenze Rodin
era già stato nel 1876, ma vi ritornò nel 1898: in questa
occasione è probabile che abbia attirato maggiore
attenzione il passaggio dell’artista, per il quale era
stata più volte sottolineata la dipendenza dalla scultura
di Donatello e Michelangelo.
Tornando all’influenza che Rodin ha avuto sugli scultori
italiani dopo la personale alla Biennale, va menzionato il
lavoro di Domenico Trentacoste, scultore palermitano
vissuto tra Parigi e Londra dalla metà degli anni ’80 al
1895 e trasferitosi a Firenze dopo il successo conseguito
con la Derelitta alla prima Biennale di Venezia. Nonostante
Trentacoste avesse conosciuto l’opera di Rodin a Parigi,
egli cominciò a misurarsi con essa soltanto in un secondo
tempo, al suo rientro in Italia. Trentacoste iniziò a
riflettere intorno alla questione del nudo e della sua
lingua da reinventare facendo tabula rasa degli elementi
accademici e accettando i rischi di innaturalezza. Ad
esempio in occasione della Biennale del 1903, lo scultore
italiano presentò un’opera intitolata Caino(fig.n.28), una
91
sorta di parafrasi del Pensatore di Rodin. In questo modo
Trentacoste si è voluto confrontare con la tradizione della
scultura rinascimentale, e fiorentina in particolare, in un
senso diverso dalla consueta formula neoquattrocentista.
Secondo Fergonzi, «l’unica via praticabile gli deve essere
sembrata quella, additata da Rodin, di una modellazione che
scandagliasse le leggi costruttive del corpo»155 e aggiunge
anche che «protagonista del gioco è sempre l’attenzione
tutta rodiniana per il significato plastico e chiaroscurale
della muscolatura»156.
Come ho già detto, alla Quarta Biennale di Venezia non
vennero esposti i marmi: così alla prima importante mostra
allestita in Italia, l’attenzione era stata monopolizzata
dal Rodin modellatore e bronzista. Questa scelta aveva
ottenuto lo scopo di far accantonare ai visitatori italiani
la questione del non-finito rimasta in sospeso dalla mostra
dell’Alma: «non si tratta soltanto nella scultura di
riprodurre una forma, sì di conquistare intorno a lei lo
spazio e la luce»157, commenta Giovanni Cena sulla Nuova
Antologia.
Con l’inoltrarsi del primo decennio del ‘900 la produzione
rodiniana di ritratti, statute e gruppi marmorei si fece
predominante e diventò, presso il pubblico internazionale,
la più seducente e la più facilmente comprensibile. In
Italia giunsero echi delle discussioni internazionali sui155 Ivi, p. 51156 Ibidem157 G. Cena, Artisti moderni-Auguste Rodin, in «Nuova Antologia», 4, 92, 1901, p. 301
92
marmi di Rodin ai quali veniva riconosciuto lo status di
capolavori, in quanto la tecnica del non-finito risultava
essere la più adatta a rappresentare la condizione umana di
incessante partecipazione alla vita universale. Ancora
Camille Mauclair, sulla Revue Universelle, faceva di Rodin un
Michelangelo che, quasi inconsapevolmente, liberava la vita
delle figure trattenuta dal marmo.
Inoltre, a partire dai primi anni del secolo XX, i vari
periodici illustrati del tempo mostravano le riproduzioni
di marmi rodiniani non finiti, dalla accattivante resa
fotografica.
L’importanza della tecnica del non-finito non è esente da
rischi. Come tende a precisare Fergonzi, «Rodin, nel lavoro
sul marmo, si affida all’esecuzione indiretta ma mira a
salvaguardare, in una materia che invoglia alla preziosità
superficiale, quella forza sintetica che il modellatore
aveva saputo trovare nella creta e che lo sbozzato e il
gradinato potevano conservare»158. Invece il non-finito
praticato dagli scultori italiani si rivela come il frutto
di una moda frettolosamente imparata che poco ha a che
vedere con il modello plastico di riferimento.
Un altro aspetto che emerse nelle recensioni italiane fu
quello di un Rodin capace di sperimentare pose fino ad
allora mai osate in scultura, dettate dai sensi e non da
leggi accademiche, dall’eros o dal dolore fisico: questa
scelta comportava rischi di deformazioni o di scompostezza,
158 F. Fergonzi, Auguste Rodin e gli scultori italiani(1889-1915). 1, cit., p. 52
93
ma consentiva di rinnovare il repertorio dell’invenzione
compositiva. Ad esempio, alla Biennale del 1905, il
torinese Edoardo Rubino, che era stato tra gli
organizzatori del banchetto rodiniano del Circolo degli
Artisti del 1901, presentò un bassorilievo con due amanti
che fluttuavano nell’aria. Sembrava aver preso spunto dalla
scultura rodiniana, intitolata Fugit amor(fig.n.29), mandata
da Rodin a Venezia due anni prima, nel 1903. L’operazione
di Rubino è piuttosto riduttiva perché semplifica il
tragico dinamismo rodiniano e appare molto accademica.
A partire quindi dai primi anni del ‘900 l’attenzione nei
confronti dell’arte plastica rodiniana crebbe anche in
Italia. Alla Biennale del 1903 le opere rodiniane giunte da
Parigi ricevettero la giusta accoglienza che si doveva
ormai al grande artista e la stampa italiana cominciò a
riportare le dichiarazioni di poetica di Rodin.
Successivamente va tenuto anche in conto, per il formarsi
del mito rodiniano, delle ondate di ammirazione per la
scultura del Pensatore, esposto a scala monumentale nel 1904
a Londra e a Parigi, poi nel 1906 collocato davanti al
Panthéon. Questa scultura apparve a tutti come un’opera
d’arte epocale, un’icona della condizione umana di inizio
secolo.
La vera svolta nella percezione e nella reinterpretazione
di Rodin da parte degli scultori italiani risale al 1905
quando alla VI Biennale veneziana Leonardo Bistolfi espose
il gesso della Croce, modello per il monumento funebre al
94
senatore Tito Orsini. A proposito di un confronto tra Rodin
e Bistolfi, va ricordato quello delineato da Giovanni Cena.
«Nel Rodin l’istinto e l’ideale combattono la loro lotta
dominata da una fatalità opprimente e l’ideale non esce
vincitore che dopo aver prostrato l’uomo e resolo
indicibilmente triste; nel Bistolfi è lo spirito che si
sprigiona dalla materia quasi senza lotta»159. Inoltre Rodin
è attratto dalle linee sparse, dalle attitudini violente,
dalle curve mentre Bistolfi dalle linee semplici. «Entrambi
signori della materia piegano a forma umana a secondare le
loro intenzioni, il Rodin plasmando le forti ossature e
muscolature, e i violenti attacchi…Il Bistolfi accarezzando
nei bassi rilievi forme diafane, più segnate che
plasmate..»160.
Cena nel suo articolo spiega che per Rodin la forma umana è
come un’ossessione:
per lui tutto il corpo è compenetrato d’anima, perciò egli ama le
espressioni violente nelle quali invero l’anima invade il corpo, lo
riempie, lo contrae, lo tende. Perciò trascura soventi, nelle figure
di piccole dimensioni, il volto, o lo tratta sommariamente, non
volendo imprimervi una vita troppo più intensa che non nell’intero
pezzo161.
Tornando al confronto con Bistolfi, Cena effettua un
paragone tra il Cristo(fig.n.30) con la veste stropicciata
159 G. Cena, Artisti moderni-Auguste Rodin, cit., p. 290160 Ibidem161 Ivi, p. 288
95
dal vento e il Balzac di Rodin, “un menhir sormontato da una
maschera sprezzante e terribile”162. Il saio domenicano
indossato dallo scrittore e la veste svolazzante del Cristo
apparivano a un osservatore italiano come il frutto della
stessa volontà di uscire dalle rappresentazioni veriste
degli anni Novanta.
Da questo momento si può misurare sempre di più quanto il
rodinismo in Italia fosse ormai un patrimonio comune, viste
le imitazioni che si susseguono. Alcune sono solo esterne,
superficiali, frutto di una moda che stava invadendo
l’Europa con mostre, libri e fotografie, altre invece
toccano da vicino questioni che riguardano i fondamenti
stessi della lingua scultorea. Si avverte che nel giro di
pochi anni gli scultori hanno assunto un approccio diverso
di fronte al modello in posa, alla ricerca di chiavi di
rappresentazioni diverse, più attenti alla struttura che
alla definizione dei particolari, al ritmo astratto del
modellato che all’ortodossia anatomica.
Contagiati dalla moda rodiniana che spingeva a ripensare
strutturalmente il corpo nudo, gli scultori italiani
rimasero segnati per anni da questa esperienza che
rappresentava un vero e proprio passaggio generazionale.
Questo approccio a Rodin può provocare esiti drammatici,
come nel caso di Adolfo Wildt. Quest’ultimo ricorda in una
lettera del 1915 a Carlo Siviero di aver distrutto il suo
Giardiniere che parla, dopo aver visto a Dresda, nel 1904, il
162 Ivi, p. 300
96
Saint-Jean di Rodin, che aveva precorso, per posa e
atteggiamento, la sua opera.
Per altri artisti del periodo che va tra il primo e il
secondo decennio del Novecento il confronto con Rodin è
stato meno traumatico e la sua lezione è stata assunta
dalla nuova classicità novecentesca.
Inoltre la lezione rodiniana cominciò a farsi strada anche
all’interno dell’insegnamento artistico; ad esempio
Giovanni Possamai e Severo Pozzati si presentarono
all’esame di fine anno delle scuole speciali di scultura
dell’Accademia di Brera e di quella di Bologna con due
opere che mostravano l’influenza esercitata da Rodin.
Possamai presentò una riflessione sulla posa eroica del
Pensatore mentre Pozzati un’attenzione più focalizzata sulle
indeterminatezze del modellato.
Mi sembra interessante anche rintracciare l’influenza che
la lezione rodiniana ha esercitato su un grande scultore
come Arturo Martini. Questo non partì dal Rodin
internazionalmente accreditato, lo stesso visibile nella
città su cui gravitava, Venezia, dove nel 1907 il Pensatore
era stato esposto alla Biennale. L’accesso a Rodin avvenne
quindi per vie traverse, alternative all’aspetto
monumentale delle sculture veneziane. Martini aveva scarsi
mezzi a disposizione che gli consentirono pertanto esercizi
rodiniani anticanonici. Inoltre durante il suo soggiorno a
Monaco di Baviera poté riflettere sistematicamente sulla
scultura antica e allo stesso tempo ebbe la possibilità di
97
aggiornarsi sull’arte moderna, dove il rodinismo era una
moda vincente.
La prima via per il recupero della lezione rodiniana da
parte di Martini lo condusse verso la semplificazione
decorativa. Nelle ceramiche che Martini produsse tra il
1910 e il 1911, quando lavorava stabilmente per la
manifattura di Gregorio Gregorj, la lezione di Rodin è
chiaramente applicata. La seconda via d’accesso invece
riguarda il recupero di pose estreme e gesti enfatici:
oggetto della riflessione è la qualità muscolare pura dei
corpi rodiniani, l’alternanza chiaroscurale di vuoti e
pieni. Un piccolo gesso esposto a Treviso nel 1910, Dopo la
catastrofe ricorda un Orphée, nell’analogo braccio sollevato,
nella testa rivolta all’indietro e nella muscolatura del
torso.
Ancora Martini, in seguito a un soggiorno parigino nel 1912
e alle discussioni con Boccioni, ritornò al Rodin più
classico: il gesto della sua Prostituta (fig.n.31) è una
riproposizione di quello del Pensatore, di cui vengono
capovolti in chiave grottesca i significati eroici. Lo
stesso la figura del Pensatore torna anche nelle sculture
successive di Martini. Ad esempio La Pisana(fig.n.32): una
donna dal corpo perfetto che presenta una struttura simile
ad un paesaggio, dove convivono l’idea del finito e del
non-finito. La donna qui è distesa ma se provassimo a
metterla seduta ci sembrerebbe di intravedere la figura del
pensatore. Possiamo ancora ricordare sculture come il
98
Ragazzo seduto(fig.n.33) o Il centometrista(fig.n.34) che
potrebbe sembrare un pensatore che corre.
A proposito dell’influenza che la lezione rodiniana può
aver esercitato sugli scultori italiani non possiamo
tralasciare il rapporto instauratosi tra Rodin e Medardo
Rosso. Quest’ultimo nasce a Torino nel 1858 ma pochi anni
dopo si trasferisce con la famiglia a Milano, dove studia
all’Accademia di Belle Arti di Brera. Insofferente di
fronte agli insegnamenti accademici, inizia la sua attività
artistica nell’ambito della scapigliatura milanese e nel
1883 si reca a Parigi, dove viene a contatto con gli
impressionisti. Tra gli artisti conosciuti nella capitale
francese spicca il nome di Rodin, il cui primo incontro è
documentato da una lettera del 1894, nella quale lo
scultore francese esprime tutta la sua stima nei confronti
di Rosso. Nasce tra i due una grande amicizia, interrotta
nel 1898, anno in cui Rodin espose il suo Balzac(fig.n.35),
il grande bronzo che gli era stato commissionato nel 1891
dalla Sociéte des Gents de Lettres, per suggerimento di
Zola che ne era il presidente. Quando Rodin espose la sua
opera al Salon, essa fu rifiutata, perché ritenuta
incompleta: un “menhir” come lo aveva definito Giovanni
Cena, “monumento barbarico che non ha più alcuna immagine
di bellezza”163. Cena aggiunge di fronte al Balzac: «ne
allontanate lo sguardo con timore e ripugnanza; ma quella
testa non si dimentica più»164.
163 G. Cena, Artisti moderni-Auguste Rodin, cit., p.300164 Ibidem
99
La stampa si accanì contro lo scultore, ma le offerte di
acquisto che giunsero dal Belgio e dal celebre
collezionista Auguste Pellerin confermarono che Rodin era
riuscito a catturare lo spirito dello scrittore. Sulla
rivista Saturday Review del 1898, Frank Harris165 descrive le
sue sensazioni di fronte alla statua dello scrittore: ad
una prima impressione l’opera gli appare grottesca e
mostruosa, da cui traspare qualcosa di demoniaco. Facendo
il giro della statua, si resta però colpiti dal profilo,
dove il grottesco scompare e appare la faccia vivente.
Vista di profilo, la statua mostra una chiara somiglianza
con il viso di Balzac, con i suoi occhi ardenti. Così
Harris dichiara di aver compreso l’intento di Rodin, poiché
la statua presenta due aspetti: di fronte viene mostrata
l’anima dello scrittore, l’affermazione del grande artista,
di un uomo dedito al lavoro e al trionfo, mentre dall’altro
lato si osserva la rappresentazione eterna dell’uomo, il
Balzac nella sua quotidianità, il suo spirito trattenuto
nei vestiti rozzi della corruzione.
Come sottolinea Fergonzi166, Rodin con il Balzac ha tentato di
rinnovare il repertorio di quell’eroismo di matrice
michelangiolesca che fino ad allora era stato l’aspetto
dominante della scultura a grandi dimensioni. Qui Rodin ha
scelto la via impressionistica: tale modernità della
proposta trovò il favore negli ambienti che auspicavano al
rinnovamento dell’arte scultorea, ma suscitò le opposizioni
165 F. Harris, Rodin, in Marco Vallora, Rodin, cit., pp. 182-183166 Cfr. F.Fergonzi, Rodin e e la nascita della scultura moderna, cit.
100
degli ambienti più conservatori. Rodin rappresentò lo
scrittore con un lungo saio domenicano e con le braccia
riunite all’altezza del sesso: la reazione della critica fu
violentissima e le dimensioni dello scandalo furono
paragonabili solo all’esposizione dell’ Olympia(fig.n.37) di
Manet del 1865. Allo scultore venivano rimproverati la
scarsa somiglianza con la figura di Balzac, l’aspetto
caricaturale del volto e soprattutto la struttura generale
della statua.
Riguardo al Balzac, Rilke sostiene che «Rodin gli ha
conferito una grandezza che forse sovrasta la figura dello
scrittore. L’ha colto nell’essenza della sua personalità,
ma non ne ha rispettato i confini»167. Rilke poi spiega come
Rodin per anni e anni è vissuto totalmente all’interno
della figura dello scrittore, «visse come se Balzac avesse
ideato anche lui»168. Dopo tanto lavoro, «finalmente lo vide
come doveva essere»169, una figura imponente, un volto ebbro
di creatività: «era il Balzac nella fecondità della sua
sovrabbondanza, il fondatore di generazioni, il dissipatore
di destini»170.
Guardando il Balzac, non si può fare a meno di pensare ad
una scultura di Medardo Rosso, il Bookmaker(fig.n.36),
esposto alla mostra personale dell’italiano alla Bodiniére
nel 1893. Il Bookmaker raffigura l’ingegnere civile Eugéne
Marin, direttore della fonderia del suocero Henri Rouart,167 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 61168 Ivi, p. 62169 Ivi, p. 63170 Ibidem
101
presso la quale Rosso aveva lavorato per la fusione delle
sue opere. Marin era un appassionato di corse di cavalli e
spesso si recava all’ippodromo in compagnia di Medardo
Rosso, tanto che lo scultore lo ritrae proprio in quel
contesto. L’asse fortemente inclinato della figura
suggerisce un certo dinamismo, ma allo stesso tempo rende
con efficacia la compenetrazione del personaggio con
l’ambiente, proprio perché Rosso ambiva ad applicare i
principi dell’en plein air impressionista alla scultura. La
modernità di quest’opera che si presenta all’improvviso
come un’apparizione, si rivela anche nella scelta del
soggetto, nel voler celebrare una figura emblematica della
vita parigina.
L’inclinazione della figura e l’attenzione rivolta a
mettere in risalto gli effetti atmosferici furono
probabilmente gli elementi che colpirono Rodin e che gli
offrirono lo spunto per la realizzazione del Balzac. Infatti
Medardo Rosso considerò il Balzac come un affronto al suo
principio innovativo, poiché vi era il rischio, data la
fama di Rodin, di finire con il passare secondo in una
vicenda in cui si considerava il primo. Rodin poté vedere
il Bookmaker durante una delle numerose visite che i due
artisti si scambiarono nel corso del 1894, traendone
reciproco profitto: se lo scultore francese si è ispirato
all’opera di Rosso, nonostante il Balzac, come fa notare
Fergonzi171, domina lo spazio attorno a lui e non ne è
171 Cfr. F.Fergonzi, Rodin e la nascita della scultura moderna, cit.
102
assorbito come nell’altra statua, è vero anche che da
quegli incontri Rosso maturò l’idea di tornare alla
dimensione del gruppo a grandezza umana, abbandonata dopo
la partenza da Milano. In un articolo sulla rivista Lo
Spettatore, Medardo Rosso espose tutti quelli che secondo lui
rappresentavano i limiti dell’arte di Rodin. Egli sosteneva
che Rodin non avesse compiuto nessun passo avanti nella
scultura, ma fosse rimasto sempre ancorato
all’interpretazione statuaria della negazione luce-vita,
limitato alla realizzazione di opere fatte perché “vi si
giri attorno”.
Attraverso la realizzazione del Balzac e la ripresa del
Bookmaker, molti critici cominciarono a valutare una
influenza dell’impressionismo anche nella scultura
rodiniana. J. Cladel172 infatti sostenne che Rodin fece con
la linea ciò che Monet aveva realizzato attraverso il
colore, annotò dei gesti sfuggenti così come Monet aveva
dipinto effetti rapidi di colore.
A proposito dell’impressionismo Hermann Bahr173 spiega che
si tratta di una nuova tecnica pittorica che ben si adatta
al quadro temporale della società moderna. Il mondo interno
e quello esterno così come il rapporto con esso sono
cambiati e occorre quindi utilizzare una tecnica diversa
che sappia descrivere come tutto scorre eternamente e che
il movimento esiste dappertutto. Nella modernità si assiste
172 Cfr. J.Cladel, Auguste Rodin, l’oeuvre et l’homme, in M.Vallora, Rodin, cit.,p. 184173 Cfr. Hermann Bahr, Il superamento del naturalismo,cit., p. 161
103
a una metamorfosi continua, dove non esistono confini e
l’impressionismo interpreta il momento in questo modo:
«invece di dare direttamente il colore dovuto,
l’impressionista lo divide e scompone la figura da
rappresentare in tante macchie o punti colorati che solo a
una certa distanza, d’un tratto, stranamente si fondono e,
ancora confusi, incerti, informi, si ritrovano
improvvisamente nella forma più bella»174.
Attenendoci al pensiero espresso da Bahr, potremmo
effettivamente considerare la scultura di Rodin anche in
rapporto all’impressionismo, in linea con l’idea che nello
scultore francese convergono diversi stili. Gli aspetti del
divenire, del movimento, dell’incompiutezza che
appartengono all’impressionismo sono riscontrabili anche
nella scultura di Rodin. Infatti anche Rilke mette a
confronto il senso del non-finito di Rodin con la tecnica
degli impressionisti, inizialmente criticati per i loro
dipinti spesso incompleti. Il poeta aggiunge che:
eppure ci si è rapidamente adeguati a questo effetto, si è imparato a
capire e a credere, quanto meno per la pittura, che un tutto artistico
non necessariamente deve coincidere con il tutto usuale dell’oggetto e
che all’interno del quadro nascono nuove convergenze, svincolate da
ogni dipendenza, nuovi accordi, nuovi rapporti, nuovi equilibri. Anche
in scultura non è diverso175.
174 Ivi, p. 159175 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 33
104
Se alcuni hanno visto tracce di questa tecnica pittorica
nell’opera rodiniana, c’è anche chi si è occupato di
smentire completamente questo rapporto. Donatella Simon
infatti nell’opera Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste
Rodin dedica una parte del testo a confutare questa tesi,
computando i due stili. L’autrice parte da un saggio di
György Lukàcs, il quale annovera Monet così come Rodin
nella corrente dell’impressionismo. Secondo la Simon176,
innanzitutto, l’impressionismo è un’arte senza forme che
gioca sui colori e sulle luci solo per un intento
virtuosistico mentre l’arte di Rodin riesce a dare forma al
vivente, ad esprimere il carattere della Natura.
Rodin va oltre la prima impressione dello sguardo e ne
esprime la forma, la sua essenza più profonda, «bel lontano
dalla disincantata flânerie dell’impressionismo»177. Questa
corrente pittorica si lascia cullare dal potere delle
immagini colte soltanto nelle superfici del reale mentre
Rodin è in grado di cogliere la forma più intima e più
segreta della Natura, una forma nuova che rimanda al
simbolico e anticipa tendenze dell’avanguardia
novecentesca.
Infine ciò che oppone definitivamente Rodin
all’impressionismo è la frase di Rilke178, secondo cui
nell’opera rodiniana tutto il mondo circostante è contenuto
al suo interno. L’impressionismo gioca sul puro vedere,176 Cfr. Donatella Simon, Le forme e il movimento. George Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 10177Ivi, p.12178 Cfr. Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 29
105
fine a sé stesso, mentre il “vedere” di Rodin è qualcosa di
diverso, che penetra nell’essenza delle cose. Questo
concetto del vedere rimanda a una celebre passo del Malte
di Rilke, come fa giustamente notare la Simon: «Io imparo
a vedere. Non so perché tutto penetra in me più profondo e
non rimane là dove, prima, sempre aveva fine e svaniva.
Ho un luogo interno che non conoscevo. Ora tutto va a
finire là»179.
179 Idem, Malte, in Donatella Simon, Le forme e il movimento.Georg Simmel e Auguste Rodin, cit., p. 15
106
CONCLUSIONI
Scrive Octave Mirbeau in un omaggio a Rodin: «E’ forse
l’unico, tra gli scultori di tutti i tempi, a realizzare
un’opera che riveli una comprensione universale della vita.
E’ sempre vicino alla vita, è sempre nella vita, nel
brivido della vita, anche quando sembra elevarsi, al di
sopra di essa, nel sogno!»180.
In effetti ogni elemento della vita umana è rintracciabile
nelle opere dello scultore francese: dalla paura della
morte nella Porta dell’Inferno, alla passione ne Il Bacio, alla
voce della storia nei Borghesi di Calais, al dinamismo della
società moderna ne L’uomo che cammina, al tema del lavoro
nelle varie mani scolpite e tanto altro ancora.
In ciascuna opera di Rodin si avverte la faticosa
esperienza del lavoro umano così come nell’opera La torre del
lavoro. In quest’ultima sfila la storia dell’uomo attraverso
la rassegna di tanti mestieri: dalle miniere, agli
altiforni, ai martelli fino all’intelletto.
Come spiega Rilke, Rodin non ha tentato di rappresentare il
lavoro riassumendolo in una grande figura o in un gesto
eclatante, ma «avanza nelle officine, nelle stanze, nelle
180 Octave Mirbeau, Omaggio a Rodin, in < http://www.raer.it/media/ACTIVIDADES/act_0678dekt>
107
menti:al buio»181. Egli ha voluto rappresentare il corpo che
lavora, come invece in altre sculture lo ha rappresentato
in amore: «sarà una nuova rivelazione della vita»182.
Tale scelta può derivare da due elementi: innanzitutto
Rodin ci viene descritto come un indefesso lavoratore,
intento a penetrare nel profondo del suo mezzo artistico.
Poi però va anche considerato il contesto della rivoluzione
industriale e della progressiva divisione economica del
lavoro che uno scultore della vita moderna non può evitare
di considerare.
Rodin si dimostra l’artista della modernità anche per altri
motivi, come nel grande lavoro di ricerca della forma: egli
si impossessa di ogni materia animandola e agitandola fino
a farle emanare uno spirito pieno di vita. Nel susseguirsi
delle sue opere assistiamo ad una progressiva perdita della
forma plastica tradizionale, perdita corrispondente a
un’epoca di grandi cambiamenti individuali e collettivi.
Rodin è immerso in tali cambiamenti, ma resta in intimo
contatto col passato: egli vive cioè fra tradizione e
modernità, traendo insegnamenti dalla memoria onde poi
affrontare il presente. Passato e presente convivono nella
sue opera e questa complementarietà la rende davvero al
passo con i tempi e persino con “tutti” i tempi. Le
sculture rodiniane presentano un’esperienza in cui si
realizza la contemporanea presenza degli estremi o degli
181 Rainer Maria Rilke, Rodin, cit., p. 66182 Ibidem
108
opposti che la modernità avverte tanto vicini, come
l’apollineo e il dionisiaco, in lotta tra di loro ad
esempio nella Porta dell’Inferno. In quest’opera Rodin presenta
da una parte tante figure diverse, dagli uomini, ai mostri,
alle sirene, ai centauri, attraversando tutti i drammi
della vita, come la follia, il dolore, l’angoscia, la
passione: «qui c’erano i vizi e le bestemmie, le dannazioni
e le beatitudini, e di colpo apparve chiaro quanto fosse
povero un mondo che celava e affossava tutto questo, come
se non esistesse»183, osserva Rilke. Dall’altra parte, però,
si erge nello spazio raccolto e quasi “di soglia” de Il
Pensatore, ovvero dell’uomo che medita, riflette e che da
solo tenta di contrastare il caos e il movimento fluido e
impetuoso che lo circonda. Altri artisti poi, partendo dal
questo precedente, tenteranno di creare nuove sintesi
“moderne” fra il presente e il passato, fra memoria e
attualità, fra tradizione e innovazione.
183 Ivi, p. 38
109
APPENDICE ICONOGRAFICA
Fig.1 A.Rodin, I Borghesi di Calais, 1889,bronzo, Calais, Piazza del Milite Ignoto
110
Fig.2 A.Rodin, La mano di Dio, 1902, Fig.3 A.Rodin, La Menade, 1891,marmo, 95,5 x 75 x 56, Musée Rodin, bronzo, cm 82,7 x 69 x 63,Parigi Musée Rodin, Parigi
111
Fig.4 A.Rodin, Uomo dal naso rotto, 1863-1864, bronzo,cm 26,2 x 18,8 x 23,3, Musée Rodin, Parigi
112
Fig.5 A.Rodin, L’età del bronzo, 1875-1876, Fig.6 Michelangelo, Lo Schiavo Morente, 1513, bronzo, cm 181 x 66,5 x 63, marmo, cm 229, Museo del Louvre,Musée Rodin, Parigi Parigi
113
Fig.7 A.Rodin, La Porta dell’Inferno, Fig.8 Michelangelo,Giudizio universale,1880-1917, bronzo, cm 635 x 400 x 100, 1536-1541, affresco, cm 1370 x 1200,Musée Rodin, Parigi Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma
114
Fig.9 A.Rodin, Il Pensatore,1902-1904, Fig.17 Michelangelo, Geremia, 1512,bronzo, cm 200 x 130 x 140, affresco,cm 390 x 380, Cappella Sistina,Musée Rodin, Parigi Musei Vaticani, Città delVaticano, Roma
115
Fig.11 Michelangelo, Mosè, 1513-1515, Fig.12
Michelangelo, David, 1501-1504,
marmo, cm 235, Basilica di San Pietro marmo bianco,
cm 410, Galleria dell’Accademia,
in Vincoli, Roma
Firenze
116
Fig.13 A.Rodin, Adamo, 1880,
Fig.14 A.Rodin, L’Ombra, 1880, bronzo, cm 196, 1 x 76,5 x 78,
Musée Rodin, Parigi
Musée Rodin, Parigi
117
Fig.15 Michelangelo, La Pietà, 1497-1499,
marmo, cm 174 x 195 x 69,
Basilica di San Pietro in Vaticano, Roma
118
Fig.16 A.Rodin, Eva, 1881, Fig.17 Michelangelo, Eva, Cacciata dal Paradiso,1510, bronzo, cm 172 x 52 x 64, affresco, cm 280 x 570, Capella Sistina, Musei vaticani,Musée Rodin, Parigi Città del Vaticano, Roma
119
Fig.18 A.Rodin, Donna Accovacciata, Fig.19 Michelangelo,Giovane accovacciato, 1880-1882, bronzo, cm 85,8 x 60 x 52, 1524, marmo, cm 54, Museo dell’Ermitage,Musée Rodin, Parigi San Pietroburgo
120
Fig.21 U.Boccioni, Forme uniche della continuità Fig.22 U.Boccioni, Sviluppo di una bottiglia nello spazio,1913, bronzo, cm 126,4, nello spazio, 1912, bronzo, cm 32,3, Civico varie versioni Museo d’Arte Contemporanea, Milano
122
Fig.22 A.Rodin, Il bacio, 1888-1889, Fig.23, P.Picasso, Il bacio, 1969, olio su tela, marmo, cm 181,5 x 112,3 x 117, cm 130x 97,7, Muée National Picasso,Musée Rodin, Parigi Parigi
123
Fig.24 E.Schiele, Cardinale e monaca, 1912, Fig.25 G.Klimt, Il bacio, 1908, olio su tela, olio su tela cm 180 x 180, Österreichische Galerie Belvedere, Vienna
124
Fig.27 C.Brancusi, Il bacio, 1907,pietra, cm 28,
Muzeul de Arta, Craiova
Fig.28 D.Trentacoste, Caino, 1903, Fig.29 A.Rodin, Fugit amor, 1890-1895, marmo, cm 80 x 80 x 115,marmo, cm 61 x 105 x 43,Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Musée Rodin,Parigi Roma
126
Fig.30 L.Bistolfi, Cristo, 1903, Fig.31A.Martini, Prostituta, 1913,Piazzola sul Brenta, Padova Galleria d’Arte
Moderna Ca’ Pesaro, Venezia
Fig.32 A.Martini, La Pisana, 1928,pietra di Vicenza, cm 142,5 x 73 x 57,
Collezione privata
127
Fig.33 A.Martini, Ragazzo seduto, Fig.34A.Martini, Il centometrista, 1935,1930Galleria d’Arte Moderna Ca’ Pesaro, Venezia
128
Fig.35 A.Rodin, Balzac, 1898, Fig.36M.Rosso, Il Bookmaker, 1894,bronzo, Musée d’Orsay, Parigi cera, cm48, Museo Medardo Rosso, Barzio
129
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-Wölfflin Heinrich, I concetti fondamentali della storia dell’arte, TEA,
Milano, 1994
133
Il primo ringraziamento è rivolto al Professor Roberto
Cresti che mi ha seguito in questo percorso e dal quale ho
ricevuto validi insegnamenti. Affascinata dalla sua
sterminata cultura e preparazione, ho scelto di realizzare
questo lavoro insieme a lui. Egli ha messo a disposizione
la sua esperienza e la sua professionalità, offrendomi
saggi consigli e guidandomi nella scelta di materiale e di
letture.
Ancora un GRAZIE va alla mia famiglia che mi ha sostenuto
sempre, sia economicamente, ma anche e, soprattutto,
moralmente. Punti di riferimento imprescindibili, i miei
genitori e mio fratello Massimo si sono rivelati il mio
supporto costante, anche nelle situazioni più inaspettate.
Un grandissimo GRAZIE va a Chiara, con la quale ho
condiviso ogni attimo del percorso universitario: dalle
prime lezioni, al primo esame, alla convivenza in Via
Mozzi, alle lunghe chiacchierate prima di coricarci. Anni
di studio e di amicizia, lasceranno un’impronta indelebile
nella mia vita.
Un GRAZIE va inoltre a tutte le mie amiche di sempre: da
Claudia, Arianna, Eleonora e a tutte le altre che
135
compongono il mio gruppo storico. Dopo tutti questi anni,
ancora unite, sempre pronte a condividere momenti di svago
e a rendere spensierate quelle giornate più cupe.
Grazie anche a tutti i parenti, a tutti gli altri amici,
alle coinquiline(Arianna, Claudia, Laura, Elisa), ad
Alessandro(da un anno entrato nella mia vita per renderla
sicuramente più lieta e che ha saputo ascoltare tutti i
miei sfoghi nei momenti di maggior sconforto) e a tutti
quelli che in qualche modo hanno contribuito alla
realizzazione di questo traguardo!!!
136