Prospezione ed analisi gravimetrica presso Gissi (Ch)

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Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali CORSO DI LAUREA IN SCIENZE GEOLOGICHE Dipartimento di Scienze della Terra Elaborato finale in Fisica applicata alla geologia “Prospezione ed analisi gravimetrica presso Gissi (Ch)” Relatore Candidato Dott. Michele Di Filippo Giuseppe Cocchiararo ANNO ACCADEMICO 2007/2008

Transcript of Prospezione ed analisi gravimetrica presso Gissi (Ch)

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE GEOLOGICHE

Dipartimento di Scienze della Terra

Elaborato finale in Fisica applicata alla geologia

“Prospezione ed analisi gravimetrica presso Gissi (Ch)”

Relatore Candidato

Dott. Michele Di Filippo Giuseppe Cocchiararo

ANNO ACCADEMICO

2007/2008

Indice

Introduzione

1) Inquadramento geologico

1.1 Evoluzione geodinamica…………………………………………....1

1.2 Assetto strutturale………………………………………………......4

1.3 Stratigrafia.......................................................................................10 1.3.1 Stratigrafia di superficie

1.3.2 Stratigrafia del sottosuolo

1.4 Aspetti Geomorfologici ..................................................................14

2) Gravimetria........................................................................15

2.1 Gravità..............................................................................................17 2.1.1 Legge di gravitazione universale

2.1.2 Accelerazione di gravità

2.1.3 Geoide ed “Ellissoide di riferimento”

2.2 Metodo gravimetrico........................................................................25 2.2.1 Misure gravimetriche

2.2.2 Riduzione delle misure gravimetriche

2.2.3 Anomalia di Bouguer

2.2.4 Interpretazione delle anomalie di Bouguer e anomalie residue 2.2.5 Strumenti di misura

3) Prospezione ed analisi gravimetrica.....................................44

3.1 Premessa

3.2 Acquisizione ed elaborazione dati 3.2.1 Carta delle anomalie di Bouguer

3.2.2 Carta delle anomalie residue

3.3 Interpretazione del modello

3.4 Conclusioni

Allegati

Bibliografia

Introduzione

L’area oggetto di questo studio si colloca in Italia centro-meridionale poco a

Nord dal confine abruzzese molisano; precisamente, in provincia di Chieti, a Sud-Est

del paese di Gissi (fig.I.1). Essa ricade nella parte Sud-occidentale del foglio

geologico in scala 1:100000 n°148 “Vasto” della cartografia geologica italiana. Il

territorio dell’area vastese è caratterizzato da morfologie collinari che degradano

procedendo verso la costa adriatica; le quote maggiori si registrano, nella area di

Gissi, dove non superano i 500 m.s.l.m., e nelle zone limitrofe a questo paese, dove

raggiungono valori che vanno dai 500 ai 650 metri sul livello del mare.

Fig. I.1 Localizzazione geografica dell’area.

La collina dove sorge l’abitato di Gissi è costituita principalmente da un

substrato gessoso sovrapposto ad una formazione argillosa, il che determina, una

morfologia dei versanti caratterizzata da ripide scarpate, in prossimità degli

affioramenti di gesso, e da pendenze minori presso gli affioramenti di argilla. Diffusa

è, anche, la presenza di frane sul territorio e la formazione di doline generate

dall’evoluzione di cavità ipogee (fig.I.2). La formazione di tali cavità è accentuata

dalle variazioni del livello di falda entro i gessi, confinati nella parte inferiore dalle

formazioni argillose.

L’obiettivo di questo lavoro è, infatti, quello di determinare l’eventuale

presenza e, in questo caso, l’eventuale profondità, di cavità carsiche all’interno delle

formazioni gessose in località Rosario a Sud-Est di Gissi mediante una prospezione

gravimetrica.

La prospezione gravimetrica permette di delineare l’andamento delle densità

delle litologie presenti nel sottosuolo, quindi, in questo caso, di individuare le aree

con densità basse, considerato che lo studio è volto alla ricerca di cavità.

Sono state eseguite 142 misure dell’accelerazione di gravità e, mediante

l’elaborazione di questi dati, sono state costruite le carte dell’anomalia di Bouguer e

dell’anomalia residua. L’analisi di tali carte ha permesso l’individuazione di zone,

caratterizzate da valori dell’ anomalia residua negativi, al di sotto delle quali

potrebbero trovarsi le cavità sepolte.

In una delle aree indiziate è stata tracciata una sezione verticale dell’anomalia

residua sulla quale si è basata, successivamente, l’analisi di un modello gravimetrico

teorico.

Le analisi, di carattere geofisico, sono state sempre affiancate da considerazioni

di carattere geologico e integrate con la costruzione di una sezione geologica.

Il risultato a cui si giunge, lavorando su tale modello, è quello di un confronto

fra due anomalie di gravità, quella osservata e quella calcolata, la cui corrispondenza

sarà prova della validità del modello stesso. Il presente lavoro sarà strutturato in tre

capitoli, di cui, il primo presenterà l’inquadramento geologico dell’area, nel secondo

saranno trattati i principi di carattere teorico su cui si basa la prospezione

gravimetrica, mentre il terzo capitolo è dedicato alla descrizione delle operazioni

eseguite in fase di lavoro e alla presentazione dei risultati ottenuti.

Fig. I.2 Ubicazione area di prospezione, i cerchi blu indicano la presenza di doline.

Capitolo 1

Inquadramento geologico

1.1 Evoluzione geodinamica

L’attuale configurazione dell’Appennino Centrale è strettamente legata

all’evoluzione geodinamica dell’area mediterranea; la sua strutturazione è il risultato

di diverse fasi deformative che si susseguono a partire dal Trias Superiore fino al

Neogene.

Durante il Triassico superiore l’area protoappenninica era caratterizzata da un

ambiente di mare basso il quale favoriva la sedimentazione di facies calcareo-

dolomitiche e di facies evaporitiche.

Allo stesso periodo sono attribuibili depositi pelagici del bacino lagonegrese-

molisano il quale è paleogeograficamente interposto a, quelle che saranno poi, la

“piattaforma apula” e “quella appenninica” (fig.1.1).

Fig. 1.1 Ricostruzione paleogeografica dell’Appennino meridionale. AGIP.

Tra il Retico e l’Hettangiano su un largo settore di questi paleoambienti ha

sviluppo un ambiente di piattaforma carbonatica caratterizzata dalla deposizione di

una spessa pila di sedimenti calcarei.

In questo periodo si registrano i primi stadi di apertura della Tetide e questo

determina un’importante fase distensiva legata all’ assottigliamento della crosta

continentale e alla formazione di faglie listriche normali disposte parallelamente al

margine continentale (fig.1.2).

Fig. 1.2 Faglie listriche dirette che interesano i sedimenti triassici e giurassici.

(da Centamore, Fumanti, Nisio The central-northern Appennines geological evolution, 2002)

Durante questa fase si osserva una sostanziale modifica dell’antica

paleogeografia con la conseguente formazione di differenti domini posti a differenti

profondità.

Una paleotopografia ad horst e graben può essere considerata una

semplificazione di questo nuovo scenario che condizionerà lo stile sedimentario nei

diversi ambienti.

I più importanti domini generatisi dalla tettonica distensiva in Appennino

centro settentrionale possono essere individuati nella piattaforma laziale-abruzzese e

nel bacino tosco-umbro-marchigiano, mentre, per linee molto generali, la

strutturazione in Appennino meridionale sembra essere, fin dal Giurassico, quella

riportata in figura1.

Alla fine del Cretaceo inferiore inizia la chiusura del bacino ligure-piemontese

(Tetide occidentale) che si conclude definitivamente nell’ Eocene medio con la fase

di collisione tra Africa ed Europa.

In seguito a questo evento ha inizio la tettogenesi appenninica caratterizzata

dalla progressiva migrazione verso Est del sistema catena-avanfossa-avanpaese.

L’Appennino è una catena a pieghe e sovrascorrimenti Africa vergente di

forma arcuata che si congiunge a Nord con le Alpi Meridionali ed a Sud con le

Magrebidi.

I thrust interessano le varie unità formatesi durante la fase di oceanizzazione

giurassico-cretacea e migrano nel tempo verso Est, interessando man mano

l’avanpaese adriatico. Il processo di flessurazione della litosfera apulo-adriatica crea

nuovi spazi per l’avanfossa e per la catena che, avanzando, incorpora lembi della

stessa avanfossa al suo interno.

I diversi stadi del processo orogenetico sono databili mediante l’età dei depositi

di avanfossa, i quali vanno dall’Oligocene superiore, per le zone interne, al

Pleistocene inferiore per quelle più esterne. Legata alla migrazione verso Est della

catena appenninica è l’apertura del Tirreno e la formazione di bacini quaternari nella

Toscana meridionale, cosicché dal Miocene inferiore al Pliocene inferiore sono attive

strutture distensive nelle zone interne e strutture compressive nelle zone esterne della

catena.

Fatta questa breve sintesi sull’ evoluzione della catena Appenninica, dal

Triassico al Pleistocene, si passa a considerare gli aspetti che in dettaglio riguardano

l‘area oggetto di questo lavoro, ovvero, la parte Sud-Orientale dell’Abruzzo al

confine con il Molise, nonché la porzione marginale della zona d’incontro tra le falde

alloctone molisane e l’Appennino carbonatico abruzzese.

1.2 Assetto strutturale

Il territorio dell’Appennino abruzzese è caratterizzato da una serie di unità

tettoniche separate da piani di sovrascorrimento, i quali assumono orientazioni

differenziali e indicano un trasporto tettonico che va, generalmente, da Ovest verso

Est e da Sud-Ovest verso Nord-Est.

La localizzazione di tali piani di thrust è condizionata dalle preesistenti faglie

dirette associate al rifting le quali, durante la fase di inversione tettonica, vengono

riattivate e utilizzate come rampe, sia frontali che laterali, dai sovrascorrimenti.

Da Ovest verso Est si individuano le principali unità strutturali dell’Appennino

centro-orientale costituite dall’ unità dei Monti Sibillini indicati nella figura1.3 con il

simbolo (1), unità del Gran Sasso (2), unità di Monte Morrone (3), della Laga (4),

Maiella (5) e Casoli-Bomba (7).

Fig. 1.3 Assetto strutturale dell’Appennino Centro-orientale.

(da Calamita,Scisciani,Montefalcone,Paltrinieri,Pizzi, L’ereditarietà del paleomargine dell’Adria nella geometria

del sistema orogenico centro-appenninico: l’area abruzzese esterna, 2002)

Procedendo verso la costa adriatica sono indicate anche la successione plio-

pleistocenica del bacino periadriatico e le unità alloctone molisane rispettivamente

con le sigle (S) e (6) in figura 1.3.

La tettonica estensionale giurassica determina la differenziazione in

paleoambienti, variamente strutturati al loro interno, di piattaforma di bacino e di

transizione. Questo si riflette nella fase di strutturazione della catena infatti le unità

sopraccitate sono costituite da successioni sedimentarie indicatrici di diversi ambienti

di formazione.

La successione carbonatica della piattaforma Laziale-Abruzzese caratterizza

l’unità Gran Sasso, mentre quella della piattaforma apula si ritrova nelle unità Maiella

Morrone e Casoli-Bomba.

La successione bacinale Umbro-Marchigiana e quella molisana interessano

rispettivamente l’unità dei monti Sibillini e quella dell’ alloctono molisano.

Questi elementi sono separati da sovrascorrimenti che assumono una geometria

a duplex e fuori sequenza, di cui, le unità Casoli-Bomba e Maiella, rappresentano le

scaglie tettoniche più esterne in parte sovrastate dalle unità alloctone molisane che

costituiscono il blocco di tetto del sovrascorrimento.

Il fronte di sovrascorrimento del Morrone accavalla invece la successione

giurassico-messiniana su depositi del Pliocene Inferiore.

Nell’ area sud-orientale della regione abruzzese si realizza il contatto tra le

unità appartenenti all’Appennino Centrale e quelle dell’Appennino Meridionale. La

giunzione avverrebbe lungo la linea Ortona-Roccamonfina, la quale viene

interpretata, in quest’area, come rampa laterale che ha favorito la sovrapposizione

delle falde molisane sulle unità carbonatiche abruzzesi.

In questo contesto bisogna considerare gli avvenimenti tettonici che riguardano

più in particolare la formazione della catena centro-meridionale. In linea di massima i

paleoambienti che caratterizzano quest’area sono rappresentati (fig.1.1), da Ovest

verso Est, dalla piattaforma appenninica (piattaforma laziale-campano-abruzzese), dal

bacino lagonegrese-molisano e dalla piattaforma apula. I settori appartenenti a questi

domini vengono coinvolti nella strutturazione della catena appenninica mediante una

deformazione per thrust. Le unità tettoniche Lepini-Ausoni-Aurunci e Simbruini-

Ernici appartengono al dominio, relativamente più esterno, della piattaforma

appenninica.

Queste dorsali calcaree entrano nel dominio di avanfossa nel Tortoniano

superiore, fase che interessa, invece, le unità molisane nel Messiniano inferiore (fig.

1.4).

Fig. 1.4 Appennino centro-meridionale nel Messiniano inferiore.

(da Scrocca e Tozzi Tettogenesi mio-pliocenica dell’Appennino molisano, 1999)

Un progressivo coinvolgimento del settore abruzzese nel bacino di avanfossa

avviene nel Miocene superiore; questa epoca è caratterizzata dalla “crisi di salinità

messiniana del Mediterraneo” testimoniata dalla deposizione di sedimenti evaporitici

correlabili a larga scala nel bacino mediterraneo.

Il Pliocene inferiore è segnato dall’ avanzamento dell’ alloctono molisano il

quale va ad occupare lo spazio creato dalla subsidenza flessurale dell’avanpaese

apulo influenzando la sedimentazione di avanfossa. Per tutto il Pliocene prosegue la

migrazione verso i quadranti orientali delle unità molisane fino al raggiungimento,

nel Pliocene medio, dell’area Casoli-Bomba; l’omonima unità tettonica si strutturerà

nel Pliocene superiore.

Fig. 1.5 Sezione geologica attraverso la struttura della Maiella e di Casoli e relativa ubicazione. Da (

Calamita, Esestime, Paltrinieri Confronto fra le strutture pliocenico-quaternarie dell’Appennino centrale (Maiella)

e della catena Apula sepolta nell’Appennino meridionale Setteporte-Monte Taburno, 2008)

L’interessamento del substrato calcareo apulo nella strutturazione della catena

appenninica è ben documentato nell’area della Maiella, questo si evince dalla sezione

geologica proposta in figura 1.5 dove i depositi di piattaforma vengono

contrassegnati con il numero uno (Trias Miocene), il numero due viene assegnato ai

depositi silicoclastici di avanfossa (Messiniano Pliocene inferiore), con il tre vengono

rappresentate le unità dell’alloctono molisano (Cretaceo Pliocene inferiore) mentre il

numero quattro rappresenta i depositi del bacino periadriatico (Pliocene Pleistocene).

Diversi autori hanno ricostruito la morfologia della catena “apula sepolta”, in

Appennino meridionale, mediante l’interpretazione di linee sismiche, correlazioni di

diversi log di pozzo e confronto con gli affioramenti in Appennino centrale, essa

risulta essere sepolta al di sotto delle unità più esterne (Liguridi), e a quelle

appartenenti ai domini interni della piattaforma appenninica e del bacino molisano-

lagonegrese.

A quanto detto vanno integrate alcune considerazioni riguardanti le prospezioni

gravimetriche a carattere regionale effettuate in Appennino centro-meridionale, cui si

farà cenno oltre.

L’ area di Gissi è caratterizzata dai lembi più esterni affioranti dell’alloctono

molisano, il cui livello di scollamento preferenziale è rappresentato dalle argille

varicolori datate Oligocene superiore-Aquitaniano.

In questa zona l’assetto strutturale delle varie unità è condizionato

dall’evoluzione fin qui descritta e dalla tettonizzazione subita dalle coltri alloctone

durante il trasporto. Partendo dalle zone più interne e procedendo verso la costa

vengono descritte le manifestazioni tettoniche di superficie che interessano l’area

compresa tra i lembi più esterni della coltre alloctona ed il bacino periadriatico

abruzzese-molisano.

Il settore più interno, collocato all’estremo Sud occidentale del foglio

geologico n°148 “Vasto”, è caratterizzato dal sovrascorrimento che mette in contatto

i depositi pliocenici con la successione oligo-miocenica molisana e da due sistemi di

faglie , uno ad andamento appenninico e l’altro ad andamento trasversale NE-SW.

Questo sistema di faglie sarebbe attribuito a fenomeni di retroscorrimento

differenziale che la coltre alloctona, a causa della sua plasticità, avrebbe subito

durante la traslazione.

Il grado di deformazione procedendo verso la costa si riduce ed è caratterizzato

dalla presenza di blande pieghe che presentano una direzione assiale circa

appenninica. Più ad Est, nella zona di Vasto, affiorano i depositi del bacino

periadriatico blandamente immergenti verso Est Nord-Est.

Nel Quaternario un generale sollevamento interessa la catena appenninica da

Ovest verso Est che, in quest’area, causa un leggero basculamento verso i quadranti

orientali accompagnato dalla formazione di faglie dirette che caratterizzano la parte

bassa delle valli dei fiumi Osento e Sinello.

1.3 Stratigrafia

L’area del foglio n° 148 “Vasto” è caratterizzata in larga parte da terreni plio-

pleistocenici deposti nel bacino di avanfossa periadriatico abruzzese-molisano. I

depositi di questo bacino sono stati suddivisi in tre sequenze deposizionali separate

da superfici di discordanza, legate ad eventi di carattere regionale connessi alla

strutturazione della catena.

Fig. 1.6 Sezione geologica della zona tra Vasto e la catena appenninica. (da Coli, Modugno, Marchese e

Montaini Discordanza intracalabriana nella zona di Vasto (CH), 2000).

L’età della prima discordanza è Pliocene inferiore mentre la seconda si

sviluppa fra il Pliocene inferiore e medio. L’unità appartenente alla sequenza

deposizionale, stratigraficamente più alta, costituisce il riempimento del bacino,

evento collegato alla messa in posto dell’alloctono molisano (fig. 1.6). Il contatto tra

le unità molisane e quelle di avanfossa plioceniche è sepolto da sedimenti di mare

sottile pleistocenici.

La strutturazione del bacino di avanfossa è legata alla flessurazione

dell’avanpaese apulo, il quale è caratterizzato da unità carbonatiche meso-

cenozoiche.

1.3.1 Stratigrafia di superficie

Nell’ area sud-occidentale del foglio Vasto affiorano i depositi appartenenti

alle unità molisane, esse si presentano intensamente tettonizzate e sono caratterizzate

dalla presenza, alla base, del livello di scollamento delle argille varicolori.

Quest’ultime sono datate Oligocene-Aquitaniano e sono prevalentemente

costituite da argille marnose di colore grigio-verdastro e rosso-violaceo (av);

inglobano al loro interno tipi litologici calcarei e calcareo marnosi di estensioni

limitate. Fanno seguito a questa unità risedimenti carbonatici e calcarenitici che

precedono lo sviluppo di una sedimentazione di avanfossa.

Sulla base delle associazioni microfaunistiche nel Miocene medio vengono

distinte due differenti facies, una a prevalente componente calcarea e l’altra a

prevalente componente marnosa, appartenenti alla stessa unità (M4-2

). La prima,

datata Serravalliano, è costituita dall’alternanza di calcareniti, calcari organogeni e

brecciole calcaree; la seconda facies, datata Tortoniano, è invece caratterizzata

dall’alternarsi di strati marnosi e marnosi siltosi, talvolta intervallati da strati arenacei

calcarenitici e argillosi. Le forme fossilifere caratterizzanti l’età dei due tipi litologici

sono Orbulina universa tipica del Serravalliano e Globorotalia menardii tipica del

Tortoniano. A questo complesso litologico è intercalata una facies (M3) rappresentata

da calcareniti, calcari bioclastici e brecce a cemento calcareo di aspetto massivo. Gli

elementi delle brecce contengono materiale rimaneggiato di età che va dal Cretaceo

fino al Miocene, tra cui Briozoi e Litotamni e resti di molluschi.

Ai fini di questo lavoro è di rilevante importanza l’unità litologica

caratterizzata da tre diversi membri, i quali, si possono suddividere in: calcari e

calcareniti brecciati ed evaporitici (Mc5), alternanze argilloso-sabbiose (Mas

5) e gessi

(g). Il membro dei calcari e delle calcareniti affiora nei dintorni di Gissi e alla

confluenza tra il fiume Treste e il fiume Trigno, esso è caratterizzato da orizzonti di

calcare biancastro, dalla presenza di potenti livelli di gesso e da calcari evaporitici.

Questa facies gessosa passa, nelle vicinanze di Gissi, lateralmente e verso l’alto ad un

deposito argilloso sabbioso rappresentato dal membro Mas5, il quale si presenta di

colore grigio-bruno o giallastro ed è caratterizzato, al suo interno, dalla presenza di

gesso cristallino. Questi depositi si possono generalmente riferire al Miocene

superiore e la loro importanza, ai fini di questo lavoro, è dovuta alla formazione di

cavità sotterranee generate dalla dissoluzione operata sui gessi, da parte della falda

acquifera.

Probabilmente di passaggio al Pliocene sono i depositi sabbioso-arenacei, ai

quali sono intercalati livelli di argilla, marne arenacee e limitatamente puddinghe;

essi si presentano poco cementati ed affiorano in piccoli lembi a Nord dell’abitato di

Furci e a Sud-Sudovest di Carpineto Sinello.

Le formazioni plioceniche, riferibili allo stadio iniziale del dominio di

avanfossa, sono caratterizzate da facies argillose e argilloso-marnose, mentre nei

depositi riferibili al Pliocene medio-superiore si registra una abbondanza della

frazione sabbioso arenacea. Le unità quaternarie caratterizzano la parte orientale del

foglio fino alla costa, dall’estremità superiore fino a quella inferiore. La successione

quaternaria alla base presenta facies argillose (Qca) e argilloso-sabbiose (Q

cas) di

colore grigio o grigio azzurro a tratti marnose, gradatamente passano per alternanze ai

soprastanti depositi sabbiosi i quali sono caratterizzati da sabbie gialle ed arenarie

(Qcb).

Chiudono la successione marina depositi conglomeratici costituiti alla base da

puddinghe, ben cementate, e da lenti sabbioso-argillose, l’aspetto cambia verso l’alto

a causa della diminuzione del grado di cementazione e la conseguente formazione di

ciottolame (Qccg).

Diversi ordini di terrazzi alluvionali si sono formati durante il Pleistocene

superiore all’ interno delle valli dei fiumi che attraversano il territorio.

1.3.2 Stratigrafia del sottosuolo

Le intense campagne per la ricerca di idrocarburi condotte lungo la fascia

adriatica hanno messo in luce la geologia e la stratigrafia del sottosuolo in quest’area.

Il substrato è costituito da una successione calcareo-dolomitica dal Lias fino al

Cretaceo superiore correlabile con le successioni carbonatiche pugliese ed abruzzese.

1.4 Aspetti geomorfologici

La morfologia del territorio vastese è diretta conseguenza della natura

litologica dei termini affioranti e delle vicende geologiche susseguitesi nel corso del

tempo.

Il rilievo presenta quote collinari nella zona Sud-occidentale raggiungendo, in

prossimità dei costoni rocciosi dove sorgono i paesi di Gissi e Furci, altitudini di 450-

550 m.s.l.m.

Lungo i settori orientali la topografia degrada verso la costa, la quale è caratterizzata

dalla presenza di una falesia costituita da depositi formatisi nel bacino periadriatico

Plio-pleistocenico. Su questo substrato si sono impostati i principali corsi d’acqua che

attraversano il territorio in direzione SW-NE.

Diffusi sono anche i fenomeni franosi che interessano, soprattutto, la falesia

prospiciente la costa e le zone collinari più interne dove l’energia del rilievo è

maggiore. I litotipi interessati da questi eventi sono perlopiù quelli argillosi sia

appartenenti alle alternanze delle unità flyschoidi Plio-pleistoceniche che quelli

costituenti il livello di scollamento delle unità molisane (argille varicolori).

Capitolo 2

Gravimetria

Il metodo gravimetrico è un metodo indiretto di indagine geofisica del

sottosuolo; si basa su misure dell’accelerazione di gravità e su alcune proprietà dei

corpi costituenti la crosta terrestre. Viene definito metodo “indiretto” perché le

misurazioni sono effettuate sulla superficie terrestre e la loro analisi permette di fare

considerazioni sul sottosuolo.

La proprietà, su cui si basa questo metodo è la densità, o, più precisamente, il

contrasto di densità tra il corpo, o la struttura da ricercare, e quelle circostanti. Le

variazioni di densità nel sottosuolo producono delle anomalie nel campo

gravitazionale terrestre, che vengono rilevate mediante la misurazione

dell’accelerazione di gravità effettuata con i gravimetri. Nel caso della figura 2.1 un

eccesso di massa produce un allungamento della molla dovuto alla maggiore forza

attrattiva che la massa in eccesso esercita sulla massa m, questo si traduce in aumento

della gravità misurata.

Fig. 2.1 Variazione di gravità dovuta ad un eccesso di massa.

La situazione opposta si verifica nel caso in cui si è in presenza di una struttura

caratterizzata da una densità minore rispetto alle rocce circostanti, facendo diminuire

di un certo fattore il valore dell’accelerazione di gravità (fig. 2.2).

Fig.2.2 Variazione negativa della gravità.

Nelle prospezioni gravimetriche le stazioni di misura vengono

opportunamente scelte secondo una maglia ad intervalli regolari e ad una distanza che

sarà in funzione dell’estensione e della profondità della struttura da rilevare. I valori

delle misure sono influenzati da vari fattori quali possono essere la latitudine, la

topografia, le maree terrestri, quindi per poter essere utilizzati e confrontati devono

subire delle correzioni.

Attraverso i risultati cosi ottenuti si ricostruisce l’andamento delle anomalie

gravimetriche che, integrate alle conoscenze geologiche dell’area, permettono di

sviluppare un modello rappresentativo del corpo che produce l’anomalia di gravità. I

paragrafi successivi saranno dedicati alla dissertazione dei princìpi su cui si basa

questo metodo e ad una più ampia descrizione delle strumentazioni e delle correzioni

da apportare alle misure.

2.1 Gravità

2.1.1 Legge di gravitazione universale

La legge di gravitazione universale, formulata da Isaac Newton nel XVII

secolo, descrive la forza di attrazione reciproca fra due corpi nell’Universo ed è

comunemente espressa come

F = G (m1*m2)/r2 (1)

dove G è la costante di gravitazione universale, m1 ed m2 sono le masse dei due corpi

ed r2 è il quadrato della loro distanza. La costante di gravitazione universale è un

coefficiente di proporzionalità misurato per la prima volta dal fisico Henry

Cavendish, nel 1798, e il valore che essa assume è di 6,67*10 -11

N*m 2

*kg -2

.

Newton ricorse ad una ipotesi semplificatrice nel formulare questa legge,

ovvero, che la forza gravitazionale esercitata da una massa, a simmetria sferica e di

dimensioni finite, su una particella esterna è equivalente, alla forza esercitata dalla

stessa sfera nel caso in cui tutta la sua massa fosse concentrata nel suo centro; da

questo ne deriva che per una massa posta sulla superficie terrestre la formula (1) può

essere riscritta come:

Fg = G (m*Mt)/Rt2 (2)

dove m è la massa della particella posta sulla superficie della Terra e Mt e Rt sono

rispettivamente massa e raggio terrestre.

2.1.2 Accelerazione di gravità

Le forze agenti su di un corpo di massa “m” posto in un generico punto “p”

sulla superficie terrestre sono la forza centrifuga e la forza di attrazione

gravitazionale. Quest’ultima è stata trattata nel precedente paragrafo ed è pari a Fg =

G (m*Mt)/Rt2 mentre la forza centrifuga è uguale a:

f = m*ω2*R*cos ψ

(3)

ω = 2π/T

“ω” è il valore della velocità angolare terrestre espressa dal rapporto tra 2π e T,

rispettivamente uguali, alla distanza angolare coperta, e al tempo impiegato dalla

Terra, nel compiere un giro completo intorno al suo asse di rotazione. Il valore di T è

calcolato prendendo come riferimento due passaggi di uno stesso punto sulla

superficie terrestre rispetto ad una stella fissa ed è pari a 86.164 secondi, di

conseguenza il valore della velocità angolare sarà uguale a 7,2921 * 10-5

rad./sec.

L’angolo “ψ” (fig.2.3), compreso tra il piano equatoriale dell’ellissoide e il raggio

vettore “Mp”, è detto latitudine geocentrica, quindi “R*cos ψ” non è altro che la

distanza di lunghezza “d” rappresentata in figura 2.3.

Fig. 2.3 Componenti del vettore gravità.

Trascurando gli effetti dovuti all’attrazione lunisolare, il valore

dell’accelerazione di gravità, in un generico punto “p” sulla superficie terrestre

(fig.2.3), è dato dalla risultante tra la forza di gravità, diretta verso il centro della

Terra, e la forza centrifuga f diretta perpendicolarmente all’asse di rotazione terrestre

verso l’esterno.

F = G (m*Mt)/Rt2 - m*ω

2*R*cos ψ

(4)

Considerato che la gravità ha le dimensioni di un’accelerazione F può essere riscritta

come m*g e, facendo le dovute semplificazioni, si ottiene il valore di g, che sarà

uguale a:

g = G* Mt/Rt2 - ω

2*R*cos Φ

(5)

dove Φ rappresenta la latitudine geografica, ovvero, l’angolo tra la normale

all’ellissoide nel punto p ed il piano equatoriale dell’ellissoide stesso. Il valore medio

di g è circa 9,8 m/s2 e le sue massime variazioni si registrano ai poli e all’equatore

dove la gravità assume, rispettivamente, i valori massimo e minimo. Le principali

cause che determinano tale variabilità sono, la diminuzione dell’intensità della forza

centrifuga progressiva dall’equatore verso i poli, e la maggiore vicinanza al centro

della Terra di quest’ultimi. L’unità di misura della gravità è il “Gal” (1 Gal = 1cm/s2),

anche se molto spesso vengono usati i suoi sottomultipli milliGal (mGal) e microGal

(μGal) corrispondenti rispettivamente a 10-3

Gal e a 10-6

Gal.

Attraverso le misure di gravità e l’utilizzo della formula (5) è stata stimata la densità

media della Terra, la quale è pari a 5,52 gr/cm3, considerando che, la densità media

delle rocce costituenti la crosta terrestre è pari a 2,67 gr./cm3, si deve quindi

verificare un aumento delle densità procedendo verso l’interno della Terra.

2.1.3 Geoide ed “ellissoide di riferimento”

La determinazione della forma della Terra e la misura dei suoi parametri

dimensionali sono stati oggetto di studio fin dall’antichità, basti pensare alla storica

misurazione della circonferenza terrestre ad opera di Eratostene intorno al 250 a.C..

Le osservazioni effettuate dal filosofo greco lo portarono a considerare che la

distanza angolare fra le città di Alessandria d’Egitto e Siene (attuale Assuan) fosse

prossima alla cinquantesima parte dell’angolo giro, di conseguenza, anche la distanza

lineare doveva essere la cinquantesima parte dell’intera circonferenza terrestre. Il

valore da egli calcolato è risultato essere non molto distante dai circa 40000km

misurati dal diametro equatoriale, e il fatto stesso che in due diversi punti

d’osservazione, nel medesimo istante, i raggi solari avessero angoli di incidenza

diversi era la prova che la Terra avesse una forma sferica.

Fig. 2.4 Geoide ed ellissoide

Utilizzando mezzi diversi da quelli che aveva a disposizione Eratostene,

le diverse campagne di Geodesia effettuate per determinare la forma terrestre hanno

portato alla conclusione che la Terra avesse una forma sferica, schiacciata ai poli e

rigonfia all’equatore. Più precisamente, la forma che meglio approssima la superficie

terrestre è il geoide, una superficie equipotenziale della gravità che, a partire dal

livello del mare è prolungata al di sotto dei continenti fino a formare una superficie

chiusa (fig. 2.4). Le oscillazioni del livello del mare vengono misurate con appositi

strumenti detti mareografi e a queste misure vengono apportate delle correzioni, per

un dato periodo di tempo, in modo da determinare un livello medio della superficie

marina che sarà presa, poi, come riferimento.

Fig. 2.5 Ondulazione del Geoide.

Le cause perturbatrici del livello marino possono essere periodiche e non

periodiche, tra le prime si considerano le maree, dovute all’attrazione lunisolare,

mentre fanno parte della seconda categoria le perturbazioni legate a fattori

ambientali, come il ritiro o l’avanzata dei ghiacciai, e la variabilità delle condizioni

atmosferiche.

La superficie del geoide è definita equipotenziale perché ogni suo punto è

ortogonale alla verticale, ovvero, alla direzione della forza di gravità. Nonostante sia

una buona approssimazione della superficie terrestre, il geoide, non può essere

descritto agevolmente con una equazione matematica, quindi, in seconda

approssimazione, si definisce una superficie detta ellissoide di riferimento o sferoide.

Le superfici del geoide e dello sferoide coinciderebbero nel caso in cui, non ci fossero

variazioni di densità all’interno della Terra e se la forma stessa della Terra,

dipendesse esclusivamente dalla forza gravitazionale e rotazionale. In questa ipotesi

la gravità muterebbe in maniera graduale dall’equatore ai poli; siccome questo non

avviene, la superficie del geoide discosta da quella dell’ellissoide in prossimità delle

variazioni di topografia, fig.2.4, dove si innalza in corrispondenza dei rilievi

montuosi e si abbassa in prossimità delle depressioni, e in quelle aree dove si

registrano variazioni di densità all’interno della superficie terrestre (fig. 2.5).

Fig. 2.6 Ellissoide di rotazione e relativi parametri.

L’ellissoide di riferimento è uno sferoide oblato generato dalla rotazione di un

ellisse intorno (fig. 2.6) al suo asse minore descrivibile mediante una equazione

matematica:

r = Re(1- α sin2 Φ)

(6)

r è uguale alla distanza geocentrica ovvero la lunghezza del vettore che unisce un

generico punto (p) sulla superficie terrestre e il centro della Terra, Re è la lunghezza

del raggio equatoriale, mentre Φ rappresenta la latitudine geografica, α è un

parametro che indica lo schiacciamento polare, o ellitticità, ed è dato dal rapporto,

α = (Re - Rp)/ Rp (7)

dove Rp è la lunghezza del semiasse minore o raggio polare. Diversi sono stati gli

ellissoidi proposti dagli studiosi, ognuno con diversi valori di α e del raggio

equatoriale, quello utilizzato dall’ Istituto Geografico Militare italiano, per la

costruzione delle carte topografiche in scala 1:100000, è l’ellissoide di Bessel che

presenta valori di ellitticità pari a 1/299,2 e un raggio equatoriale di 6377397 metri.

2.2 Metodo gravimetrico

2.2.1 Misure gravimetriche

La formula (5), ottenuta alla fine del paragrafo 2.1.2, esprime il valore della

gravità in funzione della latitudine ammettendo una Terra di forma sferica; in effetti,

come si è visto in precedenza la superficie che meglio approssima quella terrestre è il

geoide, il quale, da un punto di vista matematico, può essere rappresentato da un

ellissoide oblato. La formula utilizzata per calcolare la “gravità normale”, ovvero

riferita alla superficie dell’ellissoide, è la seguente:

γ0 = γe (1+ β sen2 Φ + β’ sen

2 2Φ)

(8)

β = 0.0053024

β’= -0.0000058

γe= 978,0327 Gal

Φ= valore della latitudine al punto di misura

Il valore di γe è quello della gravità all’equatore mentre il parametro β è un

fattore di correzione. La gravità, cosi calcolata, varia da punto a punto, come

mostrato in figura 2.7, in funzione della latitudine, questa variazione è dovuta alla

diminuzione della forza centrifuga e all’aumento della forza di gravità, verso i poli.

Altri fattori che causano una variazione spaziale dell’accelerazione di gravità

sono la quota topografica, la quale fa aumentare o diminuire la distanza tra la stazione

di misura e il centro della Terra, la presenza di rilievi topografici o di avvallamenti e

la variazione laterale della densità delle rocce.

Fig. 2.7 Variazione della gravità teorica al livello del mare in funzione della latitudine.

Alle sopraelencate possibili cause di variazione spaziale della gravità, si

sommano variazioni temporali di gravità che possono essere sia periodiche che non

periodiche.

L’effetto dovuto all’attrazione lunisolare si manifesta con cadenza periodica,

questo può essere calcolato per un preciso punto della superficie terrestre e per un

preciso periodo di tempo, di modo che, quando si opera in quella determinata area, si

conosce l’entità della correzione da apportare alle misure effettuate. Da un punto di

vista quantitativo le variazioni di gravità dovute all’attrazione solare sono dell’ordine

0.16452 mGal, mentre per quanto riguarda la luna il valore massimo è di 0.07576

mGal, siccome la precisione dei gravimetri attuali arriva ad un millesimo di milliGal,

si comprende che l’effetto massimo dovuto all’attrazione lunisolare è di gran lunga

maggiore. Diverse sono le cause che, invece, si possono manifestare in un breve lasso

di tempo e causare una variazione della gravità. Tra queste si possono considerare i

fenomeni vulcanici, che causano una redistribuzione delle masse interne alla

superficie terrestre, i processi geodinamici e sismotettonici, la variazione del livello

della falda freatica, i fenomeni carsici o le attività antropiche come lo sfruttamento di

risorse minerarie (emungimento di idrocarburi, energia geotermica), o la coltivazione

di cave. Le correzioni da apportare alle variazioni di gravità, dovute a cause spaziali,

saranno oggetto di discussione del prossimo paragrafo.

2.2.2 Riduzione delle misure gravimetriche

Le misure di gravità vengono riferite alla superficie del geoide, affinché questo

sia possibile è necessario apportare delle correzioni, le quali rendono confrontabili le

misure effettuate da luogo a luogo. Le correzioni che si vanno a considerare tengono

conto della quota topografica della stazione di misura, delle masse interposte tra

questa e la superficie del geoide e dell’effetto delle masse circostanti al punto di

misura.

- riduzione in aria libera

Le misure di gravità si correggono per un fattore detto di aria libera perché si

considera la lontananza dal baricentro terrestre quando si opera a quote che sono

diverse dal livello del mare.

Fig. 2.8 Correzione in aria libera.

L’entità di tale correzione è data dalla seguente formula dove δgf è espresso in

milliGal,

δgf = 0,3086*(1 + 0,00071 cos 2 Φ)*h

h è l’altezza in metri e Φ è la latitudine geografica del punto di misura funzione della

distanza dall’asse di rotazione. Il valore calcolato va sommato alla gravità osservata

nel caso in cui h assume un valore positivo, mentre si sottrae, nel caso in cui h è

negativo.

- correzione di Bouguer

La correzione di Bouguer viene effettuata per eliminare il contributo attrattivo

dovuto alle masse interposte tra il punto di misura in superficie e il corrispondente sul

geoide. Si considera una piastra di dimensioni indefinite e di spessore h, alla quale si

associa un certo valore di densità congruente con la situazione geologica della zona di

rilevamento (fig.2.9).

Fig. 2.9 Correzione di Bouguer.

La correzione di Bouguer è espressa da:

δgb = 2 π ρ G h

considerando che π e G sono due costanti la formula si riduce a:

δgb = 0,042 * ρ *h

Quando h è espresso in metri δgb viene espresso in milliGal, le uniche due variabili

per questa espressione sono, quindi, la densità e la quota di misura, questo contributo

presenta il segno opposto a quello della correzione in aria libera, ovvero viene

sottratta quando h è positivo e aggiunta nel caso in cui h è negativo. Un piccolo

accorgimento è da prendere quando si effettuano misure in mare, ovvero bisogna

considerare la densità dell’ acqua, di questo si tiene conto sostituendo a ρ la

differenza tra (ρr - ρw), le quali sono rispettivamente la densità delle rocce e

dell’acqua marina, ed h assume il valore della profondità dell’acqua in metri.

- correzione topografica

Effettuando la correzione di Bouguer, le depressioni sono state idealmente

riempite di materia e non si è tenuto conto delle masse sporgenti rispetto alla piastra,

questo implica, l’utilizzo di un ulteriore fattore di correzione detto “correzione

topografica”.

Mediante questa correzione si elimina il contributo attrattivo dovuto alle masse

topograficamente rilevate, indicate con A in figura 2.10, e quello delle masse fittizie

in B, introdotte con la correzione di Bouguer, il valore di tale correzione risulta essere

sempre positivo.

Fig. 2.10 Correzione topografica.

Da un punto di vista teorico la correzione topografica viene applicata mediante

l’utilizzo della seguente formula:

Ct(mGal) = G (R2-R1 +(R12+h

2) -(R2

2+h

2)

questo calcolo dovrebbe essere effettuato per ogni stazione di misura,

risultando, da un punto di vista pratico, poco agile. Per rendere più speditivo il

calcolo di tale correzione sono state ideate delle apposite tavole, costituite da diverse

corone circolari di raggi crescenti, che delimitano il terreno circostante, all’area di

misura, in varie zone, che a loro volta vengono divise in vari compartimenti. I

parametri espressi nella formula della correzione topografica sono G, la quale

rappresenta la costante di gravitazione universale, la densità delle rocce espressa

in g/cm3, angolo in radianti tra due compartimenti, R2 ed R1 rispettivamente, il

raggio esterno ed interno di un compartimento e infine h la quale è la differenza tra

la quota della stazione di misura e quella media del compartimento.(fig.2.11)

Fig. 2.11 Compartimento di una tavola utilizzata per la correzione topografica.

Una volta fissato il centro della tavola sul punto di misura, riportato su carta

topografica, si procede con il calcolo della differenza di quota e, dalle indagini

geologiche, si stima il valore della densità da inserire nella formula. La descrizione

delle operazioni pratiche, fatta sopra, dovrebbe risultare utile per quanto riguarda la

comprensione delle operazioni che oggigiorno eseguono in modo automatico i

computer.

Apportando le correzioni finora descritte si calcola il valore della gravità

ridotta alla superficie del geoide, la quale, adesso, può essere confrontata con altre

misure di gravità.

2.2.3 Anomalia di Bouguer

L’anomalia di Bouguer è data dalla differenza tra la gravità osservata, misurata

in un determinato punto, e la gravità normale, funzione della latitudine e calcolata

con la formula “γ0 = γe (1+ +β sen2

Φ + β’ sen2 2Φ)”, a cui sono state apportate le

correzioni descritte nel precedente paragrafo. Il valore di tale anomalia può essere

nullo, negativo o positivo e questo dipende dalla distribuzione delle masse in

prossimità della stazione di misura. Nel caso in cui la distribuzione delle masse è

omogenea il risultato di tale differenza sarà nullo, mentre sarà positivo se si verifica

un eccesso di massa rispetto all’ipotesi teorica e infine un valore negativo

dell’anomalia si traduce in un difetto di massa.

I concetti di eccesso e difetto di massa sono una semplificazione che sta ad

indicare una variazione di densità “ρ” dei corpi nel sottosuolo e sinonimo,

rispettivamente, di un aumento e di una diminuzione di densità.

Fig.2.12 Profilo di anomalia gravimetrica (da Norinelli,modificato).

Per meglio descrivere il significato delle anomalie di Bouguer basti considerare

l’andamento del profilo in figura 2.11, si può notare di come assuma valori positivi

man mano che ci si avvicina al corpo sepolto. Questo è dovuto ad una maggiore

densità ρ del corpo sepolto, rispetto alla densità ρ’ dei corpi circostanti. (ρ > ρ’ ). Nel

caso opposto basta considerare una cavità sepolta, al posto del corpo di densità ρ, la

quale avrà una densità minore rispetto ai terreni circostanti che produrrà un’anomalia

negativa (ρ < ρ’).

Quando una prospezione gravimetrica interessa un certo areale si può costruire

la carta delle anomalie di Bouguer unendo i punti che presentano lo stesso valore di

anomalia con delle linee che prendono il nome di isoanomale.

Fig. 2.12 Carta delle anomalie di Bouguer.

2.2.4 Interpretazione delle anomalie di Bouguer e anomalie residue

La determinazione dei parametri, ovvero densità, forma e profondità della

struttura che produce l’anomalia, passa attraverso l’interpretazione delle anomalie di

Bouguer. In prima battuta si può considerare la forma dell’anomalia, la quale, per una

struttura profonda risulta essere relativamente più estesa e poco accentuata, mentre, al

contrario, per strutture poco profonde il profilo dell’ anomalia risulta essere poco

esteso ed accentuato. Le prime possono essere considerate come anomalie prodotte

da strutture che rivestono un’importanza regionale, mentre le seconde, dipendono da

situazioni strutturali a carattere locale.

Fig. 2.13 Costruzione del campo regionale e relative anomalie residue.

Per identificare una struttura di piccole dimensioni si passa alla determinazione

delle anomalie residue, il cui calcolo viene effettuato mediante due metodi, il primo

detto del “lisciamento” e il secondo detto metodo di Griffin.

Il primo metodo consiste nell’identificazione dei punti di intersezione tra le

anomalie di Bouguer e quelle regionali. Il campo regionale viene costruito mediante

la prosecuzione della parte indisturbata delle anomalie di Bouguer (fig. 2.13), e, per

determinare il valore dell’anomalia residua, si opera la differenza tra il valore

dell’anomalia di Bouguer e quello del campo regionale nel punto di intersezione.

Anche in questo caso i punti di eguale anomalia possono essere uniti dalle

isoanomale

Il secondo metodo è quello di Griffin, che prevede la costruzione di una

circonferenza, il cui raggio sarà determinato dall’operatore in base alle diverse

situazioni, e che si sovrappone alla carta delle isoanomale di Bouguer;

Fig. 2.14 Metodo di Griffin.

si segnano sulla circonferenza otto punti equidistanti e si calcola l’anomalia

regionale, al centro del cerchio, facendo la media tra i valori dell’anomalia di

Bouguer misurata sugli otto punti. L’anomalia residua in questo caso si ottiene dalla

differenza tra l’anomalia di Bouguer letta in corrispondenza del centro del cerchio e

quella regionale calcolata dalla media tra i valori sulla circonferenza. Ripetendo

questa operazione in più punti si possono tracciare le isoanomale residue.

Il risultato ottenuto, con uno dei due metodi sopra descritti, può essere

integrato, confrontando il profilo di anomalia ottenuto con profili teorici generati da

forme geometriche note. I profili teorici si basano sul fatto che, determinate forme,

producono una geometria dell’anomalia caratteristica.

Il passo finale da compiere, dopo aver fatto le considerazioni fin qui descritte, è

quello di determinare la geometria, la densità e a quale profondità è situata la struttura

che genera tale anomalia.

Fig. 2.15 Ambiguità dei modelli gravimetrici.

I risultati ottenuti si integrano, ovviamente, con uno studio di carattere

geologico dell’area d’interesse e, non di rado, vengono comparati i dati di

prospezioni eseguite con diversi metodi geofisici, come ad esempio, la sismica. Il

confronto tra i dati ottenuti con diverse tipologie di prospezione facilita

l’interpretazione e quindi permette di determinare la reale forma della struttura.

Queste ultime precisazioni sono state fatte perché bisogna considerare l’ambiguità dei

modelli gravimetrici, ovvero il fatto che, strutture diverse possono generare profili di

anomalia simili, quindi bisogna valutare con attenzione la situazione che si presenta

volta per volta. In figura 2.15 è mostrato il profilo di anomalia generato da corpi

lentiforme, il quale è simile a quello prodotto da una sfera di raggio 600m posta a

maggiore profondità e con una densità di 1gr./cm3.

2.2.5 Strumenti di misura

Gli strumenti che vengono utilizzati per determinare le misure di gravità sono

principalmente tre, e sono: il pendolo, la misura della velocità della caduta libera di

un grave e il dinamometro.

Le misure pendolari si basano sulla determinazione del periodo di oscillazione

del pendolo secondo la relazione:

T = π√( l / g)

Il periodo di oscillazione del pendolo T varia al variare dell’accelerazione di

gravità ed essendo, la lunghezza del pendolo l e π costanti, si determina il valore

dell’accelerazione di gravità g mediante il calcolo del periodo di oscillazione.

Fig. 2.16 Pendolo gravimetrico (da Norinelli, modificato).

Per le misure di gravità assolute si utilizza il metodo della caduta libera dei

gravi, che teoricamente consiste nella misurazione del tempo che impiega un grave,

sottoposto all’accelerazione di gravità, a percorrere verticalmente una certa distanza

d. Utilizzando la formula

d = v0t + ½ gt2

e conoscendo la posizione del corpo in tre diversi istanti di tempo si determina

il valore di g. Le tre posizioni saranno: s0, la posizione al tempo zero, s1 ed s2 saranno

rispettivamente le posizioni al tempo 1 e al tempo 2. Effettuando le dovute

sostituzioni si riscrive la formula citata sopra:

g = 2(s2* t1 - s1* t2)/ t1t2 (t2 - t1).

Sulla base di questo principio si effettuano le misure con i gravimetri assoluti, i

quali, sono apparecchiature molto sofisticate, dotate di raggi laser per le misurazioni

del moto del grave che consentono di ridurre l’errore di misura all’ordine del

milliGal.

Le misure effettuate con l’utilizzo del pendolo si basano sulla misurazione di

un tempo, mentre quelle fatte con i gravimetri su misure di lunghezza. I gravimetri

possono essere statici (lineari) o astatici (figg.2.17-2.18), i primi sono caratterizzati

da movimenti lungo una sola direzione della massa, al contrario in quelli astatici ha

luogo una rotazione.

Il gravimetro statico è un dinamometro costituito da un molla e da un massa

attaccata ad essa; la massa sarà soggetta alla forza peso mg la quale, quando eguaglia

la forza della molla, può essere espressa in termini di: mg – ks = 0

dove k è la costante elastica della molla e s la sua lunghezza. Questa

condizione di equilibrio è raffigurata in figura 2.17a, dove la forza peso è bilanciata

dalla reazione elastica della molla, nel caso invece rappresentato in b, si addiziona un

certo valore di g che determina

un allungamento della molla pari ad un certa quantità δs. Ammettiamo che la figura

“a” si riferisca alla misurazione di gravità in un determinato punto A e che la figura

“b” sia la corrispondente in un punto B, si mette in evidenza, cosi, una differenza di

gravità δg tra questi due punti e che il valore di g in B è maggiore rispetto ad a.

L’entità di δg è facilmente ricavabile dall’espressione mg – ks = 0, se si considera

che δs è misurabile, e k ed m restano costanti.

Fig. 2.17 Gravimetro statico. Fig. 2.18 Gravimetro astatico.

A differenza del gravimetro lineare, il gravimetro astatico è costituito da un

braccio al quale è collegata una massa; il sistema braccio-massa è fissato, mediante

un perno che ne permette la rotazione, ad un montante fisso (fig.2.18) ed è sorretto da

due molle, una collegata al supporto fisso, e l’altra ad una vite di controllo, che

permette, a sua volta, di riportare in posizione orizzontale il braccio. Effettuando

misure in due punti diversi, con questo tipo di gravimetri, si ricava la differenza di

gravità mediante la lettura dell’angolo formato tra il piano orizzontale e il braccio. Si

effettua la misura in un determinato punto A, il braccio formerà un certo angolo con

il piano orizzontale, riportando il braccio, mediante la vite di controllo, in posizione

orizzontale si legge il valore dell’angolo. Successivamente si risistema il gravimetro

in un altro punto che definiamo B e si eseguono le stesse operazioni seguite al punto

A, si ricava cosi la differenza tra i due angoli che sarà proporzionale alla differenza di

gravità fra i due punti.

- astatizzazione

Un gravimetro astatizzato è quello raffigurato in figura 2.19, la massa posta al

di sopra del fulcro crea una situazione di instabilità, pertanto piccoli spostamenti,

vengono amplificati e questo si traduce in sensibilità elevate delle misure.

Fig.2.19 Gravimetro Thyssen

- deriva strumentale di un gravimetro

La variabilità nel tempo dell’accelerazione di gravità dipende sostanzialmente

dall’attrazione lunisolare, tale variazione giornaliera è detta marea gravimetrica.

Escludendo questo effetto i valori di gravità in uno stesso punto dovrebbero essere

costanti per un lungo periodo di tempo, ma questo non accade. Per chiarire meglio,

ripetute misure effettuate in uno stesso punto non presentano lo stesso valore, ma si

ha uno spostamento nel tempo della posizione zero dello strumento. A questo

disturbo è dato il nome di anomalia gravimetrica, le cui cause, possono essere

diverse, come variazioni di temperatura, di pressione o l’invecchiamento dello

strumento stesso. La deriva è un effetto ineliminabile, possono essere presi, però,

alcuni accorgimenti; ad esempio per compensare l’effetto delle variazioni di

temperatura vengono costruiti gravimetri che lavorano a temperatura costante. Quello

che invece può fare l’operatore è ripetere la misura in uno stesso punto (stazione

base) più volte in un determinato periodo di tempo, ad esempio un giorno, e calcolare

la deriva.

Fig. 2.20 Deriva strumentale di un gravimetro.

Capitolo 3

Prospezione ed analisi gravimetrica

3.1 Premessa

Come già accennato nell’introduzione e, come mostrato dalla figura I.2., l’area

di Gissi è caratterizzata da una veloce evoluzione della morfologia dovuta alla

formazione di cavità carsiche prodotto della rapida dissoluzione delle formazioni

gessose. Testimonianza epigea di questo processo è la formazione di doline, mentre il

carsismo ipogeo si manifesta con la formazione di cavità soprattutto nella formazione

messiniana dei gessi.

Lo scopo della prospezione effettuata in quest’area è quello di individuare zone

di anomalia gravimetrica negativa, le quali possono essere probabile sede di cavità.

D’altro canto si da importanza anche alle zone che presentano un massimo relativo,

questo perché, nel caso in cui vi sia presenza di strutture antropiche, sono le aree in

cui tali strutture possono essere ancorate. Quanto detto necessità, in ogni caso, di uno

studio geologico di dettaglio.

3.2 Acquisizione ed elaborazione dei dati

Per l’esecuzione del rilievo è stata utilizzata la tavoletta “Gissi - elemento

371152” della Carta Tecnica Regionale (CTR) in scala 1:5000 della regione Abruzzo.

Uno stralcio della tavoletta è riportato in figura 3.1, dove sono state evidenziate

le stazioni di misura contrassegnate da un numero progressivo identificativo.

Ogni stazione è contraddistinta, oltre che dal numero progressivo, anche dalle

coordinate geografiche e dalla quota topografica, e, per ognuna di esse, è stata

misurata la gravità, il valore della correzione topografica e l’anomalia di Bouguer. I

dati vengono riportati di seguito. La longitudine espressa in gradi, primi, secondi è

calcolata a partire dal datum Roma 1940 (meridiano di Monte Mario), la latitudine è

anch’essa espressa in gradi, primi e secondi a partire dall’equatore; le coordinate Utm

vengono riferite, invece, al datum europeo Postdam 1950, mediante questo sistema si

suddivide la superficie terrestre in zone rappresentate da fusi e fasce, la zona

rappresentativa dell’area oggetto di questo lavoro è la 33T. Per quel che riguarda le

coordinate Gauss-Boaga è preso ancora come riferimento il meridiano di Monte

Mario, e l’Italia viene divisa in due fusi, fuso Ovest e fuso Est, i quali misurano

un’ampiezza di circa 6°, e, rispettivamente, una distanza dal meridiano di Greenwich

di 9 e 15 gradi, in tale sistema di riferimento l’area d’interesse ricade nel fuso Est.

La localizzazione della stazione di misura è espressa sia dalle coordinate

geografiche che da quelle chilometriche Utm, a tal proposito è stata eseguita la

conversione dalle coordinate chilometriche Utm a

Fig. 3.1 Stralcio CTR “Abruzzo” e ubicazione stazioni di misura.

quelle Gauss-Boaga, affinché, in fase di sviluppo della cartografia, si

adoperasse il medesimo sistema di riferimento presente sulla Ctr.

Oltre alla consultazione del formato cartaceo, è stata utilizzata la carta tecnica

regionale in formato digitale, sulla quale, si è operata la georeferenziazione e la

calibrazione al sistema Gauss-Boaga mediante l’utilizzo del programma Didger 3.04.

Dall’elaborazione dei dati si è proceduto a costruire la carta delle anomalie di

Bouguer, la carta del campo regionale e quella delle anomalie residue.

Tabella 3.1 Stazioni di misura e corrispondenti valori.

3.2.1 Carta delle anomalie di Bouguer

La carta delle anomalie di Bouguer, riportata in allegato 3, è stata costruita

utilizzando il programma di contouring Surfer 8.02, mediante l’utilizzo della

funzione kriging che permette la costruzione della carta delle isoanomale a partire dai

dati calcolati per le stazioni di misura.

Il valore dell’anomalia di Bouguer per ogni punto è dato dalla differenza tra la

gravità osservata, a cui è stata apportata la correzione topografica, e la gravità

normale, funzione della latitudine, corretta per il fattore di aria libera e quello di

Bouguer.

Nella costruzione della carta delle anomalie di Bouguer si sono volute

evidenziare le zone di minimo relativo raffigurate con il colore blu, le quali

procedono man mano verso zone di massimo relativo rappresentate in rosso. I valori

massimi dell’anomalia di Bouguer si attestano intorno a -6,89 mGal e caratterizzano

la parte centrale dell’area di prospezione, mentre nelle zone di minimo si registrano

valori -7,09 mGal., e si riscontrano nella parte meridionale dell’area di interesse.

Tra le considerazioni che si possono fare, dall’interpretazione delle

isoanomale, c’è sicuramente quella per cui, la massa che provoca l’anomalia

negativa, non deve essere né molto profonda né troppo estesa.

Questo perché l’anomalia si estingue nel giro di pochi metri, nel caso contrario

una struttura profonda e più ampia avrebbe generato un’anomalia più estesa.

3.2.2 Carta delle Anomalie Residue

Le anomalie di Bouguer rappresentano la somma delle anomalie locali e di

quelle regionali, per costruire la mappa delle anomalie residue è stato sottratto al

valore delle anomalie di Bouguer quello del campo regionale. L’andamento delle

anomalie residue è legato a variazioni locali delle densità nel sottosuolo, data

l’assenza, di depositi recenti, si possono escludere variazioni generate da tali litologie

caratterizzati da una relativa minore densità, quindi, la causa delle anomalie negative,

è da ricercarsi all’interno della formazione messiniana costituita da litotipi gessosi

(allegato 1), che occupa almeno i primi 50 m del sottosuolo.

La carta del campo regionale è stata costruita con Surfer 8.02 mediante la

funzione polynomial (F(X,Y)=a+bX+cY) ed è riportata in figura 3.2, se si osserva il

trend delle anomalie negative ci si accorge che, questi valori, subiscono un aumento

procedendo verso la zona Nord-orientale dell’area di prospezione.

In allegato 4 è riportata la carta delle anomalie residue che, rispetto alla carta

delle anomalie di Bouguer, presenta un maggior numero di zone caratterizzate da

anomalia negativa.

Fig. 3.2 Campo regionale.

Osservando la carta delle anomalie residue, ci si accorge che, ancora una volta,

sono i quadranti più meridionali ad essere interessati da valori negativi relativamente

maggiori di anomalia, proprio come rappresentato anche dalle isoanomale di

Bouguer.

Siccome sembra essere questa la porzione, caratterizzata maggiormente da

valori negativi dell’anomalia, si è scelto di effettuare una sezione delle anomalie

residue in questo punto cosi da verificare in seguito, mediante la descrizione di un

modello, se è sede di cavità.

La sezione delle anomalie residue è stata effettuata utilizzando due programmi,

Surfer 8.02 e Grapher 7.0, e la sua traccia (A-A’) è stata riportata in allegato 4, sulla

mappa delle anomalie residue.

La traccia della sezione misura circa 44 metri ed assume una orientazione

Nord-Ovest Sud-Est, i massimi valori di anomalia si registrano nella parte centrale

con picchi che raggiungono quasi – 0,06 mGal, mentre, nelle parti più esterne, 0,01

mGal verso Ovest e 0,04 mGal verso Est (fig. 3.3).

Fig. 3.3 Sezione anomalia residua (A-A’).

Dall’andamento del profilo d’anomalia si ipotizza che in corrispondenza del

picco di minimo, dovrebbe essere situata la cavità nel sottosuolo, ed, effettuando

un’analisi quantitativa, si procede con il calcolo della profondità a cui potrebbe essere

situata.

Si assume che la cavità possa essere rappresentata da una massa sferica, quindi,

utilizzando delle formule derivate da curve di anomalia prodotte da corpi di

geometria nota, si calcola la profondità e il raggio della sfera che genera l’anomalia.

Tenendo come riferimento la sezione in figura 3.3, si legge il valore

dell’ascissa in corrispondenza di C, il quale ha come ordinata la metà dell’anomalia

massima, a questo valore dell’ascissa va sottratto il valore di ascissa in B, di modo

che, si possa conoscere la lunghezza del segmento C-D (X1/2) che sarà presa come

riferimento per il calcolo della profondità, queste operazioni sono state ripetute anche

per il valore di anomalia positiva.

E’ necessario, adesso, assegnare un valore di densità congruo con la situazione

geologica dell’area, o meglio, un valore δρ di differenza di densità tra la struttura da

ricercare e i litotipi circostanti, per effettuare il calcolo del raggio della sfera.

La formula utilizzata per il calcolo della profondità della sfera è la seguente:

Z = 1,305 * X1/2 (m)

dove z è la profondità a cui è ubicata la cavità e X1/2 è il valore dell’ascissa, espresso

in metri, tra il punto di picco massimo dell’anomalia e il punto che ha come ordinata

la mezza ampiezza dell’anomalia massima. Mentre per calcolare le dimensioni del

raggio si utilizza la formula:

RAGGIO^3 = (Δgmax * z2)/(0.028 * δρ)

dove Δgmax è il valore massimo dell’anomalia espresso in mGal, z è stato

calcolato prima ed è la profondità in metri del centro della sfera, infine δρ è la

variazione di densità assegnata al corpo. Nel paragrafo seguente saranno esplicitati i

calcoli eseguiti per validare il modello presentato.

3.3 Interpretazione del modello

Al fine di effettuare una valutazione quantitativa delle anomalie residue è stato

costruito un modello rappresentativo delle strutture che caratterizzano il sottosuolo

nell’area di prospezione.

L’ipotesi su cui si basa tale modello è caratterizzata dalla presenza di cavità

carsiche, assimilate ad una sfera, entro la formazione evaporitica messiniana.

Questa ipotesi si sposa bene anche con le caratteristiche geologiche dell’area,

dove, una litologia costituita prevalentemente da gessi è sovrascorsa ad un membro

argilloso di età pliocenica, essendo quindi, confinata nella parte basale da una

formazione impermeabile, si comporta da aquiclude, e, di conseguenza la presenza di

acqua favorisce i fenomeni di dissoluzione.

Le cavità ipotizzate sono due, si è proceduto al calcolo della loro profondità e

del relativo raggio con le formule descritte nel paragrafo precedente. I calcoli

effettuati sono riportati nella tabella di seguito:

Tabella 3.2 Calcolo profondità e raggio cavità.

cavità X 1/2 (m) Z = 1,305 * X1/2 (m) RAGGIO^3 = (Δg max * z^2)/(0.028 * δρ) Raggio (m)

1 11,5 15 200 5,8

2 3 4 7,14 2

In questo caso la differenza di densità utilizzata è stata pari a -2,4 g/cm3, e,

partendo dall’ampiezza dell’anomalia nel profilo dell’anomalia residua, si è stimata

una profondità di 15 metri per il centro della cavità indicata con 1, mentre per la

seconda si è stimata una profondità di 4 metri. Successivamente si è passato al

calcolo del raggio delle cavità, valutati intorno ai 6 metri per la cavità 1 e intorno ai 2

per la cavità n°2.

Il modello si basa sul profilo dell’anomalia residua, come descritto nel

precedente paragrafo, rappresentato in figura 3.3 ed è stato costruito servendosi dei

dati presenti in tabella 3.3.

Utilizzando l’applicazione Grav/Mag il profilo costruito con i dati reali viene

confrontato con uno calcolato in base alle strutture che si inseriscono nel programma.

Tabella 3.3 Progressive del profilo e valori di anomalia residua.

Il programma di cui si è appena fatto cenno consente di inserire dei “body” e di

assegnare a tali corpi dimensioni e valori di densità opportuni e di porli alla

profondità che si desidera, fatto ciò, esso calcola la curva dell’anomalia gravimetrica

che tali corpi generano.

Nel caso specifico si è proceduto in precedenza ad effettuare il calcolo della

profondità e del raggio delle cavità, in più si è stabilito di voler utilizzare una

differenza di densità pari a -2,4 g/cm3, densità caratteristica dei gessi.

In figura 3.4 è rappresentato il risultato di quanto detto finora, il profilo

contrassegnato dalle stellette è il profilo calcolato, ovvero quello che si riferisce ai

corpi inseriti nel programma o meglio alle cavità ipotizzate, mentre quello

rappresentato dai triangoli è il profilo delle anomalie osservato. La validità del

modello gravimetrico è rappresentata dalla sovrapposizione dei due profili, maggiore

è la sovrapposizione e migliore è l’approssimazione.

In questo caso il risultato è abbastanza soddisfacente, in quanto si è tenuto

conto anche delle situazioni strutturali e meccaniche, ovvero, facendo delle prove in

fase di realizzazione del modello, si è osservato che la stessa curva di anomalia era

generata da una cavità estesa lungo tutto il profilo, ma il tetto di tale cavità, era posto

ad una profondità di 1 massimo 2 metri, e questo non può reggere da un punto di

vista meccanico.

Un'altra prova che si è voluto fare è stata quella di considerare una differente

densità ipotizzando che le cavità fossero riempite d’acqua.

La differenza di densità che si è assunta per la cavità n°1 è pari a

-1,4 g/cm3, quindi è stata considerata totalmente riempita d’acqua, mentre, per la

cavità 2, si è scelto un valore di – 1,9 g/cm3, che indica un parziale riempimento di

acqua.

Fig. 3.4 Modello gravimetrico 1.

Fig. 3.5 Modello gravimetrico 2.

Come sopra sono stati effettuati il calcolo della profondità e del raggio della

sfera:

Cavità X 1/2 (m) Z = 1,305 * X1/2 (m)

RAGGIO^3 = (Δg max * z^2)/(0.028 * δρ)

Raggio (m)

1 11,5 15 344 7 interamente piena d'acqua-1,4

2 3 4 7,14 2 parzialmente piena d'acqua -1,9

Tabella 3.4 Calcolo profondità e raggio cavità.

è rappresentato in figura 3.5 il profilo generato da tali valori, in questa

differente situazione.

Anche in questo caso la correlazione fra i due profili è abbastanza

soddisfacente a differenza, però, del primo modello è diminuita la distanza delle

cavità dal piano campagna ed il raggio calcolato per la cavità 1 misura un valore

maggiore. In conclusione si può ipotizzare che sia una situazione intermedia a

determinare tali cavità nel sottosuolo, ovvero, tale processo viene favorito dalla

variazione del livello di falda entro la formazione dei gessi.

3.4 Conclusioni

La prospezione gravimetrica effettuata nei pressi di Gissi ha permesso di

individuare zone di minimo gravimetrico, le quali, sono state rappresentate sulla carta

delle anomalie di Bouguer e su quella delle anomalie residue.

Tali valori minimi caratterizzano, maggiormente, la parte meridionale dell’area

di prospezione, ed è per questo, che si è deciso di costruire una sezione delle

anomalie lungo un profilo che percorre quest’area.

Dall’analisi della sezione e della carta delle anomalie, sono stati ipotizzati due

modelli gravimetrici, congruenti, con l’assetto stratigrafico e strutturale dei litotipi

affioranti in zona.

Il parametro che è stato variato, nella esecuzione del lavoro, è stato quello della

differenza di densità, ovvero, nel primo caso, le cavità sono state considerate vuote;

mentre, nel secondo caso, si è ipotizzato un riempimento totale, da parte dell’acqua,

per la cavità posta a maggiore profondità, e, un riempimento parziale, per quella

posta ad una profondità minore.

La genesi di quest’ultime è legata alla solubilizzazione operata dai fluidi che,

data l’intensa fratturazione delle formazioni messiniane, circolano all’interno dei

litotipi gessosi.

L’evoluzione delle forme carsiche all’interno dei gessi è più rapida rispetto ai

carbonati ed, in quest’area, è favorita dalla situazione strutturale che mette a contatto

rocce evaporitiche messiniane con membri argillosi di formazioni plioceniche.

Fig.3.6 Zone a rischio sinkhole.

Infine è stata costruita una carta in cui sono state evidenziate le zone a rischio

sinkhole nell’area di prospezione (fig. 3.6); comparando la carta, con i risultati

ottenuti dai modelli, risulta evidente che l’anomalia posta nella parte più meridionale

dell’area di prospezione è generata dalla cavità contrassegnata con il numero 1 nel

modello. La cavità in questione misura un diametro di circa 15 metri, il che, può

rappresentare un pericolo per le costruzioni presenti in quest’area in caso di crollo.

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