Rimini 1061, una guerra dimenticata

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Rimini 1061, una guerra dimenticata di Antonio Montanari Una vicenda politica del sec. XI emerge dalla nuova lettura di un componimento poetico di quel periodo, opera di Pier Damiano, proposta nel 1965 da uno studioso illustre, il prof. Scevola Mariotti (1920-2000). La vicenda è ambientata a Rimini, ma coinvolge pure i territori delle Marche ed inevitabilmente il quadro politico-religioso italiano, su cui lasceremo la parola a Ludovico Antonio Muratori per documentare pure il ruolo svolto dallo stesso Pier Damiano in àmbito ecclesiastico. La lezione delle parole Nel 1964 a Stoccolma Margareta Giordano Lokrantz (1935- 2004), allieva dello studioso della latinità medievale Dag Ludvig Norberg (1909-1996), pubblica L’opera poetica di S. Pier Damiani, contenente la descrizione dei manoscritti e la loro edizione 1 . Tra i componimenti più famosi, c’è il n. XCIX, ovvero il Bennonis Epitaphium, come è intitolato nell'Opera omnia apparsa «Parisiis, Sumptibus Caroli Chastellain, MDCXLII» (tomo IV 2 , p. 22) e riedita nel 1743 sempre a Parigi 3 . Eccone il testo completo nell’edizione del 1964: Ariminum, luge, lacrimarum flumina funde; Laus tua Benno fuit, pro dolor ecce ruit. Benno decus regni, Romanae gloria genti, Ipse pater patriae, lux erat Italiae. Hunc socium miseri, durum sensere superbi; Lapsos restituit, turgida colla premit. Fit leo pugnanti frendens, tener agnus inermi; 1 Il sottotitolo completo è Descrizione dei manoscritti, edizione del testo, esame prosodico metrico, discussione delle questioni d’autenticità, a cura di Margareta Lokrantz, Stockholm, Almquist & Wilksell, 1964. 2 I precedenti tomi escono a Roma nel 1606, 1608, 1615: cfr. A. CAPECELATRO, Storia di S. Pier Damiano e del suo tempo, II, Barbèra, Firenze, p. 567. 3 L’epitaffio è pubblicato nel secondo tomo degli Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti, Venezia 1756, p. 334. Questo tomo copre il periodo storico dal 1027 al 1079. Nell’indice, p. 500, Benno è detto «vir illustris Ariminensis». Nello stesso tomo, pp. 333-334, si trova pure la donazione del 17.6.1069 a Pier Damiano da parte di Pietro figlio di Benno «bonae memoriae». A p. 334 è riprodotto l’epitaffio composto da Pier Damiano a perenne memoria di Benno, padre del Pietro donatore. Circa la donazione del 17.6.1069, va aggiunto che partendo da essa, si può stabilire la data della scomparsa di Pietro figlio di Benno, come si legge in G. RABOTTI, Le relazioni tra il monastero di San Gregorio in Conca ed il vescovo di Rimini nei secoli XI e XII, «Studi Romagnoli», L (1961), pp. 232-235, ove si pone il termine ad quem nel novembre 1070.

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Rimini 1061, una guerra dimenticata

di Antonio Montanari

Una vicenda politica del sec. XI emerge dalla nuovalettura di un componimento poetico di quel periodo,opera di Pier Damiano, proposta nel 1965 da uno studiosoillustre, il prof. Scevola Mariotti (1920-2000). Lavicenda è ambientata a Rimini, ma coinvolge pure iterritori delle Marche ed inevitabilmente il quadropolitico-religioso italiano, su cui lasceremo la parolaa Ludovico Antonio Muratori per documentare pure ilruolo svolto dallo stesso Pier Damiano in àmbitoecclesiastico.

La lezione delle parole

Nel 1964 a Stoccolma Margareta Giordano Lokrantz (1935-2004), allieva dello studioso della latinità medievaleDag Ludvig Norberg (1909-1996), pubblica L’opera poetica di S.Pier Damiani, contenente la descrizione dei manoscritti ela loro edizione1. Tra i componimenti più famosi, c’è iln. XCIX, ovvero il Bennonis Epitaphium, come è intitolatonell'Opera omnia apparsa «Parisiis, Sumptibus CaroliChastellain, MDCXLII» (tomo IV2, p. 22) e riedita nel1743 sempre a Parigi3. Eccone il testo completonell’edizione del 1964:

Ariminum, luge, lacrimarum flumina funde;Laus tua Benno fuit, pro dolor ecce ruit.Benno decus regni, Romanae gloria genti,Ipse pater patriae, lux erat Italiae.

Hunc socium miseri, durum sensere superbi;Lapsos restituit, turgida colla premit.Fit leo pugnanti frendens, tener agnus inermi;

1 Il sottotitolo completo è Descrizione dei manoscritti, edizione del testo, esameprosodico metrico, discussione delle questioni d’autenticità, a cura di MargaretaLokrantz, Stockholm, Almquist & Wilksell, 1964.

2 I precedenti tomi escono a Roma nel 1606, 1608, 1615: cfr. A.CAPECELATRO, Storia di S. Pier Damiano e del suo tempo, II, Barbèra, Firenze, p.567.

3 L’epitaffio è pubblicato nel secondo tomo degli Annales CamaldulensesOrdinis Sancti Benedicti, Venezia 1756, p. 334. Questo tomo copre ilperiodo storico dal 1027 al 1079. Nell’indice, p. 500, Benno è detto«vir illustris Ariminensis». Nello stesso tomo, pp. 333-334, si trovapure la donazione del 17.6.1069 a Pier Damiano da parte di Pietrofiglio di Benno «bonae memoriae». A p. 334 è riprodotto l’epitaffiocomposto da Pier Damiano a perenne memoria di Benno, padre del Pietrodonatore. Circa la donazione del 17.6.1069, va aggiunto che partendoda essa, si può stabilire la data della scomparsa di Pietro figlio diBenno, come si legge in G. RABOTTI, Le relazioni tra il monastero di San Gregorioin Conca ed il vescovo di Rimini nei secoli XI e XII, «Studi Romagnoli», L (1961),pp. 232-235, ove si pone il termine ad quem nel novembre 1070.

Hinc semper iustus perstitit, inde pius.

Hic fidei dum iura colit, dum cedere nescit,Firma tenens rigidae pondera iustitiae,Reticolae iugulus prauorum pertulit ictus.Per quem pax uiguit, bellica sors perimit.

Obsecro, tam diram sapientes flete ruinamEt pia pro socio fundite uota Deo.

Il v. 12 dell’epitaffio è edito da Lokrantz come «perquem pax uiguit, bellica sors perimit», anziché ilclassico «bellica sors periit», per cui abbiamo: «laguerra uccise colui per merito del quale fiorì la pace»(anziché «per lui fiorì la pace, la guerra cessò»).Questa traduzione è contenuta in un testo pubblicato nel1965 dal prof. Scevola Mariotti4, in cui si ricorda comela nuova lettura del v. 12 offerta da MargaretaLokrantz, comporti conseguenze «di ordine storico».Mariotti precisa: «…a quanto pare, Bennone fu ucciso inun fatto di guerra». (D’ora in avanti chiamiamo Benno ilpersonaggio detto Bennone da Mariotti, seguendo lostesso Pier Damiano che inizia così l’epitaffio:«Ariminum, luge, lacrimarum flumina funde; / Laus tuaBenno fuit».)L’accenno contenuto nell’epitaffio sarebbe l’unicatestimonianza pervenutaci di lotte locali tanto violenteda giungere all’uccisione di un capo politico cittadino.Benno infatti è definito da Pier Damiano «onore delregno, gloria della stirpe romana, padre della Patria,luce dell’Italia» («Benno decus regni, Romanae gloriagenti, / Ipse pater patriae, lux erat Italiae», vv. 3-4). Padre della Patria o della città era chiamato ilrappresentante della vita municipale che doveva vegliarealla difesa del Comune sotto il dominio della Chiesaromana. Era una figura ben distinta dal Conte, il qualeera un delegato pontificio od imperiale. Uomo giusto epio, severo con gli oppositori ma dolce con gliindifesi, Benno è quindi dato da Pier Damiano per uccisonel corso di una «guerra»: «lui, per merito del qualefiorì la pace», fu forse vittima di una lotta sulla cuiorigine possono essere avanzate soltanto ipotesiconnesse al ruolo politico svolto dallo stesso Benno.Uomo di fede e difensore degli interessi della Chiesa(altrimenti Pier Damiano non l’avrebbe glorificato),mentre la feudalità laica mirava ad una sostanzialeautonomia politica ed aumentavano i sostenitoridell’indipendenza cittadina, Benno probabilmente nonriuscì a pervenire ad una sintesi originale tra mondolaico ed ecclesiastico, per conciliare gli interessi«particulari» cioè cittadini con quelli della sede di4 Cfr. S. MARIOTTI, Note di poesia medievale, «Rivista di cultura classica emedievale», 7 (1965), pp. 640-649, p. 641 nota 44, poi in ID. Scrittimedievali e umanistici, Roma 1976, pp. 33-43.

Pietro. I riminesi possono aver visto in Benno un capoche finiva per essere più il rappresentante delPontefice (come il Conte) che della loro stessacomunità. E quindi possono aver cessato di considerarlocome un’espressione della giustizia e dell’equilibrionei rapporti fra la città e Roma. Nell’additarlopubblicamente come traditore, sarebbe stata così scrittala sua condanna a morte. Portata ad esecuzione nell’annostesso5 della fondazione del monastero di San Gregorio inConca, il 1061.Ho ripreso sin qui una mia breve nota giornalistica6 del1983, in cui concludevo che la morte violenta di Bennopotrebbe inserirsi nella serie di azioni che precedonola nascita del Comune, e testimonierebbero una serie difermenti che coinvolsero la Chiesa, l’impero e la realtàcittadina. Ritorno a queste vecchie righe soltantoperché, negli ultimi trent’anni, non è venuto da partedi più autorevoli e prestigiosi autori, nessun nuovocontributo sulla figura politica di Benno e sulla suatragica fine, ipotizzabile attraverso le fondamentaliannotazioni di Scevola Mariotti all’edizione critica diMargareta Lokrantz.

5 Sulla determinazione della data, cfr. infra nota 15.6 Cfr. A. MONTANARI, Benno, una storia dell’anno Mille, «Il Ponte», settimanale,Rimini, VIII, 22, 12 giugno 1983, p. 11. Questo articolo è stato dame richiamato in altra nota, sullo stesso settimanale (XXXII, 8,24.02.2010), dedicata al volume, curato da A. Donati e G. L. MasettiZannini, che raccoglie due antiche storie della presenza olivetana inSanta Maria di Scolca a Rimini, edite nel 2009 dalla cesenate Badiabenedettina di Santa Maria del Monte. Storie composte da Gasparo Rasi(1630) e da padre Giacinto Martinelli (post 1777). Nella recensionericordavo che Gasparo Rasi, «avvocato primario» del monastero, avevagrande stima di sé (essendo cittadino nobile), e nessuna verso chiprima di lui si era occupato delle vicende dell’abbazia. Non citainfatti né il padre olivetano Secondo Lancellotti (1583-1643) né ilriminese Cesare Clementini (1561-1624), autore del Raccolto istorico (indue tomi, Simbeni, Rimini 1617 e 1627). Nel pezzo, aggiungevo quantosegue. Donati osserva che gli scritti di Lancellotti, «definito un"chierico vagante della cultura", hanno assunto un indiscutibilevalore storico». Di «chierico vagante della cultura» (come dichiaratoin nota da Donati), si legge in Anatomie secentesche di Ezio Raimondi(Pisa 1966). Le cui parole, nel contesto originale, però hanno unsignificato opposto. Raimondi precisa che «il credito da attribuirealla battaglia culturale del Lancellotti non può essere molto alto»,e lo paragona ad una «piazza chiassosa». Masetti Zannini, scrivevopoi, tira le orecchie a «coloro, che hanno fatto intendere» di averloconsultato, dicendosi sicuro che se «l’avessero anche effettivamenteletto e studiato, certi lavori [...] sarebbero riusciti più utili». Aquesto punto aggiungevo: anche Pier Damiano è molto citato e pocoletto; a lui nel 1069 Pietro Bennone dona vasti possedimenti (poipassati alla stessa abbazia di Scolca) per l’abbazia di San Gregorioin Conca di Morciano, da Pier Damiano medesimo fondata nel 1061.Bennone è figlio di Benno, grande feudatario e uomo politico diRimini. Pier Damiano compiange la morte di Benno (1061) in un carme,definendolo «padre della Patria, luce dell’Italia». A questo puntointroducevo il richiamo all’articolo del 1983, Benno, una storia dell’annoMille.

Nel 1997 ho citato l’opinione di Scevola Mariotti in unanota al testo della Storia di Rimino dalle origini al 1832 diAntonio Bianchi, nel cap. 12 dedicato all’XI secolo7:«Mariotti precisa che questa nuova lettura comportaconseguenze "di ordine storico". Ed ha ragione: seBennone fu ucciso, il fatto va inquadrato in lotteprecomunali nel corso delle quali egli sarebbe statocolpito per il ruolo di "pater patriae" che gli vieneattribuito da Angelo Battaglini, in Saggio di Rime8, Rimini1783, pp. 8-14».Delle lotte precomunali si occupa lo stesso AntonioBianchi proprio all’inizio del suo cap. 12, comenecessaria introduzione alla raccolta delle notizieelencate in successione cronologica: «Se la prima metàdi questo secolo non fu totalmente pacifica pel nostropaese, peggiore di molto dovett’essere l’altra metà,giacché alleggeritosi in Italia il predominiodell’autorità imperiale, crebbe talmente lo spiritod’indipendenza, che ogni città, ogni vescovo ed ogniconte, insomma qualsiasi persona potente, che avessemezzi da sostenersi voleva farla da padrone assoluto…»9.Degna di analisi è la parte dello scritto di AntonioBianchi dedicata al «pater civitatis»: «Oltre i conti,altra autorità esisteva nelle nostre città col titolo di"pater civitatis", che doveva essere il capo dellamagistratura civile; il più antico di cui ci sia rimastamemoria è un certo Bennone, morto fra il 1028 e il106110; del medesimo abbiamo un pomposo elogio scritto da

7 Cfr. A. BIANCHI, Storia di Rimino dalle origini al 1832, Manoscritti inediti a cura di A.Montanari, Rimini 1997, pag. 99, nota 70.

8 Il titolo completo è: Saggio di rime volgari di Gio. Bruni de’ Parcitadi riminese, conle notizie storiche e letterarie di lui e del suo casato, presso Nicola Albertini.

9 Cfr. A. BIANCHI, Storia di Rimino, cit., pag. 94.10 La fonte è A. BATTAGLINI, Saggio di rime, cit., p. 14: «Mancò egli fragli anni 1028 e 1061…». In C. CURRADI, Pievi del territorio riminese nei documentifino al mille, Rimini 1984, p. 96, si fa morire Benno nel 1050,richiamando un documento dell’Archivio Arcivescovile di Ravenna,pubblicato in M. FANTUZZI, Monumenti ravennati, I, Venezia 1801, p. 382,n. 39) dove la data è però il 1052. Nel documento elencato daFantuzzi è citato come Arcivescovo di Ravenna Enrico (e non Unifridocome in Curradi), che resta in carica fra 1052 e 1072. La versione diCurradi (cioè, Benno scomparso nel 1050) è accettata da EmilianoBianchi in un saggio del 2004, La famiglia di Pietro di Bennone e i suoipossedimenti tra Montefeltro e Riminese (secoli X-XI), edito in «StudiMontefeltrani, 25». Cfr. p. 10: «Nel 1050 Bennone di Vitaliano eragià morto». Nella relativa nota 14 si legge: «La morte di Bennone èda fissarsi nell’arco di tempo che va dal 1041 al 1050». Però E.Bianchi poco prima (p. 7 nota 2), dà per vivo il nostro Benno nel1060, parlando di Pietro «de Benno» in relazione al «Placito diGottifredo Duca di Toscana» del 25 maggio 1060. Sempre a p. 7,proprio all’inizio del saggio, E. Bianchi, richiamando la donazionedel 17 giugno 1069 di Pietro figlio del fu Benno al Monastero di SanGregorio in Conca (su tutto ciò cfr. infra), scrive «Pietro diBennone», come se Benno fosse ancora vivo in quella data. A pag. 10,il nostro autore accusa L. Tonini di aver proposto come data dellamorte di Benno il 1060. Le cose non stanno così. Tonini ragiona per

San Pier Damiano11, il quale aveva ottenuto dallo stessoBennone e da altri di sua famiglia molti terreni, soprauno dei quali fabbricò il monastero di San Gregorio inConca, che nel 1071 lo stesso San Pier Damiano misesotto la protezione del vescovo di Rimini e dei suoisuccessori12. Molto ricca e potente era la famiglia diquel Bennone, possedendo castelli e molti terreni, comerilevasi dai documenti pubblicati dal chiarissimocanonico Battaglini13». Subito dopo, Antonio Bianchi, sotto l’anno 1060, scrive:«Goffredo duca di Toscana […] fa eseguire un concordatofra l’abbate di Pomposa ricorrente contro alcuni ivinominati, i quali promisero di non recare alcunamolestia tanto nelle persone che ne’ beni di dettaabbazia esistenti nel Contado di Rimini: vi eranopresenti, fra molti altri» il vescovo di Rimini e duegiudici della stessa città, uno dei quali è «Petrus deBenno»14, ovvero Pietro figlio15 del Benno da cui siamopartiti. Nel 1060 il Pater Civitatis ricordato èBernardus16: però «del suo governo non sappiamo né ilcominciamento né la durazione»17. Goffredo volevaproteggere Rimini e le altre città come Pesaro, le piùesposte alle armi tedesche «qualora queste, calate inItalia, avessero per questa parte della Romagna presocammino a ricondurre l’Antipapa all’ambita sede di Roma:oltreché qui d’appresso l’Arcivescovo di Ravenna eraspacciato partigiano imperiale»18.

ipotesi: «Non è certo se Bennone fosse vivo nel 1059 […]. In tal casoconverrebbe dirlo morto, o almeno uscito d’uffizio, prima del 1060…».Poi Tonini propone il cit. «Placito di Gottifredo Duca di Toscana»del 25 maggio 1060, in cui si legge «Petrus de Benno», ovvero Bennoera vivo. Cfr. L. TONINI, Rimini dal principio dell’era volgare all’anno MCC, vol.II della «Storia civile e sacra riminese», pp. 326-327, 536. Daosservare infine che ad E. Bianchi è ignota l’ed. Lokranz 1964dell’epitaffio damianeo, da lui presentato (p. 10) seguendo laversione che trovasi in L. TONINI, Ibidem, p. 326.

11 È a questo punto che si rimanda alla cit. nota 70.12 Qui Antonio Bianchi rimanda alle Memorie ecclesiastiche appartenenti all’istoria

e al culto della B. Chiara di Rimini raccolte dal conte Giuseppe Garampi canonico dellabasilica vaticana e prefetto dell’archivio segreto apostolico, Roma MDCCLV appressoNiccolò, e Marco Pagliarini, p. 45, nota e.

13 Qui Antonio Bianchi rimanda alle «Notizie Bruni», ovvero al citatoA. BATTAGLINI, Saggio di rime, cit., del 1783.

14 A. BIANCHI, Storia di Rimino, cit., p. 100. Qui si tace sul periodo dal1060 al 1080.

15 Benno è vivo nel 1060: poco prima Antonio Bianchi ha posto come datapossibile della morte il 1061 («morto fra il 1028 e il 1061», cfr. p.99), seguendo quanto si legge nel Saggio di Rime del 1783, p. 17: da undocumento del 1061, in cui è citata Armingarda moglie di Benno (sucui cfr. infra) «si vede, che Benno il marito era morto».

16 F. G. BATTAGLINI, Memorie istoriche di Rimino, cit., p. 18.17 L. TONINI, II cit., p. 323. Cfr. pure p. 309 per gli eventi, e p. 536per il cit. documento.

18 F. G. BATTAGLINI, Memorie istoriche di Rimino, cit., p. 19.

Pietro figlio di Benno è divenuto celebre per un’altradonazione19 del 1069 a favore dello stesso Pier Damiano.Nel 1070, come vedremo, Pier Damiano dona il monasterodi San Gregorio in Conca al Vescovo di Rimini20. Questadonazione è molto importante circa la sua consistenza,come scrive Luigi Tonini: infatti riguarda «tutti ipossedimenti suoi». Lo storico riminese li elenca neltesto (p. 327) citandoli dal documento LVII, poiriprodotto integralmente (pp. 542-545) da copiaautentica conservata nelle Schede Garampi della CivicaBiblioteca Alessandro Gambalunga di Rimini (cfr. p.545). Nel 1071 «Opizone vescovo di Rimini si obbliga aproteggere e difendere il Monastero di S. Gregorio inConca», come leggiamo nel titolo del documento n. LXIdel 16 novembre, in cui si cita il «bone memorie» PietroBennone21.Nelle Memorie istoriche di Rimino e de’ suoi signori pubblicate daFrancesco Gaetano Battaglini a Bologna nel 1789 pressoLelio dalla Volpe, leggiamo un ricordo sia di Benno(«Bennone di Vitaliano») sia di suo figlio Pietro in unapagina che merita attenzione. Francesco GaetanoBattaglini prima richiama il parere espresso da suofratello Angelo Battaglini (che abbiamo visto cit. inAntonio Bianchi) circa i conti riminesi dell’XI sec.,secondo cui non erano «Governatori, ma sempliciconduttori de’ proventi del Riminese contadoappartenenti alla Camera Pontificia»22. Poi, in base aquesto fatto, egli differenzia e precisa il ruolo diBenno, a cui era affidata «la pubblica amministrazionedella giustizia». Partendo proprio dall’epitaffio diPier Damiano, Francesco Gaetano Battaglini osserva:«certamente se n’ha a dedurre, che quel Pater patrie dellacittà nostra fu l’unico depositario della giustizia, edella pace de’ Riminesi». E conclude che non si può«credere, che ad un uom sì giusto, e sì reputato, e chepel governo da sé fatto meritò encomio sì degno, fosseprima di sua morte tolta di mano la bilancia dellagiustizia».Angelo Battaglini, a sua volta, ricorda la crisipolitica del periodo, con il «lasciare all’arbitrio de’più potenti l’attruppar genti, e muover le forze perdecider di lor ragioni». In tale contesto, non «sembra,che il comune diritto de’ cittadini potesse sussistereilleso senza d’un qualche valido avvocato o

19 L. TONINI, II cit., p. 327.20 Cfr. N. D’ACUNTO, I laici nella Chiesa e nella società secondo Pier Damiani. Ceti

dominanti e riforma ecclesiastica nel secolo XI, Istituto storico italiano per ilMedio evo, Nuovi studi storici 50, Roma 1999, p. 375.

21 «… de monastero predicto fondato iuxta Concam in predio bone memoriePetri Bennonis», in L. TONINI, II cit., p. 552.

22 F. G. BATTAGLINI, Memorie istoriche di Rimino, cit., p. 16.

proteggitore»23. Il «pubblico patrocinatore», ovvero«cittadino di potere di senno e di probità fornito», èdetto appunto «Padre della Patria»24. Aggiunge AngeloBattaglini che «tale ci fu dipinto Benno figlio diVitaliano» da san Pier Damiano25. Infine, secondo lostesso Angelo Battaglini, si può ipotizzare che nellecittà di Esarcato e Pentapoli sia presente quel «Padredella Patria» che egli ha trovato descritto nelle storieravennati, «non per iscuotere il supremo dominio dellaChiesa Romana, ma per essere liberati dall’angariantegoverno de’ Conti, e per ridursi in una forma di statolibero al solo immediato dominio della Chiesa stessasoggetto»26. Per Giuseppe Ferrari27, a Ravenna i «padridella Patria» sono i Conti «nominati alla caduta delregno» sul finire del sec. X. (Ravenna è detta daFerrari «padrona dell’arcivescovado» e dominatrice ditutta la Romagna28).Luigi Tonini, richiamandosi alle pagine dei fratelliBattaglini29, ipotizzava che l’elogio di Benno indicasse«servigi prestati alla società sedendo molto più in altoche entro le mura della patria», e concludeva: «Per laqual cosa, mentre non ci asteniamo dal recare le nostredubitazioni su quest’uffizio, proviamo vivissimo ildesiderio che altre memorie ci venissero adillustrazione di cariche vere sostenute da personaggiosì venerando». Qualche riga prima aveva già osservato:«Per quanto volesse credersi esagerato questo encomio»,ovvero l’epitaffio appena riprodotto dal Tonini,«tuttavia è a tenere che Bennone abbia esercitatecariche luminose non solo nella patria, ma anche fuori;delle quali siamo in perfetta ignoranza, poiché né23 A. BATTAGLINI, Saggio di rime, cit., p. 7.24 Ibidem, p. 8. Una lunga nota, che va dalla p. 8 alla p. 14, analizzail ruolo del «Padre della Patria» nel contesto storico del tempo. Neriproduco soltanto una breve citazione nel testo.

25 Ibidem, p. 9.26 Cfr. ibidem la nota di cui si è detto sopra (che inizia a p. 8), allap. 13.

27 Cfr. G. FERRARI, Storia delle rivoluzioni d’Italia, I, Treves, Milano, 1870, p.291.

28 Ibidem, pag. 370: «Nelle città pontificie il papa sostiene le partidell’imperatore e da lui deve il popolo ottenere l’elezione deivescovi. Quindi preme a Ravenna di nominare il suo arcivescovo;padrona dell’arcivescovado, essa regna sulla Romagna e forse siestende fino a Reggio, a Parma e a Modena, comprese nella suadiocesi. Dal 1004 al 1014, vediamo l’arcivescovo Adalberto, dettointruso, e sostenuto dal popolo in odio di Roma. Più tardi Ravennacerca la sua libertà opponendo l’alto dominio dell’impero a quellodella Chiesa. Perciò l’arcivescovo Geberardo è protettodall’imperatore Corrado II; nel 1047, regna l’arcivescovo Umfredo,fratello dell’imperatore Arrigo III, che scaccia Vidigeroprobabilmente imposto dal papa. Tosto egli estende il suo dominio atutta l’Italia come vicario imperiale; e la sua ostilità contro ilpapa s. Leone rammenta tutti gli odii gotici di Ravenna contro Roma».

29 L. TONINI, II cit., p. 327: «Fu ben creduto dai Battaglini…».

Storia alcuna parla di lui», né si ritrova il suo nomenegli atti relativi accompagnato da dignità omagistratura ricoperta30.Di tutti i passi che abbiamo letto nei fratelli Angelo eFrancesco Gaetano Battaglini, non c’è la minima tracciain un saggio31 del 1999 in cui è citato il nostro Benno,considerandolo «un esperto di diritto sulla base di unpassaggio dell’epitaffio», quello appunto in cui silegge che egli fu «decus regni, gloria Romanae gentis,pater patriae» e «lux Italiae»32. In questo saggio del1999 si aggiunge che si tratta perciò «di un personaggiodi primo piano e non solo a livello locale». Benno, cheè «membro eminente del ceto dominante cittadino»,incarna nei versi di Pier Damiano «la figura delperfetto governante» che sa essere «iustus» e «pius».Nulla si legge nel saggio del 1999 del suggerimento diScevola Mariotti («…a quanto pare, Bennone fu ucciso inun fatto di guerra»).La stessa osservazione vale a proposito dell’edizioneapparsa nel 2007 delle Poesie e preghiere di Pier Damiano33

che del v. 12 dell’epitaffio in questione («Per quem paxuiguit, bellica sors perimit»), propone questatraduzione: «Grazie a lui si rafforzò la pace escomparvero le minacce di guerra». Su questo volume, inrelazione all’epitaffio che ci interessa, sonoinevitabili due osservazioni di fondo. Anzituttol’edizione 2007 è condotta su quella di MargaretaLokrantz, per cui il testo del v. 12 reca correttamente«bellica sors perimit» e non «bellica sors periit», comeabbiamo già sottolineato. La traduzione però non cogliela differenza tra l’antico «periit» ed il nuovo«perimit». Differenza che, come si è visto, è bensegnalata e sottolineata da Scevola Mariotti, con quelche ne consegue sul piano del contenuto storico.La traduzione, infine, non tiene conto di una sempliceregola sintattica che riprendiamo da un classico testo(che un tempo, parlo di mezzo secolo fa, eraobbligatorio conoscere bene per sostenere gli esami diLingua latina almeno all’Ateneo felsineo), il Gandiglio-Pighi da cui cito: «Le forme oblique del pronomedeterminativo "is" [...] e dei pronomi personaliordinariamente s’omettono quando il nome della persona odella cosa a cui il pronome si riferisce è espressonello stesso caso nella proposizione che precede...»34.

30 Ibidem, pp. 326-327.31 Si tratta del cit. D’ACUNTO, I laici nella Chiesa e nella società secondo Pier

Damiani.32 Ibidem, pp. 375-376.33 Si tratta del IV vol. delle «Opere di Pier Damiani», Città NuovaEditrice, Roma, cura di U. Facchini e L. Saraceno.

34 Cfr. A. GANDIGLIO, Corso di lingua latina, III. Sintassi latina, volume primo. Terzaedizione rifatta a cura di G. B. Pighi, Bologna 1961, p. 10.

Ovvero il v. 12 va "costruito" così, per farne unacorretta traduzione: «Per quem pax viguit, bellica sors[eum] perimit». L’«eum» omesso è l’«antecendentepronominale» per cui si ha questa struttura logica delverso: «bellica sors perimit [eum] per quem pax viguit»:ovvero, «la guerra uccise [colui] per merito del qualefiorì la pace» come appunto, con chiarezza, traduceScevola Mariotti.Circa il saggio del 1999, va precisato che la citazionedall’epitaffio non rispetta la versione Lokranz, quandoè ricordato il titolo di «gloria Romanae gentis», che lastessa Lokranz modifica in «gloria Romanae genti» permotivi che non sono chiari, derivando esso dall’Eneide,VI, 767 dove si legge «Troianae gloria gentis».Nell’edizione italiana delle poesie di Pier Damiano del2007, il testo della Lokranz è rispettato («gloriaRomanae genti», p. 326), ma in nota c’è un dupliceerrore: si modifica la citazione virgiliana da «Troianaegloria gentis» in «Troianae gloria genti» (per adeguarlastranamente alla versione della Lokranz del testodamianeo?), e la si indica come «XII, 907», anziché «VI,767».Nel 2010 esce il primo volume della «Storia della Chiesariminese», intitolato Dalle origini all’anno Mille, dove si parladi «Bennone figlio di Vitaliano detto Bennio, che nel1014 dona al figlio Pietro il castello di Morciano», elo si dichiara «un importante esponente del cetodirigente riminese, definito da Pier Damiani decus regni,pater patriae, lux Italiae»35. In nota, si rimanda al testo sopraesaminato del 1999, senza ulteriori notizie. Recensendosul web questo volume, facevo notare quello che mancavasulla figura di Benno36, e che il lettore ha già quiappreso da quanto scritto. La risposta ufficiale mi èvenuta nel 2012 dal secondo volume della stessa «Storiadella Chiesa riminese», dove lo studioso che ha compostoil saggio del 1999 ha osservato: l’ipotesi di ScevolaMariotti (che «alluderebbe alla morte violenta diBennone»), «è accolta dal Montanari, che inquadra ilfatto in non meglio precisate lotte precomunali». E quisi rimanda alla mia già cit. nota di p. 99 alla Storiad’Antonio Bianchi.Come ho sopra osservato, è lo stesso Antonio Bianchi chea p. 94 della sua opera scrive: «alleggeritosi in Italiail predominio dell’autorità imperiale, crebbe talmente35 Cfr. R. SAVIGNI, La Chiesa di Rimini nella tarda antichità e nell’alto Medioevo,«Storia della Chiesa riminese, I. Dalle origini all’anno Mille»,Rimini 2010, pp. 29-68, p. 65.

36 Del tema ho parlato anche in una lettera pubblicata dal «Corriere diRomagna» il 28 dicembre 2010: «Scevola Mariotti aggiungeva che lanuova edizione di quel testo comporta conseguenze di ordine storico.Spiace constatare che non se ne siano accorti quanti hanno compostola nuova "Storia della Chiesa riminese", il cui primo volume è appenaapparso (cfr. p. 65)».

lo spirito d’indipendenza, che ogni città, ogni vescovoed ogni conte, insomma qualsiasi persona potente, cheavesse mezzi da sostenersi voleva farla da padroneassoluto». Queste sono le lotte precomunali riassuntedall’autore stesso della Storia di Rimino, che evidentementenon è stata fornita integralmente al censore perrispondere alle mie osservazioni. (Posso ipotizzare,come ho scritto allo stesso autore del saggio, chepersone poco informate dei fatti gli abbiano fornito,per pura malevolenza nei miei confronti, fotocopiasoltanto della p. 99 dell’opera di Antonio Bianchi, enon di tutto il capitolo che inizia a p. 94…)Nel passo che mi riguarda in questo vol. II della«Storia della Chiesa riminese», immediatamente dopo lacitazione riportata, si legge: «Di avviso diverso sonostati, invece, i traduttori dell’opera omnia del Damiani,i quali rendono il passo con una versione più neutra,che esclude ogni riferimento a effettive vicendepolitiche riminesi: "grazie a lui si rafforzò la pace escomparvero le minacce di guerra"»37. Non si tratta, inverità, di offrire versioni più pronunciate o neutre deltesto in questione, ma soltanto di comprendere, come hogià scritto, il costrutto sintattico sottolineato daScevola Mariotti. Il verso edito da Lokranz come «perquem pax uiguit, bellica sors perimit», non può averealtra versione che quella suggerita da Mariotti stesso(«la guerra uccise colui per merito del quale fiorì lapace»), in virtù soltanto della ricordata regolasintattica dell’«antecendente pronominale» omesso.D’altro canto, non è colpa del lettore se in una stessapagina dell’Opera omnia di Pier Damiano, come abbiamovisto, il ricordo di un verso dell’Eneide ha un doppioerrore nel rimando al testo e nella citazione testuale(per cui, come si è visto, «gentis» diventa «genti»).Non è certo colpa della vista del Montanari a cuisfuggono i contorni. Errare humanum est, sed perseverare… Esoprattutto non sta bene perseverare quando di tratta diuna storia della Chiesa. O forse, proprio per questo, ilMaligno meglio si cela tra le pagine dei relativi libri?(Viene purtroppo in mente l’«Agnosco stilum…» di PaoloSarpi.)Ritorniamo al discorso sulla donazione del 1069 da partedi Pietro di Benno al monastero di San Gregorio inConca. Si è già ricordato che nel 1070 Pier Damiano donaal vescovo di Rimini il monastero stesso. A proposito diquesto atto, nel cit. saggio del 1999 leggiamo che «nonè facile capire» il gesto di Pier Damiano38. La"risposta", l’autore del saggio ce la dà in un altro suo

37 Cfr. p. 327 di Poesie e preghiere.38 D’ACUNTO, I laici nella Chiesa…, cit., p. 375.

lavoro39 del 2002, ora raccolto in un volume (2007) moltoimportante ai fini anche del discorso su Benno. Questa"risposta" si può sintetizzare con un passo in cui siricorda la ferma opinione di Pier Damiano, secondo cui«le proprietà delle chiese servono per il sostentamentodei poveri e dei deboli, compito essenziale dell’ufficiovescovile»40. Poco dopo leggiamo ancora il passofondamentale per comprendere il gesto damianeo del 1070:«il vescovo compare come il destinatario delle donazionidei fedeli»41. Tutta l’analisi condotta nel saggio del2002, parte da documenti damianei anteriori allo stesso1070. Quindi i conti tornano perfettamente per quantoriguarda l’atto di trasferimento della donazionericevuta nel 1069, al Vescovo di Rimini l’annosuccessivo.Nel saggio del 2002 non si parla di Rimini, come invecelo stesso autore deve fare nel cit. secondo volume della«Storia della Chiesa» di questa città (2012). Merita oradi esser citato un passo fondamentale nel nostrodiscorso: Rimini era «oggetto di una costante attenzioneda parte del gruppo riformatore romano, che aveva unodei suoi elementi di spicco in Pier Damiani, il qualecoinvolse i vescovi della Romagna nel vasto movimento diriforma propugnato dall’imperatore Enrico III»42. Aquesto punto, tralasciando i precisi riferimenti allasituazione ecclesiale di Rimini che non rientra nelnostro discorso, va detto che è introdotto un importanterichiamo a «Bennone di Vitaliano», cioè al nostro Benno,definito «capostipite di un’importante famiglia divassalli episcopali, dotata di ingenti patrimoni acavaliere tra la città e il contado»43. Si cita poi anchePietro di Benno per concludere: «Siamo perciò di frontea personaggi di primo piano nella vita riminese, incontatto strettissimo con persone del calibro di PierDamiani, consigliere di papi e imperatori e scrittoretra i massimi del Medioevo europeo. L’epitaffio diBennone è il frutto del legame affatto particolare cheraccordava le élites cittadine e il Regno italico,concretizzandosi in peculiari modelli culturali e dicomportamenti ispirati alla classicità e sintetizzati inuna tavola di valori al contempo civili e religiosi»44.

39 D’ACUNTO, L’importanza di chiamarsi Urbano, ora in «L’età dell’obbedienza.Papato, Impero e poteri locali nel secolo XI», Napoli 2007, qui cfr.nella Nota editoriale, p. 444.

40 Ibidem, p. 183.41 Ibidem, p. 184.42 D’ACUNTO, Rimini durante la lotta per le investiture, «Storia della Chiesariminese, II, Dalla lotta per le investiture ai primi anni delCinquecento», Rimini 2011, p. 54.

43 Ibidem, p. 55.44 Ibidem, p. 56.

Importante è anche la conclusione su Pier Damiano e lasua attività che potremmo definire «politica», per lasua «intenzione di estendere la sfera d’influenza delpapato in una zona di confine tra l’area romana e quellaravennate, nel quadro di una generale ristrutturazionedella geografia politica ed ecclesiastica della regionenordadriatica»45. Qui c’imbattiamo in un passo in cuil’atto del 1070 (con cui Pier Damiano pone la donazionedel 1069 sotto la protezione del Vescovo di Rimini,concedendo a lui ed ai suoi successori la pienaproprietà del monastero di San Gregorio in Conca), èdefinito come una «apparente schizofrenia» che «puòforse spiegarsi con l’intenzione del Damiani dirafforzare il vescovo di Rimini, fedele ad AlessandroII, in contrapposizione alla filoimperiale Ravenna».Tutto il contesto qui descritto segnala quelle tensionidi cui mi occupavo nel 1983 nella breve notagiornalistica, concludendo che la morte violenta diBenno potrebbe inserirsi nella serie di azioni cheprecedono la nascita del Comune, e testimonierebbero unaserie di fermenti che coinvolsero la Chiesa, l’impero ela realtà cittadina. Stando così le cose, non vedo dovesia il motivo di scandalo in quanto da me scritto nel1983 e brevemente riassunto nella nota all’opera diAntonio Bianchi. L’accusa del 2012 di non aver precisatoa quali lotte precomunali mi riferissi, meravigliasoprattutto perché tutto il lungo capitolo sulla «Storiadella Chiesa riminese» nell’XI sec. (pp. 49-66), leillustra con estrema chiarezza, in un capitolo che ènaturaliter dedicato alla «lotta per le investiture». Nonvolendo apparire come il portatore di una provocazionepuramente accademica, alla quale non ho alcun titolo,cedo la parola a chi ha sufficiente autorità per essereascoltato. E riassumo il quadro storico dell’Italia deldecimo secolo e della crisi della Chiesa, attraverso lalettura di Ludovico Antonio Muratori46 .

La lezione dei fatti

Premetto alla breve raccolta di citazioni da Muratori,quanto Carlo M. Cipolla nella sua Storia economica dell’Europapre-industriale osserva sul piano metodologico47: «le"spiegazioni" facili di complessi fenomeni storiciaffascinano la gente, proprio perché sono facili equindi "comode"». Alla «spiegazione» che piace, Cipolla

45 Ibidem, pp. 57-58.46 Si cita dal tomo VI degli Annali, Gravier, Napoli 1773.47 C. M. CIPOLLA, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Bologna 2009, p.215. Già nel mio saggio L’Europa dei Malatesti, apparso nel n. 9/2010 diquesti «Quaderni dell’Accademia Fanestre», ho inserito il medesimorichiamo, pp. 47-48.

contrappone quella «problematica» che invece irrita:«Eppure la "spiegazione" è il più delle volteirraggiungibile, mentre la "problematica" resta soventela sola cosa valida».Ciò detto, mi si permetta di ricordare che è moltocomodo tradurre a proprio piacimento un verso latino,senza rispettarne la struttura sintattica. È moltocomodo pure accantonare un suggerimento autorevole comequello di Scevola Mariotti, per semplificare il discorsoe chiuderlo nella cassaforte delle verità passate ingiudicato. Ma c’è sempre un giudice a Berlino cheinsinua il dubbio e mette a confronto testi e contesti.E che può suggerire come, dietro l’accettazione delleversioni semplici con le spiegazioni facili, ci siamolto gusto di parlare ex cathedra e soprattutto lavolontà di sottrarsi a quel sano principio etico emetodologico ben sintetizzato da Alberto Meloni: laStoria dev’essere «aperta», al «momento certosino dellacompetenza» deve seguire «quello della verificapubblica»48. La parola adesso passa a Ludovico AntonioMuratori.Considerazioni generali sul periodo storico di cui cistiamo occupando. «Non abbiamo Storia d’Italia, che cidia lume degli avvenimenti d’allora» (p. 42); «Restaforte allo scuro la Storia Italiana, e Romana in questitempi» (p. 135); «secondo l’abuso comune di questi tempicorrotti, i Re, i Principi, e i Vescovi vendevano, cioèconferivano le Chiese per danari» (p. 142); «lacorruzion del Secolo era allora grande, ed essoImperadore pieno d’ottimi sentimenti, altro nondesiderava, che il ben della Chiesa» (p. 144). CircaPier Damiano («grande ornamento del secolo», p. 30),Muratori osserva che giunse «a negare a i Papi ildiritto di far guerra" (p. 165). Una considerazione sulclima morale (la malvagità «allora più che mai era invoga»), introduce ad un prezioso consiglio valido ancoroggi: «sta a i prudenti Lettori camminar qui con granriguardo, prestando solamente fede a ciò, che si truovapatentemente avverato dalla misera costituzion d’allora»(p. 198). Muratori poche righe prima ha osservato che «itempi di guerra son tempi di bugie» e che allora, nellediscordie fra il sacerdozio e l’Impero, si lascia largabriglia «alla bugia, alla satira, alla calunnia».Le discordie fra il sacerdozio e l’Impero sonoannunciate all’inizio del tomo con la felice formula di«un’Iliade di gravi scandali, e sconcerti non meno inItalia, che in Germania» (p. 1). Poco dopo incontriamoun accenno che c’interessa. Muratori osserva che certiracconti di Pier Damiano («che neppure era nato in que’tempi») non sono «sicuri», come si ricava dal confronto48 A. MELLONI, Il diavolo non abita la storia. E non ci servono i tribunali, «Corrieredella Sera», anno 103, n. 26, 01.02.2005, p. 31.

con testimonianze del tempo. In un passaggio successivo(p. 5), Muratori ricorda ancora Pier Damiano,definendolo «Scrittore, che creduto più degli altriimbottì l’Opere sue di visioni, sogni, e miracolistrani». Pier Damiano ritorna per la notizia della mortedi Ottone III (p. 6). Muratori accusa Pier Damiano diaver inventato la cessione del Ducato di Spoleto e dellaMarca di Camerino da parte di Ottone, precisando cheSpoleto e Camerino erano in mano di Ugo Marchese diToscana.Gli eventi di inizio secolo, premessa delle situazioniin cui opera Benno, sono riassunti così da Muratori:morto Ottone III, «Augusto senza successione, iPrincipi, Vescovi ed altri Primati d’Italia furono ingran moto» (p. 11). È eletto re d’Italia Arduino red’Ivrea che «diede principio al suo governo conconfermare i Privilegj di varie Chiese» (p. 12).L’Arcivescovo ravennate con i popoli dell’Esarcato nonriconosce Arduino, giurando fedeltà «ad Arrigo, come asuo Signore»: «Dal che resta sempre più avverato, che inque’ tempi l’Esarcato di Ravenna era parte del Regnod’Italia, e non ne godevano i Papi alcun temporaledominio» (p. 22). Più avanti leggiamo che «da gran tempol’Esarcato era divenuto parte del Regno d’Italia, forseper qualche convenzione seguita fra la santa Sede, egl’Imperadori» (p. 58). Al proposito Muratori cita PierDamiano dalla Vita S. Mauri, di «circa l’anno 1060»: «Eotempore quum adhum Romana Ecclesia spatiosius multo quamnunc jura protenderet, et inter cetera Caesenate Oppodumpossideret etc.» («Adunque a’ tempi del Damiano Cesenanon apparteneva più al Dominio temporale de’ Papi»).Arrigo nel 1014 raduna a Ravenna un Concilio pernominare arcivescovo il fratello Arnaldo o Arnoldo,fatto poi consacrare dal papa Benedetto VIII. Il 14 (o24) febbraio si fa solenne coronazione imperiale inRoma, di Arrigo e Cunegonda sua moglie (p. 44). Nel 1016«in Lombardia si cominciano a raunare eserciti, e a farguerra, senza dipendere dall’imperatore» (p. 52). InLombardia signoreggia, specialmente in Mantova, ilmarchese Bonifazio, padre della Contessa Matilda (pp.53-54). Bonifazio è marito di Richilda, figliola diGiselberto, Conte del sacro Palazzo in Italia (p. 55).1024: muoiono l’imperatore Arrigo ed il papa BenedettoVIII (p. 75). Rivolta a Pavia contro la memoria diArrigo: è atterrato il palazzo regale, ridotto ad unmonte di pietre (p. 77). Il negoziato «per iscuotere ilgiogo tedesco» inizia nel 1025 e termina nel 1026.L’Arcivescovo di Milano Eriberto «andò in Germania adarsi al Re Corrado, e a promettergli la Corona delRegno Italico, ogni volta ch’egli calasse in Italia» (p.80). Arrigo è incoronato re d’Italia (p. 82).

1042: «Bolliva più che mai fra i Nobili usciti diMilano, e il basso Popolo, restato padrone della Città,l’odio, la discordia, e la guerra» (p. 128). 1044: «Pertre anni [...] durò il blocco di Milano, già intrapresoda i nobili Fuoriusciti contro la Plebe di quella Città»(p. 132). Per lo stesso anno 1044, leggiamoun’annotazione fondamentale relativa alla crisireligiosa: «Patì una fiera confusione, e burrasca inquell’anno la Chiesa Romana. Erano arrivate al colmo ledisonestà, le ruberie, e gli ammazzamenti di PapaBenedetto IX» (p. 134). Fu eletto un antipapa, SilvestroIII, cacciato dopo tre mesi dallo stesso Benedetto chepoi rinunzia e vende simoniacamente il pontificato aGregorio VI: «In questo miserabile stato cadde allora lasanta Chiesa Romana, non per la prepotenza di Principealcuno, ma per la disunione, ed avarizia del PopoloRomano, che avendo mano nell’elezion de i Papi,facilmente sturbava chiunque del Clero serbava il timoredi Dio, ed avrebbe forse saputo canonicamente provvedereal bisogno della santa Sede». 1045: «Le oblazioni, chesi facevano alle Chiese Romane degli Apostoli, eMartiri, venivano tosto rapite da i potenti scellerati»(p. 135), ed a nulla servirono le scomuniche (p. 136),per cui il pontefice passa dalle parole ai fatti: «Unìdunque fanti, e cavalli armati, che colle spadesterminarono gran parte di quella mala razza, e per talvia ricuperò molti Poderi, e Città tolte alla ChiesaRomana».1046: «Widgero eletto, e non consecrato Arcivescovo diRavenna, dopo aver per due anni in circa occupata quellaChiesa, e commesse varie crudeltà, e cose improprie,chiamato in Germania dal Re Arrigo, fu da esso deposto»(pp. 138-139). Arrigo raduna a Sutri «un gran Conciliodi Vescovi, e v’invitò anche Papa Gregorio». In questo«Concilio fu esaminata la causa di tutti e tre i Papi,cioè di Benedetto IX, di Silvestro III e di Gregorio VIe trovato, che con male arti, e colla simonia aveanoconseguito il Pontificato, furono tutti deposti, o perdir meglio, dichiarato nullo, ed illegittimo il loroPapato» (p. 139). Muratori richiama Pier Damiano per gliencomi da lui dati «per questo allo stesso ImperadoreArrigo» (p. 140).La crisi morale derivante dalla «infelice condizionedella Chiesa» in questi anni, è ben descritta da MarcoBattaglini, Vescovo di Nocera, nella sua Storia dei Concili49,49 Citiamo dal tomo II della V ed., Poletti, Venezia 1714 (la I ed. èdel 1685). Marco Battaglini, vescovo di Nocera e Cesena, nasce inRomagna a San Mauro il 25 marzo 1643, e vi muore il 19 settembre1717. Una sua prima biografia è curata da Giovanni Bianchi (IanoPlanco, 1693-1775), illustre medico e studioso di Rimini, per i«Memorabilia» di Giovanni Lami, Firenze 1747, pp. 121-132: cfr. A.MONTANARI, Rapporti culturali e circolazione libraria tra Venezia e Rimini nel XVIII secolo,«Ravenna studi e ricerche», X/2 (2003), pp. 229-259, p. 252. Per

nel passo in cui ricorda (p. 71) che un «semplice Prete»di nome Graziano mise d’accordo Benedetto, Silvestro eGregorio per «deporre l’apparenza del Papato»,suddividendo tra loro grosse somme di denaro e «lerendite, che opulentissime godea la Santa Sede inInghilterra». Aggiunge Battaglini: «Seguìta questaconcordia, si rivoltarono i Popoli, ed il Clero adaltamente encomiarne l’Artefice» sino a farlo eleggerecome nuovo papa con il nome di Gregorio VI (pp. 71-72).Ma non «si posarono in pace le cose, ma fluttuanti, etorbide andarono sempre ondeggiando» (p. 72). Comeandarono le cose lo spiega Muratori: «Fu poscia condottoin Germania il deposto Gregorio VI e quivi terminò isuoi giorni, non si sa bene in qual Città, o Monistero.[...] Dopo il Concilio di Sutri entrò in Roma il ReArrigo, e raunatosi tutto il Clero, e Popolo Romanonella Basilica Vaticana co’ Vescovi stati al suddettoConcilio, restò eletto, per consentimento di tutti,Sommo Pontefice Suidgero Vescovo di Bamberga,personaggio cospicuo per la sua Pietà e Letteratura, ilquale con gran ripugnanza accettò e prese il nome diClemente II. E ciò, perché non si trovò nel CleroRomano, chi fosse creduto degno di sì sublime ministero»(pp. 140-141). La frase conclusiva di Muratori è trattada due testimoni del tempo, di cui uno è Pier Damiano,«che sulle prime, per non sapere il mercato fatto,cotanto lodò esso Gregorio, poscia di lui scrisse» chefu deposto «quia Venalitas intervenerat»50.Natale 1046: consacrazione del Papa e ed acclamazione diArrigo imperatore dei Romani, secondo di questo nome(mentre era terzo fra i Re di Germania), alla presenzadella consorte Agnese che riceve l’Imperial Corona dalnovello Pontefice (p. 141). Nello stesso 1046 BeatriceDuchessa di Toscana partorisce a Bonifazio suo consortela Contessa Matilda, «i cui fatti la renderono poicelebre nella Storia d’Italia» (p. 143).1047: Muratori ricorda che contro il vizio dellasimonia, papa Clemente II celebra un Concilio in Roma«di cui fa menzione S. Pier Damiano, ma gli Atti sonoperiti» (pp. 143-144). Pier Damiano esalta Arrigoimperatore «per la cura, ch’egli si prese di estirpar laSimonia ne i Regni a lui consegnati da Dio, emassimamente in Italia, con recedere affatto dal pessimoesempio de’ suoi Predecessori». Allo scopo (e dato chein passato «per amore della pecunia» erano stateconculcate le leggi divine ed ecclesiastiche, con tanti

altre notizie, cfr. C. TONINI, La Coltura letteraria e scientifica in Rimini,Danesi, Rimini, 1884, II, pp. 114-123.

50 Questo il testo integrale di Damiano che si legge in Muratori:«Super quibus, praesente Henrico Imperatore, quum disceptaretpostmodum Synodale Concilium, quia Venalitas intervenerat, depositusest».

scandali e la rovina materiale della Chiesa ridotta intanta povertà»), l’imperatore «obbligò il Clero e Popolodi Roma, che non potesse eleggere e consecrar Papaalcuno senza l’approvazione sua»51. Osserva Muratori: «lacorruzion del Secolo era allora grande, ed essoImperadore pieno d’ottimi sentimenti, altro nondesiderava, che il ben della Chiesa» (p. 144). In quel«Concilio insorse nuova lite di precedenza fra gliArcivescovi di Ravenna, e di Milano, e il Patriarcad’Aquileia; e la sentenza fu data in favore delRavennate», secondo quanto risulta da una bolla diClemente II, «la qual veramente ha tutta l’apparenza dinon essere finta», pur se senza data. Altre fontiattribuiscono a Milano la vittoria nella questione (p.145). Marco Battaglini spiega «perché fu più degna laChiesa Ravennate della Milanese», partendo dalla Storia diRavenna di Girolamo Rossi: la «Chiesa Ravennate […] mairiconobbe alcuna soggezione, che la suprema di Roma52»(p. 72).1047. Clemente II muore, si narra «per poculum veneno»di mano di Benedetto IX (p. 147). «Ora il già depostoBenedetto IX Papa, udita che ebbe la morte di Clemente,col mezzo de’ suoi parenti potentissimi in Roma, tantosi adoperò, che per la terza volta tornò ad occupare laSedia di S. Pietro» (p. 148). E la tenne per otto mesi edieci giorni. Nel 1048, a luglio, è eletto papa ilvescovo di Bressanone Poppone, con il nome di Damaso II(p. 149). Sopravvive per soli ventitré giorni (p. 150).Gli succede Leone IX, Brunone Vescovo di Tullo, parentedell’Imperatore. Fu titubante, timoroso ed incerto, poichiese anche l’approvazione del Clero e del Popolo diRoma. Alla fine accettò, e s’incamminò verso Roma incompagnia del monaco Ildebrando, futuro Gregorio VII. ARoma è applaudito ed eletto dal Clero e dal PopoloRomano (p. 151). Convoca un gran Concilio di Vescovi aRoma, poi ne tiene un altro a Pavia. Quindi si recadall’imperatore in Sassonia «per informarlo dello statod’Italia, e de’ bisogni della Chiesa». Altri Concilitiene a Rems e a Magonza, qui presente l’imperatore (p.152). A Natale ritorna in Italia, a Verona. Dopo averscomunicato, su istanza dell’imperatore, due ribelli,Gotifredo di Lorena e Baldovino di Fiandra.1050. Il papa depone due Arcivescovi convinti disimonia. Tra maggio e settembre ci sono due Concili, uno51 Segue al proposito una citazione da Pier Damiano (p. 144): «Etquoniam ipse anteriorum tenere regulam noluit, ut aeterni Regispraecepta servaret, hoc sibi non ingrata divina dispensatio contulit,quod plerisque decessoribus suis eatenus non concessit: ut videlicetas ejus nutum sancta Romana Ecclesia nunc ordinetur, ac praeter ejusauctoritatem Apostolicae Sedi nemo prorsus eligat Sacerdotem».

52 Cfr. H. RUBEI, Historiarum Ravennatum Libri Decem, Venetiis MDLXXII, «Quodnequaquam Ravennae, nulli, preterquam Romane, umquam subiecte,contigit […]», p. 240.

a Roma nella basilica lateranense, l’altro a Vercelli:oggetto, le perverse dottrine di Berengario Franzese edel fratello Lanfranco, nato in Italia a Pavia e priorein Normandia e poi Arcivescovo santo di Canterburì inInghilterra (p. 153). Sul Concilio di Vercelli,Battaglini riporta che Berengario («grand’Avolodell’empietà de’ moderni Eretici Sagramentarii», p. 75),fu «come contumace scomunicato, e come empii detestati idi lui seguaci» (p. 76). Berengario sosteneva che«l’Eucarestia non conteneva altrimente la verità, erealtà del Corpo del Signore, ma che era una semplicefigura del medesimo»; voleva che i fanciulli nondovessero essere battezzati «innanzi all’uso dellaRagione»; «dannava il Matrimonio» e «chiamava la ChiesaRomana una Conventicola di Satanasso» (p. 75).Per il 1051 in Muratori leggiamo: «l’imperatore rimisein grazia del Papa Unfredo Arcivescovo di Ravenna» (p.155). Era stato sospeso l’anno prima per una «qualchecontesa» sorta tra lui («spalleggiato da alcuni dellaCorte imperiale») ed il Papa Leone (p. 153). SecondoWiberto (Vita Leonis IX, l. 2, c. 7), Unfredo fuscomunicato. Prosegue Muratori: «Unfredo fu chiamato daArrigo ad Augusta, e dopo aver restituito al Papa alcunibeni ingiustamente occupati, fu forzato a chiederel’assoluzion delle Censure. […] Nel levarsi Unfredo inpiedi, fu osservato, che quasi burlandosi del Papa, etuttavia gonfio di superbia, sogghignava. Vennero lelagrime a gli occhi al buon Pontefice, e con voce bassadisse ad alcuni, che gli stavano intorno. ‘Oimè, questomiserabile è morto’. Poco stette Unfredo a caderemalato, ed appena ricondotto in Italia, diede fine allavita e all’alterigia sua» (p. 155).1052: Arrigo, vicecancelliere dell’imperatore, èpromosso all’Arcivescovado di Ravenna (p. 158). QuestoArcivescovo Enrico sarà consacrato dal Papa Leone IX, aRimini il 14 marzo 1053, come vedremo infra. Ad Arrigodedica il suo libro o sia opuscolo Gratissimus, PierDamiano, nato nella stessa città di Ravenna, «e granluminare di santità e Letteratura per questi tempi». (Sualtro tema, 1053: Pier Damiano giunse «a negare a i Papiil diritto di far guerra», p. 165.) 1054, nozze fraGotifredo o Gofredo Duca di Lorena con Beatrice vedovadi Bonifazio, marchese e duca di Toscana (p. 168). Suofiglio Gotifredo il Gobbo sposa Matilda figlia diBeatrice, «allora di età assai tenera». Contro le nozzedi Beatrice, da Roma e da altre parti d’Italia siprotesta per «l’esorbitante accrescimento di potenza inItalia» di Gottifredo (pag. 170).1055. È scelto il nuovo papa, Gebeardo che era Vescovodi Aichster, «Prelato di gran prudenza e facoltoso»,assai ascoltato dall’imperatore, dopo un anno di sedevacante (pp. 168-169). L’imperatore per sistemare la

faccenda scende in Italia con la sua armata. Gottifredomanda la moglie Beatrice a colloquio con l’imperatore,di cui lei era parente stretta (p. 170). Nello stesso1055 Beatrice di Lorena, l’anno dopo il matrimonio conGoffredo il Barbuto, è rapita dall’imperatore EnricoIII, disceso in Italia per sottomettere Goffredo,considerato un temibile rivale nella penisola. Beatriceè incarcerata a Lucca.1055: a Firenze si tiene un altro Concilio. Muratoriricorda che è ancora condannata «l’eresia di Berengario,e la Simonia, e vietata l’alienazione dei beniEcclesiastici» (p. 171). Battaglini osserva: nuovamentevi fu condannata l’eresia di Berengario, «affine dimostrare al medesimo Enrico, che ancora il nuovo PapaVittore II detestava quella Dottrina, e che non eraperseguitata per passione del defunto Pontefice Leone,che l’havea dannata, e che nuovamente dannavasi conassistenza, ed approvazione del Principe Secolare» (p.76). Nello stesso anno, narra Muratori, si tenta diavvelenare il Papa. La colpa è attribuita, visti i suoiprecedenti, a Benedetto IX che «già deposto era tuttaviavivente» (p. 172). Nello stesso 1055 muore l’imperatoreArrigo III. Suo figlio Arrigo IV ha soltanto sei annid’età. La «morte troppo frettolosa di Arrigo III» e laminorità del suo figliolo «furono il principio d’immensimalanni sì in Italia, che in Germania, e di un orribilesconvolgimento di cose, con essersi spezialmente scioltoil freno alle ingiustizie, alle ribellioni, alle guerrecivili». Comincia un «periodo di avvenimenti, che feceroa poco a poco mutar faccia anche all’Italia» (p. 176).1057. Liberazione di Beatrice (p. 177). Lettera di PierDamiano al Papa, in cui si fa parlar Gesù Cristo: «Egote quasi Patrem Imperatoris esse constitui...». Sulruolo politico del papa, Muratori osserva, in base ad undocumento pubblicato dall’Ughelli, «ch’esso Papa avea ilgoverno o di tutta l’Italia, o almeno della Marca diFermo, e del Ducato di Spoleti» (p. 178). Papa VittoreII muore il 28 giugno. (p. 179). Suo successore è quelCardinal Federigo (fratello del Duca Goffredo), StefanoIX, definito da Muratori «dotato di religiosaperfezione, e di singolari virtù» (p. 178). Federigo nel1055 è diventato monaco a Monte Cassino. «Applicossitosto questo zelantissimo Papa alla riforma dellaDisciplina Ecclesiastica, con tenere più d’un Concilio,dove condannò i maritaggi de’ Preti Latini, le nozzeillecite, le simonie, ed altri pubblici, e comunidisordini di que’ corrotti secoli» (p. 179). In questoanno «il nuovo Papa Stefano, ben conoscente della raravirtù, e letteratura di Pier Damiano, dall’eremo ilchiamò a Roma, e l’alzò al grado di Cardinale, e diVescovo di Ostia. Ripugnò forte ad accettar questedignità il santo Monaco, con resistere finché poté alle

preghiere d’esso Papa, e di molti Vescovi; mal’intimazione della scomunica, se non ubbidiva, quellafu, che in fino l’espugnò» (p. 180). Stefano IX scompareil 29 marzo 1058 (p. 181).Nobili romani, «guadagnata con danari buona parte delClero, e Popolo», con un tumulto armato fanno eleggerepapa Benedetto X, Giovanni Vescovo di Velletri, dettoMincio da cui l’odierno Minchione (p. 182). «Era uomoprivo affatto di lettere per attestato di S. PierDamiano». Muratori la definisce una «sregolata elezione,contraria a i sacri Canoni, e fatta anche senza ilconsentimento della Corte Germanica». All’elezione «contutto vigore si oppose il suddetto S. Pier DamianoVescovo d’Ostia con altri Cardinali. Protestarono,intimarono scomuniche; ma indarno tutto. Furono essiastretti a fuggirsene, e a nascondersi per timor dellavita; e il Popolo, giacché non si potea avere il VescovoOstiense, a cui apparteneva la consecrazion del nuovoPontefice, per forza obbligò l’Arciprete d’Ostia, uomoignorante, a consecrar questo illegittimo, e simoniacoPapa: cosa anch’essa affatto ripugnante alla disciplinadella Chiesa» (p. 182). Contro il nuovo Papa parte daRoma un'ambasceria all'imperatore, invocando un suointervento. Come succede al Concilio di Siena dove sielegge il vescovo di Firenze Gherardo (Niccolò II), dinascita Borgognone, «personaggio per senno, e per ottimicostumi degno di sì sublime dignità» (pp. 182-183).Il Papa simoniaco è cacciato l’anno appresso (1059).Sotto Niccolò II, con il concilio (p. 184) di 113vescovi nella Basilica Lateranense a Roma, è stabilitoche l'elezione dei pontefici romani deve farsi «in Romaprincipalmente da' cardinali» e poi dal resto del Cleroe dal Popolo, «salvo debito honore, et reverentia»all'imperatore. Ovvero prima della sua consacrazione cidev'essere l’approvazione del regnante imperatore (p.185).Il morbo del concubinato non riguarda soltanto Milano,ma tutta l’Italia e la stessa Roma (pp. 188-189). Ilpapa manda a Milano Pier Damiano, «santo ecelebratissimo Cardinale» assieme al vescovo di Lucca,Anselmo. «Andarono essi anche per isradicare il viziodella simonia, di cui era patentemente reol’Arcivescovo, giacché egli a niuno conferiva gli OrdiniEcclesiastici senza farsi pagare» (p. 189).L’arcivescovo di Milano confessò le sue colpe, allafine, «pure per la saviezza, ed eloquenza del Damiano».Ne parla lo stesso Damiano in una sua relazione. «MaPier Damiano in ricompensa delle sue fatiche fuspogliato dal Papa de’ suoi Benefizj, e ricevette altriaffronti, per li quali modestamente dimandò licenza dirinunziare al suo Vescovato d’Ostia» (p. 190).

1061, muore il papa Niccolò II nella sua Firenze versoil 22 luglio (p. 192). A quella scomparsa tengono dietro«gravissimi sconcerti, che furono preludj anche d’altremaggiori calamità». «Pontefice benemerito della SantaSede, e degno di maggior vita», lo chiama Muratori. Romaera divisa: c’era chi voleva rispettare le prerogative(«o pretese, o accordate») del re di Germania Arrigo. Echi «escludeva ogni dipendenza da lui», come«l’intrepido Cardinal Ildebrando». Alla fine è elettoAnselmo da Baggio, milanese, Vescovo di Lucca, «uomo digran bontà, e zelo ecclesiastico», con il nome diAlessandro II, «senza voler’aspettare consenso alcunodal Re Arrigo» (p. 193). Favorevole a questa procedurad’indipendenza è Gotifredo Duca di Toscana, «Principeallora pontentissimo in Italia». Dalla parte di Romacontro l’ingerenza tedesca, ci sono i Normanni «cheaveano giurato fedeltà alla Sede Apostolica» (p. 194).La corte germanica parla di «affronto fatto al Re». Mail decreto di Papa Niccolò tratta di un Imperatorecoronato che doveva approvare il Papa eletto, mentreArrigo era solamente Re d’Italia, anche se talora sidefinisce «Romanorum Rex».Nel frattempo, i Vescovi lombardi si erano adoperati peravere un Papa «di tempra meno rigorosa de’ precedentizelantissimi», e che «sapesse un po’ più compatire lelor simonie, ed incontinenze», ovvero «che il Papa nonsi dovea prendere nisi ex Paradiso Italiae, cioè dallaLombardia». In Germania essi, tramite una lorodelegazione, riescono a far eleggere un antipapa, ilvescovo di Parma Cadaloo, «uomo ricco di facoltà, ma piùdi vizj»: «Ne fecero perciò gran festa tutt’i simoniaci,e concubinarj di Lombardia» (p. 194).1062: «Null’altro avea fatto nel verno di quest’annol’Antipapa Cadaloo, che ammassar gente armata, e denaroper passare a Roma, con disegno di cacciarne illegittimo Successor di S. Pietro, e di farsiconsacrare». Forse si fece chiamare Onorio II. Molticapitani e nobili romani si vendono a lui (p. 196). «Sivenne dunque ad una battaglia, che riuscì sanguinosa, efinì colla peggio della fazione del legittimo Papa». Ilquale però riceve il soccorso di «numerose squadre»inviate da Gotifredo Duca di Toscana, che rovesciaronole sorti dello scontro: l’antipapa sconfitto è lasciatolibero di tornarsene «colla testa bassa a Parma». PierDamiano sospetta «che il Duca Gotifredo non operasse contutta lealtà, ed onoratezza o in questa, o nelleseguenti congiunture» (p. 197).Circa il re Arrigo IV, leggiamo in Muratori che ilpotere era in effetti esercitato da sua madre,l’imperatrice Agnese, donna savia e pia, «la qualeregolava gli affari unicamente col consiglio di ArrigoVescovo di Augusta»: «Era savia, era pia Principessa

Agnese: tuttavia non poté schivar la maldicenza deglialtri Principi invidiosi della fortuna del VescovoAugustano, perché sparsero voce d’illecita familiaritàfra lei, e quel Prelato» (p. 197). Per cui ad Agnese ètolto il giovinetto Arrigo, passato sotto tutela diAnnone, Arcivescovo di Colonia, «col consenso di moltialtri Principi» (pp. 197-198). La malvagità «allora piùche mai era in voga»: nelle «discordie fra ilsacerdozio, e l’Imperio» si lasciava larga briglia «allabugia, alla satira, alla calunnia. Le più nere iniquitàs’inventarono, e sparsero de i Papi, de’ Cardinali, de’Vescovi da chi era loro contrario, ed altrevicendevolmente si spacciarono da i mal’affetti contradi Arrigo VI e di tutti i suoi aderenti. Però sta a iprudenti Lettori camminar qui con gran riguardo,prestando solamente fede a ciò, che si truovapatentemente avverato dalla misera costituzion d’allora»(p. 198). «La vendita de’ Vescovati, delle Abbazie, edell’altre Chiese, cioè la simonia, era un mercatoordinario di que’ sì sconcertati tempi, per colpaspezialmente della Corte Regale di Germania, in cui piùpotea l’amore dell’oro, che della religione, e tropporegnava l’abuso, non però nato allora, di eguagliar lospirituale al temporale». (Arrigo ha 13 anni.)Per testimonianza di Pier Damiano, «non tardòl’Arcivescovo di Colonia Annone a dare, per quanto erain sua mano, la pace alla Chiesa», deponendo al Conciliodi Osbor l’Antipapa (p. 199). «Avea precedentemente ilmedesimo Pier Damiano scritta una lettera di fuoco alpredetto Cadaloo, chiudendola con alcuni versi, edicendo in fine: "Diligenter igitur intende, quod dico:/Fumea vita volat, mors improvisa propinquat, / Imminetexpleti paepes tibi terminus aevi. / Non ego te fallo:capto morieris in anno"». Sopravvissuto Cadaloo allaprevisione infausta, Pier Damiano «cercò uno scampo, condire, ch’egli s’era inteso della morte civile, cioèdella di lui deposizione, e non già della mortenaturale» (ib.).1063, Cadaloo ci riprova: «Ci fu sospetto, cheGottifredo Duca di Toscana segretamente il favorisse»(p. 203). Molti a Roma erano ancora per l’antipapa. Allafine si rifugia per due anni in Castel Sant’Angelo.

La lezione dei Battaglini

A questo quadro generale del secolo XI fornitoci daMuratori, dobbiamo far seguire un breve cenno sullafamiglia dei Bennoni e sul ruolo da essa svolto. Con unamodesta precisazione: Rimini e la Romagna vissero, più omeno direttamente, le vicende e le lotte di Chiesa edImpero, a tal punto da esserne oscurata la vera e

propria storia locale, rimasta poi in balia di chi, comeLuigi Tonini (1807-1874), professava di non volernarrare episodi di storia nazionale, sui quali poi sidilungava per pagine e pagine. Al contrario, FrancescoGaetano Battaglini (1753-1810) ebbe lucidamente presenteil significato del rapporto tra le «storie particolaridelle città» e quella nazionale, osservando che le prime«ove fossero ben conosciute, ci darebbero pure unacognizione chiarissima della Storia della nazione. E perquesto ho io voluto notarvi della nostra Storia Riminesealcuna cosa, che facilmente vi sarà stata sconosciutasinora»53. Nelle pagine di Francesco Gaetano Battaglini(che lo stesso Luigi Tonini trascurò) possiamoincontrare utilissimi suggerimenti che chiariscono moltiaspetti dell’argomento. E che sembrano proprio esserefrutto della lezione muratoriana.Il primo accenno ai personaggi di cui stiamo parlando èin Cesare Clementini, il quale avverte «che anche dopole ruine dell’Italia erano qui molti personaggi, eSignori Titolati, e in particolare viveva con moltosplendore Gisaltrude54», la quale nel 1027 vende «adArmingarda, Figliuola già di Tebaldo, moglie di Benno ilCastello di Monte Rotondo nel territorio di Urbino contutte le sue pertinenze, la quale Armingarda poi lo donòal Monastero di San Gregorio»55. Assieme al Castello diMonte Rotondo, vende anche il titolo feudale connesso.Il padre di Gisaltrude è detto «signore illustre» daAngelo Battaglini56.Armingarda è madre del ricordato «Petrus de Benno», suoterzo figlio. Benno è forse diminutivo di Benedetto. Suopadre si chiamava Vitaliano Bennio come risultata dalricordato atto del 1014 (in copia del secolo XIII), dovesi legge57 che l’imperatore era Enrico «jubente in Italiaanno primo»: Enrico II è incoronato imperatore a Roma il14 febbraio 1014. Da Benno ed Armigarda nasconoTebaldino, Bennolino e Pietro Bennone. Nel documento del15 ottobre 1044 si legge che Benno figlio di VitalianoBennio cede al figlio Pietro i diritti diamministrazione, riservandosi quelli di proprietà,sull’intero castello di Morciano e su altri possessi.Benno ripete un’operazione già compiuta in precedenza afavore degli altri due figli, Tebaldino e Bennolino.

53 F. G. BATTAGLINI, Memorie istoriche di Rimino, cit., p 13.54 Gisaltrude è figlia del fu Pietro e vedova di Falcuino. Cfr. L.TONINI, II cit., p. 538, nota 1: il castello è detto di «Monterotundo» ed è «colle Chiese di S. Angelo e di Santa Felicita».

55 Raccolto istorico. Appendice. II vol. p. 6 (è l’ultima pagina del volume).56 A. BATTAGLINI, Saggio di rime, cit., p. 16.57 L. TONINI, II cit., doc. XXXXLII. pp. 508-509. Cfr. A. BATTAGLINI,

Saggio di rime, cit., p. 15 in nota. Secondo la Scheda Garampi n. 101,Biblioteca A. Gambalunga Rimini, il documento è del 1015.

Nell’atto, Benno è detto «venerabilis» comericonoscimento del prestigio goduto dal personaggio.Il documento parla anche di campi dominicati e di mansi,secondo la classica formula feudale risalente alladominazione longobardica. L’elenco dei mansi contiene inomi dei lavoranti (o affittuari), con la precisazionedelle loro attività artigianali: sono grosse famiglieche uniscono il lavoro dei campi a quello della bottega.Ciò significa che l’economia è ancora da "rivoluzionare"nella zona riminese dell’XI secolo, e che il rapportocittà-campagna vive un complesso scambio di contributi,da valutare soprattutto come conseguenza di unastruttura feudale più rigida e sacrale nelle nostreterre, per opera soprattutto dell’intervento religiosoall’interno di tale struttura.La prima apparizione pubblica di Pietro Bennone è in undocumento del 1059, la concessione di innumerevoliterre, da parte di Uberto Vescovo di Rimini ai coniugiconte Everardo e contessa Marocia58, con la precisazione«exceptis que Petrus Bennonis causa beneficii ibitenet». Il ricordo del titolo feudale fa di Bennone unpersonaggio altolocato, il cui ruolo dipendeesclusivamente da quello giocato da suo padre.Segue un documento politico del 1060, il «Placito diGottifredo Duca di Toscana» a Santa Cristina di Rimini59,che abbiamo già visto nelle pagine di Antonio Bianchi.Qui aggiungiamo che la sua presenza, in quel momento etra tante autorità, dovrebbe suggerirci qualcosa, nonsoltanto sul suo ruolo, ma pure sulla vita politicadella città di Rimini nel suo complesso. Nel 1069 ladonazione di Pietro Bennone comprende pure il palazzoposseduto a Rimini. Forse vuole ritirarsi dalla cittàverso le Marche, terra d’origine del padre e dellamadre. Si chiude una storia di famiglia, con un finaleche non possiamo non collegare alla tragica fine delpadre. Da intendersi pure come fatto simbolico di tuttoil momento storico vissuto da entrambi. I signorifeudali come il grande Gottifredo di Toscana od ilpiccolo Benno emergono lentamente nella scena con ruolio modi diversi, mentre Papato ed Impero si preparano alculmine dello scontro.

La lezione di papa Leone IX

Su quella scena il nostro Benno è protagonista cheresterebbe dimenticato del tutto, se non ci fosse lanuova lettura di quel verso che ci ha accompagnato intutte queste pagine, con la proposta di Scevola Mariotti58 F. G. BATTAGLINI, Memorie istoriche di Rimino, cit., pp. 25-29. L. TONINI, IIcit., doc. LIII, pp. 531-535.

59 L. TONINI, II cit., pp. 309-310, doc. n. LIIII, pp. 536-537.

di intenderlo correttamente come «ucciso in un fatto diguerra». Per questo motivo si è voluto intitolaresemplicemente il nostro discorso «Rimini 1061, unaguerra dimenticata». Non abbiamo indicato tra virgoletteinglesi ("guerra") la parola centrale perché nulla ciautorizza a demistificare il livello dello scontro, unodei tanti conflitti di cui nulla si sa perché, lo scriveMuratori, «resta forte allo scuro la Storia Italiana, eRomana in questi tempi».Di sicuro ci sono certe pagine ormai classiche per lostudio della Storia medievale, che si debbono a GinaFasoli (alla cui memoria va il grato ricordo di unantico allievo). Soltanto una breve citazione da un suosaggio, per riassumere il contesto romagnolo nel qualesi colloca la vicenda di Benno: la Chiesa ravennate hauna costante «tendenza autonomistica e antipapale»,realizzata appoggiandosi costantemente all’impero. «Sitrattava di un confitto politico ad alto livello, maanche di un conflitto religioso», in cui «non eranocoinvolti soltanto interessi materiali connessiall’esercizio delle attività temporali dei vescovi eall’amministrazione dei patrimoni ecclesiastici cheavevano offerto a molte famiglie cittadine lapossibilità di acquisire ricchezze e poteri: erano ingioco interessi spirituali, profondamente sentiti evissuti…»60.

60 Cfr. G. FASOLI, Profilo storico dall’VIII al XV secolo, in «Storia della EmiliaRomagna, I», Bologna 1975, pp. 374-375. Nello stesso volume, sul temasi veda pure il saggio di M. G. TAVONI, Le città romagnole conquistano la loroautonomia. Tentativi egemonici di Bologna, pp. 435-460. Ne ricordiamo alcunipassi. Dal 999 si ha «un principato ecclesiastico che sembradestinato a dare origine ad uno stato regionale»: Pavia passa insecondo piano, e Ravenna è «ricondotta alla sua funzione di capitale»(p. 436). I «potenti arcivescovi ravennati», nel «tremendo scontrotra Roma e le forze dell’Impero si schierano dalla parte degliimperatori e degli antipapi» (ib.). La Chiesa di Ravenna aspiraall’autocefalia. La sua storia passa attraverso due momenti. Dapprima«prevalgono le forze che sono legate alla politica filoimperialedegli arcivescovi e, in linea generale, l’appoggiano». Poi viene «deltutto allo scoperto un atteggiamento antimperiale», per il «bisognodi autonomia di un più largo complesso sociale anche nei confrontidell’autorità dell’arcivescovo» (p. 438). Di un qualche interesse èla constatazione dell’affermarsi a Ravenna di una borghesia che,assieme ai rustici, «si agita per modificare il quadro sociale easpira a raggiungere le posizioni di potere detenute dai primorescivitatis» (p. 439). Per Rimini, va detto che la città non dipende daRavenna ma fa parte della Pentapoli (p. 441), ovvero di quel«principato ecclesiastico» di cui abbiamo letto sopra. Questo dato cipermette di concludere che le analogie sociali tra Rimini e Ravennariguardano lo sfondo, appunto il contesto, non l’iter processuale deifatti. Non sempre risulta chiara a tutti gli studiosi la posizione diRimini, parte della Pentapoli ed indipendente da Ravenna: ad esempio,G. Vespignani parla stranamente di «scarsezza di informazioni circarapporti "feudali" tra arcivescovo di Ravenna e maiores del Riminese»(cfr. p. 356 del cit. vol. I della «Storia della Chiesa riminese»,nel suo saggio Ceti dirigenti e patrimonio fondiario nel Riminese, pp.347-358).

Quel contesto romagnolo si arricchisce di un eventoparticolare, il 14 marzo 1053, quando «la Chiesariminese […] accolse una sacra Funzione quanto solenneper se medesima, altrettanto singolare per la eminenzadel grado in coloro che furono a celebrarla». Il giornoprima, 13 marzo, «era il santo Pontefice Leone IX diritorno dalla Germania» pervenuto a Ravenna61. Di qui sitrasferisce a Rimini dove, appunto il 14, fa solenneconsacrazione di «Enrico Eletto Arcivescovo diRavenna»62.Tonini ipotizzava una «ragion d’ufficio e segno disudditanza che» il Pontefice «volle dall’Arcivescovo,obbligandolo a venire per la Consacrazione sua nellaProvincia Romana»63. Aveva ragione. La lettura offertacida Scevola Mariotti di quel verso di Pier Damianodedicato a Benno, suggerisce però una diversainterpretazione del gesto di Leone IX che, perconsacrare l’Arcivescovo ravennate, convoca a Riminiun’assemblea numerosa di ecclesiastici illustri: ilCardinale Umberto Vescovo di Santa Ruffina, OterigioVescovo di Perugia, Federico Cancelliere del S. PalazzoLateranense, Stefano romano Giudice dello stesso S.Palazzo, Laudegario Primate di Vienna, Aimone Vescovo diSyon sul Rodano, Araldo Vescovo di Grazianopoli (Algeriaodierna), Adalberto Vescovo di Metz, Tietmaro Vescovo diMerseburgo. Davanti al Papa ci sono pure i Vescovi di

61 L. TONINI, II cit., p. 331. 62 L. TONINI, II cit., p. 332. G. M. CANTARELLA, nel II vol. della stessa«Storia della Chiesa riminese», p. 40, osserva: anche se«formalmente, dell’Esarcato non faceva parte l’area riminese»tuttavia «non è un caso se proprio a Rimini il 14 marzo 1053 fuconsacrato il nuovo metropolita ravennate»: cfr. il suo saggioIntroduzione alla lotte per le investiture, pp. 35-48. Nel cit. I vol. della«Storia della Chiesa riminese», p. 397, R. SAVIGNI, nel saggioL’organizzazione ecclesiastica del territorio, pp. 379-400, considera laconsacrazione del nuovo metropolita ravennate «simbolicamente unprocesso si avvicinamento del Riminese alla provincia ecclesiasticaravennate» (p. 397).

63 L. TONINI, II cit., p. 332. In Appendice, alle pp. 525-526, si trovail documento LXX. Forma electionis Petri episcopi Aniciensis (ripreso da J.MABILLON, Annales, t. IV Venturini, Lucae 1739, p. 681: «pontifex apudAriminum […] episcopum consecravit»). Assieme all’Arcivescovo diRavenna, è consacrato il Vescovo di Annecy che dà il titolo aldocumento. (Cfr. L. NARDI, Cronotassi dei pastori della santa chiesa riminese,Albertini, Rimini 1813, p. 78.) Sul tema, si veda pure G. BUZZI, Per lastoria di Ravenna e di Roma, p. 191 del vol XXXVIII dell’«Archivio della R.Società Romana di Storia Patria», Roma 1915: pure qui si rinvia comefonte a J. MABILLON, Annales, t. IV. (Esiste la più antica ed. diRobustel, Parigi 1707, liber LX, XXXIII, Petrus Aniciensis episcopus a Leoneordinatus, p. 538.) Muratori sotto il 1118 ricorderà «come cosa dirilievo» il fatto che «Gualtieri Arcivescovo di Ravenna, seguendo nonl’esempio di alcuni suoi Antecessori scismatici, ma il dovere del suoministero, fece il questi tempi risplendere la sua devozione verso ilvero Papa Gelasio II e con questo meritò, ch’esso Ponteficerimettesse sotto la Metropoli di Ravenna le Chiese di Piacenza,Parma, Reggio, Modena e Bologna, a lei tolte da Pasquale II…» (Annalid’Italia, VI, Lucca, 1763 per V. Giuntini, p. 333).

Rimini, Montefeltro, Bobbio, Pesaro, Senigallia, Cervia,Forlimpopoli, Forlì, Comacchio, Cesena, Imola64.Non sembra assurdo pensare all’intenzione di Leone IX diriaffermare, proprio a Rimini, il primato del potereecclesiastico, a conferma di tensioni per le quali unrappresentante della Chiesa sarà tragicamente eliminatodalla scena politica locale nel 1061. L’anno prima, comeabbiamo visto65, Goffredo voleva proteggere Rimini e lealtre città tra cui Pesaro, le più esposte alle armitedesche «qualora queste, calate in Italia, avessero perquesta parte della Romagna preso cammino a ricondurrel’Antipapa all’ambita sede di Roma: oltreché quid’appresso l’Arcivescovo di Ravenna era spacciatopartigiano imperiale»66. Il ricordo del 1046 era ancorafresco.Eugenio Dupré Theseider in un suo testo classico apparsonel 194267, osserva che il 1046 è «l’anno critico» in cuiEnrico III interviene a deporre i tre Papi concorrenti ene elegge uno nuovo, tedesco: «È il momento della piùesplicita supremazia dell’impero». Nello stesso anno,l’imperatore si rende conto della pericolosità del vastoStato dei Canossa nel cuore del Regno Italico, «nodo ditransito imprescindibile per scendere a Roma enell’Italia meridionale»68. La «linea» adriatica aveva unsuo valore strategico, e Rimini ne era uno dei punti dipassaggio fondamentali. Per non dimenticare Ravenna, perla quale il 1046 significa la deposizione da partedell’imperatore del suo Arcivescovo «Widgero eletto, enon consecrato»69. Significa qualcosa, infine, cheproprio nella parte degli Annali muratoriani dedicata al1046, leggiamo quel passo già riportato: «secondol’abuso comune di questi tempi corrotti, i Re, iPrincipi, e i Vescovi vendevano, cioè conferivano leChiese per danari»70. L’ultima erede delle casa diCanossa, la contessa Matilde, «mise la sua potenzapolitica e militare al servizio della Chiesariformatrice, mentre gli arcivescovi di Ravenna contutti o quasi i loro suffraganei si schierarono nelcampo opposto, come imponeva la lunga tradizione difedeltà all’impero, propria della metropoli ravennate»71.

64 L. TONINI, II cit., p. 332, con rinvio al cit. documento LXX. Formaelectionis Petri episcopi Aniciensis.

65 L. TONINI, II cit., p. 323. Cfr. pure p. 309 per gli eventi, e p. 536per il documento cit.

66 F. G. BATTAGLINI, Memorie istoriche di Rimino, cit., p. 19.67 Cfr. in Questioni di storia medievale, a cura di E. Rota, Milano 1951, p.321.

68 B. ANDREOLLI, Il trionfo del particolarismo, «Storia dell’Emilia Romagna», I,Bari 2004, pp. 75-92, p. 78.

69 MURATORI, Annali, VI, cit, pp. 138-139.70 Ibidem, p. 142.71 FASOLI, Profilo storico dall’VIII al XV secolo, cit., p. 374.

Augusto Vasina, proprio nel secondo volume della «Storiadella Chiesa riminese» del 2011, avverte autorevolmenteche le esigue testimonianze sull’XI sec. ci offronosoltanto «una pallida e desultoria idea di quanto potéaccadere in quei tempi»72. E che il territorio delRiminese rappresentava «un’area particolarmentenevralgica del confronto fra Roma e Ravenna». Roma eraben determinata ad esercitare i propri diritti su esteseproprietà nel territorio diocesano di Rimini ed i pienipoteri temporali. La Chiesa di Ravenna era «largamentedotata di proprietà fondiarie e di diritti signoriliche, diffusi nel Riminese, si estendevano pure latamentenelle terre della Marca Anconetana»73.Un altro aspetto, infine, mi permetto di segnalare circai rapporti tra le città della «linea» adriatica, ovverola questione della presenza ebraica74, documentabile perRimini sin dal 1015 con il teloneo «judeorum»,ovvero l’appalto dei dazi d’entrata nel porto.La questione è esaminabile soltanto in sensoindiziario, partendo dai secoli successivi. Ametà del 1400 Rimini è il principale centro finanziarioebraico della Romagna, dalla quale transitano gruppiprovenienti dalla Marca e dall’Umbria e diretti nellapianura padana per evitare gli effetti dellapredicazione degli Zoccolanti contro gli Ebrei e le loroattività finanziarie caratterizzate da tassi che aRavenna sono documentati anche al 30 ed al 40 per cento.Di solito gli Ebrei praticavano «tassi notevolmenteinferiori agli usurai cristiani»75. E per questodovettero subire nel 1429 e nel 1503 un assalto ai lorobanchi76.

72 A. VASINA, La Chiesa Riminese in età comunale, «Storia della Chiesariminese, II, Dalla lotta per le investiture ai primi anni delCinquecento», cit., pp. 137-158, p. 137.

73 Ibidem.74 A. MONTANARI, La presenza degli Ebrei a Rimini dal 1015 al 1799, 2011,<http://www.scribd.com/doc/46468695/Ebrei-a-Rimini-1015-1799>. Iltesto sviluppa quattro articoli pubblicati sul settimanale «il Ponte»di Rimini nel 2005: 1. Rimini anticipa il ghetto ebraico (n. 42), 2. Ebrei, daldazio del porto ai prestiti (n. 43), 3. Ebrei, le sinagoghe e il cimitero (n. 44); enel 2006: 4. Ebrei di Pesaro a Rimini a fine 1700 (n. 22). Per questi ed altrimateriali poi usciti a stampa, tra cui «L' Heretico non entri in fiera». Società,economia e questione ebraica a Rimini nel secoli XVII e XVIII. Documenti inediti, «StudiRomagnoli» LVIII (2007), Cesena 2008, pp. 257-277, si veda<http://www.webalice.it/antoniomontanari1/indici/storia.ebrei.rimini.1192.html>.

75 A. FALCIONI, La Signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesti, 1. L’economia, Rimini1998, p. 158.

76 Di tutto ciò non si trova traccia nel cit. II vol. della «Storiadella Chiesa riminese» che arriva sino «ai primi anni delCinquecento», nella parte dedicata all’argomento. A p. 322 si leggeinfatti: «… da parte della Chiesa locale non si rilevanoatteggiamenti di intolleranza od ostilità verso gli ebrei»: cfr. O.DELUCCA, La comunità ebraica, il credito, i Monti di Pietà, pp. 317-340. Guardiamo aifatti. Nel 1515 (il 13 aprile) a Rimini si discute la proposta di

La lezione di Carlo Tonini, 1895

Carlo Tonini (1835-1907), figlio di Luigi, nel 1895manda alle stampe il primo volume del suo Compendio dellaStoria di Rimini77, dove troviamo due pagine che ciinteressano, e che nessuno di quelli che si sonooccupati di Benno hanno, non dico esaminato, ma neppurelontanamente intravisto. La prima è un esame dellefigure dei Conti e dei Padri della Città, condotto sullabandire gli Ebrei dalla città quali nemici della Religione epromotori di scandali nel popolo. Ed il Consiglio generale approvaall’unanimità l’adozione di tre provvedimenti: chiedere licenza alpapa di bandire gli Israeliti; far loro pagare le spese per i soldatia piedi ed a cavallo «qui condotti, e trattenuti per guardia de gliEbrei» medesimi; ed infine stabilire «che nell’avvenire volendo dettiEbrei continuare l’habitatione in questa Città, portassero ilcapello, o la beretta gialla». Per le donne, il successivo 28 aprile,è introdotta la regola di recare una benda gialla in fronte, facendoloro nel contempo divieto di porre sul capo i mantelli. Restanodisattesi questi ordini del segno distintivo se nel 1519, dietroistanza di frate Orso dei Minori di San Francesco, sono ripetuti inobbedienza anche ai «decreti del Sacro Concilio». Gli Ebreirichiedono di non essere costretti alla berretta od alla bendagialle, ma di recare semplicemente un segnale sul mantello. La cittàricorre al papa «da cui fu commandato, o che quelli partissero daRimini, overo obbedissero alla Città». Il 22 luglio 1548 il Consigliogenerale della città obbliga gli Ebrei riminesi a non abitare fuoridelle tre contrade dove già si trovavano. Si anticipa così ilprovvedimento di papa Paolo IV che con la «bolla» intitolata «Cumnimis absurdum» del 17 luglio 1555 istituisce il ghetto in tutto loStato della Chiesa, seguendo il modello realizzato nel 1516 dallaSerenissima Repubblica di Venezia. Cfr. MONTANARI, La presenza degli Ebrei aRimini dal 1015 al 1799, cit. L’importanza del ruolo degli Ebrei riminesiè attestata dal fatto che essi realizzano in città tre sinagoghe, enon due come si sostiene dal cit. DELUCCA, La comunità ebraica, il credito, iMonti di Pietà, p. 329. La prima sinagoga è attestata sin dal 1486, sullapiazza della fontana (ora Cavour) dal lato della pescheriasettecentesca, nella contrada di San Silvestro. Essa è poi definitacome «vechia», quando è realizzata la seconda che in rogito del 1507è chiamata «magna», nella contrada di Santa Colomba o San Gregorio daRimini (via Sigismondo), nella porzione di quartiere tra l’odiernavia Cairoli ed il Teatro Galli, lato monte. Nel 1555 la sinagoga«magna» risulta invece situata in contrada di San GiovanniEvangelista detta «delli Hebrei» (via Cairoli), a poca distanza dallachiesa di San Giovanni Evangelista (Sant’Agostino), e proprio dallasua parte, come si ricava dal documento datato 14 novembreriguardante la decisione presa dagli Ebrei riuniti nella Sinagoga«magna» di vendere la casa detta «la Sinagoga vechia». Dellasinagoga «vechia» in questo documento del 1555 si scrive che è postavicino («iuxta») alla strada detta «Rivolo della Fontana» o «delCorso», cioè nell’angolo della piazza Cavour con la contrada di SantaColomba (via Sigismondo). Il «Rivolo» andava dalla piazza delCastello sino alla piazza Cavour, cambiando poi qui il nome incontrada di San Silvestro. La sinagoga «vechia» era quindi situatanella parrocchia di San Silvestro, delimitabile con il corsod’Augusto, via Cairoli e via Sigismondo e piazza Cavour. La nuovasinagoga è trasferita prima nella zona della parrocchia di SantaColomba che è speculare verso monte rispetto alla parrocchia di SanSilvestro; e poi nella parrocchia di Sant’Agostino sul lato dovesorge la chiesa. Nel 1569, dopo che il 26 febbraio papa Pio V ha dato

scia del testo di Angelo Battaglini: evitiamo dianalizzarla perché già ne abbiamo riferito ad abundantiam.La seconda pagina, invece, è del tutto originale, edoffre un esame serio dell’epitaffio in onore di Benno.Dall’elogio che ne fa Pier Damiano, scrive Carlo Tonini,«risulta chiaramente che questi fu un intrepido esapiente amministratore di pubblica giustizia; quantomite e pio verso i miseri, altrettanto rigido e severocoi superbi […]. E non potrebbe forse inferirsi da ciò,che ei cadesse vittima delle vendette d’alcun nemicopotente, che avesse provato i rigori di quella suacotanta ed inflessibile giustizia? E non varrebbe peravventura a confermarci in questo sospetto segnatamenteil penultimo verso dell’elogio – Obsecro tam diram sapientesflete ruinam? A noi pare che il Damiani non avrebbe usatauna simile espressione, se il grand’uomo fosse mortoplacidamente nel suo letto e nella pienezza de’ giornisuoi»78.Carlo Tonini ricorda: Damiano scrive di Benno che«pravorum pertulit ictus». Il problema, qui ed oggi, nonè di dare una «versione più neutra, che esclude ogniriferimento a effettive vicende politiche riminesi»nella traduzione dell’epitaffio, come si sostieneautorevolmente. La questione fondamentale è intendere,aldilà della rivoluzione provocata dalla lettura diScevola Mariotti nel 1965, il senso di quello che silegge nel passo così ben spiegato da Carlo Tonini:«pravorum pertulit ictus». Carlo Tonini cominciò adubitare che «il grand’uomo fosse morto placidamente nelsuo letto». Purtroppo oggi si scrivono le Storie di queimomenti ignorando le pagine di chi se ne è già occupato,addirittura nel 1895, con una prospettiva innovatriceper interpretare i fatti e le figure di cui si parla.

il bando agli Ebrei da tutte le sue terre ad eccezione di Ancona eRoma, gli israeliti di Rimini decidono di vendere l’ultima sinagoga,quella posta nella parrocchia di Sant’Agostino. Il 16 maggio ilbolognese Prospero Caravita (abitante in Rimini) ed il ravennateEmanuellino di Salomone, come rappresentanti della comunitàisraelitica locale, stipulano l’atto relativo, consapevoli che perl’editto pontificio tutti gli Ebrei che si trovavano nella nostracittà l’avrebbero dovuta abbandonare entro breve tempo. Quest’ultimasinagoga è composta di tre stanze («una domum consistentem ex tribusstantiis»): la più grande è quella dove si riunivano a pregare gliuomini, un’altra più piccola dove si adunavano a pregare le donne, edun’altra infine posta sopra quest’ultima e sempre ad uso delle donne.

77 C. TONINI, Compendio della Storia di Rimini. Dalle origini all’anno 1500, Renzetti,Rimini.

78 Ibidem, pp. 156-157.