Prospezione ed analisi gravimetrica presso Gissi (Ch)
Transcript of Prospezione ed analisi gravimetrica presso Gissi (Ch)
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE GEOLOGICHE
Dipartimento di Scienze della Terra
Elaborato finale in Fisica applicata alla geologia
“Prospezione ed analisi gravimetrica presso Gissi (Ch)”
Relatore Candidato
Dott. Michele Di Filippo Giuseppe Cocchiararo
ANNO ACCADEMICO
2007/2008
Indice
Introduzione
1) Inquadramento geologico
1.1 Evoluzione geodinamica…………………………………………....1
1.2 Assetto strutturale………………………………………………......4
1.3 Stratigrafia.......................................................................................10 1.3.1 Stratigrafia di superficie
1.3.2 Stratigrafia del sottosuolo
1.4 Aspetti Geomorfologici ..................................................................14
2) Gravimetria........................................................................15
2.1 Gravità..............................................................................................17 2.1.1 Legge di gravitazione universale
2.1.2 Accelerazione di gravità
2.1.3 Geoide ed “Ellissoide di riferimento”
2.2 Metodo gravimetrico........................................................................25 2.2.1 Misure gravimetriche
2.2.2 Riduzione delle misure gravimetriche
2.2.3 Anomalia di Bouguer
2.2.4 Interpretazione delle anomalie di Bouguer e anomalie residue 2.2.5 Strumenti di misura
3) Prospezione ed analisi gravimetrica.....................................44
3.1 Premessa
3.2 Acquisizione ed elaborazione dati 3.2.1 Carta delle anomalie di Bouguer
3.2.2 Carta delle anomalie residue
3.3 Interpretazione del modello
3.4 Conclusioni
Allegati
Bibliografia
Introduzione
L’area oggetto di questo studio si colloca in Italia centro-meridionale poco a
Nord dal confine abruzzese molisano; precisamente, in provincia di Chieti, a Sud-Est
del paese di Gissi (fig.I.1). Essa ricade nella parte Sud-occidentale del foglio
geologico in scala 1:100000 n°148 “Vasto” della cartografia geologica italiana. Il
territorio dell’area vastese è caratterizzato da morfologie collinari che degradano
procedendo verso la costa adriatica; le quote maggiori si registrano, nella area di
Gissi, dove non superano i 500 m.s.l.m., e nelle zone limitrofe a questo paese, dove
raggiungono valori che vanno dai 500 ai 650 metri sul livello del mare.
Fig. I.1 Localizzazione geografica dell’area.
La collina dove sorge l’abitato di Gissi è costituita principalmente da un
substrato gessoso sovrapposto ad una formazione argillosa, il che determina, una
morfologia dei versanti caratterizzata da ripide scarpate, in prossimità degli
affioramenti di gesso, e da pendenze minori presso gli affioramenti di argilla. Diffusa
è, anche, la presenza di frane sul territorio e la formazione di doline generate
dall’evoluzione di cavità ipogee (fig.I.2). La formazione di tali cavità è accentuata
dalle variazioni del livello di falda entro i gessi, confinati nella parte inferiore dalle
formazioni argillose.
L’obiettivo di questo lavoro è, infatti, quello di determinare l’eventuale
presenza e, in questo caso, l’eventuale profondità, di cavità carsiche all’interno delle
formazioni gessose in località Rosario a Sud-Est di Gissi mediante una prospezione
gravimetrica.
La prospezione gravimetrica permette di delineare l’andamento delle densità
delle litologie presenti nel sottosuolo, quindi, in questo caso, di individuare le aree
con densità basse, considerato che lo studio è volto alla ricerca di cavità.
Sono state eseguite 142 misure dell’accelerazione di gravità e, mediante
l’elaborazione di questi dati, sono state costruite le carte dell’anomalia di Bouguer e
dell’anomalia residua. L’analisi di tali carte ha permesso l’individuazione di zone,
caratterizzate da valori dell’ anomalia residua negativi, al di sotto delle quali
potrebbero trovarsi le cavità sepolte.
In una delle aree indiziate è stata tracciata una sezione verticale dell’anomalia
residua sulla quale si è basata, successivamente, l’analisi di un modello gravimetrico
teorico.
Le analisi, di carattere geofisico, sono state sempre affiancate da considerazioni
di carattere geologico e integrate con la costruzione di una sezione geologica.
Il risultato a cui si giunge, lavorando su tale modello, è quello di un confronto
fra due anomalie di gravità, quella osservata e quella calcolata, la cui corrispondenza
sarà prova della validità del modello stesso. Il presente lavoro sarà strutturato in tre
capitoli, di cui, il primo presenterà l’inquadramento geologico dell’area, nel secondo
saranno trattati i principi di carattere teorico su cui si basa la prospezione
gravimetrica, mentre il terzo capitolo è dedicato alla descrizione delle operazioni
eseguite in fase di lavoro e alla presentazione dei risultati ottenuti.
Capitolo 1
Inquadramento geologico
1.1 Evoluzione geodinamica
L’attuale configurazione dell’Appennino Centrale è strettamente legata
all’evoluzione geodinamica dell’area mediterranea; la sua strutturazione è il risultato
di diverse fasi deformative che si susseguono a partire dal Trias Superiore fino al
Neogene.
Durante il Triassico superiore l’area protoappenninica era caratterizzata da un
ambiente di mare basso il quale favoriva la sedimentazione di facies calcareo-
dolomitiche e di facies evaporitiche.
Allo stesso periodo sono attribuibili depositi pelagici del bacino lagonegrese-
molisano il quale è paleogeograficamente interposto a, quelle che saranno poi, la
“piattaforma apula” e “quella appenninica” (fig.1.1).
Fig. 1.1 Ricostruzione paleogeografica dell’Appennino meridionale. AGIP.
Tra il Retico e l’Hettangiano su un largo settore di questi paleoambienti ha
sviluppo un ambiente di piattaforma carbonatica caratterizzata dalla deposizione di
una spessa pila di sedimenti calcarei.
In questo periodo si registrano i primi stadi di apertura della Tetide e questo
determina un’importante fase distensiva legata all’ assottigliamento della crosta
continentale e alla formazione di faglie listriche normali disposte parallelamente al
margine continentale (fig.1.2).
Fig. 1.2 Faglie listriche dirette che interesano i sedimenti triassici e giurassici.
(da Centamore, Fumanti, Nisio The central-northern Appennines geological evolution, 2002)
Durante questa fase si osserva una sostanziale modifica dell’antica
paleogeografia con la conseguente formazione di differenti domini posti a differenti
profondità.
Una paleotopografia ad horst e graben può essere considerata una
semplificazione di questo nuovo scenario che condizionerà lo stile sedimentario nei
diversi ambienti.
I più importanti domini generatisi dalla tettonica distensiva in Appennino
centro settentrionale possono essere individuati nella piattaforma laziale-abruzzese e
nel bacino tosco-umbro-marchigiano, mentre, per linee molto generali, la
strutturazione in Appennino meridionale sembra essere, fin dal Giurassico, quella
riportata in figura1.
Alla fine del Cretaceo inferiore inizia la chiusura del bacino ligure-piemontese
(Tetide occidentale) che si conclude definitivamente nell’ Eocene medio con la fase
di collisione tra Africa ed Europa.
In seguito a questo evento ha inizio la tettogenesi appenninica caratterizzata
dalla progressiva migrazione verso Est del sistema catena-avanfossa-avanpaese.
L’Appennino è una catena a pieghe e sovrascorrimenti Africa vergente di
forma arcuata che si congiunge a Nord con le Alpi Meridionali ed a Sud con le
Magrebidi.
I thrust interessano le varie unità formatesi durante la fase di oceanizzazione
giurassico-cretacea e migrano nel tempo verso Est, interessando man mano
l’avanpaese adriatico. Il processo di flessurazione della litosfera apulo-adriatica crea
nuovi spazi per l’avanfossa e per la catena che, avanzando, incorpora lembi della
stessa avanfossa al suo interno.
I diversi stadi del processo orogenetico sono databili mediante l’età dei depositi
di avanfossa, i quali vanno dall’Oligocene superiore, per le zone interne, al
Pleistocene inferiore per quelle più esterne. Legata alla migrazione verso Est della
catena appenninica è l’apertura del Tirreno e la formazione di bacini quaternari nella
Toscana meridionale, cosicché dal Miocene inferiore al Pliocene inferiore sono attive
strutture distensive nelle zone interne e strutture compressive nelle zone esterne della
catena.
Fatta questa breve sintesi sull’ evoluzione della catena Appenninica, dal
Triassico al Pleistocene, si passa a considerare gli aspetti che in dettaglio riguardano
l‘area oggetto di questo lavoro, ovvero, la parte Sud-Orientale dell’Abruzzo al
confine con il Molise, nonché la porzione marginale della zona d’incontro tra le falde
alloctone molisane e l’Appennino carbonatico abruzzese.
1.2 Assetto strutturale
Il territorio dell’Appennino abruzzese è caratterizzato da una serie di unità
tettoniche separate da piani di sovrascorrimento, i quali assumono orientazioni
differenziali e indicano un trasporto tettonico che va, generalmente, da Ovest verso
Est e da Sud-Ovest verso Nord-Est.
La localizzazione di tali piani di thrust è condizionata dalle preesistenti faglie
dirette associate al rifting le quali, durante la fase di inversione tettonica, vengono
riattivate e utilizzate come rampe, sia frontali che laterali, dai sovrascorrimenti.
Da Ovest verso Est si individuano le principali unità strutturali dell’Appennino
centro-orientale costituite dall’ unità dei Monti Sibillini indicati nella figura1.3 con il
simbolo (1), unità del Gran Sasso (2), unità di Monte Morrone (3), della Laga (4),
Maiella (5) e Casoli-Bomba (7).
Fig. 1.3 Assetto strutturale dell’Appennino Centro-orientale.
(da Calamita,Scisciani,Montefalcone,Paltrinieri,Pizzi, L’ereditarietà del paleomargine dell’Adria nella geometria
del sistema orogenico centro-appenninico: l’area abruzzese esterna, 2002)
Procedendo verso la costa adriatica sono indicate anche la successione plio-
pleistocenica del bacino periadriatico e le unità alloctone molisane rispettivamente
con le sigle (S) e (6) in figura 1.3.
La tettonica estensionale giurassica determina la differenziazione in
paleoambienti, variamente strutturati al loro interno, di piattaforma di bacino e di
transizione. Questo si riflette nella fase di strutturazione della catena infatti le unità
sopraccitate sono costituite da successioni sedimentarie indicatrici di diversi ambienti
di formazione.
La successione carbonatica della piattaforma Laziale-Abruzzese caratterizza
l’unità Gran Sasso, mentre quella della piattaforma apula si ritrova nelle unità Maiella
Morrone e Casoli-Bomba.
La successione bacinale Umbro-Marchigiana e quella molisana interessano
rispettivamente l’unità dei monti Sibillini e quella dell’ alloctono molisano.
Questi elementi sono separati da sovrascorrimenti che assumono una geometria
a duplex e fuori sequenza, di cui, le unità Casoli-Bomba e Maiella, rappresentano le
scaglie tettoniche più esterne in parte sovrastate dalle unità alloctone molisane che
costituiscono il blocco di tetto del sovrascorrimento.
Il fronte di sovrascorrimento del Morrone accavalla invece la successione
giurassico-messiniana su depositi del Pliocene Inferiore.
Nell’ area sud-orientale della regione abruzzese si realizza il contatto tra le
unità appartenenti all’Appennino Centrale e quelle dell’Appennino Meridionale. La
giunzione avverrebbe lungo la linea Ortona-Roccamonfina, la quale viene
interpretata, in quest’area, come rampa laterale che ha favorito la sovrapposizione
delle falde molisane sulle unità carbonatiche abruzzesi.
In questo contesto bisogna considerare gli avvenimenti tettonici che riguardano
più in particolare la formazione della catena centro-meridionale. In linea di massima i
paleoambienti che caratterizzano quest’area sono rappresentati (fig.1.1), da Ovest
verso Est, dalla piattaforma appenninica (piattaforma laziale-campano-abruzzese), dal
bacino lagonegrese-molisano e dalla piattaforma apula. I settori appartenenti a questi
domini vengono coinvolti nella strutturazione della catena appenninica mediante una
deformazione per thrust. Le unità tettoniche Lepini-Ausoni-Aurunci e Simbruini-
Ernici appartengono al dominio, relativamente più esterno, della piattaforma
appenninica.
Queste dorsali calcaree entrano nel dominio di avanfossa nel Tortoniano
superiore, fase che interessa, invece, le unità molisane nel Messiniano inferiore (fig.
1.4).
Fig. 1.4 Appennino centro-meridionale nel Messiniano inferiore.
(da Scrocca e Tozzi Tettogenesi mio-pliocenica dell’Appennino molisano, 1999)
Un progressivo coinvolgimento del settore abruzzese nel bacino di avanfossa
avviene nel Miocene superiore; questa epoca è caratterizzata dalla “crisi di salinità
messiniana del Mediterraneo” testimoniata dalla deposizione di sedimenti evaporitici
correlabili a larga scala nel bacino mediterraneo.
Il Pliocene inferiore è segnato dall’ avanzamento dell’ alloctono molisano il
quale va ad occupare lo spazio creato dalla subsidenza flessurale dell’avanpaese
apulo influenzando la sedimentazione di avanfossa. Per tutto il Pliocene prosegue la
migrazione verso i quadranti orientali delle unità molisane fino al raggiungimento,
nel Pliocene medio, dell’area Casoli-Bomba; l’omonima unità tettonica si strutturerà
nel Pliocene superiore.
Fig. 1.5 Sezione geologica attraverso la struttura della Maiella e di Casoli e relativa ubicazione. Da (
Calamita, Esestime, Paltrinieri Confronto fra le strutture pliocenico-quaternarie dell’Appennino centrale (Maiella)
e della catena Apula sepolta nell’Appennino meridionale Setteporte-Monte Taburno, 2008)
L’interessamento del substrato calcareo apulo nella strutturazione della catena
appenninica è ben documentato nell’area della Maiella, questo si evince dalla sezione
geologica proposta in figura 1.5 dove i depositi di piattaforma vengono
contrassegnati con il numero uno (Trias Miocene), il numero due viene assegnato ai
depositi silicoclastici di avanfossa (Messiniano Pliocene inferiore), con il tre vengono
rappresentate le unità dell’alloctono molisano (Cretaceo Pliocene inferiore) mentre il
numero quattro rappresenta i depositi del bacino periadriatico (Pliocene Pleistocene).
Diversi autori hanno ricostruito la morfologia della catena “apula sepolta”, in
Appennino meridionale, mediante l’interpretazione di linee sismiche, correlazioni di
diversi log di pozzo e confronto con gli affioramenti in Appennino centrale, essa
risulta essere sepolta al di sotto delle unità più esterne (Liguridi), e a quelle
appartenenti ai domini interni della piattaforma appenninica e del bacino molisano-
lagonegrese.
A quanto detto vanno integrate alcune considerazioni riguardanti le prospezioni
gravimetriche a carattere regionale effettuate in Appennino centro-meridionale, cui si
farà cenno oltre.
L’ area di Gissi è caratterizzata dai lembi più esterni affioranti dell’alloctono
molisano, il cui livello di scollamento preferenziale è rappresentato dalle argille
varicolori datate Oligocene superiore-Aquitaniano.
In questa zona l’assetto strutturale delle varie unità è condizionato
dall’evoluzione fin qui descritta e dalla tettonizzazione subita dalle coltri alloctone
durante il trasporto. Partendo dalle zone più interne e procedendo verso la costa
vengono descritte le manifestazioni tettoniche di superficie che interessano l’area
compresa tra i lembi più esterni della coltre alloctona ed il bacino periadriatico
abruzzese-molisano.
Il settore più interno, collocato all’estremo Sud occidentale del foglio
geologico n°148 “Vasto”, è caratterizzato dal sovrascorrimento che mette in contatto
i depositi pliocenici con la successione oligo-miocenica molisana e da due sistemi di
faglie , uno ad andamento appenninico e l’altro ad andamento trasversale NE-SW.
Questo sistema di faglie sarebbe attribuito a fenomeni di retroscorrimento
differenziale che la coltre alloctona, a causa della sua plasticità, avrebbe subito
durante la traslazione.
Il grado di deformazione procedendo verso la costa si riduce ed è caratterizzato
dalla presenza di blande pieghe che presentano una direzione assiale circa
appenninica. Più ad Est, nella zona di Vasto, affiorano i depositi del bacino
periadriatico blandamente immergenti verso Est Nord-Est.
Nel Quaternario un generale sollevamento interessa la catena appenninica da
Ovest verso Est che, in quest’area, causa un leggero basculamento verso i quadranti
orientali accompagnato dalla formazione di faglie dirette che caratterizzano la parte
bassa delle valli dei fiumi Osento e Sinello.
1.3 Stratigrafia
L’area del foglio n° 148 “Vasto” è caratterizzata in larga parte da terreni plio-
pleistocenici deposti nel bacino di avanfossa periadriatico abruzzese-molisano. I
depositi di questo bacino sono stati suddivisi in tre sequenze deposizionali separate
da superfici di discordanza, legate ad eventi di carattere regionale connessi alla
strutturazione della catena.
Fig. 1.6 Sezione geologica della zona tra Vasto e la catena appenninica. (da Coli, Modugno, Marchese e
Montaini Discordanza intracalabriana nella zona di Vasto (CH), 2000).
L’età della prima discordanza è Pliocene inferiore mentre la seconda si
sviluppa fra il Pliocene inferiore e medio. L’unità appartenente alla sequenza
deposizionale, stratigraficamente più alta, costituisce il riempimento del bacino,
evento collegato alla messa in posto dell’alloctono molisano (fig. 1.6). Il contatto tra
le unità molisane e quelle di avanfossa plioceniche è sepolto da sedimenti di mare
sottile pleistocenici.
La strutturazione del bacino di avanfossa è legata alla flessurazione
dell’avanpaese apulo, il quale è caratterizzato da unità carbonatiche meso-
cenozoiche.
1.3.1 Stratigrafia di superficie
Nell’ area sud-occidentale del foglio Vasto affiorano i depositi appartenenti
alle unità molisane, esse si presentano intensamente tettonizzate e sono caratterizzate
dalla presenza, alla base, del livello di scollamento delle argille varicolori.
Quest’ultime sono datate Oligocene-Aquitaniano e sono prevalentemente
costituite da argille marnose di colore grigio-verdastro e rosso-violaceo (av);
inglobano al loro interno tipi litologici calcarei e calcareo marnosi di estensioni
limitate. Fanno seguito a questa unità risedimenti carbonatici e calcarenitici che
precedono lo sviluppo di una sedimentazione di avanfossa.
Sulla base delle associazioni microfaunistiche nel Miocene medio vengono
distinte due differenti facies, una a prevalente componente calcarea e l’altra a
prevalente componente marnosa, appartenenti alla stessa unità (M4-2
). La prima,
datata Serravalliano, è costituita dall’alternanza di calcareniti, calcari organogeni e
brecciole calcaree; la seconda facies, datata Tortoniano, è invece caratterizzata
dall’alternarsi di strati marnosi e marnosi siltosi, talvolta intervallati da strati arenacei
calcarenitici e argillosi. Le forme fossilifere caratterizzanti l’età dei due tipi litologici
sono Orbulina universa tipica del Serravalliano e Globorotalia menardii tipica del
Tortoniano. A questo complesso litologico è intercalata una facies (M3) rappresentata
da calcareniti, calcari bioclastici e brecce a cemento calcareo di aspetto massivo. Gli
elementi delle brecce contengono materiale rimaneggiato di età che va dal Cretaceo
fino al Miocene, tra cui Briozoi e Litotamni e resti di molluschi.
Ai fini di questo lavoro è di rilevante importanza l’unità litologica
caratterizzata da tre diversi membri, i quali, si possono suddividere in: calcari e
calcareniti brecciati ed evaporitici (Mc5), alternanze argilloso-sabbiose (Mas
5) e gessi
(g). Il membro dei calcari e delle calcareniti affiora nei dintorni di Gissi e alla
confluenza tra il fiume Treste e il fiume Trigno, esso è caratterizzato da orizzonti di
calcare biancastro, dalla presenza di potenti livelli di gesso e da calcari evaporitici.
Questa facies gessosa passa, nelle vicinanze di Gissi, lateralmente e verso l’alto ad un
deposito argilloso sabbioso rappresentato dal membro Mas5, il quale si presenta di
colore grigio-bruno o giallastro ed è caratterizzato, al suo interno, dalla presenza di
gesso cristallino. Questi depositi si possono generalmente riferire al Miocene
superiore e la loro importanza, ai fini di questo lavoro, è dovuta alla formazione di
cavità sotterranee generate dalla dissoluzione operata sui gessi, da parte della falda
acquifera.
Probabilmente di passaggio al Pliocene sono i depositi sabbioso-arenacei, ai
quali sono intercalati livelli di argilla, marne arenacee e limitatamente puddinghe;
essi si presentano poco cementati ed affiorano in piccoli lembi a Nord dell’abitato di
Furci e a Sud-Sudovest di Carpineto Sinello.
Le formazioni plioceniche, riferibili allo stadio iniziale del dominio di
avanfossa, sono caratterizzate da facies argillose e argilloso-marnose, mentre nei
depositi riferibili al Pliocene medio-superiore si registra una abbondanza della
frazione sabbioso arenacea. Le unità quaternarie caratterizzano la parte orientale del
foglio fino alla costa, dall’estremità superiore fino a quella inferiore. La successione
quaternaria alla base presenta facies argillose (Qca) e argilloso-sabbiose (Q
cas) di
colore grigio o grigio azzurro a tratti marnose, gradatamente passano per alternanze ai
soprastanti depositi sabbiosi i quali sono caratterizzati da sabbie gialle ed arenarie
(Qcb).
Chiudono la successione marina depositi conglomeratici costituiti alla base da
puddinghe, ben cementate, e da lenti sabbioso-argillose, l’aspetto cambia verso l’alto
a causa della diminuzione del grado di cementazione e la conseguente formazione di
ciottolame (Qccg).
Diversi ordini di terrazzi alluvionali si sono formati durante il Pleistocene
superiore all’ interno delle valli dei fiumi che attraversano il territorio.
1.3.2 Stratigrafia del sottosuolo
Le intense campagne per la ricerca di idrocarburi condotte lungo la fascia
adriatica hanno messo in luce la geologia e la stratigrafia del sottosuolo in quest’area.
Il substrato è costituito da una successione calcareo-dolomitica dal Lias fino al
Cretaceo superiore correlabile con le successioni carbonatiche pugliese ed abruzzese.
1.4 Aspetti geomorfologici
La morfologia del territorio vastese è diretta conseguenza della natura
litologica dei termini affioranti e delle vicende geologiche susseguitesi nel corso del
tempo.
Il rilievo presenta quote collinari nella zona Sud-occidentale raggiungendo, in
prossimità dei costoni rocciosi dove sorgono i paesi di Gissi e Furci, altitudini di 450-
550 m.s.l.m.
Lungo i settori orientali la topografia degrada verso la costa, la quale è caratterizzata
dalla presenza di una falesia costituita da depositi formatisi nel bacino periadriatico
Plio-pleistocenico. Su questo substrato si sono impostati i principali corsi d’acqua che
attraversano il territorio in direzione SW-NE.
Diffusi sono anche i fenomeni franosi che interessano, soprattutto, la falesia
prospiciente la costa e le zone collinari più interne dove l’energia del rilievo è
maggiore. I litotipi interessati da questi eventi sono perlopiù quelli argillosi sia
appartenenti alle alternanze delle unità flyschoidi Plio-pleistoceniche che quelli
costituenti il livello di scollamento delle unità molisane (argille varicolori).
Capitolo 2
Gravimetria
Il metodo gravimetrico è un metodo indiretto di indagine geofisica del
sottosuolo; si basa su misure dell’accelerazione di gravità e su alcune proprietà dei
corpi costituenti la crosta terrestre. Viene definito metodo “indiretto” perché le
misurazioni sono effettuate sulla superficie terrestre e la loro analisi permette di fare
considerazioni sul sottosuolo.
La proprietà, su cui si basa questo metodo è la densità, o, più precisamente, il
contrasto di densità tra il corpo, o la struttura da ricercare, e quelle circostanti. Le
variazioni di densità nel sottosuolo producono delle anomalie nel campo
gravitazionale terrestre, che vengono rilevate mediante la misurazione
dell’accelerazione di gravità effettuata con i gravimetri. Nel caso della figura 2.1 un
eccesso di massa produce un allungamento della molla dovuto alla maggiore forza
attrattiva che la massa in eccesso esercita sulla massa m, questo si traduce in aumento
della gravità misurata.
Fig. 2.1 Variazione di gravità dovuta ad un eccesso di massa.
La situazione opposta si verifica nel caso in cui si è in presenza di una struttura
caratterizzata da una densità minore rispetto alle rocce circostanti, facendo diminuire
di un certo fattore il valore dell’accelerazione di gravità (fig. 2.2).
Fig.2.2 Variazione negativa della gravità.
Nelle prospezioni gravimetriche le stazioni di misura vengono
opportunamente scelte secondo una maglia ad intervalli regolari e ad una distanza che
sarà in funzione dell’estensione e della profondità della struttura da rilevare. I valori
delle misure sono influenzati da vari fattori quali possono essere la latitudine, la
topografia, le maree terrestri, quindi per poter essere utilizzati e confrontati devono
subire delle correzioni.
Attraverso i risultati cosi ottenuti si ricostruisce l’andamento delle anomalie
gravimetriche che, integrate alle conoscenze geologiche dell’area, permettono di
sviluppare un modello rappresentativo del corpo che produce l’anomalia di gravità. I
paragrafi successivi saranno dedicati alla dissertazione dei princìpi su cui si basa
questo metodo e ad una più ampia descrizione delle strumentazioni e delle correzioni
da apportare alle misure.
2.1 Gravità
2.1.1 Legge di gravitazione universale
La legge di gravitazione universale, formulata da Isaac Newton nel XVII
secolo, descrive la forza di attrazione reciproca fra due corpi nell’Universo ed è
comunemente espressa come
F = G (m1*m2)/r2 (1)
dove G è la costante di gravitazione universale, m1 ed m2 sono le masse dei due corpi
ed r2 è il quadrato della loro distanza. La costante di gravitazione universale è un
coefficiente di proporzionalità misurato per la prima volta dal fisico Henry
Cavendish, nel 1798, e il valore che essa assume è di 6,67*10 -11
N*m 2
*kg -2
.
Newton ricorse ad una ipotesi semplificatrice nel formulare questa legge,
ovvero, che la forza gravitazionale esercitata da una massa, a simmetria sferica e di
dimensioni finite, su una particella esterna è equivalente, alla forza esercitata dalla
stessa sfera nel caso in cui tutta la sua massa fosse concentrata nel suo centro; da
questo ne deriva che per una massa posta sulla superficie terrestre la formula (1) può
essere riscritta come:
Fg = G (m*Mt)/Rt2 (2)
dove m è la massa della particella posta sulla superficie della Terra e Mt e Rt sono
rispettivamente massa e raggio terrestre.
2.1.2 Accelerazione di gravità
Le forze agenti su di un corpo di massa “m” posto in un generico punto “p”
sulla superficie terrestre sono la forza centrifuga e la forza di attrazione
gravitazionale. Quest’ultima è stata trattata nel precedente paragrafo ed è pari a Fg =
G (m*Mt)/Rt2 mentre la forza centrifuga è uguale a:
f = m*ω2*R*cos ψ
(3)
ω = 2π/T
“ω” è il valore della velocità angolare terrestre espressa dal rapporto tra 2π e T,
rispettivamente uguali, alla distanza angolare coperta, e al tempo impiegato dalla
Terra, nel compiere un giro completo intorno al suo asse di rotazione. Il valore di T è
calcolato prendendo come riferimento due passaggi di uno stesso punto sulla
superficie terrestre rispetto ad una stella fissa ed è pari a 86.164 secondi, di
conseguenza il valore della velocità angolare sarà uguale a 7,2921 * 10-5
rad./sec.
L’angolo “ψ” (fig.2.3), compreso tra il piano equatoriale dell’ellissoide e il raggio
vettore “Mp”, è detto latitudine geocentrica, quindi “R*cos ψ” non è altro che la
distanza di lunghezza “d” rappresentata in figura 2.3.
Fig. 2.3 Componenti del vettore gravità.
Trascurando gli effetti dovuti all’attrazione lunisolare, il valore
dell’accelerazione di gravità, in un generico punto “p” sulla superficie terrestre
(fig.2.3), è dato dalla risultante tra la forza di gravità, diretta verso il centro della
Terra, e la forza centrifuga f diretta perpendicolarmente all’asse di rotazione terrestre
verso l’esterno.
F = G (m*Mt)/Rt2 - m*ω
2*R*cos ψ
(4)
Considerato che la gravità ha le dimensioni di un’accelerazione F può essere riscritta
come m*g e, facendo le dovute semplificazioni, si ottiene il valore di g, che sarà
uguale a:
g = G* Mt/Rt2 - ω
2*R*cos Φ
(5)
dove Φ rappresenta la latitudine geografica, ovvero, l’angolo tra la normale
all’ellissoide nel punto p ed il piano equatoriale dell’ellissoide stesso. Il valore medio
di g è circa 9,8 m/s2 e le sue massime variazioni si registrano ai poli e all’equatore
dove la gravità assume, rispettivamente, i valori massimo e minimo. Le principali
cause che determinano tale variabilità sono, la diminuzione dell’intensità della forza
centrifuga progressiva dall’equatore verso i poli, e la maggiore vicinanza al centro
della Terra di quest’ultimi. L’unità di misura della gravità è il “Gal” (1 Gal = 1cm/s2),
anche se molto spesso vengono usati i suoi sottomultipli milliGal (mGal) e microGal
(μGal) corrispondenti rispettivamente a 10-3
Gal e a 10-6
Gal.
Attraverso le misure di gravità e l’utilizzo della formula (5) è stata stimata la densità
media della Terra, la quale è pari a 5,52 gr/cm3, considerando che, la densità media
delle rocce costituenti la crosta terrestre è pari a 2,67 gr./cm3, si deve quindi
verificare un aumento delle densità procedendo verso l’interno della Terra.
2.1.3 Geoide ed “ellissoide di riferimento”
La determinazione della forma della Terra e la misura dei suoi parametri
dimensionali sono stati oggetto di studio fin dall’antichità, basti pensare alla storica
misurazione della circonferenza terrestre ad opera di Eratostene intorno al 250 a.C..
Le osservazioni effettuate dal filosofo greco lo portarono a considerare che la
distanza angolare fra le città di Alessandria d’Egitto e Siene (attuale Assuan) fosse
prossima alla cinquantesima parte dell’angolo giro, di conseguenza, anche la distanza
lineare doveva essere la cinquantesima parte dell’intera circonferenza terrestre. Il
valore da egli calcolato è risultato essere non molto distante dai circa 40000km
misurati dal diametro equatoriale, e il fatto stesso che in due diversi punti
d’osservazione, nel medesimo istante, i raggi solari avessero angoli di incidenza
diversi era la prova che la Terra avesse una forma sferica.
Fig. 2.4 Geoide ed ellissoide
Utilizzando mezzi diversi da quelli che aveva a disposizione Eratostene,
le diverse campagne di Geodesia effettuate per determinare la forma terrestre hanno
portato alla conclusione che la Terra avesse una forma sferica, schiacciata ai poli e
rigonfia all’equatore. Più precisamente, la forma che meglio approssima la superficie
terrestre è il geoide, una superficie equipotenziale della gravità che, a partire dal
livello del mare è prolungata al di sotto dei continenti fino a formare una superficie
chiusa (fig. 2.4). Le oscillazioni del livello del mare vengono misurate con appositi
strumenti detti mareografi e a queste misure vengono apportate delle correzioni, per
un dato periodo di tempo, in modo da determinare un livello medio della superficie
marina che sarà presa, poi, come riferimento.
Fig. 2.5 Ondulazione del Geoide.
Le cause perturbatrici del livello marino possono essere periodiche e non
periodiche, tra le prime si considerano le maree, dovute all’attrazione lunisolare,
mentre fanno parte della seconda categoria le perturbazioni legate a fattori
ambientali, come il ritiro o l’avanzata dei ghiacciai, e la variabilità delle condizioni
atmosferiche.
La superficie del geoide è definita equipotenziale perché ogni suo punto è
ortogonale alla verticale, ovvero, alla direzione della forza di gravità. Nonostante sia
una buona approssimazione della superficie terrestre, il geoide, non può essere
descritto agevolmente con una equazione matematica, quindi, in seconda
approssimazione, si definisce una superficie detta ellissoide di riferimento o sferoide.
Le superfici del geoide e dello sferoide coinciderebbero nel caso in cui, non ci fossero
variazioni di densità all’interno della Terra e se la forma stessa della Terra,
dipendesse esclusivamente dalla forza gravitazionale e rotazionale. In questa ipotesi
la gravità muterebbe in maniera graduale dall’equatore ai poli; siccome questo non
avviene, la superficie del geoide discosta da quella dell’ellissoide in prossimità delle
variazioni di topografia, fig.2.4, dove si innalza in corrispondenza dei rilievi
montuosi e si abbassa in prossimità delle depressioni, e in quelle aree dove si
registrano variazioni di densità all’interno della superficie terrestre (fig. 2.5).
Fig. 2.6 Ellissoide di rotazione e relativi parametri.
L’ellissoide di riferimento è uno sferoide oblato generato dalla rotazione di un
ellisse intorno (fig. 2.6) al suo asse minore descrivibile mediante una equazione
matematica:
r = Re(1- α sin2 Φ)
(6)
r è uguale alla distanza geocentrica ovvero la lunghezza del vettore che unisce un
generico punto (p) sulla superficie terrestre e il centro della Terra, Re è la lunghezza
del raggio equatoriale, mentre Φ rappresenta la latitudine geografica, α è un
parametro che indica lo schiacciamento polare, o ellitticità, ed è dato dal rapporto,
α = (Re - Rp)/ Rp (7)
dove Rp è la lunghezza del semiasse minore o raggio polare. Diversi sono stati gli
ellissoidi proposti dagli studiosi, ognuno con diversi valori di α e del raggio
equatoriale, quello utilizzato dall’ Istituto Geografico Militare italiano, per la
costruzione delle carte topografiche in scala 1:100000, è l’ellissoide di Bessel che
presenta valori di ellitticità pari a 1/299,2 e un raggio equatoriale di 6377397 metri.
2.2 Metodo gravimetrico
2.2.1 Misure gravimetriche
La formula (5), ottenuta alla fine del paragrafo 2.1.2, esprime il valore della
gravità in funzione della latitudine ammettendo una Terra di forma sferica; in effetti,
come si è visto in precedenza la superficie che meglio approssima quella terrestre è il
geoide, il quale, da un punto di vista matematico, può essere rappresentato da un
ellissoide oblato. La formula utilizzata per calcolare la “gravità normale”, ovvero
riferita alla superficie dell’ellissoide, è la seguente:
γ0 = γe (1+ β sen2 Φ + β’ sen
2 2Φ)
(8)
β = 0.0053024
β’= -0.0000058
γe= 978,0327 Gal
Φ= valore della latitudine al punto di misura
Il valore di γe è quello della gravità all’equatore mentre il parametro β è un
fattore di correzione. La gravità, cosi calcolata, varia da punto a punto, come
mostrato in figura 2.7, in funzione della latitudine, questa variazione è dovuta alla
diminuzione della forza centrifuga e all’aumento della forza di gravità, verso i poli.
Altri fattori che causano una variazione spaziale dell’accelerazione di gravità
sono la quota topografica, la quale fa aumentare o diminuire la distanza tra la stazione
di misura e il centro della Terra, la presenza di rilievi topografici o di avvallamenti e
la variazione laterale della densità delle rocce.
Fig. 2.7 Variazione della gravità teorica al livello del mare in funzione della latitudine.
Alle sopraelencate possibili cause di variazione spaziale della gravità, si
sommano variazioni temporali di gravità che possono essere sia periodiche che non
periodiche.
L’effetto dovuto all’attrazione lunisolare si manifesta con cadenza periodica,
questo può essere calcolato per un preciso punto della superficie terrestre e per un
preciso periodo di tempo, di modo che, quando si opera in quella determinata area, si
conosce l’entità della correzione da apportare alle misure effettuate. Da un punto di
vista quantitativo le variazioni di gravità dovute all’attrazione solare sono dell’ordine
0.16452 mGal, mentre per quanto riguarda la luna il valore massimo è di 0.07576
mGal, siccome la precisione dei gravimetri attuali arriva ad un millesimo di milliGal,
si comprende che l’effetto massimo dovuto all’attrazione lunisolare è di gran lunga
maggiore. Diverse sono le cause che, invece, si possono manifestare in un breve lasso
di tempo e causare una variazione della gravità. Tra queste si possono considerare i
fenomeni vulcanici, che causano una redistribuzione delle masse interne alla
superficie terrestre, i processi geodinamici e sismotettonici, la variazione del livello
della falda freatica, i fenomeni carsici o le attività antropiche come lo sfruttamento di
risorse minerarie (emungimento di idrocarburi, energia geotermica), o la coltivazione
di cave. Le correzioni da apportare alle variazioni di gravità, dovute a cause spaziali,
saranno oggetto di discussione del prossimo paragrafo.
2.2.2 Riduzione delle misure gravimetriche
Le misure di gravità vengono riferite alla superficie del geoide, affinché questo
sia possibile è necessario apportare delle correzioni, le quali rendono confrontabili le
misure effettuate da luogo a luogo. Le correzioni che si vanno a considerare tengono
conto della quota topografica della stazione di misura, delle masse interposte tra
questa e la superficie del geoide e dell’effetto delle masse circostanti al punto di
misura.
- riduzione in aria libera
Le misure di gravità si correggono per un fattore detto di aria libera perché si
considera la lontananza dal baricentro terrestre quando si opera a quote che sono
diverse dal livello del mare.
Fig. 2.8 Correzione in aria libera.
L’entità di tale correzione è data dalla seguente formula dove δgf è espresso in
milliGal,
δgf = 0,3086*(1 + 0,00071 cos 2 Φ)*h
h è l’altezza in metri e Φ è la latitudine geografica del punto di misura funzione della
distanza dall’asse di rotazione. Il valore calcolato va sommato alla gravità osservata
nel caso in cui h assume un valore positivo, mentre si sottrae, nel caso in cui h è
negativo.
- correzione di Bouguer
La correzione di Bouguer viene effettuata per eliminare il contributo attrattivo
dovuto alle masse interposte tra il punto di misura in superficie e il corrispondente sul
geoide. Si considera una piastra di dimensioni indefinite e di spessore h, alla quale si
associa un certo valore di densità congruente con la situazione geologica della zona di
rilevamento (fig.2.9).
Fig. 2.9 Correzione di Bouguer.
La correzione di Bouguer è espressa da:
δgb = 2 π ρ G h
considerando che π e G sono due costanti la formula si riduce a:
δgb = 0,042 * ρ *h
Quando h è espresso in metri δgb viene espresso in milliGal, le uniche due variabili
per questa espressione sono, quindi, la densità e la quota di misura, questo contributo
presenta il segno opposto a quello della correzione in aria libera, ovvero viene
sottratta quando h è positivo e aggiunta nel caso in cui h è negativo. Un piccolo
accorgimento è da prendere quando si effettuano misure in mare, ovvero bisogna
considerare la densità dell’ acqua, di questo si tiene conto sostituendo a ρ la
differenza tra (ρr - ρw), le quali sono rispettivamente la densità delle rocce e
dell’acqua marina, ed h assume il valore della profondità dell’acqua in metri.
- correzione topografica
Effettuando la correzione di Bouguer, le depressioni sono state idealmente
riempite di materia e non si è tenuto conto delle masse sporgenti rispetto alla piastra,
questo implica, l’utilizzo di un ulteriore fattore di correzione detto “correzione
topografica”.
Mediante questa correzione si elimina il contributo attrattivo dovuto alle masse
topograficamente rilevate, indicate con A in figura 2.10, e quello delle masse fittizie
in B, introdotte con la correzione di Bouguer, il valore di tale correzione risulta essere
sempre positivo.
Fig. 2.10 Correzione topografica.
Da un punto di vista teorico la correzione topografica viene applicata mediante
l’utilizzo della seguente formula:
Ct(mGal) = G (R2-R1 +(R12+h
2) -(R2
2+h
2)
questo calcolo dovrebbe essere effettuato per ogni stazione di misura,
risultando, da un punto di vista pratico, poco agile. Per rendere più speditivo il
calcolo di tale correzione sono state ideate delle apposite tavole, costituite da diverse
corone circolari di raggi crescenti, che delimitano il terreno circostante, all’area di
misura, in varie zone, che a loro volta vengono divise in vari compartimenti. I
parametri espressi nella formula della correzione topografica sono G, la quale
rappresenta la costante di gravitazione universale, la densità delle rocce espressa
in g/cm3, angolo in radianti tra due compartimenti, R2 ed R1 rispettivamente, il
raggio esterno ed interno di un compartimento e infine h la quale è la differenza tra
la quota della stazione di misura e quella media del compartimento.(fig.2.11)
Fig. 2.11 Compartimento di una tavola utilizzata per la correzione topografica.
Una volta fissato il centro della tavola sul punto di misura, riportato su carta
topografica, si procede con il calcolo della differenza di quota e, dalle indagini
geologiche, si stima il valore della densità da inserire nella formula. La descrizione
delle operazioni pratiche, fatta sopra, dovrebbe risultare utile per quanto riguarda la
comprensione delle operazioni che oggigiorno eseguono in modo automatico i
computer.
Apportando le correzioni finora descritte si calcola il valore della gravità
ridotta alla superficie del geoide, la quale, adesso, può essere confrontata con altre
misure di gravità.
2.2.3 Anomalia di Bouguer
L’anomalia di Bouguer è data dalla differenza tra la gravità osservata, misurata
in un determinato punto, e la gravità normale, funzione della latitudine e calcolata
con la formula “γ0 = γe (1+ +β sen2
Φ + β’ sen2 2Φ)”, a cui sono state apportate le
correzioni descritte nel precedente paragrafo. Il valore di tale anomalia può essere
nullo, negativo o positivo e questo dipende dalla distribuzione delle masse in
prossimità della stazione di misura. Nel caso in cui la distribuzione delle masse è
omogenea il risultato di tale differenza sarà nullo, mentre sarà positivo se si verifica
un eccesso di massa rispetto all’ipotesi teorica e infine un valore negativo
dell’anomalia si traduce in un difetto di massa.
I concetti di eccesso e difetto di massa sono una semplificazione che sta ad
indicare una variazione di densità “ρ” dei corpi nel sottosuolo e sinonimo,
rispettivamente, di un aumento e di una diminuzione di densità.
Fig.2.12 Profilo di anomalia gravimetrica (da Norinelli,modificato).
Per meglio descrivere il significato delle anomalie di Bouguer basti considerare
l’andamento del profilo in figura 2.11, si può notare di come assuma valori positivi
man mano che ci si avvicina al corpo sepolto. Questo è dovuto ad una maggiore
densità ρ del corpo sepolto, rispetto alla densità ρ’ dei corpi circostanti. (ρ > ρ’ ). Nel
caso opposto basta considerare una cavità sepolta, al posto del corpo di densità ρ, la
quale avrà una densità minore rispetto ai terreni circostanti che produrrà un’anomalia
negativa (ρ < ρ’).
Quando una prospezione gravimetrica interessa un certo areale si può costruire
la carta delle anomalie di Bouguer unendo i punti che presentano lo stesso valore di
anomalia con delle linee che prendono il nome di isoanomale.
Fig. 2.12 Carta delle anomalie di Bouguer.
2.2.4 Interpretazione delle anomalie di Bouguer e anomalie residue
La determinazione dei parametri, ovvero densità, forma e profondità della
struttura che produce l’anomalia, passa attraverso l’interpretazione delle anomalie di
Bouguer. In prima battuta si può considerare la forma dell’anomalia, la quale, per una
struttura profonda risulta essere relativamente più estesa e poco accentuata, mentre, al
contrario, per strutture poco profonde il profilo dell’ anomalia risulta essere poco
esteso ed accentuato. Le prime possono essere considerate come anomalie prodotte
da strutture che rivestono un’importanza regionale, mentre le seconde, dipendono da
situazioni strutturali a carattere locale.
Fig. 2.13 Costruzione del campo regionale e relative anomalie residue.
Per identificare una struttura di piccole dimensioni si passa alla determinazione
delle anomalie residue, il cui calcolo viene effettuato mediante due metodi, il primo
detto del “lisciamento” e il secondo detto metodo di Griffin.
Il primo metodo consiste nell’identificazione dei punti di intersezione tra le
anomalie di Bouguer e quelle regionali. Il campo regionale viene costruito mediante
la prosecuzione della parte indisturbata delle anomalie di Bouguer (fig. 2.13), e, per
determinare il valore dell’anomalia residua, si opera la differenza tra il valore
dell’anomalia di Bouguer e quello del campo regionale nel punto di intersezione.
Anche in questo caso i punti di eguale anomalia possono essere uniti dalle
isoanomale
Il secondo metodo è quello di Griffin, che prevede la costruzione di una
circonferenza, il cui raggio sarà determinato dall’operatore in base alle diverse
situazioni, e che si sovrappone alla carta delle isoanomale di Bouguer;
Fig. 2.14 Metodo di Griffin.
si segnano sulla circonferenza otto punti equidistanti e si calcola l’anomalia
regionale, al centro del cerchio, facendo la media tra i valori dell’anomalia di
Bouguer misurata sugli otto punti. L’anomalia residua in questo caso si ottiene dalla
differenza tra l’anomalia di Bouguer letta in corrispondenza del centro del cerchio e
quella regionale calcolata dalla media tra i valori sulla circonferenza. Ripetendo
questa operazione in più punti si possono tracciare le isoanomale residue.
Il risultato ottenuto, con uno dei due metodi sopra descritti, può essere
integrato, confrontando il profilo di anomalia ottenuto con profili teorici generati da
forme geometriche note. I profili teorici si basano sul fatto che, determinate forme,
producono una geometria dell’anomalia caratteristica.
Il passo finale da compiere, dopo aver fatto le considerazioni fin qui descritte, è
quello di determinare la geometria, la densità e a quale profondità è situata la struttura
che genera tale anomalia.
Fig. 2.15 Ambiguità dei modelli gravimetrici.
I risultati ottenuti si integrano, ovviamente, con uno studio di carattere
geologico dell’area d’interesse e, non di rado, vengono comparati i dati di
prospezioni eseguite con diversi metodi geofisici, come ad esempio, la sismica. Il
confronto tra i dati ottenuti con diverse tipologie di prospezione facilita
l’interpretazione e quindi permette di determinare la reale forma della struttura.
Queste ultime precisazioni sono state fatte perché bisogna considerare l’ambiguità dei
modelli gravimetrici, ovvero il fatto che, strutture diverse possono generare profili di
anomalia simili, quindi bisogna valutare con attenzione la situazione che si presenta
volta per volta. In figura 2.15 è mostrato il profilo di anomalia generato da corpi
lentiforme, il quale è simile a quello prodotto da una sfera di raggio 600m posta a
maggiore profondità e con una densità di 1gr./cm3.
2.2.5 Strumenti di misura
Gli strumenti che vengono utilizzati per determinare le misure di gravità sono
principalmente tre, e sono: il pendolo, la misura della velocità della caduta libera di
un grave e il dinamometro.
Le misure pendolari si basano sulla determinazione del periodo di oscillazione
del pendolo secondo la relazione:
T = π√( l / g)
Il periodo di oscillazione del pendolo T varia al variare dell’accelerazione di
gravità ed essendo, la lunghezza del pendolo l e π costanti, si determina il valore
dell’accelerazione di gravità g mediante il calcolo del periodo di oscillazione.
Fig. 2.16 Pendolo gravimetrico (da Norinelli, modificato).
Per le misure di gravità assolute si utilizza il metodo della caduta libera dei
gravi, che teoricamente consiste nella misurazione del tempo che impiega un grave,
sottoposto all’accelerazione di gravità, a percorrere verticalmente una certa distanza
d. Utilizzando la formula
d = v0t + ½ gt2
e conoscendo la posizione del corpo in tre diversi istanti di tempo si determina
il valore di g. Le tre posizioni saranno: s0, la posizione al tempo zero, s1 ed s2 saranno
rispettivamente le posizioni al tempo 1 e al tempo 2. Effettuando le dovute
sostituzioni si riscrive la formula citata sopra:
g = 2(s2* t1 - s1* t2)/ t1t2 (t2 - t1).
Sulla base di questo principio si effettuano le misure con i gravimetri assoluti, i
quali, sono apparecchiature molto sofisticate, dotate di raggi laser per le misurazioni
del moto del grave che consentono di ridurre l’errore di misura all’ordine del
milliGal.
Le misure effettuate con l’utilizzo del pendolo si basano sulla misurazione di
un tempo, mentre quelle fatte con i gravimetri su misure di lunghezza. I gravimetri
possono essere statici (lineari) o astatici (figg.2.17-2.18), i primi sono caratterizzati
da movimenti lungo una sola direzione della massa, al contrario in quelli astatici ha
luogo una rotazione.
Il gravimetro statico è un dinamometro costituito da un molla e da un massa
attaccata ad essa; la massa sarà soggetta alla forza peso mg la quale, quando eguaglia
la forza della molla, può essere espressa in termini di: mg – ks = 0
dove k è la costante elastica della molla e s la sua lunghezza. Questa
condizione di equilibrio è raffigurata in figura 2.17a, dove la forza peso è bilanciata
dalla reazione elastica della molla, nel caso invece rappresentato in b, si addiziona un
certo valore di g che determina
un allungamento della molla pari ad un certa quantità δs. Ammettiamo che la figura
“a” si riferisca alla misurazione di gravità in un determinato punto A e che la figura
“b” sia la corrispondente in un punto B, si mette in evidenza, cosi, una differenza di
gravità δg tra questi due punti e che il valore di g in B è maggiore rispetto ad a.
L’entità di δg è facilmente ricavabile dall’espressione mg – ks = 0, se si considera
che δs è misurabile, e k ed m restano costanti.
Fig. 2.17 Gravimetro statico. Fig. 2.18 Gravimetro astatico.
A differenza del gravimetro lineare, il gravimetro astatico è costituito da un
braccio al quale è collegata una massa; il sistema braccio-massa è fissato, mediante
un perno che ne permette la rotazione, ad un montante fisso (fig.2.18) ed è sorretto da
due molle, una collegata al supporto fisso, e l’altra ad una vite di controllo, che
permette, a sua volta, di riportare in posizione orizzontale il braccio. Effettuando
misure in due punti diversi, con questo tipo di gravimetri, si ricava la differenza di
gravità mediante la lettura dell’angolo formato tra il piano orizzontale e il braccio. Si
effettua la misura in un determinato punto A, il braccio formerà un certo angolo con
il piano orizzontale, riportando il braccio, mediante la vite di controllo, in posizione
orizzontale si legge il valore dell’angolo. Successivamente si risistema il gravimetro
in un altro punto che definiamo B e si eseguono le stesse operazioni seguite al punto
A, si ricava cosi la differenza tra i due angoli che sarà proporzionale alla differenza di
gravità fra i due punti.
- astatizzazione
Un gravimetro astatizzato è quello raffigurato in figura 2.19, la massa posta al
di sopra del fulcro crea una situazione di instabilità, pertanto piccoli spostamenti,
vengono amplificati e questo si traduce in sensibilità elevate delle misure.
Fig.2.19 Gravimetro Thyssen
- deriva strumentale di un gravimetro
La variabilità nel tempo dell’accelerazione di gravità dipende sostanzialmente
dall’attrazione lunisolare, tale variazione giornaliera è detta marea gravimetrica.
Escludendo questo effetto i valori di gravità in uno stesso punto dovrebbero essere
costanti per un lungo periodo di tempo, ma questo non accade. Per chiarire meglio,
ripetute misure effettuate in uno stesso punto non presentano lo stesso valore, ma si
ha uno spostamento nel tempo della posizione zero dello strumento. A questo
disturbo è dato il nome di anomalia gravimetrica, le cui cause, possono essere
diverse, come variazioni di temperatura, di pressione o l’invecchiamento dello
strumento stesso. La deriva è un effetto ineliminabile, possono essere presi, però,
alcuni accorgimenti; ad esempio per compensare l’effetto delle variazioni di
temperatura vengono costruiti gravimetri che lavorano a temperatura costante. Quello
che invece può fare l’operatore è ripetere la misura in uno stesso punto (stazione
base) più volte in un determinato periodo di tempo, ad esempio un giorno, e calcolare
la deriva.
Fig. 2.20 Deriva strumentale di un gravimetro.
Capitolo 3
Prospezione ed analisi gravimetrica
3.1 Premessa
Come già accennato nell’introduzione e, come mostrato dalla figura I.2., l’area
di Gissi è caratterizzata da una veloce evoluzione della morfologia dovuta alla
formazione di cavità carsiche prodotto della rapida dissoluzione delle formazioni
gessose. Testimonianza epigea di questo processo è la formazione di doline, mentre il
carsismo ipogeo si manifesta con la formazione di cavità soprattutto nella formazione
messiniana dei gessi.
Lo scopo della prospezione effettuata in quest’area è quello di individuare zone
di anomalia gravimetrica negativa, le quali possono essere probabile sede di cavità.
D’altro canto si da importanza anche alle zone che presentano un massimo relativo,
questo perché, nel caso in cui vi sia presenza di strutture antropiche, sono le aree in
cui tali strutture possono essere ancorate. Quanto detto necessità, in ogni caso, di uno
studio geologico di dettaglio.
3.2 Acquisizione ed elaborazione dei dati
Per l’esecuzione del rilievo è stata utilizzata la tavoletta “Gissi - elemento
371152” della Carta Tecnica Regionale (CTR) in scala 1:5000 della regione Abruzzo.
Uno stralcio della tavoletta è riportato in figura 3.1, dove sono state evidenziate
le stazioni di misura contrassegnate da un numero progressivo identificativo.
Ogni stazione è contraddistinta, oltre che dal numero progressivo, anche dalle
coordinate geografiche e dalla quota topografica, e, per ognuna di esse, è stata
misurata la gravità, il valore della correzione topografica e l’anomalia di Bouguer. I
dati vengono riportati di seguito. La longitudine espressa in gradi, primi, secondi è
calcolata a partire dal datum Roma 1940 (meridiano di Monte Mario), la latitudine è
anch’essa espressa in gradi, primi e secondi a partire dall’equatore; le coordinate Utm
vengono riferite, invece, al datum europeo Postdam 1950, mediante questo sistema si
suddivide la superficie terrestre in zone rappresentate da fusi e fasce, la zona
rappresentativa dell’area oggetto di questo lavoro è la 33T. Per quel che riguarda le
coordinate Gauss-Boaga è preso ancora come riferimento il meridiano di Monte
Mario, e l’Italia viene divisa in due fusi, fuso Ovest e fuso Est, i quali misurano
un’ampiezza di circa 6°, e, rispettivamente, una distanza dal meridiano di Greenwich
di 9 e 15 gradi, in tale sistema di riferimento l’area d’interesse ricade nel fuso Est.
La localizzazione della stazione di misura è espressa sia dalle coordinate
geografiche che da quelle chilometriche Utm, a tal proposito è stata eseguita la
conversione dalle coordinate chilometriche Utm a
Fig. 3.1 Stralcio CTR “Abruzzo” e ubicazione stazioni di misura.
quelle Gauss-Boaga, affinché, in fase di sviluppo della cartografia, si
adoperasse il medesimo sistema di riferimento presente sulla Ctr.
Oltre alla consultazione del formato cartaceo, è stata utilizzata la carta tecnica
regionale in formato digitale, sulla quale, si è operata la georeferenziazione e la
calibrazione al sistema Gauss-Boaga mediante l’utilizzo del programma Didger 3.04.
Dall’elaborazione dei dati si è proceduto a costruire la carta delle anomalie di
Bouguer, la carta del campo regionale e quella delle anomalie residue.
Tabella 3.1 Stazioni di misura e corrispondenti valori.
3.2.1 Carta delle anomalie di Bouguer
La carta delle anomalie di Bouguer, riportata in allegato 3, è stata costruita
utilizzando il programma di contouring Surfer 8.02, mediante l’utilizzo della
funzione kriging che permette la costruzione della carta delle isoanomale a partire dai
dati calcolati per le stazioni di misura.
Il valore dell’anomalia di Bouguer per ogni punto è dato dalla differenza tra la
gravità osservata, a cui è stata apportata la correzione topografica, e la gravità
normale, funzione della latitudine, corretta per il fattore di aria libera e quello di
Bouguer.
Nella costruzione della carta delle anomalie di Bouguer si sono volute
evidenziare le zone di minimo relativo raffigurate con il colore blu, le quali
procedono man mano verso zone di massimo relativo rappresentate in rosso. I valori
massimi dell’anomalia di Bouguer si attestano intorno a -6,89 mGal e caratterizzano
la parte centrale dell’area di prospezione, mentre nelle zone di minimo si registrano
valori -7,09 mGal., e si riscontrano nella parte meridionale dell’area di interesse.
Tra le considerazioni che si possono fare, dall’interpretazione delle
isoanomale, c’è sicuramente quella per cui, la massa che provoca l’anomalia
negativa, non deve essere né molto profonda né troppo estesa.
Questo perché l’anomalia si estingue nel giro di pochi metri, nel caso contrario
una struttura profonda e più ampia avrebbe generato un’anomalia più estesa.
3.2.2 Carta delle Anomalie Residue
Le anomalie di Bouguer rappresentano la somma delle anomalie locali e di
quelle regionali, per costruire la mappa delle anomalie residue è stato sottratto al
valore delle anomalie di Bouguer quello del campo regionale. L’andamento delle
anomalie residue è legato a variazioni locali delle densità nel sottosuolo, data
l’assenza, di depositi recenti, si possono escludere variazioni generate da tali litologie
caratterizzati da una relativa minore densità, quindi, la causa delle anomalie negative,
è da ricercarsi all’interno della formazione messiniana costituita da litotipi gessosi
(allegato 1), che occupa almeno i primi 50 m del sottosuolo.
La carta del campo regionale è stata costruita con Surfer 8.02 mediante la
funzione polynomial (F(X,Y)=a+bX+cY) ed è riportata in figura 3.2, se si osserva il
trend delle anomalie negative ci si accorge che, questi valori, subiscono un aumento
procedendo verso la zona Nord-orientale dell’area di prospezione.
In allegato 4 è riportata la carta delle anomalie residue che, rispetto alla carta
delle anomalie di Bouguer, presenta un maggior numero di zone caratterizzate da
anomalia negativa.
Fig. 3.2 Campo regionale.
Osservando la carta delle anomalie residue, ci si accorge che, ancora una volta,
sono i quadranti più meridionali ad essere interessati da valori negativi relativamente
maggiori di anomalia, proprio come rappresentato anche dalle isoanomale di
Bouguer.
Siccome sembra essere questa la porzione, caratterizzata maggiormente da
valori negativi dell’anomalia, si è scelto di effettuare una sezione delle anomalie
residue in questo punto cosi da verificare in seguito, mediante la descrizione di un
modello, se è sede di cavità.
La sezione delle anomalie residue è stata effettuata utilizzando due programmi,
Surfer 8.02 e Grapher 7.0, e la sua traccia (A-A’) è stata riportata in allegato 4, sulla
mappa delle anomalie residue.
La traccia della sezione misura circa 44 metri ed assume una orientazione
Nord-Ovest Sud-Est, i massimi valori di anomalia si registrano nella parte centrale
con picchi che raggiungono quasi – 0,06 mGal, mentre, nelle parti più esterne, 0,01
mGal verso Ovest e 0,04 mGal verso Est (fig. 3.3).
Fig. 3.3 Sezione anomalia residua (A-A’).
Dall’andamento del profilo d’anomalia si ipotizza che in corrispondenza del
picco di minimo, dovrebbe essere situata la cavità nel sottosuolo, ed, effettuando
un’analisi quantitativa, si procede con il calcolo della profondità a cui potrebbe essere
situata.
Si assume che la cavità possa essere rappresentata da una massa sferica, quindi,
utilizzando delle formule derivate da curve di anomalia prodotte da corpi di
geometria nota, si calcola la profondità e il raggio della sfera che genera l’anomalia.
Tenendo come riferimento la sezione in figura 3.3, si legge il valore
dell’ascissa in corrispondenza di C, il quale ha come ordinata la metà dell’anomalia
massima, a questo valore dell’ascissa va sottratto il valore di ascissa in B, di modo
che, si possa conoscere la lunghezza del segmento C-D (X1/2) che sarà presa come
riferimento per il calcolo della profondità, queste operazioni sono state ripetute anche
per il valore di anomalia positiva.
E’ necessario, adesso, assegnare un valore di densità congruo con la situazione
geologica dell’area, o meglio, un valore δρ di differenza di densità tra la struttura da
ricercare e i litotipi circostanti, per effettuare il calcolo del raggio della sfera.
La formula utilizzata per il calcolo della profondità della sfera è la seguente:
Z = 1,305 * X1/2 (m)
dove z è la profondità a cui è ubicata la cavità e X1/2 è il valore dell’ascissa, espresso
in metri, tra il punto di picco massimo dell’anomalia e il punto che ha come ordinata
la mezza ampiezza dell’anomalia massima. Mentre per calcolare le dimensioni del
raggio si utilizza la formula:
RAGGIO^3 = (Δgmax * z2)/(0.028 * δρ)
dove Δgmax è il valore massimo dell’anomalia espresso in mGal, z è stato
calcolato prima ed è la profondità in metri del centro della sfera, infine δρ è la
variazione di densità assegnata al corpo. Nel paragrafo seguente saranno esplicitati i
calcoli eseguiti per validare il modello presentato.
3.3 Interpretazione del modello
Al fine di effettuare una valutazione quantitativa delle anomalie residue è stato
costruito un modello rappresentativo delle strutture che caratterizzano il sottosuolo
nell’area di prospezione.
L’ipotesi su cui si basa tale modello è caratterizzata dalla presenza di cavità
carsiche, assimilate ad una sfera, entro la formazione evaporitica messiniana.
Questa ipotesi si sposa bene anche con le caratteristiche geologiche dell’area,
dove, una litologia costituita prevalentemente da gessi è sovrascorsa ad un membro
argilloso di età pliocenica, essendo quindi, confinata nella parte basale da una
formazione impermeabile, si comporta da aquiclude, e, di conseguenza la presenza di
acqua favorisce i fenomeni di dissoluzione.
Le cavità ipotizzate sono due, si è proceduto al calcolo della loro profondità e
del relativo raggio con le formule descritte nel paragrafo precedente. I calcoli
effettuati sono riportati nella tabella di seguito:
Tabella 3.2 Calcolo profondità e raggio cavità.
cavità X 1/2 (m) Z = 1,305 * X1/2 (m) RAGGIO^3 = (Δg max * z^2)/(0.028 * δρ) Raggio (m)
1 11,5 15 200 5,8
2 3 4 7,14 2
In questo caso la differenza di densità utilizzata è stata pari a -2,4 g/cm3, e,
partendo dall’ampiezza dell’anomalia nel profilo dell’anomalia residua, si è stimata
una profondità di 15 metri per il centro della cavità indicata con 1, mentre per la
seconda si è stimata una profondità di 4 metri. Successivamente si è passato al
calcolo del raggio delle cavità, valutati intorno ai 6 metri per la cavità 1 e intorno ai 2
per la cavità n°2.
Il modello si basa sul profilo dell’anomalia residua, come descritto nel
precedente paragrafo, rappresentato in figura 3.3 ed è stato costruito servendosi dei
dati presenti in tabella 3.3.
Utilizzando l’applicazione Grav/Mag il profilo costruito con i dati reali viene
confrontato con uno calcolato in base alle strutture che si inseriscono nel programma.
Tabella 3.3 Progressive del profilo e valori di anomalia residua.
Il programma di cui si è appena fatto cenno consente di inserire dei “body” e di
assegnare a tali corpi dimensioni e valori di densità opportuni e di porli alla
profondità che si desidera, fatto ciò, esso calcola la curva dell’anomalia gravimetrica
che tali corpi generano.
Nel caso specifico si è proceduto in precedenza ad effettuare il calcolo della
profondità e del raggio delle cavità, in più si è stabilito di voler utilizzare una
differenza di densità pari a -2,4 g/cm3, densità caratteristica dei gessi.
In figura 3.4 è rappresentato il risultato di quanto detto finora, il profilo
contrassegnato dalle stellette è il profilo calcolato, ovvero quello che si riferisce ai
corpi inseriti nel programma o meglio alle cavità ipotizzate, mentre quello
rappresentato dai triangoli è il profilo delle anomalie osservato. La validità del
modello gravimetrico è rappresentata dalla sovrapposizione dei due profili, maggiore
è la sovrapposizione e migliore è l’approssimazione.
In questo caso il risultato è abbastanza soddisfacente, in quanto si è tenuto
conto anche delle situazioni strutturali e meccaniche, ovvero, facendo delle prove in
fase di realizzazione del modello, si è osservato che la stessa curva di anomalia era
generata da una cavità estesa lungo tutto il profilo, ma il tetto di tale cavità, era posto
ad una profondità di 1 massimo 2 metri, e questo non può reggere da un punto di
vista meccanico.
Un'altra prova che si è voluto fare è stata quella di considerare una differente
densità ipotizzando che le cavità fossero riempite d’acqua.
La differenza di densità che si è assunta per la cavità n°1 è pari a
-1,4 g/cm3, quindi è stata considerata totalmente riempita d’acqua, mentre, per la
cavità 2, si è scelto un valore di – 1,9 g/cm3, che indica un parziale riempimento di
acqua.
Come sopra sono stati effettuati il calcolo della profondità e del raggio della
sfera:
Cavità X 1/2 (m) Z = 1,305 * X1/2 (m)
RAGGIO^3 = (Δg max * z^2)/(0.028 * δρ)
Raggio (m)
1 11,5 15 344 7 interamente piena d'acqua-1,4
2 3 4 7,14 2 parzialmente piena d'acqua -1,9
Tabella 3.4 Calcolo profondità e raggio cavità.
è rappresentato in figura 3.5 il profilo generato da tali valori, in questa
differente situazione.
Anche in questo caso la correlazione fra i due profili è abbastanza
soddisfacente a differenza, però, del primo modello è diminuita la distanza delle
cavità dal piano campagna ed il raggio calcolato per la cavità 1 misura un valore
maggiore. In conclusione si può ipotizzare che sia una situazione intermedia a
determinare tali cavità nel sottosuolo, ovvero, tale processo viene favorito dalla
variazione del livello di falda entro la formazione dei gessi.
3.4 Conclusioni
La prospezione gravimetrica effettuata nei pressi di Gissi ha permesso di
individuare zone di minimo gravimetrico, le quali, sono state rappresentate sulla carta
delle anomalie di Bouguer e su quella delle anomalie residue.
Tali valori minimi caratterizzano, maggiormente, la parte meridionale dell’area
di prospezione, ed è per questo, che si è deciso di costruire una sezione delle
anomalie lungo un profilo che percorre quest’area.
Dall’analisi della sezione e della carta delle anomalie, sono stati ipotizzati due
modelli gravimetrici, congruenti, con l’assetto stratigrafico e strutturale dei litotipi
affioranti in zona.
Il parametro che è stato variato, nella esecuzione del lavoro, è stato quello della
differenza di densità, ovvero, nel primo caso, le cavità sono state considerate vuote;
mentre, nel secondo caso, si è ipotizzato un riempimento totale, da parte dell’acqua,
per la cavità posta a maggiore profondità, e, un riempimento parziale, per quella
posta ad una profondità minore.
La genesi di quest’ultime è legata alla solubilizzazione operata dai fluidi che,
data l’intensa fratturazione delle formazioni messiniane, circolano all’interno dei
litotipi gessosi.
L’evoluzione delle forme carsiche all’interno dei gessi è più rapida rispetto ai
carbonati ed, in quest’area, è favorita dalla situazione strutturale che mette a contatto
rocce evaporitiche messiniane con membri argillosi di formazioni plioceniche.
Fig.3.6 Zone a rischio sinkhole.
Infine è stata costruita una carta in cui sono state evidenziate le zone a rischio
sinkhole nell’area di prospezione (fig. 3.6); comparando la carta, con i risultati
ottenuti dai modelli, risulta evidente che l’anomalia posta nella parte più meridionale
dell’area di prospezione è generata dalla cavità contrassegnata con il numero 1 nel
modello. La cavità in questione misura un diametro di circa 15 metri, il che, può
rappresentare un pericolo per le costruzioni presenti in quest’area in caso di crollo.
Bibliografia
BALBONI A. - Note illustrative della carta geologica d’Italia, scala 1:100.000, foglio 154
“Larino”, Servizio Geologico d’Italia (1968).
BERGOMI C. & VALLETTA M. - Note illustrative della carta geologica d’Italia, scala
1:100.000, foglio 148 “Vasto”, Servizio Geologico d’Italia (1971).
BIGI S., CANTALAMESSA G., CENTAMORE E., DIDASKALOU P., DRAMIS F.,
FARABOLLINI P., GENTILI B., I INVERNIZZI C., MICARELLI A., NISIO S.,
PAMBIANCHI G. & POTETTI M. - La fascia periadriatica marchigiano abruzzese dal pliocene
medio ai tempi attuali: evoluzione tettonico sedimentaria e gemorfologica, Studi Geologici
Camerti, Volume Speciale 1995/1, pp. 37-49.
BIGI S., CENTAMORE E., FUMANTI F., MILLI S., & NISIO S. - Aspetti geologico-
strutturali delle “aree di avanpaese” nell’ Appennino centro-orientale, Studi Geologici Camerti,
Volume XIV (1996-97), pp. 201-209.
CALAMITA F., ESESTIME P. & PALTRINIERI W. - Confronto fra le strutture pliocenico-
quaternarie dell’Appennino centrale (Maiella) e della catena Apula sepolta nell’Appennino
meridionale (Setteporte-Monte taburno), Rendiconti online SGI, 1 (2008), Note Brevi, pp. 52-56.
CALAMITA F., GABRIELE VIANDANTE M., ESESTIME P., PALTRINIERI W. &
SCISCIANI V. - Il controllo dell’architettura del Paleomargine di Adria sull’evoluzione pre e
post-Pliocene inferiore dell’Appennino Centro-Meridionale, Rendiconti SGI, 4 (2007), Nuova
serie, pp. 170-173.
CALAMITA F., SCISCIANI V., MONTEFALCONE R., PALTRINIERI W. & PIZZI A. -
L’ereditarietà del paleomargine dell’Adria nella geometria del sistema orogenico centro-
appenninico l’area abruzzese esterna, Memorie della società geologica italiana, 57 (2002), pp.
355-368.
CATENACCI V. - Note illustrative della carta geologica d’Italia, scala 1:100.000, foglio 147
“Lanciano”, Servizio Geologico d’Italia (1974).
CENTAMORE E., VALLETTA M. - Contributo alla conoscenza geologica dell’Appennino
molisano, Bollettino Società Geologica Italiana, vol. 89, pp. 53-64.
CENTAMORE E., FUMANTI F., NISIO S. – The Central-Northern Appennines geological
evolution from Triassic to Neogene time, Bollettino della Società Geologica Italiana, Volume
Speciale n° 1 (2002), pp. 181-197.
COLI M., MODUGNO C., MARCHESE F. & MONTAINI T. – Discordanza intracalabriana
nella zona di Vasto (Ch), Bollettino della Società Geologica Italiana, 119 (2000), pp. 15-20.
CRESCENTI U. - Sul substrato pre-pliocenico dell'avanfossa appenninica dalle marche allo
jonio, Bollettino della Società Geologica Italiana, 1975, vol. 94, fasc. 3, pp. 583-634.
D'ALESSANDRO L., PANTALEONE A. - Caratteristiche geomorfologiche e dissesti
nell'abruzzo sud-orientale, Memorie della società geologica italiana, 1987, vol. 37, fasc. 2, pp.
805-821.
DEIANA G. – Elementi di tettonica, 2004, pp. 110-128.
DI BUCCI D. – Rapporti tra piattaforme carbonatiche e “alloctono” lungo la media valle del
Sangro, Bollettino della Società Geologica Italiana, 114 (1995), pp. 443-463.
DI BUCCI D. CORRADO S., NASO G., PAROTTO M. & PRATURLON A. - Evoluzione
tettonica neogenico-quaternaria dell’ Area molisana, Bollettino della Società Geologica Italiana
118 (1999), pp. 13-20.
DI BUCCI D. & SCROCCA D. - Assetto tettonico dell’Alto Molise (Appennino Centrale):
considerazioni stratigrafiche e strutturali sull’unità Montenero Val Cocchiara, Bollettino Società
Geologica Italiana, 116 (1997), pp. 221-236.
DI FILIPPO M. – Appunti delle lezioni del corso di Fisica applicata alla geologia.
NASO G., TALLINI M. & TOZZI M. - Caratteristiche geologico-strutturali dell’area di
Miranda (Isernia): un contributo alla comprensione dei rapporti tra falde molisane e avanfossa nel
Messiniano-Pliocene Inferiore, Bollettino della Società Geologica Italiana 114 (1995), pp. 423-
441.
NORINELLI A. – Lezioni di geofisica applicata, Patron Editore, 1996, Bologna.
SCROCCA D., SCIAMANNA S., DI LUZIO E., TOZZI M., NICOLAI C. & GAMBINI R. -
Structural setting along the crop 04 deep seismic profile (Southern Apennines – Italy),
Boll.Soc.Geol.It. (Ital.J.Geosci.), Spec. Issue No. 7 (2007), pp. 283-296, 9 figs., CROP-04 (ed. by
A. Mazzotti, E. Patacca and P. Scandone).
SCROCCA D. & TOZZI M. – Tettogenesi mio-pliocenica dell’ Appennino molisano, Bollettino
Società Geologica Italiana 118 (1999), pp. 255-286.
SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA - Carta geologica d’Italia alla scala 1:100.000, fogli 148
“Vasto”, 147 “Lanciano” & 154 “Larino”.
SERWAY R. A. – Principi di fisica, II Edizione, EdiSes, 1999, Napoli.