Relazione Approfondimento

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1 Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione, Finanza e Controllo Programmazione e Controllo Avanzato Ch.ma Prof.ssa M. Bergamin CLIMA ORGANIZZATIVO E INNOVAZIONE GRUPPO 3 Silvia Andriolo Sabrina Arcaro Alessia Del Vescovo Giulia Rossi Fabio Di Pieri Roberto Pagnan

Transcript of Relazione Approfondimento

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Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione, Finanza e Controllo

Programmazione e Controllo Avanzato

Ch.ma Prof.ssa M. Bergamin

CLIMA ORGANIZZATIVO E

INNOVAZIONE

GRUPPO 3

Silvia Andriolo

Sabrina Arcaro

Alessia Del Vescovo

Giulia Rossi

Fabio Di Pieri

Roberto Pagnan

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Indice

1. Il clima organizzativo ................................................................................................................................... 3

1.1 Il clima organizzativo per il successo dell’azienda ........................................................................ 3

1.2 L’influenza del clima organizzativo nelle aziende innovative ................................................... 8

2. Misurare l’innovazione: un focus sulla cultura aziendale ..................................................... 15

2.1 I parametri di misurazione del clima organizzativo abitualmente utilizzati ................... 16

2.2 La misurazione del clima organizzativo ......................................................................................... 19

3. Il team ................................................................................................................................................................ 29

3.1 Il ruolo del top management nella diffusione di un clima organizzativo orientato

all’innovazione ................................................................................................................................................. 29

3.2 L’importanza di un gruppo eterogeneo .......................................................................................... 32

4. Best Practice: il caso Loccioni ............................................................................................................... 35

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1 Il clima organizzativo

1.1 Il clima organizzativo per il successo dell’azienda

Quando si parla di risorse umane in genere si è portati a pensare ad esse come ad un

elemento chiave per il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dall’azienda, ad un fattore

propulsore e generatore di innovazione e di cambiamento, indispensabile nell’odierno

contesto competitivo. In effetti l’azienda è gestita dalle persone che la compongono, da esse

viene interpretata e percepita in maniera soggettiva, e dalle stesse viene subita e al

contempo modellata.

Proprio per questo la nozione di clima organizzativo ha visto riconoscersi nel tempo

un livello di attenzione crescente, riuscendo ad affermarsi come un interessante supporto

per comprendere le organizzazioni, non solo dal punto di vista strutturale ma soprattutto

dal punto di vista psicosociale.

Il clima ha un’influenza peculiare in qualsiasi realtà organizzativa e ha effetti

rilevanti sulla capacità dell’azienda di sfruttare al meglio le risorse tecniche e umane. In

sostanza: un buon clima organizzativo contribuisce positivamente al conseguimento da

parte delle organizzazioni dei propri obiettivi strategici e ad aumentare il commitment dei

propri dipendenti. Le organizzazioni sembrano acquisire una crescente consapevolezza di

tale correlazione positiva, ed è per questo che mirano a migliorare la qualità dell’ambiente

di lavoro.

Il clima organizzativo è stato studiato da alcuni autori come caratteristica propria

dell’organizzazione. Tra questi vanno ricordati anzitutto James e Jones secondo i quali

l’analisi del clima organizzativo poteva evolvere in due ulteriori approcci: il primo per

descrivere il clima organizzativo si avvaleva di indicatori oggettivi, mentre il secondo si

basava su misure percettive. Fondandosi su queste ispirazioni altri autori arrivarono a

fornire alcune definizioni.

Accogliendo il primo approccio, il clima organizzativo è stato definito come “un

insieme di caratteristiche relativamente durevoli che permettono di descrivere

un’organizzazione e di distinguerla dalle altre proprio perché influenzano il comportamento

dei suoi membri”. Diversamente, basandosi sul secondo approccio, il clima è stato inteso

quale “un insieme di attributi specifici di un’organizzazione deducibili dal modo in cui

l’organizzazione si rapporta con i propri membri e il proprio ambiente”.

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1.1.1 Revisione storica della letteratura e principali approcci di studio

Prima di passare all’analisi dei vari approcci che hanno caratterizzato lo studio del

clima aziendale, appare opportuno risalire a quella che è considerata la matrice originaria

di tutti gli studi sul clima organizzativo, e cioè il lavoro di Lewin1 sulle dinamiche di gruppo.

Tra le sue teorie, quella che in questa sede ci interessa è la cd. Teoria del campo, in virtù

della quale il comportamento umano può essere indagato secondo la seguente funzione:

dove C, il comportamento umano, è espresso in funzione dell’ambiente (A), in cui la persona

vive e lavora, e della persona stessa (P), con le sue caratteristiche (personalità, carattere ed

esperienza). Questa funzione appare pertanto utile per comprendere quelli che sono i

comportamenti umani, e soprattutto il loro legame con l’ambiente.

È ancora Lewin ad introdurre il concetto di clima sociale, presentandolo in un lavoro

in cui venivano descritte le conseguenze di differenti stili di leadership sui gruppi. Tale

concetto dopo alcuni anni venne adottato da alcuni studiosi di stampo comportamentista

per essere applicato al management e agli studi sull’efficienza operativa. Tra i vari studiosi

che hanno contribuito allo studio del clima organizzativo, Argyris fu il primo a sviluppare

un vero e proprio modello e ad individuare tre categorie di variabili:

Le politiche e le procedure dell’organizzazione;

I fattori personali (bisogni, valori e capacità individuali);

Insieme di variabili legate allo sforzo degli individui di allineare i propri fini a quelli

dell’organizzazione.

In particolare secondo Argyris il clima è un processo dinamico, un elemento di

regolamentazione del sistema che ne permette il funzionamento stesso. Dopo questa

digressione “storica”, passiamo alla disamina dei principali approcci che hanno

caratterizzato lo studio del clima organizzativo e che consentono di darne una definizione

più esaustiva.

I. Approccio strutturale;

II. Approccio percettivo;

III. Approccio interattivo;

IV. Approccio culturale.

1 Lewin, psicologo statunitense, si occupò con grande attenzione del problema della motivazione individuale e di gruppo, influenzando notevolmente la moderna ricerca psicologica.

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L’approccio strutturale2 considera il clima un attributo dell’organizzazione che esiste

indipendentemente dalle percezioni individuali dei suoi membri. Secondo tale approccio il

clima deriverebbe da alcuni aspetti oggettivi della struttura organizzativa quali:

Dimensioni;

Grado di centralizzazione delle decisioni;

Numero di livelli gerarchici;

Tecnologia impiegata;

Ruoli formali;

Politiche del personale.

In altre parole, l’organizzazione produrrebbe da sé un clima con caratteristiche

indipendenti da quelle percepite dai suoi componenti.

Si tratta di un approccio che noi non ci sentiamo di condividere in quanto presenta

alcune carenze oggettive. Non riesce infatti a spiegare perché all’interno di una stessa

azienda coesistano climi diversi, e perché aziende che operano nello stesso settore, e quindi

con caratteristiche strutturali pressoché uguali, presentino climi differenti. Non è infatti

proprio alla componente umana a cui si fa riferimento quando si parla dell’azienda quale

sistema complesso? E non è sempre la stessa a far sì che l’economia aziendale si collochi nel

rango delle scienze sociali?

Diversamente, secondo l’approccio percettivo il clima deriverebbe da un processo di

elaborazione e interpretazione psicologica di alcuni elementi dell’ambiente ritenuti

interessanti. È quindi l’individuo che impone un significato all’organizzazione sulla base

dell’interpretazione delle condizioni organizzative.

I sostenitori dell’approccio interattivo, invece, considerano come presupposti per

descrivere il clima:

Le interazioni tra gli individui;

Il modo in cui l’impresa viene vista da coloro che la vivono.

Abbandonano quindi l’idea che il clima derivi dalle caratteristiche strutturali dell’azienda o

dalle sole percezioni soggettive dei suoi membri. In sostanza, credono che il clima

organizzativo sia contemporaneamente il risultato delle caratteristiche strutturali

dell’azienda e delle personalità individuali dei membri che la compongono e del loro modo

di interagire.

2 Approccio che appartiene a quella tradizione intellettuale che sostiene che la realtà derivi unicamente da condizioni oggettive.

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Infine, l’approccio culturale sposta l’attenzione sulla cultura d’impresa, intesa come

valori e credenze condivise all’interno dell’organizzazione. Il clima deriverebbe

direttamente da essa.

1.1.2 L’influenza del clima organizzativo sui risultati aziendali

Visti i principali approcci utilizzati per lo studio del clima organizzativo cerchiamo di

capire perché una sua oculata gestione sia importante al fine del raggiungimento degli

obiettivi aziendali e perché le organizzazioni prestano a questa tematica un’attenzione

crescente.

Alcuni studi rivelano che le aziende sentono il bisogno di procedere ad una prima

analisi del clima organizzativo quando attraversano un momento di crisi. È infatti indubbio

che per superare la crisi aziendale siano necessari dei cambiamenti, ed altrettanto

importante capire quali saranno i loro impatti sulle risorse umane. Occorre pertanto capire

quanto i membri dell’organizzazione siano disposti a cambiare con essa e quali siano le

principali criticità al fine di attuare interventi correttivi. Quando poi ci caliamo nell’attuale

contesto ambientale, caratterizzato per lo più da discontinuità e turbolenze, capiamo ancor

più quanto sia importante tenere sempre sotto controllo il clima organizzativo, proprio

perché i cambiamenti assumo la caratteristica della sistematicità. Emblematica è

l’affermazione di Friedlander e Margulis “la capacità tecnica è un aspetto essenziale per il

successo di un’organizzazione, ma la realizzazione e l’indirizzamento delle capacità verso le

attività produttive dipende dal clima”. Inoltre, il clima influisce su altri elementi del contesto

organizzativo, simili ma pur sempre differenti, quali la soddisfazione lavorativa, la cultura

aziendale e la motivazione. Non si può negare come tali elementi incidano sui risultati

aziendali, e nemmeno come siano strettamente connessi tra loro e come si condizionino

vicendevolmente.

Solitamente l’analisi del clima organizzativo viene effettuata attraverso questionari.

Diversi sono i modelli presenti nella pratica, tuttavia non esistendo in letteratura una

tassonomia chiara ed esaustiva, in questa sede vengono riportate alcune dimensioni prese

in considerazione dal Great Place to Work che ogni anno in collaborazione con il Sole 24 Ore

stila la classifica dei Best workplace. Tre sono gli aspetti principali presi in considerazione:

La qualità delle relazioni tra individuo e management aziendale;

La relazione tra individuo e lavoro;

La relazione tra individuo e colleghi.

Sulla base di apposite domande viene scattata la fotografia del clima aziendale e vengono

messe in risalto quelle che sono le aree critiche.

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Cerchiamo ora di dare una risposta più concreta alla domanda che prima ci siamo

posti, e cioè perché il clima organizzativo sia così importante per l’azienda. Sappiamo che è

un fattore abilitante, se non indispensabile, per il conseguimento degli obiettivi aziendali.

Esso in particolare incide sulla motivazione. Sappiamo anche che l’uomo è motivato per

natura, e che la sfida del management è pertanto quella di indirizzare tale motivazione

verso i risultati desiderati. Ma non può bastare. La sola motivazione di un individuo in un

clima aziendale ostile non può di certo portare l’impresa al successo, viceversa un buon

clima organizzativo può avere effetti positivi sulla motivazione innescando un circolo

virtuoso che può portare l’azienda al miglioramento delle proprie performance. Se poi

consideriamo che uno dei principali motivi per cui i lavoratori decidono di lasciare l’azienda

è proprio l’ambiente di lavoro, capiamo come questo non sia un tema da tralasciare, se non

altro perché il cd. turnover patologico porta con sé dei costi che le imprese spesso non

sembrano considerare, e soprattutto misurare. A tal riguardo la SHRM (Society for Human

Resource Management) ha stimato che il costo conseguente alla perdita di un lavoratore sia

pari al 50% della retribuzione annuale quando si tratti di un lavoratore di livello base, tale

percentuale è destinata tuttavia a salire al 150% e al 400% quando si tratti,

rispettivamente, di un lavoratore di livello medio e alto. Naturalmente in tale stima sono

stati considerati solo i costi in qualche modo monetizzabili, quali ad esempio: costi di uscita,

di selezione, di assunzione, di formazione e orientamento, costi connessi alla perdita di

produttività ecc. Restano invece esclusi i costi relativi all’insoddisfazione del cliente, gli

effetti demotivanti sugli altri collaboratori, derivanti dagli eventuali eccessivi carichi

lavorativi, ed infine, cosa più importante, le conoscenze perdute. Si capisce quindi perché le

aziende siano interessate a porre in essere una politica di employee retention, che,

ribadiamo, inizia anzitutto dalla costruzione di un clima organizzativo favorevole.

Nel corso del nostro scritto ci occuperemo in particolare del clima organizzativo

nelle imprese innovative. Sembra pertanto opportuno anticipare qualche considerazione

sui legami che il clima può avere con l’innovazione. Scorrendo le classifiche annuali

pubblicate dal Great Place to Work salta subito all’occhio come tra le prime 20 classificate

siano sempre presenti imprese che si distinguono per l’innovazione. Non sembra pertanto

un caso che tali aziende siano poi anche quelle che si presentano quali Best practices sul

fronte del clima organizzativo. Quello su cui vogliamo far riflettere il lettore, e che poi è alla

base del nostro approfondimento, è la possibilità che vi sia un clima organizzativo

favorevole allo sviluppo dell’innovazione, e di conseguenza favorevole al successo

aziendale.

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1.2 L’influenza del clima organizzativo nelle aziende innovative

Le aziende che in questi anni sono state in grado di generare innovazione,

rinnovando i loro modelli di business e spiazzando la concorrenza sul mercato grazie alla

loro posizione di avanguardisti rispetto ai loro competitors, hanno solitamente raggiunto

questi risultati andando ad agire su sei componenti principali, i cosiddetti “Building Blocks”.

Questi sono: risorse, processi interni, misurazione dei risultati, valori, clima aziendale e

comportamenti.

Tuttavia, quando un’azienda decide di investire in nuovi progetti e avvia un processo

di riposizionamento nel mercato, si concentra solitamente sui primi tre elementi, ossia

assicurarsi le risorse, i processi e gli indicatori di risultato più adatti per realizzare la

propria innovazione.

Spesso queste aziende danno un peso minore a quelle determinanti legate alla sensibilità e

ai valori delle persone, considerandole eccessivamente difficili da misurare: infatti, come

constatato da molti manager, nulla è più difficile da comprendere e gestire delle variabili

che vanno ad influire sui comportamenti e sul clima aziendale. Come affermato da un

famoso CEO “The soft stuff is the hard stuff”.

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1.2.1 Aziende innovative e persone innovative: l’influenza del clima organizzativo

Come dimostrato dalle ricerche del professor Clayton M. Christensen della Harvard

Business School, espresse nel suo libro “The Innovator’s DNA”, tutte le organizzazioni

considerate particolarmente innovative riflettono esattamente le personalità ed i

comportamenti delle persone che ne fanno parte. Le aziende innovative, infatti, sviluppano

dei processi che incoraggiano l’espressione delle stesse abilità dei lavoratori.

Secondo Christensen ci sono cinque competenze che distinguono una persona in

grado di sviluppare un’idea creativa e possono essere descritte come di seguito:

1. Capacità di indagine (Questioning): interrogare altre persone, domandarsi il perché di

certe relazioni causa-effetto, informarsi sui meccanismi di funzionamento di alcuni

processi, ma anche sfidare la realtà attuale chiedendosi “perché no” può aiutare a

rompere lo status-quo e considerare nuove opportunità;

2. Capacità di osservazione (Observing): l’osservazione diretta dei piccoli dettagli

comportamentali dei propri clienti, fornitori, concorrenti spesso può suggerire nuovi

miglioramenti, può far comprendere aspetti che prima non erano mai stati considerati;

3. Capacità di sperimentazione (Experimenting): fare esperienza, esplorare concretamente

nuovi approcci, verificare personalmente attraverso il tentativo e l’esercizio sia fisico

che mentale, non è un’attività che deve essere effettuata solo dagli scienziati, ma deve

essere una prassi di tutte le aziende;

4. Capacità di relazionarsi (Networking): creare relazioni con persone aventi diversi

background, provenienti sia dall’interno sia dall’esterno dell’organizzazione è un

imperativo per tutti gli innovatori;

5. Capacità di collegamento (Associating): consiste nell’abilità di effettuare collegamenti

logici per sviluppare idee nuove; è la competenza che consente di unire le quattro

precedenti, trarne gli insegnamenti migliori e formulare una visione completamente

nuova.

È stato osservato che i grandi innovatori che hanno condotto le proprie aziende verso

il successo possedevano queste caratteristiche: erano infatti persone che mettevano

sistematicamente in pratica queste abilità per realizzare cambiamenti e per generare nuove

idee.

Tuttavia, una o due persone non possono essere gli unici motori di un’intera

organizzazione: è necessario predisporre dei processi ben formalizzati che aiutino tutti

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membri, a tutti i livelli gerarchici, a sviluppare queste competenze, in modo tale che il

modus operandi del leader diventi anche quello del lavoratore più operativo: solo così il

desiderio e la tendenza all’innovazione sarà condivisa da tutti, aumentando il senso di

partecipazione e di coinvolgimento in un progetto condiviso.

Vediamo ora quindi quali possono essere i processi che incoraggino o addirittura

richiedano ai lavoratori di domandare, osservare, relazionarsi e sperimentare.

Processo 1: Domandare

Una modalità per consentire lo sviluppo della capacità di indagine e di risoluzione

dei problemi da parte dei membri dell’organizzazione consiste nell’inserire nei programmi

di formazione interni il metodo de “I 5 perché”: questo metodo consiste nel chiedersi per

cinque volte il perché di un effetto, un risultato, un avvenimento, prima di risalire alla radice

della causa. L’implementazione costante di questa metodologia, che velocemente viene

assimilata e diventa parte del procedimento di problem solving da parte di tutti i lavoratori,

si è dimostrata essere la chiave vincente sia per favorire i contatti ed il dialogo tra diversi

soggetti coinvolti in varia misura nel problema, sia per trovare con più facilità l’origine del

problema stesso e risolverlo con idee nuove, migliorando tutto il processo che da esso

scaturisce (es. IDEO).

Processo 2: Osservare

Un primo metodo per consentire ai lavoratori di essere degli attenti osservatori è

quello di prevedere proprio l’attività di osservazione all’interno dei compiti specifici della

singola posizione lavorativa. È il caso di Keyence Corporation, in cui la maggior parte delle

idee innovative è scaturita dai riscontri portati dai ben settemila venditori, i quali, durante

la loro consueta attività di analisi del cliente durante l’utilizzo del prodotto, hanno notato

comportamenti ed avvenimenti particolarmente interessanti che hanno portato allo

sviluppo di nuovi prodotti o a rinnovamenti degli stessi.

Un altro metodo può essere quello dello scambio dei dipendenti: i lavoratori,

provenienti da aree funzionali diverse della stessa organizzazione o addirittura di due

distinte organizzazioni si scambiano il proprio ruolo durante i meeting e programmi di

formazione, osservando i rispettivi metodi di sviluppo dei progetti innovativi, dando un

giudizio esterno ma anche immedesimandosi nel ruolo svolto. Un esempio di successo che

ha consentito un forte miglioramento nel lancio di un nuovo prodotto è stato lo scambio tra

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i dipendenti dell’area marketing e risorse umane di P&G e Google: seppur provenienti da

settori di business molto diversi tra loro, il risultato dell’esperienza è stato largamente

positivo, potendo raggiungere una fascia di clientela precedentemente non considerata.

Processo 3: Relazionarsi

Networking interno

Molte aziende considerano gli incontri informali un’opportunità: per facilitare

l’interazione tra lavoratori tra le varie iniziative presentiamo quella attuata in Google, ossia

i pasti gratuiti. In molte organizzazioni, infatti, il momento del pasto è considerato

semplicemente una pausa da gestire in autonomia, coerentemente con gli orari del

lavoratore, il quale a volte può consumarlo addirittura seduto alla sua scrivania, senza

interrompere nemmeno l’attività lavorativa.

Google, invece, fornisce gratuitamente tutti i pasti, con la convinzione che questo

possa favorire lo scambio di opinioni tra persone che diversamente probabilmente non

potrebbero mai entrare in contatto: spesso da queste conversazioni nascono le idee più

interessanti!

Networking eserno

Molte aziende che hanno al loro interno un numero considerevole di ricercatori che

lavorano allo sviluppo di nuovi prodotti, recentemente hanno dato un taglio considerevole

all’area di Ricerca & Sviluppo (R&D), sviluppando invece nuove iniziative di Contatto &

Sviluppo (C&D). Ciò significa che queste aziende delegano ad esperti esterni la fase di

ricerca, e la soluzione da loro proposta e scelta dall’azienda sarà gestita sulla base di

rapporti contrattuali.

Un aspetto complementare sempre per lo sviluppo di nuovi prodotti è quello che

caratterizza il caso di Reckitt Benckister (RB), che collabora con una rete di imprenditori

per il lancio dei suoi prodotti, concedendo il proprio marchio in licenza: gli imprenditori, a

loro volta, hanno la possibilità di presentare proposte per nuovi progetti che se valutati

positivamente da RB saranno lanciati sul mercato e commercializzati con gli stessi vincoli

contrattuali.

Queste decisioni lanciano un chiaro messaggio ai membri dell’organizzazione

sull’importanza di ascoltare i punti di vista esterni, senza la presunzione di ritenere che

tutte le idee migliori debbano essere frutto del loro ingegno, restando aperti e accettando i

suggerimenti.

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Questioning

Observing

Experimenting Networking

Associating

Processo 4: Sperimentare

La sperimentazione non è una caratteristica solamente delle aziende dotate di grandi

laboratori a cui hanno accesso solo una piccola parte di tutto il personale dell’azienda: fare

tentativi, verificare la bontà di un’idea, di un progetto prima di lanciarlo sul mercato deve

essere una prassi diffusa in tutte le aree aziendali.

Questa competenza può essere infatti “allenata” attraverso lo svolgimento di progetti

pilota: questo tipo di progetti, estremamente utile per stimolare la creatività, può essere

svolto da qualsiasi funzione aziendale, senza necessità di grandi risorse ed investimenti.

Contemporaneamente non si sviluppa un processo di selezione accentrato di tipo top-down,

ma, al contrario, la valutazione avviene attraverso un più democratico meccanismo di

feedback da parte dei diretti destinatari del progetto stesso.

1.2.2 Favorire la generazione di nuove idee

Un aspetto molto importante nella creazione di un ambiente favorevole alla nascita e

allo sviluppo di nuove idee è sicuramente la modalità con cui vengono presentate e

l’autorità di chi le presenta. Tuttavia, se in un’azienda si ritiene che l’unico soggetto

deputato al ruolo di “innovatore” sia colui che ne è a capo (imprenditore o amministratore

delegato che sia), questo automaticamente autorizzerà tutto il resto del personale a

delegare a lui l’attività più intellettiva e a ritagliarsi un ruolo di supporto e di attuazione

dell’idea. In questa situazione ciascuno cercherà di svolgere la sua funzione al meglio e sarà

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gratificato dal successo del progetto, ma non sarà mai portato a proporre nulla di più di

quanto gli viene richiesto.

Le possibilità di successo però si ampliano, quando le idee provengono da più voci,

quando tutto lo staff è coinvolto: questa situazione si verificherà solo se si vengono a creare

determinate condizioni all’interno dell’organizzazione e solo in presenza di un clima

organizzativo particolarmente aperto e vivace.

Portiamo sempre due esempi concreti a supporto di quanto appena espresso.

Il caso Rite-Solution

Il processo per lo sviluppo di un’innovazione in Rite-Solution è molto democratico,

attraverso un sistema di “Mercato Interno”: ciascun lavoratore, indipendentemente dal

proprio ruolo e posizione gerarchica, inserisce la propria idea in un database interno

allegando una breve descrizione. Inizia quindi la fase di trading, in cui a tutti i lavoratori

inizialmente viene assegnato un capitale di 10.000 $, che corrisponde al denaro che

possono “investire” allocando le proprie azioni (ognuna del valore di 10 $) sui vari progetti.

In questa fase si possono anche proporre per lavorare nei progetti che stanno finanziando.

In questo modo, il management utilizza la “saggezza collettiva” per scegliere il progetto sul

quale iniziare a investire, contemporaneamente stimolando la creatività e la motivazione

dei propri lavoratori, ma anche utilizzando un procedimento equo, che alimenta un clima

organizzativo basato sulla meritocrazia.

Il Caso Whirlpool

Spesso quando si chiede ai dipendenti di un’azienda non abituata a sviluppare nuove

idee di essere innovativi, il risultato che si ottiene è quello di ricevere proposte considerate

irrealizzabili o poco originali. La difficoltà risiede inoltre nella capacità di trasformare l’idea

in un’opportunità economica realizzabile e profittevole. Per risolvere questo problema,

Whirlpool ha adottato un metodo alternativo: a ciascuno dei lavoratori che avesse avanzato

le idee più insolite, è stato affiancato un altro dipendente (solitamente con una posizione

inerente allo sviluppo della qualità nell’azienda), il quale precedentemente aveva

partecipato ad un corso di “business innovation”; questi ultimi hanno potuto fungere così da

mentori dei primi, aiutandoli a realizzare operativamente la loro idea originaria e

realizzando il giusto bilanciamento tra idea originale e opportunità di business. Questa

struttura organizzativa è stata inoltre supportata dalla presenza di un portale intranet che

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offriva ai dipendenti un forum comune per apprendere i principi dell’innovazione, tenersi

aggiornati sulle ricerche recenti ed i trend emergenti.

1.2.3 Comprendere le caratteristiche del proprio clima organizzativo

Molte aziende spesso non sono consapevoli delle loro potenzialità in termini di

innovazione, o al contrario, ritengono di aver già raggiunto il massimo livello possibile solo

perché detengono una posizione di leader nel mercato. Molte teorie invece ci insegnano che

se un prodotto ha successo è già maturo, sorpassato. Un’impresa non deve mai smettere di

pensare a processi, soluzioni e prodotti nuovi e migliori: il clima organizzativo e la

motivazione del personale in questo senso sono determinanti e fondamentali. Le aziende

devono però avere un forte contatto con la realtà, un giudizio esterno ed oggettivo: gli

indicatori e i test di misurazione delle performances rappresentano lo strumento ideale per

realizzare questo obiettivo.

Avere degli strumenti come test di autovalutazione (come vedremo nel prossimo

capitolo), consente al management di comprendere i punti di forza e di debolezza della

propria cultura organizzativa, chiarendo così la direzione da intraprendere per realizzare

dei miglioramenti. Questi ultimi saranno tali se l’azienda cercherà di focalizzarsi sui propri

punti di forza e partire da questi per colmare le proprie carenze.

Criticità

L’elemento critico principale che si incontra soprattutto nelle aziende più piccole a

conduzione familiare ma anche nelle imprese più grandi con una lunga tradizione, è quello

della resistenza al cambiamento. Introdurre concetti come “mission” o proporre nuove

iniziative per rafforzare valori che, anche se ben consolidati, non sono mai stati

razionalizzati in un messaggio coerente, è particolarmente difficile.

E’ necessario quindi iniziare da piccoli cambiamenti, per poi aumentarne la portata e

non pensare di effettuare una trasformazione totale da un momento all’altro: in questo

modo sarà possibile ottenere risultati misurabili che rappresenteranno strumenti più

efficaci per convincere il personale, il quale sarà più propenso ad accettare di buon grado

delle misure concrete, piuttosto che astratti slogan propagandistici.

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2 Misurare l’innovazione: un focus sulla cultura aziendale

Nel precedente capitolo abbiamo enfatizzato il concetto “The soft stuff is the hard

stuff”. Nell’ambito delle aziende innovative gli aspetti immateriali sono considerate dai

managers i building blocks fondamentali per ottenere il successo d’impresa. Tale aspetto

viene confermato anche nell’articolo “Innovation diamond” di Cooper (che verrà ripreso più

avanti in questo lavoro), dove sono state selezionate e studiate le imprese innovative

considerate più performanti, le quali hanno dichiarato di considerare la propria capacità di

generare innovazione la leva più importante per generare redditività e crescita. Fra i

quattro drive dell’innovazione individuati da Cooper si evidenzia poi come clima, cultura,

capacità di lavorare in team e leadership rappresentino il drive con maggior forza in termini

di impatto sulla capacità delle aziende di generare innovazione, ma al contempo

rappresentino gli aspetti più ardui da misurare, da cambiare e implementare qualora ve ne

sia la necessità. Soprattutto relativamente all’innovazione di prodotto, le aziende oggetto

dello studio denunciano la propria necessità di dotarsi di un sistema e di un approccio

disciplinato e sistematico per la gestione dell’innovazione e l’implementazione di una

cultura organizzativa orientata ad essa. Non si può infatti lasciare che tale aspetto resti non

governato. Si rende necessario pertanto un continuo sforzo nella ricerca di strumenti utili

alla misurazione dell’innovazione (o meglio, della capacità di generarla e gestirla) volti a

evidenziare relazioni di causa effetto che permettano di governare il ciclo di vita

dell’innovazione e nel contempo creare il giusto clima organizzativo in grado di orientare ad

essa.

Sono stati fatti molti sforzi in letteratura nel tentativo di studiare i drive

dell’innovazione allo scopo di riuscire ad individuare degli adeguati parametri per

misurarli.

Dalle nostre ricerche emerge però che tali sforzi sono stati rivolti spesso

esclusivamente all’individuazione di parametri di misurazione dell’input e dell’output

innovativo, con lo scopo poi di utilizzarli per la misurazione della performance (con effetti

motivazionali disastrosi nel caso – peraltro assai frequente - in cui tali parametri non siano

significativi). Sembra invece essere debole lo sforzo fatto nella ricerca di strumenti per la

misurazione del clima organizzativo: risulta infatti chiaramente arduo individuare

parametri per misurare qualcosa di così intangibile. Nel caso del clima organizzativo non è

dato parlare di possibili parametri per la misurazione della performance (che non siano a

livello di azienda nel suo complesso), ma ciò non significa che non ci si debba dotare di

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strumenti che permettano quantomeno di misurare qual è il clima organizzativo percepito

dai vari livelli gerarchici.

Per tale ragione nei prossimi due paragrafi si procederà offrendo inizialmente una

panoramica degli strumenti di misurazione dell’innovazione cui abitualmente si fa ricorso,

per poi riportare nell’ultimo paragrafo due semplici esempi di approcci innovativi volti alla

misurazione del clima organizzativo all’interno delle aziende, aspetto troppo spesso

trascurato.

2.1 I parametri di misurazione dell’innovazione abitualmente utilizzati

Riportiamo come primo esempio il modello input-processi-output, che individua per

ciascuna delle tre fasi dei parametri di misurazione e valutazione dell’innovazione:

Input hanno l’obiettivo di misurare le risorse disponibili per l’attività

d’innovazione:

o Ammontare di risorse finanziarie indirizzate allo sviluppo di innovazione;

o Numero di addetti all’innovazione (si pone qui il problema di accertarsi

dell’effettivo impiego del tempo delle risorse umane in tali attività);

o Numero di idee generate e risultato atteso (si pone però il problema di

ponderare adeguatamente idee aventi diversa valenza);

o Spesa in R&S (si valuta in base ad un costo in valore assoluto, non sprechiamo

ulteriori commenti).

o Processi:

o Risorse impiegate in media in ogni singolo progetto (non basta che vi sia

efficienza nei processi, vi deve essere anche efficacia);

o Quantità di idee che si spostano da una fase all’altra del processo (richiede di

conoscere in ogni momento cosa avviene all’interno del processo).

Output si tratta dei parametri il cui scopo è misurare l’effettiva performance

innovativa, possono essere utili per fare confronti con altre aziende:

o Quantità di nuovi prodotti o servizi lanciati (il numero assoluto non

rappresenta l’output economico, è necessario conoscere il risultato finale al

termine del processo);

o Aumento di entrate e profitti connessi all’innovazione (non sempre però si

riesce a scinderli da quelli non derivanti da innovazione);

o Roi delle attività innovative (tenendo presente tutti i limiti connessi

all’utilizzo di tale indice);

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o Output indiretti che non generano liquidità (possono rilevare nuove

conoscenze acquisite che diventeranno input per i processi d’innovazione

successivi, quali brevetti marchi e segreti industriali).

Accanto ad ogni parametro è stata riportata una possibile critica che ad esso può

essere indirizzata. Come osserva Epifani, misurare l’innovazione vuol dire prima di tutto

definire le metriche di misurazione, identificare gli elementi da prendere in considerazione,

scegliere il dominio nell’ambito del quale avverranno le misurazioni. Scegliere

correttamente gli indicatori e definirne i reciproci rapporti aiuta l’impresa a seguire il suo

percorso di innovazione con efficacia. Ma misurazione entro certi limiti vuol dire anche

confronto, ed il confronto aiuta l’imprenditore a capire in primo luogo se quello che sta

facendo equivale a quello che contava di fare (e quindi controllo di gestione del processo)

ed in secondo luogo come gli attori del mercato – concorrenza, utenti, partner – si stiano

muovendo di conseguenza (e quindi benchmark e confronto con il mondo esterno). Il

problema nell’individuazione di indicatori adeguati si fonda sul fatto che il concetto stesso

di innovazione non è così immediato da identificare e quantificare. È evidente il

collegamento tra il concetto di innovazione ed un altro concetto parimenti “intangibile”

come quello di “conoscenza”: le due infatti sono collegate da un legame inscindibile e d’altro

canto è comunemente accettato che l’innovazione rappresenti la creazione di nuova

conoscenza applicata a problemi e tematiche di ordine pratico quali il mercato,

l’organizzazione, i prodotti, i processi. Ma avvicinare così fortemente innovazione e

conoscenza porta come corollario il trovarsi – quando si parla di innovazione – a dover

affrontare problemi simili a quelli con i quali ci si confronta quando si parla di conoscenza.

In altri termini, chi si occupa di gestione della conoscenza sa bene che uno dei problemi

principali che deve affrontare un’organizzazione quando ha a che fare con del “materiale

intellettuale” è distinguere ciò che realmente rappresenta conoscenza da ciò che invece è

definibile come “rumore”.

Altra analogia può essere individuata tra innovazione e qualità (così come intesa

nella filosofia total quality): entrambe non esistono se non vengono percepite dall’utente

finale.

Un ulteriore problema legato al binomio innovazione-conoscenza si manifesta

nell’errata convinzione che l’unico indicatore di input per misurare le risorse impiegate in

innovazione all’interno dell’impresa siano gli investimenti e il numero di addetti in attività

di ricerca e sviluppo. Quest’ultima infatti si compone in genere di tre elementi:

18

Ricerca di base: attività sperimentale volta ad acquisire nuove conoscenze senza

sapere quali potrebbero essere le possibili applicazioni;

Ricerca applicata: produzione di nuova conoscenza volta ad uno specifico scopo

pratico, si tratta della ricerca industriale orientata allo sviluppo di nuovi prodotti e

processi;

Sviluppo sperimentale: sviluppo di nuovi prodotti o processi sulla base di

conoscenza già acquisita, un esempio è la realizzazione di prototipi.

Un indicatore di input basato su spesa e addetti in attività di ricerca e sviluppo presenta

quindi molte lacune, in particolare è in grado di cogliere solo l’attività innovativa

formalizzata in laboratori di ricerca (in altre parole solo i costi direttamente imputabili a

tali attività). Si presuppone poi che solo gli addetti a tale attività generino innovazione in

azienda, senza tuttavia tenere conto di quanto del tempo a disposizione essi dedichino

effettivamente a tali attività.

Altri approcci3 hanno portato ad una netta separazione tra la misurazione dell’attività di

creazione della conoscenza attraverso la ricerca e sviluppo e la misurazione dell’attività

d’innovazione. Si riportano a seguire gli indici utilizzati:

Creazione di conoscenza (attraverso R&S):

o Spesa assoluta in R&S;

o Spesa in R&S in percentuale sul fatturato;

o Composizione della spesa in R&S;

o Numero ricercatori sul totale addetti.

Attività di innovazione:

o Spesa per l’innovazione come percentuale sul totale delle entrate

d’impresa;

o Numero di spin-out e start-up

Anche in questo caso però non si riescono a cogliere tutti i possibili aspetti del

processo innovativo, in particolare, dato l’oggetto d’analisi di questo lavoro, si nota come di

fatto non vi siano indicatori che possano rappresentare la presenza o meno in azienda di

clima e cultura organizzativa orientati all’innovazione.

3 Rapporto di Indagine del 2007 fatto per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e per la Commissione per

la Garanzia dell’Informazione Statistica, “Sistemi statistici sulla ricerca e l’innovazione nella società della

conoscenza”, con le “Rilevazioni sulla Ricerca e Sviluppo” (la cui principale fonte è la “European Innovation

Scoreboard” che si basa sui dati nazionali raccolti dalle indagini della “Community Innovation Survey”)

19

2.2 La misurazione del clima organizzativo

Clima e cultura organizzativa, che nella ricerca di Cooper sono stati riconosciuti dalle

aziende come i drive “forti” nell’ambito della creazione di innovazione, certamente non

sono in grado da soli di garantire il miglioramento continuo orientato all’innovazione, ma

non possono essere trascurati a priori per il semplice fatto che risulta arduo individuare

degli indicatori per la loro misurazione. Ecco allora che diventa necessario sviluppare dei

veri e propri sistemi di gestione dell’innovazione, che troveranno la spinta propulsiva nella

cultura, nel clima e nella leadership ma che dovranno essere in grado di alimentare il “ciclo

di vita dell’innovazione” solo se integrati con tutta una serie di fattori “abilitanti”.

A tale riguardo un contributo interessante viene offerto dall’approccio di analisi

adottato da AT-Kearney nello sviluppo di un modello che vuole rappresentare come

dovrebbe essere improntato il sistema di innovazione di un’azienda. Il modello viene

chiamato “The house of innovation” ed è stato sviluppato analizzando le best practices nel

campo dell’innovazione d’impresa in Europa (innovazione intesa in termini di sistema).

Il modello si compone di quattro livelli fondamentali, che possono essere

rappresentati con la figura a seguire.

Come si nota, coerentemente con quanto già emerso, nel modello viene riconosciuta

alla cultura organizzativa una posizione dominante: “Innovation organization and culture”

20

rappresenta un building block che incorpora al suo interno non solo la struttura ma anche i

valori e la cultura condivisi in impresa.

Non è possibile analizzare nello specifico il modello e gli indicatori costruiti da AT-

Kearney (il core business dell’azienda è la consulenza, tali informazioni vengono quindi

gelosamente custodite), ma poiché l’azienda è stata incaricata dalla Commissione Europea

di occuparsi del progetto IMP3rove Innovation (che ha comportato la creazione di un

questionario on-line per permettere alle aziende di disporre di un sistema di

autovalutazione e benchmark relativo al proprio sistema di gestione dell’innovazione,

creato proprio sul modello “The house of innovation”) è possibile individuare a ritroso

quantomeno i connotati del modello.

Il primo blocco (la punta della piramide) è legato alla strategia d’innovazione e si

compone dei seguenti elementi, volti a determinare se la strategia d’innovazione è

correttamente posizionata e pronta per essere implementata:

La visione dell’innovazione;

Le caratteristiche della strategia dell’innovazione;

Diffusione della strategia d’innovazione;

Progetto/i d’innovazione.

Per quanto riguarda il secondo blocco, legato alla cultura organizzativa, ci riserviamo

di esporlo per ultimo, unitamente alle considerazioni strumentali allo scopo di questo

lavoro.

Il terzo punto riguarda i processi del ciclo di vita dell’innovazione dalla generazione

dell’idea fino alla sua commercializzazione. Si potrà in questo modo capire in quali aree di

questa dimensione l’impresa dovrà migliorare al fine di accelerare il tempo che intercorre

tra l’investimento in innovazione ed il ritorno economico da esso generato.

Il ciclo di vita dell’innovazione, come si nota nello schema a piramide rappresentante

il modello “the house of innovation”, si divide in tre fasi:

Generazione e gestione dell’idea;

Sviluppo dell’innovazione;

Lancio e miglioramento continuo.

Riportiamo a titolo di esempio i principali indicatori utilizzati (o meglio quelli che

siamo riusciti ad individuare dall’analisi del questionario), per evidenziare come anche

relativamente alla misurazione in termini input-processo-output d’innovazione tale

21

modello si mostri molto più efficace rispetto a quelli riportati nel paragrafo precedente. Gli

aspetti misurati sono:

La durata del ciclo di vita dell’innovazione, misurata dal momento in cui si

inizia a svilupparla alla possibile eliminazione;

Time to market dell’innovazione, misurato dal momento in cui si inizia a

svilupparla fino all’uscita sul mercato;

Payback period dell’innovazione, misurato dal momento in cui si inizia a

svilupparla fino a quando vi è la copertura dell’investimento iniziale;

Tasso di successo dei progetti di innovazione (ad esempio si misura nell’arco

degli ultimi quattro anni il numero di innovazioni di prodotto, servizio,

processo, gestionali e di modello di business e quante fra queste hanno

raggiunto il punto di payback, eventualmente distinguendo tra innovazioni

incrementali e innovazioni radicali);

I processi integrati del ciclo di vita: si tratta di criteri stabiliti per le diverse

fasi del processo, può trattarsi di criteri predefiniti applicati a tutti i progetti

di innovazione (dei veri e propri standard), oppure criteri elaborati e definiti

per il singolo progetto;

Cicli di feedback, volti a misurare la frequenza dei contatti e il grado di

coinvolgimento nel progetto di innovazione di alcuni soggetti quali fornitori,

ufficio acquisti, clienti, eventuali rivenditori, funzione vendite, ufficio

marketing, ufficio sviluppo prodotto, istituti di ricerca, università, esperti su

diritti di proprietà intellettuale e partner di rete;

Gestione sistematica delle idee: tra le idee lanciate si misurano il numero di

idee riesaminate, selezionate, convertite in progetti d’innovazione oppure

vendute o concesse in licenza a terzi;

Processo di sviluppo: definizione di un processo formale per la gestione

dell’innovazione di prodotto, servizio, processo, gestione o di modello di

business;

Progetti di innovazione introdotti con esito positivo, in termini di percentuale

di progetti introdotti in un certo periodo di tempo per i quali erano stati

definiti inizialmente degli obiettivi specifici, e fra questi la percentuale di

progetti che ha effettivamente raggiunto tali obiettivi;

22

Integrazione del feedback del cliente in termini di misurazione della

frequenza con cui vengono condotte delle analisi relative ai clienti e di quanti

feedback si traducono in aggiustamenti o nuovi progetti;

Miglioramento costante dei parametri di processo: dovrebbero essere definiti

dei parametri di processo volti a misurare il miglioramento medio annuale ad

esempio in termini di time to market, payback period, ma anche costi di

sviluppo, tempo che intercorre dalla proposta di un dipendente fino alla

selezione dell’idea, o ancora, tempo che intercorre tra la generazione e la

realizzazione dell’idea.

L’aspetto che riteniamo più interessante è il fatto che il processo d’innovazione viene

concepito in termini di ciclo di vita, in cui si identificano (come è già stato detto) le tre fasi

di “Generazione e gestione dell’idea”, “Sviluppo dell’innovazione” e infine “Lancio e

miglioramento continuo”. Tale struttura permette alle aziende, attraverso il questionario, di

capire (e avere un benchmark con le altre aziende analizzate) se vi sono delle carenze in

qualcuna di queste fasi: ad esempio se si ottiene un alto punteggio nella prima fase ma un

basso punteggio rispetto alla media nella seconda fase di sviluppo dell’innovazione,

significa che l’azienda, pur essendo in grado di generare innovazione, non riesce a portarla

nel marcato con tempi ragionevolmente brevi per sfruttare tale vantaggio competitivo.

Viene fornito quindi all’azienda uno strumento in grado di segnalare la necessità di

adoperarsi per ridurre ad esempio il time to market, piuttosto che concentrarsi nello

sviluppo continuo di nuove idee che comunque non verranno efficacemente e

tempestivamente implementate.

L’ultimo blocco può essere definito come le “fondamenta” della piramide e riguarda i

cosiddetti “Fattori abilitanti”: si tratta di strumenti che permettono di conoscere il livello di

efficienza della società in termini di gestione della conoscenza, dei progetti d’innovazione,

delle capacità e dei sistemi per raggiungere gli obiettivi d’innovazione, aiutando a capire

come in realtà vi siano numerosi fattori abilitanti che potrebbero essere sfruttati in modo

molto più efficace.

A seguire un esempio degli aspetti analizzati relativamente ai fattori abilitanti:

o Incentivi e premi;

o Utilizzo dei brevetti;

o Formazione e produzione di conoscenza (progetti nati grazie ad

apprendimento interno);

23

o Progetti e obiettivi, definiti e raggiunti in termini di tempo, budget destinato

e qualità;

o Progetti d’innovazione di lungo termine (budget destinato);

o Gestione della progettazione come leva per l’innovazione;

o Impatto della gestione della progettazione sulla gestione dell’innovazione;

o Ruolo della progettazione in ognuna delle fasi del processo d’innovazione.

Questi sono a grandi linee i connotati del sistema di gestione dell’innovazione, così

come concepito da AT-Kearney. Si noterà che esso risulta essere estremamente strutturato

e una critica che pertanto ci sentiamo di muovere è legata al fatto che l’approccio sembra

essere eccessivamente meccanicistico. Chiaramente creare un sistema d’innovazione

diventa fondamentale per le imprese che fanno di quest’ultima la propria principale fonte di

vantaggio competitivo: tale sistema dovrebbe però essere costruito su misura e tener conto

dei connotati caratteristici dell’impresa in cui verrà implementato. Il contributo di AT-

Kearney risulta però essere molto apprezzabile in quanto fornisce una prima mappa

concettuale.

Analizziamo ora il secondo blocco, il quale si concentra su organizzazione e cultura

d’innovazione, rilevando i seguenti aspetti:

Predisposizione culturale all’innovazione, in particolare nel questionario si

richiede al compilatore (si tratterà quindi dell’alta dirigenza) di dare le proprie

percezioni in termini di punteggi, e differenziate per livello gerarchico (alta

dirigenza, livello intermedio, dipendenti) relativamente ai seguenti aspetti:

o Livello di entusiasmo nei confronti dell’innovazione;

o Livello di apertura/scetticismo nei confronti di nuove idee e iniziative non

convenzionali;

o Capacità di pensare in modo originale;

o Livello di fantasia;

o Resistenza nell’utilizzo di nuovi metodi e strumenti;

o Capacità di far accettare le proprie idee all’interno dell’azienda;

o Attenzione nei confronti dell’impatto organizzativo.

Capacità d’innovazione:

o Percepita dai clienti;

o Percepita dai competitors;

o Percepita dai fornitori.

Cooperazione esterna:

24

o Nella gestione delle idee;

o Nello sviluppo di prodotti, servizi e processi;

o Nell’introduzione di miglioramento e nel miglioramento costante.

Intensità delle partnerships di innovazione:

o Numerosità delle fonti di informazioni senza comunicazione “attiva” (es:

monitoring);

o Numerosità dei partner d’innovazione con cui si hanno contatti regolari;

o Partner tra i regolari contatti con cui si è effettivamente intrapreso un

progetto di innovazione in un determinato lasso di tempo;

o Numero di dipendenti che operano su progetti d’innovazione con partner

esterni.

Capacità di sfruttare le fonti esterne attraverso le relazioni informali:

o In che misura si ricorre a relazioni informali di idea management;

o In che misura si ricorre a relazioni informali per lo sviluppo di innovazione di

prodotto, processo, organizzativa o di modello di business;

o Frequenza della creazione e dell’implementazione di relazioni informali.

Focalizzarsi su questi aspetti, secondo l’approccio di AT-Kearney, permette di

esaminare i molteplici aspetti dell’organizzazione e della cultura aziendale orientati

all’innovazione. La predisposizione culturale dei soggetti organizzativi, la motivazione e i

collegamenti tra risorse esterne per stimolare nuove idee, con l’obiettivo di evidenziare

quali sono i punti di forza effettivi dell’organizzazione e come sfruttarli.

Chiaramente la struttura a questionario, e il fatto che la sua compilazione avvenga ad

opera dei vertici dirigenziali, comporta una forte soggettività nelle valutazioni, ma ha il

pregio di concentrare l’attenzione dei top manager su questi aspetti. La soggettività, nel

tentativo di misurare in qualche modo la cultura organizzativa, è certamente elemento

imprescindibile, ma riteniamo che l’approccio del questionario sarebbe più efficace se

potesse offrire un confronto fra le percezioni dei diversi soggetti. Si pensi ad esempio se il

questionario di valutazione della cultura organizzativa venisse redatto separatamente da

alta dirigenza, livelli intermedi, livelli operativi, un campione di partner, un campione di

clienti e uno di fornitori. Il confronto permetterebbe immediatamente di denunciare

un’eventuale errata percezione dell’effettivo clima organizzativo aziendale da parte del top

management: ciò non sarebbe però sufficiente per individuare eventuali opportune azioni

correttive dato che è infatti piuttosto arduo individuare delle relazioni di causa effetto

nell’ambito del clima organizzativo (che certamente non saranno di tipo lineare).

25

Proponiamo un’altra modalità per prendere coscienza del grado di innovazione

presente in azienda sempre basata sull’utilizzo di un test. Il test è stato creato sui sei

building blocks (“The building blocks innovation survey”) individuati da Jay Rao e Joseph

Weintraub4. Dopo aver esaminato i risultati del test, il management può comprendere in

quali punti la cultura organizzativa della sua azienda è debole e in quali invece è forte,

offrendogli così la possibilità di imparare e migliorare.

Riportiamo a seguire lo schema del test proposto da Rao e Weintraub.

4 Si fa riferimento all’articolo dei due autori “How Innovative Is Your Company’s Culture?”pubblicato su

MitSloan Management Review e già citato nel precedente capitolo.

26

27

Questo “assessment tool” si pone lo scopo di individuare i punti di forza e di

debolezza nella cultura aziendale rivolta all’innovazione. I sei building blocks (risorse,

processi, valori, comportamenti, clima, successo) vengono concepiti come degli elementi

legati in modo dinamico tra loro e che rappresentano le basi su cui poggia la cultura

organizzativa. Si cerca di individuare quindi in qualche modo quelle che sono le relazioni di

causa effetto che possono incidere sul clima organizzativo e che sono quantomeno

potenzialmente governabili.

Il modello ha inoltre il pregio di non fermarsi alla sola misurazione di input, processi

e output (qui indicato come successo) come avviene molto spesso per il semplice motivo

che si tratta degli aspetti più facili da misurare. Gli autori hanno scelto di utilizzare un

approccio organizzativo di tipo people-oriented, orientandosi quindi verso la ricerca di

strumenti che permettano di indurre correttamente i comportamenti organizzativi

desiderati.

Ognuno dei sei building blocks del modello incorpora tre fattori (diciotto in tutto),

ognuno dei quali a sua volta contiene tre elementi di focalizzazione (54 in tutto).

Spostandosi dalle macrovoci agli elementi più di dettaglio aumenta la misurabilità e la

maneggiabilità del fenomeno. Gli autori hanno sottoposto al test 1.026 manager di 15

diverse aziende: per analizzare i risultati di ogni azienda sono state calcolate le medie per

ogni domanda e la distribuzione delle risposte in media per ogni fattore ed infine è stato

calcolato il punteggio medio di ogni building block. La media finale del punteggio nei sei

blocchi rappresenta, secondo il modello, il cosiddetto “Innovation Quotient”. Questo

quoziente può essere usato come benchmark per il confronto tra aziende, divisioni oppure

singoli team, ognuno dei quali avrà al proprio interno una specifica “cultura organizzativa”.

Gli autori non hanno fatto compilare il questionario esclusivamente al top

management, ma anche ai livelli intermedi e al personale esecutivo ed è emerso come i

vertici avessero spesso una visione troppo rosea della cultura aziendale, dimostrando che la

loro percezione non era corretta e quindi quanto sia utile uno strumento di questo tipo.

Si è rilevato pertanto, in modo empirico, che l’Innovation Quotient” ha permesso di:

Rilevare l’opinione dei soggetti appartenenti a diversi livelli gerarchici permettendo

così di avere dei confronti;

Eliminare le scelte basate sulle congetture e le semplici percezioni del top

management;

Esporre situazioni di incoerenza tra gli elementi “soft” e quelli “hard” (es il senior

manager ritiene di essere “action oriented” ma le valutazioni relative alle risorse che

28

mette a disposizione dei soggetti che deve coordinare fanno emergere una situazione

di immobilità);

Permette di individuare alcune relazioni di causa-effetto tra gli elementi dei vari

building blocks;

Permette di identificare un risultato finale, e le sue componenti.

Le potenzialità maggiori del modello sono legate al fatto che il test venga fatto dai

diversi livelli organizzativi: questo richiederà poi una successiva elaborazione per

l’interpretazione dei dati. Si pone quindi il problema di valutare il trade-off tra costo

dell’informazione e sua utilità a livello decisionale. Riteniamo tuttavia che in questo caso il

questionario sia talmente “snello” e intuitivo da non generare grossi problemi da questo

punto di vista (al contrario la survey AT-Kearney prima esposta richiedeva un tempo medio

di compilazione di tre ore e per l’analiticità e vastità delle domande difficilmente i livelli

operativi potrebbero eseguirne la compilazione).

Nel complesso l’obiettivo di questo capitolo era sottolineare che esistono degli utili

strumenti in grado di “misurare” o quantomeno fornire una percezione del clima

organizzativo aziendale, in particolare di comprendere se quest’ultimo è orientato o meno

alla creazione di innovazione. Taluni di questi strumenti hanno poi il pregio di permettere

di individuare, grazie ad un approccio organizzativo, alcune delle variabili critiche che su

tale cultura vanno ad impattare, coadiuvando quindi i vertici aziendali nella loro gestione.

Infine, pur elogiando lo sforzo che è stato fatto nella creazione di tali strumenti,

vogliamo ricordare che come sostiene Epifani:

“l’innovazione può essere assimilata all’intelligenza stessa, nessun test per la

misurazione del QI per quanto ben elaborato sarà mai in grado di carpirne la complessità e la

bellezza”.

29

3. Il team

3.1 Il ruolo del top management nella diffusione di un clima organizzativo orientato

all’innovazione

Le imprese che intendono sopravvivere nel contesto attuale così turbolento,

complesso e competitivo, devono necessariamente intraprendere la strada dell’innovazione

dei loro prodotti e delle loro performance. Per fare questo, il top management deve essere

in grado di creare all’interno della propria impresa un clima organizzativo forte e ben

calibrato alla propria struttura interna. Il ruolo del manager comporta, infatti, non solo

l'assunzione di decisioni di pianificazione e di gestione per garantire l'ottenimento di

risultati in linea con gli scopi aziendali, ma anche e soprattutto il coordinamento e la guida

di un gruppo di persone, rappresentato dalle risorse umane a disposizione dell’azienda.

Il sistema di valori di un’organizzazione non può essere gestito con pratiche

autoritarie o burocratiche: l’emissione, ad esempio, di una direttiva autoritaria su un certo

modo di agire ha un impatto scarso o nullo sul sistema di valori di un’organizzazione. I

valori organizzativi sono sviluppati e rinforzati principalmente attraverso una leadership

basata sui valori, ovvero un rapporto tra il management e gli altri membri

dell’organizzazione, fondato su ideali condivisi e fortemente interiorizzati, che sono difesi e

applicati dal management in prima linea.

I manager influenzano la cultura, diffondendo chiaramente dei valori in cui i

dipendenti possano credere, comunicandoli e istituzionalizzandoli mediante il

comportamento quotidiano, i rituali, le cerimonie, i simboli. Il management deve ricordare

che ogni dichiarazione e ogni azione, hanno un impatto sulla cultura e sui valori.

La cultura aziendale può presentare vari gradi di forza e influenza. Se essa è

fortemente radicata, esercita un impatto profondo sulle pratiche operative e sulle norme

comportamentali dell’impresa. Quello che distingue un’impresa con una cultura forte è

innanzitutto la presenza di valori radicati nell’organizzazione e, in secondo luogo, approcci

operativi che regolano la condotta di business e il clima lavorativo. Il top management

incarna i valori aziendali e insiste affinché i principi di business e i valori dell’impresa si

riflettano nelle decisioni e nelle azioni dell’intero personale.

Cerchiamo ora di capire come un clima organizzativo orientato all’innovazione e

trasmesso grazie alla dedizione del top management, rappresenti uno dei fattori chiave del

successo delle aziende più performanti. Alcuni studi (ADL, 2005) hanno rivelato che

sviluppare abilità innovative all’interno dell’azienda è considerata la leva più importante

per incrementare la redditività e la crescita, di rilevanza maggiore anche rispetto alla

30

riduzione dei costi o delle acquisizioni e incorporazioni. Ma quali sono le leve che

determinano il successo dello sviluppo di un nuovo progetto? Cooper ha identificato 4 forze

che trainano la performance di nuovi progetti di business, attraverso un modello

denominato “The Innovation Diamond”. Esse sono:

Innovazione di prodotto & strategia tecnologica

Idea da lanciare

Risorse: motivazione e “Portafoglio Management”

Clima, cultura, teams, leadership

L’ultimo punto del modello sopra illustrato, mette in luce l’importanza del clima

organizzativo come artefice di innovazione. Analizziamolo con maggior dettaglio:

Climate, culture, teams & leadership - a positive climate and environmental for

innovation

Questa parte dell’Innovation Diamond vede nelle persone, nella cultura e nella

leadership i drivers più forti che possono portare a risultati in termini di performance

nell’innovazione di prodotto: essi sono i fattori più difficili da misurare e perfino più

complessi da cambiare all’interno dell’impresa.

Il top management gioca un ruolo guida nello sforzo all’innovazione, creando un

clima positivo e una cultura orientata all’innovazione. Ad esempio, essi incoraggiano

creatività e innovazione creando team con efficaci funzioni trasversali di new product

developement, concedendo ricompense e riconoscimenti alle migliori performance.

31

L’innovazione è un presupposto per sostenere la crescita: senza di essa i mercati

stagnano, i prodotti diventano commodities e i margini si restringono.

Il ruolo del top management nella trasmissione di un clima e di una cultura

organizzativa orientata all’innovazione è una chiave di successo nello sviluppo di nuovi

prodotti. Possiamo identificare diversi elementi del clima organizzativo, che determinano in

modo più o meno forte il successo dell’impresa:

1. Forte dedizione del top management nello sviluppo di nuovi prodotti

2. Forte supporto, potere decisionale e autonomia d’azione ai teams da parte del top

management

3. Clima di supporto all’imprenditorialità e all’innovazione

4. Riconoscimenti per il migliore team coinvolti nello sviluppo di nuovi prodotti

5. Misura dell’innovazione di prodotto tra gli obiettivi annuali del management

6. Spazi per il lavoro creativo (Friday Project)

7. Spinta per la realizzazione di programmi di sviluppo avanzati e di progetti informali

Da questa classifica di fattori, è chiaro come dedizione, impegno e supporto del

management siano di vitale importanza all’interno del contesto di innovazione: solo se tutto

questo viene diffuso dal vertice verso il resto dell’organizzazione sarà molto più probabile

la buona riuscita di nuovi progetti di business.

Il top management può servirsi di diversi strumenti per canalare l’organizzazione

verso quelli che ritiene i suoi valori, le sue prospettive, i suoi progetti: nel definire i team di

lavoro, le organizzazioni che hanno le performance migliori, seguono alcune best practices:

- Il team deve essere formato da soggetti con competenze eterogenee, i partecipanti

devono provenire da diverse aree funzionali;

- I progetti devono essere realizzati da team ben identificati, il leader deve essere

identificabile e deve essere mantenuto fino alla fine del progetto

- Il team porta avanti il progetto dall’inizio alla fine senza “mollarlo”, evitare la politica

del non-intervento

- Utilizzare tecnologie avanzate ed efficienti per migliorare il sistema di

comunicazione all’interno del team

- Responsabilizzare i membri del gruppo sui risultati da ottenere: al temine del

progetto saranno comparati gli obiettivi iniziali con gli elementi di successo presenti

nei risultati.

In particolare, il successo del criterio utilizzato dipende dalla sua capacità di definire

i risultati auspicati e dalla loro capacità di misurarli una volta raggiunti.

32

3.2 L’importanza di un gruppo eterogeneo

L’innovazione è una strada tortuosa che difficilmente si riesce a percorrere da soli, e

per qualsiasi progetto innovativo è fondamentale che il manager venga affiancato da altri

soggetti, in modo che si formi un team di lavoro in grado di affrontare tutti gli aspetti e le

difficoltà che si possono incontrare.

Il gruppo di lavoro deve essere eterogeneo e quindi composto da persone di

provenienza da vari comparti aziendali e con diverse competenze, in modo che riescano a

completarsi tra loro.

Un’organizzazione per essere equilibrata deve avere al suo interno persone che

possiedano tutte quante la caratteristica dell’innovatore (“discovery-driven people”); le

capacità ed attitudini devono essere bilanciate e vanno valorizzate invece le caratteristiche

migliori di ciascuno.

All’interno del gruppo si deve verificare una situazione di equilibrio tra competenze

più intellettive e competenze più operative: equilibrio non per forza significa soluzione

ideale, per cui a volte è meglio avere una maggiore componente di persone con capacità

intellettive mentre altre volte più operative, a seconda della fase di sviluppo del progetto

(innovation cycle).

È fondamentale che ogni persona si senta integrata all’interno del gruppo,

percependo la propria presenza come importante al fine del buon esito del lavoro: questo

aumenterà sicuramente la loro motivazione e il coinvolgimento nel progetto.

Diversi autori si sono chiesti quali sono le figure che devono essere presenti nel

team, in modo da individuare una sorta di gruppo di lavoro tipo.

Provando a rispondere a questi due quesiti:

-“What kind of people need to be involved for effective technical development?”

-“What managerial actions can be taken to maximize their overall productivity?”

Edward B. Roberts ha individuato cinque ruoli comportamentali critici all’interno di un

gruppo. I cinque ruoli sono:

-Idea generators

-Entrepreneur/product champion

-Program manager/leader

-Gatekeepers

-Sponsor/coach

33

Con idea generators si intendono le persone preposte all’innovazione, che riescono

ad avere la prima intuizione necessaria alla nascita di idee innovative.

Si dividono in due categorie: idea-havers e idea exploiters. Gli idea-havers sono

coloro i quali hanno l’idea, e fanno la prima proposta. Gli idea exploiters invece ricombinano

in una seconda fase le idee generate dagli idea-havers, per connetterle e trarne le soluzioni

migliori.

I product champion sono i motivatori del gruppo, coloro i quali coinvolgono i loro

colleghi e li rendono partecipi sviluppando un “sense of ownership of the project”. È

fondamentale infatti che tutti si sentano parte integrante e “padri” del progetto, perché solo

con il coinvolgimento aumenta la motivazione, e quindi la resa delle persone.

I program manager/leader hanno il ruolo di definire la pianificazione del progetto,

monitorare e controllare il processo, far rispettare le scadenze.

I gatekeepers sono una sorta di ponte tra i vari membri del gruppo, e tra l’interno e

l’esterno del gruppo; nelle grandi aziende per esempio mantengono il contatto tra il gruppo

del progetto e il resto dell’organizzazione. Devono essere dei buoni ascoltatori, devono

avere delle competenze trasversali e un orientamento al problem solving, per permettere

tutti i collegamenti tra i vari soggetti e superare le difficoltà che si presentano.

Infine la figura dello sponsor/coach è preposta a dare consigli, a facilitare il progetto

e a supportare gli altri membri del gruppo qualora ne avessero bisogno. Sono i soggetti con

maggiori conoscenze ed esperienze, e spesso sono in grado di risolvere i problemi dei loro

colleghi anche tramite “bootlegging”, ovvero sfruttando le conoscenze, le relazioni, le

competenze già maturati nel tempo e consolidati nel background della persona.

Secondo Edward B. Roberts se ogni soggetto riesce a capire e ad individuare il

proprio ruolo all’interno di questi cinque, aumenterà la sua resa lavorativa tesa

all’innovazione, permettendo la riuscita di un lavoro migliore.

Non è importante esprimere quale ruolo si ha all’interno dell’organizzazione,

l’importante è sapersi collocare in uno di questi ruoli, per poter apprezzare il lavoro svolto

in relazione al progetto.

Durante lo sviluppo del progetto il ruolo delle singole persone può anche cambiare,

passando da uno a un altro, ma deve restare sempre importante la suddivisione dei ruoli

all’interno del gruppo.

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Una critica che ci sentiamo di dare a quest’analisi di Edward B. Roberts è che forse

individuare i ruoli all’interno del gruppo di lavoro con cinque tipologie di figure può essere

limitante. Non sempre infatti una persona riesce ad immedesimarsi in uno dei cinque key

roles, ma ciò nonostante il suo apporto al progetto potrebbe essere molto importante.

Qualora una persona non riuscisse ad immedesimarsi in un ruolo, si sentirebbe

altamente demotivato, ed il suo apporto in termini di lavoro nel team potrebbe risentirne

notevolmente.

In un contesto dirompente come quello dell’innovazione, secondo noi è meglio non

mettere dei paletti come i cinque key roles, ma forse sarebbe meglio lasciare libere le

persone di trovarsi un ruolo all’interno del team, senza vincoli di particolari figure. Una

volta che ognuno si sentirà integrato, e sentirà integrati a loro volta i suoi colleghi, i benefici

e l’alchimia si svilupperanno naturalmente se ci colleghiamo in un contesto idoneo allo

sviluppo di innovazione.

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4. Best practice: il caso Loccioni

A parere di chi scrive è sembrato opportuno riportare un caso concreto come

esempio tangibile di un’azienda in cui il clima organizzativo rappresenta uno dei motori

principali per sviluppare prodotti e progetti innovativi, e in cui le iniziative che influiscono

sullo stesso clima aziendale sono continuamente oggetto di rinnovamenti e trasformazioni.

4.1 La storia del gruppo

Quello che oggi è il Gruppo Loccioni

nasce nel 1968, quando Enrico Loccioni,

allora elettricista, decide con altri due soci

di mettersi in proprio, con l’idea di creare

un modello imprenditoriale che

sviluppasse lavoro e conoscenza. Oggi il

Gruppo è una sartoria tecnologica, dove

vengono progettati e realizzati per i clienti

sistemi di misura, controllo per il

miglioramento della qualità e dell’efficienza di prodotti e processi. È una delle principali

realtà italiane in termini di innovazione (nel 2010 ha ricevuto dal Presidente della

Repubblica Italiana il Premio Nazionale per l’Innovazione) e conta circa 350 dipendenti con

una età media di circa 33 anni. Il gruppo, oltre che in Italia, è presente in Cina e negli Stati

Uniti.

Si autodefinisce un impresa familiare e un’Open Company: cioè si apre all’esterno

perché tale apertura alimenta il desiderio continuo di approfondimento, di cambiamento e

innovazione.

Vediamo quindi i motivi che hanno portato il Gruppo Loccioni a essere tra i migliori

“Best Workplaces” in Italia e attraverso quali fattori e driver caratteristici del clima

aziendale viene realizzata l’innovazione. Successivamente rifletteremo come quest’ultima, a

sua volta, possa stimolare la motivazione e rinforzare la cultura d’impresa.

4.1 L’innovazione attraverso l’apprendimento

Il Gruppo Loccioni vuole proporsi come “impresa della conoscenza”: per creare nei

propri dipendenti la consapevolezza e la convinzione di lavorare in un’impresa che fa un

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vero e proprio investimento su di loro, Loccioni cerca di favorire competenza e

apprendimento continuo.

I collaboratori, sia prima di entrare che una volta all’interno dell’impresa, sono

accompagnati attraverso un susseguirsi di stimoli che si traducono nell’opportunità di

sviluppare nuove abilità e di mettersi in gioco.

Possiamo suddividere l’apprendimento in tre fasi principali che coincidono con il

percorso lavorativo e di crescita del lavoratore.

a. L’istruzione – Bluezone

Il Gruppo Loccioni cerca il contatto con i giovani già dall’età della scuola dell’obbligo,

con grande fiducia nella loro passione e creatività: ogni anno, infatti, apre le porte

dell’azienda, organizzando corsi e seminari con l’obiettivo di preparare gli studenti ad

affrontare il mondo del lavoro.

Inoltre, agli studenti universitari propone delle opportunità di master e percorsi

formativi di pre-ingresso per i nuovi collaboratori. Gli obiettivi sono molteplici: trasferire

informazioni organizzative sul gruppo, permettere l’acquisizione di conoscenze del

mercato, sviluppare competenze per ottimizzare l’inserimento lavorativo, creare senso di

appartenenza al Gruppo.

Il percorso si compone di formazione tradizionale in aula, project work tematici,

esperienza lavorativa in azienda supportata da un sistema di “coaching” individuale. A tal

proposito è previsto il cosiddetto “Buddy System”, strumento con cui si vanno ad educare e

monitorare i nuovi inseriti, allineando i loro comportamenti ed atteggiamenti rispetto “alle

regole e allo stile della casa”. Si cerca così di affiancare ad una giovane risorsa una con più

esperienze per rendere l’inserimento più graduale e naturale.

b. La formazione - Redzone

Al fine di aggiornare le competenze dei propri dipendenti e stimolare la loro

curiosità nell’apprendimento di nuove metodologie relative al loro ambito di

specializzazione, ogni anno il Gruppo Loccioni organizza circa 8.000 ore di formazione che

coinvolgono circa il 65% dei collaboratori. Per quello che riguarda le metodologie, oltre alle

classiche lezioni frontali e ai project work, si utilizzano anche altre forme d’insegnamento,

quali ad esempio il coaching di gruppo ed il teatro d’impresa.

La formazione assume diverse sfaccettature:

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Manageriale gestionale: si affrontano argomenti di natura manageriale-gestionale con

l’obiettivo di favorire la crescita e lo sviluppo di competenze trasversali fondamentali

per percorsi di sviluppo interno (ad esempio: team work, problem solving, gestione del

tempo, motivazione);

Commerciale: rivolta a coloro i quali si relazionano con il cliente finale. L’obiettivo è

quello di ampliare la cultura del cliente e del mercato, insegnando metodi e approcci

progettuali (ad esempio: approccio al mercato e tecniche di marketing nel B2B e B2C);

Tecnica: legata all’attività di business. In questo caso l’obiettivo è quello di aggiornare le

competenze dei collaboratori relativamente a nuove normative, standard di qualità,

sistemi di progettazione, ricerca applicata e diffusione del know how interno.

Linguistica: legata alla possibilità di cogliere le sfide offerte dal mercato internazionale.

È attivo un servizio formativo interno per l’apprendimento linguistico continuativo. Le

lingue garantite sono: inglese, spagnolo, tedesco, francese, portoghese e cinese.

c. Il trasferimento di conoscenza - Silverzone

Secondo il Gruppo Loccioni il rapporto con il dipendente si basa principalmente sulla

stima e la fiducia: il lavoratore è visto come una risorsa ma prima di tutto come una

persona, e questa è una visione che estende i propri confini anche al di fuori dell’azienda.

È proprio partendo da questi presupposti che è stata pensata l’iniziativa della

Silverzone, un sistema che raccoglie le conoscenze accumulate nel tempo da parte dei

lavoratori più anziani, i quali, una volta terminato il loro servizio, continuano a tramandarle

alle nuove generazioni attraverso un percorso di affiancamento.

La Silverzone accoglie persone di esperienze e saperi diversi che con il loro valore

sostengono l’innovazione e contribuiscono al successo del Gruppo: ne fanno parte

ricercatori, consulenti, professori e manager di importanti realtà industriali che sono

riusciti a raggiungere grandi traguardi nella loro vita professionale.

Un esempio di successo: un ponte tra Bliuezone e Silverzone

Uno dei principali desideri del Gruppo Loccioni è quello di cercare e creare un continuo

contatto tra le generazioni di lavoratori uscenti e quelle entranti, tra il giovane che vuole

crescere e l’anziano che è gratificato dal potergli trasferire il suo know-how .

“2882” è il nome del progetto che sintetizza proprio questo concetto. Un progetto che

ha portato alla nascita di uno dei più importanti brevetti nel settore auto e che vede come

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attori Filippo Surace, di anni 82, ex direttore della ricerca e poi responsabile tecnico del

prestigioso marchio Alfa Romeo, e un giovane laureato di 28 anni, Carmine Ungaro.

Quest’iniziativa testimonia come la collaborazione possa andare oltre l’età anagrafica

e come la contaminazione fra vecchie e nuove conoscenze possa essere frutto di un

arricchimento culturale, esperienziale ed umano.

4.3 L’innovazione attraverso l’autonomia

Un’azienda in cui i dipendenti hanno la consapevolezza di poter contare sulla

gestione autonoma e responsabile del proprio lavoro, sarà un’azienda in cui le persone,

spinte da un forte commitment, saranno portate a raggiungere obiettivi ambiziosi, per sé

stessi e per tutta l’organizzazione.

È proprio partendo da quest’idea che è stato intrapreso il progetto “Avvia l’impresa”,

un modo per consentire ai dipendenti che intendono mettersi in proprio e realizzare il

proprio concetto di business, di ottenere i mezzi necessari per raggiungere i loro obiettivi.

Attraverso lo sviluppo di spin-off, ospitati vicino alla sede del Gruppo e legati a determinate

tecnologie, il Gruppo Loccioni diventa un vero e proprio incubatore di nuove imprese,

mantenendo però con queste un rapporto costante. Il fine ultimo è quello di sviluppare una

collaborazione sinergica tra il Gruppo e le persone che si sentono pronte per il salto dalla

posizione di collaboratore interno a quella di imprenditore.

Inoltre Loccioni fornisce numerosi servizi di supporto per tutte le attività di natura

operativa che il neo-imprenditore sarà chiamato a svolgere; a questi si aggiungono servizi

di consulenza con soggetti più esperti, i quali assumono un’importanza fondamentale

perché affiancano il lavoratore nella fase d’inizio della nuova attività, permettendogli di

prendere le decisioni più critiche con maggiore serenità.

A questi si affiancano anche i servizi strategici che contribuiscono allo sviluppo della

parte soft dell’impresa, cioè le persone, le informazioni, il know how. Il supporto di tipo

strategico contraddistingue il titolo di partnership evoluta che si viene a creare tra il neo-

imprenditore e il Gruppo Loccioni.

4.4 L’innovazione attraverso la creatività

Per realizzare un’impresa innovativa, un requisito di vitale importanza è stimolare la

creatività di chi è chiamato a generare le idee. La soluzione: il modello della Play Factory.

Questo modello consiste in una nuova cultura del lavoro che incentiva la fantasia, sviluppa

conoscenze attive e scoperte innovative. È nata dall’ingegno di Isao Hosoe, autore del libro

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“Play Office”, il quale ha teorizzato l’introduzione del gioco all’interno dell’organizzazione

aziendale perché “è nel gioco che l’uomo esprime il massimo della propria intelligenza”.

Uno strumento operativo utile ai manager e introdotto anche in Loccioni è “Play 40”,

un gioco da tavolo che permette, attraverso due mazzi di 40 carte ciascuno (da una parte

parole e immagini, dall’altra approfondimenti e prospettive), di giocare con idee che

potranno poi trasformarsi in spunti.

4.5 I miglioramenti del clima aziendale

Il concetto di base riguarda il passaggio dal “possesso” delle risorse al loro

“presidio”, attraverso la fidelizzazione. Non vi è tanto la figura del “dipendente” quanto

invece il collaboratore che investe il proprio sapere nell’impresa condividendone i risultati.

Attraverso apprendimento, autonomia e creatività, il lavoratore non sente solo di dare

qualcosa all’azienda, ma anche di ricevere qualcosa da essa, e a sua volta è portato a dare

ancora di più.

Oltre che le iniziative rivolte alle persone, le quali portano alla creazione di una forte

identità aziendale intesa come piena condivisione dei valori e della mission d’impresa, a

rinforzare la creazione di un clima aperto e incentrato sulle relazioni costruttive

contribuiscono anche i progetti che coinvolgono il territorio, l’ambiente e la comunità.

Iniziative per il territorio

La missione di questo tipo di progetti è quella di creare dei networks in grado di

alimentare la crescita del territorio e dei singoli partecipanti attraverso la condivisione di

informazioni ed esperienze. A titolo di esempio possiamo citare Netpeople, una rete volta ad

agevolare la comunicazione e l’integrazione tra dieci piccole e medie imprese di una

particolare zona della provincia di Ancona, con la quale si intendono migliorare i prodotti

dei clienti e si svolgono attività consulenziali pre- e post vendita; U-Net, una rete creata con

la collaborazione delle Università; Nexus, una rete plurisettoriale di realtà imprenditoriali

locali, costruita per comunicare e interagire potenziando i saperi individuali d'impresa

mediante l’organizzazione di incontri ed attività e attraverso lo scambio di best practice.

Iniziative per l’ambiente

Il modello adottato negli ultimi anni dal Gruppo Loccioni è quello della “Leaf

Community” , una filosofia basata principalmente sulla eco-sostenibilità in tutti gli ambiti,

dalla produzione alle caratteristiche degli edifici, alle più semplici condotte delle persone.

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Iniziative per la comunità

Il Gruppo Loccioni, frequentato da circa 8000 persone all’anno, ha scelto di far vivere

ai propri visitatori un’esperienza diversa che vada al di fuori dell’azienda: ha così lanciato il

progetto di Land of Value, ossia la proposta di un percorso nel territorio marchigiano, alla

scoperta di luoghi e sapori in grado di trasmettere lo stile di vita. Quest’iniziativa ha così

avuto un effetto a macchia di leopardo nello sviluppo di agriturismi e piccole realtà locali

che hanno potuto beneficiare di una grande rivalutazione della loro proposta e di ritorni

economici notevoli.

Vivere la Loccioni experience significa immergersi in una realtà dinamica, aperta,

stimolante e giovane, in cui la cultura d'impresa è basata sul concetto di “gioco” con

apprendimento continuo, che vede i suoi collaboratori protagonisti di un progetto di ampio

respiro fortemente orientati alla sostenibilità.