Riforma liturgica: casus belli?

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I Teologia_3_2013_IMP _Teologia_ 4_2007 17/09/13 11.18 pag+ «Teologia» 38 (2013) 429-453 Enrico Mazza La riforma liturgica del Vaticano II Perché una riforma liturgica può diventare un casus belli? Premessa L ariforma liturgica del concilio Vaticano II era già iniziata nel pon- tificato dei Papi precedenti. Dobbiamo ricordare che il tema della partecipazione attiva ha origine con Pio X ed è andato crescendo per tutto il XX secolo raggiungendo l'apice nel concilio Vaticano II e nei successivi documenti di attuazione. Inoltre, dobbiamo ricordare la continuità tra la riforma liturgica di Pio XII e quella del Vaticano II. Pio XII produsse la riforma della veglia pasquale I e della settimana santa (1955). Non vanno dimenticate le molte altre riforme introdotte nella liturgia da questo papa oltre alla promulgazione della lettera en- ciclica «Mediator Dei et hominum. nel 1947: che è una vera e propria trattazione generale sulla liturgia. E ancora: «Basti ricordare l'atte- nuazione delle norme sul digiuno eucaristico (1943) e la concessione delle Messe vespertine (1946), la nuova traduzione del Salterio e il suo uso nella recita del Breviario (1945, 1946). E siamo ancora ad un an- no dalla pubblicazione della Mediator Dei (20 novembre 1947). In se- guito, le concessioni andranno moltiplicandosi soprattutto con i Ri- tuali bilingui (per la Francia 28 novembre 1947) e l'uso del volgare nelle celebrazioni. Non ci sono ancora ritocchi nei riti»'. Il 28 maggio 1948 venne costituita la Commissione piana che avrebbe dovuto oc- l Instauratio Vigiliae paschalis, in C. BRAGA - A. BUGNINI (ed.), Documenta ad instaurationeni liturgicani spectantia (1903-1973), CLV - Edizioni liturgiche, Roma 2000, nn. 2314-2356. 2 lvi, nn. 1865-2068. 3 C. BRAGA (ed.), La. riforma liturgica di Pio XII. Documenti, I. La "Memoria sulla riforma liturgica" (= Bibliotheca Ephemerides liturgicae. Subsidia 128), CLV - Edizioni liturgiche, Roma 2003, VII. Cfr. anche: ID., Per la storia della ri- forma liturgica: la Commissione di Pio XII e Giovanni XXIII, «Ephernerides Li- turgicae» 117 (2003) 385-399. 429

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«Teologia» 38 (2013) 429-453

Enrico Mazza

La riforma liturgicadel Vaticano IIPerché una riforma liturgicapuò diventare un casus belli?

Premessa

Lariforma liturgica del concilio Vaticano II era già iniziata nel pon-tificato dei Papi precedenti. Dobbiamo ricordare che il tema della

partecipazione attiva ha origine con Pio X ed è andato crescendo pertutto il XX secolo raggiungendo l'apice nel concilio Vaticano II e neisuccessivi documenti di attuazione. Inoltre, dobbiamo ricordare lacontinuità tra la riforma liturgica di Pio XII e quella del Vaticano II.Pio XII produsse la riforma della veglia pasquale I e della settimanasanta (1955). Non vanno dimenticate le molte altre riforme introdottenella liturgia da questo papa oltre alla promulgazione della lettera en-ciclica «Mediator Dei et hominum. nel 1947: che è una vera e propriatrattazione generale sulla liturgia. E ancora: «Basti ricordare l'atte-nuazione delle norme sul digiuno eucaristico (1943) e la concessionedelle Messe vespertine (1946), la nuova traduzione del Salterio e il suouso nella recita del Breviario (1945, 1946). E siamo ancora ad un an-no dalla pubblicazione della Mediator Dei (20 novembre 1947). In se-guito, le concessioni andranno moltiplicandosi soprattutto con i Ri-tuali bilingui (per la Francia 28 novembre 1947) e l'uso del volgarenelle celebrazioni. Non ci sono ancora ritocchi nei riti»'. Il 28 maggio1948 venne costituita la Commissione piana che avrebbe dovuto oc-

l Instauratio Vigiliae paschalis, in C.BRAGA - A. BUGNINI (ed.), Documenta adinstaurationeni liturgicani spectantia(1903-1973), CLV - Edizioni liturgiche,Roma 2000, nn. 2314-2356.

2 lvi, nn. 1865-2068.3 C. BRAGA (ed.), La. riforma liturgica

di Pio XII. Documenti, I. La "Memoria

sulla riforma liturgica" (= BibliothecaEphemerides liturgicae. Subsidia 128),CLV - Edizioni liturgiche, Roma 2003,VII. Cfr. anche: ID., Per la storia della ri-forma liturgica: la Commissione di PioXII e Giovanni XXIII, «Ephernerides Li-turgicae» 117 (2003) 385-399.

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cuparsi della riforma generale della liturgia. Si seppe dell'esistenza diuna tale commissione solo nel 1951 quando fu promulgata la riformadella Vegliapasquale. La commissione cessò i lavori con l'avvento delConcilio dopo aver prodotto i suoi due ultimi documenti di riforma: il"Codex rubricarum" (1960), e l'Istruzione "De Musica sacra et sacraLiturgia" (1958) che applica le due encicliche, Mediator Dei et homi-num e Musicae sacrae disciplina. I lavori del Vaticano II furono pre-parati da una commissione preconciliare il ( .i segretario era PadreAnnibale Bugnini che, prima, era stato segr. .rio della commissionepiana" che aveva elaborato la riforma di Pie XII. Successivamente,egli sarà segretario del Consilium ad exequendam Constitutionem desacra liturgia. Padre Bugnini ebbe un ruolo determinante nella rifor-ma liturgica del Vaticano II; la sua appartenenza alla commissionepiana, come segretario, mostra la continuità stretta tra il progetto diquesta commissione di Pio XII e l'opera del Vaticano II.

Inizialmente la proposta di riforma liturgica che venne presentatain Concilio comprendeva solo dei progetti di intervento sulle singolecelebrazioni ma, in un secondo momento, ci si rese conto che era ne-cessario premettere un insieme di principi teologici che rendesseroragione delle riforme proposte. Venne composto, dunque, un capitolodi «Altiora principia», che presentava la natura teologica della litur-gia. Successivamente, dopo il Vaticano II, abbiamo avuto la riformagenerale della liturgia attuata da Paolo VI.

1. I principi generali della riforma liturgica

Perché la riforma liturgica? Certo c'è da tener presente la culturadell'euomo d'oggi», ma si deve tener presente anche la natura dellaliturgia. La forma rituale che essa aveva alla metà del XX secolo,esprimeva al meglio la natura della liturgia oppure andava migliora-ta? La liturgia è sempre stata legata alla cultura dei differenti popolie delle differenti epoche, ed è questo che spinge verso il cambiamen-to, altrimenti saremmo ancora al rito del battesimo di Gesù nel Gior-dano e all'uso giudaico della cena rituale, come fu celebrata da Gesùall'ultima cena. Lo vediamo nelle liturgie dei differenti riti: non c'èsolo la liturgia romana, che ha inglobato il genio della cultura di Ro- -

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4 P.-M. Gv, Situation historique de laConstitution, in I.-P. IOSSUA - Y. CONGAR(ed.), La. liturgie après Vatican II. Bilan,

études, prospective (= Unam sanctam66), du Cerf, Paris 1967, 114.

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ma, ma tanti altri: il rito bizantino è ben diverso da quello romano ecosì il rito etiopico. Anche la liturgia gallicana e quella ispanica han-no caratteristiche loro proprie. Ma i contenuti sono gli stessi, nellevarie liturgie, indipendentemente dalle differenze delle varie Chiese,dalle varie epoche e dai vari contesti antropologici in cui si sono for-mati i riti.

Quindi, per il concilio Vaticano II, era necessario stabilire, primadi tutto, la natura della liturgia e i suoi costitutivi formali. Per spiegre la natura della liturgia, la costituzione Sacrosanctum concilium inizia presentando la volontà salvifica universale di Dio, che si è attua.anella storia attraverso i profeti e che ha attinto il suo culmine in Cri-sto. L'opera della redenzione umana coincide con la glorificazione diDio: non sono due differenti fattori, ma una sola ed unica realtà. Rea-lizzata in Cristo, continua nella Chiesa che la celebra nel sacrificio enei suoi sacramenti. Così si esprime la costituzione liturgica ai nn. 5-6. Giustamente il Concilio prosegue con l'affermazione che la liturgiaè azione di Cristo e, quindi, è esercizio del suo sacerdozio. Ho tratteg-giato solo un abbozzo dei «Principi generali» esposti nel capitolo pri-mo, ma è sufficiente. Da qui partono tutte le decisioni di riforma, pergiungere fino a indicazioni molto pratiche.

La riforma liturgica di Pio XII aveva già messo in evidenza la que-stione della partecipazione attiva, una concezione che si realizza par-ticolarmente nella messa. Il concilio Vaticano II ha continuato nellastessa direzione e ha posto la partecipazione attiva come scopo dellariforma stessa e di tutta la pastorale liturgica. I riti liturgici avrebberodovuto essere riformati in modo da corrispondere a queste scelte ed èciò che è puntualmente avvenuto nel pontificato di Paolo VI che hapromulgato i nuovi libri liturgici. Tutto questo è in linea con i princi-pi teologici che derivano dalla natura stessa della liturgia.

I precedenti libri liturgici non sono stati abrogati ma obrogati, os-sia sostituiti dai nuovi". Al di là della sottile distinzione tra abrogazio-ne e obrogazione, si deve affermare che il precedente messale non èpiù in vigore dato che il decreto emesso dalla Sede Apostolica per lapromulgazione del messale stabilisce che il nuovo libro sostituisce intutto quello precedente. Ciò significa che questo non è più in vigore enon può più essere usato. Infatti, ci volle un Indulto di Giovanni Pao-lo II perché il messale precedente potesse essere ancora utilizzato. Al-trettanto si dica per gli altri libri liturgici.

5 Su questa questione cfr.: Appendi-ce, al termine di questo saggio. 431

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La riforma dei libri liturgici venne fatta ricorrendo agli antichi te-sti della Tradizione. La cosa è particolarmente evidente per il messa-le' nella cui introduzione compare il principio del ritorno «Ad pristi-nam sanctorum Patrum norrnam »: un principio contenuto nellaCostituzione sulla sacra liturgia (n. 50), e che proviene dalla riforma li-turgica del Concilio di Trento".

Ed effettivamente la riforma dei libri liturgici di Paolo VI vennefatta ricorrendo alle fonti delle più antiche liturgie della Chiesa, nonsolo romana. Gli studiosi di liturgia, dalla fine del secolo XIX in poi,si sono dedicati con grande impegno alla preparazione dell'edizionecritica dei diversi antichi libri liturgici cui sono seguiti accurati studistorici e filologici. È di questo grande patrimonio che hanno potutoprofittare le varie commissioni che, dopo ilVaticano II, hanno prepa-rato i nuovi libri liturgici. Era molto inferiore, invece, la base docu-mentaria di cui poté godere il messale moderno, ossia il messale del1570, detto anche 'Messale di Pio V' oppure, erroneamente, 'antico'.Quella del Vaticano II è stata una riforma con la pretesa di attingereabbondantemente all'antichità, perché miglior testimone della Tradi-

6 La Costituzione sulla sacra liturgiadecreta (decernit) brevemente una seriedi riforme del messale che dovranno es-sere fatte per volontà del Concilio. Im-portante è ilverbo decernit, con ilquale ilConcilio impone <9 riforme venganofatte: 1) Riforma dell'Ordo missae per mi-gliorarne la coesione interna, eliminare idoppioni, e ritornare ad pristinam. sane-toruni Patrum normam recuperando an-che elementi che erano andati perduti. 2)Maggior numero di letture bibliche. 3)Ripristino dell'omelia. 4) Ripristino della"Oratio communis". 5) Ammissione dellalingua viva, ma i fedeli debbono conosce-re alcune parti dell'Ordinario della messain lingua latina. 6) Comunione dei fedelicon l'eucaristia del medesimo sacrificio.7) Comunione sotto le due specie. 8)Concelebrazione, secondo il rito apposi-to che dovrà essere approntato (Sacro-sanctuni conciliuni, nn. 50-58).

7 È la stessa parola d'ordine della ri-forma tridentina, tenendo conto che nonsi può opporre il concilio di Trento allariforma post-tridentina dei vari papi.Prendiamo gli Alli del Concilio di Trento:«Missalia secundum usum et veteremconsuetudinem S. R. E. reformentur,omnibus iis, quae clanculum irrepse-runt, repurgatis» (Abusus qui circa vene-randum missae sacrificium evenire solent,in Concilium Tridentinum. Diariorunz,

actorum, epistularum, tractatuum novacollectio, Edidit Societas Goerresiana,Herder, Friburgi Brisgoviae 1901-2001,voI. VlII, 916-921). La frase non entra nelDecreto tridentino di riforma, ma serveda ispirazione alla commissione post-tri-dentina che si rispecchia nella bolla Quoprimum tempore, con la quale Pio V pro-mulga il messale nel 1570. La bolla diceche si deve tornare «ad pristinam sancto-rum patrurn normarn». TI concetto, conuna frase leggermente diversa, si trovaanche nella bolla Quod a nobis, che rifor-ma il breviario: «ad pristinum morem etinstitutum». Insomma, ilcriterio di rifor-ma è il ritorno all'antico. Ne faccia fedel'invio del sacramentario gregoriano dal-la Biblioteca Apostolica a Trento. TI Vati-cano II tSacrosanctuni conciliuni, n. 50)e la Institutio generalis Missalis Romanidi Paolo VI iProemium, n. 6) riprende-ranno la frase «ad pristinam sanctorurnpatrum normam», come criterio di rifor-ma del messale. Quindi, i criteri di rifor-ma del messale di Pio V e quello di PaoloVI sono identici. Diversa è la competenzastorica delle due epoche e la maggior ric-chezza di documentazione oggi esisten-te. Entrambe le riforme, comunque, fu-rono fatte con gli stessi criteri, compresoil caso dell'eliminazione di feste di santida parte di Pio V.

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zione. Ne segue che si doveva ricorrere a rigorosi studi storici; questi,tuttavia, non erano sufficienti, dato che nella storia ci sono le testi-monianze più svariate ed è necessario elaborare dei precisi criteri perpoter fare le scelte adatte. È per questo che vennero preparati gli al-tiora principia di cui abbiamo già parlato.

Già durante il Vaticano II, ma soprattutto dopo, è stato posto conparticolare insistenza il problema della continuità con il concilio diTrento, Sembrerebbe, infatti, che le fil rouge del Vaticano II non fosse al-linea+ al concilio di Trento. Di qui, ne andava dell'identità cattolica deifedeli. Come si può essere cattolici se non si è in linea con il concilio diTrento? La riforma liturgica del Vaticano II sembrava contraria alla ve-rità cattolica che, per definizione, era rappresentata dal concilio diTrento. Dovendo ora parlare del problema della riforma liturgica all'in-segna del problema dell'identità cattolica, premetto che ne tratteremoin due tempi: 1) esamineremo il rapporto tra il concilio Vaticano II e ilconcilio di Trento prendendo come esempio il caso della dottrina euca-ristica; 2) esamineremo il rito come segno di identità di un popolo".

2. Il concilio di Trento e il concilio Vaticano II

A questo proposito dobbiamo solo fare alcune osservazioni di vo-cabolario.

a) La teologia è sempre molto preoccupata di affermare e riaffer-mare la 'presenza reale' del concilio di Trento. Ma qual è il linguaggiotridentino a questo riguardo? Effettivamente il Concilio usa 5 volte ilsostantivo 'praesentia', ma lo usa per parlare della presenza dei vesco-vi al Concilio o della presenza del pastore, di cui debbono godere lepecore. Questo termine non viene mai utilizzato per parlare dell'euca-ristia, ossia per spiegarne il realismo sacramentale. Il participio 'prae-sens' è utilizzato 52 volte? e compare una sola volta in contesto euca-ristico. Nei canoni che definiscono la dottrina eucaristica, questolemma non compare mai. Invece, compare una volta, nel capitolo'?

8 Dobbiamo ricordare che, oltre aicontenuti teologici e al rapporto con laTradizione, c'è un altro elemento che ca-ratterizza la liturgia: il rapporto con lacomunità che la celebra, che si evolvelungo la storia, in base ai cambiamentiche avvengono nella comunità stessa. Èper questo che la liturgia diventa unodei segni dell'identità di un popolo.

9 Per la maggior parte dei casi perparlare del 'presente decreto', dei 'pre-senti canoni' oppure del 'presente anno'o del 'parroco presente' al matrimonio.

IO Si tratta di uno dei capitoli dellaDoctrina, che non sono definizioni masolo descrizioni del contesto dottrinalein cui collocare i Canoni.

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primo della sessione 13; i per spiegare che «iuxta modum existendi na-turalem» il Cristo è seduto alla destra del Padre, mentre è vicino a noiin molti luoghi «sacramentaliter praesens sua substantia». Il modonaturale di esistere non si oppone al fatto che egli sia presente sacra-mentalmente sugli altari. L'elemento principale non è 'praesens' ma'sacramentaliter' che si oppone a 'naturaliter', mentre 'praesens' corri-sponde a 'modus existendi'. 'Praesens', di conseguenza, deve esserespiegato come modo di esistere. In questo c adro dottrinale va collo-cata la definizione tridentina ottenuta con verbo contineri.

Ecco il testo della definizione (Sessione ~3, canone 1): «Si quis ne-gaverit in sanctissimo eucharistiae sacramento contineri vere realiteret substantialiter corpus et sanguinem una cum anima et divinitatedomini nostri Iesu Christi ac proinde totum Christum sed dixerit tan-tummodo esse in eo ut in signo vel figura aut virtute: a(nathema)s(it»>l~.Possiamo concludere che l'insegnamento del concilio di Tren-to sul realismo eucaristico si esprime più con l'uso del verbo contine-ri, che con praesens. Il verbo contineri appartiene alla dottrina defini-ta, mentre praesens no!'. La 'presenza reale', in quanto tale, non è maistata definita dal concilio di Trento.

b) Il concilio Vaticano II usa il verbo contineri nella costituzionePresbyterorum ordinis=, ma quando vuole esprimere la dottrina euca-ristica in modo più tecnico e preciso, fa ricorso al termine praesens,per dire che il Cristo è realmente presente nella Parola, nell'assem-blea, nel ministro, sia nella Presbyterorum ordinis l' sia soprattutto nel-

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Il «Principio docet sancta synoduset aperte ac simpliciter profitetur in al-mo sanctae eucharistiae sacramentopost panis et vini consecrationem domi-num nostrum Iesum Christum verumDeum atque hominem vere realiter acsubstantialiter sub specie illarum rerumsensibilium contineri. Neque enim haecinter se pugnant ut ipse salvator nostersemper ad dexteram Patris in coelis assi-deat iuxta modum existendi naturalemet ut multis nihilominus aliis in locis sa-cramentaliter praesens sua substantianobis adsit- (Concilium Tridentinum,sessio 13, cap. 1; G. ALBERIGO- G.L. Dos-SETTI- P.-P. IOANNOU- C. LEONARDI- P.PRODI(ed.), Conciliorum Oecumenico-rum Decreta, EDB, Bologna 1991, 694.

12 Ivi, 697.13 Anche il concilio di Costanza usa

'contineri' e non conosce l'uso di 'prae-sentia': «Et sicut haec consuetudo ad vi-tanda aliqua pericula et scandala ratio-nabiliter introducta est sic potuit simili

aut maiori ratione introduci et rationa-biliter observari quod licet in primitivaecclesia huiusmodi sacramentum reci-peretur a fidelibus sub utraque specie ta-men postea a conficientibus sub utraqueet a laicis tantummodo sub specie panissuscipiatur cum firmissime credendumsit et nullatenus dubitandum integrumChristi corpus et sanguinem tam subspecie panis quam sub specie vini vera-citer contineri» (Sessio 13, in ivi, 419).

14 «In sanctissima enim eucharistiatotum bonum spirituale ecclesiae conti-netur ipse scilicet Christus pascha no-strum panis que vivus per carnem suamspiri tu sancto vivificatam et vivifican-tem vitam praestans hominibus qui itainvitantur et adducuntur ad se ipsossuos labores cunctas que res creatasuna cum ipso offerendos» (Presbytero-rum ordinis, n. 5, in ivi, 1047).

15 «Domus orationis in qua sanctis-sima eucharistia celebratur et servaturfideles que congregantur et in qua prae-

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la Sacrosancturn concilium: «Praesens adest in missae sacrificio cumin ministri persona idem nunc offerens sacerdotum ministerio qui seipsum tunc in cruce obtulit tum maxime sub speciebus eucharisticis.Praesens adest virtute sua in sacramentis ita ut cum aliquis baptizatChristus ipse baptizet. Praesens adest virtute sua in sacramentis ita utcum aliquis baptizat Christus ipse baptizet. Praesens adest deniquedum supplicat et psallit ecclesia ipse qui promisit ubi sunt duo vel trescongregati in nomine meo ibi sum in medio eorum. "'.

In questo paragrafo, la Sacrosanctum concilium ha voluto descri-vere la natura sacramentale della liturgia facendo vedere i vari modidella presenza di Cristo nei riti. Nelle specie eucaristiche il Cristo èpresente in modo eccellente, per antonomasia, ma, affermato questo,il Concilio vuole richiamare l'attenzione sul fatto che la presenza diCristo connota vari momenti della liturgia e la liturgia stessa, in quan-to tale. Il Concilio, quindi, ha adottato il termine praesens come ter-mine tecnico del realismo sacramentale tanto dell'eucaristia quantodella liturgia nel suo complesso.

Vorrei concludere dicendo che il concilio Vaticano II mostra diavere molta fiducia nei termini praesens - praesentia, più del conciliodi Trento che preferisce contineri come termine tecnico capace di de-scrivere il realismo sacramentale.

Ma ilVaticano II non consiste solo in questo. Non è solo erede del-la teologia del passato, ma crea, in proprio, una nuova maniera di co-struire la teologia dei sacramenti; infatti, ha avuto anche un'altra af-fermazione che però non è stata adeguatamente messa in rilievo. Sitratta della partecipazione attiva dei fedeli che debbono arrivare allaconoscenza del 'mistero della fede' attraverso i riti e le preghiere dellaliturgia". Non si tratta dunque di partecipare attraverso una dottrinapreconfezionata che i fedeli portano con sé quando partecipano ai di-vini misteri. Bisogna che i fedeli si lascino guidare dai riti e dalle pre-ghiere, e così arriveranno alla conoscenza e alla fruizione del myste-rium {idei. Se i riti e le preghiere sono in grado di fare questo, inordine all'attiva partecipazione dei fedeli, saranno in grado di farloanche in un altro ambito. Mi riferisco all'ambito della teologia, che

sentia filii Dei salvatoris nostri in ara sa-crificali pro nobis oblati in auxilium at-que solatium fidelium colitur nitida ora-tioni et sacris sollemnibus apta essedebet» tPresbvterorum ordinis, n. 5, inivi, 1048). .

16 Sacrosanctum concilium, n. 7, inivi,822.

17 «Itaque ecclesia sollicitas curaseo intendit ne christifideles huic fideimysterio tamquam extranei vel mutispectatores intersint sed per ritus et pre-ces id bene intelligentes sacram actio-nem conscie pie et actuose participentverbo dei instituantur mensa corporisDomini reficiantur gratias» (Sacrosanc-tum concilium, par. 48, in ivi, 830). 435

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può ricavare la dottrina eucaristica direttamente dai riti e dalle pre-ghiere della celebrazione, invece che dalla ripetizione delle tematichee delle concezioni trattate nel medioevo.

3. La liturgia e l'identità di un popolo

Lo storico Orosio, agli inizi del V secolo, parlando dell'Africa scri-veva: «Ubique patria, ubique lex et religio mea est: nunc me Africa[ ... ]. sedes mei iuris et nominis sunt, quia ad Christianos et RomanosRomanus et Christianus accedo»:". La religio è un elemento che carat-terizza l'identità e la religio si esprime nei suoi riti, al punto che, inve-ce di religio potremmo ben scrivere liturgia. L'unità dei cristiani siesprime nell'unità della loro liturgia.

La storia della liturgia cristiana ci insegna che la liturgia è "una"anche nella diversità dei ritì", ma bisogna imparare a distinguere il"rito" dalle modalità concrete di cui consta il rito, ossia dai gesti, dal-le parole, dagli atteggiamenti, dagli oggetti che fanno parte della suacelebrazione. Gesti e parole: la messa bizantina è diversa dalla messadella Chiesa romana, ma il rito è ilmedesimo, il rito è uno solo, quel-lo trasmesso da Gesù nell'ultima cena. Questo comporta che si sappiatenere connessa la celebrazione liturgica con il suo referente e che sisappia vedere che questo referente non è solo l'origine storica e l'ori-gine teologica della celebrazione liturgica, ma anche il suo "contenu-to obiettivo". Di solito, però, per un cristiano medio, non si tratta di"gesti e parole" che rinviano al referente, ma di quei "gesti e parole"che organizzano la celebrazione e che, di solito, appartengono allastoria culturale della celebrazione liturgica.

Sono questi, quei "gesti e parole" che vengono sentiti come espres-sione dell'identità di un popolo, proprio perché sono "gesti e parole"di origine culturale. È questo l'elemento che rende difficile ogni rifor-ma liturgica perché incide sull'identità culturale del popolo. Per dareun'idea di tutto questo, vediamo un esempio significativo.

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18 Historiarum, Lib. 5, 2, in C. ZAN-GEMEISTER (ed.), Pauli Orosii. Historia-rum aduersum paganos libri VII (= Cor-pus Scriptorum EcclesiasticorumLatinorum 5), Apud C. Geroldi FiliumBibliopolam Academiae, Viondobonae1882, 280.

19 Cfr. E. MAZZA, L'image de l'Églisedans l'eucharistie à l'époque patristique,in A. LOSSKY - M. SODI (ed.), La. liturgie

comme temoin de l'Église. Ce que révèlentles diverses familles liturgiques sur l'eu-charistie, Conférences Saint-Serge.LVII' Semaine d'études liturgiques. Pa-ris 23-26 Juin 2008, Libreria EditriceVaticana, Città del Vaticano 2012, 63-77; ID., Lex orandi et Lex credendi. Quedire d'une Lex agendi ou Lex vivendi?Pour une théologie du culte chrétien, «LaMaison-Dieu» 250 (2007) 111-133.

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4. Una riforma di Gregorio Magno:il momento della Frazione del pane

Prima di Papa Gregorio (590-604), la Frazione del pane era collo-cata tra la dossologia finale del Canone Romano, dopo l'Amen, e il Pa-dre nostro. Fu questo Papa che spostò il Pater dalla sua collocazioneoriginaria, dopo la frazione, alla odierna collocazione subito dopo ilCanO'1 Missae e, quindi, prima della Fractio. La cosa non piacque atutti cosicché il Papa dovette difendersi e lo fece spiegando le ragionidella la sua riforma nell'Epistula 9, 262(,. Ancor oggi la Chiesa romanaspezza il pane eucaristico subito dopo il Padre nostro secondo quantostabilito da Papa Gregorio. Non così nella Chiesa ambrosiana ove lariforma di Gregorio Magno non fu mai recepita. A Milano, ancor og-gi, il pane viene spezzato alla fine della preghiera eucaristica, primadel Padre nostro. I fedeli di rito romano, che si recano a Milano, nontrovano alcuna difficoltà in una celebrazione eucaristica che ha la fra-zione del pane in un momento diverso da quello del rito romano. Al-trettanto vale per i fedeli di rito ambrosiano quando partecipano aduna messa in rito romano. Ma se il rito ambrosiano spostasse la Frac-tio panis e la collocasse dopo il Padre nostro, come nel rito romano,avremmo certamente delle resistenze. Altrettanto varrebbe per il ritoromano qualora volesse spostare la Fractio panis per collocarla comenel rito ambrosiano. Nella questione della posizione della Fractio , nonc'è nulla di teologico, dato che ci sono buoni argomenti sia per l'unasia per l'altra soluzione e nessuna prevale sull'altra.

Con queste considerazioni voglio dire che le riforme liturgichedebbono fare i conti non solo con il fatto liturgico in se stesso, e conle sue motivazioni, ma anche con la psicologia sia del clero sia dei fe-deli, che non amano i cambiamenti a meno che le novità introdottenon rappresentino una esigenza sentita da tutti.

5. La riforma a confronto con la storia

Per il Concilio la norma primaria della liturgia sta nella Tradizio-ne della chiesa, all'interno della quale la testimonianza patristica gio-

20 «Orationern uero dominicam id-circo mox post precem dicimus, quiamos apostolorum fuit, ut ad ipsam so-lummodo orationem oblationis hostiamconsecrarent» tRegistrum epistularum,

Lib. 9, epist. 26, in D. NORBERG (ed.), S.Gregorii Magni. Registrum epistularum,Libri VIII-XIV, Appendix (= Corpuschristianorum. Seri es latina 140A), Bre-pols, Turnholti 1982,587, linea 29. 437

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ca un ruolo decisivo e capitale. È evidente che la riforma liturgica de-ve confrontarsi con la storia. In questa prospettiva vengono formulatidue principi: dopo aver eliminato le parti che erano state duplicate,bisogna eliminare tutto ciò che, meno opportunamente, era entratonella liturgia e, inoltre, recuperare dalla tradizione quanto era andatoperduto, sempre che ciò sia giudicato opportuno o necessario!'. Nellariforma liturgica non si può fare dell'archeologismo: si deve formula-re un giudizio di opportunità, o anche di .cessità e, in base a questo,procedere alla riforma. Un tale giudizio ascende i limiti della storiae deve essere formulato in base a deterrnmati criteri, o principi, chetuttavia non sono facili da formulare. Deve essere chiara una cosa: perla riforma si deve risponderne alla Tradizione. Torneremo su questopunto.

La Chiesa, lungo i secoli, ha incontrato altri casi di riforme litur-giche che, più o meno, hanno subito le stesse vicissitudini della rifor-ma del Vaticano II. Vediamo ora due casi: la riforma liturgica in Hi-spania, con l'abolizione della liturgia Vetus hispanica, e il caso dellariforma liturgica nella Chiesa russa del XVII secolo.

6. Una riforma liturgica in Spagna:l'abolizione della liturgia Vetus Hispanica

Uno dei casi più interessanti di riforma liturgica è avvenuto inSpagna alla fine del primo millennio e il risultato fu semplicemente lasoppressione dell'antica liturgia spagnola nel 1080. I fatti comincianoda lontano quando, nel secolo VIII, la decadenza culturale dell'Euro-pa venne sentita fortemente anche in Spagna dove nacque la cosid-detta eresia «adozionista. il cui esponente più significativo fu Elipan-do (t 790), arcivescovo di Toledo. Egli combatteva un certomaldigerito arianesimo di Mignezio e, per farlo, si imbarcò in una co-struzione teologica sicuramente infondata ed erronea, il cosiddettoadozionismo. La mancanza di precisione teologica si mescolava conun forte orgoglio e un senso di autosufficienza che lo portava ad unadifesa a oltranza delle proprie posizioni. Tutti coloro che furono coin-volti nella polemica, utilizzarono abbondantemente i testi liturgici

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21 «Ouarnobrem ritus, probe servataeorum substantia, simpliciores fiant; eaomittantur quae temporum decursu du-plicata fuerunt, vel minus utiliter addi-ta; restituantur vero ad pristinam sane-

torum Patrum normam nonnulla quaetemporum iniuria deciderunt, prout op-portuna vel necessaria videantur» (Sa-crosanctum. concilium, n. 50).

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La riforma liturgica del Vaticano II

per sostenere la loro posizione. I testi erano quelli dell'antica liturgiaspagnola detta anche visigotica o mozarabica. Questo dimostra, comedice il compianto Jordi Pinell i Pons", fino a che punto l'antica litur-gia rappresentasse per loro l'espressione della fede tradizionale; lostesso fatto dimostra ancora che, se poteva essere citata anche controdi lui, l'antica liturgia non aveva niente a che vedere con l'adozioni-smo che Elipando sosteneva. Felice, vescovo di Urgell, aderì alla dot-trina di Elipando. Felice apparteneva alla Marca Hispanica, una re-gione di cultura ispanica ma geograficamente e politicamenteappartenente al regno dei Franchi. Acausa di ciò, il problema di que-sta cosiddetta eresia diventò un pericolo più ampio che minacciaval'ortodossia della Chiesa intiera. Intervenne Carlo Magno che denun-ciò il fatto a Papa Adriano (772-795). Era soprattutto il vescovo Felicead essere oggetto delle decisioni sia di re Carlo sia di Papa Adriano edei sinodi da loro indetti. Le condanne non risolsero il problema, percui Roma cominciò a preoccuparsi della questione, ossia della realeortodossia del rito ispanico. Nel X secolo il presbitero Zanellus fumandato dal Papa a esaminare i libri liturgici della Spagna; egli nontrovò nulla che potesse sembrare una eresia, ma si rese conto che ilracconto dell'ultima cena, durante la messa, non era identico a quellodella liturgia romana perché dipendeva direttamente alla prima lette-ra di Paolo ai Corinzi. Tuttavia la visita si concluse positivamente da-to che l'inviato papale lodò la liturgia ispanica limitandosi a chiedereun cambiamento del racconto dell'ultima cena per uniformarlo al ritoromano. Ma la romanizzazione del rito ispanico era cominciata dalunga data, già prima della lettera di Papa Vigilio al vescovo Profutu-ro di Braga (538) ed era continuata, qua e là, in varie forme. Una tap-pa significativa si ha con il concilio di Coyanza (1050) che permisel'introduzione del Canone Romano.

Nel 1068 il problema venne di nuovo posto sul tappeto durante ilpontificato di Papa Alessandro II (1061-1073). L'inviato del Papa erail cardinale Ugo il Candido che aveva lo scopo preciso di arrivare al-la soppressione del rito spagnolo, ma i vescovi si opposero fortemen-te rifacendosi alla approvazione di Zanellus. Davanti all'insistenzasia di Ugo sia di altri cardinali, i vescovi decisero di mandare una de-legazione a Roma per discutere la questione direttamente con il Pa-pa facendogli esaminare direttamente i testi della loro liturgia. Papa

l

')

22 Per tutta questa trattazione mi ri-faccio a I. PINELLl PONS,Le famiglie li-turgiche, in Anamnesis. La. liturgia. Pa-

norama storico generale, voI. II, Marietti,Casale Monferrato 1978, 62-88.

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Alessandro esaminò detti libri e concluse che non c'era nulla di ereti-co confermando, quindi, che l'antico rito ispanico era ortodosso e po-teva continuare a esistere. Il caso diventa completamente diverso conil successore, il Papa Gregorio VII (1073-1085), che aveva un precisoprogramma di riforma della Chiesa; un programma difficile da rea-lizzare perché incontrava opposizione anche nell'episcopato. La suaesperienza maturata nella querelle con la Chiesa d'Oriente fu deter-minante. Egli, infatti, si era reso conto che la differenza dei riti litur-gici trascinava con sé una differente disciplina della Chiesa. La di-versità dei riti aveva aperto un abisso tra la Chiesa di Roma e lechiese d'Oriente. Una liturgia propria in Spagna limitava il raggiod'influenza del suo programma di riforma. Il Papa quindi decise perl'abrogazione del rito ispanico, ma questa volta non si rivolse ai ve-scovi bensì al re. La questione del rito ispanico era diventata unaquestione politica. Tramite i legati papali era stato possibile sostitui-re l'antico rito ispanico con il rito romano in alcuni monasteri manon nell'intera Spagna. Nell'anno 1079 Gregorio VII mandò come le-gato l'abate Riccardo di Marsiglia che fece in modo che Alfonso VI,re di Castiglia e di Leon, convocasse il concilio di Burgos (l080) cheabrogò l'antico rito ispanico e impose di sostituirlo con il rito roma-no in tutto il regno.

La cosa, tuttavia, non fu indolore dato che sia il popolo sia il cle-ro era molto legato all'antico rito. Ne è segno il fatto che, alla presa diToledo, come riconoscimento dei loro meriti, il re concesse ai Moza-rabi che nelle sei parrocchie di questa città venisse ripristinato l'anti-co rito, malgrado l'abolizione che era stata decretata dal concilio diBurgos. Le comunità mozarabiche difesero con grande decisionequesto loro diritto anche quando l'arcivescovo di Toledo, Bernardo diSahagun (1085-1124) cercò di sopprimere tale privilegio. Nel 1495 ilcardinale Francisco Ximénez de Cisneros, rendendosi conto dell'im-portanza del rito antico della Spagna, istituì nella cattedrale di Tole-do la cappella mozarabica affinché ogni giorno vi si celebrasse lamessa e l'ufficiatura secondo l'antico rito. Inoltre il cardinal Ximénezincaricò il canonico Alfonso Ortiz dell'edizione a stampa del messalee del breviario, che furono pubblicati a Toledo nel 1500 e nel 1502; ilmessale fu ripubblicato a Roma nel 1755 con un ampio corredo dinote veramente utili, a cura del gesuita Alessandro Lesley. Una nuo-va edizione fu pubblicata a Roma a cura del cardinale Lorenzana nel1804.

Ma il rito Vetus Hispanicus non è solo questione del passato; quan-440 do il concilio Vaticano II iniziò la riforma liturgica, la Chiesa spagno-

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la che si ricordava del suo antico rito, cercò di farlo risorgere". Nel1982 il cardinale Marcelo Gonzalez Martin nominò una commissionedi esperti per la revisione del messale di rito ispanico a norma del Va-ticano II. La nuova edizione del Missale Hispano-Mozarabicum, inquattro volumi, fu approvata nel 1988, corredata di Praenotanda enorme>, da utilizzare per celebrazioni occasionali o per celebrazionilegate a determinati periodi. Ciò non significa che in Spagna sia tor-n;· ) in vigore l'antico rito al posto del rito romano. Il rito Hispano-I .zarabicus resta una possibilità per situazioni particolari o occasio-n.ui. Normalmente in Spagna si celebra la liturgia romana secondo ilmessale di Paolo VI debitamente tradotto.

In conclusione, trovo particolarmente interessante la situazionespagnola ove, dopo un millennio, c'è ancora ildesiderio dell'antico ri-to Vetus Hispanico. Inoltre va osservato che qui è come se fossero invigore due riti: un rito ordinario costituito dal messale di Paolo VI, eun rito straordinario costituito dal Missale Hispano-Mozarabicum ere-de della grande tradizione di questa antica liturgia.

7. Una riforma liturgica nella Chiesa russa:il caso del patriarca Nikon

Di umili origini, dopo un matrimonio poco felice, Nikon (1605-1681) si fece monaco distinguendosi per la sua generosità verso i po-veri>. Dopo essere stato Metropolita di Novgorod fu eletto Patriarcadi Mosca nel 1652. I rapporti del Patriarca con lo Zar erano moltostretti, dato che Mosca, in quanto Terza Roma, aveva ereditato la con-cezione bizantina della 'sinfonia' ossia della identità di vedute e diazione tra Patriarca e Zar, cosa che si rifletteva soprattutto nella poli-tica estera. Lo zar Alessio (1645-1676) aveva un suo progetto politicodi espansione dell'impero, di creare un impero ortodosso riunendo

2J I. PINELL l PONS, Storia delle litur-gie occidentali non romane, in A.I. CHU-PUNGCO (ed.), Scientia liturgica. Manualedi liturgia, voI. 1, Piemme, Casale Mon-ferrato (AL) 1998,213.

24 A. WARJJ - C. IOHNSON, Presenta-tion, Appendices, in M. FÉROTlN (ed.), LeLiber Mozarabicus Sacramentorum etlesmanuscrits mozarabes (= Monumentaecclesiae liturgica 6), Librairie de Fir-min-Didot et C.ie, Paris 1912, Réirnpres-sion de l'édition de 1912 et bibliogra-

phie générale de la liturgie hispanique,préparées et présentées par AnthonyWard et Cuthbert Johnson (= Bibliothe-ca "Ephernerides Liturgicae". Subsidia.Instrumenta liturgica Quarrerisiana 4),CLV-Edizioni liturgiche, Roma 1995,31-40. L'edizione completa delle normesi trova in «Notitiae» 24 (1988) 673-680.

25 G. CIOFFARI, Nikon, in E.G. FARRU-

GlA (ed.), Dizionario enciclopedico dell'O-riente cristiano, Pontificio Istituto Orien-tale, Roma 2000, 530. 441

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tutti gli ortodossi del mondo sotto di lui, Zar di Mosca, Terza Roma>.Per Alessio la riforma liturgica era il primo passo del suo programma:l'unità liturgica era essenziale, perché se le chiese fossero state divisetra loro con differenti liturgie non avrebbero potuto diventare un soloimpero. Il nucleo di questa prospettiva stava nel carattere di Mosca,erede dell'Impero di Costantinopoli che, per definizione, era univer-sale. Ivan IV aveva assunto per primo il titolo di Zar, che nel 1561 fuapprovato dal decreto del Patriarca cos ntinopolitano: nacque così lateoria che voleva "Mosca Terza Rom corroborata dal fatto che ilnonno di Ivan ilTerribile, Ivan III ilGrande, aveva sposato Zoe (Sofia)Paleologa ultima discendente della famiglia imperiale dei Paleologi,cui si aggiunse la leggenda che le insegne imperiali fossero state por-tate a Mosca e ivi custodite.

Già prima del 1652 era iniziata la riforma di Alessio che, con l'aiu-to del suo confessore, Stefano Vonifatiev, aveva abolito la pratica del-la monogoglasia- contro la volontà del patriarca Giuseppe. Lo Zaraveva iniziato i preparativi della riforma liturgica nel 1649 stimolatodalla visita del Patriarca Paisios di Gerusalemme; voleva fare una ri-forma a immagine di quella di Petro Moghila (1596-1646, Metropoli-ta di Kiev dal 1632) che aveva ravvicinato gli usi ruteni a quelli greci.Per Alessio era chiaro che i Greci avessero conservato intatti gli usiantichi: non c'era alcun dubbio in merito e questo divenne un postu-lato. Per fare la riforma della liturgia ci voleva un modello e, ovvia-mente, in quanto erede di Costantinopoli, ilmodello della riforma erala liturgia greca. Vedendo le differenze tra la liturgia greca e quellarussa, lo Zar volle 'correggere' gli usi russi sulla base dei codici greci,supposti antichi. La liturgia greca fu considerata la più antica e, quin-di, originale, mentre gli usi russi vennero spiegati come errori intro-dotti a causa di cattive trascrizioni dei codici antichi. Il vero genio del-la riforma, tuttavia, non era ilpatriarca Nìkon, bensì lo zar Alessio peril quale il patriarca non fu altro che uno strumento di esecuzione".

Il Patriarca Nikon si mise nella linea di Alessio e, nel 1652, iniziò lariforma dei libri liturgici russi. Con l'avvento di Nikon la riforma subì

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26 P. MEYENDORFF, Russia. Ritualand Reform, The Liturgical Reforms ofNikon in the 17'h Century, St. Vladimir'sOrthodox Theological Seminary Press,Crestwood (NY) 1991, 96.

27 Con questo termine si indica l'e-secuzione simultanea di più parti del-l'ufficiatura, con lo scopo di guadagnaretempo, senza essere costretti a soppri-

mere l'uno o l'altro elemento dell'uffi-ciatura stessa. Cfr. TH. POTI,La. réformeliturgique byzantine. Étude du phénomè-ne de l'évolution. non-spontanee de la li-turgie byzantine (= Bibliotheca Epherne-rides liturgicae. Subsidia 104), CLV -Edizioni liturgiche, Roma 2000, 214,nota 95.

28 Ivi, 214.

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un'accelerazione grazie al suo carattere energico e proseguirà anchedopo la sua rinuncia al trono patriarcale (1658). Nel 1551 il Conciliodei cento capitoli aveva cercato di mettere ordine nella pratica liturgi-ca e aveva dichiarato come normativi i libri liturgici russi proponendocome modello il manoscritto del sluiebnik>. Attento più agli aspettiesteriori della liturgia che al valore teologico dei testi, Nikon miravapiù al prestigio personale, alla solennità della liturgia del Patriarca, cheal contenuto dei testi che venivano riformati. Le riforme che egli intra-prese, furono caratterizzate da due tendenze che le resero odiose allamaggioranza dei credenti: esse furono introdotte in modo brusco e au-toritario e presentarono gli usi liturgici greci come i soli da seguire, fe-rendo in tal modo il patriottismo religioso dei Russi. Per essere certoche !'insieme dei cambiamenti corrispondesse agli usi greci, Nikon in-viò al patriarca di Costantinopoli 28 quesiti sulla liturgia.

Nel 1654 Alessio aveva convocato un Concilio per chiedere ai ve-scovi di approvare la correzione degli usi russi, considerati come cor-ruzione degli usi greci. Ma la base per le correzioni non furono gli an-tichi codici greci, ma l'Eucologio greco edito a Venezia nel 1602. Erala trasposizione in russo delle rubriche della contemporanea praticagreca, mentre i mutamenti nei testi non avevano reale portata teolo-gica. Ma forse non c'erano solo elementi rituali; infatti, secondo Nico-lay Ouspensky (emerito dell'Accademia Teologica di Leningrado), c'e-ra anche una componente teologica dietro queste riforme e si trattavadella teologia eucaristica che si sarebbe infiltrata nel nuovo messaleriformato che era stato presentato nel 1655 al Concilio che, poi, loaveva approvato. La riforma avrebbe dovuto essere tributaria di anti-chi testi greci e slavi, ma questo messale fu composto in un mese sol-tanto, un tempo insufficiente per consultare i codici «slavi e greci an-tichi», come si afferma nell'introduzione;'). Inoltre «il prof. A. A.Dimitrievsky ha stabilito che il messale datato 31 agosto 1655 si basa-va sul messale Striatinsky del vescovo di Lwow, Gedeone Balaban,pubblicato nel 1604, ma con importanti correzioni secondo l'Eucolo-gio di Venezia del 1602»!\.Si basava anche su dei messali di Kiev,quel-lo dell'archimandrita Eliseo YeliseyPletenetsky (ed. 1620) e quello diPetro Moghila (ed. 1629) che, in un certo modo, risentivano della dot-

1'..··

29 Ivi, 215.30 N. OUSPENSKY, Le schisme dans

l'Église russe au XVII' siècle comme suited'une collision de deux théologies, inA.M. TRIACCA - A. PISTOIA (ed.), La. litur-gie expression de la foi, Conférences

Saint-Serge, XXV' Semaine d'Études Li-turgiques (Paris 27-30 Juin 1978) (= Bi-bliotheca Ephemerides liturgicae. Sub-sidia 16), CLV - Edizioni liturgiche,Roma 1979, 232.

31 [vi, 235. 443

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trina occidentale sull'eucaristia. Non so se queste infiltrazioni di dot-trine occidentali abbiano influito veramente sullo scisma in questio-ne, ma prendo atto di questa prospettiva stabilita dal prof. Ouspensky.

Nel 1655, nel giorno del trionfo dell'ortodossia, il patriarca Nikonprocedette alla revisione solenne delle icone e fece distruggere e bru-ciare quelle che egli considerava come non corrispondenti alla regola,fossero esse 'occidentalizzate', oppure 'russifìcate'. Nel maggio 1655giunse a Mosca la risposta del patriarca di Costantinopoli, piena dimoderazione, che sottolineava che le differenze dei riti potevano con-tinuare a esistere e che l'unità intangibile non riguardava che la fede.

Nel 1655 fu pubblicato un opuscolo che conteneva gli emenda-menti proposti per l'anno successivo e furono chiamati eretici tutti co-loro che attenendosi alla 'vecchia maniera' si rifiutarono di accettare icambiamenti. Questi oppositori si chiamarono "Vecchio-Credenti" e,in epoche posteriori, si divisero in due gruppi o sette.

Il giorno del trionfo dell'ortodossia del 1656 fu scelto per la rifor-ma del segno della croce; poi Nikon procedette alla sostituzione dei li-bri liturgici russi con delle nuove edizioni corrette in base ai testi gre-ci, stampate paradossalmente a Venezia, il che provocò ulteriorediffidenza. I vecchi libri liturgici furono portati a Mosca e bruciatipubblicamente. I Russi, attaccati ai loro testi e ai loro canti, non si ri-conobbero più nei nuovi libri liturgici e la lotta si concentrò soprat-tutto sui testi dell'ufficiatura e sull'uso del segno di croce con due dita(uso russo) o con tre (uso greco). Questi divennero i due segni distin-tivi dell'opposizione alle riforme del patriarca Nikon. Le differenze ri-guardavano anche la preparazione dei santi doni e il numero dei paniliturgici. Gli abiti dei sacerdoti e dei monaci subirono ugualmente deicambiamenti radicali". Oltre al segno della croce con tre dita, ebberoun certo peso anche le prostrazioni della grande quaresima di EfremSiro (4 grandi e 12 piccole prostrazioni, invece di 16 grandi). Pubbli-cati nel Salterio del 1653, questi cambiamenti fecero nascere un gran-de dissenso tra i correttori che vedevano disatteso il Concilio dei 100capitoli del 1551.

Quando nel 1658 Nikon lasciò il trono patriarcale, la rottura eraun fatto già consumato; il movimento di opposizione, che si era rag-gruppato attorno al presbitero Petrov Avvakum, divenne un fatto di

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32 P. KOVALEVSKY, Trois réformes li-turgiques en Russie: 1551, 1620, 1652, inA.M. TRlACCA - A. PISTOlA (ed.), Liturgiede l'Église particulière et liturgie de l'Egli-se universelle, Conférences Saint-Serge

(Paris, 30 juin - 3 juillet 1975) (= Biblio-theca Ephemerides liturgicae. Subsidia7), CLV - Edizioni Liturgiche, Roma1976,202-203.

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grande portata. Nel 1653 il Protopop Avvakum si era messo a capodella resistenza dei tradizionalisti contro la riforma liturgica che fuconsiderata un'alterazione del patrimonio dell'autentica fede ortodos-sa russa. Fu esiliato per dieci anni in Siberia (1653-1664).

Dopo le dimissioni del Patriarca, lo Zar per favorire la pace nellaChiesa autorizzò la tolleranza dei vecchi libri liturgici russi, a condi-zione di non contestare l'ortodossia dei nuovi libri liturgici. Poichél'opposizione non demordeva e poiché era impossibile raggiungere lapace della Chiesa, iniziò la persecuzione dei Vecchio-Credenti. Suc-cessivamente, il Grande Concilio del 1666confermò la riforma del pa-triarca Nikon pur criticandone il metodo; i nuovi libri liturgici furonoresi obbligatori e chi non si piegava alla riforma di Nikon, dichiarataortodossa, veniva anatematizzato e imprigionato in monasteri.

Ci fu, poi, un nuovo Concilio nel settembre 1666 con la deposizio-ne di Nikon e nel febbraio 1667 i vecchi libri liturgici vennero dichia-rati eretici. I Vecchio-Credenti furono abbandonati all'autorità civileper essere puniti. Avvakumfu scomunicato nel 1666 al grande Conci-lio di Mosca. Nel 1667 fu imprigionato e vi restò fino al 1682 quandofu condannato a morire sul rogo>. Il governo imperiale russo conti-nuò a perseguitare i Vecchio-Credenti e molti di loro, nel XVIII seco-lo, fuggirono in Asia. Altri furono costretti ad abbandonare la Russiaeuropea. Numerose comunità vissero nell'isolamento pressoché com-pleto. Nel 1847 l'ex vescovo ortodosso Ambrogio di Sarajevo si unì aquesto gruppo e consacrò due vescovi, dando inizio a una gerarchiaall'interno del folto gruppo. Era nata una Chiesa parallela. Nel 1905 lozar emanò l'Editto di Tolleranza che garantiva a questi scismatici unriconoscimento legale e, successivamente, ci furono vari tentativi persuperare lo scisma. Nel 1929 il metropolita Sergio e il Santo Sinodohanno tentato inutilmente di sanare la separazione; dopo la secondaguerra mondiale, gli incontri tra la Chiesa russa ufficiale e i Vecchio-Credenti culminarono nel 1971 con la solenne revoca dei reciprocianatemi. Finora, comunque, la piena comunione tra i Vecchio-Cre-denti e la Chiesa ortodossa russa non è stata ristabilita".

È difficile valutare la consistenza di questi Vecchio-Credenti oggi.Con una valutazione prudenziale si può stimare che siano 2.500.000,mentre ci sono altre valutazioni che parlano di 4.000.000.

33 R. EMUS, Avvakum, in E.G. FAR-RUGIA (ed.), Dizionario enciclopedico del-l'Oriente cristiano, 94-95.

34 R. ROBERsON, The Eastern Chri-stian Churches. A Brief Survey, Edizioni'OrientaIia Christiana', Roma 19996, 122. 445

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7.1. Altri. elementi della rijorma

La percezione che alcune modifiche fossero frutto più di arbitra-rietà che di solide e fondate motivazioni, ebbe come effetto quello didisorientare i fedeli e di mal predisporli nei confronti delle autoritàreligiose.

Oltre ai cambiamenti già visti, citiamo altri interventi di riforma.Nel nuovo rito le processioni sono r ntrosole invece che nella dire-zione del sole. Nel nuovo rito ci SOl cinque prosfore invece di sette.L'Alleluia si dirà tre volte nel nuovo LtO, mentre prima si diceva solodue volte. Le numerose modifiche nei messali e nei libri liturgici oc-cupano all'incirca 400 pagine, ma sono tutti cambiamenti di questogenere. Ben più importante, invece, è l'atteggiamento dei Vecchio-Credenti che si oppongono per principio a ogni forma di ecumeni-smo, restando così fedeli a una scelta che appartiene alle origini stes-se del movimento, contrario al progetto politico dello Zar Alessio.Non entriamo nelle particolarità dei vari gruppi nati dallo scisma deiVecchio-Credenti, tra i quali c'è anche un movimento che rifiuta to-talmente la gerarchia ecclesiastica.

7.2. Per una valutazione di questo scisma

Inizialmente le divergenze tra i libri liturgici, e altre osservanze,dei Greci e dei Russi, vennero imputate a errori della tradizione rus-sa. Ossia, nel tempo, la tradizione russa si sarebbe corrotta. La rifor-ma quindi era tutta a favore dei libri liturgici greci. Solo alla fine delXIX secolo, iniziarono gli studi critici sulle antiche tradizioni russe.La conclusione è presto detta: gli usi della liturgia russa erano viciniall'originale mondo bizantino più di quanto lo fossero gli usi liturgicigreci. E vediamo il perché.

Il sistema liturgico bizantino" è erede dei fasti imperiali di Co-stantinopoli prima dell'VIII secolo ed è, di fatto, un ibrido dei riti diCostantinopoli e di Palestina gradualmente elaborati tra il IX e ilXIVsecolo nei monasteri del mondo ortodosso a partire dal tempo dellalotta contro l'iconoclastia. In questo ha avuto un grande peso TeodoroStudita (759-826). A partire di qua lo sviluppo è stato continuo. Gliantichi usi russi, invece, fanno riferimento alla cosiddetta «fase impe-riale», che appartiene al tardo antico, specialmente con il regno di

4463; In tutto questo mi baso su R.F.

TAFT, The Byzantine Rite: A Short Hi-story, Liturgical Press, Collegeville (MN)1992.

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La riforma liturgica del Vaticano II

Giustiniano (527-565), e che ha creato il sistema della liturgia catte-drale che, poi, è sopravvissuto per un certo tempo anche dopo la con-quista latina (1204-1261). È stata molto importante sia l'era studita(800-1204) sia l'era della sintesi finale, neo-sabaita, dopo la conquistalatina (1204-1261). L'era della sintesi finale, neo-sabaita, modificògradualmente e, alla fine, soppiantò dappertutto il rito studita che, indefinitiva, è anch'esso un rito "sabaita" ma di una generazione prece-dente. Il rito di Gerusalemme influenzò fortemente il rito cii Costanti-nopoli. L'influsso avvenne attraverso i monasteri, anzitur ., quelli diPalestina e di Costantinopoli.

In una parola, gli usi liturgici russi erano rimasti fermi, mentre laliturgia bizantina 'dei Greci' aveva continuato a svilupparsi. Era evi-dente, quindi, che c'erano delle discrepanze tra la liturgia russa e la li-turgia greca perché i Russi avevano conservato gli usi più antichi. Lariforma liturgica del patriarca Nikon, dunque, fu basata sull'errore diritenere che i testi russi fossero frutto di una corruzione dei più anti-chi testi greci. La pretesa di "tornare all'antico" finì, invece, per rece-pire i più moderni sviluppi della liturgia dei Greci. In altre parole, av-venne tutto il contrario di quanto lo zar Alessio e il patriarca Nikon sierano proposti. Né i Vecchio-Credenti né i riformatori avevano unaconoscenza storica sufficiente per valutare quanto ci fosse di più anti-co nella liturgia russa e nella liturgia dei Greci. Dobbiamo dire che, aldi là di questo, ci fu mancanza di prudenza in chi fece la riforma; magli avvertimenti non erano mancati: infatti, la lettera del patriarcaPaisios, del 1655, sulla quale si basarono i vari Concili, si limitava araccomandare l'unità nella fede e nelle cose essenziali.

Conclusione

A proposito della riforma della liturgia russa, dobbiamo dire checi fu l'errore di considerare la liturgia non secondo la sua natura, lanatura sua propria, quella che emerge dal rapporto con l'opera di sal-vezza operata da Cristo, bensì secondo la sua funzione sociologica. In-fatti, la liturgia con i suoi riti, con i suoi gesti, con le sue preghiere,venne considerata come un segno dell'identità di un popolo e non inbase alla sua natura e alla sua funzione. È vero che nell'analisi socio-logica, la liturgia esprime fortemente l'identità di un popolo, e ne di-venta quasi garante a causa della sua forte e innegabile componenteculturale che è legata alla tradizione. Da qui la lotta e la polemica trachi vuole conservare l'identità liturgica di un popolo e chi la vuole ri- 447

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formare; ma bisogna vedere per quali motivi la si vuole riformare e sele riforme sono vere riforme secondo la natura specifica della liturgia.

Questa identità è fondata non tanto sulla Tradizione, quanto piutto-sto - per la sua componente culturale - sulla forma che la tradizione del-la precedente generazione ha trasmesso alla generazione successiva.

Nondimeno, va sempre ricordato che la liturgia nasce dall'operaredentrice di Cristo, e che è questo il criterio di valutazione primo efondamentale. Non la sua funzione sociologica o psicologica. Credo dipoter affermare che la liturgia entra necessariamente in una situazio-ne di profonda crisi, quando è considerata non secondo la sua finali-tà, la finalità sua propria, ma secondo la sua funzione sociologica epsicologica di confermare gli individui nell'identità che essi ricercano.La riforma liturgica del Patriarca Nikon ne è un'evidente dimostra-zione. Ma anche la riforma liturgica avvenuta in Hispania per volontàdi Gregorio VII va giudicata alla stessa maniera, dato che obbediva aun criterio di politica ecclesiastica. Ma questo non esclude che essaabbia avuto effetti positivi, come effettivamente ha avuto.

Passiamo ai giorni nostri. La riforma liturgica deliberata dal con-cilio Vaticano II e successivamente posta in esecuzione dalla SedeApostolica, è stata fatta per motivi pastorali, ossia per portare i fedelialla partecipazione attiva, pia e fruttuosa. Quando Gesù conferì all'a-postolo Pietro ilprimato, glielo conferì dicendo: «Pasci i miei agnelli»(Cv 21,15). Il verbo pascere viene ripetuto tre volte, secondo il consue-to modo ebraico di stabilire il valore normativo della cosa. Ne segueche il pascere è un atto apostolico, un atto della gerarchia ecclesiasti-ca che esercita il suo 'primato'. Nell'attuazione della riforma liturgica,la gerarchia della Chiesa esercita il compito che le ha conferito Cristo,il potere più alto che le è stato conferito, quello di pascere, che noichiamiamo pastorale. In tal caso, dunque, la promozione della parte-cipazione attiva - che fa parte del pascere - chiama in causa e si rifà alpotere apostolico conferito da Cristo.

Per la riforma liturgica, già a partire da Pio V, non fu difficile af-fermare che bisognava riportare la liturgia «ad pristinam sanctorumPatrum normarn». Quello che è difficile, invece, è saper discernere,nella tradizione liturgica, quali sono le componenti propriamente cul-turali e quali sono le componenti cristologiche dato che, nella tradi-zione della Chiesa, le due componenti risultano sempre mescolate traloro. Tuttavia è possibile dare un criterio indiretto, che abbiamo rica-vato dalle due riforme liturgiche esaminate, quella hispanica e quellarussa. Ossia possiamo dire che ciò che appartiene alla funzione socio-logica o psicologica della liturgia è sicuramente di tipo culturale. In-

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vece, non è necessariamente di origine culturale ciò che appartiene al-la funzione sociale o alla spiritualità anche devozionale della liturgia.Liturgia e devozione popolare sono più vicine di quanto si pensi.

C'è inoltre, come abbiamo visto, la questione della ricerca storicache serve per accertare quale sia la Tradizione della Chiesa; proprioperché è uno strumento indispensabile, non è un compito facile datoche la ricerca storica è sempre ulteriormente perfettibile. Non solo,infatti, compaiono nuovi dati ma, soprattutto, bisogna riconoscereche i metodi di indagine divengono sempre più raffinati. Per questomotivo si deve affermare che la riforma liturgica del Vaticano II nonpossa essere considerata come un fatto definitivo, semel et pro semper,ormai concluso dalla pubblicazione dei nuovi libri liturgici. Proprioperché la riforma liturgica è un atto pastorale - nel senso detto supra- noi dobbiamo ritenere che la liturgia dovrà continuamente adattar-si ai bisogni della comunità che la deve celebrare. Grosso modo, èquanto si proponeva il Consilium ad exequendam Constitutionem desacra liturgia quando pensò che, dopo la preparazione dei nuovi libriliturgici, dovesse iniziare la terza fase della riforma" consistente nel-l'adattamento alle varie culture.

36 Cfr. C. BRAGA, UI1 problema fonda-mentale di pastorale liturgica: adattamento

incarnazione nelle varie culture, «Epheme-rides Liturgicae» 89 (1975) 5-39. 449

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APPENDICEIl Messale Romano del 1962 è mai stato abrogato?

Nelle sue memorie il Card. Ratzinger lamenta che, quando è en-trato in vigore il messale di Paolo VI, è stato vietato l'uso del prece-dente messale, promulgato nel 1962 da Giovanni XXIII; egli, quindi,ha riconosciuto esplicitamente che dopo la promulgazione del mes-sale di Paolo VI, il messale del 196 non era più in vigore".

Una commissione di nove care iali, istituita da Giovanni Paolo IInell'estate 1986, avrebbe affermato che il messale precedente «non fumai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio,restò sempre permesso-v. In linea con questo tipo di interpretazione,il Motu proprio di Benedetto XVI, promulgato il 7 luglio 2007, Sum-morum pontificum, sostiene che il messale promulgato nel 1962 daGiovanni XXIII non fu mai abrogato (numquam abrogatam). A rigore,è vero: in base alla canonistica dell'epoca, infatti, non fu mai abrogatoma fu obrogato.

Per meglio chiarire questo tema, è bene confrontare alcuni testi.Ecco come si esprime il Codex iuris canonici, promulgato da Bene-detto XV nel 1917 (in vigore fino al 1983), a proposito dell'obroga-zione: «Lex posterior, a competenti auctoritate lata, obrogat priori, siid expresse edicat, aut sit illi directe contraria, aut totam de integroordinet legis prioris materiam; sed firmo praeseripto can. 6, n. 1, lexgeneralis nullatenus derogat locorum specialium et personarum sin-gularium statutis, nisi aliud in ipsa expresse caveatur. (can. 22). Inbase a questo testo, la abrogazione è una forma di abrogazione, otte-nuta mettendo una nuova norma ([ex) al posto della norma prece-dente; in tal caso, non c'è bisogno di un apposito atto che esplicita-mente abroghi la norma precedente. E così è avvenuto per lapromulgazione del messale di Paolo VI (1970); vediamo come, te-

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37 «Il secondo grande evento all'ini-zio dei miei anni di Ratisbona fu la pub-blicazione del messale di Paolo VI, conil divieto quasi completo del messaleprecedente. [...] Il fatto che, dopo un pe-riodo di sperimentazioni che spessoavevano profondamente sfigurato la li-turgia, si tornasse ad avere un testo li-turgico vincolante, era da salutare comequalcosa di sicuramente positivo. Ma ri-masi sbigottito per ildivieto del messaleantico, dal momento che una cosa simi-le non si era mai verificata in tutta lastoria della liturgia. Si diede l'impres-

sione che questo fosse del tutto norma-le. [...] La promulgazione del divieto delmessale che si era sviluppato nel corsodei secoli, fin dal tempo dei sacramenta-ri dell'antica Chiesa, ha comportato unarottura nella storia della liturgia, le cuiconseguenze potevano solo essere tragi-che» (I. RATZINGER, La. mia vita. Ricordi[1927-1977], Edizioni San Paolo, Cini-sello Balsamo 1997, 113).

38 Citato da G. MICCOLl, La Chiesadell'anticoncilio. I tradizionalisti alla ri-conquista di Roma (= Storia e Società),Laterza, Roma - Bari 20 Il, 316.

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nendo ben presente che la obrogazione e la abrogazione riguardano leleggi, non altre realtà.

Sul rapporto tra il Messale romano del 1970 e quello del 1962, allo-ra vigente, ecco il testo del decreto della Congregazione dei Riti (6 apri-le 1969) col quale si promulga il nuovo Ordo missae: «Haec Sacra Ri-tuum Congregatio de speciali mandato eiusdem Summi Pontificispraedictum Ordinem Missae prornulgat, statuens [... ]. Una vero cumOrdine Missae, evulgatur etiam Institutio generalis Missalis Romani quae r.deinceps locum tenebit tractatuum: Rubricae generales, R!11lS servandusin celebratione et in concelebratione Missae, et De defectibus in celebratio- ,'ì

ne Missae occurrentibus, qui initio Missalis Romani nunc extant»>.Dunque sono state sostituite tutte le rubriche e tutte le indicazio-

ni rituali; inoltre, nella sua Constitutio, Paolo VI indica quali sono leparti del messale che vengono riformate o innovate".

Conclusione: non c'è dubbio che il nuovo messale voglia prendereil posto del messale di Giovanni XXIII. Lo dice esplicitamente il decre-to della Sacra Congregazione dei riti, ora citato. Qui si verificano nonsolo uno, ma tutti i tre modi di obrogazione previsti dal CIC dell'epoca.

Si noti che, propriamente parlando, non è il messale di GiovanniXXIII (detto anche di Pio V) che viene obrogato: si obrogano i decretie cessano di valere le rubriche e le norme liturgiche che ne regolava-no l'uso. Aquesti, si sostituiscono nuove rubriche e nuovi decreti. Fat-to questo, ne risulta che è ilmessale stesso - ilvecchio messale - a nonessere più in uso, poiché sono state obrogate tutte le norme giuridicheche lo regolavano.

D'altra parte, nel caso che non ci fosse stata obrogazione, il messaledel 1970 non sarebbe mai entrato in vigore per carenza di promulgazio-ne. Lo stesso Motu proprio di Benedetto XVI, Summorum pontificum,non solo non nega la validità della promulgazione, ma la considera tut-tora in vigore al punto da definire ilmessale di Paolo VI come «unico ri-to ordinario». Quindi esso è stato correttamente promulgato e i decretidi promulgazione sono validi: pertanto, se è valida la promulgazione delnuovo messale, è valida anche la obrogazione dei precedenti decreti ivicontenuta. Inoltre, la Constitutio di Paolo VI prevede esplicitamente un

39 Cfr. R. KACZYNSKl (ed.), Enchiri-dion documentorum. instaurationis litur-gicae (1963-1973), voI. 1, Marietti, Tori-no 1976, n. 1373.

40 «Verumtamen in hac Missalis Ro-mani instauratione, non solum tres, dequibus adhuc diximus, partes, hoc estPrecatio Eucharistica, Ordo Missae etOrdo Lectionum, mutatae sunt, sed ce-

terae etiam, in quibus idem constat, re-cognitae et valde variatae sunt, id est:Temporale, Sanctorale, Commune sane-torum, Missae rituales et Missae voti-vae, quae vocant» (Missale Romanum,cfr. R. KACZYNSKl [ed.], Enchiridion do-cumentorum instaurationis liturgicae[1963-1973J, n. 1369).

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solo messale e infatti il messale del 1970è presentato non come un altromessale, ma come un'ulteriore riforma del messale di Pio V,avente ilme-desimo scopo di 'strumento di unità'. Posto questo meccanismo, dun-que, il messale Reiormatus 'cambia' il messale Reiormandus restandonella continuità. In altre parole, lo sostituisce.

Bisogna ricordare che il grande cambiamento si è avuto nel 1962quando il messale di Giovanni XXIII acquisisce le norme sulla 'parte-cipazione attiva' promulgate da Pio XII nel 1958. Il messale di PaoloVI eredita queste norme e vi adegua le rubriche, meglio di quantoavesse potuto fare il messale del 1962. Se si mette in discussione ilmessale di Paolo VI, vuol dire che si mette in discussione il tema del-la partecipazione attiva che appartiene a tutti i papi del secolo XX, acominciare da Pio X, per arrivare al concilio Vaticano II stesso.

Ma torniamo al nostro tema. Si può discutere sulla bontà dei cam-biamenti operati nel messale di Paolo VI, ma non sulla legittimità giu-ridica del fatto e neanche sulla sostituzione di un messale con un al-tro iobrogaeione).

Il nuovo Codex iuris canonici, promulgato da Giovanni Paolo IInel 1983 elimina il termine "obrogatio" e lo sostituisce con "abroga-tio" facendo vedere l'equivalenza delle due forme. Ecco il canone cor-rispondente: «Lex posterior abrogat priorem aut eidem derogat, si idexpresse edicat aut illi sit directe contraria, aut totam de integro ordinetlegis prioris materiam; sed lex universalis minime deroga t iuri particu-lari aut speciali, nisi aliud in iure expresse caveatur» (can. 20).

Se mettiamo in sinossi il can. 22 del vecchio codice con il can. 20del nuovo codice, si può vedere che essi sono identici, salvo un parti-colare: il verbo obrogare viene sostituito da abrogare; in tal modo sipuò vedere che, nella canonistica di oggi, abrogazione e abrogazionesono due istituti equivalenti.

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CIC (1917), can. 22 CIC (1983), can. 20

Lex posterior Lex posteriora competenti auctoritate lata,obrogat abrogatpriori, priorern

aut eidern deroga t,si id expresse edicat, aut sit illi si id expresse edicat aut illi sitdirecte contraria, directe contraria,aut totarn de integro ordinet aut totarn de integro ordinetlegis prioris materiam. legis prioris rnateriarn.

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Ne segue che oggi si deve dire che obrogazione equivale formal-mente ad abrogazione. Poiché la obrogazione è una forma di abroga-zione, si deve concludere che l'odierna affermazione che il messale diGiovanni XXIII sia ancora in vigore - non essendo stato formalmenteabrogato - è un'affermazione falsa dal punto di vista canonico. Infat-ti, dopo che sono state abrogate tutte le norme di carattere giuridicoche lo regolano, ossia i decreti che contengono le Rubriche generali, ilRito da usare nella celebrazione della messa (Ritus servandus), e gli Er-rori durante la celebrazione della messa (De defectibus occurrenti-bus ... ), il messale non può più essere utilizzato.

Ma qui bisogna introdurre un'importante distinzione. Il problemadell'abrogazione di un messale è mal posto, anzi, è un errore. Infattil'abrogazione e l'obrogazione sono figure giuridiche: si abrogano o siobrogano le norme giuridiche, non i libri liturgici che - in quanto tali- non appartengono a questo ordine di cose. Ed effettivamente il de-creto della Congregazione dei Riti che promulga il messale di PaoloVI, citato sopra, è un decreto giuridico che obroga o, con il linguaggiodi oggi, abroga esplicitamente i precedenti decreti giuridici e che, inol-tre, elenca quali norme obroghino le precedenti norme. Si deve, quin-di, concludere che c'è stata una formale abrogazione.

Essendo stati obrogati i decreti e le rubriche che lo reggono, com-preso ilRitus servandus, ne segue che ilprecedente messale non è più inuso, quantunque ilmessale, in quanto tale, non sia mai stato obrogato.

SUMMARY

During the centuries there have been other cases ofliturgical reformswhich, more or less, have undergone the same difficulties of the reformof the Second Vatican Council, that is hostility and refusal. Here are exa-mined two cases: the abolition ofVetus Hispanica liturgy and the litur-gical reform of the Russian Church in the XVII century. Here there wasthe mistake of considering liturgy not according its own nature but itssociological function of guarantee of the identity and unity of a people.The same as to Hispanic liturgy. Hence the struggle between those whopaid attention to the liturgical identity of a people and those who wan-ted to reform liturgy according to its specific nature. The grounds of cul-tural features may also prevail on the reasons of the sacramental consti-tuent of liturgy. In those cases liturgical reform can become a perfectcasus belli.

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