"Questi non sono che versi del pittore". Poesie inedite di Argio Orell.

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TRIESTE SERIE IV - VOLUME LXXIV (CXXII DELLA RACCOLTA) 2014

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T R I E S T E

SERIE IV - VOLUME LXXIV (CXXII DELLA RACCOLTA)

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ARCHEOGRAFO TRIESTINOedito dalla Società di Minerva

Direttore responsabile:

GINO PAVAN

Comitato di redazione:

ELVIO GUAGNINI, GINO BANDELLI, DIANA BARILLARI

Sede della redazione e amministrazione:

presso la Biblioteca Civica - Piazza Attilio Hortis n. 4 - 34123 Trieste

La proprietà letteraria è riservata ai singoli autori

© Copyright 2014 by editore Società di Minerva - Trieste

SERIE IV CXXII VOLUME LXXIV DELLA RACCOLTA

I N D I C E

ARCHEOLOGIA CRISTIANA

– ROSSELLA BRESCIANI - Le aree cimiteriali tardoantiche e le chiese suburbane di Aquileia . . . . . . . . . . . . . pag. 1-62

STORIA DELL’ARTE

– FRANCESCA NODARI - Nota su un disegno inedito di Pie- tro Antonio Novelli dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ,, 65-89

– FRANCESCA NODARI - Nuovi documenti per l’attività di Giuseppe Lorenzo Gatteri a Trieste . . . . . . . . . . . ,, 91-96

– MASSIMO DE GRASSI - Tra mito e allegoria: la decorazio- ne della facciata della sede centrale dell’Università di Trieste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ,, 97-135

– FABIANA SALVADOR - Trieste 1954. Concorso per la colon- na mariana. Tra arte e politica. L’opera di Asco . . . . . ,, 137-154

LETTERATURA

– LAURA PARIS - «Questi non sono che versi del pittore». Poesie inedite di Argio Orell . . . . . . . . . . . . . . . ,, 157-180

– ELVIO GUAGNINI - Un giardino per Marisa Madieri . . . . ,, 181-184

– FABIO VENTURIN - «Come si diventa profughi»: Un To- mizza radiofonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ,, 185-214

– ELVIO GUAGNINI - Sui «frammenti di una città della me- moria» e a proposito dei libri di Fulvio Muiesan . . . . ,, 215-220

STORIA

– PAOLO MARZ - Dal trattato di Berlino del 1878 alla cam- pagna navale del 1914 in Adriatico. La città «aperta» di Trieste nei primi mesi della guerra «europea» . . . . . . pag. 223-353

– DIANA DE ROSA - Aule e scolari. Gli edifici scolastici co- munali nella Trieste asburgica . . . . . . . . . . . . . . ,, 355-455

– DIANA DE ROSA - Il deposito della pietra. La lunga guerra dei monumenti, Trieste 1915-2008 . . . . . . . . . . . . ,, 457-508

ARCHIVI

– GINO PAVAN - Ricordo di Vittoria Nobile e l’incremento del «Fondo Nobile» della Soprintendenza . . . . . . . . . . ,, 511-514

– Fondo Nobile - a cura di Giuliana Marini . . . . . . . . ,, 515-635

IN MEMORIAM

– MASSIMO DE GRASSI - Ricordo di Maria Walcher Casotti ,, 639-641

– Scambi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ,, 645-650

– Pubblicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ,, 651

– Quaderni di Minerva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ,, 653

«Questo genere di versi quasi narrativi mi si presentano spesse volte come già scritti, e poiché mezz’ora dopo non saprei ricordarli, né combinare un solo endecasillabo o un settenario neppure se mi offrissero in cambio la libertà, non ho sempre la forza di non annotarli. Non vogliono essere un saggio di attività letteraria: questi non sono che versi del pittore, e te li man-do solo ad illustrare la mia pittura».

Così scriveva, il 15 dicembre 1941, Argio Orell all’amico Silvio Benco, cui stava spedendo delle poesie che la settimana seguente sarebbero state esposte, assieme ad alcuni dipinti, presso la Galleria Trieste (1).

I dipinti, tre composizioni ad olio su carta dal titolo Versi di spine, rap-presentano le spine di una robinia (2) e sono datati novembre 1941. «Non sono nature morte, né copie dal vero: sono bensì ispirate dal vero come (…) non può essere altrimenti mai l’opera d’arte, ma svolte e contrappuntate in libertà come musiche o versi» (3).

Il trittico (figg. 3-5), oggi conservato in una collezione privata a Roma (4), costituisce uno degli ultimi esempi dell’arte di Orell, che poco meno di un mese dopo, il 10 gennaio 1942, si spense presso il frenocomio di San Giovanni (5).

LAURA PARIS

«QUESTI NON SONO CHE VERSI DEL PITTORE».POESIE INEDITE DI ARGIO ORELL

(1) Cfr. B. (S. BENCO), Mostre d’Arte. Tre quadretti e alcune poesie di Argio Orell, «Il Piccolo», Trieste, 21 dicembre 1941, p. 3. Il testo è riproposto integralmen-te nell’appendice di questo scritto.

(2) Trattasi, come specifica lo stesso artista sul retro delle opere, di spine dei rami e del tronco di Gleditsia triacanthos, pianta comunemente nota come «spino di Giuda».

(3) Lettera di Argio Orell a Silvio Benco datata 15 dicembre 1941, Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste, collocazione R.P. Ms Misc 58/X/975/1.

(4) Cfr. P. DELBELLO (a cura di), Raffinatezza e seduzione. Argio Orell pittore triestino (1884-1942), Trieste, I.R.C.I., 2012, catalogo dei disegni e dei dipinti, nn. 161-163, p. 217.

(5) Un lutto per l’arte triestina. La morte del pittore Argio Orell, «Il Piccolo», Trieste, 13 gennaio 1942, p. 2.

158 LAURA PARIS

Le liriche, di cui, giacché inedite, si dà un’integrale trascrizione nell’ap-pendice di questo intervento, ci sono giunte nella loro versione autografa all’interno del fondo Silvio Benco, conservato presso l’Archivio Diplomatico della Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste.

Furono scritte da Argio Orell, come lui stesso ebbe a dichiarare, «…solo perché li leggesse mia figlia e ne sentisse il rimprovero scherzoso, ma un poco forse anche quale beffa malinconica a me stesso che cerco modelli tra le spine» (6).

Il rapporto tra Argio Orell e Silvio Benco dovette basarsi su una grande fiducia, come dimostra il fatto che l’artista affidò allo scrittore il suo diario-romanzo redatto tra il novembre del 1936 e il marzo 1938 (7), con la speranza che questi gli facesse avere le sue critiche, osservazioni e correzioni.

Sollecitandolo in tal senso, il 5 agosto del 1941, gli scrisse: «O Benco, se io potessi starti vicino quando leggi il mio libro, e sentire passo per passo i tuoi intimi ragionamenti d’uomo e d’artista, quanto potrei migliorarlo se già vale qualcosa. Non ho mai avuto una guida io, neppure per la pittura, forse perché non avrei saputo essere un grato scolaro, ma certo saprei esserlo oggi. Ti prego Benco, come nelle mie prime lettere: correggi, sfronda aiutami a snellire e rendere tutto più breve ed espressivo, o assicurami che così com’è può restare» (8).

Ed ancora, due settimane dopo: «Vorrei anche pregarti di dirmi se credi gioverebbe alla chiarezza che i nomi dei luoghi siano nel libro i veri. Potrei farlo senza timori, anche se attraverso essi qualche presuntuoso volesse me-glio riconoscersi» (9).

Parallelamente alla redazione di tale diario-romanzo, il pittore compose alcune poesie, dedicate alla figlia Chiara. Il dattiloscritto che le contiene (10) è giunto anch’esso all’Archivio Diplomatico della Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste attraverso il lascito della poetessa Lina Galli (11).

(6) Lettera di Argio Orell a Silvio Benco datata 15 dicembre 1941, Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste, collocazione R.P. Ms Misc 58/X/975/1.

(7) Lo scritto, oggi di proprietà di Piero Delbello, è stato oggetto di studio da parte di quest’ultimo in P. DELBELLO (a cura di), op. cit, pp. 32-49.

(8) Lettera di Argio Orell a Silvio Benco datata 5 agosto 1941, Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste, collocazione R.P. Ms Misc 58/X/974.

(9) Lettera di Argio Orell a Silvio Benco datata 26 agosto 1941, Biblioteca Civi-ca Attilio Hortis di Trieste, collocazione R.P. Ms Misc 58/X/975.

(10) Gioconda. Poesie inedite del pittore Argio Orell, Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste, collocazione R.P. Misc 4-6239.

(11) L’archivio della poetessa Carolina Galli, detta Lina (Parenzo, 10 febbraio 1899-Trieste, 23 giugno 1993), pervenne alla Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trie-ste in due fasi: la prima, risalente al 1994, per volontà testamentaria della stessa Lina Galli e la seconda, risalente al 2013, grazie ad un ulteriore lascito della nipote Maria

«QUESTI NON SONO CHE VERSI DEL PITTORE». POESIE INEDITE DI ARGIO ORELL 159

Le liriche, ad oggi inedite, furono composte in un periodo di riposo for-zato per l’artista; era infatti reduce da un lungo ricovero che lo vide, tra l’a-gosto del 1935 ed il novembre 1936, degente presso l’ospedale di San Gio-vanni prima ed il Regina Elena (12) poi.

Il ricovero si era reso necessario a causa dell’aggravarsi delle sue condi-zioni di salute, avvenuto nei mesi in cui, dopo frequenti spostamenti tra Mi-lano, Torino e Bergamo, risiedeva a Brescia. Da lì aveva scritto ripetutamen-te alla moglie Anna per informarla del suo malessere, ma poiché da tempo i rapporti tra i due erano incrinati, ella per mesi ignorò le sue lettere. Quando si decise a leggerne una ed apprese la situazione, lo raggiunse per portarlo con sé a Trieste. Qui ne fece curare i disturbi circolatori dal dottor Adriano Sturli (13), il quale riuscì a ad evitargli l’amputazione di una gamba.

Durante la degenza ebbe modo di rivedere la cugina Ada che presso l’ospedale stava facendo pratica come crocerossina (14), e che aveva avuto desiderio di «conoscere finalmente questo cugino di cui tutti le chiedono quando dice il suo nome» (15). La sua presenza divenne da allora un vero toccasana per l’artista: fonte di gioia e di ispirazione pittorica, come dimo-strano i numerosi ritratti che le dedicò (16).

Pia Galli la quale donò quanto ancora in suo possesso: corrispondenza, manoscritti e recensioni apparse sulla stampa.

Un ultimo fondo archivistico della Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste, il fondo Rovan, ospita documenti riguardanti Argio Orell. Si tratta di un breve carteggio risalente al 1903 (R.P. Ms Misc 242/1.145), in cui Argio Orell ringrazia Ruggero Rovan per il busto-ritratto donatogli (cfr. B. M. FAVETTA, Ruggero Rovan scultore 1877-1965, Trieste, Comune di Trieste, 1977, op. 42, pp. 18 e 37) e, con amichevoli parole, si com-plimenta con lui per la vittoria riportata al Premio Rittmeyer: «Sono lietissimo caro Rovan di poterla salutar vincitore (...). Le auguro forte che nella eterna città tutto vada secondo i suoi desideri e che ella possa in quella magnifica quiete dar forma a tutti quei pensieri che nella travagliata vita che visse fino a oggi non le era permesso di esprimere.»

Ringrazio la dottoressa Gabriella Norio, dell’Archivio Diplomatico della Biblio-teca Civica Attilio Hortis di Trieste, per l’assistenza e le informazioni fornitemi.

(12) Regina Elena è il nome che fu conferito nel 1922 all’Ospedale Maggiore di Trieste.

(13) Adriano Sturli (1873-1964), ematologo, per quarant’anni primario presso l’o-spedale Regina Elena di Trieste, collaboratore dello scienziato viennese Karl Landstei-ner (premio Nobel per la medicina nel 1930), è noto per aver scoperto nel 1903 assieme al viennese Alfred von Decastello, il gruppo sanguigno AB. Nel 1922 Orell aveva eseguito un suo ritratto, cfr. P. DELBELLO (a cura di), op. cit, l’album, n. 74, p. 300.

(14) In veste di crocerossina Argio ritrarrà la cugina nel dipinto e nel disegno «Clarissa» del 1936. Cfr. P. DELBELLO (a cura di), op. cit., catalogo dei disegni e dei dipinti, nn. 136 e 137, p. 212.

(15) Dal diario-romanzo di Argio Orell, cfr. P. DELBELLO (a cura di), op. cit., p. 34.(16) Cfr. P. DELBELLO (a cura di), op. cit., catalogo dei disegni e dei dipinti, nn.

133-134, 136-137, 142-149, pp. 211-214.

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Dimesso dall’ospedale, soggiornò presso l’Albergo Riviera, allietato di tanto in tanto dalle visite della figlia Chiara (17) (fig. 1) e della cugina Ada (fig. 2). Fu in quei mesi di solitudine e sofferenze causate da una forma acuta di lupus eritematosus (malattia dermatologica che ne deturpò il viso e lo por-tò, per vergogna, a precludersi una vita sociale), che compose le poesie con-tenute nel dattiloscritto del lascito Galli.

Si tratta di undici componimenti in versi sciolti, datati tra il 15 novembre 1936 e l’agosto del 1937. Essi narrano perlopiù le visite ed i momenti di gio-ia trascorsi assieme alla figlia Chiara, in quest’occasione chiamata Gioconda (nome che dà il titolo alla raccolta di poesie), Onda, Ondina, Ondetta. Questo sistema di pseudonimi, adottato anche nel coevo diario-romanzo, trasforma lo stesso Argio in Giorgio Varchi, sua moglie Anna in Elena, l’amata cugina Ada in Giada o Rosa; il proprietario dell’albergo, Vittorio Dolplicher, in Ar-pagone, ed i suoi figli, Mara e Mario, in Marina e Glauco.

All’amore per la figlia si contrappone il contrastato sentimento nei con-fronti della moglie, colei che «fulminò la sua giovinezza, sconvolse ed arse la sua vita» (18) ma che ora si presenta così «aggressiva, avversa e perfida» (19).

I versi di Orell compongono parola dopo parola, o pennellata dopo pen-nellata come verrebbe da dire leggendoli, delle immagini suggestive, croma-tiche ed intrinsecamente pittoriche (20); talvolta persino scultoree (21). Anche lo stile di scrittura, ricco di enjambement, aggettivazione e frasi ritmate, qua-si spezzate, sembra riprodurre la gestualità del pittore che compone la sua idea sulla tela.

I componimenti furono trascritti a macchina tra il giugno del 1939 ed il febbraio del 1940 presso il frenocomio di San Giovanni, dove Argio era stato ricoverato dalla moglie che non riusciva più a far fronte alle sue spese di man-tenimento, per affrontare le quali aveva da tempo avviato una sua attività (22)

(17) Nel 1921, alla nascita della figlia, Argio ed Anna, fondendo i loro nomi, la chiamarono Argianna. Fin dall’infanzia però il nome comunemente impiegato per lei fu Chiara.

(18) Cfr. la poesia «Compleanno di Gioconda» nell’appendice documentaria.(19) Cfr. la poesia «Momenti d’oro» nell’appendice documentaria.(20) Ne sono un esempio i «fili d’argento nelle onde lisce della sua stretta chioma

bruna» o il «mare opaco che parea di piombo irrigidito».(21) A tal proposito sono di notevole impatto due citazioni contenute nelle poesie

«Momenti d’oro» e «Gioconda e Giada». Nella prima la figlia Chiara è paragonata alla Fanciulla d’Anzio, celebre scultura ellenistica rinvenuta nel 1878 tra le rovine della villa di Nerone, nella seconda invece, lo slancio che le conferisce «un abito lungo fra grigio e rosa», la fa apparire agli occhi paterni «solidetta e magra» come «solo una figurina di Tanagra».

(22) Nella Guida generale di Trieste del 1933 a nome di Anna Orell compare una lavanderia e stireria ubicata al numero 3 di via Saltuari a Roiano. Cfr. Guida generale

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e dovuto vendere molti oggetti delle loro collezioni: mobili, tappeti, quadri, stampe giapponesi (23) e libri (24).

Queste azioni, purtroppo necessarie, dovettero provocare notevole fasti-dio all’artista ed inasprire ulteriormente i rapporti tra i due coniugi.

A porre fine a questa situazione di dolore giunse, il 10 gennaio 1942, un forte attacco di angina pectoris, «...un attacco fulmineo che lo tolse quasi senza sofferenze da questo mondo per lui divenuto sì triste» (25).

Sfumò così la realizzazione del sogno che aveva animato gli ultimi mesi di vita dell’artista: «...la liberazione da qui, per lavorare ancora in dignitosa libertà, poiché (...) io non sono malato e del resto qui non vi sarebbe per me assistenza né cura di nessuna specie» (26).

di Trieste e delle province di Trieste, Istria, Friuli, Carnaro e Zara, Trieste, Casa editrice Suttura, Guglielmi & C., 1933, p. 416.

(23) Nota e ben documentata è la passione e conoscenza di Argio Orell nei con-fronti dell’Arte orientale, giapponese in particolare. Per alcuni approfondimenti cfr. S. ZANLORENZI, Il giapponismo di Argio Orell tra contesto internazionale ed esperienza individuale, «Archeografo Triestino», vol. 117 (2009), pp. 557-603 e L. CRUSVAR, Il Giappone di Argio Orell; una passione, tante suggestioni in P. DELBELLO (a cura di), op. cit., pp. 50-66.

(24) Uno di tali libri, Der japanische Holzschnitt di Julius Kurth, edito a Monaco nel 1921, fa oggi parte delle collezioni della Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste (inv. 139559). Esso presenta l’ex libris di Argio Orell e risulta sia stato acquistato presso la libreria antiquaria Misan nel 1958.

(25) Un lutto per l’arte triestina, op. cit., p. 2.(26) Lettera di Argio Orell a Silvio Benco datata 5 agosto 1941, Biblioteca Civica

Attilio Hortis di Trieste, collocazione R.P. Ms Misc 58/X/974.

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Fig. 1 – Argio Orell, Porticina chiusa (Chiaretta), 1931. Trieste, collezione privata.

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Fig. 2 – Argio Orell, Il rossetto di Giada, 1937. Ronchi dei Legionari, collezione pri-vata.

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Figg. 3-5 – Argio Orell, Versi di spine, 1941. Roma, collezione privata.

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Trascrizione del dattiloscritto «Gioconda» conservato presso la Biblioteca Civica At-tilio Hortis di Trieste

COMPLEANNO DI GIOCONDADal D.G.V.

15 novembre 1936

Chiara giornata grigia, pioviggina,si sente in alto sibilar di borablanda leggera ancora. Il mare viene a rivacon lunghe fasce di nervose ondineportate dal libeccio.

Gioconda compie oggidi già tredici anni. (27) Ho atteso questa data ora per ora,per averla vicina. E venne con la mamma,passato il mezzogiorno.

Era bella Gioconda,incoronata dalla treccia stramba,sottile collegialenella divisa nera. Non so se pur Elena fosse bella,certo era sofferente e trasognata.

Durante il pranzo, nella luce calmache ci venia dai finestroni al mare,

in un momento che nessun guardava,mi fermai a seguirequalche filo d’argento nelle ondelisce della sua stretta chioma bruna.

Pensavo, mi chiedevo:quell’aurea saettache fulminò la giovinezza mia,ed arse la mia vita,sconvolse la mia vita; quel raggio d’oro di cui raccontaialla mia santa mamma,tornato a casa dopo il primo incontro,senza bene sapere di chi fosse. Quel lampo di fiammataaureo tra i tuoi capelliscuri, che la chiudevan, non è più? O l’hai nascosto oggi per pudore,o per un resto di rimorso onesto?

Ella era tormentatada un forte mal di capo,ma si sforzava d’apparire lieta.

APPENDICE DOCUMENTARIA

(27) All’epoca in cui la poesia fu scritta (stando alla datazione, il novembre 1936) Chiara compiva in realtà 15 anni. Il dott. Piero Delbello mi ha riferito oralmente che analoga inesattezza è presente anche nelle pagine del diario-romanzo di Argio Orell, scritto di cui questi versi sono considerabili complementari.

166 LAURA PARIS

Gli albergatori furono gentili:per festeggiar Giocondaoffersero un budinodi crema e cioccolata,e in fin fu aperta pureuna bottiglia di spumante dolce.

Le mie dalie e le mie zinie barcolanesgargiavano sul descobianche, sonore, ardentiin tanta malinconica quietedell’ora meridiana;fra Ondetta e me si stava cuccio il cane.

Ella era già commossada tante familiari cortesiee quando io per celiale dissi che gli altrial tavolo vicino,s’attendevano un brindisi in risposta,divenne rossa rossa,ed i suoi belli occhisi sparsero sul volto in goccioloni.

Benedetta mia pupa:ti burlai sorridendoma avrei pianto pur io.

Sulla terrazza poi,fuor delle invetriate,corse e saltò coi bimbi,presto dimenticandola sua leggera angoscia,sul pattino per lei troppo piccino.

Parea una rondinellacon la corona d’oro,rasserenata e gaia.

Quindi rientrai in salaMarina e Glauco estrosiconcessero in suo onoresaggi fantastici di danze negre,caricature libere di gestivisti al cine, cordiali smorfie allegre.

Nella mia stanza il commiato fu breve,imbarazzante e triste a tutti e tre. Onda si portò via i suoi fiori, e volleche le donassi pure lo stecco rossoda me tagliato e tinto per l’opuntia malata;servirà invece a lei per sostenereun giglio, nel giardino del collegiodelle monache nere.

Le accompagnai al tram che già imbruniva;il cielo e il mare s’eran fatti foschi. Gioconda salutò col fazzoletto,io sventolai la mano,come se mi partissero in un trenoper ritornare chi sa quanto lontano.

Faceva freddo. Qui, per la prima volta intesi oggiLe fonde voci irate delle onde

San Giovanni di Guardiella22 luglio 39 XVII

MOMENTI D’ORODal D.G.V.

15 novembre 1936

Fuori faceva freddo,e dentro le vetrateeran tutte appannate.

Segnavo un ritrattinocomico di Marina,sulle lastre col dito,

quando arrivò Giocondaallegra saltellante,ridente incappottata,con due scarlatti fiorid’amarillide apertie un ramo di magnoliacoi boccioli polposi.

«QUESTI NON SONO CHE VERSI DEL PITTORE». POESIE INEDITE DI ARGIO ORELL 167

Mia cara cocca mia.

Volando siam salitiin camera, leggericome su nuvolette.

Non ricordo, mi par che per le scaleincontrassimo anche i faraoni,e forse pur le vecchie, ma non conta.

Certo con Onda soli,passato abbiam mezz’orad’oro, o un’ora, o forse più, non so;non ha importanza nulla:fu un attimo, ma tuttodi bontà e di lietezzalontani da ogni angustiadi tormenti meschini.

E volle che vedessi i suoi quadernicoi compiti di «analisi»estetica e moralecome chiamano oggi fare un sunto. Bellissime ricerche, commoventid’ingenuità bambina,ma purtroppo già espertadi tante furberie scolastiche.

La baciai sulla frontee sorrisi felice,e la burlai un poco pei finalisempre retorici, troppo pomposi;ma ella mi spiegò,fingendosi una voce dottorale,che quel modo giovavasempre bene agli esami.

Fui contento pur di questa scaltrezza,che in fondo non mi piace,ma oggi è il santo Nicolò di Barie bisogna far festa agli scolari.

E scherzando ridemmo.

Aperse la tremendagrammatica latinae m’insegnò dei verbi transitivi.Cominciai presto a non capir più nulladi ciò ch’oggi per lei è tanto chiaro.

Benedetta mia dolce Onda giocondabuona e brava, alta quasi quanto me,sulla via di formarsislanciata bella al par della fanciullad’Anzio; Dio mi perdoni.

Non so come venissimo a parlaredel gran favolatore Augusto Fedro,e ricordai che Zaro tavernieremi aveva fatto vedere giorni or sono,un libretto latino con commenti,ch’era proprio le favole di Fedro,nel testo originale, tradotto a fianco. Lo aveva scoperto nella cantinettafra altre vecchie carte. Scendemmo svelti a visitare il gobboE avuto il libricino,ritornammo di corsa,come se avessimo rubato peschein un frutteto d’altrie cercassimo un canto per goderle.

Gioconda nella veste collegiale,stava scrutando nel suo volumetto,seduta al mio bancone da lavorovicino alla finestra,quando entrò la sua mamma.

Bella, ma stanca e triste,e per me subito aggressiva, avversa,e perfida; e cosìl’incanto mio svanì.

San Giovanni di Guardiella25 luglio 39 XVII

168 LAURA PARIS

FRAGILEDal D.G.V.

24 dicembre

Fu una giornata freddaIl sol tediato si nascose spesso;ora tramonta in grigio.

Gioconda venne qui a far colazione,tenermi compagnia;ma presto se ne andò, portando viaun pacco dei suoi libri di bambina,del tempo di Roma e i miei di sempre,presi dall’improvvisa libreriadisposta sotto le finestre al mare,di questa nuova camera spaziosa,su casse da imballare.

Un grosso «Fragile» stampato in nerosopra una carta biancale faceva da fondo.

Sul cumulo seduta dei volumi,e carte che spandeasi decrescentifino in mezzo alla stanza,aureolata di luce che scendea,ella sfogliava i libri e li scegliea,il sole le irradiava pur le mani.

Gentil accordo in bianco nero ed oroche avrei dipinto presto con piacere;ma andarsene dovette col suo coroa una rivista di camice nere,e poi ad un convegno di studenti.

Forse mi tornerà dopodomani.

San Giovanni di Guardiella25 giugno 39 XVII (28)

DIRE SENZA PARLAREDal D.G.V.

26 dicembre

Ieri, Gioconda deve averle chiesto se le stanca posarmie s’ero con lei buono lavorando,se la lasciavo muoversi, parlare.

O cara Ondina,certo ella ricordava le faticheper «Porticina chiusa». (29)

Intesi Giada direcon la sua voce in ombramentre eran tutte duechinate sui disegni.

«Non mi fa mai posare,e se mi fermo troppo,anzi mi pregadi svegliarmi, discorrere, narrare. Gli piace tutto ciò che faccio e dico,pure che non m’incanti,sorride, e dipingendospesso zufola e canta. Ed io sono felicedi vederlo contento,anche se mi canzona,perché so che da tanto non sorrideva più,così per lui posare non mi pesa.»

(28) Se il corpus di poesie fu dattiloscritto seguendo l’ordine con cui è impagina-to (il medesimo con cui è proposto in questa sede), è possibile che la trascrizione di «Fragile» sia avvenuta il 25 luglio 1939 (congiuntamente alla trascrizione della lirica «Momenti d’oro») e non, come indicato, il 25 giugno 1939.

(29) Cfr. P. DELBELLO (a cura di), op. cit., catalogo dei disegni e dei dipinti, n. 117, p. 206 (fig. 1).

«QUESTI NON SONO CHE VERSI DEL PITTORE». POESIE INEDITE DI ARGIO ORELL 169

Questo fu detto quasi senza dire,come s’ella parlasse dentro sé.Io le vedevo nello specchio strettoe non mi volsi per sentirle ancora,ma non parlaron più.

Si rizzaron vaghe e straniate.

Giada rinchiuse lenta la cartella,e con le lunghe dita strinse i nodi.

Ondina la fissava dubbiosa,e quando mi voltai si volsero pur loroverso me sorridenti;d’istinto s’intrecciarono le mani.

Avrei voluto poterle baciaretutte due puramente sulla fronte,e stringere di più con le mie manile belle mani loro e scomparire.

San Giovanni di Guardiella9 agosto 39 XVII

SOLO SULLA STRADADal D.G.V.

16 gennaio 37

Gioconda mi chiamò per salutarmi:parte con la corriera del fascio femminile,nel pomeriggio passeran di qua.

La sua voce era garrula di gioia,povera mite rondinella mia,che si accontenta e goded’ogni piccola lieve libertà.

Chiusa giornata, grigio, ferma.

Verso le quattro e mezza,da dietro i vetri della terrazzettavidi passare di corsaun torpedone rosso:fra le tanti ridenti figurine,

che salutavano dai finestrini,ne scorsi una più alta, biondo scuroche di più si sporgevaa sventolar le braccia.

Era Gioconda, Ondetta,ma non giunsi nemmenoa uscir che la corrieraera di già lontana,e mi rimase solodi seguirla con gli occhi,finché scomparve nella nebbiolinafra la polvere alzata,lasciandomi deserto sulla stradadi fronte al mare opacoche parea di piombo irrigidito.

San Giovanni di Guardiella14 agosto 39 XVII

170 LAURA PARIS

GIOCONDA E GIADADal D.G.V.

22 giugno 37

Ero solo, dopo le sei, leggevoqua e là nelle mie «Vite» di Vasari,quando mi giunse dalla pergolatala voce dell’ostessa salutante; quest’è Ondina pensai,ma era invece Giadacome compresi dal salire sveltosenza rumore, e dalla sua bussatatimida finta al mio piccolo uscio.

Giada, ma mal vestita e niente bella,come negletta, trascurata, triste,con gli occhi di sonno mal dormito. Perché? Venia dal bagno con due borse:una piena di libri e l’altra di indumenti, spersa in un’aria goffafra esagerata serietà studiosae noncuranza salutar, sportiva.

Non mi piaci cosi, Giada, e non voglioche ti vada girando in gonnellinacome una pastorella, i ricci al vento. Non sei più una bambina,e Barcola non è ancora campagna, così non sei la dolce principessané la samaritana,né l’arcangelo mio,ne la mia rosea Giada.

Ed arrivò Giocondaridevole, fiorentedi gaiezza e di brio, in un abito lungo fra grigio e rosache la segnava qualesolo una figurina di Tanagraforse fu mai fermatacon tanto slancio, solidetta e magra.

Senza cappello e con la giacca rossa,di un bel rosso corallo,gettata sulle spalle, dove cadevan pure,dalla testina d’oro,le strette trecciolinesfuggite dalla crocchia

dei suoi magnetici capelli biondiche purtroppo scuriranno un giorno?

Bellissima pur anchese i sandali di kilimerano troppo grossi per quella veste ariosa. Ci raccontò in gran frettadella sua gita a Romacol GUF e con il Fascio femminile,ancora tutta ardente di entusiasmo,di febbre giovanile.

Giada, aggomitolatacome una vecchierella,non disse due parole,solo levò talvoltaun poco il suo sipario sugli occhia fissar solo me come implorando,e rischiarar la stanzache col calor del solegià s’incupiva d’ombre.

Vi era in quello sguardo silenziosoun fondo di terribile tristezza. Perché? Cosa nasconde?

Se ne andarono insieme.Onda avea appuntamenticome sempre al Fascio,e Giada deve ancor tanto studiareprepararsi agli esami che saranno tra poco.

Di notte ho fatto tardi, e lavorandoho mangiato le pesche e le ciliegielasciate dalle bimbe.

Cosa nasconde Giada? Qual dolore?

Penso che domattinamanderò di buon’oraMariette in bicicletta: «Giada ho bisogno che tu mi perdoni,vien dunque presto. Giorgio»

San Giovanni di Guardiella2 dicembre 39 XVII

«QUESTI NON SONO CHE VERSI DEL PITTORE». POESIE INEDITE DI ARGIO ORELL 171

GIOCONDADal D.G.V.

30 dicembre 36

Ella entrò giubilantecantandomi la nuovache in Carnia e nel Cadoresi può sciare.

Se le permetto,sabato dopopranzo partirebbecon tante altre bambinee la cara signora direttrice,maestra istitutrice,che adora Ondina, e in cambio le vuol bene,alla volta del bel campeggiodi Pierabacco. (30)

La più gran gioiaPer questa piccola mia lunga Ondina,che senza troppe smanie e piagnistei,aveva già rinunciatoa quella grande festa sulla neve,disposta ad aspettarefino a Pasqua, chiusa in nerofra le sue monache a studiar latino.

Cara dolce Gioconda.

Mi rubò un paio di calzoni grossidi lana biancacon cinturone,ch’io non ho mai portatoné indosserò mai più. (31)

Naturalmentenella gaiezzadel suo gioiresarebbe andata via dimenticandole nel pacchettoda me legato strettocon la mia cinghia nuovache le piacevae se la prese.

L’accompagnai al tranvai,e dalla piattaformaOndina m’inviò gesti giocondifra il saluto romanoed il bacio soffiato a piene gotedal palmo della mano.

Fumando ritornailento verso l’albergomentre ancora una voltail sole tramontavalaggiù nel mar, lontano.

(30) Come segnalatomi dal dottor Piero Delbello, «Pierabacco» è lo pseudonimo che Argio Orell impiega per Pierabech, località situata nel comune di Forni Avoltri (UD). Qui aveva sede una colonia estiva femminile dei «Fasci di combattimento» di Trieste. Cfr. G. NEMEC, Ai margini del paradiso, Percorsi assistenziali e modelli isti-tuzionali per le donne e i minori danneggiati dalla guerra, in A. M. VINCI (a cura di), Carità pubblica, assistenza sociale e politiche di welfare: il caso di Trieste, Trieste, EUT, 2012, pp. 87-107.

(31) Questo passo rimanda alla memoria il disegno di Orell «Il vestito cachi di papà ridotto per le salite di Chiaretta», il quale presenta Chiara in un abito da monta-gna ricavato a partire da un completo smesso del padre. Cfr. P. DELBELLO (a cura di), op. cit., catalogo dei disegni e dei dipinti, n. 132, p. 211.

San Giovanni di Guardiella14 agosto 39 XVII

172 LAURA PARIS

MACHEMONIDal D.G.V.

16 aprile 37

Timido sol d’aprilenebbioline sul mare. Silenzio, caldo fermo.

Nel primo pomeriggiolungo la riva immota,sullo sfondo del lucido orizzontein riverbero privo di sole,vi era tutto ciòche infantilmente uno può desiderarea comporsi un quadretto di piccola rivierain un tiepido giornocosì, di primavera.

L’adescante carretto dei gelati,verde pisello e rosacol piano bianco marmo,ed i coperchi di metallo lustroa cupola persiana con la luna, la fissa bandierinaa coda di rondinee Miramar dipinto sul cassone,col nome della ditta in tre colori.

L’omino sonnecchiantein piedi, tra le stanghe,col grembiule e la giacca biancheggiantela berretta a frontino: incrociate le braccia e pur le gambenella paziente attesa.

S’uno dei banchi rossi,una coppia seduta solitaria.

La baracca dei pomi e degli aranci,vecchi dolciumi, abagigi, nocelle, (32)sotto la tenda gialla tesa a tetto,e il vecchio venditore dormicchianteseduto sulla cassa dei limoni.

(32) Le due espressioni «abagigi» e «nocelle» sono italianizzazioni dei termini dialettali triestini «bagigi» e «nosele», che identificano le arachidi e le noccioline.

(33) I machemono (dal giapponese maki «arrotolare» e mono «oggetto») sono lunghi dipinti su carta o seta che si arrotolano su se stessi, tipici dell’arte giapponese.

Un’automobilina fresca, nuovacome un giocattolino.

In mar, vicino a riva, una barchettacon aperta la vela, senza vento,dritta, triangolaree bianca proprio comela disegnano i bimbi.

Poco più in fondo un baldo canottiere,e lontano una bella, grande navedi profilo, con i tre fumaiolie i legittimi fumi,pennacchi orizzontali.

Fra il mare e il banco rosso degli amanti,una balia formosa in bianco e azzurro,spingendo lenta la sua carrozzellanera, su ruote basse,con dentro il pupo biondo che dormiva.

Ad intervalli esatti,i banchi e gli alberelli del passeggio,fiutati un dopo l’altro da un cagnetto.

Una casa gentiledisposta quasi in fregio,come nei disegnini di Giocondaquand’era veramente ancor bambina,e così ricordava le sue gitesola con suo papà, e mi portava poi, al giorno dopo,il lungo nastro di carta dipintaarrotolata come un machemono (33)legato da nastrini.

Ne aveo parecchi di questi istoriatirotoli giocondi,e me li conservavo sempre con grande cura,fra le mie carte care, ch’eran tante,

«QUESTI NON SONO CHE VERSI DEL PITTORE». POESIE INEDITE DI ARGIO ORELL 173

ma chi sa dove orali avrà gettati Elena,che mise le sue manirapaci dappertutto,pur fra le cose sante.

E mi ricordo uno deliziosoche voglio raccontarvi un altro giorno,quando ci sarà meno gente intorno.

San Giovanni di Guardiella10 settembre 39 XVII

CANDIDA PUREZZADal D.G.V.

13 giugno 37

Leggevo alla finestra,da cui potrei toccare il grande melo;intesi la sirenafischiare mezzogiorno, e poco dopo mi arrivò Giocondalibera dal collegioper le vacanze estive.

Buona, gaia, ridente,già alta quanto me,mi portava un fascetto di roselline gialle carnicinecon le fogliuzze e tante spine rosse,in un pacchetto aveaun suo pigiama e sandali leggeri,

Faceva molto caldo, il suo musettoera tutto imperlato,e pareva un bocciolo rugiadoso,come quando era piccola piccina. Si liberò dalla vestina biancache tanti anni or sonostava bene a sua mamma,

e lei nel pagliaccettoa fasce di colore,con le spallette e con la schiena nuda,io in maniche rivolte di camiciafacemmo colazionenella mia luminosa camerettacon le persiane chiuse.

Mangiò quale un lupetto,io presi come sempre solo poco,contento ad ascoltarla e rimirarla.

Ora Ondina riposa sul divano,

e sento nel silenzio il suo respirodopo essersi fatta raccontareuna storiella per addormentarsi. Pure a Giada, una sera d’inverno,narrai quella fiaba non miama ella giunti in fine nulla disse.

Precisò Ondetta invece,prima di prender sonno,che la principessinadicendo quelle parolesi rivelò cattiva.

Lei non capisce ancora,la mia piccola Onda,di purezza Gioconda,che quella perfidettaera già solo donna.

E son quasi le cinque.

Vorrei che Giada Rosavedesse come Ondinadorme serena, quieta,con la boccuccia aperta,un poco raggruppata sul lettino,con le dita alla guancia, ed accigliatacome se ripensassenel suo ingenuo candore,alla frase finaledella mia tavolettache forse sta sognando: «D’ora inanzi chi vieneper divertire me, non abbia cuore.»

San Giovanni di Guardiella1 dicembre 39 XVII

174 LAURA PARIS

TI RICORDI?Per Santa Chiara

a una bambinaormai grande

Chiara Chiarina Chiarìche dice sempre di si.

Chiara Chiaretta Chiaròche non dice mai di no.

Chiara Chiarulla Chiarùche zonza in montagna lassùche nuota nel mare laggiù.

Chiara Chiarella Chiarèche viene a passeggio con meche intinge le dita nel tè.

Chiara Chiarona Chiaràche vuol tanto bene a papàche mangia di baci mammà.

«zonzare» non esiste per la crusca,ma non importa, facciamolo venire da «andare a zonzo»e dedichiamolo a Chiara per la sua festa.

San Giovanni di Guardiella12 agosto 39 XVIISanta Chiara

LA CROSTATA E LE VIOLE (la parte di foglio recante la data è strappata)

Ho promesso alla Chiaretta la crostata: fresca, fresca questa notte l’ho comprata, perché lei doman mattinase la mangi, golosetta,piccinina, e annodando il nastro azzurroalla sua treccia biondapensi al suo caffè col burro,alla cara sua mammina,al suo babbo,che di un nastro proprio azzurro:sa l’amore e sa l’ardore,sa il dolore.

Mangia allegra, mia Chiaretta,la crostata, all’uscita della scuolasarò io, pregheremo insieme Diosotto il sole,

Che ci ascolti,compreremo per la viaun mazzetto di viole

«QUESTI NON SONO CHE VERSI DEL PITTORE». POESIE INEDITE DI ARGIO ORELL 175

N.B.: La poesia «La crostata e le viole» si presenta mutila. Il foglio successivo a quel-lo contenente la lirica sin qui trascritta presenta, infatti, dei versi che non paiono ad essa correlati, ma di cui si fornisce comunque una trascrizione integrale:

e un bel giorno si videportare in casa un saccodi patate novelle, accompagnateda una letterina zoppicante,ma tutta piena di gentile affetto,modesta gratitudine sincera.

Donai alla fanciulla un pacchettinodi cioccolata che Gioconda caram’avea messo in saccoccia a mia insaputa, le accompagnai parlando di campagnaattraverso il giardinofino all’atrio d’uscita.

Or non vedrò Gioconda per un mese. Mi domandò di Rosa, e quando seppeChe non s’era più mai fatta vedere,seria non disse nulla,ma fece un viso offeso e disgustato.

Dolce mia pupa tanto buona e brava.

Dio ti tenga lontana da ogni male,Dio ti guidi e mi salvi per guardarti,dalle insidie che guattano pur te.

San Giovanni di Guardiella12 febbraio 40 XVIII

176 LAURA PARIS

(34) A matita l’artista annotò accanto a questo verso, le parole «nel parco», che co-stituiscono una possibile variante all’espressione «in giardino» posta alla fine del verso.

(35) A fianco al verso è annotata a matita una sua possibile variante: «veleno d’altra pianta».

(36) Le parole «anche ubriaca» sono state aggiunte a matita. (37) Accanto al verso è annotata a matita una sua possibile variante: «ma quando

è in fior le spine».(38) Le parole «la robinia» sono state aggiunte a matita.(39) La primigenia versione del verso, poi corretto a matita, era: «Ma incurante le

invola e le turbina».

Questa sera aspettandoti in giardino, (34)m’innamorai d’una robinia irsutadi fierissime spine. Tu non venisti, e ne rubai alcunedelle più capricciose.

Le disposi in due vetricon poche loro foglioline verdi,sulla finestra aperta: parevano un altarenell’incanto del cielo vespertino!

Mirabile ricamo contro luce,raro d’armonici angoli e incontri,meriterebbe che lo dipingessi: non quale copia di natura morta, ma qual pretesto per poter cantare.

Mi son punto le mani, o mia Chiaretta,dicono che sian molto velenosele spine di robinia, ma non credo, pungono forte e basta.

Gli indiani che le lanciano qual frecce con le loro cerbottane,le avvelenano prima,mi pare, col curaro,tossico d’altra pianta: (35)questa non da che miele.

Son spine tricornate, lunghe, e forti,talune come spade, le vedrai,

tutte come pugnalidritte ed appuntite,d’un colore magnifico di rame.

Sporgono a fasci o singoledai tronchi e dalle rame,come a difender l’alberoda terribili insidie. Ma le chiocciole salgono lo stesso,e non credo che un’ape anche ubriaca (36)si sia mai infilzata,il nettare suggendo dai suoi fiori,né un ospite crisalidesi sia ferita uscendo mai dal guscio.

Quando la pianta è in fiore, le sue spine (37)non sono si pungenti, perché? Non ci ten forse la robinia (38)a difendere il miele ed il profumo? Che mai vorrà difendere d’inverno?

Forse l’ultime foglie che cadono da solee vengon rapinate dalla borache non teme gli spinie ad essi non si punge?

Incurante (39) le invola e le turbinafino in città talvolta,

Trascrizione di «Versi di spine» poesie autografe che Argio Orell spedì a Silvio Benco il 15 dicembre 1941

A ChiaraI. SPINE DI ROBINIA

«QUESTI NON SONO CHE VERSI DEL PITTORE». POESIE INEDITE DI ARGIO ORELL 177

e se piove, sul nero dell’asfalto,sembrano chiazze di sole, o zecchini. Che voglia salvar quelli? Credi Chiara?

Di sera, fino a tardi, ho disegnatoversi di spine e di fiori, domani dipingeròfonde atmosfere luminose intornoe forse mar lontano, sei contenta?

(40) Il titolo è scritto a matita e si deve probabilmente ad un momento successivo a quello in cui la lirica fu composta.

(41) Accanto al verso è annotata a matita una sua possibile variante: «che non può più dipingere che in sè».

(42) Accanto al verso è annotata a matita una sua possibile variante: «domandano riposo».

(43) Accanto al verso è annotata a matita una variante in forma plurale: «sulle carte».(44) Accanto al verso sono annotati a matita due verbi alternativi a quello impie-

gato: «sondare» e «scoprire». Benco dovette preferire questa seconda proposta, come si evince dalla trascrizione di questi versi nel suo articolo Tre quadretti e alcune poesie di Argio Orell pubblicato da «Il Piccolo» il 21 dicembre 1941 e di seguito trascritto.

II. VEGLIA (40)

Ho seminato tre motivi intanto,di sorprendenti accordi lineari, ma non mi basteranno:ne avevo già altrettanti, e forse nove,ognuno su altro cielo, in altri toni,

Varianti all’infinitopotrei svolger stanotte,se durasse infinita, e le mie forzefisiche fosser pariall’estro del mio nuovo incantamento.

Vedi Chiara, l’attesa, l’abbandono,la solitudine, e malinconia,mi fanno lavorare: è questo il solo bene che mi resta,ma se domani non avrò colorie tu ancor non verrai, come farò? L’ispirazione fuggirà il pittorecui non è dato pingere che in sé (41)e tu nulla vedrai del mio lavoro:«Versi di spine e fiori, per sognare».

III. (SENZA TITOLO)

Le foglioline verdiappiattite bagnate contro il vetronell’interno del vasoe quelle uscenti pallide dall’acquain archi bipennati, tra le spine robuste e fiori estraneigoccianti a grappoli di miele biancosu peduncoli rossi, han sonno sono stanche di posaresospirano riposo. (42)

Le spine no, son vivide, presentifelici d’aiutarmi, son fatte come me

più sentono che s’anima il lavoro e più diventan fresche nel vegliare:

ascoltano ed imparano dal segnoche segno sulla carta, (43)la canzone che io da esse imparo,e ch’esse non sapevan di cantarmeravigliosamente.

Si lanciano, si specchiano sorpresedella loro bellezza, coscienti ora e superbedi non essere frali come i fiorim’assistono a ritrarre (44) il lor mistero.

178 LAURA PARIS

IV. ATTESA

(45) L’espressione «ciel crepuscolare» è cancellata a matita e sostituita da «ve-spro ancora chiaro».

(46) Il termine «pur» posto all’inizio del verso è sovrastato dall’annotazione a matita «ma».

(47) Il titolo è scritto a matita, e si deve probabilmente ad un momento successivo a quello in cui la lirica fu composta.

(48) A matita l’artista annotò accanto a questo verso, le parole «con maggior do-lore», che costituiscono una possibile variante all’espressione «con più fonda ango-scia» posta alla fine del verso.

Avevo lavorato fino a seraintorno ai miei «Versi di spine», con un solo pennello,quasi senza colori, eran le sei; feci ordine un poco, e attesi Chiaraalla finestra aperta, senza vista,faceva freddo, nulla si muoveva

Non v’era che una stellanel ciel crepuscolare, sopra i tetti (45)dell’ospizio di fronte ormai scuro, le parlai, e pareva mi fissasse,

e non potesse dall’alto vedereche me, di tutto il mondo,com’io non vedevo che lei.

Le chiesi se Chiara veniva,s’era forse per strada, non rispose, la pregai di guardarla da ogni male,di proteggerla sempre, di guidarla.di far che mi volesse un po’ più bene: ella vibrò brillando,pur (46) l’attesa fu vana e la preghiera!

V. CREPUSCOLO (47)

È tardi, son le cinquegià sento muoversi qualcuno fuori:potrebbero anche accorgersi del lumee venirci a destare. Bisogna distaccarci,

smettere di sognare,riprenderemo la canzon domani: spegnamo, sogneremo un altro sogno,voi di me, io di voi,amiche spine di robinia d’oro.

Non è il sol che si sol che si spegne o che tramonta,non è il giorno che va: gira la terra tormentata, e il solegetta più lunghe ombre,sempre più lunghe ombre fino all’ombrache tutto assorbirà, e solo resta luminoso il cielo.

Sorge quell’ora panicaIn cui il silenzio e l’animeSospendono il respiro, e pur le luci, i suoi più vicini,

gli esseri più cari,paion tanto lontani, e il cuore attende con più fonda angoscia. (48)

Svanisce lo stupor dell’aria, e il marenon lo riflette più, la sera si fa garrula di lumi,e inquieta, folleggiantesi confonde alla notte che nel giropure si spegnerànella sorgente aurora di domani.

«QUESTI NON SONO CHE VERSI DEL PITTORE». POESIE INEDITE DI ARGIO ORELL 179

Silvio Benco, Mostre d’Arte. Tre quadretti e alcune poesie di Argio Orell in «Il Picco-lo», Trieste, 21 dicembre 1941, p. 3.

Argio Orell negli ultimi anni ha esposto tanto di rado. E quasi mai cose nuove. Fu assai malato, ed ora dobbiamo considerarlo convalescente. Auguriamo dunque che le tre piccole pitture (49) da lui esposte ora nella galleria Trieste, tutte eseguite negli ultimi tempi significhino la promessa di un ritorno all’arte.

Pittore raffinato, originale, educato per anni e anni sui giapponesi dei quali co-nobbe ogni segreto, Orell ha ancora della pittura quel senso intimo e religioso insieme che gliela fa considerare come una emanazione poetica dell’anima. Un quadretto è per lui una poesia: non buttata fuori con slancio romantico, ma espressa a stilla a stilla con innamorata deliberazione.

Così sono questi tre quadretti, assai semplici e puri, e assai strani: tre stilizzazio-ni di un motivo naturale attentamente studiato; e il motivo non è dato dai fiori o dalle frutta dell’albero; è dato dalle spine.

L’artista ha studiato un albero non comune, ma pur frequente nei nostri giardi-ni: la «robinia spinosa» dai lunghi aculei che ne difendono i rami come stiletti. Da queste spine egli ha tratto tre motivi lineari, nudi, intersecati e pungenti, nei quali c’è pure una segreta musica. E li ha dipinti con una tecnica disusata, che anche esperti potranno confondere con l’acquarello o con la mezza tempera: li ha dipinti a olio su carta.

Orell che è anche poeta, e vale assai più di molti altri che scrivono poesie, ha sentito di dover spiegare in versi alla figliuola Chiara la bellezza di questo mirabi-le «ricamo di luce» che fanno le spine «tricornate» della robinia. Le spine, egli dice:

…son fatte come mepiù sentono che s’anima il lavoro e più diventan fresche nel vegliare:ascoltano ed imparano dal segnoche segno sulla carta,la canzone che io da esse imparo,e ch’esse non sapevan di cantarmeravigliosamente.Si lanciano, si specchiano sorpresedella loro bellezza; coscienti ora e superbedi non essere frali come i fiorim’assistono a scoprire il lor mistero.

E il pittore-poeta così saluta queste sue care spine:

È tardi son le cinquegià sento muoversi qualcuno fuori,

(49) Trattasi del trittico «Versi di spine» (fig. 3-5) oggi conservato in una colle-zione privata di Roma.

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potrebbero anche accorgersi del lumee venirci a destare.Bisogna distaccarci,smettere di sognareriprenderemo la canzon domani:spegnamo, sogneremo un altro sogno,voi di me, io di voi,amiche spine di robinia d’oro.