PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013

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PROVINCIA DI VIBO VALENTIA - ASSESSORATO Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare. PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013 1 PROVINCIA DI VIBO VALENTIA Gruppo di lavoro Università Mediterranea di Reggio Calabria, Facoltà di Agraria: Luca Mattioli: Supervisione, Coordinamento generale, Pianificazione faunistico venatoria Vincenzo Palmeri: Coordinamento tecnico-scientifico, (Dip. GESAF) Roberto Saija: Disposizioni generali (Dip. STAFA) Giuseppe Bombino: Caratterizzazione territoriale, clima (Dip. STAFA) Angelo Scuderi: Avifauna (Dip. GESAF) Luca Racinaro: Mammalofauna (Dip. STAFA) Francesco Scarfò: Chirotteri (Dip. GESAF) Orlando Campolo, Giuseppe Algeri e Luigi Laudari:, Aree protette, Cartografia, Pianificazione faunistico-venatoria (Dip. GESAF – Dip. STAFA) PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013

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PROVINCIA

DI VIBO VALENTIA

Gruppo di lavoro Università Mediterranea di Reggio Calabria, Facoltà di Agraria:

Luca Mattioli: Supervisione, Coordinamento generale, Pianificazione faunistico venatoria

Vincenzo Palmeri: Coordinamento tecnico-scientifico, (Dip. GESAF)

Roberto Saija: Disposizioni generali (Dip. STAFA)

Giuseppe Bombino: Caratterizzazione territoriale, clima (Dip. STAFA)

Angelo Scuderi: Avifauna (Dip. GESAF)

Luca Racinaro: Mammalofauna (Dip. STAFA)

Francesco Scarfò: Chirotteri (Dip. GESAF)

Orlando Campolo, Giuseppe Algeri e Luigi Laudari:, Aree protette, Cartografia, Pianificazione faunistico-venatoria (Dip. GESAF – Dip. STAFA)

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Gruppo di lavoro Provincia di Vibo Valentia:

Vibo Valentia – Dicembre 2009

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SOMMARIO

SOMMARIO 3

PREMESSA 10

1. DISPOSIZIONI GENERALI 12

1.1. QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO 12

1.1.1. INTRODUZIONE 12

1.1.2. STRUMENTI DI TUTELA DELLA FAUNA SELVATICA. 12

1.1.3. PROCEDURA DI PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-VENATORIA. 13

1.1.3.1. Il ruolo della Provincia. 13

1.1.3.2. Il ruolo della Regione. 14

1.2. INDICAZIONI PER LA PREDISPOSIZIONE DELLO STUDIO D‟INCIDENZA 16

1.3. INDICAZIONI SULLA VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA (VAS) 19

2. QUADRO CONOSCITIVO 22

2.1.ASSETTO TERRITORIALE 22

2.1.1.CARATTERIZZAZIONE TERRITORIALE 22

2.1.1.1. Geomorfologia 29

2.1.1.2. Clima 36

2.2. LA COMPONENTE VEGETALE 40

2.2.1. FLORA 40

2.2.1.1. Fonti di documentazione 40

2.2.1.2. Consistenza del patrimonio floristico della Provincia di Vibo Valentia 40

2.2.1.3. Specie di particolare interesse geobotanico 41

2.2.1.3.1. Specie endemiche 41

2.2.1.3.2. Specie al limite d‟areale 42

2.2.1.3.3. Specie a rischio di estinzione 42

2.2.1.4. Specie contenute in particolari elenchi 46

2.2.1.4.1. Specie degli allegati alla direttiva CEE 92/43 46

2.2.1.4.2. Specie degli allegati CITES 47

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2.2.1.5. Specie esotiche 48

2.2.2. VEGETAZIONE 48

2.2.2.1. Concetti e definizioni 48

2.2.2.2. Fonti di documentazione 49

2.2.2.3. Sintesi sulle conoscenze sulla Vegetazione 50

2.2.2.3.1. Fascia Temperata 50

2.2.2.3.2. Fascia supramediterranea 51

2.2.2.3.3. Fascia mesomediterranea 51

2.2.2.3.4. Fascia termomediterranea 52

2.2.2.3.5. Vegetazione dei litorali 53

2.2.2.4. Vegetazione potenziale 53

2.2.2.4.1. Serie della quercia castagnara e dell‟olivastro (Oleo-Querceto virgilianae sigmetum) 54

2.2.2.4.2. Serie della quercia castagnara e dell‟erica (Erico-Querceto virgilianae sigmetum) 54

2.2.2.4.3. Serie del leccio con camedrio siciliano (Teucrio siculi-Querceto ilicis sigmetum) 55

2.2.2.4.4. Serie della quercia congesta (Erico arboreae-Querceto congestae sigmetum) 55

2.2.2.4.5. Serie del farnetto con citiso (Cytiso-Querceto frainetto sigmetum) 55

2.2.2.4.6. Serie del faggio con agrifoglio (Anemono apenninae-Fageto sigmetum) 56

2.2.2.4.7. Serie della sughera (Helleboro-Querceto suberis sigmetum) 56

2.2.2.4.8. Geosigmeto costiero della vegetazione psammofila dei sistemi dunari recenti (Cakiletea,

Ammophiletea, Helichryso-Crucianelletea, Quercetea ilicis) 56

2.2.2.4.9. Geosigmeto ripariale e dei fondovalle alluvionali della regione mediterranea (Salicion albae,

Populion albae, Alno-Ulmion) 57

2.2.3. HABITAT 59

2.2.3.1. Habitat di interesse comunitario della direttiva CEE 92/43 prioritari 59

2.3. AREE PROTETTE ISTITUITE AI SENSI DELLA LEGGE N. 394/91 66

2.3.1 PARCO NATURALE DELLE SERRE 68

2.3.1.1. Habitat sensibili e vulnerabili 68

2.4. SITI RETE NATURA 2000 72

2.4.1 ZONE DI PROTEZIONE SPECIALE 72

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2.5. ISTITUTI FAUNISTICI ISTITUITI AI SENSI DELLA LEGGE N. 157/92 E DELLA L.R. 17 MAGGIO 1996, N.9 ED ALTRE SUPERFICI IN DIVIETO DI CACCIA: DISTRIBUZIONE, CARATTERISTICHE E PROBLEMATICHE 75

2.5.1. ZONE DI PROTEZIONE LUNGO LE ROTTE DI MIGRAZIONE (ZPM) 75

2.5.2. CENTRI PUBBLICI DI PRODUZIONE DI SELVAGGINA (CPS) 75

2.5.3 FORESTE DEMANIALI E AREE RIMBOSCHITE 75

2.5.4. ALTRI ISTITUTI FAUNISTICI DI PROTEZIONE DELLA FAUNA 76

2.6. MIGLIORAMENTI AMBIENTALI REALIZZATI 76

2.7 RIPOPOLAMENTI EFFETTUATI DAGLI A.T.C. VIBO VALENTIA 1 E VIBO VALENTIA 2 76

2.8. CENTRI DI RECUPERO PER LA FAUNA SELVATICA AUTORIZZATI; 81

CENTRO RECUPERO ANIMALI SELVATICI 82

2.9. ASSETTO FAUNISTICO: IL QUADRO REGIONALE 84

2.9.1 QUADRO CONOSCITIVO DELLE SPECIE PRESENTI IN AMBITO PROVINCIALE 89

2.9.1.1. Avifauna 89

2.9.1.2 Famiglie e Specie dell‟allegato I della direttiva 79/409/CEE presenti o segnalate nel territorio della Provincia di Vibo Valentia 90

2.9.1.3. Famiglie e specie cacciabili inserite in calendario nella stagione venatoria 2008/09 96

2.9.1.3.1.Acquatici 96

2.9.1.3.2. Fasianidi 102

2.9.1.3.3. Columbiformi 108

2.9.1.3.4. Passeriformi 110

2.9.1.4. Mammalofauna 113

2.10. ASSETTO SOCIALE 139

2.10.1. NUMERO DI CACCIATORI RESIDENTI 139

2.10.2. ETÀ DEI CACCIATORI 139

2.10.3. PROFILO SOCIALE DEI CACCIATORI 139

2.10.4. OPZIONI TERRITORIALI DI CACCIA 140

2.10.5. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI NON RESIDENTI, SUDDIVISI PER A.T.C. 140

2.10.6. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI RESIDENTI, PRATICANTI LA CACCIA AL CINGHIALE

SUDDIVISI PER A.T.C. 140

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2.9.7. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI NON RESIDENTI, PROVENIENTI DA STATI COMUNITARI O

ESTERI. 144

2.11. RISULTATI E CONSISIDERAZIONI SULLE STRATEGIE GESTIONALI PREVISTE DAL PRECEDENTE PFV 144

3. PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-VENATORIA 145

3.1. OBIETTIVI GENERALI DI PIANIFICAZIONE (DR.MATTIOLI) 145

3.2. DEFINIZIONE DELLA SUPERFICIE AGRO-SILVO-PASTORALE 147

3.2.1. ANALISI AMBIENTALE DEL TERRITORIO PROVINCIALE PER LA DEFINIZIONE DELLA SUPERFICIE

AGRO-SILVO-PASTORALE 147

3.2.2. USO DEL SUOLO 150

TAVOLA 1 – CARTA DELL’USO DEL SUOLO 153

3.2.3.DETERMINAZIONE E DESTINAZIONE DELLE SUPERFICI AGRO-SILVO-PASTORALI 154

TAVOLA 2 – CARTA DEL TERRITORIO AGRO-SILVO PASTORALE 158

3.3.INDIVIDUAZIONE DEI COMPRENSORI OMOGENEI 158

TAVOLA 3 – CARTA DEI COMPRENSORI OMOGENEI (ATC) 160

3.4. DETERMINAZIONE DEGLI INDICI DI DENSITÀ VENATORIA 160

3.4.1. DENSITÀ VENATORIA REALE 160

3.4.2. PROGRAMMAZIONE DEGLI INDICI DI DENSITÀ VENATORIA 162

3.5. CARTA DELLE IDONEITÀ AMBIENTALI (CAMPOLO, MATTIOLI) 163

3.5.1. LEPRE 163

3.5.2. CINGHIALE 170

3.5.3. CAPRIOLO 173

3.5.4. STARNA 176

3.5.5. COTURNICE 179

3.5.6. FAGIANO COMUNE 182

3.6. LA FAUNA SELVATICA: DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI E PIANIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ GESTIONALI 186

3.6.1. OBIETTIVI E MODALITÀ DI GESTIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE DI INTERESSE VENATORIO

DELL’AVIFAUNA 186

3.6.1.1. Coturnice e Starna 186

3.6.1.2. Fagiano 188

3.6.1.3. Quaglia 189

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3.6.1.4. Acquatici 189

3.6.2. OBIETTIVI E MODALITÀ DI GESTIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE DI INTERESSE VENATORIO DELLA

MAMMALOFAUNA (MATTIOLI) 190

3.6.2.1. Cinghiale 190

3.6.2.2. Lepre europea e Lepre italica. 191

3.6.2.3. Volpe 192

3.6.2.4.Cervidi e bovidi 193

3.6.2.5. Lupo e Gatto selvatico 194

3.7. GLI ISTITUTI DI PROTEZIONE E GESTIONE: VOCAZIONE FAUNISTICA E PIANIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ GESTIONALI 196

3.7.1. AMBITI TERRITORIALI DI CACCIA 196

3.7.2. RAGGIUNGIMENTO DEL REQUISITO MINIMO DEL 20 % DI SUPERFICIE DESTINATA A PROTEZIONE

DELLA FAUNA 196

3.7.2. AREE PROTETTE REGIONALI : PARCO REGIONALE DELLE SERRE (O. CAMPOLO, L.MATTIOLI) 197

3.7.3. SITI RETE NATURA 2000 (SIC, ZPS, SIN, SIR) (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI) 198

3.7.4. OASI DI PROTEZIONE (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI) 199

3.7.5. ZONE DI PROTEZIONE LUNGO LE ROTTE DI MIGRAZIONE (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI) 200

3.7.6. ZONE DI RIPOPOLAMENTO E CATTURA (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI) 203

3.7.7.CENTRI PUBBLICI E PRIVATI DI RIPRODUZIONE DELLA FAUNA 210

3.7.8. AZIENDE FAUNISTICO-VENATORIE E AGRITURISTICO VENATORIE (O. CAMPOLO, L.MATTIOLI) 211

3.7.8.1. Aziende Faunistico Venatorie (AFV) 211

3.7.8.2. Aziende Agrituristico Venatorie (ATV) 212

3.7.9. ZONE ADDESTRAMENTO CANI E GARE CINOFILE (CAMPOLO - VELLONE) 212

3.8. IDENTIFICAZIONE DELLE ZONE IN CUI SONO COLLOCABILI GLI APPOSTAMENTI FISSI 212

3.9. DANNI DA FAUNA SELVATICA, PREVENZIONE, ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CRITERI PER L‟EROGAZIONE DEI RISARCIMENTI (CAMPOLO O., MATTIOLI L.) 213

3.9.1.PREMESSA 213

3.9.2. CRITERI PER LA DETERMINAZIONE DEL RISARCIMENTO DEI PROPRIETARI DEI FONDI RUSTICI PER I

DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA 213

3.9.2.1. Procedure per il risarcimento dei danni causati da fauna selvatica: principi generali 213

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3.9.2.1.1.Segnalazione dei danni 213

3.9.2.1.2.Accertamento dei danni 214

3.9.2.1.3. Operazioni di stima 215

3.9.2.1.4. Danni non ammessi a risarcimento 216

3.9.2.1.5. Tipologia dei danni risarcibili e modalità di valutazione 217

3.9.2.2. Modalità di liquidazione 219

3.9.2.2.1. Definizione delle quantità dei prodotti agricoli da risarcire 219

3.9.2.2.2. Calcolo degli importi di liquidazione 219

3.9.2.2.3. Liquidazione degli importi 219

3.9.2.2.4. Detrazione per costi tecnici 219

3.9.2.2.5. Riduzione percentuale per mancata prevenzione 219

3.9.2.3. Tecniche di prevenzione dei danni causabili dalla fauna 220

3.9.2.3.1. Specie selvatiche e danni alle produzioni agricolo-forestali 220

3.9.2.3.2. Interventi di prevenzione 222

3.9.2.3.3. Modalità di accesso ai fondi per le attività di prevenzione dei danni da fauna selvatica 223

3.10. CRITERI PER LA CORRESPONSIONE DEGLI INCENTIVI IN FAVORE DEI PROPRIETARI E CONDUTTORI DEI FONDI RUSTICI 224

3.10.1.PREMESSA: GLI INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO AMBIENTALE 224

3.10.2. DIRETTIVE TECNICHE PER LA REALIZZAZIONE DEGLI INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO AMBIENTALE 224

3.10.2.1. Interventi finalizzati al miglioramento degli habitat 224

3.10.2.1.1. - Colture a perdere – Mis. 1) 224

3.10.2.1.2. - Recupero a fini faunistici di terreni incolti - Mis. 2) 227

3.10.2.1.3. - Impianto di siepi - Mis. 3) 227

3.10.2.1.4. - Impianto o recupero di essenze arboree - Mis. 4) 228

3.10.2.1.5. -Iinterventi finalizzati alla tutela dei nidi e dei nuovi nati di fauna selvatica - Mis. 6) 229

3.10.2.1.6. -Realizzazione di strutture di ambientamento della fauna selvatica 230

3.11. BANCHE DATI FAUNISTICHE (MATTIOLI L.) 231

3.12. PIANO DI IMMISSIONE FAUNA SELVATICA 233

3.12.1. OBIETTIVI DELLE IMMISSIONI 233

3.12.2. CRITERI DELLE OPERAZIONI DI IMMISSIONE 234

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3.12.2.1. Lepre 234

3.12.2.3. Fagiano 235

3.12.2.4. Reintroduzioni 235

BIBLIOGRAFIA 236

ALLEGATO 1 244

ALLEGATO 2 248

ALLEGATO 3 287

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PREMESSA

L‟ambiente forestale, il patrimonio faunistico e le caratteristiche agro-silvo-forestali rientrano tra le peculiarità principali che caratterizzano la Provincia di Vibo Valentia.

La loro tutela è alla base del categorico impegno che le Istituzioni, ma più che altro la collettività deve perseguire prioritariamente.

L‟esigenza di porre in essere un regolamento a tutela dell‟habitat diviene uno degli obbiettivi prioritari che garantiscono, parallelamente, la riproduzione delle specie e il mantenimento delle condizioni favorevoli che consentiranno la loro sopravvivenza nel lungo periodo.

L‟emanazione della Legge Regionale n° 9/96 in recepimento ed osservanza delle direttive Comunitarie in materia di tutela dell‟ambiente e della fauna selvatica, fa propri indirizzi specifici e strumenti tecnici di pianificazione faunistico-venatoria che si affiancano alle politiche intraprese dall‟U.E. E‟ noto infatti che la Comunità su questa problematica attraverso costanti modifiche e integrazioni nel tempo, ha mostrato particolare interesse.

Gli strumenti da adottare devono rispondere alle caratteristiche e alle necessità del territorio. E‟ attraverso tale strumento di programmazione istituzionale, infatti, che le Provincie dovranno adottare gli indirizzi per governarne e gestire rispettosamente l‟habitat nella sua accezione più ampia.

Il Piano Faunistico-Venatorio è uno strumento di programmazione settoriale, programmatico, e in tal senso non può che raccordarsi con gli alttri strumenti provinciali in atto; cioò diviene di particolare importanza laddove la tematica interessa azioni che condizionino la gestione faunistica influenzandola in maniera determinante.

In ordine a tale presupposto, il Piano Faunistico-Venatorio della Provincia di Vibo Valentia per le annualità 2009-2013 è il risultato sia dell‟elevato contributo scientifico offerto dalla Facoltà di Agraria, Dipartimento di GEstione dei Sistemi Agrari e Forestali -GESAF-, sia del contributo tecnico dei differenti settori dell‟Ente Provinciale che per le differenziate competenze su ambiente, urbanistica, vigilanza e controlli, ha fornito l‟indispensabile supporto alla stesura dello stesso. Pleonastico ma necessario è sottolineare la professionalità espressa dall‟intero Assessorato “Agricoltura; Caccia e Pesca; Politiche della Montagna; Agriturismo; Zootecnica e Zooprofilassi; Flora, Fauna e Forestazione; Produzione agroalimentare” tramite i propri funzionari esperti in materia.

Aapprezzabili apporti sono stati profusi anche dagli ATC, e dalle Associazioni venatorie.

La mutevole attività antropica e le indispensabili trasformazioni endogene dell‟habitat s.l. impone che tale strumento possieda una proiezione limitata nel tempo; su tale principio il Piano Faunistico venatorio è la restituzione di tutti i dati validi sino ad oggi posseduti. Una coerente pianificazione delle attività coinvolte e la reale ricaduta di

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queste sul territorio, per certi versi determineranno il “successo” del piano stesso; ciò dipenderà irrinunciabilmente e prima di ogni altra cosa dal monitoraggio delle azioni pianificate. Nel quinquennio previsto sarà intento prioritario di questa Provincia rendere operativo lo strumento programmatico predisposto, per affermare quanto oggi previsto in vista di un esito favorevole e stabile nel lungo periodo.

Questo documento, che riproduce solo una sintesi dell‟impegno profuso negli ultimi mesi dall‟intero gruppo di lavoro e che ha visto sinergicamente coinvolti numerosi funzionari ed esperti, vuole configurarsi come uno strumento di programmazione volto alla tutela e all‟implementazione della fauna, basato su una migliore padronanza scientifica degli aspetti legati al patrimonio faunistico-venatorio. Questo patrimonio rappresenta, infatti, la reale e originale risorsa di questo peculiare territorio italiano che per la sua collocazione nel Mediterraneo, è divenuto il corridoio naturale di rotte di specie migratorie e habitat di importanti specie autoctone, per la preservazione, la custodia e il rispetto delle quali abbiamo l‟obligo di mettere in atto tutti gli strumenti di cui disponiamo.

Il Dirigente del Settore ……………………………………….

Dott. ……………………………………………………………………

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1. DISPOSIZIONI GENERALI

1.1. QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

1.1.1. INTRODUZIONE

La materia è regolata, a livello nazionale, dalla nota legge 11 febbraio 1992, n. 157, contenente “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e successive modifiche e integrazioni. Si tratta di una legge-quadro che recepisce alcune importanti direttive comunitarie, e precisamente la dir. 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, nonché la dir. 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici. Non va trascurato, inoltre che la legge citata costituisce attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812, e della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503.

La legge quadro del 1992, come risulta dall‟art. 1, comma 3, ha affidato alle Regioni a Statuto ordinario (come la Calabria), il compito di emanare norme relative alla gestione e tutela di tutte le specie della fauna selvatica.

Scopo principale della legge 157/1992 - che abroga espressamente la normativa precedente (legge 27 dicembre 1977, n. 968) garantendo una maggior tutela della conservazione della fauna selvatica rispetto alla protezione degli interessi venatori - è quello di contemperare tre diversi interessi e precisamente la tutela e la conservazione della fauna selvatica, la protezione degli interessi legati all‟attività venatoria, nonché la difesa degli interessi legati alla produzione agricola.

1.1.2. STRUMENTI DI TUTELA DELLA FAUNA SELVATICA.

Per realizzare le finalità della legge, essa si preoccupa di prevedere una serie di strumenti tra cui fondamentale è la cosiddetta pianificazione faunistico-venatoria, cui la legge sottopone tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale. La disciplina di questo strumento è contenuta nell‟art. 10, ove si dice che il territorio di ogni regione è ripartito in tre tipologie di aree e precisamente:

Zone destinate a protezione: il 20/30 % del territorio di ogni Regione è destinato alla protezione della fauna selvatica (ad eccezione delle aree ricadenti nelle Alpi regolate in maniera autonoma). Il territorio di protezione comprende le cd. oasi di protezione destinate al rifugio, riproduzione e sosta della fauna selvatica, le cd. zone di

ripopolamento e cattura destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l‟immissione nel territorio in tempi e condizioni utili all‟ambientazione fino alla ricostituzione e stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio, le zone di protezione lungo le rotte di migrazione istituite ai sensi della Dir. CEE 79/409 concernente la conservazione degli uccelli selvatici, le foreste demaniali ad eccezione di quelle che le regioni, su parere dell‟INFS (oggi

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ISPRA), hanno indicato come non idonee alla conservazione della fauna selvatica, le aree di rispetto intorno ai valichi montani eventualmente individuati dalla Regione, ed infine i cd. centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale per la ricostituzione delle popolazioni autoctone. A questi istituti faunistici previsti dalla Legge 157/1992 si vanno ad aggiungere le Aree protette propriamente dette, ovvero Parchi Nazionali, Parchi Regionali, Riserve naturali istituite in attuazione della Legge quadro sulle aree protette, L. 394/1992.

Zone destinate alla gestione in forma privata della caccia: il territorio agro-silvo-pastorale regionale può essere destinato (al massimo fino al 15%) a caccia riservata a gestione privata organizzata in aziende faunistico-venatorie, in cui la caccia viene consentita nelle giornate previste dal calendario venatorio secondo i piani di assestamento e abbattimento e in cui non è consentito immettere o liberare fauna selvatica dopo il 31 di agosto; aziende agri-turistico venatorie, ove sono consentiti l‟immissione e l‟abbattimento per tutta la stagione venatoria di fauna selvatica di allevamento; centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, in cui è vietato l‟esercizio dell‟attività venatoria ed è consentito il prelievo di animali allevati appartenenti a specie cacciabili da parte del titolare dell‟impresa agricola, dipendenti della stessa e persona specificamente indicate.

Zone destinate alla gestione programmata della caccia: sulla parte restante del territorio agro-silvo-pastorale le Regioni possono promuovere forme di gestione programmata della caccia osservando sempre le finalità sopra specificate e meglio indicate nell‟art. 1 della legge quadro n. 157/1992.

1.1.3. PROCEDURA DI PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-VENATORIA.

1.1.3.1. IL RUOLO DELLA PROVINCIA.

L‟Amministrazione provinciale ha il compito di predisporre, per la pianificazione generale del territorio agro-silvo-pastorale, il piano faunistico venatorio. Esso va articolato per comprensori omogenei. Esso deve contenere la ripartizione del territorio in zone a vocazione diversa e precisamente: oasi di protezione, zone di ripopolamento e cattura, centri pubblici di riproduzione, centri privati di riproduzione, zone e periodi per l‟addestramento, allenamento e gare di cani, zone destinate agli appostamenti fissi.

Il piano deve prevedere i criteri per il risarcimento del danno a favore di proprietari ed affittuari singoli o associati di fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole ed alle opere approntate sui fondi vincolati, nonché i criteri per corrispondere gli incentivi a favore dei proprietari o affittuari (singoli o associati) di fondi rustici che si impegnino alla tutela e risparmio di habitat naturali ed all‟incremento della fauna selvatica.

Tutte le zone individuate dal piano devono essere indicate, a sensi del comma 9° dell‟art. 10, da tabelle perimetrali, esenti da tasse, secondo le disposizioni impartite dalle regioni, apposte a cura dell'ente, associazione o privato che sia preposto o

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incaricato della gestione della singola zona. La delibera che determina il perimetro delle zone da vincolare, ad esclusione delle zone di protezione lungo le rotte di migrazione, delle foreste demaniali e dei valichi montani, va notificata ai proprietari e affittuari dei fondi rustici e pubblicata mediante affissione all‟Albo Pretorio dei Comuni interessati. Ove nei 60 giorni successivi alla pubblicazione sia presentata opposizione motivata da parte dei proprietari o conduttori di fondi che rappresentino almeno il 40% della superficie complessiva che si intende vincolare, la zona non può essere istituita. In ogni caso, nelle zone non vincolate a seguito dell‟opposizione manifestata dai proprietari o affittuari di fondi rustici, l‟esercizio dell‟attività venatoria resta vietato.

1.1.3.2. IL RUOLO DELLA REGIONE.

Nella pianificazione faunistico-venatoria la Regione interviene in tre modi diversi, a sensi dell‟art. 10, comma 10, ovvero:

tramite il coordinamento dei piani provinciali di cui al comma 7 dello stesso art. 10, secondo criteri dei quali l‟Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce l‟omogeneità e la congruenza, a norma dell‟art. 11;

tramite l‟esercizio dei poteri sostitutivi ove le Province non adempiano ai loro obblighi inerenti la pianificazione;

con la redazione del cd. piano faunistico Regionale di cui all‟art. 10, comma 12, nonché di cui all‟art. 14 della citata legge quadro n. 157/1992. Tale piano determina i criteri per l‟individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.

In via eccezionale e ove ricorrano specifiche necessità ambientali, le Regioni possono disporre la costituzione coattiva di oasi di protezione e di zone di ripopolamento e cattura, e l‟attuazione di piani di miglioramento ambientale di cui al comma 7° dell‟art. 10.

In particolare, la Regione Calabria è intervenuta con la Legge Regionale 17 maggio 1996, n. 9, contenente “Norme per la gestione e tutela della fauna selvatica e l‟organizzazione del territorio ai fini della disciplina programmata dell‟esercizio venatorio” (Legge Regionale n. 9/1996, come modificata dall‟art. 47. comma 5 L.R. 14 luglio 2003, n. 10). In quest‟ambito, di particolare interesse è l‟art. 5 che prevede che Il territorio agro-silvo-pastorale regionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive delle loro popolazioni e, per le altre specie, al conseguimento delle densità ottimali ed alla loro conservazione, mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio. La Giunta regionale attua la pianificazione di cui al comma 1 mediante il coordinamento dei piani faunistico-venatori provinciali sulla base di criteri di cui l'I.N.F.S. garantisce l'omogeneità e la congruità e nel rispetto delle seguenti indicazioni: a) destinare una quota massima del 26 per cento del territorio agro-silvo-pastorale della Regione a protezione della fauna selvatica, comprendendo in essa tutte le aree ove sia comunque vietata l'attività

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venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni; b) destinare una quota massima del 15 per cento del territorio agro-silvo-pastorale provinciale ad ambiti privati di caccia, ivi compresi i centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato naturale, le zone di addestramento e allenamento dei cani e per le zone per gare cinofile; c) promuovere sul rimanente territorio agro-silvo-pastorale forme di gestione programmata della caccia; d) determinare criteri per la individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie, di aziende agro-turistico venatorie e di centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato naturale. Il piano faunistico-venatorio regionale è predisposto dalla Giunta regionale mediante il coordinamento dei piani faunistico-venatori provinciali. Il piano faunistico-venatorio regionale è approvato dal Consiglio regionale su proposta della Giunta regionale, sentita la Consulta Faunistica Venatoria Regionale. Il piano faunistico-venatorio regionale ha durata quinquennale e può essere aggiornato anche prima della scadenza su richiesta di una o più province se le situazioni ambientali e faunistiche sulla base delle quali è stato elaborato subiscano sensibili variazioni.

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1.2. INDICAZIONI PER LA PREDISPOSIZIONE DELLO STUDIO D’INCIDENZA

La citata legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, integrata dalla legge 3 ottobre 2002, n. 221, è attuativa, come anticipato, dell‟art. 9 della direttiva 79/409/CEE, del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale L 103 del 25.4.1979, pagg. 1–18. La direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle CE L 206 del 22.7.1992, pagg. 7–50 è stata recepita in Italia con il DPR n. 357/1997.

Le citate direttive partono dalle seguenti considerazioni di fondo:

la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualità dell'ambiente, compresa la conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche, costituiscono un obiettivo essenziale di interesse generale perseguito dalla Comunità conformemente all'articolo 174 (ex art. 130 R) del Trattato;

Scopo principale della direttiva n. 92/43/CEE è, com‟è noto, quello di promuovere il mantenimento della biodiversità, tenendo conto al tempo stesso delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali. In questo modo il legislatore comunitario contribuisce all'obiettivo generale di uno sviluppo durevole. Il mantenimento di detta biodiversità può in taluni casi richiedere il mantenimento e la promozione di attività umane;

Nel territorio europeo degli Stati membri, gli habitat naturali non cessano di degradarsi e che un numero crescente di specie selvatiche è gravemente minacciato; gli habitat e le specie minacciati fanno parte del patrimonio naturale della Comunità e i pericoli che essi corrono sono generalmente di natura transfrontaliera, per cui è necessario adottare misure a livello comunitario per la loro conservazione;

Tenuto conto delle minacce che incombono su taluni tipi di habitat naturali e su talune specie, è necessario definirli come prioritari per favorire la rapida attuazione di misure volte a garantirne la conservazione;

Per assicurare il ripristino o il mantenimento degli habitat naturali e delle specie di interesse comunitario in uno Stato di conservazione soddisfacente, occorre designare zone speciali di conservazione per realizzare una rete ecologica europea coerente secondo uno scadenzario definito;

Tutte le zone designate, comprese quelle già classificate o che saranno classificate come “Zone di Protezione Speciale” ai sensi della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, dovranno integrarsi nella rete ecologica europea coerente;

In ciascuna zona designata, occorre attuare le misure necessarie in relazione agli obiettivi di conservazione previsti;

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I siti che possono essere designati come zone speciali di conservazione vengono proposti dagli Stati membri; si deve tuttavia prevedere una procedura che consenta, in casi eccezionali, la designazione di un sito non proposto da uno Stato membro che la Comunità consideri essenziale per il mantenimento di un tipo di habitat naturale prioritario o per la sopravvivenza di una specie prioritaria;

Qualsiasi piano o programma che possa avere incidenze significative sugli obiettivi di conservazione di un sito già designato o che sarà designato deve formare oggetto di una valutazione appropriata;

L'adozione di misure intese a favorire la conservazione di habitat naturali prioritari e specie prioritarie di interesse comunitario è responsabilità comune di tutti gli Stati membri; tali misure possono tuttavia costituire un onere finanziario eccessivo per taluni Stati membri poiché, da un lato, tali habitat e specie non sono distribuiti uniformemente nella Comunità e dall'altro, nel caso specifico della conservazione della natura, il principio "chi inquina paga" è di applicazione limitata;

In questo caso eccezionale dovrebbe essere previsto un contributo mediante cofinanziamento comunitario entro i limiti delle risorse disponibili in base alle decisioni della Comunità;

Occorre incoraggiare, nelle politiche di riassetto del territorio e di sviluppo, la gestione degli elementi del paesaggio aventi un'importanza fondamentale per la flora e la fauna selvatiche;

Occorre garantire la realizzazione di un sistema di verifica dello stato di conservazione degli habitat naturali e delle specie di cui alla presente direttiva;

E‟ necessario istituire, a complemento della direttiva 79/409/CEE un sistema generale di protezione di talune specie di fauna e di flora; si devono prevedere misure di gestione per talune specie, qualora il loro stato di conservazione lo giustifichi, compreso il divieto di taluni modi di cattura o di uccisione, pur prevedendo la possibilità di deroghe, subordinate a talune condizioni;

Per garantire il controllo dell'attuazione della presente direttiva, la Commissione europea periodicamente prepara una relazione di sintesi, basata, tra l'altro, sulle informazioni trasmesse dagli Stati membri in merito all'attuazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva;

Il miglioramento delle conoscenze scientifiche e tecniche è indispensabile per attuare la presente direttiva e che occorre di conseguenza incoraggiare la ricerca e i lavori scientifici necessari a tal fine;

Occorre prevedere misure complementari per regolamentare la reintroduzione di talune specie di fauna e di flora indigene, nonché l'eventuale introduzione di specie non indigene;

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L'istruzione e l'informazione generale relative agli obiettivi della presente direttiva sono indispensabili per garantirne l'efficace attuazione.

Tutto ciò considerato, il legislatore comunitario ha fornito, nella citata direttiva 92/43/CEE, la definizione di “Zone Protezione Speciale” (ZPS), ovvero un sito di importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato. Tali ZPS svolgono un ruolo determinante nella conservazione delle specie di avifauna migratoria. Onde rendere accettabile il disturbo causato dall‟attività venatoria sulle specie citate, vengono adottate misure precauzionali per evitare impatti eccessivamente devastanti, soprattutto nei periodi di migrazione prenuziale, evitando il più possibile che vi siano abbattimenti accidentali o sottrazione di zone di alimentazione e rifugio, specie nei periodi climaticamente più disagiati.

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1.3. INDICAZIONI SULLA VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA (VAS)

Come è noto, i Piani faunistico-venatori provinciali devono essere assoggettati alla VAS. La strategia dell‟Unione Europea per lo sviluppo sostenibile, adottata dal Consiglio europeo di Göteborg nel 2001, ha messo in evidenza, quale elemento politico fondamentale, il fatto che tutte le politiche debbano ruotare attorno al concetto di sviluppo sostenibile. La strategia sottolineava inoltre che, per una valutazione sistematica delle proposte, era necessario disporre di migliori informazioni. La direttiva sulla VAS rappresenta uno strumento importante per fornire informazioni di questo genere, che consentano di integrare più efficacemente le considerazioni ambientali nelle proposte settoriali man mano che queste vengono presentate e trovare, dunque, soluzioni più sostenibili.

Prima dell‟introduzione della direttiva 2001/42/CE, i progetti di rilevante entità che potevano avere un impatto sull‟ambiente dovevano essere sottoposti a valutazione nell‟ambito della direttiva 85/337/CEE1 concernente la valutazione dell‟impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

Tale valutazione avveniva, tuttavia, in una fase in cui le possibilità di apportare cambiamenti sensibili erano spesso limitate: le decisioni riguardo all‟ubicazione del progetto o alla scelte di alternative potevano, infatti, già essere state prese nell‟ambito di piani riguardanti un intero settore o un‟area geografica.

La direttiva 2001/42/CE sulla VAS colma questa lacuna e stabilisce che vengano valutati gli effetti ambientali di un ampio ventaglio di piani e programmi, in modo che se ne tenga conto durante l‟effettiva elaborazione dei piani, e che questi vengano adottati a tempo debito. Inoltre, il pubblico deve essere consultato sui progetti e sulla valutazione ambientale e occorre tener conto delle opinioni che esprime. Come indicato nel titolo della direttiva, l‟obiettivo del legislatore europeo è quello di “garantire un elevato livello di protezione dell‟ambiente e di contribuire all‟integrazione delle considerazioni ambientali nei piani e programmi sia all‟atto della loro elaborazione sia all‟atto della successiva adozione” (art. 1). La direttiva definisce la “Valutazione ambientale” come un processo sistematico inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte – politiche, piani o iniziative nell‟ambito di programmi – ai fini di garantire che tali conseguenze siano incluse a tutti gli effetti e affrontate in modo adeguato fin dalle prime fasi del processo decisionale e poste sullo stesso piano delle considerazioni di ordine economico e sociale. In quest‟ottica la VAS è da intendersi come uno strumento di supporto per le decisioni e tutto il processo di valutazione è centrato attorno alla possibilità di migliorare la qualità della decisione. Proprio per queste ragioni va inserita nei punti strategici del processo decisionale, fermo restando la sua natura di processo valutativo. Viene applicata a tutti i piani e programmi elaborati per i settori: agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione

1 Direttiva sulla valutazione d’impatto ambientale o direttiva sulla VIA, GUCE L175 del 5.7.1985, pag. 40.

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territoriale o della destinazione dei suoli, dei trasporti, ai piani e programmi elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE applicati su piccole aree o per le loro modifiche. Sono esclusi dall‟applicazione di questa direttiva piani e programmi destinati a scopi di difesa nazionale e protezione civile e piani e programmi finanziari e di bilancio. La VAS riguarda i processi di formazione dei piani più che i piani in senso stretto. Si tratta quindi di uno strumento di aiuto alla decisione (DSS - Decision Support System), più che un processo decisionale in se stesso. Per definire in termini concreti la VAS occorre porre attenzione sull‟aggettivo “strategico”, che la differenzia in modo sostanziale dalla VIA. Si prenda un esempio concreto: una necessità del territorio di collegamento trasporti. - La VIA si pone il problema di verificare e mitigare gli impatti ambientali rispetto ad una decisione già assunta, ad esempio di una strada che collega un punto A ad un punto B. La VAS interviene a monte, giudicando come quel collegamento possa essere “strategicamente” risolto: strada, autostrada, ferrovia, ferrovia veloce, collegamento aereo. La VAS, quindi, non è solo elemento valutativo ma “permea” il piano e ne diventa elemento costruttivo, gestionale e di monitoraggio. È importante sottolineare che i processi decisionali politici sono fluidi e continui: quindi la VAS deve intervenire al momento giusto del processo decisionale. Occorre quindi certamente approfondire gli aspetti tecnico-scientifici, ma senza perdere il momento giusto e rendendola inutile anche se rigorosa, ricordando che la VAS è uno strumento e non il fine ultimo. Sempre più, negli ultimi tempi, l‟attenzione si è spostata quindi dalla metodologia all‟efficacia. Come sottolinea la direttiva, la prima fase della valutazione ambientale non può prescindere dall‟individuare gli interlocutori sociali (stakeholders) per poi pianificare e gestire meglio la loro partecipazione alla discussione. Prima di “entrare nel vivo” della valutazione è altresì necessario analizzare il processo decisionale tramite il diagramma della decisione. In questa fase trova spazio una rassegna esaustiva delle varie fasi del processo, degli attori coinvolti e del loro titolo, per meglio individuare dove e come intervenire con le considerazioni relative alla sostenibilità. In altre parole in questa fase si descrive l‟intero processo decisionale, si identificano i momenti decisionali (decision windows) e si identificano dove devono essere prese decisioni critiche con implicazioni ambientali. Successivamente si stila il rapporto ambientale, nel quale si individuano, si descrivono e si valutano gli effetti significativi che potrebbero realizzarsi con l‟attuazione di un determinato piano o programma e contenente le seguenti informazioni: illustrazione dei contenuti, degli obiettivi principali e del rapporto con altri piani o programmi; stato attuale dell‟ambiente e sua evoluzione senza il piano; caratteristiche ambientali dell‟area interessata; problemi ambientali esistenti; obiettivi di protezione ambientale; possibili effetti significativi sull‟ambiente (biodiversità, fattori climatici, salute umana, popolazione, flora e fauna, suolo, acqua, aria, beni materiali, patrimonio culturale, patrimonio architettonico, patrimonio archeologico, paesaggio); misure per impedire, mitigare o ridurre gli effetti negativi; sintesi dei motivi di scelta delle alternative; descrizione delle misure previste per il monitoraggio. Si costruisce così un rapporto sintetico sulle criticità dell‟area o settore con dati, grafici e brevi commenti attraverso il quale il decisore dovrebbe identificare immediatamente i punti forti e deboli di un‟area o settore. La successiva fase ha l‟obiettivo di costruire l‟albero obiettivi, azioni e indicatori per lo sviluppo sostenibile. Per quel che riguarda gli obiettivi generali di sostenibilità le organizzazioni internazionali fanno riferimento a quattro - cinque

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obiettivi, per orientare con maggiore precisione le scelte. Si tratta di analizzare tali obiettivi generali per evidenziare come le azioni del piano o programma permettono di raggiungerli. Per quanto riguarda gli obiettivi specifici di piano, sono proprio questi che permettono il raccordo tra azioni di piano e obiettivi generali e rivestono un ruolo centrale nella VAS. A questo punto la direttiva con l‟obiettivo di concludere il processo di valutazione ambientale, per poi poter impostare correttamente il monitoraggio, descrive il rapporto ambientale che alla luce di tutte le fasi precedenti si deve andare a stilare. Il rapporto ambientale è la parte centrale della valutazione sull‟ambiente richiesta dalla direttiva, che influenzerà la versione definitiva del piano o programma. Il rapporto ambientale costituisce un importante strumento per l‟integrazione delle considerazioni di carattere ambientale nell‟elaborazione e nell‟adozione di piani e programmi in quanto garantisce che gli effetti significativi sull‟ambiente vengano individuati, descritti, valutati e presi in considerazione nel corso di tale processo. La preparazione del rapporto ambientale e l‟integrazione delle considerazioni ambientali nella preparazione dei piani e dei programmi costituisce un processo iterativo che deve contribuire al raggiungimento di soluzioni più sostenibili nell‟iter decisionale. L‟ultima fase della valutazione, presa in esame dalla direttiva, riguarda il monitoraggio e il controllo degli indicatori. “Gli Stati membri controllano gli effetti ambientali significativi dell'attuazione dei piani e dei programmi al fine, tra l'altro, di individuare tempestivamente gli effetti negativi imprevisti e essere in grado di adottare le misure correttive che ritengono opportune.” Il rapporto ambientale deve includere una descrizione delle misure previste per il monitoraggio. Il ruolo del monitoraggio è quello di poter correggere le azioni qualora non venissero raggiunti gli obiettivi; attraverso una relazione di monitoraggio si deve riportare l‟analisi del grado di raggiungimento degli obiettivi, l‟analisi delle risposte, l‟analisi degli indicatori, l‟esame degli scostamenti, l‟esame del feedback, l‟analisi della rete di monitoraggio, l‟azioni di miglioramento.

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2. QUADRO CONOSCITIVO

2.1.ASSETTO TERRITORIALE

2.1.1.CARATTERIZZAZIONE TERRITORIALE

La provincia di Vibo Valentia ha una estensione territoriale di circa 1.140 km2. Il territorio si proietta ad ovest sul Mar Tirreno, si estende a est fino alla culminazione topografica della catena delle Serre (Monte Pecoraro, 1423 m s.l.m.), supera lo spartiacque idrografico N-S Tirreno-Jonio al bordo est (da Colle d‟Arena a Pietratonda) dove confina con le zone di testata dei bacini idrografici Allaro (a Sud) e Ancinale e Alaco (a Nord). In direzione NNE-SSO, il territorio in esame è dominato da tre unità fisiografiche principali, tra loro allineate che, da Ovest verso Est, si identificano con il promontorio del Poro, l‟ampia vallata del fiume Mesima e la catena delle Serre.

Nell‟ambito amministrativo del territorio della provincia di Vibo Valentia, che costituisce il 7 % circa del territorio regionale, vive circa l‟8% della popolazione calabrese.

Amministrativamente la provincia di Vibo Valentia è divisa in 50 Comuni (Tabella 1 e Figura 1). In relazione alla complessa morfologia del territorio (Figura 2) i comuni della provincia ricadono in aree montane e collinari; in particolare, 8 sono ubicati in montagna (contribuendo a coprire il 16 % del territorio provinciale per circa 181 km2) e 42 in collina (84 % del territorio provinciale per circa 938 km2) (Tabella 2, Figura 2); nonostante l‟ambito territoriale di importanti comuni balneari (quali Nicotera, Joppolo, Ricadi, Tropea, Parghelia, Zambrone, Briatico, Vibo Valentia e Pizzo) si sviluppi lungo la linea di costa per circa 70 km, le esigue superfici pianeggianti ricadenti nel loro comprensorio risultano alquanto trascurabili rispetto alla retrostante parte di territorio, la cui orografia risulta in massima parte ricadente nella fascia altimetrica collinare (Figura 2).

Dai dati elaborati dall‟ISTAT nell‟anno 2008 risulta una popolazione residente pari a 170.628 unità, a cui corrisponde una densità di 147 abitanti/ km2.

Nel decennio 1991-2001, circa il 15% dei comuni della provincia ha subito un decremento demografico che oscilla tra il 12% ed il 9%.

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Tabella 1 - – Principali caratteristiche dei comuni della provincia di Vibo Valentia

(Fonte: ISTAT, 2008)

COMUNE COD. ISTAT

SUPERFICIE

(m2)

ALTITUDINE (m) DISLIVELLO

max (m) max min media

Arena 102002 33841767.49 1170.0 220.06 895.01 949.94

Filadelfia 102011 31413403.42 909.99 40.00 483.11 869.99

S. Calogero 102032 25106699.78 384.03 35.03 159.64 348.99

Dinami 102008 44301391.55 1125.5 72.39 368.18 1053.1

Soriano Calabro

102040 14590007.26 609.84 125.00 265.09 484.84

Spadola 102041 9370396.04 1270.0 750.00 897.95 520.00

Vallelonga 102045 17583080.42 950.00 240.00 637.67 710.00

San Costantino Calabro

102033 7172270.40 496.38 200.00 376.05 296.38

Drapia 102009 22055740.39 630.00 0.00 404.56 630.00

Maierato 102020 39461612.72 430.03 20.00 189.82 410.03

Nardodipace 102024 32404331.92 1360.0 161.81 863.26 1198.1

Serra San Bruno

102037 40461844.82 1410.0 740.00 981.68 670.00

Simbario 102038 20027811.49 960.00 570.00 747.95 390.00

San Gregorio

102034 12421152.37 500.13 129.98 356.31 370.15

Stefanaconi 102043 23497124.46 555.01 124.61 247.78 430.41

Filogaso 102013 23943575.19 380.00 80.00 240.03 300.00

Monterosso Calabro

102023 18282582.75 990.00 40.00 394.13 950.00

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Francavilla Angitola

102014 28412811.18 535.46 8.14 218.65 527.32

Acquaro 102001 24560025.41 1234.3 102.04 641.69 1132.2

Mileto 102021 34152689.86 370.01 70.00 213.07 300.01

Rombiolo 102031 21835698.72 634.99 8.79 514.92 626.21

Polia 102029 31406527.94 1020.0 53.20 515.09 966.80

S. Nicola da Crissa

102035 19314282.50 910.00 100.00 530.96 810.00

Vazzano 102046 20460013.78 930.00 133.77 355.93 796.23

Francica 102015 23470373.46 347.07 95.52 244.52 251.55

Sorianello 102039 9504816.82 1033.8 240.00 640.73 793.80

Mongiana 102022 18231350.64 1420.0 645.76 1017.5 774.24

Dasà 102007 7116866.54 593.14 95.06 230.91 498.08

Limbadi 102019 28778944.68 660.00 10.63 293.10 649.37

Filandari 102012 18144334.66 640.00 210.05 474.56 429.95

Spilinga 102042 21264530.00 710.00 180.00 528.89 530.00

Cessaniti 102006 17712995.25 485.00 24.97 300.48 460.03

Brognaturo 102004 24502184.99 1262.6 690.00 984.93 572.68

Pizzoni 102028 22672057.82 931.50 0.23 483.97 931.27

Ionadi 102017 8174509.60 530.25 280.00 459.98 250.25

Fabrizia 102010 40124688.18 1290.0 500.00 944.90 790.00

Capistrano 102005 20831926.97 960.00 80.00 520.55 880.00

Sant'Onofrio 102036 18466157.89 480.00 150.04 277.29 329.95

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25

Gerocarne 102016 45366034.19 1100.0 53.24 424.03 1046.7

Zungri 102050 21783953.68 650.00 310.00 500.33 340.00

Zaccanopoli 102048 6264803.00 602.65 151.48 507.83 451.17

Nicotera 102025 33278762.48 685.00 0.00 204.39 685.00

Parghelia 102026 7763884.76 550.00 0.00 197.21 550.00

Briatico 102003 27432446.89 570.00 0.00 172.67 570.00

Pizzo 102027 22310177.59 430.02 0.00 142.54 430.02

Ricadi 102030 21786153.70 336.47 0.00 145.57 336.47

Ioppolo 102018 15023414.70 690.76 0.00 334.57 690.76

Tropea 102044 3607979.74 261.07 0.00 74.55 261.07

Vibo Valentia

102047 45785524.35 559.98 0.00 289.01 559.98

Zambrone 102049 14697323.91 544.97 0.00 263.36 544.97

SUPERFICIE TOTALE m2 1.140.173.038,35

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Tabella 2 - – Suddivisione dei comuni della Provincia di Vibo Valentia per zona

altimetrica (Fonte ISTAT, 2008)

ZONA ALTIMETRICA2

COMUNE

Montagna Serra San Bruno, Fabrizia, Nardodipace, Simbario, Mongiana, Spadola, Brognaturo

Collina Vibo Valentia, Mileto, Filaldelfia, Rombiolo, Cessaniti, Dinami, Sant' Onofrio, Jonadi, Stefanaconi, San Gregorio d'Ippona, San Costantino Calabro, Zungri, Monterosso Calabro, Filandari, Arena, Francica, Spilinga, San Nicola da Crissa, Sorianello, Polia, Vazzano, Capistrano, Zaccanopoli, Vallelonga, Pizzo, Tropea, Nicotera, San Calogero, Ricadi, Briatico, Limbadi, Soriano Calabro, Gerocarne, Francavilla Angitola, Joppolo, Maierato, Drapia, Zambrone, Filogaso, Parghelia, Pizzoni, Dasà

Pianura ///

2 Definita secondo le indicazioni fornite dal 5˚ Censimento Generale dell’Agricoltura del 2001. Montagna: territorio caratterizzato

dalla presenza di notevoli masse rilevate aventi altitudini, di norma, non inferiori a 700 metri. Le aree intercluse fra le masse rilevate, costituite da valli, altopiani ed analoghe configurazioni del suolo, sono comprese nella zona di montagna. Collina: territorio caratterizzato dalla presenza di diffuse masse rilevate aventi altitudini, di regola, inferiori a 700 metri. Eventuali aree di limitata estensione aventi differenti caratteristiche,intercluse, sono comprese nella zona di collina. Pianura: territorio pianeggiante e basso caratterizzato dall’assenza di masse rilevate. Sono incluse in questa zona altimetrica, sia le propaggini di territorio che nei punti più discosti dal mare si elevino ad altitudine, di regola, non superiore a 300 metri, purché presentino, nell’insieme e senza soluzioni di continuità, inclinazione trascurabile rispetto al corpo della zona di pianura, sia eventuali rilievi montagnosi o collinari interclusi nella superficie pianeggiante di estensione trascurabile.

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Figura 1 - Superficie territoriale della Provincia di Vibo Valentia e confini

amministrativi dei comuni in essa ricadenti (da: Terra & Acqua geological consulting)

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28

a)

b)

c)

Figura 2 – Numerosità (a), Distribuzione percentuale (b) e Superficie dei Comuni

della provincia di Vibo Valentia suddivisi per zona altimetrica

7

43

0

0

5

10

15

20

25

n.

Montagna Collina Pianura

16,2

83,8

0,0

010

2030

4050

6070

8090

100

%

Montagna Collina Pianura

181,58

938,07

00

100

200

300

400

500

600

km2

Montagna Collina Pianura

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2.1.1.1. GEOMORFOLOGIA

A causa del complesso assetto orografico della penisola calabrese, il territorio della provincia di Vibo Valentia si estende, in prevalenza, su aree montane e collinari; una minima parte del territorio interessa tuttavia aree di pianura, che concorrono a rappresentare il sistema costiero della provincia (Figure 3 e 4).

Figura 3 - Altimetria del territorio della provincia di Vibo Valentia (da: Terra &

Acqua geological consulting)

Il territorio della Provincia di Vibo Valentia si estende dalla culminazione topografica delle Serre al mare con dislivello massimo di poco superiore ai 1400 m (1423 m, Monte Pecoraro).

Geologicamente occupa un segmento centrale dell‟orogene Arco Calabro, dalla stretta di Catanzaro alla Piana di Gioia Tauro.

Il Poro, grande promontorio granitico che si eleva fino ai 710 m s.l.m., rappresenta una della principali unità fisiografiche del territorio provinciale. La sua struttura, delimitata ad ovest dal mare, si estende proprio fino ai confini provinciali. La caratteristica morfologica di questo sistema orografico è quella di un vasto falsopiano sommitale che si estende fino all‟abitato di Vibo Valentia. Ad Ovest è lambito da versanti acclivi (con pendenza media del 15-20%) raccordati alla costa, che possono presentare successioni di scarpate con pendenze talora prossime al 100% (Figura 5), interrotte da aree terrazzate di limitata estensione (testimonianza delle fasi di ritiro del mare e di antichi sollevamenti orogenici del sistema). Sulle aree terrazzate costiere, interessate da recenti faglie ancora attive (come

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sui pianalti), insistono importanti centri quali Pizzo, Tropea, Parghelia, Joppolo, Briatico, sulla costa, e Mileto e Vibo Valentia sulle aree sommitali.

I terreni che affiorano all‟interno del territorio provinciale sono costituiti dall‟unità cristallino metamorfica che chiude la successione delle falde dell‟Arco (Unità Calabridi riferita da Ogniben, 1979) e dalla sequenza sedimentaria neogenica trasgressiva (Nicotera, 1959), estesa dal Miocene superiore al Pleistocene.

Al di sotto dei complessi granitoidi e rocce associate non affiorano altre unità strutturali e pertanto il settore d‟orogene in questione è certamente tra i meno conosciuti nella sua costituzione più profonda. Più in dettaglio e per quanto concerne i due principali insiemi litologici, quello cristallino-metamorfico ercinico di base e quello sedimentario neogenico superiore, si rilevano complessi cristallino metamorfici e complessi sedimentari.

Complessi cristallino metamorfici costituiscono la porzione centrale della catena topografica appenninica e del promontorio costiero del monte Poro, da Vibo a Capo Vaticano, e sono separati dal sedimentario sul quale si apre l‟ampia vallata del Fiume Mesima.

Per i complessi cristallino metamorfici del Poro Nicotera (1959) distingue essenzialmente due litologie: granodioriti, da anfibolitici a biotitici, per il grosso del promontorio da Vibo a Nicotera e Kinzingiti per gli affioramenti tra Vibo e la valle del Fiume Angitola. In Amodio-Morelli (1976) entrambe le litologie vengono ascritte ad un‟unica Unità (Unità di Polia-Copanello) in due delle sue facies caratteristiche: gneiss tonalitici e quarzo-dioritici; gneiss a granato e sillimanite.

I complessi sedimentari marini datano dal Miocene superiore al Pleistocene e raggiungono gli spessori massimi in asse alla valle del Fiume Mesima, dove la successione mio-pliocenica è pressoché completa con spessori massimi di oltre 350 m.

Nel quadro tettonico del territorio provinciale non si rilevano in affioramento elementi significativi riconducibili all‟assetto strutturale profondo dell‟orogene Arco Calabro, quali le sovrapposizioni tra le falde d‟ordine superiore al di sotto dell‟unità crostale superiore, la loro costituzione e il loro assetto strutturale (Cello et al, 1989; Amodio-Morelli, 1976; Tortorici, 1982). Solo indicazioni relitte di una tettonica

compressiva thrust-folds si rinvengono nel cristallino-metamorfico delle Serre (Calcaterra et al 1993) e molto meno frequenti nei complessi sedimentari più antichi (arenarie tortoniane di Troppa allo scoglio di S. Maria dell‟Isola: faglie inverse nord-vergenti; rilevamento originale).

A riguardo le maggiori informazioni si rilevano in Ghisetti (1980) dalle quali si può estrarre in sintesi quanto segue:

su un blocco ercinico crostale, la fossa del Mesima e relativa ingressione marina si individua nel Tortoniano;

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nel Pliocene medio-inferiore una fase tettonica compressiva accentua i dislivelli tra la valle del Mesima e gli horst marginali delle Serre e del Poro che tendono al sollevamento;

nel Pliocene superiore-Pleistocene, sistemi di faglie normali a prevalente direzione NE-SO, ONO-ESE, E-O guidano un più generalizzato sollevamento dell‟area Serre-Poro;

in tutto il Pleistocene, il sollevamento del massiccio del Poro e della Catena delle Serre è fortemente asimmetrico, con velocità variabili tra 0,03 e 0,8 mm/a, comparando i dati per tre intervalli cronologici rispettivamente 1,5 – 0,7 – 0,2 M.A, mentre il sollevamento della Valle del Mesima si mantiene sostanzialmente uniforme; il sistema di faglie che guidano i sollevamenti presentano sempre meccanismi normali.

Relativamente al massiccio del Poro il massimo del sollevamento complessivo si individua attualmente nelle aree prossime agli abitati di Brattirò, Spilinga, Rombiolo, Filandari e Jonadi.

Relativamente al sistema montuoso delle Serre il massimo del sollevamento complessivo si individua nelle aree corrispondenti alla dorsale di Monte Pecoraro (con valori di sollevamento fino a massimi di 1,3 mm/a e tendenza decrescente verso il recente).

Figura 4 – Suddivisione del territorio della provincia di Vibo Valentia per classe

altimetrica

0

5

10

15

20

25

30

35

%

> 1300 1100 - 1300 900 - 1100 700 - 900 500 - 700 300 - 500 100 - 300 < 100

H (m s.l.m.)

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Figura 5 - Acclività del territorio della provincia di Vibo Valentia e tipologia degli

insediamenti in essa ricadenti (da: Terra & Acqua geological consulting)

Il reticolo idrografico della provincia di Vibo Valentia (Figura 7) è quello ben noto della penisola calabrese: corsi d‟acqua brevi profondamente incisi nei tratti montani, a regime torrentizio, e con bassa gerarchizzazione (massimo 4÷5). I sistemi idrografici sono tutti in netta fase di erosione giovanile, con pendenze d‟alveo spesso superiori al 7-8%, talora finanche nelle porzioni vallive di foce (Figura 8). I complessi litologici che formano i rilievi, sia per fattori genetici che per caratteri acquisiti (tettonizzazione e weathering), presentano bassa resistenza meccanica agli agenti erosivi. Inoltre il rapido sollevamento in atto della catena costiera (+0,9÷1,1 mm/anno, Westaway, 1993), nonché la particolarità del regime pluviometrico di zona che vede la Calabria, ed in particolare la fascia tirrenica, come una delle regioni più piovose dell‟Italia meridionale (1151 mm a fronte dei 970 mm di media nazionale, Petrucci et al., 1996), tenderebbero a determinare un trend spontaneo di elevato e rapido trasporto solido a mare con conseguente bilancio positivo nella dinamica di alimentazione detritica dei litorali, ma, di contro, mostrerebbero una marcata vulnerabilità ai processi di dissesto idrogeologico.

Singolare è infatti la connessione tra il dissesto idrogeologico e il regime idraulico dei corsi d‟acqua che caratterizzano il territorio provinciale: all‟interno dei bacini idrografici l‟interazione tra geo-morfologia e clima dà luogo a intensi processi di ruscellamento, erosione dei versanti e trasporto solido nonché ad un regime di deflusso spiccatamente torrentizio che può presentare, in occasione di eventi di pioggia particolarmente intensi, una portata liquida (anche di 100 volte superiore a quella media annuale) capace di trasportare ingenti volumi di materiale solido verso valle. Gli estremi pluviometrici tipici di questa porzione di territorio calabrese rappresentano, in questo quadro, una delle principali cause del dissesto idrogeologico (Figura 6).

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Tali fattori, unitamente alla ridotta estensione delle aree pianeggianti e alla conformazione geografica del territorio provinciale, a cui si è già fatto cenno, occupata da rilievi che degradano quasi ovunque al mare, ha impedito la formazione di sistemi fluviali evoluti.

I numerosissimi corsi d‟acqua che costituiscono la maggior parte della idrografica provinciale sono, quindi, per lo più torrenti. Essi hanno un breve corso (qualche decina di km) e un bacino imbrifero relativamente poco esteso (nella gran parte dei casi inferiore a 100 km2); la loro pendenza, elevatissima nei tratti montani, si riduce bruscamente a breve distanza dal mare dove assumono spesso la forma di fiumare, con letti ampi e divaganti, spesso occupati da ingenti masse detritiche che provengono dall‟intensa attività di disfacimento operata dalle piogge e dai deflussi nella parte montana dei bacini.

L‟unico corso d‟acqua a cui si possa dare la denominazione di Fiume (ricadente in buona parte nella provincia) è il Mesima (la cui sorgente si trova in località “Il Ceraso” a 800 m s.l.m.); l‟Ancinale (sorgente in località “Santa Maria” a circa 1000 m s.l.m.) e l‟Angitola (nascente in località “Angitolella” a 950 m s.l.m.), seppur di gran lunga minori rispetto al Mesima meritano, comunque, particolare attenzione per le emergenze naturalistiche e ambientali che esprimono.

Le principali caratteristiche dei più importanti corsi d‟acqua della provincia di Vibo Valentia sono riportate nell‟allegato 1; nelle figure 7a, 7b e 7c vengono invece rappresentate le curve ipsografiche dei principali corsi d‟acqua della provincia.

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Figura 6 - Carta dei dissesti, distinti per tipologia, della Provincia di Vibo Valentia

(da: Terra & Acqua geological consulting)

Figura 7 - Reticolo idrografico della Provincia di Vibo Valentia (da: Terra & Acqua

geological consulting)

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Figura 8 - Curve ipsografiche dei bacini idrografici dei Fiumi Mesima (alto), Angitola

(centro)e Ancinale (basso) ricadenti all’interno del territorio della provincia di Vibo

Valentia

CURVA IPSOGRAFICA BACINO: Mesima

0

500

1000

1500

2000

0 200 400 600 800 1000 1200

Sup. Kmq

Qu

ote

m.s

.l.m

.m.

CURVA IPSOGRAFICA BACINO: Angitola

0

500

1000

1500

2000

0 100 200 300 400 500

Sup. Kmq

Qu

ote

m.s

.l.m

.m.

CURVA IPSOGRAFICA BACINO: Ancinale

0

500

1000

1500

2000

0 100 200 300 400 500

Sup. Kmq

Qu

ote

m.s

.l.m

.m.

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2.1.1.2. CLIMA

Il clima della provincia di Vibo Valentia è piuttosto eterogeneo in relazione alla vastità del territorio, alla notevole escursione altitudinale dei rilievi (dalla costa a oltre 1400 m s.l.m) nonché alla diversa esposizione dei versanti.

Ai fini dell‟analisi climatica si è fatto riferimento (previa verifica dei dati disponibili) alle stazioni termo-pluviometriche delle principali località ricadenti all‟interno del territorio oggetto di studio, tenendo conto della necessità di ben rappresentare la complessa e variegata realtà territoriale che caratterizza l‟ambito provinciale. La rete di stazioni termometriche risulta, infatti, poco estesa, pertanto, per l‟elaborazione delle analisi climatiche è stato necessario integrare i dati disponibili con stime della temperatura basate sul metodo della correlazione statistica (Ciancio, 1973).

La rete di stazioni pluviometriche è, al contrario, più estesa e le stazioni risultano ben distribuite su tutto il territorio indagato.

Le analisi dei regimi pluviometrici che caratterizzano il comprensorio evidenziano un periodo piovoso con un‟elevata variabilità della distribuzione delle precipitazioni in funzione prevalentemente dell‟altitudine. La piovosità massima si registra da novembre a gennaio con valori massimi nel mese di gennaio di circa 280 mm (stazione di Serra San Bruno); le precipitazioni medie annue nelle stazioni montane sono molto abbondanti con valori che superano anche i 1800 mm; nella stazioni costiere esse si attestano invece intorno ai 750 mm. La temperatura media mensile raggiunge il valore massimo nel mese di agosto (circa 29 °C registrati nella stazione costiera di Tropea e 21 in quella montana di Fabrizia) ed il valore minimo nei mesi di gennaio-febbraio (13-14 °C nella stazione costiera di Tropea e 3,5 in quella montana di serra San Bruno). Nelle aree interne e sui rilievi le escursioni termiche stagionali risultano alquanto accentuate; tale fenomeno si attenua sensibilmente in prossimità dei territori costieri in relazione alla azione termoregolatrice del mare.

Per quelle stazioni per cui si disponeva sia dei dati termometrici, sia di quelli pluviometrici, sono stati elaborati i climogrammi (Figura 9) secondo il modello di Bagnouls e Gaussen, che consentono di mettere in luce importanti caratteristiche del clima.

Il regime termo-pluviometrico evidenziato dai climogrammi consente di ascrivere il clima di tutte le località esaminate al tipo mediterraneo, nell‟ambito del quale sono tuttavia riscontrabili significative differenze tra le stazioni costiere e quelle interne.

Dall‟analisi dei climogrammi (Figura 9) si rileva, come atteso, l‟alternanza di un periodo temperato-umido (caratterizzato da un surplus idrico) e di un periodo caldo-arido (in cui si evidenzia un deficit idrico).

Il periodo di aridità, identificato con quella porzione del grafico (Figura 9) in cui la linea rossa (temperatura) si trova al di sopra della linea bleu (precipitazioni), è risultato variabile tra 0,5 -2 (stazioni montane, ad esempio Serra San Bruno e Fabrizia) e 4 mesi (stazioni costiere, ad esempio Tropea).

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a)

b)

Stazione di Fabrizia (948 m s.l.m.)

0102030405060708090

100110120130140150160170

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

020406080100120140160180200220240260280300320340

Temperatura

Precipitazione

Prec

ipita

zion

i (m

m)

Tem

pera

tura

(°C

)

102030

Stazione di Serra San Bruno (790 m s.l.m.)

0102030405060708090

100110120130

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

020406080100120140160180200220240260

Temperatura

Precipitazione

Prec

ipita

zion

i (m

m)

Tem

pera

tura

(°C

)

102030

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38

c)

d)

Figura 9 - Diagrammi ombro-termici relativi alle stazioni montane (a e b), collinari

(c) e costiere (d) rappresentative della variabilità climatica del territorio della provincia

di Vibo Valentia

Stazione di Mileto (368 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

0

20

40

60

80

100

120

140

Temperatura

Precipitazione

Prec

ipita

zion

i (m

m)

Tem

pera

tura

(°C

)

102030

Stazione di Tropea (51 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

0

20

40

60

80

100

120

140

Temperatura

Precipitazione

Prec

ipita

zion

i (m

m)

Tem

pera

tura

(°C

)

102030

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In conclusione il territorio montano della provincia di Vibo Valentia secondo Thornthwaite ha la seguente formula climatica (determinata per la stazione di Serra San Bruno): clima perumido, con deficit idrico estivo assente o trascurabile, di varietà climatica primo mesotermico ed una concentrazione estiva dell‟efficienza termica (rapporto percentuale fra il valore dell‟evapotraspirazione potenziale dei mesi di giugno, luglio e agosto e quello dell‟evapotraspirazione totale annua pari al 44,1%). Per la stazione di Tropea, rappresentativa dei fascia costiera della provincia, il clima è invece definito dalla seguente formula: clima da subumido a sub-arido, con forte eccedenza idrica in inverno, di varietà climatica secondo mesotermico ed una concentrazione estiva dell‟efficienza termica (rapporto percentuale fra il valore dell‟evapotraspirazione potenziale dei mesi di giugno, luglio e agosto e quello dell‟evapotraspirazione totale annua pari al 46,6%).

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2.2. LA COMPONENTE VEGETALE

La diversità biologica può essere analizzata a vari livelli. Nel presente capitolo viene analizzata la biodiversità vegetale a livello di specie (flora), a livello di comunità vegetali o fitocenosi (vegetazione) e a livello di habitat. In quest‟ottica, l‟analisi svolta è articolata su tre tematiche tra loro strettamente relazionate, ciascuna delle quali può essere considerata come un sottosistema del più vasto sistema biotico. L‟analisi svolta costituisce il presupposto per le valutazioni sulla disponibilità di habitat e di risorse energetiche per la fauna e in particolare per quella di interesse venatorio, oltre che per le valutazioni inerenti il piano degli interventi di miglioramento ambientale.

2.2.1. FLORA

Per flora si intende l‟insieme delle specie vegetali, suddiviso per categorie sistematiche, che vivono in un determinato territorio. Le specie vegetali stanno alla base del flusso di energia e del ciclo della materia che interessa ogni ecosistema. Le piante costituiscono quindi l‟elemento portante per la vita degli altri organismi viventi e per l‟equilibrio dell‟ecosistema. La conoscenza del patrimonio floristico di un territorio costituisce uno strumento di base per la conservazione e gestione sostenibile delle risorse naturali. La flora di un territorio è il risultato di un lungo processo di evoluzione, migrazione, estinzione di taxa ed è strettamente legata al territorio in cui si rinviene, costituendone uno dei connotati salienti. In questa analisi sarà presa in considerazione la flora vascolare che fa parte delle divisioni delle Pteridofite, Gimnosperme e Angiosperme.

2.2.1.1. FONTI DI DOCUMENTAZIONE

La flora della Provincia di Vibo Valentia è scarsamente conosciuta in quanto sono disponibili pochi studi, inoltre manca per questo territorio una specifica opera di analisi della flora, ne d‟altra parte esiste una flora della Regione Calabria dalla quale estrapolare i dati. Si è quindi fatto riferimento ai pochi autori che si sono occupati della flora di questo territorio. In particolare tra i floristi che hanno apportato contribuiti alla conoscenza della flora del vibonese, soprattutto tra la fine del secolo scorso e l‟inizio di questo secolo sono da citare, (Borzì, 1886; Damanti, 1886; Nicotra, 1886, 1896; Trotter, 1911) Porta (1879). Questi autori hanno pubblicato florule riguardanti piccole aree o segnalazioni floristiche. Altri lavori per l'area in questione sono stati realizzati a partire dalla metà del secolo scorso (Chiarugi, 1955; Ferrarini e Padula, 1969; Padula, 1970; Barbagallo et al., 1982; Corbetta,1986). Più recentemente sono state pubblicate alcune segnalazioni riguardanti nuovi reperti per il territorio vibonese (Speta, 1990; Pisani, 1999, 2000, 2003; Bernardo, Gargano, 2004; Cesca et. at., 2004; Peruzzi, Gargano, 2004; Peruzzi et al., 2004, Crisafulli et al. 2006, Uzunov et al., 2006; Uzunov & Gangale, 2008).

2.2.1.2. CONSISTENZA DEL PATRIMONIO FLORISTICO DELLA PROVINCIA DI VIBO VALENTIA

Sebbene non si abbia a disposizione un inventario completo della flora vascolare presente sul territorio provinciale, dai dati bibliografici a disposizione e da dati personali inediti, la flora del vibonese può essere stimata in circa 1.000 taxa (specie e sottospecie).

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Per tutta la Regione Calabria sono invece stimate circa 2629 taxa (Conti et al. 2005), mentre per la flora italiana è costituita da 7634 taxa (Conti et al. l.c.). Da queste considerazioni si evince che la Provincia di Vibo Valentia possiede una notevole ricchezza floristica soprattutto se la si rapporta alla estensione della superficie provinciale.

L‟elevata ricchezza floristica del territorio provinciale, a cui corrisponde anche una elevata biodiversità, è da collegare alle caratteristiche geomorfologiche del territorio e alla sua posizione geografica al centro del Mediterraneo ma in connessione tramite la catena appenninica con la regione europea e con quella mediterranea. Sotto il profilo climatico coesistono nell‟ambito della provincia due zone bioclimatiche ben distinte: la “zona mediterranea” estesa da livello del mare fino a circa 800-1000 m e la “zona temperata” da circa 800-1000 m in sù. Ciascuna di queste zone ospita una peculiare flora. La presenza inoltre di una notevole varietà di substrati geo-pedologici, di una complessa morfologia e di notevoli differenze climatiche, favoriscono la presenza habitat differenziati nei quali si localizzano specifiche flore, che contribuiscono ad aumentare la biodiversità del territorio.

Percentualmente i vari gruppi di piante vascolari sono così rappresentati: Pteridofite (3%), Gimnosperme (2%), Angiosperme dicotiledoni (76%), Angiosperme monocotiledoni (19%).

Sotto l‟aspetto corologico i corotipi meglio rappresentati sono quello mediterraneo con il 38% suddiviso in eurimediterraneo con il 16 % e stenomediterraneo con l‟22%. Ben rappresentate sono pure le specie europee (14%) e successivamente le Euroasiatiche (10%), le Paleotemperate (9%) e le Settentrionali (8%).

2.2.1.3. SPECIE DI PARTICOLARE INTERESSE GEOBOTANICO

Tra le specie che compongono la flora di un territorio alcune assumono particolare interesse geobotanico per l‟importanza che rivestono nel caratterizzare la biodiversità del territorio. Tra le specie di particolare interesse vanno considerate le endemiche (specie esclusive di un‟area ristretta), quelle al limite del loro areale e quelle a rischio di estinzione.

2.2.1.3.1. Specie endemiche

I taxa endemici (specie o sottospecie a distribuzione limitata) hanno un particolare significato, soprattutto in termini di conservazione della biodiversità.

La componente endemica della flora della provincia vibonese può essere articolata in:

Specie endemiche calabresi: Lereschia thomasii, Anthemis calabrica, Anthemis triumfetti var. briquetii, Cardamine battagliae, Hypericum calabricum, Abies alba ssp. apennina, Euphorbia corallioides, Salix brutia.

Specie endemiche di Aspromonte e Serre: Adenocarpus brutius, Centaurea poeltiana, Limodorum brulloi, Epipactis aspromontana, Epipactis schubertiorum, Genista brutia.

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Specie endemiche dell’Appennino meridionale: Acer neapolitanum, Ajuga tenorii, Alnus cordata, Anthemis sphacelata, Antirrhinum siculum, Arabis rosea, Arisarum proboscideum, Aristolochia clusii, Artemisia variabilis, Bellevalia dubia, Bellis margaritaefolia, Bunium petraeum, Brassica rupestris, Dianthus rupicola, Erucastrum virgatum, Hyoseris taurina, Helleborus bocconei ssp. intermedius, Micromeria fruticulosa, Thalictrum calabricum, Tolpis grandiflora, Viola messanensis.

2.2.1.3.2. Specie al limite d‟areale

Per areale di una specie si intende l‟area in cui essa vive allo stato spontaneo, localizzandosi in habitat idonei alle sue caratteristiche ecologiche. L‟ampiezza e la forma di un areale sono determinati da fattori ecologici (clima e substrato) e fattori storici e geografici (il punto nel quale la specie si è originata, la capacità di diffusione della specie e la presenza di barriere geografiche).

Le specie al limite d‟areale danno utili informazioni nello studio di una flora riguardo all‟esistenza di barriere ecologiche e geografiche significative e alla possibile individuazione di ambiti floristici diversi. Le variazioni del limite d‟areale di una specie possono essere anche una diretta conseguenza del cambiamento del clima, della trasformazione dell‟habitat, ecc.

Nella flora vibonese sono presenti alcune specie di ambienti freddi, arrivate durante le glaciazioni, in seguito sopravvissute in alcune stazioni montane, le cui popolazioni, rimaste isolate rispetto all‟areale principale della specie. Fra queste ricordiamo: Menyanthes trifoliata, (l‟unica popolazione calabrese è localizzata nella piana della Lacina, che rappresenta anche il limite meridionale della distribuzione di questa specie); Lysimachia vulgaris, Ranunculus flammula, Carex tumidicarpa e Ludwigia palustris

(localizzati negli ambienti palustri montani), Epilobium palustre, Cirsium palustre e Poa

palustris (localizzato nei boschi igrofili e nei cariceti), Juncus bulbosus (localizzato nei giuncheti montani), Potamogeton polygonifolius (localizzato in aque stagnanti).

2.2.1.3.3. Specie a rischio di estinzione

L‟I.U.C.N. (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) ha formalizzato in base a criteri oggettivi le categorie che definiscono lo stato di conservazione delle specie viventi (Rizzotto, 1995). In Italia sono state svolte indagini per la valutazione dello stato di conservazione della flora, che hanno prodotto elenchi di specie a rischio di estinzione, si tratta in particolare della “Lista rossa della flora d‟Italia” (Conti, Manzi & Pedrotti 1992) e delle “Liste rosse regionali della flora d‟Italia” (Conti, Manzi & Pedrotti 1997), è stato inoltre prodotto un atlante della flora vascolare italiana a rischio di estinzione (Scoppola & Spampinato 2005). Nella tabella che segue sono riportate le specie a rischio di estinzione riportate nelle liste rosse regionali (Conti et al. 1997) e nella lista rossa nazionale (Conti et al. 1992) con evidenziato lo status in base alle categorie IUCN (CR – gravemente minacciata; EN – minacciata; VU – vulnerabile; LR – a minor rischio).

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In totale sono state censite 52 specie a rischio di estinzione così distribuite nelle classi di rischio previste dall‟ I.U.C.N.:

gravemente minacciate 2

minacciate 2

vulnerabili 20

a minor rischio 28

Rispetto al totale della flora provinciale, che è stimato intorno alle 1000 taxa, le specie minacciate ne rappresentano circa il 5 %. Per l„intera Regione Calabria sono state censite 216 specie a rischio, un quarto circa si trovano quindi in territorio vibonese. Per la flora italiana sono state censite 450 specie a rischio che rappresentano l‟8,2 % della Flora Italiana.

Tabella 3- Elenco della flora vascolare a rischio della provincia di Vibo Valentia. (CR – gravemente minacciata; EN – minacciata; VU – vulnerabile; LR – a minor rischio; DD – dati mancanti)

Taxa Lista rossa regionale

Lista rossa nazionale

Adenocarpus brutius Brullo, De Marco & Siracusa LR -

Adenostyles macrocephala Huter et al. VU -

Ajuga tenorei C. Presl LR -

Aquilegia viscosa Gouan VU -

Arisarum proboscideum (L.) Savi LR -

Blechnum spicant (L.) Roth LR -

Cardamine battagliae Cesca & Peruzzi VU -

Cardamine raphanifolia Pourr. LR -

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Carex pseudocyperus L. VU -

Carex tumidicarpa Anderss. VU -

Carpinus betulus L. VU -

Chaerophyllum calabricum Guss. VU -

Chrysosplenium dubium Gay LR -

Cirsium palustre (L.) Scop. var. horridum Posp. LR -

Crocus longiflorus Raf. LR -

Dianthus rupicola Biv. LR -

Digitalis purpurea L. VU -

Epipactis helleborine (L.) Crantz LR -

Epipactis palustris (L.) Crantz VU -

Epipactis. meridionalis H. Baumann & R. Lorenz VU -

Erucastrum virgatum (Presl) Presl LR -

Euphorbia amygdaloides L. subsp. arbuscula Meusel LR -

Euphorbia corallioides L. LR -

Fritillaria messanensis Raf. VU VU

Galanthus reginae-olgae Orph. subsp. vernalis VU -

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Kamari

Impatiens noli-tangere L. LR -

Lathraea clandestina L. LR -

Lereschia thomasii (Ten.) Boiss. LR VU

Lilium bulbiferum L. subsp. croceum (Chaix) Beker LR -

Ludwigia palustris (L.) Elliot VU EN

Lysimachia vulgaris L. VU -

Matthiola incana (L.) R.Br. subsp. rupestris LR -

Menyanthes trifoliata L. VU -

Neottia nidus-avis (L.) L.C. Rich. LR -

Ophrys apifera Hudson LR -

Ophrys bertoloni Moretti LR -

Ophrys sphecodes Miller ssp. Atrata LR -

Osmunda regalis L. CR -

Phyllitis scolopendrium (L.) Newman LR -

Potamogeton polygonifolius Pourr. VU -

Pteris cretica L. EN EN

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Ranunculus flammula L. VU -

Ranunculus fontanus C.Presl VU -

Salix cinerea L. DD -

Sorbus torminalis (L.) Create LR -

Sternbergia lutea (L.) Ker-Gawl. LR -

Taxus baccata L. VU -

Teline monspessulana (L.) K. Koch VU -

Tilia platyphyllos Scop. subsp. pseudorubra Schneid. VU -

Trifolium hirtum All. DD -

Veronica scutellata L. CR -

Woodwardia radicans (L.) Sm. EN VU

2.2.1.4. SPECIE CONTENUTE IN PARTICOLARI ELENCHI

2.2.1.4.1. Specie degli allegati alla direttiva CEE 92/43

Nell‟allegato II alla direttiva CEE 92/43 sono riportate solo due specie tra quelle presenti nella flora della provincia di Vibo Valentia. Si tratta di:

Dianthus rupicola (Status IUCN: a minor rischio) localizza la maggior parte delle sue popolazioni sulle rupi costiere prospicienti il Mar Tirreno, come quelle del SIC IT9340091 “Zona Costiera fra Briatico e Nicotera Briatico”.

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Woodwardia radicans (Status IUCN: Minacciata) localizzata in alcuni valloni notevolmente umidi e in particolare nel SIC IT9340090 “Fiumara di Brattirò” che conserva la popolazione più cospicua di tutto il territorio italiano.

2.2.1.4.2. Specie degli allegati CITES

La convenzione internazionale sul commercio sulle specie di flora e fauna minacciate di estinzione (CITES) detta anche convenzione di Washington è stata fatta propria dalla CEE con il regolamento 338/97. Il Corpo forestale con un suo specifico ufficio è preposto al controllo del regolamento CITES. Negli elenchi allegati a tale regolamento sono riportate le specie di cui è vietato il commercio, per quanto riguarda la flora la normativa si applica solo alle specie selvatiche, non a quelle coltivate. In tali elenchi sonno presenti i le seguenti gruppi di specie della flora vibonese: specie dei generi Cyclamen, Galanthus e

Stenbergia, specie della famiglia delle Orchideaceae.

Cyclamen. Questo genere (Ciclamino) è presente nel territorio vibonese con due specie C.

repandum e C. hederifolium, entrambe sono abbastanza diffuse e vivono nei querceti della fascia mediterranea. Attualmente i ciclamini non corrono rischio di estinzione anche perché è poco diffusa la raccolta in natura dei bulbi.

Galanthus. Questo genere (Bucaneve) è presente con due specie G. nivalis e G. reginae-

olgae, sono entrambe piuttosto rare ma considerato l‟ambiente in cui vivono, in genere faggete, non corrono attualmente seri rischi di estinzione e non sono stati inseriti tra le specie a rischi di estinzione.

Stenbergia. Questo genere è presente con una sola specie S. lutea (Zafferanastro giallo), che in considerazione del disturbo antropico che interessa le sue popolazioni è stata inserita tra le specie a basso rischio di estinzione.

Orchideaceae. Questa famiglia conta 33 specie nella provincia di Vibo Valentia, elencate nell‟elenco che segue.

Elenco delle Specie della Famiglia delle Orchidaceae presenti nella flora vibonese

Aceras anthropophorum (L.) R. Br., Anacamptis pyramidalis (L.) L.C. Rich., Barlia robertiana (Loisel.) Greuter, Cephalanthera rubra (L.) L.C. Rich., Dactylorhiza saccifera Brongn., Dactylorhiza sambucina (L.) Baumann & Kunkele, Epipactis aspromontana Bartolo Pulvirenti & Robatsch , Epipactis helleborine (L.) Crantz, Epipactis meridionalis Baumann H. & Lorenz, Epipactis microphylla (Ehrh.) Swartz, Epipactis muelleri Godfery, Epipactis schuberttiorum Bartolo Pulvirenti & Robatsch, Epipogium aphyllum (Schmidt) Swartz, Limodorum abortivum (L.) Swartz, Limodorum brulloi Bartolo & Pulvirenti, Neotinea intacta (Link) Rchb. F., Neottia nidus-avis (L.) L.C. Rich., Ophrys apifera Hudson, Ophrys bertoloni Moretti, Ophrys exaltata Ten., Ophrys fusca Link subsp. iricolor (Desf.) O.Schwarz, Ophrys holoserica (N.L. Burn.) W. Greuter, Ophrys lutea Cav., Ophrys sphecodes Miller, Ophrys sphecodes Miller ssp. atrata, Orchis coriophora L.

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ssp. fragrans (Pollini) Sudre, Orchis italica Poiret, Orchis mascula (L.) L., Orchis morio L., Orchis papilionacea L. subsp. grandiflora (Boiss.) Nelson, Orchis provincialis Balb., Orchis tridentata Scop., Serapias lingua L., Serapias parviflora Parl., Serapias vomeracea (Burm.) Briq., Spiranthes spiralis (L.) Koch.

2.2.1.5. SPECIE ESOTICHE

L‟introduzione di specie esotiche (sia vegetali che animali) determina spesso una alterazione degli habitat naturali, favorisce inoltre fenomeni di inquinamento genetico e di “erosione genetica” delle popolazioni locali. Le specie esotiche concorrono con quelle autoctone per le risorse materiali ed energetiche e la presenza ha spesso favorito la scomparsa di specie autoctone. Ugualmente problematica è l‟introduzione di specie presenti nella flora con popolazioni provenienti da aree diverse. L‟introduzione di individui di diversa origine determina a fenomeni di ibridazione o di competizione con gli individui autoctoni, con compromissione dei genotipi locali.

Le specie esotiche hanno conseguenze negative anche sulla fauna in quanto modificano gli habitat in cui si insediano. La fauna non è, infatti, adattata alla loro presenza e non riesce ad utilizzarle come risorse energetiche così come fa con la flora autoctona.

Tra le specie esotiche legate ad attività agricola e silvicolturali sono da ricordare Robinia

pseudoacacia, Ailanthus altissima, Rhus coriaria, Ricinus communis, Eucaliptus sp. pl., Cupressus, Pinus sp. pl. Molte altre specie esotiche sono state introdotte a scopo ornamentale come Impatiens balfourii, Impatiens noli-tangere, Laburnum anagyroides Oenothera biennis, Oenothera parviflora, o accidentalmente come Amaranthus

paniculatus, Oxalis articulata Euphorbia cyparissias. In entrambi i casi esse rappresentano un rischio potenziale per la stabilità della flora autoctona.

2.2.2. VEGETAZIONE

2.2.2.1. CONCETTI E DEFINIZIONI

La vegetazione può essere sinteticamente definita come il manto verde che ricopre il pianeta Terra. Essa è il risultato della aggregazione degli individui vegetali che crescono in un determinato sito nella loro disposizione naturale. La vegetazione è organizzata in unità dette anche fitocenosi o associazioni vegetali, che sono il risultato dell‟aggrupparsi delle specie vegetali sulla base delle caratteristiche ecologiche e dei rapporti di concorrenza e di interdipendenza che si creano. L‟uomo agisce sulla vegetazione con varie attività (pascolo, taglio, incendio, dissodamenti, ecc.) modificandola nella sua struttura e nella sua composizione floristica.

Dal un punto di vista ecosistemico la vegetazione, e le fitocenosi che la compongono, rappresentano i produttori primari dell'ecosistema, in grado di effettuare, mediante la fotosintesi, l'organicazione della materia e la trasformazione del flusso di energia luminosa proveniente dal sole in energia chimica che viene resa disponibile per i successivi livelli

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trofici dell'ecosistema. In particolare la materia organica sintetizzata dai vegetali è utilizzata dai consumatori primari, innescando così il ciclo della materia e il flusso di energia che consentono il funzionamento dell'ecosistema. Le fitocenosi assieme alle comunità animali (zoocenosi) ed ai microrganismi presenti nel suolo costituiscono le biocenosi, che rappresentano la componente biotica dell'ecosistema. Le biocenosi, interagendo con l'insieme dei componenti abiotici, che nel loro insieme definiscono il biotopo (roccia madre, suolo, fattori climatici, ecc.), danno origine alle biogeocenosi. Queste sono le unità fondamentali della biosfera del nostro pianeta, vale a dire la parte della terra che è interessata dagli esseri viventi.

Per l‟analisi della vegetazione si fa riferimento alla metodologia fitosociologica, quella più diffusa in Europa per quanto riguarda studi sulla vegetazione (Braun-Blanquet 1964). La metodologia fitosociologica individua nella copertura vegetale delle unità dette "associazioni vegetali", che si differenziano da un lato per la composizione floristica e dall‟altro per i peculiari caratteri ecologici. Ciò è da mettere in relazione al fatto che l‟ambiente effettua una cernita sul popolamento floristico del territorio consentendo l'insediamento solo delle specie meglio di altre adattate alle specifiche condizioni ambientali. Secondo Braun-Blanquet, lo studioso franco-svizzero che all‟inizio del 1900 gettò le basi per lo sviluppo della fitosociologia, l‟associazione vegetale va considerata come “un aggruppamento vegetale più o meno stabile nel tempo e in equilibrio con l‟ambiente, con una tipica composizione in specie, alcune delle quali (specie caratteristiche) rilevano con la loro presenza una ecologia specifica ed autonoma”. Le associazioni vegetali sono denominate tramite le specie caratteristiche con l'aggiunta del suffisso -etum. Così ad esempio l‟Anemono apenninae-Fagetum è una associazione vegetale fisionomicamente caratterizzata dal faggio differenziata da un suo tipico corteggio floristico nel quale si rinviene Anemone apennina, specie considerata come caratteristica dell'associazione. Nell‟analisi fitosociologica è stato messo a punto un sistema gerarchizzato su tre livelli per la classificazione della vegetazione. Gruppi di associazioni similari per composizione floristica e per ecologia sono riuniti in alleanze, che vanno intese come comunità vegetali più comprensive con un più largo significato ecologico, anch‟esse caratterizzate da una tipica composizione floristica. Le alleanze vengono denominate con l'aggiunta del suffisso -ion ad esempio Oleo-Ceratonion è l'alleanza che riunisce le associazioni di macchia della fascia costiera. Le alleanze affini sono riunite in ordini (suffisso -etalia) e questi in classi (suffisso -etea). Ad esempio la vegetazione forestale mesofila a latifoglie decidue viene riunita nella classe Querco-

Fagetea, mentre quella termofila a dominanza di sclerofille sempreverdi è riunita nella classe Quercetea ilicis.

2.2.2.2. FONTI DI DOCUMENTAZIONE

La vegetazione della Provincia di Vibo Valentia è stata oggetto di pochi contributi da parte di diversi autori che ne hanno evidenziato il notevole interesse naturalistico e paesaggistico. Si tratta in genere di studi nei quali sono esaminati ristretti settori del territorio o singoli tipi vegetazionali. I principali contributi riguardano le tipologie forestali (Mercurio & Spampinato, 2006) o determinate formazioni boschive, quali faggete (Gentile, 1969a), querceti sempreverdi (Signorello, 1995; Gentile, 1969b), querceti

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caducifogli (Brullo et al. 1999) e ripisilve (Brullo & Spampinato, 1997), le praterie steppiche a Lygeum spartum (Gentile & Di Benedetto, 1961; Brullo et al., 1990), le formazioni casmofile (Brullo & Marcenò, 1979), le formazioni aeroaline delle rupi costiere (Brullo, 2002). Altri studi, riguardanti diversi tipi di vegetazione sono stati effettuati da Barbagallo et al. (1982) limitatamente al settore montano.

2.2.2.3. SINTESI SULLE CONOSCENZE SULLA VEGETAZIONE

Qui di seguito sono esaminate le principali tipologie di vegetazione in relazione alle fasce bioclimatiche presenti nel territorio vibonese, in accordo alla classificazione di Rivas Martinez (2008).

2.2.2.3.1. Fascia Temperata

Questa fascia di vegetazione è caratterizzata da un bioclima di tipo temperato con ridottissima o assente aridità estiva. Esso è ben rappresentato nel continente europeo e si estende ai territori mediterranei limitatamente alle zone montuose. Nella Provincia di Vibo Valentia è presente con la fascia supratemperata e si estende a tutta l'area montana al di sopra dei 1000-1100 m e con quella meso temperata, localizzata tra 700 e 1000 circa. La fascia supratemperata è dominata dai boschi dei Fagetalia sylvaticae. Si tratta essenzialmente di faggete, governate in genere a fustaia e diffuse su vaste superfici. Le faggete presenti sulle Serre Vibonesi possono essere ascritte all‟Anemono apenninae-

Fagetum (= Aquifolio-Fagetum), faggeta macroterma legata ad un clima con marcati caratteri di oceanicità caratterizzata dalla abbondanza nel sottobosco di agrifoglio (Ilex

aquifolium).

Nella faggeta Fagus sylvatica tende a costituire dei popolamenti puri, spesso però si associa con l'abete bianco con la sottospecie meridionale (Abies alba subsp. apennina), che ha in genere un ruolo subordinato. Le faggete miste con abete bianco rientrano nella subassociazione Anemono apenninae-Fagetum abietosum albae

Su limitate aree con suoli rocciosi poco evoluti, l‟abete bianco diventa dominante e da luogo a delle formazioni più o meno pure in genere con lo strato arboreo diradato si tratta di abetine con ipopitide (Monotropa hypopitys) Monotropo-Abietetum apenninae

Le faggete sono talora sostituite da impianti artificiali di Pinus nigra ssp. calabrica (= P.

laricio) o di castagno (Castanea sativa). I castagneti in particolare sono molto diffusi in tutto il territorio veibonese e costituiscono una importante risorsa economica. Essi sono impiantati anche nella sottostante fascia mediteraanea.

Frammista al faggio si trova talora la rovere meridionale (Quercus petraea ssp. austrotyrrhenica), la quale a causa di tagli e incendi si rinviene attualmente in individui isolati, molto vetusti, o più raramente in piccoli nuclei.

Le faggete sono spesso attraversate da piccoli corsi d'acqua permanenti alimentati da sorgenti, dove si localizzano aspetti di vegetazione igrofila erbacea interessati da una ricca flora molto specializzata e caratterizzata dalle endemiche Lereschia thomasii, Adenostiles

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macrocephala, Chaerophyllum calabricum,. In particolare, nei ruscelli ombreggiati con acqua correnti si rinviene il Chrysosplenio-Lereschietum thomasii, mentre nei tratti più rialzati ed esterni all'alveo è frequente il Petasito-Chaerophylletum calabrici,

Sulle pareti stillicidiose prospicenti questi piccoli corsi d'acqua si rinviene invece l'Adenostylo-Soldanelletum calabrellae.

Sugli altopiani come ad esempio quello tra Serra San Bruno e Mongiana le faggete sono state eliminate per far posto alle colture di cerali e patate, o a impianti artificiali di pino calabro (= pino laricio s.l.), di ontano napoletano (Alnus cordata) o di castagno (Castana

sativa). L‟abbandono delle colture determina l'arrivo della ginestra dei carbonai (Cytisus

scoparius), che forma fitti cespuglieti riferibili al Polygalo-Cytisetum scoparii, che nelle zone più depresse e umide vengono sostituiti dal Genisto brutiae-Cytisetum scoparii, associazione caratterizzata dalla presenza di Genista brutia specie endemica affine a G.

anglica dell‟Europa atlantica.

Sugli altopiani come il Piano della Lacina, sono presenti peculiari aspetti di vegetazione igrofila e palustre a dominanza di giunchi, carici e alcune graminacee igrofile perenni come Deschampsia caespitosa. Le aree interessate da una costante presenza di acqua sono caratterizzate dai cariceti, comunità erbacee a dominanza di grandi carici (Carex rostrata,

Carex vesicaria, Carex pseudocyperus) e altre elofite (Typha latifolia e Sparganium

erectum). In questi ambienti si localizza la rarissima Menianthes trifoliata, specie a distribuzione boreale che sulla Lacina ha il limite meridionale del suo areale di distribuzione.

2.2.2.3.2. Fascia supramediterranea

Questa fascia è caratterizzata da un clima di tipo supramediterraneo ed è potenzialmente interessata da querceti caducifogli mesofili. In particolare si localizzano qui i boschi a Quercus frainetto appartenenti al Cytiso-Quercetum frainetto, e quelli di quercia congesta (Quercus congesta), localizzati nei tratti meno acclivi, su suoli profondi, riferibili all‟associazione Erico arboree-Quercetum congestae. Frequentemente i querceti caducifogli sono sostituiti da castagneti, formazione colturale molto diffusa nel territorio serrese.

Nei valloni più ombreggiati e freschi sono invece presenti i boschi mesofili misti di acero napoletano (Acer neapolitanum), carpino nero (Ostrya carpinifolia) e leccio (Quercus

ilex) dell‟associazione Festuco-Aceretum neapolitani.

2.2.2.3.3. Fascia mesomediterranea

Questa fascia si localizza tra 400 e 800 m, soprattutto dove sono presenti ripidi pendii. È caratterizzata dalle leccete mesofile del Teucrio siculi-Quercetum ilicis, formazione che, grazie alla notevole oceanicità del clima, prendono spesso contatto diretto con le faggete della fascia supratemperata. Le leccete sono comunemente utilizzate come ceduo semplice o matricinato per la produzione di carbone.

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Più raramente, nelle stazioni con suoli sabbiosi acidi, si insediano le sugherete dell'Helleboro-Quercetum suberis come ad esempio nella parte basale della valle dell‟Angitola.

Sulle superfici meno acclivi le leccete sono sostituite dai boschi a quercia virgiliana dell‟ Erico-Quercetum virgilianae. Queste formazioni forestali sono attualmente localizzate in poche aree in conseguenza della trasformazione agricola del territorio e dell‟impianto in particolare di uliveti e di altre coltura arboree non irrigue.

Sul fondo di alcuni valloni localizzati in questa fascia, in prossimità di cascate e percolamenti di acqua, si localizzano alcune stazioni della felce bulbifera (Woodwardia

radicans), specie relitta di una flora tropicale presente in Italia durante il Terziario che caratterizza la particolare vegetazione idrofila del Conocephalo-Woodwardietum

radicantis.

I corsi d‟acqua, nei tratti più incassati, sono fiancheggiati dalle ripisilve a ontano nero (Alnus glutinosa). In particolare nelle valli a forra, su alluvioni limoso-sabbiose, si rinviene il bosco di ontano nero con felce setifera (Polystico-Alnetum glutinosae), mentre nelle valli strette, su alluvioni ghiaioso-ciottolose, si localizza il bosco misto di ontano nero e ontano napoletano (Alnus cordata) dell'Alnetum glutinoso-cordato. La dove invece il corso d‟acqua si apre le ontanete lasciano il posto ai saliceti a salice bianco (Salix alba) e salice calabrese (Salix brutia) del Salicetum albo-brutiae.

Nelle stazioni collinari le leccete, normalmente governate a ceduo, sono rappresentate dall'Erico-Quercetum ilicis, lecceta termofila ricca in lentisco ed erica arborea. Queste leccete, che giungono fino in prossimità del mare, vengono sostituite in seguito a processi di degradazione, da una fitta macchia riferibile all' Erico arboreae-Myrtetum communis e da praterie steppiche a tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus).

2.2.2.3.4. Fascia termomediterranea

La vegetazione naturale di questa fascia si presenta spesso degradata dalle attività antropiche e in particolare dall‟incendio e dal pascolo. Essa è caratterizzata da querceti termo-xerofili caducifogli a quercia castagnara (Quercus virgiliana) e olivastro (Olea

europea subsp. sylvestris) dell‟Oleo-Quercetum virgilianae, che nei versanti più freschi e ombreggiati sono sostituiti dalle leccete con erica dell'Erico arboreae-Quercetum ilicis. La degradazione di questi boschi, in seguito al pascolo e agli incendi, favorisce l'insediamento di macchia dell'Oleo-Ceratonion e, più frequentemente, dei cisteti del Cisto-

Micromerietea. Sui versanti più acclivi, con roccia affiorante, si insedia la macchia a euforbia (Euphorbia arborea) e olivastro (Olea europaea subsp. sylvestris) (Oleo-

Euphorbietum dendroidis). L‟incendio reiterato determina la sostituzione delle formazioni forestali con le praterie steppiche secondarie. La fascia termomediterranea attualmente è infatti in gran parte occupata da praterie steppiche dei Lygeo-Stipetea caratterizzate da varie graminacee cespitose quali il barboncino mediterraneo (Hyparrhenia hirta) e il tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus).

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Le rupi costiere ospitano un contingente di specie strettamente adattate. Si tratta di casmofite come Dianthus rupicola, Erucastrum virgatum, Brassica rupestris, ecc. La vegetazione di queste rupi viene riferita all‟alleanza Dianthion rupicole e in particolare all‟associazione Erucastretum virgatae.

2.2.2.3.5. Vegetazione dei litorali

La costa di natura sedimentaria, basse e sabbiose, si presentano per lunghi tratti degradate da impianti artificiali, urbanizzazioni e infrastrutture. Lo spianamento delle dune per far posto a strade, ferrovie, urbanizzazioni e coltivi, ha determinato una profonda alterazione dell‟ambiente costiero. E‟ così scomparsa gran parte dell'originaria vegetazione psammofila, e attualmente restano solo limitati tratti del litorale dove è possibile osservare la vegetazione delle spiagge. Tipicamente questa vegetazione si organizza in fasce parallele alla linea di costa, infatti il fattore ecologico che più di altri influenza la vegetazione è il mare con i venti carichi di aerosol marino che soffiano verso l‟interno. Dopo la linea della battigia priva di vegetazione per il continuo movimento delle moto ondoso si insedia la vegetazione annuale, alofila e nitrofila a salsola erba-cali (Salsolo-

Cakiletum maritimae) localizzata soprattutto in corrispondenza di materiale spiaggiato durante le mareggiate invernali. Segue più internamente la vegetazione a gramigna delle spiagge (Cypero mucronati-Agropyretum farcti), legata alle dune embrionali che grazie alla presenza delle specie che compongono questo tipo di vegetazione cominciano ad innalzarsi. La sabbia trasportata dal vento si deposita infatti attorno alle piante che per evitare di essere sotterrate si innalzano continuamente e con i loro apparati radicali stabilizzano la duna. Sulle dune ormai formate, localizzate più internamente si insedia la vegetazione psammofila a sparto pungente (Medicagini-Ammophiletum arundinaceae). Nel retroduna, su suoli sabbiosi dove ormai è iniziato il processo pedogenetico si localizza la rara vegetazione psammofila a efedra distica (Helichryso italici-Ephedretum

distachyae) caratterizzata da piccole camefite a struttura pulvinata.

Sulle coste rocciose, che sono ben rappresentate lungo la costa tirrenica, si insedia la tipica vegetazione aeroalina a finocchio di mare (Crithmun maritimum) del Crithmo-Limonion. Nella parte sommitale delle falesie si rinviene invece la vegetazione a Hyoseris taurina.

2.2.2.4. VEGETAZIONE POTENZIALE

La vegetazione presente su una certa superficie non è statica nel tempo ma, soprattutto in assenza di disturbo antropico, tende ad evolversi verso forme strutturalmente via via più complesse. Il culmine di questo processo dinamico di evoluzione è rappresentato dalla vegetazione climatofila o semplicemente climax. La tipologia di vegetazione climax è legata essenzialmente a fattori ecologici di tipo climatico (temperatura, precipitazioni, umidità, insolazione ecc.). Il raggiungimento del climax avviene attraverso una serie di fitocenosi intermedie (stadi) che sono tra di loro dinamicamente collegate in una scala temporale. In ciascuna serie dinamica la fitocenosi meno evoluta prepara le condizioni ecologiche, soprattutto di tipo edafico, perché possa insediarsi lo stadio successivo. Ad ogni vegetazione climatofila corrisponde quindi una serie dinamica e nel territorio, a seconda del livello di impatto antropico, è possibile osservare la vegetazione climax con

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gli stadi collegati o solo questi se il livello di pressione antropica è stato tale da determinare la perdita delle fitocenosi climax. Dallo studio fitosociologico della vegetazione è possibile ricostruire le varie tappe che portano alla vegetazione climatofila. Nei nostri territori il climax è normalmente rappresentato da una vegetazione di tipo forestale, qui le interrelazioni ecologiche tra le specie componenti raggiungono il massimo grado di complessità, e ciò conferisce stabilità al sistema. Il climax non è però statico nel tempo, ma subisce delle fluttuazioni intorno a uno stadio medio.

La vegetazione climax assume un notevole significato applicativo, in quanto permette di pianificare gli interventi di restauro ambientale e di riforestazione tenendo conto delle potenzialità della vegetazione. Si evitano così errori quali l'impianto di specie non idonee, che comportano dei danni sia dal punto di vista ambientale che economico. Basti pensare agli impianti di conifere attaccate dalla processionaria o a quelli di specie esotiche affini a quelle autoctone che creano non pochi problemi di inquinamento genetico delle popolazioni locali. Tenendo conto delle potenzialità della vegetazione è invece possibile riportare naturalità all'interno di un'area attualmente degradata, consentendo il riformarsi di una vegetazione stabile, in equilibrio con l‟ambiente ed in grado di automantenersi nel tempo. Il ripristino della vegetazione naturale permetterà inoltre di limitare gli interventi di gestione e manutenzione.

Qui di seguito sono descritte le serie di vegetazione climatofila presenti nel territorio della provincia di Vibo Valentia.

2.2.2.4.1. Serie della quercia castagnara e dell‟olivastro (Oleo-Querceto virgilianae sigmetum)

Questa serie si localizza nella fascia collinare. L‟associazione climatofila è costituita dal bosco di quercia castagnara con olivastro (Oleo-Quercetum virgilianae). Fanno parte della serie le seguenti fitocenosi: garighe a cisti (Cisto-Ericion), praterie steppiche a tagliamani (Avenulo-Ampelodesmion), praticelli effimeri (Tuberarion guttatae). All‟interno di questa serie si rinvengono la edafoserie xerofila dell‟euforbia arborea e dell‟olivastro (Oleo-

Euphorbieto dendroidis sigmetum) e quelle igrofile del salice bianco e del salice calabrese (Saliceto albo-brutiae sigmetum) e dell‟oleandro (Spartio-Nerieto oleandri sigmetum). La serie è localizzata su calcari, arenarie, argille e più raramente su metamorfiti in ambiti a bioclima termomediterraneo subumido.

2.2.2.4.2. Serie della quercia castagnara e dell‟erica (Erico-Querceto virgilianae sigmetum)

Questa serie è ben rappresentata nella fascia collinare e submontana in aree con bioclima mesomediterraneo subumido. Si rinviene su substrati cristallini quali filladi, scisti, gneiss, graniti, conglomerati, sui quali si originano suoli bruni acidi (Tipic xerumbrepts) L‟associazione climatofila è rappresentata dal bosco di quercia castagnara con erica (Erico-Quercetum virgilianae). Fanno parte della serie la macchia a calicotome e erica arborea (Calicotomo infestae-Ericetum arboreae), le garighe a cisto rosso e salvione (Cisto eriocephali-Phlomidetum fruticosae), i cespuglieti a ginestra odorosa (Spartium

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junceum), le praterie steppiche a tagliamani (Avenulo-Ampelodesmion mauritanici), i pascoli aridi subnitrofili (Echio-Galactition), ed i pratelli annuali effimeri (Tuberarion

guttatae). Le edafoserie associate sono: serie dell‟euforbia e dell‟olivastro (Oleo-

Euphorbieto dendroidis sigmetum), serie della sughera (Helleboro-Querceto suberis

sigmetum), serie dell‟ontano nero e dell‟ontano napoletano (Alneto glutinoso-cordatae sigmetum), serie del salice bianco e del salice calabrese (Saliceto albo-brutiae sigmetum), serie dell‟oleandro (Spartio-Nerieto oleandri sigmetum).

2.2.2.4.3. Serie del leccio con camedrio siciliano (Teucrio siculi-Querceto ilicis sigmetum)

La serie è localizzata nella fascia collinare superiore e submontana soprattutto sui versanti settentrionali e occidentali (da 300-600 m a 900-1000 m) con bioclima meso o supramediterraneo umido su vari substrati (filladi, scisti, gneiss, graniti, conglomerati) e su suoli a pH acido di tipo Ranchers (Typic Haplumbrepts), ben drenati e ricchi in scheletro grossolano, talora poco evoluti (protorankers).

L‟associazione climatofila è rappresentata dal bosco di leccio con camedrio siciliano

(Teucrio siculi-Quercetum ilicis). Fanno parte della serie: cespuglieti a citiso villoso e ginestra dei carbonai (Cytiseto villoso-scoparii calicotometosum infestae), cespuglieti a ginestra viscosa calabrese (Centaureo-Adenocarpetum brutii), pratelli annuali effimeri (Tuberarion guttatae). All‟interno di questa serie si rinvengono le edafoserie della sughera (Helleboro-Querceto suberis sigmetum), dell‟ontano nero e dell‟ontano napoletano (Alneto glutinoso-cordatae sigmetum), dell‟ontano nero e della felce setifera (Polysticho-

Alneto glutinosae sigmetum), e dell‟acero napoletano e del carpino nero (Festuco

exaltatae-Acereto neapolitani sigmetum).

2.2.2.4.4. Serie della quercia congesta (Erico arboreae-Querceto congestae sigmetum)

Questa serie si localizza sui versanti poco acclivi o pianeggianti della fascia submontana e montana inferiore da 800 a 1200 m, si localizza in ambienti con bioclima supramediterraneo umido o iperumido su suoli bruni acidi profondi e ben evoluti. L‟associazione climatofila è rappresentata dal bosco a quercia congesta ed erica arborea

(Erico arboreae-Quercetum congestae); fanno parte della serie i cespuglieti dei Cytisetea

striato-scoparii, in particolare il Cytisetum villoso-scoparii, e i pascoli mesofili dei Molinio-Arrhenatheretea. Le edafoserie correlate sono quella xerofila del pino calabrese (Hypochoerido-Pineto calabricae sigmetum), quella igrofila dell‟ontano nero e della felce setifera (Polysticho-Alneto glutinosae sigmetum).

2.2.2.4.5. Serie del farnetto con citiso (Cytiso-Querceto frainetto sigmetum)

Si localizza nella fascia submontana e montana da 700 a 1200 m dei versanti poco o mediamente acclivi nella fascia bioclimatica supramediterraneo umida o iperumida su suoli bruni acidi profondi e ben evoluti.

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L‟associazione climax è rappresentata dai boschi di farnetto con citiso trifloro (Cytiso-

Quercetum frainetto). Fitocenosi componenti la serie sono i cespuglieti a citiso trifloro e ginestra dei carbonai (Cytisetum villoso-scoparii), i pascoli mesofili (Molinio-

Arrhenateretea) e le garighe a Calicotome infesta e cisti (Cisto-Ericion).

2.2.2.4.6. Serie del faggio con agrifoglio (Anemono apenninae-Fageto sigmetum)

L‟associazione climatofila è rappresentata dalla faggeta ad agrifoglio (Anemono

apenninae-Fagetum). Le fitocenosi che compongono la serie sono: cespuglieti a ginestra dei carbonai (Polygalo-Cytisetum scoparii), vegetazione a felce aquilina (Pteridium

aquilinum), pascoli mesofili (Barbareo-Bellidetum aspromontanae). A questa serie sono collegate le edafoserie dell‟ontano nero e dell‟euforbia (Euphorbio-Alneto glutinosae sigmetum), quelli di tasso dell‟Ilici-Taxetum baccatae localizzati nei valloni esposti verso il tirreno, e quella dell‟ontano napoletano con asperula (Asperulo-Alneto cordatae

sigmetum) localizzata sui versati caratterizzati dall‟affioramento della falda freatica o da una sua notevole superficialità. La serie è presente sul versante settentrionale da 800-900 m a 1300-1400 m e lungo il Dossone della Milia, in ambiti a bioclima supratemperato inferiore (submediterraneo) umido o iperumido con marcati caratteri di oceanicità. Si insedia su scisti, gneiss e graniti che originano suoli bruni acidi profondi (Haplic phaeozen).

2.2.2.4.7. Serie della sughera (Helleboro-Querceto suberis sigmetum)

Normalmente questa edafoserie si insedia su substrati di natura granitica profondamente alterati particolarmente acidi. L‟associazione finale della serie è rappresentata dal bosco di sughera con elleboro (Helleboro-Quercetum suberis); si localizza nella fascia mesomediterranea subumida o umida. Fanno parte della serie la macchia a erica e corbezzolo (Erico-Arbutetum), le praterie steppiche ad Ampelodesmos mauritanicus del Seselio-Ampelodesmetum mauritanici e i pratelli effimeri del Tuberarion guttatae. Si rinviene soprattutto nella Vallata dell‟Angitola.

2.2.2.4.8. Geosigmeto costiero della vegetazione psammofila dei sistemi dunari recenti (Cakiletea, Ammophiletea, Helichryso-Crucianelletea, Quercetea ilicis)

Questa geoserie si insedia sulle coste basse sabbiose di natura sedimentaria. La geoserie è formata da una successione di fitocenosi che si insediano lungo fasce parallele alla linea di costa. Schematicamente partendo dal mare possiamo distinguere le seguenti associazioni:

- Salsolo kali-Cakiletum, vegetazione annuale alo-nitrofila della prima linea di costa;

- Echinophoro spinosae-Elytrigetum juncetum, vegetazione erbacea perenne psammofila delle dune embrionali;

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- Echinophoro spinosae-Ammophiletum, vegetazione erbacea perenne psammofila delle dune stabilizzate;

- Asparago acutifolii-Juniperetum macrocarpae, macchia psammofila delle dune fisse;

- Ephedro-Helichrysetum italicae vegetazione psammofila dei retroduna.

Il notevole impatto antropico rende frammentaria la presenza delle fitocenosi di questo geosigmeto e solo su tratti molto limitati è possibile osservare tutti i termini della geoserie. Le fitocenosi più evolute della geoserie sono spesso sostituite da impianti artificiali.

2.2.2.4.9. Geosigmeto ripariale e dei fondovalle alluvionali della regione mediterranea (Salicion albae, Populion albae, Alno-Ulmion)

Questa geoserie si rinviene lungo i tratti terminali dei principali fiumi (Petrace, Ancinale,, ecc.), che presentano portate persistenti tutto l‟anno. Su suoli alluvionali a tessitura sabbiosa o limosa, inondati in inverso e fortemente influenzati dalla falda nella restante parte dell‟anno.

Il geosigmeto è costituito da varie fitocenosi che si sostituiscono in relazione al disturbo arrecato dalle piene invernali, alla natura delle alluvioni e alla profondità della falda. Tra le principali associazioni edafo-climatiche che lo costituiscono sono da citare:

- Salicetum albo-brutiae, boscaglie igrofile prettamente pioniere a salice bianco (Salix alba) e salice calabrese (Salix brutia), si insediano nella parte interna delle sponde fluviali.

- Alnetum glutinoso-cordatae, boschi ripali igrofili dell‟ontano nero (Alnus

glutinosa) e dell‟ontano napoletano (Alnus cordata), si insediano sulle alluvioni più stabili di natura ciottolosa o ghiaiosa;

- Angelico-Alnetum glutinosae, boschi ripali igrofili a ontano nero (Alnus glutinosa) con e angelica (Angelica sylvestris) localizzati su alluvioni stabili di natura argillosa.

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Figura 10 - Carta delle principali “Serie di Vegetazione” della Provincia di Vibo

Valentia (1 - Serie della quercia castagnara e dell’olivastro; 2 - Serie della quercia

castagnara e dell’erica; 3 - Serie del leccio con camedrio sicoilino; 4 - Serie del faggio

con agrifoglio; 5 - Serie del farnetto con citiso; 6 - Geosigmeto costiero della vegetazione

psammofila; 7 - Geosigmeto ripariale e dei fondovalle alluvionali della regione

mediterranea.

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2.2.3. HABITAT

Dalla interazione della vegetazione (fitocenosi) con la zoocenosi e con la componete abiotica dell‟ambiente sono definiti gli habitat. L‟habitat costituisce l‟ambiente (l‟insieme di fattori ambientali) in cui si sviluppa una specie o una comunità.

Gli habitat riportati in questo contributo sono stati definiti in accordo con la Direttiva CEE 43/93.

Recentemente il Ministero dell‟Ambiente ha contribuito a realizzare un “Manuale italiano di interpretazione degli habitat della direttiva CEE 92/43” che precisa e definisce il significato di ciascun habitat.

2.2.3.1. HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO DELLA DIRETTIVA CEE 92/43 PRIORITARI

La direttiva CEE 92/43, recepita in Italia dal D.P.R. n. 357 del 8.9.1997, definisce come habitat di interesse comunitario quelli inseriti nell‟allegato I della stessa direttiva. Si tratta di ambienti molto peculiari, di notevole importanza per la conservazione della biodiversità nel territorio della CEE. In particolare l‟art. 2 della su citata direttiva definisce gli habitat di interesse comunitario come ”i tipi di habitat naturali che rischiano di scomparire, per la cui conservazione l‟Unione Europea ha una responsabilità particolare a causa dell‟importanza della loro area di distribuzione naturale” Tali habitat hanno un'area di ripartizione naturale ridotta a seguito della loro regressione o per il fatto che la loro area è intrinsecamente ristretta. Essi inoltre costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle sette regioni biogeografiche presenti in Europa (alpina, atlantica, boreale, continentale, macaronesica, mediterranea e pannonica-steppica).

Alcuni di tali habitat sono considerati prioritari e riportati nell‟allegato A della direttiva CEE 92/43 con un asterisco. Tali habitat hanno notecole importanza in quanto nella designazione dei S.I.C. (Siti di Importanza Comunitaria) per la realizzazione della Rete ecologica europea “Natura 2000” i criteri utilizzati erano quelli che contenessero habitat prioritari o specie prioritarie.

Qui di seguito sono riportati gli habitat prioritari dell‟allegato A alla direttiva CEE 99/43 presenti nella Provincia di Vibo Valentia. Per ciascuno viene data una breve descrizione, ne viene illustrata l‟importanza nella strategia di conservazione della biodiversità. Viene inoltre esaminata la distribuzione, la corrispondenza con le fitocenosi e i siti SIC dove è presente l‟habitat. Nella Fig. 11 è evidenziata la distribuzione dei SIC presenti nella provincia.

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Figura 11 - Distribuzione dei SIC della provincia di Vibo Valentia. 1. IT9330089 Dune

dell’Angitola; 2. IT9340086 Lago dell’Angitola; 3. IT9340090 Fiumara di Brattirò; 4.

IT9340091 Zona Costiera fra Briatico e Nicotera; 5. IT9340092 Fondali di Pizzo

Calabro; 6. IT9340094 Fondali di Capo Cozzo-S. Irene; 7. IT9340093 Fondali di Capo

Vaticano. 8. IT9340119 Marchesale; 9. IT9340118 Bosco Santa Maria; 10. IT9340120

Lacina; 11. IT9350121 Bosco di Stilo-Bosco Archiforo

2250* Dune costiere con Juniperus spp.

Descrizione: Macchia costiera psammofila a ginepri (Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa, J. phoenicea ssp. turbinata) ed altre specie arbustive sclerofille sempreverdi. Si localizza sui cordoni dunali più stabilizzati e rappresenta la fitocenosi più evoluta del geosigmeto dunale.

Importanza: Habitat molto vulnerabile, viene facilmente distrutto dalle attività connesse allo sfruttamento turistico che comportano alterazioni della micro morfologia dunale, dall‟urbanizzazione delle coste sabbiose e dagli interventi di rimboschimento con specie estranee alla vegetazione dunale.

Distribuzione nel territorio: Si rinviene come frammento nella fascia costiera sabbiosa presso la foce del Fiume Angitola.

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Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Asparago acutifolii-Juniperetum macrocarpae, macchia psammofila delle dune fisse.

SIC dove è presente: IT9330089 Dune dell‟Angitola

3170* Stagni temporanei mediterranei

Descrizione: Piccole depressioni umide periodicamente soggette nel corso dell‟anno a temporanee sommersioni da parte di acque meteoriche che non superano alcuni centimetri. Sono interessati da una vegetazione effimera a dominanza di nanoterofite, piccole geofite ed emicriptofite.

Importanza: Gli stagni temporanei mediterranei ospitano una flora costituita da piccole igrofite effimere rare o poco comuni esclusive di questi ambienti. Si tratta di ambienti molto fragili che sono facilmente impattati da azioni quali le trasformazioni agricole del territorio.

Distribuzione nel territorio: Depressioni umide degli altopiani, depressioni ai margini dei corsi d‟acqua soprattutto nei tratti terminali in prossimità delle foci.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Rientrano in questo habitat le fitocenosi igrofile effimere degli stagni temporanei della classe Isoëto-Nanojuncetea Br.-Bl. & R. Tx. ex Westhoff et al. 1946; Vegetazione igrofila effimera a lisca setacea e centocchio dei ruscelli (Isolepido-Stellarietum alsines W. Koch ex Libbert 1932); Vegetazione igrofila effimera a zigolo nero e spergularia comune (Cypero fusci-Spergularietum rubrae Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

SIC dove è presente: IT9340120 Lacina; IT9340086 Lago dell‟Angitola.

6220* Pseudosteppe di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea

Definizione: Formazioni erbacee a dominanza di specie annuali (terofite) della fascia termo e meso mediterranea tipiche di suoli oligotrofici sia calcarei che silicei. Questo habitat si trova spesso all‟interno di formazioni erbacee perenni quali le praterie steppiche a sparto (Lygeum spartum), tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus) e barboncino (Hyparrhenia hirta).

Distribuzione nel territorio: Questo habitat prioritario è ben rappresentato nel territorio vibonese soprattutto nella fascia costiera in quella collinare, mentre diventa più sporadico in quella submontana.

Importanza: Questo habitat contribuisce in modo determinante al mantenimento degli elevati valori di biodiversità presenti nel territorio. Esso presenta un ricco corteggio di piante annuali (terofite) e di bulbose (geofite), tra le quali bisogna annoverare diverse specie di orchidee spontanee.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat: In questo habitat rientrano numerose fitocenosi a dominanza di specie annuali che possono essere complessivamente riunite in due classi di vegetazione: Vegetazione annuale termo-xerofila basifila (Thero-Brachypodietea Br.-

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Bl. 1947); Vegetazione annuale termo-xerofila acidofila (Tuberarietea guttatae (Br.-Bl.) Rivas Goday & Rivas Martinez 1963)

SIC dove è presente: IT9340086 Lago dell‟Angitola, IT9340090 Fiumara di Brattirò (Valle Rufa).

6230* Formazioni erbose a Nardus

Ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane (e delle zone submontane dell'Europa continentale)

Descrizione: Praterie chiuse mesofile, perenni, a prevalenza o a significativa partecipazione di Nardus stricta, localizzate in aree pianeggianti o poco acclivi, da collinari ad montane, sviluppate su suoli acidi, derivanti da substrati a matrice silicatica.

Distribuzione nel territorio: E presente sugli altopiani della fascia montana

Importanza: Questo habitat consente la conservazione di specie rare e peculiari legate a suoli acquitrinosi acidi come Nardus stricta. In Calabria gli ambienti acquitrinosi montani sono rari e spesso degradati in conseguenza della captazione delle acque e del pascolo intenso.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Vegetazione erbacea dell'alleanza Ranunculo-

Nardion

SIC dove è presente: IT9340120 Lacina.

7110* Torbiere alte attive

Descrizione: Ambienti umidi con acque acide e oligotrofiche caratterizzati da una vegetazione igrofila a sfagni e musci che grazie al clima particolarmente umido formano una massa di sostanza organica detta torba sulla quale si insediano piante vascolari. La torbiera si dice attiva se il processo di formazione della torba è ancora in atto.

Distribuzione nel territorio: E presente sugli altopiani della fascia montana

Importanza: Le torbiere sono ambienti unici che ospitano una diversità di forme di vita sia animale che vegetale strettamente legata a questo ambiente. Parecchie delle specie che vi si rinvengono sono considerate a rischio di estinzione per la ridotta estensione di questo ambiente e la costante pressione antropica cui è sottoposto che ne sta determinando una sempre più accentuata riduzione. Tra le specie a rischi presenti in questo habitat sono da ricordare Veronica scutellata, Potamogetom polygonifoius, e Ranunculus fontanus.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Vegetazione delle torbiere a sfagno inondato e carice stellata (Sphagno inundati-Caricetum stellulatae Brullo, Scelsi & Spampinato 2001); Vegetazione rivulare delle torbiere a brasca poligonifolia e ranuncolo fontinale

(Ranunculo fontani-Potametum polygonifolii Brullo, Scelsi & Spampinato 2001); Vegetazione fontinale a carice ascellare e osmunda regale (Carici remotae-Osmundetum

regalis Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

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SIC dove è presente: IT9340120 Lacina.

7220* Sorgenti pietrificanti con formazione di travertino (Cratoneurion)

Descrizione: Habitat a distribuzione puntiforme o lineare caratterizzato dalla presenza del muschio Cratoneuron commutatum, in grado di far depositare i sali di calcio dando origine a rocce di origine biogena.

Distribuzione nel territorio: Questo habitat si localizza in genere in valli profonde su superfici molto acclivi in corrispondenza dell‟affioramento della falda in prossimità di corsi d‟acqua.

Importanza: In questi ambienti sullo strato muscinale di Cratoneuron commutatum si insediano in genere varie pteridofite comuni come il capel venere (Adianthus capillus

veneris) ma altre rare come la felce bulbifera (Woodwardia radicans) e la pteride a foglie lunghe (Pteris vittata)

Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Vegetazione rupicola igrofila a capelvenere (Eucladio-Adiantetum Br.-Bl. ex Horvatic 1934); Vegetazione rupicola igrofila a cratoneuro e capelvenere (Adianto-Cratoneuretum commutati Privitera & Lo Giudice 1986); Vegetazione rupicola igrofila a trachelio azzurro (Trachelio-Adiantetum O. Bolòs 1957); Vegetazione fontinale basifila a cratoneuro (Cratoneuretum commutati Aichinger 1933)

SIC dove è presente: IT9340090 Fiumara di Brattirò (Valle Rufa).

91AA* Boschi orientali di quercia bianca

Descrizione: Boschi mediterranei e submediterranei a dominanza di Quercus virgiliana, Q.

dalechampii, Q. pubescens e Fraxinus ornus. Si tratta di queceti termofili, indifferenti alla natura substrato geopedologico.

Distribuzione nel territorio: è distribuito prevalente nella fascia collinare e submontana di tutta la provincia.

Importanza: Questo habitat stato frequentemente eliminato per destinare le superfici all‟agricoltura o al pascolo. In esso si localizzano varie specie forestali e nemorali, spesso con distribuzione mediterraneo orientale, che stanno divenendo sempre più rare.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Querceti decidui termo xerofili a quercia virgiliana (Quercus virgiliana); Erico-Qrcetum virgilianae; Oleo-Quercetum virgilianae

SIC dove è presente: IT9340090 Fiumara di Brattirò (Valle Rufa); IT9340086 Lago dell‟Angitola.

9180* Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion

Descrizione: Boschi misti di latifoglie mesofile decidue localizzati in forre e valli profonde caratterizzati da Acer pseudoplatanus, Fraxinus excelsior, Tilia cordata, Ulmus glabra,

Corylus avellana. Nel territorio questi boschi si arrochiscono di Acer neapolitanum e

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Ostrya carpinifolia. Sono localizzati su substrati sia calcarei che silicei in corrispondenza di macereti, depositi colluviali grossolani ai piedi di versanti.

Distribuzione nel territorio: Questo habitat è presente in alcuni valloni particolarmente umidi e freschi situati nella fascia collinare e submontana tra 400 e 1000 m di quota

Importanza: In questo habitat si localizzano alcune “latifoglie nobili” come specie del genere Carpinus, Acer, Tilia e Ulmus di notevole interesse oltre che naturalistico anche tecnologico e forestale. I Boschi di forra contribuiscono in modo determinante nel controllo della stabilità dei versanti e nel mantenimento di condizioni microclimatiche stabilmente umide e ombrose che consentono la sopravvivenza di altre fitocenosi di particolare pregio naturalistico come la vegetazione a Woodwardia radicans.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Bosco misto di nocciolo e acero napoletano (Corylo-Aceretum neapolitani Brullo, Scelsi & Spampinato); Bosco di acero napoletano con festuca maggiore (Festuco exaltatae-Aceretum neapolitani Mazzoleni & Ricciardi 1995)

SIC dove è presente: IT9340119 Marchesale.

91E0* Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Salicion albae)

Descrizione: Foreste ripali su suoli alluvionali della fascia monatana e submontana caratterizzate dalla dominanza di ontano nero (Alnus glutinosa) al quale si associano altri alberi igrofili come Fraxinus excelsior, Fraxinus angustifolia e Salix alba.

Distribuzione nel territorio: Questo habitat si localizza lungo i corsi d‟acqua perenni della fascia montana e submontana.

Importanza: Le ontanete ripali costituiscono un habitat che offre rifugio a diverse specie igrofile tra cui in particolare alcune rare felci come Osmunda regalis, Woodwardia

radicans, Dryoptersis affinis e Asplenium scolopendrium.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Boschi ripali ad ontano nero e napoletano (Alnetum glutinoso-cordatae Brullo & Spampinato 1997); Alneto a felce setifera (Polysticho-Alnetum glutinosae Brullo, Scelsi & Spampinato 2001); Alneto con euforbia corallina (Euphorbio corallioides-Alnetum glutinosae Brullo & Furnari in Barbagallo et al. 1982 )

SIC dove è presente: IT9340119 Marchesale.

9210* Faggete degli Appennini con Taxus e Ilex

Descrizione: Faggete termofile dell‟Appennino con presenza nello strato arbustivo o arboreo di tasso (Taxus baccata) e/o agrifoglio (Ilex aquifolium)

Distribuzione nel territorio: L‟habitat 9210 è nel complesso ben rappresentato in tutta la fascia montana della provincia.

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Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Faggeta macroterma oceanica ad agrifoglio ed anemone appenninica (Anemono apenninae-Fagetum (Gentile 1969) Brullo 1984 em. Ubaldi et al 1990); Faggete con tasso e agrifoglio (Ilici-Taxetum baccatae Brullo, Minissale & Spampinato 1996)

SIC dove è presente: IT9340118 Bosco Santa Maria; IT9350121 Bosco di Stilo-Bosco Archiforo; IT9340119 Marchesale.

9220* Faggete degli Appennini con Abies alba e faggeti con Abies nebrodensis

Definizione: Boschi misti di faggio (Fagus sylvatica) ad abete bianco (Abies alba) con dominanza dell'una o dell'altra specie.

Distribuzione nel territorio: L‟habitat 9220 è abbastanza diffuso in tutta la fascia montana sopra i 900-1000 m

Importanza: Questo habitat assume particolare importanza nella conservazione della particolare biodiversità rappresentata delle popolazioni meridionali di abete bianco che nelle loro caratteristiche ecologiche e morfologiche differiscono da quella tipica e sono state riferite ad una particolare sottospecie (Abies alba ssp. appenninica) (Brullo, Scelsi & Spampinato 2001). Questo particolare taxa si trova anche nell‟habitat 9510 che però è estremamente localizzato nel territorio.

Fitocenosi che rientrano in questo Habitat: Faggeta macroterma oceanica ad agrifoglio ed anemone mista ad abete bianco

SIC dove è presente: IT9350121 Bosco di Stilo-Bosco Archiforo; IT9340119 Marchesale.

9510* Foreste sud-appenniniche di Abies alba

Definizione: Boschi relitti a dominanza di abete bianco dell‟Appennino meridionale, localizzati all‟interno della fascia delle faggete.

Distribuzione nel territorio: Versanti erosi della fascia montana

Importanza: Le abetine sono formazioni relittuali la cui origine può essere fatta risalire al terziario quando sulle montagne mediterranee era ben sviluppata una fascia di vegetazione a conifere. L‟arrivo del faggio nel quaternario, in seguito ad una modificazione del clima verso una maggiore oceanicità, ha determinato l‟accantonamento di queste peculiari formazioni forestali in poche aree di limitata estensione.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat: Abetine con ipopitide (Monotropo-Abietetum apenninae Brullo Scelsi & Spampinato 2001)

SIC dove è presente: IT9350121 Bosco di Stilo-Bosco Archiforo; IT9340118 Bosco Santa Maria.

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2.3. AREE PROTETTE ISTITUITE AI SENSI DELLA LEGGE N. 394/91

La legge quadro 394/91 prevede il riconoscimento ufficiale, da parte dello Stato, delle aree protette rispondenti a determinati requisiti e stabilisce che presso il Ministero dell'Ambiente sia tenuto un Elenco ufficiale delle stesse (art. 5).

Attualmente il sistema delle aree naturali protette è articolato come segue:

Parchi nazionali

I Parchi nazionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future.

Parchi naturali regionali e interregionali

I Parchi naturali regionali o interregionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali ed eventualmente da tratti di mare prospicenti la costa, di valore naturalistico e ambientale, che costituiscono, nell'ambito di una o più regioni limitrofe, un sistema omogeneo, individuato dagli assetti naturalistici dei luoghi, dai valori paesaggistici e artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali.

Riserve naturali

Le Riserve naturali sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli elementi naturalistici in esse rappresentati.

Zone umide di interesse internazionale

Le Zone umide di interesse internazione sono costituite da aree acquitrinose, paludi, torbiere oppure zone naturali o artificiali d'acqua, permanenti o transitorie comprese zone di acqua marina la cui profondità, quando c'è bassa marea, non superi i sei metri che, per le loro caratteristiche, possono essere considerate di importanza internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar.

Altre aree naturali protette

Altre aree naturali protette sono aree (oasi delle associazioni ambientaliste, parchi suburbani, ecc.) che non rientrano nelle precedenti classi. Si dividono in aree di gestione

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pubblica, istituite cioè con leggi regionali o provvedimenti equivalenti, e aree a gestione privata, istituite con provvediementi formali pubblici o con atti contrattuali quali concessioni o forme equivalenti.

Zone di protezione speciale (Zps)

Le Zone di protezione speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/Cee, sono costituite da territori idonei per estensione e/o localizzazione geografica alla conservazione delle specie di uccelli di cui all'allegato I della direttiva citata, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.

Zone speciali di conservazione (Zsc)

Le Zone speciali di conservazione sono designate ai sensi della direttiva 92/43/Cee e sono costituite da aree naturali, geograficamente definite e con superficie delimitata che:

contengono zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, naturali o seminaturali (habitat naturali) e che contribuiscono in modo significativo a conservare, o ripristinare, un tipo di habitat naturale o una specie della flora e della fauna selvatiche di cui all'allegato I e II della direttiva 92/43/Cee, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche in uno stato soddisfacente a tutelare la diversità biologica nella regione paleartica mediante la protezione degli ambienti alpino, appenninico e mediterraneo;

sono designate dallo Stato mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale e nelle quali siano applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui l'area naturale è designata.

Tali aree vengono indicate come Siti di importanza comunitaria (Sic).

Nel territorio della Provincia di Vibo Valentia sono attualmente presenti le seguenti aree protette:

Riserva Naturale Integrale denominata Bacino dell‟Angitola di 794,36 ha di superficie, istituita con decreto del M.A.F. del 30.9.95 e classificata anche come area umida di interesse internazionale.

Riserva Naturale Biogenetica di Cropani-Micone, in comune di Mongiana, di 249,89 ha di superficie, istituita con decreto M.A.F. del 13.7.77;

Riserva Naturale Biogenetica di Marchesale, nei comuni di Arena e Acquaro, di 1314,89 ha di superficie, istituita con decreto M.A.F. del 13.7.77.

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Tabella 4 – Elenco Aree protette istituite in Provincia di Vibo Valentia

AREE PROTETTE P.N.R. Delle

Serre R.N.S. Cropani Micone

R.N.S. Marchesale

A.A. Lago dell‟Angitola

Comune Serra San Bruno, Fabrizia, Spadola, Mongiana, Soriano Calabro.

Mongiana (VV)

Acquaro (VV), Arena (VV).

Maierato (VV), Monterosso Calabro (VV).

2.3.1 PARCO NATURALE DELLE SERRE

Il Parco Naturale Regionale delle Serre, istituito con legge regionale n 48 del 5 maggio 1990, si estende su un territorio di 17.687 ettari. L‟area ricadente nella provincia di Vibo Valentia ammonta a 10.021,91 ettari, comprensiva anche della zona umida di valore internazionale del Lago dell‟Angitola la cui estensione è di 794,36 ettari, la quale anche se posta fuori dalla sua continuità territoriale, ne fa parte.

L‟area del Parco delle Serre, istituito ai sensi della Legge Regionale n°10 del 14/07/03, comprende i valori naturalistici, culturali storici e antropologici che concorrono a determinare il toponimo delle Serre. Il territorio del parco comprende le abetine, pure e miste di abete bianco, le pinete di pino laricio, le faggete, i castagneti, i pioppeti, i querceti.

2.3.1.1. HABITAT SENSIBILI E VULNERABILI

All‟interno del PNR delle Serre, vengono individuati ben quattro Siti di interesse Comunitario (SIC), rispettivamente :

1. Bosco Santa Maria

2. Lacina

3. Stilo-Archiforo

4. Lago Angitola.

Tali aree ammontano in totale a 6630,67 ha ed occupano il 66,16 % della superficie del PNR delle Serre ricadente nella provincia di Vibo Valentia, la cui superficie è di 10021,91 ha.

Il Bosco Santa Maria, avente codice sito IT 9340118, si estende a sud ovest del paese di Serra San Bruno, ha una superficie di 806,40 ha ed occupa, rispetto all‟area a Parco, il

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4,03%. Esso è caratterizzato dall‟habitat 9220*, Faggete degli Appennini con Abies alba e faggeti con Abies nebrodensis ( cfr. paragrafo 2.2.3.1. ) dove la specie più importante è Canis lupus.

L‟importanza che il SIC “Lacina” ha nel contesto regionale e nazionale è dovuto al fatto che è una delle poche zone umide montane meridionali, ad alta concentrazione di specie rare, relitte e a limite di distribuzione e alla elevata ricchezza di habitat che esso contiene. La Pianura della Lacina, avente codice sito IT 9340120, ha una superficie di 326,32 ha ed occupa rispetto alla superficie totale del Parco il 1,75%. Essa comprende l‟habitat 9220* Faggete degli Appennini con Abies alba e faggeti con Abies nebrodensis (cfr. paragrafo 2.2.3.1.), l‟habitat 9210* Faggete degli Appennini con Taxus e Ilex (cfr. paragrafo 2.2.3.1.). La Lacina, fa parte del comprensorio montano delle Serre Calabre e si trova ad un‟altitudine tra 970 - 1028 m. Dal punto di vista Idrologico nasce dal bacino del torrente Alaco.

Al suo interno si trova l‟unica popolazione calabrese di Menyanthes trifoliata che si trova al limite meridionale del suo areale. Per quanto riguarda la flora, in questa vasta pianura sono presenti più di 300 specie, di cui circa il 26 % è rappresentato da specie rare. Numerose specie sono di interesse fitogeografico. I principali habitat sono rappresentati dalle: faggete, alnete arbusteti xerofili. Più esternamente all‟area troviamo anche delle Pinete ed incolti. Vivono inoltre popolazioni di alcune specie rare come Carex rostrata, Carex sp.pl.,

Il bosco Stilo-Archiforo, avente codice sito IT9340121, è situato nel territorio del Comune di Serra San Bruno, ha una superficie di 4.703,59 ha ed occupa rispetto alla superficie totale del Parco il 26,50%. Esso è caratterizzato dall‟habitat 7110*, Torbiere alte attive (cfr. paragrafo 2.2.3.1.), dove le specie più importanti sono Lereschia, thomasii Rhinolophus hipposideros, Canis lupus Amphibians Birds, Epomis. Esso rappresenta una delle più significative testimonianze dell‟originario paesaggio boscato delle Serre. E‟ un raro esempio di formazione praticamente pura a disseminazione naturale di antichissime origini digradante lungo le pendici occidentali del monte Pietra del Caricatore. Il bosco è dominato dall‟abete bianco che è presente con esemplari colossali, nella parte superiore, in prossimità della vetta, si associa al faggio. Altra caratteristica peculiare è la presenza del gatto selvatico e di numerosi branchi di cinghiali.

L‟oasi naturalistica del lago dell‟Angitola è una delle riserve più importanti del mediterraneo. Il lago fu creato artificialmente nel 1966 sul vecchio alveo del fiume Angitola, che nasce a Capistrano, dal Reschia, proveniente da S. Nicola e dal torrente Nia, che attraversa Maierato. Situato nel territorio di Maierato, lungo il corso del fiume Angitola, il lago si trova all‟estremità meridionale della Piana di Sant‟ Eufemia. Il territorio dell'oasi ricade, nei comuni di Francavilla Angitola, Maierato, Monterosso Calabro, Pizzo Calabro e Polia.

Fu vincolato come oasi con D.P.G.R. n. 557 del 12/05/1975. Attualmente la gestione dell'oasi è affidata al WWF Italia. Il lago è vincolato a zona di protezione della fauna ed è dichiarato “zona umida di valore internazione” ai sensi della convenzione di RAMSAR (D.M. 30/09/1985). Il lago si inserisce bene in quella che fu, probabilmente nel

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quaternario, una conca lacustre. Esso occupa una superficie di 794,36 ha, occupa rispetto alla superficie del Parco il 4,8% (è lungo 3,5 kmq, largo 1,5 Km), ha una profondità massima di 29 m., contiene 21.000.000 metri cubi di acqua.

Il lago è circondato da declivi ricoperti da uliveti, da macchia mediterranea ed una fascia di rimboschimento, con predominanza di Pino d‟Aleppo, mentre: Pioppi neri, Cannucce Tife, Salice bianco, Ontani Neri, Mazze Sorde crescono sulla riva, dando vita a lembi di bosco idrofilo e piccole paludi. Crescono sulla riva anche Eucalipti e Querce da sughero.

Questa magnifica oasi, per le sue particolari condizioni climatiche e l‟abbondanza di cibo, vede la presenza di di oltre cento specie diverse di uccelli, tra cui spiccano : il Falco Pescatore, il Falco di Palude, l‟Airone bianco maggiore, l‟Airone Rosso, l‟Airone cenerino, il Cormorano, la Garzetta, il Germano reale, il Gabbiano Corallino, il Mignattaio, la Spatola, lo Svasso Maggiore, che qui trovano il luogo ideale per una sosta e per la riproduzione. In autunno e primavera transitano grandi flussi migratori di uccelli e in inverno si riscontra la maggior concentrazione di uccelli svernanti.

L'oasi, pur essendo riconosciuta “zona umida di valenza internazionale” ai sensi della citata convenzione, non risultava però area protetta nazionale ai sensi della 394/91 e pertanto è stata inglobata nel perimetro del Parco. Il lago infatti presenta un alto grado di vulnerabilità poiché è un ambiente artificiale in cui la gestione della variazione delle acque è fondamentale per il mantenimento delle caratteristiche delle catene trofiche acquatiche a della vegetazione di sponda, importante per la nidificazione degli uccelli, anatidi in particolare.

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Figura 12 - Siti di interesse comunitario presenti nell’area del Parco e relative superfici

(la superficie del PNR delle Serre è quella generale).

All‟interno del Parco Naturale Regionale delle Serre l‟attività venatoria è vietata, in osservanza a quanto stabilito dalla Legge Regionale n. 48 del 5 maggio 1990 con la quale è stato istituito il Parco, che all‟art. 7 comma 4d detta le norme specifiche, in accordo con la Legge quadro 394/91 art. 22 comma 6, non essendo state autorizzate attività di prelievo faunistico e/o abbattimento selettivo.

PNR delle Serre 10.021,91 ha

Bosco Santa Maria 806,40 ha

Pianura delle Lacina 326,32 ha

Bosco Archiforo 4.703,59

Oasi dell'Angitola 794,36 ha

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2.4. SITI RETE NATURA 2000

I siti caratterizzati dalla presenza di habitat di interesse comunitario o che ospitano popolazioni significative di specie animali e vegetali di interesse comunitario fanno parte della Rete "Natura 2000", istituita dalla Direttiva "Habitat". Più in dettaglio fanno parte della Rete "Natura 2000":

- i siti candidabili ai sensi della Direttiva "Habitat", denominati dapprima S.I.C. (cioè Siti di Importanza Comunitaria) e, una volta approvati dai singoli Stati membri, denominati Z.S.C. (Zone Speciali di Conservazione);

- le cosiddette Z.P.S. (ossia Zone di Protezione Speciale), designate a norma della Direttiva "Uccelli" perché ospitano popolazioni significative di specie ornitiche di interesse comunitario.

L'attivazione della Rete Natura 2000 è ormai quasi completata:

- gli Stati membri dell'Unione Europea hanno indicato tutti i siti potenzialmente candidabili (p.S.I.C.) e stanno ultimandosi i lavori delle diverse Conferenze biogeografiche che, per ogni regione biogeografica europea, elaborano le liste finali dei S.I.C. che saranno approvate dalla Commissione Europea; entro sei anni dall'approvazione di queste liste, gli Stati membri (per l'Italia il Ministero dell'Ambiente), dovranno infine ufficialmente designare tali siti come Zone Speciali di Conservazione (Z.S.C.), sancendone così l'entrata nella Rete "Natura 2000";

- una volta approvate, le Zone di Protezione Speciale della Direttiva "uccelli" entrano invece automaticamente a far parte della rete Natura 2000 e su di esse si applicano pienamente le indicazioni della Direttiva "Habitat" in termini di tutela e gestione; al momento lo Stato italiano deve ancora redigere (attraverso le indicazioni fornite dalle Regioni) la lista definitiva delle Z.P.S..

La Regione Calabria, nell'ambito del PIS Rete Ecologica Regionale - Misura 1.10 del POR Calabria 2000/2006, ha disposto i finanziamenti necessari alle cinque Province calabresi per la redazione dei piani di gestione dei siti Natura 2000 compresi nel territorio provinciale di appartenenza, ma non compresi all'interno dei confini di aree naturali protette già istituite (Parco regionale delle Serre); Sono in fase di redazione i piani di gestione delle ZPS, che il Dipartimento Politiche dell'Ambiente ha affidato, alle Amministrazioni provinciali.

2.4.1 ZONE DI PROTEZIONE SPECIALE

La direttiva comunitaria 79/409/CEE, chiamata direttiva "Uccelli" prevede una serie di azioni per la conservazione di numerose specie di uccelli, indicate negli allegati della Direttiva stessa, e l'individuazione da parte degli Stati membri dell'Unione Europea, di aree da destinarsi alla loro conservazione, le cosiddette Zone di Protezione Speciale (ZPS).

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Il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio dopo aver ricevuto comunicazione con l'elenco delle ZPS individuate dalle singole regioni e dalle provincie autonome di Trento e Bolzano, ha pubblicato il DECRETO 25 marzo 2005. In allegato a questo decreto è riportato l'elenco delle zone di protezione speciale classificate ovvero istituite ai sensi della direttiva 79/409/CEE.

L'elenco generale di dette Zone è possibile trovarlo nell' Allegato A - Zone di protezione speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del Decreto 3 aprile 2000 - Ministero dell'Ambiente - Supplemento ordinario N. 65 alla GAZZETTA UFFICIALE 22-4-2000 - Serie generale - n. 95

Qui di seguito si riporta una tabella riepilogativa con l‟elenco dei SIC, ZSC e ZPS ricadenti nella Provincia di Vibo Valentia.

Tabella 5 – S.I.C., Z.S.C. e Zone di Protezione Speciale della Provincia di Vibo Valentia

CODICE SITO DENOMINAZIONE COMUNI Divieto di caccia

IT9340086 Lago dell‟Angitola Maierato,Pizzo, Monterosso

SI

IT9340090 Fiumara di Brattirò (Valle Rufa)

Drapia, Ricadi, Spilinga

NO

IT9330089 Dune dell‟Angitola Pizzo NO

IT9340091 Zona Costiera fra Briatico e Nicotera

Briatico –Nicotera (VV)

NO

IT9340092 Fondali di Pizzo Calabro Pizzo Calabro (VV)

----

IT9340093 Fondali di Capo Vaticano Ricadi ----

IT9340094 Fondali di Capo Cozzo-S. Irene

Briatico,Vibo Valentia

----

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IT9340118 Bosco Santa Maria Serra S: Bruno SI

IT9340119 Marchesale Acquaro-Arena (VV)

SI

IT9340120 Lacina Brognaturo SI

IT9340121 Bosco di Stilo-Bosco Archiforo

Serra S. Bruno, stilo

SI

COMPLETARE LA COLONNA DEI COMUNI

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2.5. ISTITUTI FAUNISTICI ISTITUITI AI SENSI DELLA LEGGE N. 157/92 E DELLA L.R. 17

MAGGIO 1996, N.9 ED ALTRE SUPWERFICI IN DIVIETO DI CACCIA: DISTRIBUZIONE,

CARATTERISTICHE E PROBLEMATICHE

2.5.1. ZONE DI PROTEZIONE LUNGO LE ROTTE DI MIGRAZIONE (ZPM)

La Provincia di Vibo Valentia annoverava una sola ZPM, denominata Stefanaconi, situata nell‟omonimo comune, e di superficie pari a 1.220 ha, istituita con Del. G.R. n. 4715 del 29/01/1993.Tale ZPM è stata abolita con Delibera della Giunta Regionale.

2.5.2. CENTRI PUBBLICI DI PRODUZIONE DI SELVAGGINA (CPS)

Nel territorio provinciale esiste un solo CPS, situato all‟interno del complesso demanilae di Pecoraro, nel comune di Mongiana, di superficie pari a 300 ha. Il centro produce cinghiali, allevati in apposite strutture recinatate.

2.5.3 FORESTE DEMANIALI E AREE RIMBOSCHITE

Ai sensi dell‟art. 21, comma 1 lett. C) della legge n. 157/1992 nelle foreste demaniali è vietato l‟esercizio dell‟attività venatoria, ad eccezione di quelle, che secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell‟ISPRA (ex INFS), non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica.

L‟art. 15 della L.R. n. 9/1996 conferma i divieti contenuti nella sopracitata legge Nazionale.

Secondo i dati dell‟Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Vibo Valentia, le foreste demaniali presenti sul territorio provinciale sono tutte regionali, occupano una superficie pari a 2.680 ettari e sono le seguenti:

La Lacina (Comune di Brognaturo 358 ha) ricadente nel Parco delle Serre

Bruno Grillo e San Mauro (Comune di Fabrizia 615 ha) ricadente nel Parco delle Serre

Fallà (Comune di Filogaso 192ha e Comune di Nicola da Crissa 103 ha)

Prasto (Comune di Gerocarne 635 ha, Comune di Serra San Brune 43 ha, Comune di Spatola 37 ha) ricadente nel Parco delle Serre

Pecoraro (Comune di Mongiana 248 ha) ricadente nel Parco delle Serre

Morrone (Comune di Pizzoni 293 ha) ricadente nel Parco delle Serre

Le Divise (Comune di Spadola 156ha) ricadente nel Parco delle Serre

Oltre alle foreste demaniali esistono 4.357 ha di aree rimboschite in base a programmi regionali, anch‟esse in divieto di caccia, sia ai sensi della L. 157/92, sia ai sensi del R.D. n.

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3267/1923. Di tali superfici 3.300 ha sono al di fuori del PNR delle Serre, mentre i restanti 1.057 ha sono all‟interno del parco e quindi già computati.

2.5.4. ALTRI ISTITUTI FAUNISTICI DI PROTEZIONE DELLA FAUNA

Al momento della redazione del Piano non esistono sul territorio provinciale altri istituti faunistici destinati alla protezione della fauna tra quelli individuati dalla L.157/92 e dalla l.r. 9/96, quali le Zone di ripopolamento e cattura, le Oasi di protezione, le aree di rispetto intorno ai valichi montani individuati dalle Regioni.

2.6. MIGLIORAMENTI AMBIENTALI REALIZZATI

Non è stato realizzato alcun tipo di miglioramenti ambientale.

2.7 RIPOPOLAMENTI EFFETTUATI DAGLI A.T.C. VIBO VALENTIA 1 E VIBO VALENTIA 2

Dati relativi alle attività di ripopolamento od immissione di fauna selvatica sono disponibili soltanto per l‟anno 2009.

Da alcuni in Provincia di Vibo Valentia non sono state effettuate immissioni di cinghiale.

L‟attività dei due A.T.C. in merito alle immissioni di piccola fauna stanziale finalizzate al ripopolamento è sintetizzata nelle tabelle seguenti

Ripopolamenti effettuati dall‟ATC VV1 nell‟anno 2009:

COMUNI

SPECIE

N° ESEMPLARI

ZONE

Francavilla Angitola Fagiano 30 S. Martino

Spadola Fagiano 25 Morrone

Simbario Fagiano 25 Pietre Bianche

San Nicola da Crissa Fagiano-Coturnice 25-10 Lacco del yazzo - Lorizzi

Ionadi Fagiano 25 Mancusi

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77

Brognaturo Fagiano 25 Pippo

San Costantino Fagiano 25 Vaiia-Scagliola

Stefanaconi Fagiano- Leprotti (2 coppie)

25 Gallo-S. Sosti

Monterosso Fagiano 25 Lonzaria-Ligoni

Sorianello Fagiano 30 Dalì

Vallelonga Fagiano-Coturnice 25-10 Carcari-Coste Abbandonate

Filadelfia Fagiano-Coturnice- Leprotti (3 coppie)

25-10 Sgarro

Palermi

Vibo Valentia (fraz. Piscopio)

Fagiano-Coturnice 30-30 Iacò

Vibo Valentia (Fraz. Triparni)

Fagiano-Coturnice 20-20

Pizzoni Fagiano-Coturnice 25-10 Peppè-Timpa Liscia

Vazzano Fagiano-Coturnice 25-40 Madama-Polla-Posto-Signora

Francica Fagiano 30 Campo

Pizzo Fagiano-Coturnice-Leprotti (3 coppie)

20-10 Scrisi

Serra San Bruno Fagiano 25 Croce Ferrata-Guido

Polia Fagiano 30 Mercato

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78

Maierato Fagiano-Leprotti (4 coppie)

30 Castagneto-Rocca

San Nicola-Corazzo

Sant‟Onofrio Fagiano-Cotunice 25-10 Fego- Palombaro

Filogaso Fagiano 25 Lago-Urta

San Gregorio d‟Ippona Fagiano 30 Cervo

Capistrano Fagiano 25 Cerasara-Chiallarello

Soriano Fagiano-Coturnice-Leprotti (3 coppie)

20-10 Sabatino

TOTALE FAGIANI N° 645 COTURNICI N° 160 LEPROTTI N° 15 COPPIE

Ripopolamenti effettuati dall‟ATC VV2 nell‟anno 2009:

COMUNI

SPECIE

N° esemplari

ZONE

Mileto Fagiano-Coturnice-Lepre

136-50- 4 coppie

Curricolo, Fego, Cardidi, Malifusti, Marinaro, Mandra, Iori, Ventaglia, Momma, Finocchio, Ferruggio

Filandari Fagiano-Coturnice-Lepre

72-40-3 coppie Palumbaru, Scaliti, Grande Pietra, Ficareda, Occhio di Mari

San Calogero Fagiano- 68-10-2 coppia Le Querce, Conturella, Porello, Machina,

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79

Coturnice-Lepre Palumbaru

Dinami Fagiano-Coturnice-Lepre

68-30-3 coppie C/da Umbro, Monsoreto, C/da Croce, Breo, Marazziti-Breo

Zungri Fagiano-Coturnice-Lepre

64-30-3 coppie Arghellusa, Paolina, Nicapudi, Martidi, Petrosi, Nicapudi, Contura

Zaccanopoli Fagiano-Coturnice-Lepre

72-30-4 coppie Agrilloni, Foculio, Ex compattatore, Timpa a Porta, Guardia

Parghelia Fagiano-Coturnice

56-40 Piana Fitili

Drapia Fagiano-Coturnice-Lepre

92-60-4 coppie Scrizzi, Petti i Caria, Minotari, San Cosmo, C/da Spaccio, Apparizione Gesù, Monaci, S. Isidoro, Marrì, Mammina

Spilinga Fagiano-Coturnice-Lepre

84-50-2 coppie Criti, S. Luisi, Cuniti, Martino, Fiumara Ruffa, Cimitero, Pietra Grande

Ricadi Fagiano-Coturnice-Lepre

89-50-2 coppie Padellaro, Umbri, Serbatoio, Petti di Lupo, Rovereto, Sferruzza, Pantano, Torretta, Capra bianca, Ceramiti

Zambrone Fagiano-Coturnice-Lepre

72-20-3 coppie Medico, Daffinacello, Giardino, Daffinà, Cucummarara, Runci

Briatico Fagiano- 76-50-3 coppie Piana San Leo, Chiesiola, Bivio

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80

Coturnice-Lepre Potenzoni, Briatico Vecchio, Puiastro, S. Rocco

Cessaniti Fagiano-Coturnice-Lepre

72-50-3 coppie Castellana, Batia, Livito, S. Andrea, Cava, Grancara, Grutta

Nicotera Fagiano-Coturnice-Lepre

72-30- 2 coppie Madonna a Grazia, Fontana Vecchia, Valeri, Poima Scianco, Casa bianca

Ioppolo Fagiano-Coturnice-Lepre

89-50- 4 coppie Baronia, Parnaso, Quaranta, Petto a resca, Petti Coccorino, Torre

Limbadi Fagiano-Coturnice-Lepre

72-10-3 coppie Cataldo, Costa della Pugliesa, Cardenusa, S. Andrea, Cimitero vecchio, C/da Masenzio

Rombiolo Fagiano-Coturnice-Lepre

72-10-3 coppie Propani, Acquabianca, Petto a casa, Cucco, Condotti, Santa Croce

Acquaro Fagiano-Coturnice-Lepre

68-20-3 coppie Monaci, Carrà, Grancito, Cuzzi

Dasà Fagiano-Coturnice-Lepre

64-10-2 coppie Chiusa, Bracciata, Maguli

Gerocarne Fagiano-Coturnice-Lepre

72-30-3 coppie Centofontane, Ariola, Pardinella, C/da Pozzo, Seriata

Arena Fagiano-Coturnice-Lepre

60-10-2 coppia Piani di Arena, Giogà

Mongiana Fagiano- 60-20- 2 coppia Allaro, Inticco

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Coturnice-Lepre

Fabrizia Fagiano-Coturnice-Lepre

60-20- 2 coppia C/da Rina, C/da Cilia, Cuture

Nardodipace Fagiano-Coturnice-Lepre

60-30- 4 coppie Bosco Grifi, Liegoli, Occhio, Gremi

TOTALE FAGIANI N° 1770 COTURNICI N° 750 LEPROTTI N° 66 COPPIE

Complessivamente sono stati immessi 2415 soggetti di fagiano, 910 coturnici e 162 lepri. Le densità di immissione per 100 ha di SASP sono state pari a 2,2 fagiani 0,8 coturnici e 0,15 lepri. Si può quindi affermare che l‟intensità di ripopolamento è stata moderata.

2.8. CENTRI DI RECUPERO PER LA FAUNA SELVATICA AUTORIZZATI;

Non esistono Centri di recupero per la fauna selvatica autorizzati nel territorio della Provincia di Vibo Valentia.

Qui di seguito si riporta una breve descrizione ed i dati relativi all‟attività di recupero dei due centri esistenti nella Regione Calabria in quanto di interesse per una migliore descrizione delle specie ornitiche presenti nel territorio provinciale.

Il Centro di Recupero Animali Selvatici (CRAS) del Comitato Italiano per la Protezione degli uccelli Rapaci (CIPR) è una realtà importante per il soccorso agli animali selvatici in difficoltà e rappresenta il punto di riferimento più significativo della regione per la cura di centinaia di animali di ogni specie (soprattutto uccelli rapaci) e per l'affidamento di specie protette sottoposte a sequestro giudiziario.

Per ogni animale portato al CRAS, accompagnato o meno da un verbale di consegna, a seconda che il recupero sia avvenuto ad opera di un corpo di polizia (CFS, Carabinieri ecc.) o meno, viene compilata una scheda di ingresso paragonabile ad un modulo di accettazione e ricovero che alla fine della degenza diverrà una sorta di cartella clinica del ricoverato. Tutti i dati, annualmente, sono elaborati ed utilizzati per analisi statistiche. Gli animali ricoverati dal 1987 ad oggi sono stati 1450. E‟ molto importante che durante il tempo trascorso al Centro gli animali non si abituino all'uomo, che non si creino situazioni di dipendenza e di confidenza altrimenti verrebbe messa in discussione la possibilità, una volta ristabilitisi fisicamente, di essere liberati.

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CENTRI RI RECUPERO IN CALABRIA

CENTRO RECUPERO ANIMALI SELVATICI

Via Vinicio Cortese, Parco della Biodiversità Mediterranea, Catanzaro

CENTRO RECUPERO ANIMALI

SELVATICI Istituto Todaro, Contrada Lacone di Rende (Cosenza)

I dati inerenti la fauna soccorsa nel periodo 2003/2009, sintetizzati nel grafico seguente, evidenziano come le specie oggetto di recupero e invio ai centri di recupero extra-provinciali si riferiscono esclusivamente a uccelli, mentre del tutto assenti sono i mammiferi e i rettili. Nella tabella 6 sono invece riportati i dati annuali di tali soccorsi.

Figura 13 – rappresentazione grafica del numero di volatili soccorsi dall'anno 2003

all'anno 2009

N° esemplari soccorsi (2003-2009)

Airone bianco

Airone rosso

Allocco

Assiolo

Barbagianni

Cicogna bianca

Civetta

Falco pellegrino

Fenicottero

Gabbiano comune

Gabbiano reale

Gazza

Germano Reale

Gheppio

Gruccione

Poiana

Rondone Comune

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Tabella6 – Numero ed elenco dei volatili soccorsi dall'anno 2003 all'anno 2009

Specie Nome scientifico 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Tot. esemplari

Airone bianco Egretta alba 1 1

Airone rosso Ardea purpurea 1 1

Allocco Strix aluco 1 2 3 6

Assiolo Otus scopus 1 1

Barbagianni Tyto alba 6 6

Cicogna bianca ciconia ciconia 1 1

Civetta Athene noctua 3 3

Falco pellegrino Falco peregrinus 1 1 2 4

Fenicottero Phoenicopterus ruber 1 1

Gabbiano comune Larus ridibundus 1 1

Gabbiano reale Larus cachinnans 1 1

Gazza Pica pica 1 1

Germano Reale Anas plathyrhynchos 1 1

Gheppio Falco tinnunculus 2 1 1 4

Gruccione Mepops apiaster 1 1

Poiana Buteo buteo 7 1 2 6 3 19

Rondone Comune Apus apus 1 1

Totali 25 1 2 3 0 12 10 53

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2.9. ASSETTO FAUNISTICO: IL QUADRO REGIONALE

La Calabria è una regione particolarmente importante dal punto di vista faunistico. La sua posizione geografica la rende un passaggio obbligato per la quasi totalità delle specie migratrici che utilizzano il territorio nazionale o provenienti dai Balcani per raggiungere l‟Africa. Inoltre rappresenta l‟estrema propaggine meridionale dell‟areale di distribuzione di molte specie di mammiferi ed uccelli stanziali.

Il territorio provinciale è interessato da continui ed imponenti flussi di specie migratrici; qui passa la più importante rotta di migrazione italiana e la terza del Paleartico Occidentale, infatti tutte le specie di uccelli che attraversano il Mediterraneo centrale utilizzano quest‟area per ridurre il tratto di mare aperto da sorvolare per raggiungere il territorio siciliano e quindi l‟Africa.

Annualmente, durante la migrazione pre-nuziale, nell‟area dello Stretto di Messina vengono censiti mediamente 27000 rapaci e cicogne (dato medio relativo alle osservazioni del periodo 1996-2008, GIORDANO et al.), per l‟area si stima un transito di oltre 40-45000 individui (CORSO, 2005). I conteggi massimi giornalieri danno valori di diverse migliaia di individui (9343 falchi pecchiaioli il 5-5-2000, ZALLE & BILDSTEIN, 2000; CORSO, 2001; GIORDANO, dati WWF inediti) e, includendo anche i passeriformi, si superano le decine di migliaia. Il passaggio dei rapaci e delle cicogne durante la migrazione post-nuziale risulta più diluito nel tempo e nello spazio, infatti il fronte utilizzato e notevolmente più ampio ed il passaggio è apprezzabile da metà-fine luglio a inizio-metà novembre, con picchi nell‟ultima decade di agosto e tra la seconda e la terza di settembre.

Lo Stretto di Messina è uno dei 106 siti (bottle neck) nel mondo nei quali vengono regolarmente censiti più di 10000 rapaci, e tra i siti italiani è sicuramente il più importante; a livello europeo solo nello stretto di Gibilterra (>100.000 rapaci) ed a Eliat in Israele (>1.000.000) si registrano numeri più alti.

La conformazione geografica del territorio provinciale favorisce il concentramento degli uccelli migratori in due zone specifiche:

il tratto della dorsale appenninica che va da Colle di Monaco a Monte Contessa (Provincia di Catanzaro), passando per Monte Mozzucolo, Monte Cucco e Monte Coppari;

l‟area di Capo Vaticano utilizzata come approdo e punto di lancio dai migratori che utilizzano l‟arco eoliano.

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Figura 14. - Principali rotte di migrazione europee

Questa porzione del territorio nazionale è l‟area più importante per gli accipitriformi, falconiformi e ciconiformi, sia a livello nazionale che per il Mediterraneo centrale. Censimenti regolari danno un valore medio di 27828 rapaci censiti negli ultimi 12 anni. Le specie censite sono 37, ovvero la quasi totalità delle specie di rapaci del paleartico occidentale.

I dati riportati in tabella sono il risultato delle osservazioni effettuate sullo Stretto, infatti per le aree limitrofe non esistono dati a cui fare riferimento.

Tabella 9 – Specie di rapaci e cicogne osservate nel periodo 1996-2008. (Da Giordano A.

et. al. modificato)

Nome volgare Nome scientifico Somma Media

1 Pecchiaiolo Pernis apivorus 293851 22604

2 Nibbio bianco Elaneus caeruleus 1

3 Nibbio reale Milvus milvus 38 3

4 Nibbio bruno Milvus migrans 8517 655

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5 Grifone Gyps fulvus 22 4

6 Monaco Aegypius monachus 2

7 Capovaccaio Neophron percnopterus 67 6

8 Biancone Circaetus gallicus 38 3

9 Falco pescatore Pandion heliaetus 190 17

10 Falco di palude Circus aeruginosus 26859 2066

11 Albanella reale Circus cyaneus 366 28

12 Albanella minore Circus pygargus 4453 343

13 Albanella pallida Circus macrourus 842 65

14 Astore Accipiter gentilis 7

15 Sparviere Accipiter nisus 177 14

16 Sparviere levantino Accipiter brevipes 1

17 Poiana Buteo buteo buteo 953 73

18 Poiana delle steppe Buteo b. vulpinus 275 25

19 Poiana codabianca Buteo rufinus 100 9

20 Aquila anatraia maggiore Aquila clanga 2

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21 Aquila anatraia minore Aquila pomarina 16 2

22 Aquila reale Aquila chrysaetos 28 4

23 Aquila imperiale Aquila heliaca 1

24 Aquila delle steppe Aquila nipalensis 1

25 Aquila minore Hieraaetus pennatus 244 20

26 Aquila del Bonelli Hieraaetus fasciatus 7

27 Gheppio Falco tinnunculus 6387 491

28 Grillaio Falco naumanni 776 60

29 Falco cuculo Falco vespertinus 6093 469

30 Falco dell'Amur Falco amurensis 3

31 Smeriglio Falco columbarius aesalon 21 3

32 Lodolaio Falco subbuteo 1806 139

33 Falco della regina Falco eleonorae 276 25

34 Pellegrino Falco peregrinus 170 15

35 Pellegrino artico Falco peregrinus calidus 62 6

36 Lanario Falco biarmicus feldeggi 9

37 Sacro Falco cherrug cherrug 13 1

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Accipitridae non id. 4298

Falconidae non id. 1927

Cicogna bianca Ciconia ciconia 2069 159

Cicogna nera Ciconia nigra 759 58

Ciconia sp. 32

Totale 361759 27828

Il transito principale è quello pre-nuziale, al quale si riferiscono i dati sopra riportati, in migrazione post-nuziale le osservazioni non sono state effettuate con continuità e i dati si riferiscono solo a pochi anni. I conteggi danno valori inferiori sia perché le osservazioni abbracciano periodi di tempo più limitati, sia perché la migrazione post-nuziale avviene su un fronte ampio e quindi più difficile da gestire.

Molte specie di mammiferi trovano in Calabria un limite fisico alla loro diffusione verso sud: lo Scoiattolo meridionale (Sciurus vulgaris meridionalis), il Lupo (Canis lupus), il Tasso (Meles meles), la Faina (Martes foina), il Capriolo italico (Capreolus capreolus

italicus).

Per l‟analisi della situazione faunistica della provincia di Vibo Valentia si è fatto riferimento, non essendo oggetto dell‟incarico la realizzazione di rilievi di campagna, alle informazioni desunte dalla bibliografia esistente e dal precedente Piano faunistico venatorio provinciale 1998. Il lavoro si basa su dati di censimenti e studi effettuati a livello nazionale o europeo da varie organizzazioni, che seppur difficilmente utilizzabili per una pianificazione di livello locale, ci consentono di ricavare dei trend demografici e delle stime di popolazione sufficientemente attendibili.

I dati sulla migrazione dei rapaci sono il risultato dei censimenti effettuati da varie associazioni (LIPU, WWF, MAN, ecc.); per altri gruppi di specie si è fatto riferimento alle banche dati del Ministero dell‟Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare o alle osservazioni raccolte personalmente.

L‟elaborazione dei dati ha consentito di stilare le liste degli uccelli e dei mammiferi presenti sul territorio provinciale. Per l‟avifauna accanto ad ogni specie, laddove disponibile, è riportato lo status.

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2.9.1 QUADRO CONOSCITIVO DELLE SPECIE PRESENTI IN AMBITO PROVINCIALE

2.9.1.1. AVIFAUNA

Le conoscenze relative a questa classe sono riunite nella Check-list degli uccelli della

Calabria aggiornata a gennaio 1993, di Scebba et al. (1992-93), da questo lavoro sono state estrapolate le informazioni relative alla provincia di Vibo Valentia. Lo status delle specie presenti sul territorio provinciale è stato aggiornato al 2009 con i dati presenti in bibliografia.

Per l‟ordine sistematico e la nomenclatura ci si è attenuti alla Check-list degli uccelli italiani (Brichetti & Massa, 1984).

Le specie di cui è accertata la presenza nella Provincia sono 261 (19 ordini e 58 famiglie). Ad oggi 111 specie sono nidificanti (B), di cui 102 regolari, 3 irregolari (B irr), per 6 specie la nidificazione è da accertare (B?). Le specie svernanti (W) sono 72, di cui 52 regolari (W) e 16 irregolari (W irr), 210 sono migratrici (M), di queste 21 in maniera irregolare (M irr). Le specie di comparsa accidentale (A) sono 12. Per molte specie le informazioni si riferiscono a porzioni limitate del territorio provinciale o a singole osservazioni, per una migliore definizione dello status è necessario avviare una campagna di indagine specifica

L‟elenco completo delle specie è riportato nell‟allegato 2 del volume ALLEGATI al Piano faunistico provinciale.

Nella 8a colonna di destra, è indicato lo status legale delle specie presenti. 78 specie risultano inserite nell‟allegato I della direttiva “Uccelli” (dir. 79/409/CEE), 170 specie risultano inserite nell‟allegato 2 della convenzione di Berna (1979), 129 specie risultano inserite nell‟appendice 2 della convenzione di Bonn (1979).

Secondo la lista rossa degli uccelli italiani (Calvario, 1999) 3 specie (Albanella reale, Falco pescatore e Gru) risultano inserite nella categoria “Ex” - estinte come nidificanti sul territorio provinciale e nazionale, 13 specie (Mignattaio, Canapiglia, Moretta tabaccata, Moretta, Capovaccaio, Schiribilla, Piviere tortolino, Pittima reale, Mignattino, Mignattino alibianche, Colombella, Rondine rossiccia e Forapaglie) sono inserite nella categoria “CR” - in pericolo in modo critico, 23 specie sono inserite nella categoria “EN” - in pericolo, 26 specie sono inserite nella categoria di minaccia “VU” sono quindi specie vulnerabili, 29 specie sono a più basso rischio di minaccia, categoria “LR”. Per 21 specie, nidificanti irregolari o con la prima nidificazione dopo il 1988, lo status non è stato valutato “NE”, 4 specie appartenenti a sottospecie o popolazioni isolate rimangono a status indeterminato “DD”

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2.9.1.2 FAMIGLIE E SPECIE DELL‟ALLEGATO I DELLA DIRETTIVA 79/409/CEE PRESENTI O SEGNALATE NEL TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI VIBO VALENTIA

Fam. Procellariidae

Nell‟area dello Stretto e nel Tirreno meridionale vi sono siti importanti di nidificazione per la Berta maggiore (Calonectris diomedea diomedea). Il tratto di mare antistante la costa tirrenica della Calabria è una importante area di foraggiamento per la Berta maggiore. La specie si osserva tra metà-fine febbraio e inizio-metà novembre, con picco durante i movimenti pre-riproduttivi a fine marzo - metà aprile e picco post-riproduttivo a fine settembre – metà ottobre. I siti costieri della provincia vengono regolarmente frequentati, molto probabilmente dalla popolazione delle isole Eolie, come aree di alimentazione. Il sito migliore è Capo Vaticano.

Fam. Phalacroracidae

Marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis) specie di comparsa accidentale, segnalato nel 1993 sullo Stretto. Sembra che da metà anni 90 piccoli nuclei abbiano iniziato a fare la loro comparsa in periodo invernale – inizio primavera sulle Eolie (Lo Cascio & Navarra, 2003).

Fam. Ardeidae

Tarabuso (Botaurus stellaris stellaris), Tarabusino (Ixobrychus minutus minutus), Nitticora (Nycticorax nycticorax nycticorax), Sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides), Garzetta (Egretta garzetta garzetta), Airone bianco maggiore (Egretta alba alba), Airone rosso (Ardea purpurea purpurea). Tutte le specie, sopra elencate, appartenenti alla famiglia degli ardeidi, vengono regolarmente osservate sul territorio provinciale in movimento migratorio, sia pre-nuziale che post-riproduttivo. I periodi di movimento vanno da metà-fine febbraio a metà-fine maggio con picco in aprile per la migrazione pre-nuziale, da fine agosto a fine novembre, con picco a inizio-metà settembre, per la migrazione post-riproduttiva. Importante area di sosta e foraggiamento è l‟invaso dell‟Angitola dove si concentrano decine di individui, in particolare garzetta, nitticora e airone cenerino.

Fam. Ciconidae

Cicogna nera (Ciconia nigra), migratore regolare, sia in primavera che in autunno. Più frequente durante la migrazione pre-nuziale con conteggi record sullo stretto di Messina di 139 individui nella primavera del 1999, segnalata in sosta migratoria nell‟invaso dell‟Angitola.

Cicogna bianca (Ciconia ciconia ciconia) migratore regolare, più frequente durante la migrazione pre-nuziale. La specie nidifica ormai regolarmente sul territorio regionale.

Fam. Threskiornithidae

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Mignattaio (Plegadis falcinellus falcinellus) migratore regolare. Movimenti pre-rirproduttivi tra metà marzo e metà maggio, più raro durante la migrazione post-riproduttiva.

Spatola (Platalea leucorodia leucorodia) migratore regolare, più abbondante in primavera.

Fam. Anatidae

Moretta tabaccata (Aythya nyroca) migratore regolare con stormi di qualche decina di individui, più frequente in primavera.

Fam. Accipitridae

Tra i rapaci che attraversano lo stretto di Messina, e quindi il territorio calabrese, il Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) è la specie più abbondante. Questo sito è il principale sia per tutta l‟Italia che per il Mediterraneo centrale. I movimenti pre-riproduttivi si registrano a partire da metà-fine marzo, con picco tra fine aprile e la seconda decade di maggio, singoli individui si osservano fino a fine giugno. Nell‟area transitano regolarmente oltre 20000 individui, sono noti conteggi record giornalieri di oltre 9000 individui e massimi annui di 38469 individui (Ricciardi et al., 2009). I movimenti post-riproduttivi hanno inizio dalla seconda decade di agosto e si protaggono fino a fine ottobre, il picco si registra tra fine agosto e la prima decade di settembre, per gli adulti, e tra la seconda e la terza decade di settembre, per i giovani.

Durante il transito primaverile l‟area di Capo Vaticano è la più importante per la provincia.

Per la nidificazione la specie è legata ad ambienti forestali, principalmente faggete, si nutre principalmente di imenotteri e sembra preferire le fustaie adulte e ben strutturate. Il massiccio dell‟Aspromonte e l‟area delle Serre sono aree più importanti per la specie in ambito regionale.

Nibbio bruno (Milvus migrans migrans), migratore regolare con diverse centinaia di individui, più frequente durante la migrazione post-nuziale. E‟ uno dei rapaci più precoci, si osserva già a fine febbraio e passa fino a metà giugno, in migrazione post-riproduttiva individui già dal 10 agosto con picco a fine agosto prima decade di settembre.

Capovaccaio (Neophron percnopterus percnopterus), migratore regolare osservato con pochi individui nell‟area dello Stretto, più abbondante durante la migrazione post-riproduttiva (15 ind. nel 2006).

Falco di palude (Circus aeruginosus aeruginosus), dopo il pecchiaiolo è la specie più abbondante ad attraversare lo stretto. Annualmente vengono censiti oltre 2000 individui, movimenti pre-riproduttivi tra fine febbraio e inizio-metà giugno, con due picchi: fine marzo (ad., principalmente ♂♂) e fine aprile (imm.). I conteggi durante il periodo post-

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riproduttivo danno numeri elevati (2800 ind. nel 2006), ma l‟attitudine della specie a migrare su un fronte molto ampio fa presupporre il passaggio di contingenti superiori.

Albanella reale (Circus cyaneus cyaneus), migratore regolare con qualche decina di individui, probabilmente individui svernanti in Sicilia.

Albanella pallida (Circus macrourus), migratore regolare, più comune durante la migrazione pre-nuziale. Movimenti pre-riproduttivi da metà-marzo a metà-fine maggio, rara durante la migrazione post-nuziale. L‟area dello stretto di Messina è la più importante in Europa per il transito della specie.

Albanella minore (Circus pygargus) migratore regolare, più comune durante la migrazione pre-nuziale. Movimenti pre-riproduttivi da fine-febbraio a fine giugno, con picco tra metà-fine aprile, meno comune durante la migrazione post-nuziale che va dalla seconda decade di agosto alla seconda di ottobre. L‟area dello stretto di Messina è una delle più importanti rotte di migrazione del Paleartico occidentale per la specie.

Aquila minore (Hieraaetus pennatus) migratore regolare con mediamente 20 individui (max 59 individui nel 2006) censiti sullo stretto di Messina.

Fam. Pandionidae

Falco pescatore (Pandion haliaetus haliaetus) migratore regolare con una media di 17 individui censiti nel periodo primaverile. Regolarmente segnalato in sosta nell‟invaso dell‟Angitola

Fam. Falconidae

Grillaio (Falco naumanni) migratore regolare con decine di individui (min.18, max 159).

Smeriglio (Falco columbarius) migratore scarso o irregolare segnalati irregolarmente pochi individui (1-2).

Falco della regina (Falco eleonorae) migratore regolare , si osserva a partire da maggio con picco nella seconda decade, qualche individuo può essere osservato durante il periodo estivo sul versante tirrenico, ne è stata sospettata la nidificazione. L‟area di Capo Vaticano è frequentata da individui molto probabilmente provenienti dalle Eolie.

Sacro (Falco cherrug) negli ultimi anni alcuni individui facenti parte del progetto Life in Ungheria su questa specie, dotati di trasmettitori satellitari, hanno regolarmente attraversato il territorio provinciale, testimoniando che una buona percentuale degli individui della popolazione europea utilizza la rotta centrale per l‟attraversamento del Mediterraneo o per lo svernamento nel sud Italia.

Pellegrino (Falco peregrinus brookei) nidificante regolare sul territorio provinciale. Le sottospecie peregrinus e calidus sono migratori regolari nell‟area dello Stretto.

Fam. Phasianidae

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Coturnice (Alectoris graeca saxatilis), sedentaria e nidificante scarsa e molto localizzata. La popolazione presente è gravemente minacciata dell‟introduzione, anche in tempi recenti, di individui appartenenti a ceppi di origine ignota o da coturnici orientali (Alectoris chukar).

Fam. Rallidae

Voltolino (Porzana porzana), Schiribilla (Porzana parva), Schiribilla grigiata (Porzana

pusilla), Re di quaglie (Crex crex). Tutte le specie appartenenti alla famiglia dei rallidi sono elusive e difficili da osservare, migratrici scarse e localizzate sul territorio provinciale, più frequenti durante la migrazione pre-nuziale. Delle quattro specie qui descritte il Re di quaglie ha mostrato una forte contrazione, non più segnalato come svernante negli ultimi anni le segnalazioni sono divenute rara ed irregolari.

Fam. Gruidae

Gru (Grus grus grus) migratore regolare, il transito autunnale è più evidente. Conteggi record di 1500 individui il 15-03-1997 (Corso A., 2005). La specie migra in gruppi da qualche decina a oltre cento individui, spesso gli spostamenti avvengo di notte per cui risulta difficile stimarne il numero.

Fam. Recurvirostridae

Cavaliere d‟Italia (Himantopus himantopus himantopus) migratore regolare. Movimenti pre-riproduttivi da inizio-metà marzo a fine maggio – metà giugno, post-riproduttivi tra inizio luglio e fine ottobre.

Avocetta (Recurvirostra avosetta) migratore regolare, la si osserva con numero ridotto di individui (1-5), soprattutto durante la migrazione post-riproduttiva. Il sito più importante per la specie è l‟Invaso dell‟Angitola.

Fam. Burhinidae

Occhione (Burhinus oedicnemus oedicnemus) migratore regolare, osservato con singoli individui o gruppi di 2-4. Movimenti tra metà marzo e metà-fine maggio e settembre e metà novembre. Più comune in migrazione post-riproduttiva.

Fam. Charadridae

Piviere tortolino (Charadrius morinellus) migratore regolare scarso, un tempo più frequente oggi segnalato con singoli individui. E‟ una specie molto fedele ai siti di sosta migratoria e molto confidente.

Piviere dorato (Pluvialis apricaria) migratore regolare, movimenti pre-riproduttivi tra metà febbraio e metà aprile, osservati sullo stretto di Messina fino a 100 indd. nei giorni di picco, in migrazione post-riproduttiva da fine settembre (individui precoci) ai primi di dicembre.

Fam. Scolapacidae

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Combattente (Philomachus pugnax) migratore regolare, movimenti post-riproduttivi molto precoci, fine giugno-inizio novembre (max settembre-ottobre) e, in migrazione pre-riproduttiva da febbraio a maggio (max marzo-aprile). Netta separazione dei sessi, arrivo precoce dei maschi adulti, seguiti dalle femmine e poi dai soggetti immaturi.

Croccolone (Gallinago media) migratore regolare con pochi individui, raro negli ultimi anni, le abitudini della specie e la somiglianza a Gallinago gallinago rendono difficile stabilire con certezza il suo reale status. La specie era regolare con decine di individui negli ultimi 10-15 anni ha fatto registrar ovunque una sensibile diminuzione.

Pittima minore (Limosa lapponica lapponica) migratore regolare più facile da osservare in migrazione post-riproduttiva, sogetti giovani. Movimenti tra agosto-metà novembre e marzo-inizio giugno.

Piro piro boschereccio (Tringa glareola) migratore regolare comune. Si osserva precocemente in migrazione post-riproduttiva, da metà giugno fino ad ottobre, e durante la migrazione pre-riproduttiva da metà marzo a fine maggio primi di giugno. Osservato, nel mese di maggio, in ambienti inusuali quali prati aciutti a ridosso delle dune sullo stretto di Messina.

Fam. Laridae

Gabbiano corallino (Larus melanocephalus) migratore regolare comune, sverna con numeri ridotti di individui. Movimenti pre-riproduttivi da fine – febbraio a metà aprile, post-riproduttivi da fine luglio a fine novembre – primi di dicembre. In attraversamento dello stretto si osservano, nei giorni di picco, centinaia di individui con record di oltre 1000 individui. Regolarmente osservato lungo tutta la costa con maggiore frequenza nell‟area di Capo Vaticano.

Gabbiano roseo (Larus genei) migratore regolare più abbondante durante la migrazione post-riproduttiva (metà luglio – metà ottobre). Sullo stretto si osserva con singoli individui o piccoli gruppi. Regolarmente osservato lungo tutta la costa con maggiore frequenza nell‟area di Capo Vaticano.

Gabbiano corso (Larus audouinii) accidentale storico una sola segnalazione nota per la specie. L‟assenza di ulteriori segnalazioni è molto probabilmente dovuta ad insufficienti indagini. In Puglia (Isola di Sant‟Andrea) si stima che nidifichi il 5% della popolazione italiana di questa specie nidifica con poche coppie in Campania (Capo Palinuro) e in Sicilia orientale (Capo Passero e Capo Murro di Porco) viene regolarmente osservata. E‟ opportuno approfondire le conoscenze sullo status di questa specie nella provincia.

Fam. Sternidae

Sterna zampenere (Gelochelidon nilotica nilotica), Sterna maggiore (Sterna caspia), Beccapesci (Sterna sandvicensis), Sterna comune (Sterna hirundo), Fraticello (Sterna albifrons), Mignattino piombato (Chlidonias hybridus hybridus), Mignattino (Chlidonias niger niger).

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Le specie della famiglia degli sternidi sopra riportate sono tutte migratrici da poco comuni a rare (sterna comune), il beccapesci appare in maniera regolare e viene osservato regolarmente anche in inverno.

Fam. Strigidae

Gufo reale (Bubo bubo) sedentaria e nidificante, sull‟Appenino è localizzata con nuclei di poche coppie. Non ci sono stima sulla consistenza della popolazione calabrese, segnalata la sua presenza nei boschi di Serra San Bruno.

Gufo di palude (Asio flammeus) migratore regolare, recentemente è segnalato raramente. Più frequente durante la migrazione post-nuziale tra fine settembre e ottobre.

Fam. Caprimulgidae

Succiacapre (Caprimulgus europaeus meridionalis) migratore e nidificante regolare. Osservato sia in primavera che in autunno con decine di individui nei giorni di picco. La specie è presente anche come nidificante.

Fam. Alcedidae

Martin pescatore (Alcedo atthis) svernante, localmente sedentaria e migratrice comune. Alla fine del periodo riproduttivo, i primi ad intraprendere i movimenti dispersivi sono i giovani che lasciano il territorio parentale già pochi giorni dopo aver raggiunto l‟indipendenza. L‟apice della dispersione si ha alla fine dell‟estate quando si osservano intensi movimenti che interessano le zone umide interne e soprattutto le zone costiere. La migrazione primaverile comincia già da febbraio e prosegue sino a marzo quando vengono progressivamente rioccupati i territori di nidificazione. La nidificazione in provincia è da accertare, lo svernamento avviene lungo tutte le coste.

Fam. Coraciidae

Ghiandaia marina (Coracias garrulus) migratrice regolare. Tutta la popolazione migra e sverna nell‟Africa tropicale, soprattutto nelle regioni orientali del continente. La migrazione primaverile inizia già nel mese di marzo, raggiunge il picco in aprile e si conclude entro il mese di maggio, mentre la migrazione autunnale si compie tra metà agosto e ottobre.

Fam. Picidae

Picchio nero (Dryocopus martius martius) nidificante stanziale. La Calabria rappresenta il limite meridionale alla diffusione di questa specie, estinta in Sicilia. E‟ localizzato in alcune aree dove sono presenti formazioni forestali mature senza soluzioni di continuità e di sufficiente estensione. I dati disponibili si riferiscono ad alcune aree del comprensorio delle Serre.

Picchio rosso mezzano (Picoides medius) la presenza della specie è stata sospettata, l‟habitat di preferenza della specie è presente ed abbastanza diffuso ma attualmente non si hanno notizie attendibili.

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Fam. Alaudidae

Calandra (Melanocorypha calandra) migratore regolare scarso, in diminuzione negli ultimi anni. Segnalato con un numero ridotto di individui.

Calandrella (Calandrella brachydactyla) migratore regolare e nidificante localizzato, negli ultimi anni la specie ha fatto registrare una diminuzione in tutto il suo areale.

Tottavilla (Lullula arborea) è nidificante abbastanza diffusa ma mai con numeri elevati. Viene osservata sullo stretto con numero di individui sempre contenuto (1-5 ind.) soprattutto in migrazione post-riproduttiva.

Fam. Motacillidae

Calandro (Anthus campestris) nidificante localizzato, migratore regolare comune. Più facile da osservare durante la migrazione primaverile lungo la costa ionica, dai primi di aprile a metà maggio, numeri limitati durante la migrazione post-riproduttiva.

Fam. Turdidae

Pettazzurro (Luscinia svecica) migratore regolare con pochi individui osservati nelle aree adatte (Angitola).

Fam. Sylviidae

Forapaglie castagnolo (Acrocephalus melanopogon) migratore regolare con pochi individui osservati nelle aree adatte (Angitola) e altre piccole aree umide costiere.

Magnanina (Sylvia undata) anche per questa specie, la cui presenza è certa, non si hanno dati in merito alla consistenza della popolazione ed alla sua distribuzione.

Fam. Muscicapidae

Balia dal collare (Ficedula albicollis) migratore regolare poco comune, passa tra fine marzo e metà maggio, raro durante il passaggio post-riproduttivo.

Fam. Laniidae

Averla piccola (Lanius collurio) nidificante regolare, migratore scarso. Localizzato nella fascia montana della provincia al di sopra degli 800-1000 metri in ambienti aperti contigui ai principali sistemi forestali.

2.9.1.3. FAMIGLIE E SPECIE CACCIABILI INSERITE IN CALENDARIO VENATORIO NELLA STAGIONE VENATORIA 2008/2009

2.9.1.3.1.Acquatici

Nel gruppo degli acquatici vengono inseriti, oltre agli Anseriformi, anche i Gruiformi e i Caradriformi per l‟affinità di gestione e per i comuni problemi di conservazione.

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Gli acquatici sono, tra gli uccelli, il gruppo che ha maggiormente risentito delle trasformazioni ambientali, riduzione delle zone umide e modifica di quelle rimaste. Nei limiti dell‟estenzione territoriale questo vale anche per il territorio in studio. La conservazione di questa risorsa deve quindi passare da una oculata gestione dei prelievi, dalla gestione degli ambienti favorevoli e, soprattutto, dalla ricostituzione delle zone umide.

La definizione di zone umide attualmente accettata a livello internazionale è la seguente: “le zone umide sono aree palustri, acquitrinose o torbose o comunque specchi d‟acqua, naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua ferma o corrente, dolce o salmastra o salata, compresi i tratti di mare la cui profondità non ecceda i sei metri con la bassa marea”.

Tali aree rivestono una grande importanza sotto il profilo idrogeologico, economico e sociale, naturalistico e paesaggistico.

La Calabria ha perso la quasi totalità delle zone umide costiere, mentre all‟interno rimangono porzioni molto limitate di territorio (torbiere, stagni temporanei e permanenti). Come prima azione è necessario avviare il censimento dettagliato di tutte le aree umide e dei siti di possibile ricostituzione delle stesse.

Il contributo che il territorio provinciale può dare alla gestione di questo gruppo di uccelli è importante, infatti pur non essendo interessato da un elevato numero di specie nidificanti, sia per la mancanza di habitat che per la posizione geografica, esso gioca un ruolo fondamentale per il transito migratorio. La gestione delle aree umide residue ed una eventuale, nonché auspicabile, ricostituzione è un fattore primario per favorire la sosta e lo svernamento degli acquatici.

Si tratteranno brevemente le specie di acquatici inserite in calendario venatorio nella stagione venatoria 2008/2009: Fischione, Canapiglia, Alzavola, Germano reale, Codone, Marzaiola, Mestolone, Moriglione, Moretta, Porciglione, Gallinella d‟acqua, Folaga, Pavoncella, Combattente, Frullino, Beccaccino, Beccaccia.

Di nessuna delle specie su riportate sono presenti dati aggiornati che consentano di avere informazioni di dettaglio sullo status reale o sul trend a livello provinciale.

Fischione (Anas penelope)

In Italia è svernante e nidificante irregolare, la popolazione svernante in Europa è stabile ed il suo stato di conservazione è ritenuto sicuro (secure). Nel territorio provinciale viene segnalata regolarmente, nel periodo invernale, anche in zone umide di modesta estensione.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: non valutata, nidificante occasionale.

Canapiglia (Anas strepera)

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Svernante e nidificante in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in forte decremento, lo status di conservazione è in diminuzione (depleted). Nel territorio provinciale le segnalazioni sono regolari ma riferite ad un numero di soggetti limitato.

Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: in pericolo in modo critico.

Alzavola (Anas crecca)

Svernante e nidificante regolare in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in leggera diminuzione ed il suo stato di conservazione è sicuro (secure). Nel territorio provinciale viene segnalata regolarmente, nel periodo invernale, anche in zone umide di modesta estensione o lungo i corsi d‟acqua principali.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: in pericolo.

Germano reale (Anas platyrhynchos)

Svernante e nidificante regolare in territorio nazionale, è l‟anatra più comunemente osservata. La popolazione svernante in Europa è in leggera diminuzione ed il suo stato di conservazione è ritenuto sicuro (secure). Nel territorio provinciale viene segnalata regolarmente, nel periodo invernale, in tutte le zone umide o lungo i corsi d‟acqua principali.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II.

Codone (Anas acuta)

Svernante e nidificante irregolare in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in declino, lo status di conservazione è in declino (declining). Nel territorio provinciale le segnalazioni sono regolari ma riferite ad un numero di soggetti limitato.

Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1, All III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: non valutata.

Marzaiola (Anas querquedula)

Nidificante regolare e svernate irregolare in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è stimata in 390000-590000 coppie, non è possibile stabilire con precisione il trend che, in base alle informazioni presenti, sembra essere in leggera diminuzione. Il suo stato di conservazione è valutato in declino (declining). Nel territorio provinciale viene segnalata regolarmente durante i movimenti migratori, più frequentemente in migrazione pre-nuziale, i siti di osservazione sono principalmente, o quasi esclusivamente, le coste con l‟area dello stretto che è il sito principale di passaggio.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: in pericolo.

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Mestolone (Anas clypeata)

Svernante e nidificante localizzata in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in moderato declino, lo status di conservazione è in declino (declining). Nel territorio provinciale le segnalazioni sono regolari ma riferite ad un numero di soggetti limitato, si osserva dai siti costieri ed alle foci dei principali corsi d‟acqua.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: in pericolo.

Moriglione (Aythya ferina)

Svernante comune e nidificante in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in moderato declino, lo status di conservazione è in declino (declining). Nel territorio provinciale le segnalazioni sono regolari, si osserva dai siti costieri più frequentemente durante la migrazione post-riproduttiva o durante le soste migratorie.

Categoria di tutela: SPEC 4; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: vulnerabile.

Moretta (Aythya fuligula)

In Italia è svernante e nidificante di recente immigrazione, la popolazione svernante in Europa è moderato declino e ed il suo stato di conservazione è in declino (declining). Nel territorio provinciale viene segnalata raramente.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: non valutata, nidificante occasionale.

Porciglione (Rallus acquaticus)

Sedentaria e nidificante in quasi tutte le regioni con 3000-6000 coppie stimate a livello nazionale, localizzata in Calabria. Popolazione europea in leggero declino, il suo stato di conservazione è sicuro (secure). Censito regolarmente in quasi tutte le zone umide per la facilità di individuazione dovuta alle frequenti emissioni sonore.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/2; Berna All. III. II. Lista rossa: a più basso rischio.

Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus)

Sedentaria e nidificante comune in tutte le regioni. Localizzata nella porzione meridionale della Calabria per la rarità delle aree adatte alla nidificazione. Il trend delle popolazioni europee ed italiane è stabile, il suo stato di conservazione è sicuro (secure). In provincia di Reggio Calabria è nidificante anche in aree umide di modesta estensione dove è presente sufficiente vegetazione ripariale.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/2; Berna All. III.

Folaga (Fulica atra)

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Sedentaria e nidificante presente in tutte le regioni. Localizzata nelle regioni meridionali. Il trend delle popolazioni europee è in moderato declino, il suo stato di conservazione è sicuro (secure). Nella provincia è nidificante nell‟invaso dell‟Angitola, nella stessa area, durante la migrazione post-riproduttiva, si registrano concentrazioni di diverse centinaia di individui.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II.

Pavoncella (Vanellus vanellus)

Svernante comune e nidificante nelle regioni del nord. La popolazione nidificante europea, nell‟ultimo decennio, ha fatto registrare una importante diminuzione con valori superiori, in alcuni casi al 30%. La popolazione svernante sembra stabile o in leggero aumento ma il suo stato di conservazione è vulnerabile (vulnerable).

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/2; Berna All. III, Bonn All II.

Combattente (Philomachus pugnax)

Migratore regolare, estivante e svernante regolare con 100-200 individui in varie regioni. La popolazione europea nidificante e svernante è in declino, pertanto il suo stato di conservazione è ritenuto in declino (declining). Sul territorio provinciale è segnalato solo durante i movimenti migratori.

Categoria di tutela: SPEC 4; Dir. Uccelli CEE All I, II/2; Berna All. III, Bonn All II.

Frullino (Lymnocryptes minimus)

Migratore regolare e svernante soprattutto nel centro nord Italia e in Sardegna. La popolazione europea nidificante è in moderato declino, non si conosce il trend della porzione svernante. Il suo stato di conservazione è ritenuto in declino (declining). Sul territorio provinciale viene regolarmente segnalato con numero limitato di individui.

Categoria di tutela: SPEC 3W; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II.

Beccaccino (Gallinago gallinago)

Limicolo di medie dimensioni dal becco lungo con piumaggio criptico, con parti superiori bruno-nerastre con striature crema. Il capo è striato, il petto è chiazzato mentre l‟addome è bianco. Volo veloce, tipicamente a zig-zag. Il peso varia tra 85 e 130 gr.

Specie migratrice e gregaria, frequenta le zone umide con aree adatte alla ricerca del cibo (lombrichi, larve di insetti, molluschi). Nidifica al suolo tra la vegetazione palustre e depone mediamente 4 uova una sola volta all‟anno. Il beccaccino è attivo soprattutto nelle ore crepuscolari quando effettua anche grossi spostamenti alla ricerca di cibo. La popolazione europea è in declino sulla maggior parte dell‟areale. Il suo stato di conservazione è ritenuto in declino (declining). Sul territorio provinciale viene

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regolarmente segnalato in tutte le zone umide, lungo i corsi d‟acqua e nei prati umidi anche a quote superiori ai 1000 metri.

Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II. Lista rossa non valutata, nidificante irregolare.

Beccaccia (Scolopax rusticola)

Limicolo di medie dimensioni con becco lungo e zampe relativamente corte. La colorazione del piumaggio è fortemente criptica con la parte superiore che varia dal rossiccio al marrone con screziature nero e crema. La fronte è chiara e la nuca presenta barrature trasversali scure. In volo si riconosce per il lungo becco rivolto verso il basso e le ali appuntite. Il peso varia tra 250 e 400 gr.

Specie migratrice. E‟ l‟unico dei limicoli europei ad essere strettamente legato ai boschi per la riproduzione, di preferenza misti a prevalenza di caducifoglie con sottobosco misto ma privo di erbe troppo alte. In Italia le rare nidificazioni avviene in zone montuose o collinari delle regioni del nord. Gli accoppiamenti iniziano già a marzo, sono deposte generalmente 4 uova in una depressione del suolo, covate per 20-22 giorni. I pulcini possono nutrirsi da soli 3-4 giorni dopo la schiusa.

Negli ultimi decenni, a livello nazionale, si è potuto osservare una tendenza al decremento dei carnieri di beccacce. La tendenza alla diminuzione delle popolazioni svernanti nell‟area del Mediterraneo è stata confermata anche da ricercatori specializzati nel settore (Fadat, 1997) attraverso lo studio dell‟indice cinegetico di abbondanza (ICA), un indice che rende paragonabili tra loro le diverse annate venatorie considerando oltre che i capi abbattuti anche le uscite effettuate e il grado di specializzazione del cacciatore.

Le motivazioni di tale decremento possono essere ricercate sia nel prelievo incontrollato che si svolge all‟estero, sia nell‟abbandono di tradizionali attività umane (allevamento allo stato brado di bovini, produzione del carbone) che favorivano lo svernamento della beccaccia. Migliorare le capacità ricettive per le beccacce di un bosco deve essere uno degli obiettivi gestionali da perseguire.

Alle nostre latitudini gli interventi di gestione della specie possono essere volti solamente a favorirne lo svernamento e la sosta durante la migrazione. La specie durante lo svernamento frequenta due habitat molto diversi: di giorno sosta e si rifugia nel bosco; di notte frequenta le aree aperte alla ricerca delle sue prede preferite, i lombrichi. Gli interventi volti a migliorare l‟idoneità per la beccaccia dovranno dunque essere relativi a due obiettivi prioritari: migliorare le capacità ricettive del bosco e dall‟altra aumentare le capacità trofiche delle aree aperte.

Nel territorio provinciale la beccaccia è presente soprattutto durante i periodi migratori: dai primi di settembre con singoli individui fino a metà dicembre, e durante la migrazione pre-riproduttiva da fine gennaio a fine marzo e raramente aprile. L‟habitat ideale è rappresentato da boschi misti con ricco sottobosco, si rinviene anche su siti costieri a macchia mediterranea. Specie molto fedele ai siti di svernamento.

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Categoria di tutela: SPEC 3W; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II. Lista rossa: in pericolo.

2.9.1.3.2. Fasianidi

La famiglia dei fasianidi comprende le seguenti specie oggetto di pianificazione faunistico venatoria nella Provincia:

Coturnice (Alectoris graeca)

Starna (Perdix perdix)

Quaglia (Coturnix coturnix)

Fagiano (Phasianus colchicus)

Si tratta del gruppo di specie oggetto di forte pressione venatoria e, conseguentemente anche di azioni di ripopolamento. Una gestione di tipo “consumistico” ha fatto perdere di vista la conservazione delle popolazioni selvatiche di queste specie; ripopolamenti, scarse azioni di miglioramento ambientale e bracconaggio hanno determinato la riduzione delle densità ed estinzioni locali.

In alcuni casi le ibridazioni con soggetti d‟allevamento ed il rilascio di individui affetti da patologia hanno dato un contributo importante alla scomparsa delle popolazioni selvatiche da diverse aree.

COTURNICE (Alectoris graeca orlandoi)

Sistematica, distribuzione e status

In Europa si distinguono sette specie appartenenti al genere Alectoris, sul territorio italiano sono presenti: coturnice Alectoris graeca; coturnice orientale o ciukar Alectoris

chukar; pernice sarda Alectoris barbara; pernice rossa Alectoris rufa.

La sottospecie nominale della coturnice Alectoris graeca graeca è esclusiva dei Balcani mentre in Italia sono presenti tre sottospecie, distinguibili per colorazioni e dimensioni.

- Alectoris graeca saxatilis, presente sulle Alpi;

- Alectoris graeca orlandoi, presente sugli Appennini (ssp. da confermare);

- Alectoris graeca whitakeri presente in Sicilia.

Diverse per colorazione e dimensioni, le tre sottospecie occupano zone tra loro isolate, ad eccezione di una limitata area di contatto, tra Alectoris graeca graeca e Alectoris

graeca saxatilis, all‟estremo delle Alpi orientali.

Presente e nidificante nelle Alpi e nell‟Appennino, in passato la coturnice aveva una distribuzione più ampia con densità superiori rispetto al presente (Spanò et al., 1985; Oriolo e Bocca, 1992; Brichetti & Massa, 1998).

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Nell‟Appennino, nel corso degli scorsi decenni la diffusione e la presenza della coturnice si è rarefatta, divenendo discontinua e piuttosto localizzata, con nuclei ridotti e spesso tra loro disgiunti, come risulta da diverse informazioni e indagini relative alla Calabria (Siragusa e Carelli, 1979), al pre-Appennino laziale (Bologna et al., 1983: Monti Lucretili; Angelici e Luiselli, 2001: Monti Prenestini), all‟Appennino laziale e abruzzese (Petretti F., 1985), alla catena appenninica (Spanò et al., 1985), all‟intero Lazio (Petretti F., 1995), al Parco Nazionale d‟Abruzzo (Petretti F., 1999), al Parco Nazionale del Cilento (De Filippo et al., 1999) ed al Parco Nazionale dei Monti Sibillini (Renzini et al., 2001).

Anche se la Coturnice è una specie sedentaria, compie erratismi verticali per superare i rigori invernali, soprattutto nelle Alpi, Appennini e in alcuni casi in Sicilia, molto variabili in funzione del microclima, del tipo di copertura, delle condizioni meteorologiche (innevamento), dell‟orografia, ecc. La portata di questi spostamenti è molto variabile ma comunque sempre contenuta tra qualche centinaio di metri e i 3-5 km.

La coturnice è specie considerata vulnerabile in tutta l‟Europa, minacciata soprattutto dalla distruzione degli habitat e dalla caccia (Tucker e Heath, 1994), inclusa nell‟Allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/CEE, nell‟allegato III della Convenzione di Berna e nella categoria SPEC 2 di BirdLife International (Tucker e Heath, 1994); è considerata vulnerabile anche in Italia (Petretti, 1998; Calvario et al., 1999).

Morfologia e biometria

Negli adulti le porzioni superiori del corpo presentano colorazioni variabili. Nelle popolazioni appenniniche la tonalità è grigio neutro più o meno chiaro; il dorso, decisamente più scuro del groppone, tende al vinato. Una marcata differenza si riscontra anche nella pigmentazione delle copritrici superiori della coda e nelle timoniere che, nei popolamenti appenninici sono uniformi. In taluni casi le scapolari presentano tinta uniforme mentre in altri i margini sono di color castano dalle tonalità variabili mentre la zona centrale è grigio-azzurro. Sul mento ed alla base della mandibola sono presenti tre piccole macchie nerastre. Le auricolari, che generalmente si confondono con la colorazione nera del collare, sono in parte nere ed in parte brune. La colorazione della gola, piuttosto sfumata, varia dal grigio al grigio-brunastro.

Molto visibile è il collare nero, dai disegni molto variabili, che, partendo dalla fronte e dalle redini circonda la gola ed è decisamente meno visibile sopra gli occhi. Il collare è rastremato al centro nelle popolazioni appenniniche. Il collare, partendo dalla fronte ed estendendosi nelle aree sopra e post oculari, è contornato da un alone chiaro. I fianchi sono ricoperti da penne che possono presentare una banda nera prossimale molto ridotta, gli apici, di color castano, mostrano due strie nere più o meno parallele che ne comprendono una terza più larga di color crema con la base grigio-azzurra.

La colorazione dell‟area addominale, più o meno intensa, è cannella mentre il petto è grigio-azzurro. Le rachidi delle remiganti primarie sono brune con vistose sfumature, tranne quelle esterne che, invece, sono uniformi. Una stria subapicale ocra pallido sul

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vessillo esterno è presente sulle rimanenti. Le timoniere assumono una colorazione rosso–castano, con sfumature e variazioni cromatiche sia in senso prossimo-distale che periferico-centrale. Mentre le zampe ed i piedi sono rosso-brunastri dai toni più o meno intensi, il becco ed il circolo perioftalmico sono di un vistoso color rosso corallo mentre l‟iride è bruno-rossastra. Molto contenuto è il dimorfismo sessuale che si limita al fatto che il maschio adulto ha dimensioni di poco superiori alla femmina e possiede un corto ma visibile sperone sul tarso. La lunghezza totale del corpo varia da 32 a 35 cm, l‟apertura alare da 46 a 53 cm, la lunghezza del becco da 13 a 16 mm, il peso da 450 a 900 g. (Brichetti et al., 1992).

Le parti superiori dei giovani sono caratterizzate da una tonalità piuttosto chiara di bruno-oliva con la presenza, in ogni penna, di una caratteristica macchia fulvo chiara in posizione distale. Le porzioni laterali del corpo sono ricoperte da penne ornamentali, in zona apicale di colore fulvo piuttosto chiaro, da due sottili bande brune con andamento trasversale. Sono, invece, irregolarmente macchiate e barrate di fulvo chiaro le remiganti secondarie, quelle terziarie e le timoniere che, centralmente, mostrano una pigmentazione bruno-oliva piuttosto opaca. Le remiganti primarie hanno vessilli esterni bruni maculati e irregolarmente striati di fulvo chiaro; quelle esterne, seppur differenziate per la loro sagoma più appuntita, hanno un colorito simile a quello degli adulti. La colorazione delle timoniere esterne è cannella rossiccio, con margine fulvo chiaro e maculature brune. Il colore del becco tende decisamente al nero.

La colorazione del piumino dei pulli varia in dipendenza della posizione geografica. Le regioni dorsali sono caratterizzate da chiazze e strie bruno-nocciola picchiettate di scuro con andamento longitudinale che risaltano sul colore di fondo. Nuca e vertice hanno un colore sfumato tendente al fulvo-cannella chiaro. Il becco ed i piedi hanno color carne con sfumature rossastre (Brichetti et al., 2004).

Habitat

Su alpi e appennini la Coturnice frequenta i rilievi rocciosi, con preferenza per quelli aridi e scoscesi, predilige, in inverno, quelli esposti a Sud, per il più rapido scioglimento della neve che le consente di alimentarsi. Preferisce, inoltre, sostare in vicinanza di coltivi terrazzati e costruzioni rurali per la maggior disponibilità di cibo.

Le strutture vegetali preferite sono le praterie xeriche con cotico erboso piuttosto basso ed interrotto da affioramenti rocciosi, pietre e arbusti contorti e nani, non disdegnando, comunque, arboreti radi, margini dei boschi, castagneti da frutto con alberi spaziati, purché prossimi a conformazioni rocciose; le formazioni forestali dense vengono raramente per nascondersi dai predatori.

Necessita di disponibilità idrica vicino ai luoghi di pastura, utilizza anche raccolte d‟acqua artificiali.

La fascia altimetrica popolata è molto ampia. Si va dai 450 ai 2500 m sulle Alpi, a 1600 - 2300 m sugli Appennini, con minimi anche a 400 m (Reggio Calabria), fino ad arrivare da poche decine di metri sul livello del mare a 2000 m in Sicilia.

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Riproduzione

Il periodo riproduttivo varia in funzione dell‟altitudine; la deposizione si svolge da aprile a giugno. Il nido è collocato sul terreno al riparo di un ciuffo di vegetazione, un piccolo arbusto o sotto una roccia sporgente. La femmina scava una cavità profonda 7-8 cm e larga 15-19 cm, che riveste di penne e vegetazione. Depone da 8 a 14 uova, di forma ovale, lisce e lucide, con tinta di fondo tra giallo crema e fulvo chiaro macchiettate di bruno-rossiccio, la dimensione media è di 41.6 x 30.9 mm. La deposizione avviene ad intervalli di 24-36 ore.

L‟incubazione, curata dalla sola femmina, dura 24-26 giorni con un tasso di schiusa, in media, del 64%; il maschio si occupa della cova se viene deposta una seconda covata consecutiva. Nel caso di fallimento della prima covata, per disturbo o predazione, ne viene deposta un‟altra. Pulli precoci e nidifughi, assistiti dalla sola femmina o da entrambi i genitori, autosufficienti nella scelta e nell‟assunzione di cibo; nascono ricoperti da piumino, le remiganti si sviluppano dopo la prima settimana e consentono i primi voli, a 3-4 settimane sono in grado di volare.

Specie generalmente monogama. Durante la riproduzione vive in coppie, manifestando un comportamento estremamente territoriale, si riunisce in gruppi nel resto dell‟anno. Le covate dell‟anno tendono a rimanere unite in brigata per tutto l‟inverno.

Comportamento

La Coturnice è una specie gregaria che tende a formare brigate composte anche da 35 - 40 individui, che, dalla fine della stagione riproduttiva e, si riuniscono per svernare, per poi scomporsi, a seconda dell‟andamento stagionale, da febbraio ad aprile.

Passa la notte in roost sul terreno, in luoghi preferibilmente riparati dai rigori del clima e dalle precipitazioni (in inverno), sotto rocce sporgenti, muretti a secco, costruzioni rurali abbandonate, anfratti naturali, facilmente riconoscibili per il grande volume di escrementi accumulati.

Quando viene scoperta si appiattisce sulle rocce cercando di mimetizzarsi, corre celermente sul terreno o, solo se si sente minacciata da vicino, si alza in volo (la frullata è generalmente molto scomposta e fragorosa, a rapide battute d‟ala alterna lunghe planate), precipitandosi in gole o crepacci nel tentativo di sfuggire ai predatori (rapaci o cacciatori).

Alimentazione

Si ciba essenzialmente di foglie, germogli, semi, frutti, invertebrati (Insetti e Molluschi), con forti variazioni stagionali.

Dinamica di popolazione

In quasi tutto l‟areale di distribuzione questa specie ha subito, negli ultimi decenni (post 1950), una contrazione piuttosto regolare.

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Negli Appennini i fatti non cambiano e nel 1985 era stimata una popolazione di 40.000-130.000 capi su 570.000 ettari, distribuiti molto irregolarmente.

La stima della popolazione alpina è di 6.000-9.000 coppie, quella appenninica è probabilmente compresa fra 5.000 e 10.000 coppie. La presenza della specie in Calabria è limitata, a causa della forte pressione venatoria, a poche aree di rifugio. Non si hanno dati sulla consistenza delle popolazioni e, soprattutto, sugli effetti dei ripopolamenti con individui non appartenenti alla sottospecie in oggetto.

Oltre alla scomparsa da alcune parti dell‟areale, c‟è da segnalare una diminuzione consistente della popolazione che si riflette non solo nella diminuzione dei valori di densità della popolazione riproduttiva ma anche nella diminuzione della dimensione media delle brigate (gruppi post-riproduttivi).

STARNA (Perdix perdix)

Sistematica, distribuzione e status

Specie politipica a distribuzione euroasiatica; 8 sottospecie, di cui italica Harter, 1917, propria dell‟Italia, viene generalmente inclusa nella sottospecie nominale. E‟ sedentaria e nidificante sull‟Appennino settentrionale, più scarsa o localizzata sulle Alpi e sull‟Appennino centrale. I nuclei del centro sud sono originati da introduzione di soggetti per fini venatori, tali nuclei non sono stabili. P. p. italica è considerata estinta ed è stata progressivamente sostituita da sottospecie alloctone introdotte ai fini di ripopolamento venatorio.

Morfologia

Galliforme di dimensioni medio-piccole, con corpo compatto, capo tondeggiante e relativamente piccolo, coda e collo corti, ali piuttosto larghe. Timida e fortemente gregaria, si muove facilmente sul terreno, ma di fronte al pericolo tende più ad immobilizzarsi che a correre via come le Alectoris.

La starna ha una livrea castano scura con guance, sottogola e timoniere rossicce e petto grigio-azzurro sul quale è evidente, soprattutto nei maschi, un ferro di cavallo marrone scuro. Il dimorfismo sessuale è praticamente inesistente. Il peso può variare tra 350 e 450 gr.

Habitat

La vocazionalità del territorio per questa specie è, più che per le altre, frutto delle complesse interazioni tra diversi fattori abiotici e biotici (Serrani et al., 2005), comprendendo i sistemi agricoli, forestali, ecc. Dal punto di vista ecologico, la starna predilige gli ambienti aperti e coltivati, anche intensamente. La superficie coltivata (preferibilmente a cereali invernali) è molto importante, e dovrebbe occupare più del 40% del totale; il restante territorio può esser occupato da formazioni forestali di ridotta estensione (circa 5-10%) e da zone incolte. Particolare importanza, per il rifugio e nidificazione, viene rivestita da margini erbosi estesi o cespugliati. Le aree migliori

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sono comunque quelle costitute da un mosaico di campi eterogenei di piccola e media estensione, separati da strisce di vegetazione naturale (Byrkan et al.,1988; Meriggi et al., 1998; Potts, 1980; Potts, 1986).

Le starne, nella scelta dell‟habitat sono fortemente condizionate dalla stagionalità del clima e, soprattutto, dalle rotazioni agrarie come le raccolte, le arature dei terreni e gli sfalci. Per tale motivo si distinguono due periodi stagionali di habitat per la starna:

a) periodo estivo (agosto - 15 ottobre);

b) periodo invernale (16 ottobre – 31 marzo).

Il periodo estivo corrisponde ad una fase favorevole per la specie in quanto l‟ambiente agrario è ricco di coperture vegetali e vario qualitativamente. Non vi sono grossi turbamenti del panorama agrario ad esclusione della raccolta del mais nella seconda metà di settembre ed un paio di sfalci all‟erba medica. Temperature e piogge non sono problematiche alla specie.

Viceversa, il periodo invernale è assai più critico per il fasianide in quanto vengono ultimate le raccolte rimaste (soia e barbabietola) e rimangono a disposizione della specie solo colture di cereali autunno-vernini (frumento) e gli eventuali miglioramenti ambientali. Modeste sono pertanto le possibilità di copertura sia nei confronti dei predatori sia per i rigori del clima invernale (Bottazzo et al., 2003).

Comportamento

La starna è una specie gregaria che vive in gruppo quasi tutto l‟anno. Nella stagione invernale forma brigate derivanti dall‟aggregazione di più nidiate. Alla fine di febbraio le brigate si sciolgono e cominciano a formarsi le coppie. In questo periodo i maschi sono molto aggressivi e spesso combattono tra di loro; intensa è l‟attività di canto. E‟ una specie monogama altamente territoriale. Le femmine depongono 12-18 uova di colore bruno-oliva, che covano per 23-26 giorni, occasionalmente il maschio può sostituirla.

Le nascite avvengono tra maggio ed agosto.

QUAGLIA (Coturnix coturnix)

Descrizione

Tra i galliformi è l‟unico migratore. Di piccole dimensioni con colorazione tipica degli uccelli terragnoli di ambiente steppico, ovvero di colore castano-giallo con striature di differenti tonalità su gran parte del corpo. La femmina ha gola bianca e petto tendente al giallo, il maschio gola bruno-nerastra con bordatura chiara. Raggiunge la lunghezza di 20 cm e il peso di 140 grammi. Il peso è generalmente maggiore nelle femmine.

Biologia e riproduzione

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Nidifica in maggio-giugno (il picco delle cove si verifica tra il 15 giugno ed il 15 luglio) e depone 10-12 uova che schiudono dopo 17-20 giorni. Il nido è rappresentato da una concavità nel suolo in praterie o campi di grano. I pulcini sono nidifughi (si allontanano dal nido) e sono in grado di volare a 12-15 giorni.

L‟alimentazione è composta da semi di graminacee, frumento e segale.

Distribuzione ed habitat

Frequenta ambienti aperti con praterie, arbusti e stoppie prevalentemente in zone di pianura e collinari, ma si può trovare anche nelle praterie alpine fino a 2000-2200 metri di altezza.

FAGIANO (Phasianus colchicus)

Descrizione

Galliforme di dimensioni medio – grandi, tra i 53 e gli 89 cm, peso tra i 1000 ed i 1600 grammi. Caratterizzato da una lunga coda appuntita. Presenta una scarsa attitudine al volo preferendo muoversi a terra, ed uno spiccato dimorfismo sessuale. La femmina è più piccola e ha una colorazione marrone chiara, il maschio è molto appariscente con colorazioni che variano dal bianco al verde al blu metallico e particolare sviluppo degli ornamenti sessuali.

La sua presenza su tutto il territorio nazionale è conseguenza delle introduzioni in diverse epoche, alcune piccole popolazioni sono in grado di sostenersi senza l‟aiuto dei ripopolamenti.

Biologia e riproduzione

Il fagiano è una specie poliginica: i maschi sono territoriali ed ognuno può accoppiarsi con più femmine; le uova sono deposte in aprile e covate dalla femmina per 23-28 giorni. I pulcini sono precoci e nidifughi, possono allontanarsi dal nido e alimentarsi da soli poche ore dopo la schiusa.

Habitat

Preferisce le zone pianeggianti e collinari, sia su territori destinati a monocoltura sia in zone con notevole frazionamento. L‟habitat ideale sembra rappresentato da ambiente di bassa collina coltivato a cereali con poche macchie boschive.

2.9.1.3.3. Columbiformi

COLOMBACCIO (Columba palumbus)

Descrizione

Presente in Italia con la sottospecie nominale, che è anche la più diffusa in Europa. Il colombaccio è lungo dai 40 ai 42 cm e sensibilmente più grande del piccione, tra i

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columbiformi è quello che ha maggiori dimensioni. La sua apertura alare va dai 75 agli 80 cm e può pesare dai 460 ai 570 grammi. Sessi simili: la testa e la schiena sono bluastri, la coda e la punta delle ali scure. Il petto è di un colore rosa-grigio un po‟ più chiaro. Una caratteristica tipica sono le macchie bianche ai lati del collo, che non formano un anello, nei giovani si manifestano alla prima muta intorno ai quattro mesi di età. Il collo ha riflessi metallici verdastri. Durante il volo, sulla parte superiore delle ali, sono molto evidenti delle fasce trasversali bianche che sono il principale segno di riconoscimento dalle specie simili.

Biologia e riproduzione

Le popolazioni più settentrionali sono migratrici, quelle dell‟Europa centrale e, soprattutto, dell‟Europa meridionale sono stanziali. Il nido, molto disordinato e di piccole dimensioni se paragonato alla mole dell‟animale, viene costruito sugli alberi, la femmina depone due uova a covata per 2 volte l‟anno. La cova dura in media 16 giorni e i piccoli sono nutriti per circa un mese.

Distribuzione ed habitat

E‟ diffuso in tutto il territorio nazionale con esclusione di alcune aree delle regioni meridionali. Specie forestale predilige i boschi di conifere, dove si riproduce, alternati a coltivi, soprattutto cereali e leguminose. Le ghiande rappresentano un alimento molto apprezzato, infatti durante l‟autunno si sposta nelle formazioni dominate da querce. La modalità di diffusione a macchia di leopardo della popolazione nidificante, suggerisce una stretta relazione con la qualità dei boschi e l‟estensione delle monocolture (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998), per cui la corretta gestione selvicolturale volta a favorire la produzione di ghianda e di edera (estensione delle tagliate, rispetto del turno, ecc.) legata alla diffusione sui terreni agricoli di pratiche meno intensive con un corretta gestione delle rotazioni favoriscono senza dubbio questa specie.

TORTORA (Streptopelia turtur)

Descrizione

Specie paleartico-etiopica. In Italia è presente la sottospecie nominale diffusa in un vasto areale che dalle Isole Canarie attraverso l‟Europa, l‟Asia Minore ed il Caspio, si estende fino alla Siberia occidentale, a Sud delle steppe alberate del Kazakhstan.

Di dimensioni intermedie, il suo peso può variare tra 125 e 180 gr. Il piumaggio è vario: il capo è grigio, le parti inferiori tendono al rosa fulvo, il dorso è rossiccio marrone, la coda è scura con marcate punte bianche, il ventre è chiaro e contrasta con il resto del corpo. Caratteristiche le due macchie a strie bianche e nere ai lati del collo.

Biologia e riproduzione

Specie nidificante estiva e migratrice regolare. È l‟unico Colombide migratore transahariano strettamente granivoro durante tutto l‟anno. Adulti e giovani dell‟anno lasciano assieme le aree di nidificazione da agosto a settembre con una coda fino

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all‟ottobre. Il passaggio è su fronte largo e tale stile viene mantenuto anche nell‟attraversamento del Sahara. Il movimento migratorio primaverile è concentrato in aprile-maggio, quando arrivano anche gli individui che nidificheranno in Italia.

Habitat

Quello riproduttivo è rappresentato da agrosistemi strutturalmente complessi con siepi, alberature, boschi; ben nota è la preferenza per aree calde, soleggiate con possibilità di abbeverata. Le aree preferite sono quelle collinari a vocazione cerealicola con ampie fasce di vegetazione naturale. La presenza di coltivazioni di girasole ha un notevole effetto positivo sulla densità delle popolazioni.

Conservazione e Gestione

La specie ha uno status di conservazione sfavorevole in Europa (SPEC 3: in declino). Le cause del declino generale delle sue popolazioni sono tuttavia da ricercare in fattori plurimi che coinvolgono la distruzione di habitat favorevoli alla nidificazione, l‟uso di erbicidi, la pressione venatoria elevatissima, nonché i cambiamenti climatici delle aree di svernamento africane.

A livello locale la creazione ed il mantenimento di siepi, filari alberati abbinati alla creazione di fasce di colture a perdere con girasole, grano tenero ed altre graminacee ai margini delle aree coltivate aumentano la possibilità di fruizione dell‟ambiente per la vicinanza delle risorse trofiche e dei luoghi di sosta notturna e diurna.

2.9.1.3.4. Passeriformi

Relativamente all‟approccio ambientale, gli interventi a favore dell‟avifauna migratoria devono essere orientati al ripristino ed al mantenimento degli habitat più idonei alla riproduzione, alla migrazione ed allo svernamento (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998); da questo punto di vista le pratiche di miglioramento ambientale utilizzate per favorire la fauna stanziale conducono, nella maggior parte dei casi, anche ad un apprezzabile miglioramento della recettività dei territori per i migratori.

È da sottolineare che il problema più rilevante nella gestione dei migratori è il mancato coordinamento e complementarietà dei sistemi di gestione in tutte le aree in cui è distribuita spazialmente e temporalmente una certa specie.

Prendendo in considerazione le specie migratrici più importanti ai fini venatori è possibile elencare una serie di interventi specifici specifici:

ALLODOLA (Alauda arvensis)

E‟ presente in Italia sia come nidificante che come migratore ed ha come habitat preferenziale le aree rurali di pianura e di bassa collina coltivate e le praterie naturali (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998). A partire dal mese di settembre ai nidificanti, il cui numero in ambito provinciale è molto limitato, si sovrappongono gli individui in migrazione.

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Negli ultimi decenni la consistenza delle popolazioni europee è in diminuzione ed attualmente il trend continua ad essere negativo.

La conduzione agronomica dei terreni ha quindi un forte impatto sulla qualità dell‟habitat; le misure volte alla riduzione dell‟intensificazione, sia in termini di stretta successione delle colture che dell‟impiego di prodotti fitosanitari che abbattono le popolazioni di Insetti, hanno senz‟altro il pregio di migliorare la qualità dell‟habitat.

In ambito provinciale la gestione dei residui colturali sulle aree cerealicole e delle praterie naturali può favorire lo svernamento della specie che viene segnalata con numeri consistenti.

TORDO BOTTACCIO (Turdus philomelos)

Le parti superiori del corpo sono di colorazione uniforme marrone-oliva, l‟addome è bianco con macchie di forma oblunga, appuntite di colore bruno, le ascelle, osservabili durante il volo sono giallo-arancio. Il peso può variare tra 70 e 90 gr.

E‟ una specie migratrice parziale. L‟areale di nidificazione è in Europa centro-settentrionale mentre d‟inverno migra nei paesi mediterranei. La distribuzione come nidificante, sul territorio nazionale, copre tutto l‟arco alpino e la dorsale appenninica. Le nostre popolazioni sono in gran parte residenti e durante la cattiva stagione compiono erratismi verso i fondovalle e le pianure. L‟alimentazione è costituita in gran parte da bacche, frutti e molluschi gasteropodi. Nidifica tra i rami degli alberi, dove depone 3-5 uova.

Presente da metà settembre a metà-fine marzo. L‟habitat più favorevole è rappresentato da boschi misti intervallati da cespugli e uliveti con tratti di macchia mediterranea.

Come misura di gestione si può proporre l‟incentivazione dell‟impianto ed il mantenimento di siepi con essenze arbustive che forniscono frutti appetiti (biancospino, prugnolo) insieme a piante arboree (sulle quali, ad esempio, si può arrampicare l‟edera i cui frutti risultano molto appetiti), nonché il recupero ed il mantenimento di vigneti ed oliveti abbandonati. Data l‟alimentazione basata anche sulla componente animale, risulta essenziale la riduzione degli input chimici dannosi per gli insetti e per gli invertebrati in genere.

Segnalato durante il periodo riproduttivo nei boschi delle Serre (Serra San Bruno), la segnalazione merita approfondimento.

TORDO SASSELLO (Turdus iliacus)

La specie frequenta boschi di latifoglie e conifere, campagne alberate, margini dei boschi e arbusteti, nutrendosi essenzialmente di frutta, bacche e semi (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998). Le siepi hanno un ruolo fondamentale nella produzione di risorse trofiche (il vischio disponibile sulle vecchie piante) e quindi risulta importante il loro impianto e/o mantenimento. Anche per il sassello è auspicabile la riduzione degli input chimici nell‟attività agricola.

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La specie è meno abbondante sul nostro territorio e con una consistenza numerica molto più variabile da un anno all‟altro.

CESENA (Turdus pilaris)

Specie tipicamente nomade ed invasiva, in inverno può improvvisamente comparire (invasioni) in gran numero laddove siano disponibili adeguate risorse trofiche, sostando fino all‟esaurimento delle stesse. Frequenta, prevalentemente, boschi aperti delle zone interne, in genere a dominanza di Roverella , con presenza di Biancospino, Agrifoglio e Tasso. Si nutre di Invertrebrati, frutti e semi, per cui valgono essenzialmente le indicazioni fornite per gli altri turdidi.

MERLO (Turdus merula)

Questa specie risulta essere sia nidificante sia migratrice in Italia. La distribuzione sul territorio provinciale è continua, non è presente su piccole aree del versante ionico. Nidifica in ambienti con buona copertura boschiva ed arbustiva (boschi, zone cespugliate, parchi urbani, giardini) e possiede un habitat non riproduttivo eccezionalmente variabile, includendo boschi densi, diverse tipologie di coltivi, lande, zone umide, parchi urbani e giardini (Cramp, 1988; Clement & Hathway, 2000). L‟alimentazione è basata soprattutto sulla componente animale (Cramp, 1988; Sorace, 1992; Fontaneto et al.,1999; Clement & Hathway, 2000) ma in autunno integra con prodotti di origine vegetale, semi, bacche e frutta. Date le sue caratteristiche ecologiche, i miglioramenti più opportuni consistono nella creazione e mantenimento di siepi adatte alla nidificazione ed all‟alimentazione, strutturate nello stesso modo e con le stesse essenze descritte per il tordo bottaccio.

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2.9.1.4. MAMMALOFAUNA

La mammolofanuna della provincia di Vibo Valentia, come quella dell‟intero territorio calabro, è piuttosto ricca di specie. Nella Tabella 8 è riportata una check-list delle specie di mammiferi presenti nel territorio provinciale evidenziando il loro inserimento nell‟allegato II e IV della Direttiva CEE 43/93.

Tra le specie estinte e sicuramente presenti in regione fino al 1950 va annoverata la Lontra (Lutra lutra), grande mustelide che può raggiungere i 120 cm di lunghezza, e che per vivere ha bisogno di acque pulite e non frequentate dall'uomo, con rive coperte da ampi tratti di boschi ripariali. Notizie incerte, riguardano ad oggi, la presenza sul territorio calabrese, dell‟Istrice, mentre tra gli artiodattili il capriolo è segnalato con alcuni individui non appartenenti alla sottospecie italicus presenti in un recinto a Mongiana.

Tabella 8 – Check-list delle specie di mammiferi della Provincia di Vibo Valentia.

MAMMIFERI Dir. CEE 92/43/

All. 2 All. 4

INSETTIVORI

Erinaceidi

1 Riccio europeo (Erinaceus europaeus, Linnaeus, 1758)

Soricidi

2 Toporagno nano (Sorex minutus, Linnaeus, 1766)

3 Toporagno comune (Sorex araneus, Linnaeus, 1758)

4 Toporagno italico od appenninico (Sorex samniticus, Altobello, 1926)

5 Toporagno acquatico di Miller (Neomys anomalus, Cabrera, 1907)

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6 Mustiolo (Suncus etruscus, Savi, 1822)

7 Crocidura a ventre bianco (Crocidura leucodon, Hermann, 1780)

8 Crocidura minore o Crocidura odorosa (Crocidura suaveolens, Pallas, 1811)

Talpidi

9 Talpa romana (Talpa romana, Thomas, 1902)

CHIROTTERI

Rinofolidi

10 Rinolofo eurìale (Rhinolophus euryale, Blasius, 1853) *

11 Rinolofo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum, Schreber, 1774)

*

12 Rinolofo minore (Rhinolophus hipposideros, Bechstein, 1800) *

13 Rinolofo di méhely (Rhinolophus mehelyi, Matschie, 1901) *

Vespertilionidi

14 Barbastello comune (Barbastella barbastellus, Schreber, 1774) *

15 Seròtino comune (Eptesicus serotinus, Schreber, 1774)

16 Pipistrello di Savi (Hypsugo savii, Bonaparte, 1837)

17 Vespertilio di bechstein (Myotis bechsteinii, Kuhl, 1817) *

18 Vespertilio di Blyth (Myotis blythii, Tomes, 1857) *

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19 Vespertilio di Capaccini (Myotis capaccinii, Bonaparte, 1837) *

20 Vespertilio di Daubenton (Myotis daubentonii, Kuhl, 1817)

21 Vespertilio smarginato (Myotis emarginatus, E. Geoffroy, 1806) *

22 Vespertilio maggiore, (Myotis myotis, Borkhausen, 1797) *

23 Vespertilio mustacchino (Myotis mystacinus, Kuhl, 1817)

24 Vespertilio di Natterer (Myotis nattereri, Kuhl, 1817)

25 Nottola gigante (Nyctalus lasiopterus, Schreber, 1780)

26 Nottola comune (Nyctalus noctula, Schreber, 1774)

27 Pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii, Kuhl, 1817)

28 Pipistrello di Nathusius (Pipistrellus nathusii, Keyserling et Blasius, 1839)

29 Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus, Schreber, 1774)

30 Orecchione meridionale o grigio (Plecotus austriacus, Fischer, 1829)

Miniopteridi

31 Miniottero di Schreiber (Miniopterus schreibersii, Kuhl, 1817) *

Molossidi

32 Molosso di cestoni (Tadarida kenioti, Rafinesque, 1814)

LAGOMORFI

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Leporidi

33 Lepre comune o europea (Lepus europaeus, Pallas, 1778)

34 Lepre italica (Lepus corsicanus, De Winton, 1898)

RODITORI

Sciuridi

35 Scoiattolo comune (Sciurus vulgaris, Linnaeus, 1758)

Gliridi

36 Quercino (Eliomys quercinus, Linnaeus, 1766)

37 Driomio (Dryomys nitedula, Pallas, 1779)

38 Ghiro (Glis glis, Linnaeus, 1766)

39 Moscardino (Muscardinus avellanarius, Linnaeus, 1758)

Muridi

40 Arvicola rossastra o dei boschi (Clethrionomys glareolus, Schreber, 1780)

41 Arvicola terrestre (Arvicola terrestris, Linnaeus, 1758)

42 Arvicola di savi (Microtus savii, de Sélys-Longchamps, 1838)

43 Topo selvatico a collo giallo (Apodemus flavicollis, Melchior, 1834)

44 Topo selvatico (Apodemus sylvaticus, Linnaeus, 1758)

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45 Topo domestico (Mus domesticus, Schwarz et Schwarz, 1943)

46 Ratto nero o dei tetti (Rattus rattus, Linnaeus, 1758)

47 Ratto delle chiaviche (Rattus norvegicus, Berkenhout, 1769)

Istricidi

48 Istrice (Hystrix cristata, Linnaeus, 1758)

CARNIVORI

Canidi

49 Lupo (Canis lupus, Linnaeus, 1758) *

50 Volpe (Vulpes vulpes, Linnaeus, 1758)

Mustelidi

51 Tasso (Meles meles, Linnaeus, 1758)

52 Donnola (Mustela nivalis, Linnaeus, 1766)

53 Puzzola (Mustela putorius, Linnaeus, 1758)

54 Faina (Martes foina, Erxleben, 1777)

55 Martora (Martes martes, Linnaeus, 1758)

Felidi

56 Gatto selvatico (Felis silvestris, Schreber, 1777)

ARTIODATTILI

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Suidi

57 Cinghiale (Sus scrofa, Linnaeus, 1758)

Cervidi

58 Daino (Dama dama, Linnaeus, 1758)

59 Capriolo (Capreolus capreolus, Linnaeus, 1758) (in recinto)

Di seguito sono analizzate in dettaglio le principali specie di mammiferi, esaminando in particolare quelle sottoposte all‟esercizio venatorio.

Specie oggetto di gestione venatoria

LEPRE COMUNE O LEPRE EUROPEA (Lepus europaeus Pallas, 1778)

Sistematica

Ordine: Lagomorfi

Famiglia: Leporidi

Sottofamiglia: Leporini

Genere: Lepus

Specie: europaeus Pallas;

Cenni storici e diffusione

Diversamente da altre specie selvatiche, in Italia la consistenza della lepre comune, negli ultimi decenni, è andata via via aumentando per effetto di ripetute introduzioni, principalmente a scopo venatorio, estendendosi così dal Centro-nord a tutto il Sud, con la sola eccezione della Sicilia. Si è trattato di “importazioni” di soggetti di provenienza centro-europea che inevitabilmente hanno comportato un inquinamento del pool genico autoctono. La lepre europea esibisce un areale di diffusione molto ampio, esteso all‟intera Europa, al Nord Africa e, verso est, sino al Medio Oriente.

Aspetti Morfologici

La taglia di questo interessante lagomorfo varia da piccola, nella lepre italica (2-4kg circa), a media, nella lepre europea (3-6kg). L‟accentuato dimorfismo interspecifico si può considerare un adattamento al regime termico dell‟habitat in cui si diffuse la specie italica, caratterizzato da temperature mediamente più elevate. L‟animale esibisce l‟habitus tipicamente dolicomorfo caratteristico dei grandi corridori, il corpo è quindi slanciato (nella lepre europea, lungo sino a 70cm, coda compresa, sino a 55cm nella

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lepre italica) ed assai flessuoso. Caratteristiche sono le orecchie, nella specie Europea lunghe anche 8-14cm, ed il muso che, in quanto Leporide, naturalmente è fesso. La pelliccia, densa e morbida, acquisisce sfumature differenti a seconda della stagione e della specie: varia dal fulvo al grigio-rossiccio. Il ventre si presenta sempre bianco. Le principali differenze fra le due specie riguardano le cosce ed il groppone che nella lepre italica appaiono di colore bruno-ocra-rossiccio invece che bruno-grigiastro, la nuca e la parte dorsale del collo che sono grigio-nerastre nella specie italica e bruno-rossiccie nella lepre comune ed, infine, il ventre la cui colorazione bianca nella lepre italica si distingue nettamente dal resto del mantello mentre nella lepre comune si ravvisa piuttosto una transizione “sfumata”.

Habitat ed alimentazione

Il bioma d‟origine della lepre è certamente la steppa ma nei nostri ambienti ha trovato un ottimo surrogato nella prateria mediterranea. Nel tempo, inoltre, ha colonizzato sempre più frequentemente gli agro-ecosistemi sia per l‟ovvia attrattiva esercitata dalla possibilità di attingere alle colture erbacee, sia per la più uniforme distribuzione delle risorse alimentari nel corso dell‟anno, dovuta alla rotazione agraria. In merito però è da precisare che la lepre europea si rivela più elastica ed adattabile, mentre la specie italica sembra più fortemente legata agli ecosistemi naturali e meno facilmente si risolve a frequentare le zone coltivate. La lepre è da inquadrare fra gli erbivori stretti od obbligati. Erbe, radici ed altra biomassa vegetale (gemme, corteccia) costituiscono in

toto la dieta “tipo” di questo animale.

Riproduzione

La lepre comune raggiunge la maturità sessuale entro l‟anno di età. Il comportamento riproduttivo di questo mammifero sembra condizionato dal fotoperiodo, più precisamente dall‟allungamento delle giornate: si tratta quindi di una specie longidiurna. L‟attività riproduttiva si estrinseca sostanzialmente in tardo inverno-primavera, soprattutto fra aprile e luglio. Gli accoppiamenti fanno seguito a turbolente dispute fra i maschi. La specie è poligama, di conseguenza ogni maschio tende ad accoppiarsi con il maggior numero possibile di femmine e, di converso, ciascuna femmina può essere montata da diversi maschi. La gestazione dura 4-6 settimane. La numerosità della cucciolata può dipendere da fattori diversi, soprattutto dall‟ordine di parto (primipara o pluripare) e dalla disponibilità di risorse alimentari, in ogni caso varia da 1 a 6 leprotti. Un aspetto rimarchevole della riproduzione delle lepri è il fenomeno della superfetazione, ovvero la possibilità per la femmina di essere nuovamente fecondata pur non avendo ancora espletato il parto. Mediamente si osservano 4-5 cucciolate/anno, ma se ne sono contate sino a 7. Diversamente dai coniglietti, i cuccioli di lepre appena nati sono già provvisti di pelo, hanno gli occhi aperti e sono capaci di seguire da subito la madre. Lo svezzamento è assai precoce, per lo più ad un mese dalla nascita, di solito, i piccoli si allontanano dalla madre. In tal senso la specie evidenzia scarsa socialità.

Dinamica di popolazione

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La penisola italiana ospita fra le altre, la lepre comune o europea e la lepre italica. L‟attenzione che bisogna porre nell‟implementare un programma di ripopolamento risiede soprattutto nel fatto che la lepre europea è vettore di varie patologie potenzialmente perniciose per la cugina italica, in quanto ad essa sconosciute. Non deve destare invece preoccupazione l‟eventuale sovrapposizione degli areali di diffusione (simpatria) per via della forte barriera di fertilità esistente fra le due specie, testimoniata dall‟assenza di esemplari con fenotipi intermedi tra la lepre italica e la lepre europea e dalla mancanza di introgressione genica di una specie nell‟altra. Le principali cause minaccia per la specie italica sono da ricondurre principalmente alla riduzione e frammentazione dell‟areale, che espongono il piccolo lagomorfo nostrano al rischio di erosione della variabilità genetica. Inoltre, nei casi in cui si verifica simpatria, la somiglianza della lepre italica a quella europea costituisce un serio svantaggio perché non sempre è facile o possibile discernere la specie cacciabile (la lepre comune) da quella protetta.

LEPRE ITALICA (Lepus corsicanus De Winton, 1898)

Sistematica

Ordine: Lagomorfi

Famiglia: Leporidi

Sottofamiglia: Leporini

Genere: Lepus

Specie: corsicanus De Winton.

Cenni storici e diffusione

Come già detto a proposito della lepre europea, la validità tassonomica della lepre italica come buona specie è stata confermata con più studi a partire dal 1996, studi che fin dagli inizi hanno riguardato proprio esemplari della Calabria (Mongiana - VV). Attualmente però il suo status è seriamente compromesso a causa delle trasformazioni dell‟habitat, dell‟attività venatoria e, come se ciò non bastasse, anche a causa dell‟immissione sul territorio di migliaia di capi di lepri europee, con possibili fenomeni di competizione e diffusione di patologie comuni (ad es. l‟E.B.H.S.). La conseguenza di tutto ciò è che la lepre italica è presente solo in alcune “isole” residuali, anche se manca, purtroppo, ancora una precisa conoscenza della distribuzione e della consistenza degli effettivi. Ricerche realizzate direttamente dall‟ex INFS circa 10 anni or sono, hanno consentito di identificare la specie anche all‟esterno del Parco Nazionale dell‟Aspromonte (Bianco), in un‟area dove erano stati realizzati ripopolamenti consistenti con la lepre europea. Va ricordato che la lepre italica, a differenza della lepre europea, è una specie protetta, ma la difficoltà di riconoscimento da parte dei cacciatori determina abbattimenti illegali, che minacciano la sopravvivenza della specie all‟esterno delle aree protette. Per il recupero della specie il Ministero dell‟Ambiente, del Territorio e del Mare ha predisposto un Piano d‟azione (Trocchi e Riga, 2001).

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Figura 15 - Distribuzione della lepre italica (dati ISPRA, segnalazioni accertate nel

corso degli ultimi 15 anni).

Nel complesso, la Lepre italica è classificata come specie “minacciata”, nella categoria “Vulnerabile”, sia a livello europeo IUCN Red List (Europa), 2007 (Appendice 1), sia a livello globale, IUCN Red List, 2008 (criteri 2001).

Morfologia

La lepre italica è simile nell'aspetto generale alla lepre europea, ma ha forme relativamente più slanciate. La lunghezza della testa e del corpo, della coda, del piede posteriore e, soprattutto, le orecchie sono proporzionalmente più lunghe (9-10cm),

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mentre il peso medio degli adulti è di circa 800 gr. inferiore. Relativamente al mantello, coscia e groppone appaiono bruno-ocra-rossicci; la parte dorsale del collo e della nuca, grigio-nerastre; negli adulti si osserva una colorazione grigia della porzione basale del pelo centrodorsale (tra le scapole) ed infine, esiste una separazione netta tra la colorazione bianca del ventre e quella dei fianchi.

Le peculiarità morfologiche rappresentano probabilmente un adattamento della lepre italica al clima caldo degli ambienti mediterranei, a differenza della lepre europea, che è meglio adattata agli ambienti con clima continentale.

Habitat ed alimentazione

La distribuzione ecologica della lepre italica conferma l‟adattamento prevalente della specie agli ambienti a clima mediterraneo, benché essa sia presente dal livello del mare fino a 2.000 m s.l.m. in Appennino e a 2.400 m s.l.m. sull‟Etna. Gli ambienti preferiti sono quelli rappresentati da un‟alternanza di radure, anche coltivate, ambienti cespugliati e boschi di latifoglie; inoltre, può occupare aree di macchia mediterranea con densa copertura vegetazionale, compresi gli ambienti dunali.

Con riferimento al comportamento alimentare della lepre italica, presenta una dieta molto diversificata, con una netta preferenza nei confronti delle Graminacee, così come osservato in altri Lagomorfi, sia in estate che in inverno, mentre il consumo di tali piante in primavera addirittura si accresce, nonostante la maggiore disponibilità di alimenti alternativi. La specie dimostra, inoltre, capacità di adattamento alimentare rispetto a condizioni climatiche estreme (forte aridità nel periodo estivo e innevamento consistente nel periodo invernale).

Riproduzione

Le conoscenze sulla biologia riproduttiva di questa specie sono scarse, comunque è stata accertata la possibilità di riproduzione in tutti i mesi dell‟anno, con una concentrazione dei parti in primavera. A differenza della lepre europea, manca di una diapausa riproduttiva stagionale (analogamente a quanto verificato nella lepre sarda). La dimensione massima delle figliate osservate su femmine gravide è risultata di 4 feti, con una media di 1,6 per parto ed una media di circa 3 parti all‟anno

Dinamica di popolazione

Ancora poche indagini sono state compiute per valutare la densità della specie sul territorio. I primi risultati di studi in corso, realizzati con la tecnica dello spot light census, interessano quasi 1.000 km di percorsi campione nell‟Italia centro-meridionale (Calabria compresa) ed in Sicilia (dati ISPRA).

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Tabella 9 – Indice di densità (n./km2 D.S.) delle lepri in aree protette e di caccia

dell'Italia centrale e meridionale e in Sicilia.

Areale Aree protette Territori di caccia

Penisola (Lepus sp.) 11,44 32,77 0,53 1,28

Sicilia lepre italica 10,44 11,98 2,09 0,33

La tabella evidenzia come in Sicilia e nella Penisola vi siano analoghe densità delle lepri sul territorio, tuttavia, nella seconda area il dato si riferisce alla presenza cumulativa della lepre europea e della lepre italica. Tale condizione potrebbe riflettere un‟interferenza sfavorevole della specie introdotta rispetto a quella autoctona, così come una sostanziale vicarianza tra esse. Rimarchevole è la differenza di densità tra le aree protette e quelle ove è ammesso l'esercizio venatorio. La tendenza complessiva della popolazione peninsulare è di decremento.

CINGHIALE (Sus scrofa, Linnaeus, 1758)

Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Artiodattili

Sottordine: Suiformi Famiglia: Suidi Genere: Sus Specie: scrofa Linneo Sottospecie presenti in Italia: Sus scrofa scrofa

Sus scrofa majori

Sus scrofa meridionalis

Cenni storici e diffusione

Il cinghiale (Sus scrofa) è distribuito su un vastissimo areale in tutto l‟emisfero settentrionale ed ha dato origine a un gran numero di sottospecie. In Italia, venivano individuate 3 sottospecie, Sus scrofa scrofa con distribuzione alpina, Sus scrofa majori

che si ritrova nell‟Italia Centrale e Meridionale e Sus scrofa meridionalis presente in Sardegna, anche se recentemente questa suddivisione è in corso di revisione (Larson et

al., 2005; Scandura et al., 2008).

Attualmente il cinghiale è uniformemente distribuito della Valle D‟Aosta alla Calabria sia perche l‟uomo ha gradualmente abbandonato campagne e montagne (lasciando quindi molti territori liberi della presenza antropica), sia a causa delle continue ed

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indiscriminate immissioni della specie a scopo venatorio in tutto il territorio nazionale. Nella provincia di Reggio Calabria, dopo la lepre, il cinghiale rappresenta la specie di interesse venatorio più diffusa nelle aree boscate interne.

Habitat e alimentazione

Per una specie dalla alta valenza ecologica come il cinghiale, oltremodo adattabile alle più disparate situazioni ambientali, è difficile individuare un solo ambiente chiave che comunque si può sintetizzare con la definizione di “aree forestali collinari-montane di caducifoglie fruttifere”. Necessarie sono pure le radure, i prati e la ricchezza d‟acqua per i frequenti bagni di fango.

Vista la sua plasticità, il cinghiale occupa ogni ambiente disponibile, agevolato in questo da una dieta onnivora, con prevalenza delle componenti vegetali (ghiande, castagne, radici, tuberi,bulbi e vegetali semi-legnosi).

Riproduzione

Le popolazioni di cinghiale sono caratterizzate da un punto di vista dell‟organizzazione sociale da una gregarietà alla quale si sottraggono solo i maschi di più di 2 anni che, per la maggiore parte del loro tempo, vivono solitari. Oltre questi, si possono osservare 3 tipologie di branco: gruppi femminili con poche femmine anziane e prole numerosa e alcuni giovani verri; branchi di femmine con prole accompagnate da giovani maschi; piccoli gruppi di giovani maschi isolati o di giovane femmine senza prole. In ogni situazione ben strutturata, ogni gruppo ha come guida una femmina d‟esperienza ed è in grado di sfruttare pienamente le risorse del territorio.

Il periodo riproduttivo è molto variabile, in funzione del clima e dell‟abbondanza alimentare, ma le nascite sono in genere comprese tra gennaio e agosto. La prima gravidanza può anche avvenire, nelle annate particolarmente favorevoli con elevata produzione di frutti forestali (ghiande, castagne e faggiole), anche in soggetti di 10 mesi che entrano in estro quando raggiungono un peso soglia di circa 30 Kg. Anche se vi possono essere notevoli sfalsamenti nei periodi delle nascite, non sono accertati casi di due parti/anno.

Dinamica di popolazione

In conseguenza della bassa età in cui le femmine iniziano a partecipare alla riproduzione e dell‟elevata dimensione delle cucciolate, le popolazioni di cinghiale sono in grado di produrre tassi di accrescimento annuali molto elevati che possono andare dal 70 fino al 150 %. In media possiamo dire che in condizioni normali una popolazione di cinghiale si incrementa del doppio in una anno.

La dinamica di popolazione della specie è strettamente correlata all‟andamento delle fruttificazioni delle fagaceae (querce, castagno, faggio): nelle annate di pasciona, ovvero di elevata fruttificazione, si hanno le seguenti conseguenze:

estro anticipato delle femmine

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maggiore % di scrofe < 1 anno che si riproducono

dimensione media della cucciolata più elevata

VOLPE (Vulpes vulpes, Linnaeus, 1758)

Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Carnivori Famiglia: Canidi

Genere: Vulpes

Specie: vulpes L.

Cenni storici e diffusione

La volpe rossa, o volpe comune è la più nota e diffusa rappresentante del gruppo di specie indicate genericamente col termine di vulpes.

Morfologia

Si distingue per il muso appuntito e la coda lunga e folta. Il mantello è generalmente rosso-bruno dorsalmente e bianco ventralmente.

Habitat ed alimentazione

La volpe è notoriamente un animale difficile da studiare, sia per le sue preferenze spaziali che per quelle ambientali ed alimentari (praticamente onnivora). La si può incontrare di frequente sia sulle coste che nelle zone montuose. Occupa territori le cui dimensioni possono variare - a secondo dell‟habitat – da 5 a 50km2, i cui confini vengono scrupolosamente marcati con urina e feci. Spesso scava tane nel terreno o usufruisce di quelle dei tassi o dei conigli selvatici.

Da un punto di vista alimentare, la volpe comune presenta uno spettro molto ampio, dal momento che le sue prede vanno dalle larve di maggiolino fino ai giovani di capriolo, con una spiccata predilezione per i roditori. In tal senso, la sua azione risulta di grande utilità per l‟agricoltura, anche se non esiste un‟animale più odiato degli agricoltori. Il cibo in eccesso viene accuratamente nascosto e/o seppellito.

La volpe rossa è essenzialmente un animale solitario che si riunisce in coppia durante il periodo riproduttivo, tollerando un‟ulteriore femmina detta β sul proprio territorio. Fra i suoi nemici naturali, annovera principalmente il lupo seguito dall‟aquila e dai grandi rapaci notturni: per proteggersi fa ricorso essenzialmente ad un atteggiamento di prudenza massima ed ai propri sensi sviluppati.

Dinamica di popolazione

In tutta la penisola, l‟aumento della sua consistenza numerica appare strettamente legato al grado di antropizzazione del territorio. Infatti la crescita della popolazione di

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quest‟animale, è da porre in connessione con l‟abbandono delle aree marginali e la conseguente riduzione di controllo venatorio sulla specie. Inoltre, i rifiuti urbani, i frutti non raccolti e la presenza di carogne, offrono facili alternative alle prede più usuali.

In ultimo, non è da trascurare il fatto che il frequente ripopolamento con piccola selvaggina offre alla volpe una grande quantità di prede facilmente catturabile. Come contropartita dell‟aumento della sua presenza sul nostro territorio, c‟è da osservare l‟impatto negativo esercitato sugli animali da cortile e sulle piccole specie d‟interesse venatorio.

Per quanto concerne le specie d‟interesse venatorio presenti nel territorio provinciale, appare evidente che la presenza di numerose volpi può influire molto negativamente sulle popolazioni di lagomorfi, soprattutto in considerazione del fatto che i ripopolamenti effettuati in seno a questi ultimi piccoli mammiferi si dimostrano qualitativamente inappropriati.

Al momento attuale, non si hanno elementi probanti che consentano una valutazione certa dell‟impatto predatorio della volpe su specie come lepre, fagiano e coturnice. Conseguentemente, si possono produrre solo ipotesi prudenziali che riescano ad ispirare una serie di comportamenti gestionali tendenti a mantenere il necessario equilibrio fra quantità di prede e predatori.

CAPRIOLO (Capreolus capreolus, Linnaeus, 1758)

Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Artiodattili Sottordine: Ruminanti Famiglia: Cervidi Sottofamiglia: Capreolini Genere: Capreolus Specie: capreolus Linneo Sottospecie presenti in Italia: Capreolus capreolus capreolus

Capreolus capreolus italicus

Cenni storici e diffusione

I caprioli rappresentano un genere assai noto in Europa e sono spesso confusi dai profani con i piccoli di cervo. Attualmente nel nostro continente, vengono suddivisi in 3 sottospecie, di cui 2 sono segnatamente italiane: Capreolus capreolus capreolus diffuso in tutto l‟arco alpino, nel Appennino settentrionale, in Abruzzo e in Sila; Capreolus

capreolus italicus presente nelle province di Siena e Grosseto, nel Gargano, nella tenuta presidenziale di Castel Porziano e sui monti di Orsomarso.

Il capriolo è uno degli ungulati più diffusi e anche più conosciuti. Oltre ai 2 grandi subareali (alpino e appenninico) piccoli areali disgiunti sono presenti nel centro e

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nell‟Italia Meridionale: uno nel Parco Nazionale dell‟Abruzzo e uno nel massiccio silano.

Di taglia medio-piccola, il capriolo supera raramente i 30 Kg di peso.

Habitat

Tipico animale di boscaglia, ha il corpo breve, più alto sulla groppa, palchi piccoli e qualità comportamentali caratteristiche, come la tendenza a vivere isolato. Il suo optimum ecologico è da individuarsi nei territori di pianura, collina e media montagna caratterizzati da alternanza di aree boscate, pascoli e coltivi, e ricchi di fasce ecotonali, purché con scarsa copertura nevosa. Comunque la specie si adatta alle più disparate situazioni ambientali, delle foreste di conifere alla macchia mediterranea.

Dinamica di popolazione

Fino alla prima metà del XVIII secolo, la specie era numericamente rappresentata nell‟intera parte continentale dell‟Italia, oltre che in Sicilia. Nei decenni successivi, col crescere della popolazione umana, una sempre maggior parte del territorio venne destinata all‟attività agro-silvo-pastorale e conseguentemente sottratta all‟areale della specie, rallentando così l‟accrescimento della popolazione, anche a causa dell‟attività venatoria persecutoria a cui il capriolo è stato oggetto. Tale fenomeno estremamente negativo, raggiunse il suo culmine nell‟immediato dopoguerra. Dalla fine degli anni „60, si è potuta verificare un‟inversione di tendenza grazie alla quale la specie ha riconquistato pian piano una cospicua parte del proprio areale storico, fatta eccezione per i sub-areali dell‟Italia Centro-meridionale dove il capriolo è limitato in piccole porzioni del suo antico territorio.

In Calabria sono attualmente presenti due sub-areali: quello della Sila occupato da una popolazione appartenente alla sottospecie nominale originata da reintroduzioni con soggetti europei, ed un nucleo relitto di capriolo italico entro il Parco Nazionale del Pollino, presso Orsomarso. Recentemente è stata effettuata una operazione di reintroduzione con soggetti di capriolo italico nel Parco nazionale dell‟ Aspromonte. In provincia di Vibo Valentia il capriolo è attualmente assente; è stata segnalata la presenza di un piccolo nucleo in cattività a Mongiana, certamente appartenente alla forma nominale.

Per tutto quanto sopra esposto, è chiaro che il capriolo mostra uno stato di conservazione più che soddisfacente nella parte centro-settentrionale dell‟Italia, mentre nel meridione il suo stato di conservazione appare pericolosamente precario, soprattutto quello della sottospecie italicus che è a forte rischio di scomparsa o di inquinamento genetico da parte della forma nominale.

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DAINO (Dama dama, Linnaeus, 1758)

Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Artiodattili Famiglia: Cervidi Genere: Dama

Specie: dama L.

Cenni storici e diffusione

Sull'areale originario del daino esistono tesi molto controverse, ma tutte concordano nel definirlo indigeno della regione mediterranea. Molti zoologi indicano la sua presenza in Italia come frutto di introduzioni operate in epoca classica. C‟è da dire però che in molti giacimenti fossiliferi a mammalofauna il daino è presente sia con forme arcaiche (Dama

clactoniana), sia con il daino attuale (Dama dama). In alcuni giacimenti (Roma, Vitinia) la presenza del daino fossile è abbondantissima. Fu introdotto sicuramente dall‟uomo in gran parte d‟Europa dalla Scandinavia meridionale alla Gran Bretagna, dalla penisola Iberica ai Balcani, così come pure nel nord Italia ai fini venatori e per la sua bellezza che lo rende un vero ornamento di parchi e giardini (famose le “Valli dei daini” presenti in molte ville rinascimentali).

In Calabria sono presenti tre piccoli nuclei, a Cosenza ed a cavallo fra le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia (http://www.bighunter.it).

Morfologia

Corpo robusto ed allungato, arti lunghi e relativamente robusti, coda evidente. Mantello di colore bruno-rossiccio in estate con macchie bianche sui fianchi e sul dorso, con testa più scura. Il posteriore è caratterizzato dal cosiddetto specchio anale, molto evidente osservando gli animali in fuga, composto dalla coda e dalla zona perianale vera e propria, bianchi, orlati e con parte centrale neri. In inverno le macchie sul mantello spariscono e il colore diventa più scuro. Poiché il daino è stato utilizzato nei secoli come animale ornamentale, esistono delle varietà di colore nero, bianco e di varie sfumature del marrone. I maschi possiedono palchi di corna caduche caratterizzate dall‟essere composte da due cime, inferiore e mediana, con la punta tipicamente appiattita (pala); il daino perde le corna in aprile-maggio e le riforma completamente entro agosto-settembre.

Habitat

E' una specie molto adattabile, ma il suo habitat preferenziale è sicuramente il bosco rado di latifoglie situato in pianura o bassa collina, intervallati da radure e pascoli. Tuttavia si adatta facilmente a tutte le zone boschive, dalla macchai mediterranea fino alla montagna, purché non oggetto di forte innevamento.

Riproduzione

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Animale molto sociale, il daino vive in grossi branchi, unisessuali durante l‟anno, misti durante il periodo degli amori che coincide in genere con l‟autunno. Il daino non forma i cosiddetti harem, tipici di altre specie di cervidi. La gestazione dura circa otto mesi al termine della quale viene partorito di solito un piccolo, raramente due.

Alimentazione

Ungulato tipico dei boschi di latifoglie e della macchia mediterranea, da un punto di vista alimentare, il daino dimostra grande plasticità comportandosi sia da pascolatore che da brucatore. Si ciba di piante erbacee, radici, germogli, fogliame, ghiande, castagne, frutti selvatici in genere. D‟inverno può scortecciare gli alberi, così che dove la densità di questo ungulato è eccessiva si hanno danni al bosco.

Dinamica di popolazione

La specie oggi presenta una distribuzione che è conseguenza delle numerose operazioni di immissione effettuate nel passato. A dimostrazione di ciò, vi è anche il suo elevato grado di domesticazione e la presenza di 4 colorazioni di mantello. Il suo carattere gregario associato alla limitata capacità di dispersione, permette localmente di raggiungere densità elevate ( più di 30 capi su 100 ha). Il solo predatore del daino adulto è il lupo, mentre i neonati possono essere occasionalmente vittime della volpe; tuttavia il principale predatore del daino è costituito dai cani, inselvatichiti o domestici, oltre naturalmente all‟uomo. Il daino presenta problemi quindi più di gestione che di conservazione e ciò suggerisce una particolare cautela nella valutazione immissione di questo ungulato.

Specie di cui agli allegati II e IV della Direttiva habitat

GATTO SELVATICO (Felis sylvestris, Schreber, 1777)

Sistematica, status e distribuzione

Ordine: Carnivori Famiglia: Felidi Genere: Felis Specie: sylvestris Schreber

Cenni storici e diffusione

Solitamente si associa il gatto selvatico (Felis silvestris) alle foreste di latifoglie miste o, in Sardegna, di macchia mediterranea. In Italia il gatto selvatico vive principalmente sulle Alpi liguri al confine con la Francia, sulle Alpi Carniche al confine con la Jugoslavia e lungo la dorsale appenninica centrale fino alla Sicilia. Si distinguono due sottospecie di gatto selvatico: il gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris) e il gatto selvatico sardo (Felis silvestris libyca) che appartiene al gruppo libyca, comprendente i gatti selvatici africani e del Medio Oriente. La specie è inserita dall'IUCN nella categoria di minaccia LC-Least Concern (a rischio minimo).

Morfologia

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Il suo aspetto ricorda quello di un gatto soriano ma ha la testa più grande e il pelo più scuro. I maschi si differenziano dalle femmine per la taglia, decisamente superiore (3,500-5,550 kg), anche se vi possono essere delle variazioni a seconda delle stagioni. Il gatto selvatico sardo risulta invece decisamente più piccolo (1,550 - 3,300 kg).

Alimentazione

Esclusivamente carnivoro, questo affascinante felino è un cacciatore notturno e si ciba di piccole prede (roditori, uccelli, lagomorfi, piccoli rettili, insetti). Il gatto selvatico possiede un tipo di organizzazione sociale dove vige una rigida ripartizione dello spazio tra individui dello stesso sesso (tra maschi e femmine invece è possibile una sovrapposizione degli spazi). Questo tipo di organizzazione sociale, sostanzialmente solitaria, non permette a questa specie di raggiungere densità elevate in natura.

Dinamica di popolazione

Le conoscenze finora acquisite sulla distribuzione di questo felide non sono molte. Ciò è dovuto sia alla natura di questo animale, particolarmente elusivo, sia alle difficoltà oggettive di identificarlo: il gatto selvatico infatti viene spesso confuso con quello domestico.

E' difficile definire con esattezza la consistenza e lo stato delle popolazioni di questa specie. Tra i fattori di minaccia vi sono quelli tristemente comuni a tutte le popolazioni selvatiche come la modificazione e la frammentazione degli habitat e il bracconaggio, cui se ne aggiunge, in questo caso, una più specifica e, per così dire peculiare a questa specie: l'ibridazione con il gatto domestico che incide a tal punto da essere considerata in alcune regioni d'Europa addirittura il principale fattore di minaccia. Per questo motivo in Italia si dovrebbe aumentare il controllo delle popolazioni ferali di gatto domestico, soprattutto in quelle aree dove è stata accertata la presenza del gatto selvatico.

LUPO (Canis lupus, Linnaeus, 1758)

Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Carnivori Famiglia: Canidi Genere: Canis Specie: lupus Sottospecie: italicus

Cenni storici e diffusione

Nelle Alpi la brutale azione dell'uomo ha estinto il lupo all'inizio del 1900; oggi si stimano in Italia circa 800 individui, distribuiti dalla Calabria al Piemonte, mentre sono stati individuati i primi gruppi in Valle d‟Aosta e Lombardia. La protezione di cui ha goduto negli ultimi decenni questo superbo animale, fa ben sperare, per la sua ripresa

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demografica. In Calabria, oltre al massiccio della Sila, il lupo è presente anche nell‟area del Parco Naturale delle Serre (http://www.parcodelleserre.it)

Morfologia

Di taglia media (30 - 40 Kg nei maschi, 20-25 kg nelle femmine), è caratterizzato da arti lunghi, torace possente, testa con fronte larga e sfuggente, occhi obliqui e orecchie erette. Dal punto di vista fisiologico il lupo presenta una sola riproduzione all'anno.

Il mantello è policromatico, sfuma dal beige carico della porzione ventrale al beige-rossiccio dei fianchi fino al nerastro della larga gualdrappa che corre lungo la groppa e la coda. Nel mezzo del dorso presenta una fascia di circa dieci e più centimetri di colore grigio-nero. Il sottopelo è di colore nocciola chiaro. Lateralmente al dorso e i fianchi sono grigio-fulvi, petto e addome color fulvo-chiaro, parti interne degli arti biancastre. La testa è grigia, muso grigio-fulvo dorsalmente, grigio-biancastro ventralmente, guance, mento e gola bianco-sporco. Collo con lunghi e fitti peli irti grigio-fulvi limitati sul petto da una striscia bruna a mo' di collare. Orecchie alle estremità fulvo-volpine col margine lievemente più scuro, internamente bianco-grigiastre. Sugli arti anteriori una sottile striscia scura che forma una macchia nell'articolazione del piede e divide il colore della faccia interna da quello della faccia esterna. Piedi fulvo-chiari. La coda è bicolore, con sfumature più intense e scure, dalla base alla punta. Nei maschi il colore fulvo volpino dell'orecchio si estende all'occipite ed ai lati della nuca; le femmine hanno una macchia bianca nella regione della gola ben più estesa che nei maschi.

Habitat

Lo si trova con frequenza nelle zone più integre e riparate dei nostri Appennini, nei boschi di latifoglia e nelle radure più isolate e non disturbate dall'azione o dalla presenza dell'uomo.

Riproduzione

Differentemente dai cani, i lupi hanno un solo periodo riproduttivo all'anno, l'epoca dell'estro si concentra nei mesi di gennaio/febbraio e normalmente gli accoppiamenti si realizzano nelle prime due settimane di marzo. La gravidanza ha una gestazione di circa 57/63 giorni e quindi le nascite si concentrano nelle prime settimane di maggio. Le cucciolate risultano essere discretamente numerose nelle femmine più mature (7/8 cuccioli), decisamente contenute nelle primipare (2/3 cuccioli di 200 ai 400 g di peso vivo).

Comportamento

Il lupo è un animale sociale e vive in gruppi familiari; questi sono regolati numericamente dalla presenza delle prede di grande mole. Dove esistono grandi ungulati (cervidi in genere), si possono incontrare branchi complessi che arrivano ad essere composti da più individui adulti (fino a 6 adulti); dove la disponibilità alimentare è data dalla sola presenza di piccole prede, si trovano, diversamente, piccoli gruppi familiari. I branchi sono organizzati per struttura gerarchica e con la presenza di un

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maschio e una femmina alfa, che hanno la dominanza assoluta sugli altri componenti e che sono gli unici a riprodursi. La comunicazione è estremamente evoluta e si realizza attraverso mimiche del corpo e vocalizzazioni ben precise, che esprimono con grande chiarezza, gli stati d‟animo dei vari componenti il branco. Raramente i conflitti interni al gruppo hanno esiti cruenti, nella maggioranza dei casi tutto viene chiarito da una esplicita gestualità e vocalizzazione adottata dai vari componenti del branco.

Alimentazione

Un lupo mangia mediamente circa 2/3 Kg. di carne al giorno, questo significa che deve predare almeno ogni tre giorni e che può ingurgitare in un solo pasto fino a 8 Kg. di carne. L'alimentazione è strettamente carnivora, molto marginali sono le integrazioni con bacche, frutti, erbe, alimenti che svolgono una funzione digestiva e depurativa, oltre a fornire microelementi essenziali al corretto bilanciamento della dieta. La vita massima è di circa 10 anni ed è strettamente legata alla capacità di provvedere al proprio sostentamento, ancor oggi esistono tristi incidenze di mortalità, legate alla persecuzione dell'uomo.

Dinamica di popolazione

Il Canis lupus è uno dei carnivori selvatici con la più estesa distribuzione geografica. Solo la persecuzione operata dell‟uomo ne ha limitato la presenza relegandolo alle zone montane densamente forestate. Animale gregario, vive in gruppi di bassa densità ( 1-3,5 individui / 100km2). Attualmente in Italia, si stima la presenza di 800 lupi con un abbattimento illegale stimato di circa 50 lupi ogni anno. Alla luce di ciò, appare ancora più impellente la pianificazione di misure di prevenzione e di risarcimento dei danni arrecati al comparto zootecnico. Ulteriore fattore di minaccia per questa specie presente sulla lista rossa dell‟IUCN è rappresentato dalla competizione con i cani vaganti, altro serbatoio di infezioni e motivo di inasprimento del rapporto con l‟uomo (false attribuzioni di colpa per predazione su animali domestici).

Specie d‟interesse conservazionistico:

Le specie di seguito riportate, rappresentano un argomento di particolare interesse, in funzione di ulteriori studi ed approfondimenti da sviluppare su:

bioindicatori di inquinanti ambientali; grado di antropizzazione territoriale; valutazione dell‟incidenza del bracconaggio; valutazione delle cause di danni alle colture.

TASSO (Meles meles Linnaeus, 1758)

Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Carnivori Famiglia: Mustelidi

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Sottofamiglia: Melini

Genere: Meles Specie: meles

Morfologia

Il Tasso (Meles meles), il più grosso dei mustelidi italiani, è un plantigrado lungo non più di 80 cm, compresa la coda di circa 18 cm, caratterizzato da testa piccola ed allungata con muso corto ed appuntito, occhi piccoli e padiglioni auricolari arrotondati. Il pelo è molto folto, specialmente sulla coda, e presenta una tipica colorazione bianco-nera sul capo. Possiede una robusta dentatura e gli arti sono corti e forti con 5 dita munite di unghie lunghe adatte a scavare. Le sue movenze sono lente e pigre, la sua andatura è incerta e pesante. Le femmine si distinguono dai maschi per le dimensioni ridotte e per la tinta più chiara del pelo. Viene cacciato illegalmente, per il pelo con cui si fanno pennelli.

Habitat

Vive soprattutto in ambienti collinari e di pianura, non superando il limite degli alberi nei boschi montani, conducendo generalmente una vita solitaria. Preferisce terreni ricchi di humus, nei quali può trovare le sue prede.

Riproduzione

Il periodo degli accoppiamenti ha luogo di solito nel mese di ottobre, e dopo una gestazione di circa tre mesi e mezzo, tra febbraio e marzo nascono da 3 a 5 piccoli che diventano adulti in un paio di anni. I cuccioli restano con i genitori fino all'autunno successivo ed in alcuni casi fino all'inverno. Nei neonati il corpo appare coperto di peli radi e setolosi di colore bianco, misti a peli neri o grigi. Se i cacciatori non li uccidono anzitempo, possono raggiungere un'età massima di quindici anni.

Comportamento

Il Tasso (Meles meles), forte delle sue robuste unghie, scava ampie tane con gallerie lunghe anche diversi metri e tutta una serie di cunicoli per fornire aerazione alla camera centrale. Vive in gruppi anche di una decina di individui organizzati gerarchicamente che hanno bisogno di territori grandi anche un centinaio di ettari. Trascorre gran parte della sua vita nella tana, da cui esce solo di notte; alla fine dell'autunno si ritira nella tana e vi trascorre l'inverno dormendo quasi continuativamente.

Alimentazione

Il cibo che ricerca, durante le uscite notturne dalla tana, è costituito, in quanto onnivoro, soprattutto di insetti, grosse larve, lombrichi, lumache, uova, frutta, miele, bacche, erba, bulbi e se riesce a catturarli anche di piccoli mammiferi e uccellini. In estate si aggira alla ricerca di cibo anche di sera.

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SCOIATTOLO COMUNE (Sciurus vulgaris Linneus, 1758)

Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Roditori Famiglia: Sciuridi Sottofamiglia: Sciurini Genere: Sciurus

Specie: vulgaris L. Sottospecie italiane: Sciurus vulgaris fuscoater Altum, 1876

Sciurus vulgaris italicus Bonaparte, 1838 Sciurus vulgaris meridionalis Lucifero,1907

Sono state descritte una quarantina di sottospecie di dubbia validità. La specie mostra un‟ampia varibilità nel colore del mantello ed è possibile rinvenire individui di colore rossiccio più o meno intenso, altri marrone sino a forme melaniche. Reperti fossili attribuibili a Sciurus vulgaris in Europa, e quindi molto pro-babilmente anche in Italia, risalgono al Pleistocene medio-superiore.

Occupa quasi tutte le aree boscate dell‟Europa e dell‟Asia settentrionale sino a raggiungere la Kamciatka, la Corea e l‟isola di Hokkaido (Giappone).In Italia è presente in tutta la penisola, mentre è assente nelle isole.

Morfologia

Non c'è dimorfismo sessuale tra maschio e femmina. Il peso va da 250 a 340 g. La colorazione del mantello è molto variabile e va dal marrone rossiccio al marrone scuro; queste diverse tonalità sembrano essere determinate da vari fattori legati al clima, alla copertura vegetale, all'alimentazione oltre che da fattori di tipo genetico. La parte inferiore del corpo è sempre bianca. Le zampe posteriori, più lunghe di quelle anteriori permettono all'animale di muoversi con molta agilità sul terreno mentre le forti unghie e i cuscinetti plantari gli consentono di arrampicarsi con sorprendente abilità sugli alberi.

Habitat

Vive soprattutto in boschi di conifere e più di rado in quelli di caducifoglie. Frequenta anche parchi urbani e giardini.

Riproduzione

Le femmine devono raggiungere una massa corporea minima per essere feconde e quelle più pesanti danno mediamente alla luce più piccoli. Se il cibo è scarso la riproduzione viene ritardata. Le femmine diventano sessualmente mature al secondo anno. Durante l‟accoppiamento i maschi individuano le femmine in calore dall'odore che queste emettono. Anche se non c'è un corteggiamento vero e proprio, il maschio insegue la femmina anche per un'ora prima di riuscire ad accoppiarsi. Solitamente più maschi inseguono una sola femmina, finché il maschio dominante, in genere il più grosso, riesce a conquistarla. Maschi e femmine si accoppiano più volte e con diversi

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partner. L‟accoppiamento solitamente si verifica in due periodi: in febbraio-marzo ed in estate tra giugno e luglio. La femmina può avere fino a 2 gravidanze l'anno. Ciascuna figliata è composta da tre o quattro piccoli di solito, occasionalmente possono essere partoriti anche sei piccoli. La gestazione dura 38-39 giorni. I piccoli nascono ciechi e sorsi, il loro corpo si ricopre di peli al 21° giorno di vita e acquisiscono la vista dopo tre o quattro settimane. Il giovane scoiattolo può mangiare cibi solidi una quarantina di giorni dopo la nascita; a questo punto può lasciare il nido per procurarsi il cibo da solo, anche se la madre continuerà ad allattarlo fino allo svezzamento completo, intorno alle venti settimane.

Alimentazione

Lo scoiattolo si nutre sul terreno o sui rami, mangiando pinoli, faggiole, ghiande, funghi, germogli, frutti e cortecce, manipolando il cibo con le zampe anteriori.

Dinamica di popolazione

Pur non essendo disponibili dati sulle entità numeriche delle popolazioni, la specie sembra essere comune nelle Alpi e nell‟Appennino, mentre è in regressione o assente in molti settori planiziali. Le popolazioni di questa specie vanno incontro a drastiche riduzioni (sino all‟estinzione) nelle aree in cui è stato introdotto lo Scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis), a causa di una diretta competizione. La frammentazione delle aree boschive rappresenta un altro fattore di impoverimento numerico ed abbassamento di variabilità genetica per le popolazioni di questa specie, andate incontro a drastiche riduzioni a causa del bracconaggio legato a riprovevoli tradizioni culinarie proprie della nostra regione.

DRIOMIO (Dryomys nitedula Pallas, 1779)

Sistematica, distribuzione e status

Superordine: Gliri

Ordine: Roditori

Famiglia: Gliridi

Sottofamiglia: Leitini

Genere: Dryomys

Specie: nitedula Pallas

Sottospecie italiane: Dryomys nitedula intermedius - Nehring, 1902 (Alpi orientali) Dryomys nitedula aspromontis - von Lehmann, 1964 (Basilicata e Calabria)

In Italia il driomio presenta una distribuzione alquanto peculiare, con due popolazioni distinte e apparentemente separate. La specie è inserita dall‟IUCN Red List, nella categoria di minaccia NT-Near Threatened (quasi a rischio).

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Il driomio intermedio (Dryomys nitedula intermedius) è presente nel Nord-est Italia, più precisamente dal Friuli all‟Alto Adige. Assente da tutte le altre regioni dell‟Italia settentrionale. Non è mai localmente abbondante, anche se questa impressione può derivare dal comportamento schivo di questo roditore.

Il driomio meridionale (Dryomys nitedula aspromontis), è una razza ben isolata dalle altre popolazioni continentali. Infatti è stato segnalato solo in alcune stazioni della Calabria e sul Pollino, anche in territorio lucano. Ciononostante non sembra molto diverso geneticamente dai driomii alpini e potrebbe essere presente anche in altre aree appenniniche, sebbene non sia mai stato segnalato sinora, né trovato nelle borre dei rapaci. É indubbiamente molto raro e sarebbe opportuna una indagine conoscitiva di tipo faunistico lungo l‟Appennino per definirne con precisione l‟areale. Vive preferenzialmente nelle faggete montane.

Morfologia

Il colore dorsale del corpo del driomio è bruno-grigiastro, talvolta tendente al fulvo. La colorazione della testa risulta più chiara, mentre le porzioni ventrali del corpo, dei piedi e della coda sono color bianco sporco. La coda è grigiastra e ben sviluppata. Sulla faccia presenta due strisce nere a formare una duplice mascherina che si estende dalle vibrisse alle orecchie, includente gli occhi. La lunghezza del corpo oscilla tra gli 80 e i 130 mm. Ha abitudini crepuscolari e notturne e vive prevalentemente in boschi di latifoglie sin oltre i 1.500 m s.l.m.. È quasi del tutto vegetariano, ma talvolta può nutrirsi di insetti e altri invertebrati.

Riproduzione

Nelle zone più fredde il driomio ha una cucciolata all‟anno, di solito a giugno, di 3-5 cuccioli, in quelle piu‟ calde si hanno 2-3 cucciolate di 1-4 cuccioli. Gli accoppiamenti vanno da marzo a dicembre.

Conservazione del driomio

Una strategia conservazionistica a livello globale che potrebbe essere intrapresa dovrebbe innanzitutto prevedere una inchiesta di base sulla reale distribuzione delle diverse popolazioni in Italia. Il risultato di scarsa differenza genetica tra la popolazione alpina e sud-appenninica suggerisce che i due demi non siano separati geograficamente da troppo tempo. Quindi non è da escludere, come già detto, una sua presenza in altre regioni appenniniche.

Andrebbe poi analizzata la variabilità morfometrica delle due popolazioni, dato che potrebbe confortare o meno il risultato genetico. Successivamente, qualora siano confermati gli areali noti a tutt‟oggi, le norme protettive che già esistono sulla specie andrebbero ampliate con un maggiore rispetto delle aree forestate dove la specie è presente. Per ora le popolazioni conosciute, sia alpine che appenniniche, dovrebbero teoricamente dormire sonni tranquilli, in quanto incluse in vari Parchi Nazionali e/o Regionali che, oltre a proteggerle specificatamente con più accuratezza, ne salvaguardano l‟habitat preferenziale.

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ISTRICE (Hystrix cristata Linnaeus, 1758)

Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Roditori

Sottordine: Istricomorfi Famiglia: Istricidi Genere: Hystrix

Specie: cristata L.

L'istrice è diffuso nell'Africa settentrionale e anche nell'Italia centrale e meridionale, dove venne probabilmente introdotto in epoca romana. In particolar modo lo troviamo nella Maremma toscana, nell'Agro romano, in Campania, nelle Puglie, in Calabria e in Sicilia.

Morfologia

L'istrice crestata è un roditore di mole cospicua (il più grosso in Europa) caratterizzato dall'avere il corpo e la coda ricoperti da aculei rigidi, erettili e di lunghezza variabile nonché da robuste setole flessibili. Quest'ultime sono particolarmente lunghe sul capo e sulle spalle tanto da formare delle vere e proprie creste (da qui l‟attributo specifico); inoltre portano all'estremità della coda un ciuffo di brevi aculei, attaccati alla pelle a mezzo di uno stelo sottile.

Habitat

È un animale molto schivo che ama i luoghi solitari boscosi e cespugliosi, dove a zone collinari si alternano campi coltivati, dense macchie e profonde forre. Come rifugio questi animali preferiscono occupare, ove possibile, qualche cavità naturale del terreno, delle rocce o tane abbandonate da altri mammiferi, soprattutto di oritteropo. Se queste non sono disponibili, si scavano tane proprie quasi sempre nel folto di un bosco e con più di un accesso, di norma, ben celato ove la vegetazione è più intricata. Se non disturbati, gli istrici occupano la tana anche per lunghi periodi e spesso, in corrispondenza degli accessi alla tana, si osservano dei cumuli di terra di scavo, aculei e avanzi di cibo. Di frequente, tra questi avanzi, si trovano ossa e corna di mammiferi rosicchiati: questa è una loro necessità, in quanto essendo roditori devono usurare i propri denti incisivi su un substrato duro.

Comportamento

Per natura tranquillo, quando si sente minacciato drizza la criniera e gli aculei del dorso, facendo vibrare il sonaglio caudale: in questa fase, a volte, alcuni aculei si possono staccare, alimentando la credenza popolare che gli istrici sparino gli aculei contro il nemico. Se questo ancora non si spaventa, l'istrice volge le terga e rincula verso di lui procurandogli serie ferite, dovute alla pericolosa capacità penetrativa dei suoi aculei, che possono raggiungere anche i dieci centimetri di profondità.

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Gli istrici sono animali notturni e di norma escono quando è buio; per questo hanno un udito e un olfatto molto sviluppati e una pessima vista. Di notte appunto, iniziano a vagare in cerca di cibo, spesso sbuffando ed emettendo brontolii senza un motivo apparente. L'andatura è plantigrada e può variare dal passo normale, al trotto e al galoppo, a seconda dello stato d'animo. Nei loro spostamenti in un territorio che conoscono bene, seguono sempre gli stessi generi lungo i quali, in punti ben precisi, si possono osservare i loro escrementi. Si conosce assai poco del comportamento sociale di questi animali, ma tendono a vivere in gruppi poco numerosi: a volte sette od otto esemplari adulti possono anche occupare la stessa tana.

Alimentazione

Gli istrici si cibano di radici di vario tipo, di cortecce e di frutti caduti al suolo. In alcune zone dell'Italia centrale si possono osservare di frequente i danni che l'istrice procura nei campi di granturco quando, in tarda estate, le cariossidi sono ancora dolci e lattiginose. Nelle stesse zone, l'istrice fa gravi danni quando entra in un vigneto ove l'uva è matura. Questo animale ne è ghiottissimo e il suo modo tipico di farne scorpacciate, consiste nel prendere a piena bocca i grappoli più bassi e risucchiarne gli acini senza staccare il graspo dalla pianta.

Riproduzione

Nelle fasi di corteggiamento prenuziale il maschio e la femmina si leccano reciprocamente, a lungo e in tutte le parti del corpo, stando stretti l'uno all'altro e facendo fremere e risuonare la coda. La femmina dichiara la propria disponibilità all'accoppiamento ribaltando e battendo la coda sul dorso in un atteggiamento inequivocabile. L'accoppiamento è breve e non supera i cinque o sei secondi. La gestazione si aggira sui due mesi e si possono avere anche due parti all'anno.

I giovani vengono alla luce ben sviluppati e con gli occhi aperti, nel profondo della tana su di una semplice lettiera di erbe e di foglie; al momento della nascita presentano aculei morbidi e flessibili, che si induriscono rapidamente fino a raggiungere la consistenza definitiva in una decina di giorni. Sono molto precoci, e già una settimana dopo la nascita fanno le prime uscite dalla tana insieme alla madre. Entrambi i genitori prestano le massime cure alla prole, restando per molto tempo in loro compagnia difendendoli con veemenza da eventuali attacchi e leccandoli affettuosamente.

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2.10. ASSETTO SOCIALE

2.10.1. NUMERO DI CACCIATORI RESIDENTI

Nella Provincia di Vibo Valentia negli ultimi sei anni la popolazione di cacciatori residenti è andata sempre diminuendo tranne un leggero segno di ripresa nell‟annata venatoria 2008-2009 come si può osservare dalla tabella che segue:

Annata venatoria

ATC VV1 ATC VV2

2003/2004 1454 1616

2004/2005 1426 1615

2005/2006 1381 1525

2006/2007 1347 1446

2007/2008 1258 1424

2008/2009 1283 1458

La diminuzione del numero dei cacciatori in Italia è iniziata a partire dagli anni 80. La causa principale di tale fenomeno è da ricercare in complessi fattori tra i quali certamente rivestono una maggiore importanza quelli socio-culturali dovuti al progressivo invecchiamento della popolazione venatoria e dal suo mancato rinnovamento per un progressivo allontanamento della popolazione dai valori culturali della caccia e più in generale della ruralità. Le analisi sulla popolazione venatoria condotte dal Servizio Caccia e Pesca permettono di evidenziare che il fenomeno descritto per la Provincia di Vibo Valentia sia generalizzato in tutto il territorio Regionale e come esso rifletta sostanzialmente la tendenza a livello nazionale.

2.10.2. ETÀ DEI CACCIATORI

Il cacciatore della Provincia di Vibo Valentia ha un‟età media di anni 54. La classe d‟età con il numero più alto di cacciatori è quella che va dai 50 ai 58 anni.

2.10.3. PROFILO SOCIALE DEI CACCIATORI

Da un‟indagine a campione condotta tramite intervista diretta con i cacciatori in possesso di tesserino venatorio per l‟anno 2008/2009 scaturisce che tra i cacciatori della

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Provincia di Vibo Valentia le categorie più rappresentate siano quelle degli operai e dei pensionati del settore della piccola e media impresa, commercianti, liberi professionisti, agricoltori, lavoratori autonomi, imprenditori e impiegati che assieme costituiscono circa l‟ 85% dei cacciatori.

2.10.4. OPZIONI TERRITORIALI DI CACCIA

L‟analisi dei tesserini venatori rilasciati dai comuni nel 2008/2009 mostra come la maggioranza dei cacciatori residenti eserciti la caccia esclusivamente in ATC e soltanto una piccolissima porzione esclusivamente in aziende venatorie (fuori regione).

Dei 2741 cacciatori residenti in Provincia di Vibo Valentia che hanno optato per la caccia in ATC risultano iscritti in 1283 nell'Ambito Territoriale di Caccia denominato A.T.C. VV 1 mentre gli altri 1458 risultano iscritti nell'Ambito Territoriale di Caccia denominato A.T.C. VV 2.

Dall‟analisi si nota come le scelte dei cacciatori della Provincia di Vibo Valentia siano orientate verso gli ATC di residenza anagrafica.

2.10.5. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI NON RESIDENTI, SUDDIVISI PER A.T.C.

Le richieste di iscrizione dei cacciatori non residenti pervenute ai due A.T.C. sono superiori al numero di posti disponibili; di queste la maggior parte proviene dalle seguenti Regioni: Toscana, Lazio, Liguria e Campania.

Vi è da segnalare che una cospicua parte dei cacciatori richiedenti non residenti sono emigranti o figli di emigranti che avendo ancora legami familiari e affettivi, ritornano annualmente per esercitare l'attività venatoria e passare un periodo di vacanze.

Il numero di cacciatori in mobilità controllata per la caccia alla fauna migratoria ammessi nei due A.T.C. è di 76 unità nell‟ A.T.C. VV1 e di 89 nell‟ A.T.C. VV2

2.10.6. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI RESIDENTI, PRATICANTI LA CACCIA AL

CINGHIALE SUDDIVISI PER A.T.C.

La caccia al cinghiale è fortemente praticata in quasi tutto il territorio della Provincia di Vibo Valentia. La specie infaqtti negli ultimi 15 anni (dal primo PFV)si è diffusa in gran parte del territorio provinciale.

Nella Provincia di Vibo Valentia non si è mai effettuato prelievo selettivo.

Il numero di praticanti riportato è indicativo, in quanto desunto dal numero di cacciatori che compongono le squadre autorizzate annualmente dagli A.T.C. per la caccia al cinghial. Non si conosace il numero di cacciatori realmente partecipanti alle battute.

Il totale delle squadre che esercitano la caccia su cinghiale nel territorio provinciale nell‟ annata venatoria 2008/2009 e riportato nelle seguenti tabelle.

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Elenco delle squadre di caccia al cinghiale e relativo numero di cacciatori nell‟ATC VV1:

SQUADRA LOCALITA‟ N° CACCIATORI

La Sugheraia Pizzo 47

Fulmine Soriano-Sorianello 45

Sandocan Francavilla 49

Brognaturo Brognaturo 33

Vallelonga Vallelonga 22

Capistranese Capistrano 49

Schiamazzo Piscopio 45

Felice Monterosso 36

Cacciatori uniti di Serra San Bruno

Serra San Bruno 37

Filogaso Filogaso 40

San Nicola San Nicola 46

Cerasia Pizzoni 41

Monterosso Monterosso 34

I Neroni delle Serre Serra San Bruno 31

I Tre Colli Filadelfia 39

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Li Frischi Serra San Bruno 47

Matador Polia 32

Peloso Polia 50

Castelmonardo Filadelfia 42

Circolo Caccia e Pesca di Serra San Bruno

Serra San Bruno 33

TOTALE 798

Elenco delle squadre di caccia al cinghiale e relativo numero di cacciatori nell‟ATC VV2:

SQUADRA LOCALITA‟ N° CACCIATORI

Mari e Monti Spilinga 50

Diamantino Briatico 24

Mongiana Mongiana 24

Diavoli Neri Nardodipace 29

Sportiva e Pacifica Nardodipace 34

Fagiano Acquaro 27

Cacciatori di Piani Acquaro 21

Torre Galli II Drapia 50

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La Quercia Ioppolo-Nicotera 30

Torre Galli Zungri 43

Forgia Arena 22

Selvaggi Fabrizia 30

Lo Serro Fabrizia 25

Lamoranese Gerocarne 28

Le Torri della santa San Calogero-Rombiolo-Limbadi

39

Ultimi Mileto 35

Il cinghiale Dinami 22

Boschi e Fiumi Filandari 27

La scrofa Cessaniti 25

Armoni Zambrone 26

La Squadraccia Zaccanopoli 32

TOTALE 643

Il numero complessivo di cacciatori iscritti alle squadre di caccia al cinghiale è di 1441 unità, pari al 52,6 % dei cacciatori iscritti agli A.T.C. Il numero medio di iscritti/squadra è di 35 cacciatori. La % della popolazione venatoria che è interessata a questa forma di gestione nella provincia vibonese è del tutto simile a quella esistente in Regione Toscana.

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2.9.7. QUADRO CONOSCITIVO DEI CACCIATORI NON RESIDENTI, PROVENIENTI DA STATI

COMUNITARI O ESTERI.

Non vi sono richieste di cacciatori non residenti che proviene da Stati esteri e Comunitari.

2.11. RISULTATI E CONSISIDERAZIONI SULLE STRATEGIE GESTIONALI PREVISTE DAL

PRECEDENTE PFV

Il Primo Piano faunistico della Provincia di Vibo Valentia, redatto nel 1997, conteneva analisi e linee di azione condivisibili dal punto di vista tecnico. La proposta più rilevante era la creazione di istituti faunistici, in particolare alcune Zone di ripopolamento e cattura, e la realizzazione di interventi di miglioramento ambientale.

A quella data il cinghiale aveva appena iniziata la sua fase di colonizzazione ed incremento numerico nel territorio provinciale, ed il Piano di azione nazionale sul capriolo italico ancora non era neppure in fase di progettazione.

La lepre italica infine non era ancora neppure ben definita a livello sistematico.

Buona parte delle proposte contenute nel P.F.V. 1997 non hanno trovato ad oggi attuazione; la Provincia di Vibo valentia, come tutte le altre province della Regione Calabria, continua a non avere istituti faunistici dedicati alla conservazione e produzione delle specie tipiche della piccola fauna appenninica. I fatti nuovi principali rispetto al 1997, sono rappresentati dalla costituzione del Parco regionale delle Serre e dell‟entrata in funzione dei due ATC. Oggi finalmente esistono le condizioni per l‟avvio di una gestione faunistica del territorio che possa definirsi tale. E‟giunto il tempo di agire.

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3. PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-VENATORIA

3.1. OBIETTIVI GENERALI DI PIANIFICAZIONE (DR.MATTIOLI)

Il territorio della Provincia di Vibo Valentia è caratterizzato da un elevato grado di diversità ambientale. Aggregando le diverse categorie di uso del suolo della CORINE Land Cover (vedi paragrafi seguenti), si nota come il territorio provinciale sia costituito per un terzo da formazioni boscate, un terzo da seminativi ed il restante terzo da colture permanenti legnose, quasi esclusivamente oliveti. Molto elevata è anche la diversità dei boschi, con formazioni che vanno dalla macchia a sclerofille alla faggeta, dai boschi misti di castagno a quelli di abete bianco, con importanti rappresentanze di tutte le tipologie. La superficie urbanizzata è di poco superiore al 2 %, anche se la scarsa risoluzione del sistema CORINE, probabilmente sottostima questa categoria.

Possiamo quindi affermare che il territorio vibonese ha elevate potenzialità faunistiche e anche una bassa fragilità del proprio sistema agricolo verso potenziali danni da fauna selvatica. La ripartizione equilibrata tra le diverse tipologie di uso del suolo, unita ad una morfologia complessa, si traduce in una elevata diversità di ambienti che a sua volta rende la provincia vocata a diversi gruppi di specie quali gli ungulati (cinghiale e capriolo), la piccola fauna stanziale (fagiano, lepre, coturnice) e la migratoria (quaglia, beccacia, turdidi).

A questa situazione di elevata capacità faunistica potenziale fa da riscontro un livello di organizzazione del sistema di gestione faunistica del territorio ancora embrionale, con conseguenze negative sulle attuali consistenze faunistiche, e sul livello di conoscenza delle stesse.

Una netta distinzione deve essere attuata tra fauna migratoria e stanziale.

Come si evince dai pochi dati disponibili relativi ai carnieri dei cacciatori dell‟ATC VV1, annata 2008-2009, la migratoria costituisce oltre il 90 % dell‟intero stock dei prelievi, seguito da un 5 % di cinghiale, mentre la piccola fauna stanziale (lepre e fagiano) non arriva all‟ 1%.

Confrontando la situazione con un ATC toscano, l‟ AR2 , leggermente più grande e con un numero di cacciatori superiore, la differenza è evidente: la migratoria costituisce il 60% del carniere, la piccola stanziale il 15% e gli ungulati (cinghiale , capriolo e daino) il restante 25%. In media nei due ATC abbiamo avuto lo stesso numero di capi abbattuti/cacciatore 4,5 ma evidentemente di diversa qualità e con una superficie/cacciatore circa quattro volte superiore in VV1 (39 ha/cacciatore vs 25 ha/cacciatore di AR 2).

Esistono quindi grandi margini di miglioramento della gestione faunistica nella Provincia di Vibo Valentia.

Le linee guida della strategia di pianificazione individuata nel presente PFV possono essere così sintetizzate:

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migliorare lo stato di conservazione delle popolazioni della piccola fauna stanziale, attraverso la creazione di istituti faunistici, il miglioramento delle tecniche di ripopolamento, la realizzazione di miglioramenti ambientali, l‟adozione di forme di razionalizzazione del prelievo a livello di ATC;

pianificare la gestione degli ungulati attraverso la zonizzazione del territorio ai fini della vocazione per il cinghiale in modo da contenere l‟impatto della specie sulle attività agricole, e progettare la reintroduzione del capriolo italico;

migliorare la protezione delle popolazioni di acquatici svernanti;

tenere conto delle indicazioni dei piani di azione nazionali per le specie presenti o potenzialmente presenti sul territorio provinciale (Lepre italica, Capriolo italico);

impostare un sistema di monitoraggio della fauna e dei risultati della gestione in sinergia con gli ATC VV 1 e VV 2, che costituisca la base per le future implementazioni del PFV provinciale;

avviare un forte programma di formazione, sia di operatori tecnici degli ATC, sia di gruppi di operatori volontari da coinvolgere nella gestione e conservazione delle specie oggetto di gestione faunistico-venatoria.

In relazione a questo ultimo aspetto, viste le richieste sempre più crescenti dei cacciatori e degli addetti ai lavori, si ritiene di centrale importanza che la Provincia di Vibo Valentia in collaborazione con gli ATC ed insieme alle associazioni venatorie Provinciali, produca un grande impegno nell‟organizzazione di corsi di formazione volti a creare le diverse figure tecniche oggi indispensabili per una moderna gestione faunistica.

Le linee di azione individuabili sono due:

• Preparazione di figure tecniche che affianchino il personale degli ATC nello svolgimento delle mansioni istituzionali principali: sopralluoghi per la stima dei danni alle colture, progetti di miglioramento ambientale, tecniche di prevenzione danni, monitoraggio della fauna;

• Costituzione e formazione di gruppi di operatori volontari interessati alla gestione e conservazione delle principali specie appartenenti alla fauna stanziale oggetto di gestione venatoria (cinghiale, capriolo, lepre, galliformi) e ad alcune specie di migratoria (acquatici, beccaccia).

Nello specifico sarebbe opportuno prevedere l‟istituzione delle figure seguenti:

Operatore per la reintroduzione e gestione del capriolo Responsabile di squadra di caccia al cinghiale Conduttore di cane da traccia Operatore per il censimento di ungulati, lepre, galliformi Abilitato al controllo della fauna selvatica (Volpe, corvidi, cinghiale) Rilevatore biometrico

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3.2. DEFINIZIONE DELLA SUPERFICIE AGRO-SILVO-PASTORALE

3.2.1. ANALISI AMBIENTALE DEL TERRITORIO PROVINCIALE PER LA DEFINIZIONE DELLA

SUPERFICIE AGRO-SILVO-PASTORALE

Le metodologie impiegate per la determinazione della Superficie Agro-Silvo-Pastorale (SASP), oltre a essere soggette a quanto previsto a livello normativo (L.N. 157/92, L.N. 394/91, L.R. 9/96) sono state definite sulla base delle informazioni disponibili presso i vari EEPP presenti nel territorio provinciale e regionale.

Grazie alla disponibilità di strumentazioni innovative, è stato possibile aggiornare i dati relativi alla SASP riportati nell'ambito della revisione del precedente Piano Faunistico-Venatorio, ottenendo un più elevato livello di precisione della stima di tali superfici.

In considerazione del fatto che la SASP è in continua evoluzione, in virtù del costante incremento dell‟urbanizzazione del territorio, è importante che in concomitanza della scadenza di ogni Piano venga effettuato un aggiornamento del calcolo delle superfici di SASP disponibili nell‟intero territorio provinciale; sarà inoltre importante anche una valutazione in tempo reale dell‟impatto delle nuove grandi opere realizzate sul territorio nei prossimi anni.

Come già anticipato nel precedente paragrafo, lo strumento utilizzato per la valutazione e la definizione della SASP è costituito da un Sistema Informativo Territoriale (SIT). Le motivazioni che hanno condotto alla scelta di adottare questa metodologia sono di seguito illustrate:

questo approccio innovativo consente di raggiungere gradi di precisione più elevati rispetto alle tecniche tradizionali, di automatizzare quanto più possibile le operazioni di rilievo planimetrico e di integrazione dei dati cartografici, permettendo, allo stesso tempo, di definire protocolli operativi rigorosi;

i SIT assolvono efficacemente e in modo rigoroso alle funzioni di classificazione del territorio e di calcolo delle superfici, eliminando tutte quelle problematiche dovute a errori umani, quali imprecisioni nella misurazione delle aree o il considerare più di una volta la superficie di un poligono (ad esempio di una data parcella);

questi sistemi consentono di velocizzare le procedure di calcolo e di gestire simultaneamente e in modo integrato dati di origine differente.

Pertanto, grazie alla precisione fornita dal Sistema Informativo Territoriale e all'elevata affidabilità della cartografia di base, è stato possibile effettuare una valutazione rigorosa del SASP.

Il protocollo di seguito presentato integra le disposizioni previste ai sensi della normativa nazionale e regionale vigente con le possibilità di analisi spaziale che i Sistemi Informativi Territoriali sono in grado di offrire.

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La tecnica adottata è denominata "sovrapposizione topologica" (spatial overlay) che prevede le seguenti fasi operative:

- scomposizione del territorio in parcelle sulla base di determinate caratteristiche fisiografiche e morfologiche;

- isolamento di aree che soddisfino precisi requisiti a seguito di successive esclusioni.

Per quanto riguarda le analisi ambientali dell'intero territorio provinciale, sono stati acquisiti e analizzati i seguenti archivi in formato digitale:

Cartografia di uso del suolo CORINE LAND-COVER III livello che consente, in presenza di validi rilevamenti delle densità faunistiche, una interpretazione accurata e dettagliata delle relazioni fauna - ambiente e, in ogni caso, una precisa definizione delle tipologie di uso del suolo esistenti, della ripartizione del territorio provinciale in comprensori omogenei in riferimento a diverse caratteristiche geomorfologiche. La carta dell‟uso del suolo è stata ottenuta integrando i dati di questa cartografia con quelli disponibili con il DB10K di seguito illustrato.

Cartografia disponibile presso il portale cartografico del Ministero dell‟ambiente (www.pcn.mimambiente.it) fruibile attraverso i software GIS più comuni.

Cartografia disponibile su Globe Explorer Map Server (www.globexplorer.com) fruibile attraverso il protocollo WMS.

Db Prior 10K dell Regione Calabria

Il progetto del Data Base degli strati di riferimento prioritari essenziali alla scala 1:10.000 è stato concepito nell'ambito dei lavori dell'Intesa Stato - Regioni - Enti Locali per la realizzazione di banche dati di interesse generale.

Il suo scopo è quello di fornire una prima risposta, secondo specifiche comuni, alle esigenze collegate alla gestione del territorio, dagli interventi in campo ambientale, alla difesa del suolo, alla protezione civile.

Le specifiche di contenuto sono legate alla necessità prioritaria di una realizzazione in tempi brevi. Da ciò deriva che l'ottimizzazione dei contenuti deve essere funzione della speditezza esecutiva, dei costi e della qualità necessaria alla fruibilità.

In base a questa esigenza è stato stabilito che il DBPrior10k fosse costituito da strati prioritari ed essenziali. Strati Prioritari, cioè non tutti gli strati richiesti anche da una versione minima, ma solo quelli ritenuti non dilazionabili. Strati Essenziali, in quanto il loro contenuto informativo è stato ridotto al minimo garantibile in tempi brevi su tutto il territorio nazionale.

L'insieme degli strati che costituiscono il DBPrior10k è il seguente:

- Viabilità, mobilità e trasporti (reticolo strade e ferrovie) - Centri urbani e nuclei abitati - Indirizzi

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- Idrografia (Reticolo idrografico e bacini) - Ambiti e limiti amministrativi - Altimetria - Toponimi delle località significative

La superficie asfaltata delle strade è stata ricavata a partire dallo strato informativo relativo alla rete stradale, creando, su entrambi i lati di ciascun elemento lineare, una fascia (buffer) di ampiezza pari alla metà della classe di larghezza della carreggiata stradale, secondo le tipologie indicate in tabella.

Tipologia d‟Infrastruttura viaria Larghezza buffer (m)

Ferrovie 5

Strade Provinciali 5

Autostrada A3 11

Strade Comunali 3

Strade Statali 6

È importante sottolineare come le superfici occupate dalla carreggiata delle strade e dalle reti ferroviarie siano state calcolate soltanto nella porzione extraurbana delle viarie, dal momento che le porzioni urbane sono già comprese negli ambiti urbani esclusi a priori dal calcolo della SASP.

Calcolo delle superfici di SASP non disponibile per la gestione programmata della caccia in conseguenza dei divieti speciali di caccia permotivi di sicurezza.

Propedeuticamente occorre considerare che la sentenza 21 maggio 2002 n. 4972 del Consiglio di Stato (VI), in merito ai criteri adottabili nel calcolo della percentuale di SASP da destinare a protezione della fauna selvatica (art.10, comma 3, L. n. 157/92), stabilisce che non è compatibile l'inclusione nella quota minima (20%), da destinare ad aree di protezione della fauna selvatica, dei territori sottratti alla caccia per ragioni di sicurezza. Infatti, la medesima sentenza afferma che, se è vero che, ai sensi della disposizione citata, in dette percentuali (20-30%) sono compresi i territori ove è comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni, non è meno vero che la stessa norma nazionale, al successivo comma 4, definisce come territorio di protezione quello nel quale opera al contempo il divieto di caccia e una regolamentazione intesa ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della

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prole: regolamentazione, quest'ultima, senz'altro mancante nei territori sottratti alla caccia per ragioni del tutto diverse da quelle inerenti la protezione della fauna selvatica.

Ne deriva, quindi, che le fasce di SASP in divieto di caccia a lato delle strade, autostrade e ferrovie (50 m da entrambi i lati) concorrono a formare la percentuale di territorio che deve essere posto in divieto di caccia (minimo 20% e massimo 30%), ma solo oltre la quota minima, ovvero solo dopo aver soddisfatto almeno il 20% con aree di protezione della fauna selvatica vere e proprie (di fatto idonee ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole).

Le superfici sono state ricavate attraverso una serie di interrogazioni successive e mutuamente esclusive. Il sistema ha restituito valori di superficie in metri, significativi alla seconda cifra decimale, successivamente trasformati in ettari e arrotondati a due cifre significative. Inizialmente è stata valutata la superficie totale e successivamente ripartita per Ambiti Territoriali di Caccia.

3.2.2. USO DEL SUOLO

La maggior parte delle attività produttive sono concentrate lungo la costa, nella zona di pianura e nella prima collina. La carta di uso del suolo (Tavola 1) evidenzia una distribuzione degli insediamenti abitativi su tutto il territorio provinciale, con una prevalente distribuzione dei centri urbani lungo l‟asse immaginario Pizzo-Vibo Valentia-Mileto-Nicotera.

La fascia centrale del territorio provinciale è investita prevalentemente a coltura specializzata ad ulivo, che risulta ripetutamente intervallata da consistenti aree occupate da seminativi intensivi, particolarmente nella zona del Monte Poro. Le due tipologie sono peraltro le più rappresentate nell‟intera Provincia.

I boschi costituiscono l‟ulteriore tipologia ambientale maggiormente presente su tutto il territorio provinciale, rappresentati in prevalenza da “Boschi di castagno”, “Boschi di faggio” e “Boschi di lecci e sughere”.

Una significativa porzione di territorio è occupata da colture classificate come "temporanee associate a colture permanenti", la cui distribuzione è localizzata prevalentemente lungo la fascia costiera e collinare.

Consistente infine è anche la presenza di una categoria vegetazionale definita come “Macchia bassa e garighe”, tipica della provincia vibonese, distribuita in ampie ma delimitate estensioni facilmente individuabili.

Le categorie di uso del suolo più rappresentate (Tabella 9) sono, in ordine decrescente, Uliveti (26,74 %), Formazioni boschive (22,54 %), Seminativi intensivi (20,82 %), Colture temporanee associate a colture permanenti (8,23 %) Macchia bassa e garighe (6,82 %).

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Tabella 9 - Uso reale del suolo nel territorio provinciale

Uso del suolo Superficie (ha) %

Oliveti 30.523,37 26,74

Seminativi intensivi 23.769,53 20,82

Colture temporanee associate a colture permanenti 9.388,86 8,23

Bosco di castagno 8.192,28 7,18

Macchia bassa e garighe 7.788,17 6,82

Bosco di faggio 4.963,46 4,35

Sistemi colturali e particellari complessi 4.205,63 3,68

Bosco di pini montani e oro mediterranei 3.417,14 2,99

Frutteti e frutti minori 3.344,57 2,93

Bosco di leccio e sughera 3.073,01 2,69

Macchia alta 2.236,68 1,96

Zone residenziali a tessuto continuo 2.150,04 1,88

Bosco di abete bianco e/o abete rosso 1.933,36 1,69

Seminativi estensivi 1.441,24 1,26

Boschi misti a prev. di castagno 1.318,43 1,15

Aree preval. occupate da colt. agrarie con presenza di spazi naturali 1.154,88 1,01

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Boschi misti a prev. di pini montani e/o oro mediterranei 976,60 0,86

Brughiere e cespuglietti 831,71 0,73

Boschi misti a prev. di faggio 699,42 0,61

Bosco di querce caducifoglie 482,56 0,42

Seminativi in aree irrigue 383,76 0,34

Bosco di pini mediterranei 320,82 0,28

Altre colture permanenti 319,82 0,28

Vigneti 180,91 0,16

Bacini d'acqua 178,29 0,16

Zone residenziali a tessuto discontinuo e rado 170,72 0,15

Boschi misti a prev. di abete bianco e/o abete rosso 170,06 0,15

Aree industriali, commerciali e dei servizi pubblici e privati 92,50 0,08

Corsi d'acqua, canali e idrovie 84,39 0,07

Bosco di latifoglie mesofile 78,63 0,07

Praterie discontinue 61,84 0,05

Boschi misti a prev. di leccio 57,40 0,05

Bosco di specie igrofile 57,16 0,05

Discariche 20,86 0,02

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Aree ricreative e sportive 11,75 0,01

Aree portuali 8,94 0,01

Totale complessivo 114.149,90 100,00

TAVOLA 1 – CARTA DELL’USO DEL SUOLO

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3.2.3.DETERMINAZIONE E DESTINAZIONE DELLE SUPERFICI AGRO-SILVO-PASTORALI

La legge quadro nazionale (art. 10, comma 1) dispone che l'intera superficie agro-silvo-pastorale sia soggetta a pianificazione faunistico-venatoria. La SAF può essere destinata a protezione faunistica nella misura compresa tra un minimo del 20 ed un massimo del 30%, a gestione privata per una quota massima del 15 %, o a gestione programmata della caccia (ATC) nella rimanente parte.

La definizione e la quantificazione della superficie agro-silvo-pastorale (Tabella 10 e Tavola 2) assume pertanto importanza fondamentale per determinare le porzioni da destinare alle diverse finalità.

Tuttavia, ai fini delle fasi successive della programmazione faunistico-venatoria, Sulla base della carta di uso del suolo utilizzata per l'analisi ambientale e tenendo conto delle indicazioni del Primo Documento Orientativo sui Criteri di Omogeneità e Congruenza dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, sono state determinate a livello comunale, le superfici agro-silvo-pastorali.

I criteri contenuti nel documento citato consentono di giungere ad una corretta determinazione di detta superficie, escludendo dalla superficie territoriale complessiva le seguenti categorie di uso del suolo:

le aree urbane, le zone verdi urbane e gli impianti sportivi, le zone estrattive, le discariche, le zone industriali, le aree portuali, la rete ferroviaria, le strade principali extraurbane e le zone non foto interpretabili comprese quindi le aree militari.

Le superfici comunali e la S.A.S.P. ricavata per ciascun comune sono riportate in Tabella 10.

Tabella 10 – Superfici agro-silvo-pastorali (SASP) per comune della provincia

Comune Superficie comunale S.a.s.p. (ha) % S.a.s.p.

ACQUARO 2.501,62 2.392,78 95,65

ARENA 3.399,53 3.297,18 96,99

BRIATICO 2.770,13 2.640,34 95,31

BROGNATURO 2.544,44 2.516,96 98,92

CAPISTRANO 2.092,03 2.065,01 98,71

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CESSANITI 1.780,84 1.593,58 89,49

DASA' 640,03 604,25 94,41

DINAMI 4.413,18 4.280,58 97,00

DRAPIA 2.198,07 2.090,19 95,09

FABRIZIA 3.962,48 3.847,33 97,09

FILADELFIA 3.120,23 2.947,70 94,47

FILANDARI 1.832,55 1.762,29 96,17

FILOGASO 2.367,27 2.312,54 97,69

FRANCAVILLA ANGITOLA 2.836,13 2.704,44 95,36

FRANCICA 2.249,15 2.182,75 97,05

GEROCARNE 4.553,47 4.364,31 95,85

IONADI 868,28 782,66 90,14

JOPPOLO 2.141,95 1.997,65 93,26

LIMBADI 2.889,98 2.698,91 93,39

MAIERATO 3.955,69 3.885,46 98,22

MILETO 3.538,08 3.265,61 92,30

MONGIANA 1.815,51 1.771,17 97,56

MONTEROSSO CALABRO 1.819,00 1.761,57 96,84

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NARDODIPACE 3.297,54 3.201,51 97,09

NICOTERA 2.797,74 2.527,20 90,33

PARGHELIA 802,14 734,08 91,52

PIZZO 2.272,80 1.984,82 87,33

PIZZONI 2.149,44 2.103,44 97,86

POLIA 3.120,34 3.044,24 97,56

RICADI 2.226,49 1.859,39 83,51

ROMBIOLO 2.216,44 2.079,08 93,80

SAN CALOGERO 2.511,59 2.370,64 94,39

SAN COSTANTINO CALABRO 672,75 605,69 90,03

SAN GREGORIO D'IPPONA 1.241,98 1.159,03 93,32

SAN NICOLA DA CRISSA 1.921,18 1.886,08 98,17

SANT'ONOFRIO 1.848,55 1.719,85 93,04

SERRA SAN BRUNO 4.025,97 3.845,31 95,51

SIMBARIO 2.195,79 2.139,39 97,43

SORIANELLO 950,11 921,72 97,01

SORIANO CALABRO 1.446,94 1.368,14 94,55

SPADOLA 955,38 919,80 96,28

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SPILINGA 1.727,02 1.673,07 96,88

STEFANACONI 2.305,06 2.180,99 94,62

TROPEA 362,31 216,55 59,77

VALLELONGA 1.747,09 1.709,22 97,83

VAZZANO 2.001,15 1.952,37 97,56

VIBO VALENTIA 4.617,61 3.413,13 73,92

ZACCANOPOLI 532,80 506,95 95,15

ZAMBRONE 1.565,61 1.507,10 96,26

ZUNGRI 2.348,45 2.282,24 97,18

Totale complessivo 114.149,90 107.676,33 94,33

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TAVOLA 2 – CARTA DEL TERRITORIO AGRO-SILVO PASTORALE

3.3.INDIVIDUAZIONE DEI COMPRENSORI OMOGENEI

Gli artt. 10 e 14 della Legge 157/92 prevedono la realizzazione di piani faunistici articolati per “comprensori omogenei” e per “ambiti territoriali di caccia” (ATC), di dimensioni sub-provinciali possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali.

Nonostante l‟indicazione del legislatore sembri privilegiare criteri ambientali, rispetto a quelli amministrativi, nella fase di individuazione dei perimetri dei comprensori e degli ATC, nella prassi di pianificazione di tutte le regioni ha prevalso la scelta di individuazione di tali unità per accorpamento di comuni, quindi attestandosi sui confini amministrativi degli stessi. Ciò appare obbligato, anche tenendo conto che la residenza anagrafica dei cacciatori costituisce la base di partenza, in assenza di richieste diverse, per l‟assegnazione all‟ ATC di appartenenza.

Sulla base di questa impostazione i comprensori costituiscono l‟unità della pianificazione faunistico venatoria delle Province, all‟interno dei quali vengono individuati e progettati i diversi istituti faunistico-venatori, ovvero le diverse destinazioni del territorio ai fini faunistici. L‟ATC deve intendersi quindi come la

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superficie destinata alla gestione programmata della caccia che residua dal comprensorio, tolti gli istituti di protezione e di gestione privata.

L‟omogeneità dei comprensori deve quindi intendersi come una equa ripartizione tra gli stessi delle diverse tipologie ambientali, in modo che in ogni ATC in cui è suddiviso il territorio provinciale, vi siano analoghe potenzialità faunistiche.

Sulla base di questa linea interpretativa, la suddivisione del territorio provinciale nei comprensori VV1 e VV2 (Tavola 3) appare condivisibile in quanto tende a suddividere in maniera equilibrata i principali sistemi di paesaggio con i diversi habitat correlati, esistenti nella Provincia (rilievi costieri, valli interne e aree montane delle serre).

Nella tabella seguente è indicata la SASP totale e per ciascuno dei due comprensori-ATC

Denominazione Ambito territoriale di Caccia

Superficie agro-silvo-pastorale

Vibo Valentia 1 51.190,61

Vibo Valentia 2 56.485,71

Totale 107.676,32

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TAVOLA 3 – CARTA DEI COMPRENSORI OMOGENEI (ATC)

3.4. DETERMINAZIONE DEGLI INDICI DI DENSITÀ VENATORIA

3.4.1. DENSITÀ VENATORIA REALE

L‟indice di densità venatoria reale per l‟annata di caccia 2008/2009, ai sensi dell‟art. 13, comma 11 della LR 9/96, è stato calcolato in funzione della Superficie Agro-Silvo-Pastorale (SASP), cioè della superficie provinciale soggetta a pianificazione faunistica, e utilizzando come secondo parametro il numero di cacciatori residenti, esercitanti l‟attività venatoria.

Dal rapporto tra i due valori si è ottenuta la S.A.S.P disponibile per ogni cacciatore nelle ultime sei annate venatorie (dal 2003/04 al 2008/09), distinta per ATC, come riportato nelle Tabelle 11 e 12.

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Tabella 11 – Densità venatoria reale per l’ATC VV1 espressa in ettari disponibili della

S.A.S.P. per ciascun cacciatore

Annata venatoria N° Tesserini rilasciati S.A.S.P. (Ha) Ettari disponibili

per cacciatore

2003/2004 1454 51.190,61 35,20

2004/2005 1426 51.190,61 35,89

2005/2006 1381 51.190,61 37,06

2006/2007 1347 51.190,61 38,00

2007/2008 1258 51.190,61 40,70

2008/2009 1283 51.190,61 39,89

Tabella 12 – Densità venatoria reale l’ATC VV2 espressa in ettari disponibili della

S.A.S.P. per ciascun cacciatore

Annata venatoria N° Tesserini rilasciati S.A.S.P. (Ha) Ettari disponibili

per cacciatore

2003/2004 1616 56.485,71 34,95

2004/2005 1615 56.485,71 34,97

2005/2006 1525 56.485,71 37,03

2006/2007 1446 56.485,71 39,06

2007/2008 1424 56.485,71 39,66

2008/2009 1458 56.485,71 38,74

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3.4.2. PROGRAMMAZIONE DEGLI INDICI DI DENSITÀ VENATORIA

La normativa regionale vigente fissa l‟indice di densità venatoria massima per ogni ambito territoriale di caccia, al fine della determinazione del numero dei cacciatori ammissibili, in 1:19 (un cacciatore ogni 19 ettari di superficie agro-silvo-pastorale effettiva).

La provincia di Vibo Valentia rientra pienamente nei limiti imposti dalla norma. Entrambi gli ATC, nell‟ultima annata venatoria presentavano un indice prossimo ai 40 ha per cacciatore residente.

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3.5. CARTA DELLE IDONEITÀ AMBIENTALI (CAMPOLO, MATTIOLI)

Le carte di idoneità ambientale, o di vocazione faunistica del territorio, costituiscono la base di riferimento per l‟individuazione delle priorità nella pianificazione faunistica e per la definizione degli obiettivi specie specifici a cui deve tendere la gestione del territorio (Documento di indirizzo per la pianificazione faunistico venatoria della Regione Calabria)

In mancanza della carta delle vocazioni faunistiche della regione, per la costruzione di tali carte ci si è avvalsi dei modelli di idoneità contenuti nel sito della rete ecologica nazionale, opportunamente adattati alle condizioni ecologiche locali.

Sono state elaborate le carte di idoneità ambientale per le seguenti specie stanziali: fagiano, starna, coturnice, lepre europea, lepre italica, cinghiale, capriolo. Le carte suddividono il territorio in quattro categorie: aree non idonee alla specie, aree scarsamente idonee (bassa idoneità), aree mediamente idonee ed aree ad elevata idoneità.

Per le specie cinghiale e capriolo l‟idoneità è stata valutata, oltre che sulla base delle esigenze ecologiche della specie, anche sulla base della sostenibilità socio-economica della sua presenza.

Dalle carte di idoneità ambientale sono state derivate delle carte semplificate di vocazione faunistica, in cui il territorio è suddiviso in due tipologie:

aree vocate alla specie (classi di media ed elevata idoneità); aree non vocate alla specie (classi di nulla o scarsa idoneità).

Tali carte sono il rierimento per la differenziazione degli interventi da realizzare sul territorio in funzione degli obiettivi generali della pianificazione.

3.5.1. LEPRE

Lepre italica (Lepus corsicanus)

La carta delle idoneità ambientali riferita a Lepus corsicanus (Lepre italica) (Tavola 4a) è stata realizzata considerando i parametri ambientali, ecologici riportati della Tabella 13

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

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Tabella 13 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la lepre italica

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità

2.1.1 Terre arabili non irrigate 2

2.1.2 Terre irrigate permanenti 1

2.2.1 Vigneti 2

2.2.2 Alberi e arbusti 1

2.2.3 Oliveti 3

2.3.1 Pascoli 3

2.4.1 Seminativi e colture arboree 2

2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 3

2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale

3

2.4.4 Aree agro-forestali 3

3.1.1 Boschi di latifoglie 1

3.1.3 Boschi misti 1

3.2.1 Praterie naturali 3

3.2.2 Brughiere 2

3.2.3 Vegetazione a sclerofille 1

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3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 3

3.3.1 Spiagge e dune 0

3.3.3 Aree con vegetazione sparsa 2

3.3.4 Aree incendiate 1

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Tavola 4a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la Lepre italica

Lepre europea (Lepus europaeus)

La carta delle idoneità ambientali riferita a Lepus corsicanus (Lepre italica) (Tavola 4b) è stata realizzata considerando i parametri ambientali, ecologici riportati della Tabella 14

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

Tabella 14 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la lepre europea

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità

2.1.1 Terre arabili non irrigate 3

2.1.2 Terre irrigate permanenti 3

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2.2.1 Vigneti 2

2.2.2 Alberi e arbusti 2

2.2.3 Oliveti 1

2.3.1 Pascoli 2

2.4.1 Seminativi e colture arboree 3

2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 3

2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale

3

2.4.4 Aree agro-forestali 2

3.1.1 Boschi di latifoglie 1

3.1.3 Boschi misti 1

3.2.1 Praterie naturali 1

3.2.2 Brughiere 1

3.2.3 Vegetazione a sclerofille 1

3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 1

3.3.1 Spiagge e dune 1

3.3.3 Aree con vegetazione sparsa 1

3.3.4 Aree incendiate 1

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Tavola 1b – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la Lepre europea

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Tavola 4c – Modello semplificato di vocazione del territorio per la Lepre

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170

3.5.2. CINGHIALE

Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Sus scrofa (Cinghiale) (Tavole 5a e 5b) sono stati considerati i seguenti parametri ambientali, ecologici della Tabella 15.

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

Tabella 15 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il cinghiale

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità

2.1.1 Terre arabili non irrigate 1

2.1.3 Risaie 1

2.2.1 Vigneti 2

2.2.2 Alberi e arbusti 2

2.2.3 Oliveti 1

2.3.1 Pascoli 1

2.4.1 Seminativi e colture arboree 1

2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 2

2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale

3

2.4.4 Aree agro-forestali 2

3.1.1 Boschi di latifoglie 3

3.1.2 Foreste di conifere 1

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3.1.3 Boschi misti 3

3.2.1 Praterie naturali 2

3.2.2 Brughiere 2

3.2.3 Vegetazione a sclerofille 3

3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 3

3.3.4 Aree incendiate 1

4.1.1 Aree interne palustri 2

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172

Tavola 5a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il Cinghiale

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173

Tavola 5b– Modello semplificato di vocazione del territorio per il Cinghiale

3.5.3. CAPRIOLO

Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Capreolus capreolus

(Capriolo) (Tavole 6a e 6b) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della Tabella 16.

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

Tabella 16 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il capriolo

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità

2.2.1 Vigneti 0

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2.2.2 Alberi e arbusti 2

2.2.3 Oliveti 1

2.3.1 Pascoli 1

2.4.1 Seminativi e colture arboree 2

2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 1

2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale

3

2.4.4 Aree agro-forestali 2

3.1.1 Boschi di latifoglie 3

3.1.2 Foreste di conifere 2

3.1.3 Boschi misti 3

3.2.1 Praterie naturali 3

3.2.2 Brughiere 2

3.2.3 Vegetazione a sclerofille 2

3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 3

3.3.4 Aree incendiate 3

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Tavola 6a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il capriolo

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Tavola 6b – Modello semplificato di vocazione del territorio per il Capriolo

3.5.4. STARNA

Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Perdix perdix (Starna) (Tavole 7a e 7b) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della Tabella 17.

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

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Tabella 17 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la starna

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità

2.1.1 Terre arabili non irrigate 3

2.2.1 Vigneti 2

2.2.2 Alberi e arbusti 2

2.2.3 Oliveti 2

2.3.1 Pascoli 1

2.4.1 Seminativi e colture arboree 3

2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 3

2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale

3

2.4.4 Aree agro-forestali 1

3.2.1 Praterie naturali 2

3.2.2 Brughiere 2

3.2.3 Vegetazione a sclerofille 0

3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 2

3.3.4 Aree incendiate 1

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Tavola 7a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la Starna

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179

Tavola 7b – Modello semplificato di vocazione del territorio per la Starna

3.5.5. COTURNICE

Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Alectoris graeca (Coturnice) (Tavole 8a e 8b) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della Tabella 18.

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

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Tabella 18 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la coturnice

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità

2.2.1 Vigneti 0

2.2.2 Alberi e arbusti 0

2.2.3 Oliveti 0

2.3.1 Pascoli 0

2.4.1 Seminativi e colture arboree 0

2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 2

2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale

0

2.4.4 Aree agro-forestali 0

3.2.1 Praterie naturali 2

3.2.2 Brughiere 2

3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 3

3.3.4 Aree incendiate 0

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Tavola 8a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la coturnice

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182

Tavola 8b – Modello semplificato di vocazione del territorio per la Coturnice

3.5.6. FAGIANO COMUNE

Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Phasianus cochicus (Fagiano comune) (Tavole 9a e 9b) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della Tabella 19.

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

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Tabella 19 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il fagiano comune

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità

2.1.1 Terre arabili non irrigate 2

2.1.2 Terre irrigate permanenti 2

2.2.1 Vigneti 2

2.2.2 Alberi e arbusti 3

2.2.3 Oliveti 2

2.3.1 Pascoli 1

2.4.1 Seminativi e colture arboree 3

2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 3

2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale

3

3.2.1 Praterie naturali 1

2.4.4 Aree agro-forestali 2

3.2.2 Brughiere 2

3.2.3 Vegetazione a sclerofille 1

3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 3

3.3.4 Aree incendiate 3

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Tavola 9a – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il Fagiano comune

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185

Tavola 9b – Modello semplificato di vocazione del territorio per il Fagiano comune

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186

3.6. LA FAUNA SELVATICA: DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI E PIANIFICAZIONE DELLE

ATTIVITÀ GESTIONALI

3.6.1. OBIETTIVI E MODALITÀ DI GESTIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE DI INTERESSE

VENATORIO DELL’AVIFAUNA (MATTIOLI – SCUDERI)

La gestione delle specie di interesse venatorio è un processo che non può essere scisso dalla gestione del territorio nel suo complesso. Infatti accanto alle azioni dirette (restocking, reintroduzioni e istituzione di zone di ripopolamento) a sostegno delle popolazioni stanziali delle principali specie, vanno favorite delle azioni di gestione degli habitat per ripristinare o aumentare la capacità portante del territorio. Tali azioni assumono particolare importanza in un territorio, come quello in oggetto, dove l‟attività venatoria è essenzialmente basata sulla piccola fauna migratrice.

Ad una prima analisi della situazione provinciale, per il momento basata su dati carenti e meritevole di futuro approfondimento, emerge l‟urgenza di intervento sulle specie appartenenti alla piccola fauna stanziale.

Il gruppo dei fasianidi, è quello che subisce la maggiore pressione venatoria e che, anche a livello nazionale, presenta un peggiore livello di conservazione, sia in virtù delle trasformazioni socio-economiche e quindi ambientali del territorio, sia della sua intrinseca maggiore vulnerabilità alla attuale pressione e mobilità venatoria.

Una gestione spesso di tipo “consumistico” ha fatto perdere di vista la gestione conservativa delle popolazioni selvatiche di queste specie, favorendo i ripopolamenti di scarsa qualità , alle azioni di miglioramento ambientale e di pianificazione del prelievo con conseguente riduzione delle densità ed estinzioni locali. In alcuni casi le ibridazioni con soggetti d‟allevamento ed il rilascio di individui affetti da patologia hanno dato un contributo importante alla scomparsa delle popolazioni selvatiche da diverse aree.

3.6.1.1. COTURNICE E STARNA

Status delle specie e priorità di gestione

Attualmente si ritiene che non esistano popolazioni o nuclei di queste due specie di galliformi in grado di riprodursi nel territorio provinciale, come appare confermato dalla loro assenza nelle statistiche di prelievo dell‟ ATC VV1. Anche gli autori del PFV 1998, dopo rilievi di campagna e inchieste basate su questionari, indicavano coturnice e starna estinte a quella data. Nonostante le due specie siano attualmente estinte e non risultino cacciabili sulla base del calendario faunistico venatorio regionale, nel presente Piano si ritiene di includere la coturnice e la starna tra le specie di piccola fauna stanziale alle quali dedicare interventi e risorse al fine della ricostituzione di popolazioni vitali.

Linee guida per la ricostituzione e conservazione delle popolazioni di coturnice e starna

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La popolazione appenninica di coturnice appartiene alla sottospecie orlandoi che, in tutto l‟areale centro-meridionale ha diffusione discontinua con nuclei localizzati e distanti tra loro. Il territorio provinciale presenta limitate aree con buona vocazione per questa specie a causa della scarsa estensione delle forme di uso del suolo più favorevoli per la specie (praterie di altitudine alternate ad aree rocciose e a fasce di transizione tra bosco e cespugliati). Tuttavia la specie è ancora ricordata come presente dai cacciatori locali fino agli anni ‟60 e esistono aree in cui è opportuno avviare forme di reintroduzione di tipo sperimentale in modo da valutare la capacità di ricostituzione di popolazioni di questa specie.

Anche la starna non trova nel vibonese aree collocabili entro l‟optimum ecologico, causa le condizioni climatiche di temperatura e precipitazioni. Valgono comunque le stesse considerazioni avanzate per la coturnice. Gli eventuali progetti di reintroduzione devono essere subordinati alla possibilità di reperimento di ecotipi in grado di adattarsi alle condizioni ecologiche della provincia.

Infatti studi condotti su ceppi centroeuropei dimostrano che temperature medie del mese di luglio superiori a 22 °C determinano mortalità dei pulli superiori all‟80 % (Meriggi A e Beani L., 1998).

Ciò conferma che le popolazioni di starna peninsulari, pur essendo adattate a condizioni di temperatura superiori a quelle normali per la specie vivono comunque ai limiti delle possibilità per la specie.

Necessità di salvaguardia della fauna e relazioni con l‟ambiente antropizzato.

Le cause dell‟estinzione della starna sono state ampiamente dibattute e sicuramente risiedono nella riduzione della biodiversità degli agro-ecosistemi ed in particolare di quelli cerealicoli. L‟uso degli erbicidi e degli insetticidi, la meccanizzazione e l‟intensificazione delle pratiche colturali, la monocoltura, l‟abbandono dell‟agricoltura nelle aree collinari sono considerati fra gli aspetti più negativi per questa specie (Casanova et al., 1993; Potts, 1997). In particolare, l‟abbandono delle colture riduce la base alimentare per gli adulti, l‟uso di pesticidi causa la scomparsa della microfauna necessaria al nutrimento dei pulcini. Un ulteriore aspetto da considerare è la competizione con il fagiano (Potts, 1985) e, inoltre, fra le cause di estinzione locale, l‟incontrollata ed esasperata pressione venatoria (Casanova & Cellini, 1986).

Le misure che si propongono al fine della ricostituzione di popolazioni di starna e coturnice in grado di automantenersi sono le seguenti:

divieto di immissione, anche per finalità agri-turistiche o per gare cinofile, di soggetti di allevamento che non siano certificati per quanto riguarda la purezza genetica;

individuazione di uno o più istituti faunistici, quali zone di ripopolamento e cattura o zone di protezione, ubicati in tutto od in parte entro l‟area vocata per la specie ed in particolare entro le aree di reperimento di cui al paragrafo 3.7.6 ove avviare progetti di reintroduzione;

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realizzazione di un progetto specifico di reintroduzione realizzazione entro l‟istituto faunistico di miglioramenti ambientali e di strutture

di ambientamento per i soggetti da immettere;

I miglioramenti ambientali sono determinanti soprattutto per il periodo invernale, mentre agiscono assai meno d‟estate, quando sono disponibili maggiori risorse trofiche.

Particolarmente interessanti, in tutto il periodo, sono i set-aside sia come aree di nutrimento che di protezione. Ruolo fondamentale nella gestione della specie possono avere le tare aziendali che non comportano, tra l‟altro, riduzioni della normale produzione agraria.

Gli ambienti ecotonali sono molto importanti per la starna.

3.6.1.2. FAGIANO

Status della specie e priorità di gestione

Il fagiano è una specie alloctona, naturalizzata in ampie partio della penisola, la cui presenza è legata prevalentemente a soggetti di allevamento immessi per fini venatori. Le popolazioni “naturalizzate” in grado di riprodursi sono presenti in alcune aree del Nord e centro Italia. Anche nel territorio provinciale la specie ha una presenza sporadica legata alle operazioni di ripopolamento.

L‟interesse conservazionistico della specie è basso, ma l‟interesse venatorio elevato, data la grande adattabilità della specie e la facilità di reperimento di soggetti appartenenti a varie sottospecie utilizzabili per programmi di immissione. Nonostante quindi i maggiori sforzi della gestione vadano orientati verso le specie autoctone di maggior pregio o verso azioni di miglioramento ambientale, si mantiene come uno degli obiettivi del presente PFV quello di migliorare le opportunità di prelievo del fagiano attraverso le seguenti misure:

individuazione di uno o più istituti faunistici, quali zone di ripopolamento e cattura o zone di protezione, ubicati in tutto od in parte entro l‟area con vocazione media od elevata per la specie ed in particolare entro le aree di reperimento di cui al paragrafo 3.7.6, ove avviare progetti di reintroduzione;

miglioramento delle tecniche di immissione del fagiano, attraverso l‟utilizzo di soggetti di qualità e la realizzazione di strutture di ambientamento, mantenendo il principio: meglio meno soggetti ma di buona qualità;

realizzazione di un piano di controllo di volpe e corvidi, da realizzare sia in periodo di esercizio venatorio (volpe), sia al di fuori di tale periodo ai sensi dell‟ art. 19 della L. 157/92

proporre alla Regione Calabria di introdurre un limite massimo di capi da abbattere nell‟intera stagione venatoria e di ridurre il periodo di caccia alla specie al 31 dicembre, con l‟esclusione delle aziende faunistico ed agri-turistico venatorie, delle aree addestramento cani con sparo e delle manifestazioni cinofile.

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3.6.1.3. QUAGLIA

Il territorio provinciale è interessato da imponenti flussi di individui in migrazione. Nelle aree vocate la specie è presente anche durante il periodo estivo, durante il quale si ha la riproduzione.

Fenomeno grave ed incontrollato su gran parte del territorio provinciale è il bracconaggio con l‟uso di richiami elettromagnetici sia in periodo primaverile che in autunno. Il controllo di tale attività è la prima e fondamentale azione da intraprendere.

3.6.1.4. ACQUATICI

Di questo gruppo di specie, fanno parte palmipedi, trampolieri e rallidi. Dai pochi dati disponibili relativi alle statistiche venatorie dell‟ ATC VV1 (annata 2008), la pressione venatoria che si registra sul territorio provinciale appare modesta, ad esclusione della beccaccia. Per le specie cacciabili di maggiore interesse ornitologico e venatorio, si suggeriscono le indicazioni

Anatidi, trampolieri e rallidi

Si propone di riconsiderare in sede regionale il numero massimo di capi abbattibili da ogni singolo cacciatore per ogni giornata venatoria riducendolo ad 8 capi complessivi tra palmipedi, rallidi e trampolieri;

Potenziare il livello di tutela delle specie ampliando l‟area umida più importante, l‟Oasi del lago dell‟Angitola, includendo la Fiumara Reschia con un piccolo ma significativo ampliamento di circa 150 ha di superfici, oppure in alternativa creando la Zona di protezione lungo le rotte di migrazione delle Dune dell‟Angitola in corrispondenza dell‟omonimo SIC.

Beccaccia (Scolopax rusticola)

Considerata la precarietà dello stato di conservazione a livello europeo e la scarsità di dati relativi al numero di capi abbattuti nel settore meridionale, si propone di aderire a progetti esistenti di monitoraggio della specie (es:; ali d‟Italia dei beccaccia d‟Italia) attraverso la creazione di un gruppo di cacciatori specializzati in questa forma di caccia.

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3.6.2. OBIETTIVI E MODALITÀ DI GESTIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE DI INTERESSE

VENATORIO DELLA MAMMALOFAUNA (MATTIOLI)

Le specie di mammiferi attualmente oggetto di gestione faunistico venatoria sulla base del calendario faunistico venatorio regionale sono il cinghiale, la lepre e la volpe.

Oltre a queste specie, nel presente capitolo verranno individuati gli obiettivi gestionali e di conservazione e le relative strategie attuative a medio-lungo termine di altre specie, sia appartenenti alla fauna che in futuro potrà essere oggetto di gestione venatoria, sia alla fauna di particolare interesse conservazionistico, con particolare riferimento alle specie di cui all‟ allegato 2 della Direttiva 92/43/CEE.

Anche per il gruppo dei mammiferi, ed in misura ancora maggiore rispetto agli uccelli, si denuncia una pesante carenza di informazioni di base. Pertanto le linee guida che il PFV intende proporre devono intendersi come un programma di lavoro per almeno il prossimo decennio. Tali linee si basano tuttavia su un analisi delle potenzialità faunistiche del territorio vibonese e sulle esperienze maturate in altre regioni, con particolare riferimento alla Regione Toscana.

3.6.2.1. CINGHIALE

Il cinghiale nel precedente PFV 1998 era segnalato come presente nell‟area delle Serre ed in alcuni settori del monte Poro, ma con livelli di presenza contenuti.

Pur nell‟assenza di dati specifici aggiornati, nell‟arco degli ultimi 12 anni si ritiene che la specie abbia colonizzato tutti gli ambienti della Provincia, come dimostrano i dati relativi al numero ed alla distribuzione dei cacciatori e delle relative squadre di caccia organizzate (Paragrafo 2.9.6.).

Crescente è anche il conflitto con le attività agricole. Se nel 1988 le richieste di risarcimento segnalate ammontavano a poche centinaia di euro, oggi si registra uno stato di insofferenza crescente tra gli operatori del settore agricolo.

Il presente PFV ha tra i suoi obiettivi prioritari quello di individuare le linee guida per la futura pianificazione faunistico venatoria della specie che, è ampiamente risaputo e sperimentato, non può essere lasciata ad una sua evoluzione spontanea, sia in base a considerazioni di tipo ecologico-ambientale che di tipo socio-economico ed anche venatorio.

Gli obiettivi principali sono così riassumibili:

Vietare ogni ulteriore immissione di soggetti di cinghiale, per qualsiasi scopo, su aree non recintate (esclusi quindi recinti situati in aree addestramento cani o eventualmente in aziende agri-turistico venatorie);

Individuare sulla base dei modelli di idoneità ambientale una carta della vocazione del territorio per la specie che tenga conto di fattori socio-economici, più che ecologici della specie. La vocazione prevede due sole classi: Area vocata

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(AV) dove la specie potrà essere gestita secondo criteri del prelievo sostenibile, individuando opportune densità obiettivo; Area non vocata (ANV) dove la presenza della specie dovrà essere contenuta a livelli molo più bassi, sia attraverso forme di caccia più intensive, sia attraverso gli strumenti del controllo di cui all‟ art. 19 della L. 157/92;

Organizzazione di un sistema di monitoraggio e raccolta dati sulla gestione venatoria, basato sull‟introduzione di schede giornaliere di caccia e sul monitoraggio biologico dei prelievi, dal quale ottenere stime sulla consistenza della specie sulla base dell‟elaborazione di statistiche di abbattimento, indici di fertilità, indici di sforzo di caccia, indici di contattabilità della specie;

Organizzazione di corsi di formazione per presidenti delle squadre di caccia per la loro sensibilizzazione ad una moderna gestione della specie e per l‟impostazione del sistema di monitoraggio;

Proporre alla Regione di eliminare il limite giornaliero di 6 capi prelevabili/giorno/squadra;

Proporre alla Regione una revisione del periodo di caccia della specie, con la possibilità di una sua anticipazione a partire dal 2 settembre ed un suo ampliamento da 3 a 4 mesi;

Redazione di un regolamento provinciale per la gestione della specie nelle aree vocate e non vocate

Predisposizione di un piano di controllo del cinghiale nelle aree ove l‟esercizio venatorio è vietato, in particolare nel territorio del Parco delle Serre, d‟intesa con gli organismi di gestione;

La densità obiettivo di partenza, da aggiornare in futuro sulla base del monitoraggio, è fissata in 5 capi /100 ha dopo le nascite, nell‟ AV. Nell‟ ANV non si fissa alcun valore di densità obiettivo; la gestione punta alla riduzione massima possibile della specie.

3.6.2.2. LEPRE EUROPEA E LEPRE ITALICA.

Sulla base dei dati di presenza raccolti in fase di redazione del PFV 1988, la lepre, intesa come grande specie, sarebbe presente su gran parte del territorio provinciale, anche se con densità bassa. I dati di statistiche venatorie dell‟ ATC VV1 , per quanto possano essere sottostimati, confermano l‟esiguità dei prelievi e lo scarso successo delle operazioni di immissione.

La gestione della lepre è complicata dalla possibile presenza, in simpatria con la forma europea, della specie lepre italica (Lepus corsicanus), specie endemica e minacciata nel centro-sud Italia, dichiarata “Vulnerabile”, sia a livello europeo che globale, ed inserita nella red list Europa e nella red list dell‟IUCN.

La possibile simpatria delle due specie, unita alla difficoltà (se non impossibilità) di riconoscimento delle due forme in natura ed in particolare in fase di caccia, rendono difficile l‟adozione di misure di protezione diretta della forma italica, in particolare in assenza di conferma della sua presenza nel territorio provinciale.

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Facendo riferimento al piano di azione nazionale per la lepre italica elaborato dall‟ISPRA (Trocchi e Riga, 2001), si suggeriscono per la lepre i seguenti obiettivi di gestione:

Obiettivo generale: miglioramento dello stato di conservazione, della consistenza, e conseguentemente dei prelievi, della lepre europea nella Provincia anche in considerazione dell‟elevato grado di vocazione che il territorio presenta per questa specie;

Redazione della carta di vocazione per la lepre (intesa come grande specie), mediante semplificazione dei modelli di idoneità ambientale redatto per le due specie;

Realizzazione, all‟interno dell‟area vocata, di istituti finalizzati alla ricostituzione di popolazioni con sufficiente grado di vitalità. Lo strumento elettivo è quello delle Zone di ripopolamento e cattura (ZRC, vedi paragrafo). Le ZRC avranno il duplice effetto di consentire la ricostituzione di popolazioni locali, di aumentare la dispersione nei territori circostanti, di fornire soggetti di cattura per ulteriori operazioni di reintroduzione e ripopolamento. Non si devono attendere risultati immediati: è richiesto un periodo di almeno 5 anni per i primi risultati;

Riduzione delle operazioni di immissione di soggetti di Lepus europaeus, per svariati motivi: sono quasi inutili a causa della scarsa qualità dei soggetti di allevamento; sono pericolosi per motivi sanitari e genetici se fatti con soggetti esteri; sono pericolosi per la conservazione della lepre italica; in termini di costo-benefici sono un esempio di pessimo utilizzo dei soldi provenienti dalle tasse dei cacciatori.

Avvio di un piano di monitoraggio volto a valutare la presenza della lepre italica nella Provincia, attraverso un campionamento post-mortem di soggetti di lepre provenienti dal prelievo venatorio, in collaborazione con cacciatori specializzati in questa forma di caccia, con gli ATC e con l‟ISPRA, e da catture di soggetti in vita da attuare preferibilmente all‟interno del Parco naturale delle Serre.

Avvio di un piano di monitoraggio standardizzato della presenza della specie mediante la tecnica dello spot-light census (censimento con il faro), in collaborazione con i cacciatori specializzati e con gli ATC;

Corso di formazione per i cacciatori che aderiscono ai progetti di monitoraggio.

3.6.2.3. VOLPE

La volpe è da ritenersi una specie emblematica del livello di evoluzione della gestione faunistica ma anche ambientale di un territorio. Spesso il suo livello di popolazione risente di errori gestionali quali forme sbagliate di gestione del ciclo dei rifiuti, delle tecniche di allevamento, di immissione di fauna selvatica effettuata con tecniche sbagliate e materiale di infima qualità.

Tuttavia poco si conosce del livello di densità della specie. Pur tuttavia si attribuisce sovente a questa specie il fallimento delle politiche di gestione della piccola fauna stanziale.

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La volpe è comunque specie cacciabile e gli ATC, come indicato dalla normativa, possono predisporre piani di prelievo di questa specie al fine di ridurre l‟impatto sulle specie selvatiche e domestiche. Certamente la volpe è un carnivoro che, in virtù della sua plasticità ecologica e del suo potenziale di incremento, è anche in grado di raggiungere livelli di popolazione notevoli e quindi esercitare una pressione di predazione levata su popolazioni residuali ed a bassa densità delle sue prede (non obbligate) selvatiche.

Il presente PFV non pone come obiettivo strategico al fine del miglioramento del livello di gestione della piccola stanziale, un icremento del livello di controllo di questa specie. Tuttavia, anche per questa specie, si propone di avviare una gestione-monitoraggio finalizzata alla raccolta di maggiori informazioni su dinamica di popolazione, impatto della predazione, stato sanitario.

Gli obiettivi di gestione della volpe per la durata del prossimo PFV sono i seguenti:

Sensibilizzazione dei cacciatori sulla necessità di raccolta di statistiche di abbattimento attendibili e validate;

Piani di monitoraggio e controllo della volpe all‟interno delle ZRC istituite per l‟incremento della piccola fauna stanziale, in particolare della lepre, anche attraverso la raccolta di dati di stima contestualemente ai censimenti con faro effettuati per la lepre;

Costituzione di squadre di controllo della volpe, e loro registrazione presso gli ATC;

Corsi di formazione degli operatori specializzati che aderiscono al programma di monitoraggio-controllo.

3.6.2.4.CERVIDI E BOVIDI

Riguardo a questo gruppo di specie, la provincia di Vibo Valentia è all‟anno zero, essendo queste praticamente assenti nel territorio.

Le popolazioni di capriolo più vicine sono quella del complesso della Sila, originatasi da passate operazioni di immissione di soggetti europei e potenzialmente pericolosa per la conservazione del capriolo italico nel meridione (Focardi et al., 2009), e quella del Parco Nazionale dell‟Aspromonte, recentemente ricostituita mediante reintroduzione di soggetti di capriolo italico.

La Provincia di Vibo Valentia, mediana tra le due aree e con un territorio caratterizzato da un elevato grado di vocazione per la specie e con un‟area protetta di medio-grandi dimensioni quale il parco regionale delle Serre (9.227 ha), può giocare un ruolo importante nel miglioramento dello stato di conservazione della specie in Calabria.

Si aggiunga inoltre che i cervidi, a livello italiano ed europeo, sono il gruppo di specie che sta acquistando la maggiore importanza, insieme al cinghiale, nell‟ambito della gestione faunistico venatoria. Rinunciare a priori allo sviluppo della presenza dei cervidi appare quindi una scelta miope.

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Tuttavia, l‟esistenza di altre priorità nella gestione faunistica provinciale, e la complessità delle azioni da realizzare, suggeriscono un approccio graduale. Qui di seguito si suggeriscono le dichiarazioni di intenti che la Provincia di Vibo Valentia intende confermare e che costituiscono il presupposto per le azioni concerte future.

Il capriolo italico è la specie di riferimento per il territorio provinciale, per il suo intrinseco valore conservazionistico, l‟elevato grado di vocazione del territorio per questa specie, il basso impatto che la specie ha sulle colture agrarie, in particolare la coltura dell‟olivo;

Di conseguenza non si intendono sviluppare progetti di introduzione di specie non autoctone come il daino, specie problematica per le colture sopra mensionate, ed anche il muflone, specie estremamente vulnerabile alla predazione del lupo che è in espansione in tutto il settore appenninico.

Le azioni propedeutiche da avviare nei prossimi cinque anni, in attuazione delle direttive del PAN sul capriolo italico sono le seguenti:

Realizzazione in collaborazione con gli ATC, di una indagine volta ad accertare il livello di informazione e di interesse tra i cacciatori vibonesi verso la specie capriolo e verso la forma di gestione della caccia di selezione;

In caso che l‟indagine abbia fornito indicazioni confortanti, realizzazione di un corso di formazione per coadiutori volontari nel progetto di reintroduzione del capriolo nel Parco delle Serre;

Candidatura del Parco delle Serre a far parte della rete ecologica nazionale per il capriolo italico.

Redazione di un progetto di fattibilità per la reintroduzione del capriolo italico nel Parco delle Serre.

3.6.2.5. LUPO E GATTO SELVATICO

Queste due specie di predatori sono specie di elevato valore conservazionistico ed incluse negli allegati 2 (lupo) e 4 (gatto selvatico) della direttiva 92/43/CEE.

In quanto predatori la normativa riconosce a queste specie un importante funzione di regolazione delle specie preda al fine del loro mantenimento entro i livelli ottimali (art. 10 L. 157/92) e la pianificazione faunistico venatoria deve essere orientata al mantenimento della funzionalità e capacità riproduttiva delle rispettive popolazioni.

Il presente PFV si pone, nell‟arco temporale della sua validità, l‟obiettivo di raccogliere dati relativi alla conferma o meno della presenza di queste specie sul territorio provinciale, e dalla eventuale avvenuta riproduzione.

Le azioni da realizzare al fine di raggiungere l‟obiettivo sopra dichiarato sono:

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raccolta di informazioni presso operatori qualificati (forestali, cacciatori, allevatori), tramite questionari;

fototrappolaggio;

genetica non invasiva

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3.7. GLI ISTITUTI DI PROTEZIONE E GESTIONE: VOCAZIONE FAUNISTICA E

PIANIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ GESTIONALI

3.7.1. AMBITI TERRITORIALI DI CACCIA

Come già anticipato nel paragrafo relativo ai comprensori omogenei, nel presente PFV si conferma il numero e la delimitazione dei due Comprensori-ATC VV1 e VV2 individuati dalla regione Calabria.

I due comprensori-ATC ben suddividono il territorio provinciale, sia come ripartizione delle diverse tipologie ambientali e conseguentemente delle diverse opportunità faunistico-venatorie, sia come popolazione umana e quindi anche venatoria. Tale equilibrata ripartizione è confermata dagli analoghi valori di SASP/cacciatore dei due ATC, pari a 39,9 per VV1 e 38,7 per VV2 nel 2008-2009.

3.7.2. RAGGIUNGIMENTO DEL REQUISITO MINIMO DEL 20 % DI SUPERFICIE DESTINATA A

PROTEZIONE DELLA FAUNA

Sulla base del calcolo della S.A.S.P. di cui al paragrafo 3.2.1., delle aree protette ed in divieto di caccia esistenti al momento della redazione del presente PFV, e tenendo conto anche delle informazioni non disponibili in formato cartografico come i fondi chiusi (dato desunto dal PFV 1997), nella Provincia di Vibo le aree destinate a vario modo alla protezione della fauna o comunque in divieto di caccia ammontano a 17.181 ha.

Siccome la superficie minima da destinare alla protezione della fauna, pari al 20 % della S.A.S.P. ammonta a 21.535 ha (vedi tabella successiva), il presente PFV per il periodo 2010-2014 prevede l‟istituzione di zone ed istituti di protezione pari ad ulteriori 4.350 ha circa.

Tali aree saranno realizzate utilizzando gli istituti delle Zone di prote4zione lungo le rotte di migrazione e le Zone di ripopolamento e cattura.

Nei paragrafi seguenti sono descritte le proposte per ciascuna tipologia di istituto di protezione.

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TIPOLOGIA Sup. (ha)

Superficie agro-silvo-pastorale totale 107.676,33Aree protette:PARCO NATURALE REGIONALE DELLE SERRE - Oasi dell'Angitola 794,36PARCO NATURALE REGIONALE DELLE SERRE 9.227,55Riserva naturale Marchesale 1.314,89Riserva naturale Cropani - Micone 249,89Altre aree in divieto di caccia:

Foreste Demaniali e aree rimboschite regionali 3.595,00Fondi chiusi (Dato desunto dal PFV 1997) 2.000,00Totale aree di protezione (a) 17.181,69

Superficie minima (20 %) per la protezione della fauna

prevista dalla normativa vigente (b) 21.535,27

Superficie destinata a protezione della fauna da istituire

con il PFV 2010-2014 (b-a) 4.353,58

Zone di protezione lungo le rotte di migrazione:IT330089 Dune dell' Angitola 590,00IT340090 Fiumara di Brattirò 599,96Zone di ripopolamento e cattura (ZRC) 3.163,62

3.7.2. AREE PROTETTE REGIONALI : PARCO REGIONALE DELLE SERRE (O. CAMPOLO,

L.MATTIOLI)

La gestione faunistico-venatoria, nell‟ambito territoriale di competenza del Parco Regionale delle Serre, è disciplinata dal rispettivo piano territoriale in accordo con gli indirizzi ed i criteri della pianificazione faunistica provinciale.

Le attività proposte nel presente PFV che interessano in parte od esclusivamente il Parco regionale sono le seguenti:

Progetto di reintroduzione del capriolo italico nella porzione vibonese del parco e contestuale eliminazione/traslocazione del nucleo di caprioli europei del recinto di Mongiana;

Progetto di valutazione della presenza della lepre italica nel Parco;

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Monitoraggio del lupo e gatto selvatico nel territorio del Parco;

Predisposizione di un piano di controllo del cinghiale nel Parco;

3.7.3. SITI RETE NATURA 2000 (SIC, ZPS, SIN, SIR) (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)

I piani di gestione dei Siti Rete Natura 2000 (SIC, ZPS, SIN, SIR) definiscono gli interventi da attuare per la migliore conservazione delle emergenze ambientali, floristiche e zoologiche. È da sottolineare che nei piani di gestione dei Siti Rete Natura 2000 della Provincia di Vibo Valentia non sono presenti indicazioni sulla gestione della fauna.

Degli otto SIC esistenti nella porzione terrestre della Provincia, cinque sono in tutto o per la maggior parte compresi entro il Parco regionale delle Serre o altre aree protette (Riserva Naturale Marchesale), come indicato al paragrafo 2.4.1. Restano al di fuori del sistema delle arre protette od in divieto di caccia i siti IT9340090 Fiumara di Brattirò e il sito IT9330089 Dune dell‟Angitiola.

Nel presente PFV si propone di istituire nei due siti sopra citati due zone di protezione lungo le rotte di migrazione denominate Dune dell‟Agitola e Fiumara di Brattirò. Le superfici sono pari a 597,83 ha e 1129,36 ha rispettivamente.

CROPANI-MICONE (Riserva Naturale Biogenetica Statale; istituita con D.M.A.F. 13 luglio 1977. La Riserva Naturale Biogenetica Statale Cropani-Micone ricade nel bacino del torrente Allaro, tra i 900 m e i 1.200 m di quota, nel Comune di Mongiana.

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3.7.4. OASI DI PROTEZIONE (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)

Le oasi di protezione, di cui l‟art. 6 della L.R. 9/ 1996 rappresentano della aree idonee od apprestabili al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta delle specie migratrici, oltre che all‟insediamento e all‟incremento delle popolazioni di specie stanziali. Esse rappresentano inoltre uno strumento di valorizzazione, di difesa e di eventuale ripristino degli elementi naturali del paesaggio.

La protezione e gestione di una o più specie di particolare interesse per il loro valore biologico non può che essere visto nell‟ambito della conservazione della intera biocenosi e quindi in chiave ecologica. Da un punto di vista strettamente scientifico, le strutture di protezione possono rappresentare inoltre un valido contributo quali aree campione in cui studiare la dinamica naturale delle diverse popolazioni in assenza di prelievo venatorio, al fine di effettuare utili confronti con zone dove è necessario l‟esercizio della caccia o al cattura a fini di ripopolamento.

Nel territorio provinciale non sono presenti Oasi di protezione propriamente dette, ovvero istituite ai sensi dell‟ art. 6 della L.R.n. 10 del 14 luglio 2003.

È invece presente un‟oasi di protezione istituita con decreto del Ministero dell‟Agricoltura e Foreste del 30.9.95 come Riserva Naturale Integrale e denominta

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bacino dell‟Angitola, classificata anche come Zona Umida di Interesse Internazionale, che occupa una superficie di 875 ettari e che viene riconfermata.

Le proposte di gestione relative alla R.N. dell‟Angitola sono le seguenti:

- progetto di monitoraggio degli acquatici svernanti - realizzazione di strutture per l‟osservazione - piano di controllo del cinghiale

Non si propone l‟istituzione di altre oasi di protezione, ritenendo prioritario realizzare istituti finalizzati al miglioramento dello stato di conservazione della piccola fauna stanziale.

3.7.5. ZONE DI PROTEZIONE LUNGO LE ROTTE DI MIGRAZIONE (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)

Le zone di protezione (art. 14 L.R. n. 3/94) si configurano come istituti con precise finalità di tutela dell‟avifauna migratrice, da collocare lungo le rotte di migrazione individuate dall‟Istituto Nazionale della Fauna Selvatica. Ai sensi dell‟art. 1 comma 5 Legge n. 157/92 era stata istituita una zona di protezione lungo le rotte di migrazione denominata Stefanaconi posta in Comune di Stefanaconi di superficie pari a 1.220 ettari (Del. G.R. n. 4715 del 29/11/93). Tale zona con delibera Regionale è stata eliminata.

Il presente PFV prevede la realizzazione di due zone di protezione lungo le rotte di migrazione illustrate nelle Figure 16 e 17:

ZPM “Dune dell‟Angitola” 590,00 ha coincidente con l‟omonimo SIC IT9330089

ZPM “Fiumara di Brattirò” di 599,96 ha, istituita su una parte dell‟omonimo SIC IT9340090

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Figura 16 - Ipotesi di Zona di Protezione lungo le rotte di Migrazione: “Fiumara di Brattiro”: Superficie 599,96 ha

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Figura 17- Ipotesi di Zona di Protezione lungo le rotte di Migrazione: “Dune dell’

Angitola”: Superficie 590,00 ha

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3.7.6. ZONE DI RIPOPOLAMENTO E CATTURA (O.CAMPOLO, L.MATTIOLI)

Le zone di ripopolamento e cattura (ZRC) sono porzioni di territorio destinate alla riproduzione allo stato naturale di soggetti appartenenti a popolazioni di uccelli e mammiferi di specie stanziali, nonché al loro irradiamento nelle aree circostanti. La selvaggina prodotta in questi istituti, può essere catturata, secondo le previsioni di appositi piani di assestamento e di cattura, e venire destinata alla ricostituzione di nuclei di riproduttori in tempi e condizioni utili per il loro ambientamento.

Attualmente non esiste, in tutta la Regione Calabria, nessun esempio di realizzazione di questo tipo di istituto faunistico.

Le ZRC non possono essere certamente la soluzione di ogni cattiva gestione faunistica della piccola fauna stanziale. Tuttavia, in una situazione di partenza caratterizzata da livelli molto bassi sia di presenza che di densità di popolazione di specie quali la lepre,il fagiano, la coturnice come è il caso della Provincia di Vibo Valentia, la realizzaione di alcune ZRC deve essere intesa come un primo passo utile verso la riqualificazione del territorio a fini faunistici. Le ricadute positive della loro realizzazione possono essere così sintetizzate:

ricostituzione di popolazioni vitali in grado di autoriprodursi; produzione, dopo alcuni anni, di soggetti di elevata qualità da impiegare in

operazioni di restocking; dispersione nelle aree circostanti di soggetti cacciabili, che costituisce la

migliore tecnica di immissione di soggetti in termini di costi/benefici; protezione di altre specie attualmente non cacciabili quali la lepre italica e la

coturnice

Nel presente PFV si è proceduto ad individuare 5 aree di reperimento all‟interno delle quali dovranno essere realizzate, nell‟arco temporale di validità del piano, alcune ZRC per una superficie complessiva di 2000 ha da destinare a questo tipo di istituto. I confini delle ZRC non devono necessariamente coincidere con quelli delle aree di reperimento, ma sono in esse compresi.

La superficie minima che dovranno avere le future ZRC è fissata in 400 ha, quella massima in 1200 ha.

Le aree di reperimento sono state individuate scegliendo le porzioni di territorio maggiormente vocate per lepre, starna e fagiano (con riferimento ai modelli di idoneità ambientale per tali specie), non vocate per il cinghiale e caratterizzate dai seguenti aspetti:

elevato grado di diversità ambientale e colturale; bassa % di bosco; aree boscate suddivise in piccole porzioni, in particolare lungo linee di impluvio

o corsi d‟acqua; prevalenze di colture a cereali, olivo, frutteti;

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La provincia e gli A.T.C., di comune accordo, potranno prevedere specifiche forme di incentivazioni a favore degli agricoltori i cui fondi risultano compresi all‟interno delle Z.R.C. che, aderendo e collaborando ai piani di miglioramento ambientale a fini faunistici, contribuiranno a conseguire significativi incrementi nella produttività faunistica naturale.

Una volta ricostituite popolazioni in grado di autoriprodursi dovrà essere totalmente evitata la pratica dei cosiddetti “rinsanguamenti”, vale a dire lo scambio di animali provenienti da altre Z.R.C. o di soggetti di allevamento; tale pratica, infatti, è priva di qualsiasi fondamento scientifico e, lungi dal produrre gli ipotetici incrementi riproduttivi per i quali è invocata, viceversa comporta concreti rischi di carattere sanitario.

Le misure gestionali principali da attuare nelle ZRC sono le seguenti:

perimetrazione logica ed adeguata; miglioramenti ambientali; controllo dei predatori; approntamento di un servizio di vigilanza efficace per la prevenzione e il

controllo degli illeciti

Le aree di reperimento sono di seguito riportate e illustrate nelle Figure 18-19-20-21-22:

1) Maierato, situata nell‟ ATC VV1 tra il Bacino dell‟ Angitola, Maierato, la costa ed il fiume Angitola, superficie: 1363,61 ha;

2) Area compresa tra Filandari, Paravati, San Calogero, Presinaci, nell‟ ATC VV2, superficie: 1243,38 ha;

3) Area compresa tra Nicotera e Camerconi 1178,43 ha; 4) Zona compresa tra Mileto, Francica, San Giovanni, Paravati, ubicata a cavallo tra

i due ATC VV1 e VV2, superficie: 881,23 ha; 5) Area di pianura tra Vibo Valentia, Stefanaconi, S.Gregorio d‟Ippona, situata nell‟

ATC VV1, superficie: 1660,44 ha;

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Figura 18- Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Maierato”

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Figura 19 – Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Filandari”

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Figura 20- Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Nicotera -

Camerconi”

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Figura 21 – Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Francica –

San Giovanni”

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Figura 22 – Area di reperimento per la Zona di Ripopolamento e Cattura: “Vibo

Valentia”

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Tutte le tecniche di gestione adottate all‟interno di questi istituti sono finalizzate ad incrementare il più possibile la densità delle popolazioni selvatiche di piccola fauna stanziale, soprattutto lepre e fagiano.

Le linee di gestione per questo tipo di istituto sono le seguenti:

Ricostituzione di nuclei di riproduttori mediante approvvigionamento di soggetti prodotti esclusivamente in allevamenti locali;

Organizzazione di forme di sorveglianza anche mediante la collaborazione con gruppi di cacciatori volontari;

Monitoraggio almeno annuale di lepre, fagiano, eventualmente coturnice;

Programmi di miglioramento ambientale e risarcimento per danni causati dalla fauna;

Controllo di predatori o antagonisti (volpe, gazza, cornacchia) e del cinghiale

3.7.7.CENTRI PUBBLICI E PRIVATI DI RIPRODUZIONE DELLA FAUNA

I centri pubblici di riproduzione di fauna selvatica, di cui agli art. 5 e 9 della L.R. n. 9/1996 sono istituti faunistici destinati alla ricostituzione di popolazioni autoctone, nonché allo studio e alla sperimentazione di metodi e tecniche di gestione degli ecosistemi agricoli e forestali con particolare riguardo alla riproduzione allo stato naturale di uccelli e mammiferi appartenenti alla fauna stanziale.

I capi appartenenti alle suddette popolazioni potranno essere prelevati ed immessi sul territorio in tempi e condizioni utili al loro ambientamento. Importante è inoltre ed ruolo che essi svolgono per la salvaguardia e la riproduzione delle specie migratrici. A prescindere dal tipo di scelta circa la forma e la modalità di produzione, si attribuisce ai centri pubblici una specifica connotazione di tipo sperimentale.

L‟unica struttura presente su territorio della Provincia di Vibo Valentia, è ubicata nel Comune di Mongiana.

I centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale rappresentono istituti finalizzati alla produzione di selvaggina in aree prive di elementi che limitano la capacità di libero movimento degli animali. Questo tipo di istituto si differenzia dunque dagli allevamenti veri e propri per la mancanza di “cattività” della fauna allevata. I capi prodotti in queste condizioni potranno essere utilmente impiegati per il “ripopolamento” del territorio. Dovranno dunque essere destinati alla produzione di fauna autoctona e in aree prive di recinzione e provviste della estensione e delle caratteristiche ambientali idonee per le specie in indirizzo produttivo. La gestione dovrà prevedere l‟effettuazione di periodiche ricognizioni ( pre – e post – riproduzione) volte ad accettare la consistenza delle popolazioni, sulla base delle quali redigere il piano annuale di prelievo, da effettuarsi tramite cattura. Eventuali immissioni potranno essere autorizzate solamente nei primi anni successivi alla loro costituzione.

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Non esistono attualmente istituti faunistici di questo tipo in provincia di Vibo Valentia.

3.7.8. AZIENDE FAUNISTICO-VENATORIE E AGRITURISTICO VENATORIE (O. CAMPOLO,

L.MATTIOLI)

3.7.8.1. AZIENDE FAUNISTICO VENATORIE (AFV)

Attualmente nel territorio provinciale non sono attive aziende faunistico venatorie.

Così come previsto dall'art. 8, della L.R. 9/96, la quota massima del 15% del territorio agro-silvo-pastorale provinciale, pari a 16.150 ha circa, potrà essere destinata alla realizzazione di questi istituti. Nel presente PFV si stabilisce che le eventuali AFV potranno essere autorizzate entro il territorio indicato come vocato per le specie appartenenti alla piccola fauna stanziale, ovvero lepre, fagiano, starna e coturnice.

Non si prevede la possibilità di realizzare AFV entro l‟area vocata per la gestione del cinghiale, né AFV che abbiano come indirizzo prioritario la gestione del capriolo o di altre specie di cervidi e bovidi.

La gestione delle AFV dovrà mirare a favorire l'insediamento sul territorio, la riproduzione naturale e l'incremento delle popolazioni selvatiche di piccola fauna stanziale, con particolare riferimento a quella tipica appenninica che in questi ambienti trovano l‟habitat adatto.

Questi obiettivi dovranno essere perseguiti principalmente attraverso la seguente misure gestionali:

incrementare la diversificazione ambientale, attraverso sia l'aumento degli incolti e delle colture a perdere per la selvaggina, sia l'inserimento, nell'ambito delle ordinarie rotazioni colturali, di piante coltivate particolarmente adatte;

favorire modelli di gestione faunistica compatibili con le situazioni ambientali locali;

attuare un'agricoltura di tipo non intensivo; realizzare strutture di ricovero e alimentazione per la selvaggina; modalità di prelievo programmato sulla base delle consistenze accertate

mediante monitoraggi e censimenti.

Relativamente al ricorso di eventuali iniziative di immissione artificiale finalizzate al ripopolamento, esse dovrebbero essere indirizzate esclusivamente al miglioramento di situazioni faunistiche molto degradate; tali attività devono, quindi, essere occasionali e limitate al periodo di tempo necessario alla ricostituzione di popolazioni stabili che si autosostengano.

Le indicazioni della Regione Calabria prevedono, comunque, di indirizzare l'attività prevalentemente per finalità naturalistiche e faunistiche con particolare riferimento alla tipica fauna appenninica ed a quella acquatica.

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3.7.8.2. AZIENDE AGRITURISTICO VENATORIE (ATV)

Le superfici di questo tipo di istituto a gestione privata si sommano a quelle delle AFV per quanto riguarda lo sviluppo massimo di superficie che possono raggiungere nel territorio provinciale.

Le ATV devono preferibilmente essere realizzate nelle aree a minore vocazione faunistica. Nel presente PFV non si forniscono indicazioni relative alle aree di reperimento per le ATV,con l‟eccezione delle aree di reperimento delle ZRC di cui al paragrafo 3.7.6. entro le quali non si prevede la possibilità di istituire ATV.

Al momento non esiste nel territorio provinciale alcuna Azienda agrituristico venatoria.

3.7.9. ZONE ADDESTRAMENTO CANI E GARE CINOFILE (CAMPOLO - VELLONE)

L'addestramento e l'allenamento dei cani da caccia é consentito oltre che nelle apposite Zone secondo i rispettivi regolamenti, anche in territorio libero destinato all‟attività venatoria. Per l‟esigenza di dover effettuare particolari addestramenti ed allenamenti, l'attività può essere svolta nelle zone Libere prescelte, purché siano rispettate le normative vigenti in materia. In applicazione dell'art. 2 della L.R. n. 9/96 al rilascio delle autorizzazioni delle gare cinofile su terreno libero provvede l'Amm.ne Prov.le competente.

E‟ sempre consentito l‟addestramento e l‟allenamento dei cani nelle apposite zone autorizzate (ZAC, ecc.) secondo le modalità ed i periodi stabiliti nelle autorizzazioni rilasciate dalla Regione e/o dalle Province. Nella Tabella 20 sono indicale le Zone addestramento cani e gare cinofile presenti sul territorio provinciale.

Tabella 20 - Aree addestramento cani.

Comune Località Superficie

HA

Tipologia di istituto proposto

Proponente

Stefanaconi Stefanaconi 1.220 Zona add. cani Fed. Ital. Caccia

S.Calogero Oliva 101 Zona add. cani Impr. Agricolo Gerocarne Marrau 10 Zona add. cani Arcicaccia

3.8. IDENTIFICAZIONE DELLE ZONE IN CUI SONO COLLOCABILI GLI APPOSTAMENTI

FISSI

La possibilità di istituire appostamenti fissi caccia è subordinata alla Legge 157/1992, art. 5 comma 3 che recita:” Le regioni emanano norme per l'autorizzazione degli appostamenti fissi, che le province rilasciano in numero non superiore a quello rilasciato

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nell'annata venatoria 1989-1990”. Poiché in tale data non vi erano appostamenti fissi di caccia già istituiti non è possibile procedere alla individuazione di aree a ciò destinate.

3.9. DANNI DA FAUNA SELVATICA, PREVENZIONE, ATTIVITÀ DI CONTROLLO E CRITERI

PER L’EROGAZIONE DEI RISARCIMENTI (CAMPOLO O., MATTIOLI L.)

3.9.1.PREMESSA

L'art. 1 della legge 11/02/92 N° 157 stabilisce che la fauna selvatica è proprietà indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale. La presenza di fauna selvatica può provocare danni al patrimonio privato ed in particolare alle produzioni agricole. In applicazione all'alt. 1227 del Codice Civile, ogni cittadino è tenuto ad adottare tutte le misure possibili a prevenire un danno al proprio patrimonio, pena l'inammisibilità a qualsiasi forma di risarcimento. Al fine di ridurre al minimo le spese a carico dei cittadini per far fronte alla prevenzione dei danni producibili da fauna selvatica alle produzioni agricole ed alle opere approntate su terreni coltivabili od a pascolo, gli ATC e la Provincia provvedono alla fornitura di mezzi di prevenzione ovvero alla adozione di piani di controllo numerico di specie invasive, ivi compresa la fornitura gratuita di idonei mezzi di cattura contestuale al rilascio degli atti autorizzativi previsti dalla attuale normativa.

3.9.2. CRITERI PER LA DETERMINAZIONE DEL RISARCIMENTO DEI PROPRIETARI DEI

FONDI RUSTICI PER I DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA

3.9.2.1. PROCEDURE PER IL RISARCIMENTO DEI DANNI CAUSATI DA FAUNA SELVATICA: PRINCIPI GENERALI

La Legge Regionale n. 9/96, all‟art. 6 comma 2 lett. f) prevede che i Piani F.V. contengano, altresì, i criteri per la determinazione ed il risarcimento in favore dei proprietari e conduttori dei fondi rustici per i danni causati arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi ricompresi nelle Oasi e nelle Zone di Protezione, nonché nelle Zone di Ripopolamento e Cattura.

I criteri enunciati nel seguente paragrafo devono quindi intendersi come criteri generali validi per gli istituti faunistici e per il Territorio a Gestione Programmata degli ATC, qualora questi non abbiano adottato un proprio regolamento.

Nel caso che gli ATC adottino specifici regolamenti per la determinazione dei risarcimenti, le presenti direttive saranno valide per le parti non in contrasto con i suddetti regolamenti.

3.9.2.1.1.Segnalazione dei danni

Coloro che subiscono danni alle colture agricole sono tenuti a segnalarli all‟Organo competente in forma scritta possibilmente entro 48 ore dall‟accertamento del primo danno da parte del conduttore dei fondi, affinché possano essere utilmente adottati

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provvedimenti ed accorgimenti atti a limitare i danni stessi, almeno 15 gg. prima nel caso in cui si approssimi il periodo della raccolta, o, in caso di danni alla semina, prima che la coltura raggiunga uno stato vegetativo tale da impedire la valutazione del danno e l‟agente che lo ha causato;

Le domande dovranno essere avanzate usando la modulistica predisposta dall‟Ambito Territoriale di Caccia competente, consegnate a mano o trasmesse a mezzo posta o fax.

Le domande di indennizzo possono essere inoltrate all‟Ambito Territoriale di Caccia anche tramite le Associazioni degli Agricoltori, utilizzando la modulistica conforme.

Nelle domande di indennizzo dovranno essere ben specificati:

I dati anagrafici o ragione sociale del richiedente, accompagnati dal codice fiscale o dal numero di partita IVA;

Dichiarazione di proprietà o di possesso e riferimenti catastali dei terreni interessati dal danneggiamento;

Entità della superficie oggetto di sopralluogo;

Coltura danneggiata;

Stima del quantitativo di prodotto perduto;

Indicazione sulla specie che ha causato il danno;

Descrizione dell‟attività di prevenzione dei danni, se adottata;

Nel caso in cui siano stati danneggiati vigneti soggetti a disciplinare di produzione dovrà essere prodotta copia della denuncia delle uve presentata agli organismi competenti nei termini di legge

Le domande di sopralluogo devono essere presentate, in rapporto alla coltura danneggiata, nel periodo vegetativo, dalla semina al momento del raccolto previsto dagli usi e consuetudini locali; in tal senso ogni Ambito Territoriale di Caccia può determinare, all‟atto della stesura del proprio Regolamento, le date di scadenza per tipologia di coltura.

Le richieste che perverranno agli Ambiti Territoriali di Caccia fuori termine od incomplete dovranno essere archiviate dandone comunicazione scritta all‟interessato.

3.9.2.1.2.Accertamento dei danni

L‟organismo preposto alla erogazione degli indennizzi verifica le richieste avanzate mediante sopralluoghi, da effettuare di norma entro i 15 giorni lavorativi successivi alla richiesta di indennizzo e comunque entro i limiti previsti dalla legge.

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I sopralluoghi di accertamento sono effettuati, da tecnici incaricati dall‟Ambito Territoriale di Caccia i cui compiti sono di verificare e stimare il danno causato dalla fauna, anche mediante campionamenti, rilevamenti GPS (Global Positioning System) e/o fotografici.

Sull‟apposita modulistica di sopralluogo dovrà essere riportato quanto segue:

superficie e tipologia della coltura oggetto del sopralluogo;

stato vegetazionale, fitosanitario e produttività della coltura;

quantità e/o percentuale di prodotto perduto;

superficie danneggiata;

presunta data del danno;

presunta provenienza degli animali che hanno provocato il danno;

indicazioni circa opere per la prevenzione adottate;

indicazioni circa opere per la prevenzione di eventuali, ulteriori danni.

4. In caso di richiesta di sopralluoghi per l‟accertamento di danni risultanti inesistenti, il costo della perizia tecnica sarà a carico del richiedente, che dovrà corrisponderlo all‟Ambito Territoriale di Caccia.

3.9.2.1.3. Operazioni di stima

La stima del danno deve avvenire in contraddittorio con il richiedente, o suo incaricato, ed il relativo verbale deve essere firmato per accettazione della stima.

In caso di mancata firma e accordo, il danneggiato può mettere a verbale i motivi della mancata accettazione

I Tecnici incaricati del sopralluogo provvedono ad informare l‟agricoltore danneggiato circa i metodi e le procedure di prevenzione dei danni normalmente adottate nei casi similari, indicando i referenti cui rivolgersi per la loro attuazione e dandone menzione nel verbale di sopralluogo.

Al sopralluogo possono presenziare componenti del Comitato di Gestione dell‟Ambito Territoriale di Caccia o suoi delegati in veste di osservatori, i medesimi dovranno comunque qualificarsi di fronte al proprietario o conduttore del fondo agricolo e non prendere parte alla determinazione del verbale di accertamento.

Il Tecnico incaricato del sopralluogo dovrà procedere ai seguenti adempimenti:

Verifica dei documenti allegati, dei quali è obbligatoria la certificazione catastale e la cartografia particellare in scala adeguata tale da consentire l‟individuazione territoriale,

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per i vigneti certificati IGT- DOC – DOCG è obbligatoria la certificazione del catasto vitivinicolo;

Verifica in caso di intestazione non corrispondente fra il certificato catastale ed il titolare della richiesta, della documentazione attestante il titolo di conduzione;

Accertamento relativo alla rispondenza della qualità di coltura riportata nel certificato catastale e quella oggetto della richiesta;

Valutazione del danno con metodo analitico procedendo, ove necessario, alle misurazioni degli appezzamenti danneggiati se facilmente individuabili o, in caso di danno diffuso, alla delimitazioni di aree di saggio distribuite uniformemente sull‟appezzamento, conseguente determinazione della media ponderale e definizione dell‟aliquota percentuale media complessiva.

Redazione del verbale riportando tutte le informazioni richieste e le annotazioni necessarie alla successiva definizione del danno da rimborsare, curando con particolare attenzione l‟aspetto delle definizione relativa alle cause o concause che hanno procurato il danno e, se possibile, la provenienza, nonché indicate le misure di prevenzione eventualmente adottate o, in caso contrario, le motivazioni per cui non sono state o non possono essere realizzate;

La redazione del verbale deve essere effettuata anche in caso di accertamento del danno risultante negativo, riportandone nelle annotazioni le motivazioni;

Il verbale deve essere firmato dal Tecnico incaricato e dal richiedente o suo rappresentante. Nel caso in cui il richiedente si rifiuti di firmare la perizia, il Tecnico deve informare il medesimo che eventuali osservazioni dovranno essere fatte con scritto inoltrato all‟Ambito Territoriale di Caccia entro 10 giorni dalla data del verbale, permettendo di procedere ad eventuali accertamenti suppletivi o l‟attivazione della Commissione Arbitrale.

Il Tecnico con la firma del verbale, si assume la responsabilità di quanto accertato in riferimento alla valutazione del danno.

3.9.2.1.4. Danni non ammessi a risarcimento

L‟indennizzo dei danni arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole e forestali è riservato a coloro che abbiano dato preventiva segnalazione del danneggiamento;

Non sono indennizzabili danni relativi a:

Colture che al momento del sopralluogo siano già state raccolte o comunque manomesse;

Colture dove non sia in alcun modo tecnicamente accertabile la causa del danno;

Colture ottenute in assenza di tutte o parte delle operazioni agronomiche normalmente adottate per il tipo di coltura interessata;

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Colture evidentemente aggredite da infestanti in modo tale da pregiudicare la normale produzione;

Impianti di essenze arboree attuati con i contributi previsti dal Reg. CEE 2080/92 “Arboricoltura da legno” ove non sia stata prevista in progetto alcuna opera di prevenzione, qualora ammessa dalla normativa europea;

Danni provocati da animali domestici e nutrie in quanto non riconosciuti come specie di fauna selvatica;

Danni causati da eventi metereologici e/o fallanze;

Danni a colture attuate su terreni posti ad una quota incompatibile con le caratteristiche agronomiche sue proprie. Resta comunque facoltà dell‟A.T.C. individuare limitazioni per il rimborso di danni a colture attuate in situazioni ambientali ritenute incompatibili con le loro specifiche caratteristiche agronomiche;

Ogni Ambito Territoriale di Caccia potrà definire un importo minimo (franchigia) al di sotto del quale i danni accertati non siano indennizzabili; tale importo non potrà comunque essere superiore a € 150,00.

3.9.2.1.5. Tipologia dei danni risarcibili e modalità di valutazione

Ai fini dell‟ammissione al risarcimento si distingue due tipologie di danni, quelli direttamente legati ai prodotti agricoli e quelli indiretti legati ad alcuni tipi di infrastrutture.

TIPOLOGIA DEI DANNI

Colture erbacee

impianti di prati e pascoli;

colture foraggiere – cerealicole – industriali – oleaginose e proteoleaginose;

colture orticole;

pascoli permanenti.

Colture arboree in attualità di coltivazione

frutteti – oliveti – vigneti – castagneti da frutto;

rimboschimenti fino a tre anni dall‟impianto.

MODALITA‟ DI VALUTAZIONE

Danni alle colture cerealicole, foraggiere e pascoli permanenti

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a) Nel caso di danni procurati nella fase di semina o comunque in tempi tali da consentire le operazioni di risemina, se questi interessano parti consistenti dell‟appezzamento, deve essere indicata la superficie da riseminare, facendo presente al richiedente che qualora non provveda non potrà essere riconosciuto alcun rimborso.

Diversamente, nel caso in cui i danni siano di lieve entità e diffusi sull‟appezzamento, il danno dovrà essere espresso in percentuale e verificato prima del raccolto. E‟ compito del richiedente, inoltrare richiesta scritta all‟Ambito Territoriale di Caccia, per un ulteriore sopralluogo prima del raccolto, pena il non riconoscimento del danno.

Qualora venga riconosciuta una percentuale di danno il richiedente non può procedere alla risemina. L‟Ambito Territoriale di Caccia potrà svolgere controlli in merito, non risarcendo le risultanze dell‟avvenuta risemina per i danni già definiti.

b) In presenza di danni arrecati a prato o prato pascolo, la valutazione dovrà essere fatta in superficie danneggiata e non a fieno. Se lo stesso danno si presenta su superfici in erbatura ma non facenti parte di una coltivazione come sopra, non può essere riconosciuto, ai sensi della Delibera del C.R.T. n. 340 del 26/07/1995, come non sono riconosciuti danni a scarpate o muri a secco.

c) Per i danni causati in fase di maturazione del prodotto, il risarcimento sarà pari alla perdita del prodotto definito in sede di valutazione.

Danni alle colture orticole

Il risarcimento viene determinato secondo i criteri già esposti:

superficie danneggiata;

prezzo del prodotto;

produzione media della zona.

Danni alle colture arboree in attualità di coltivazione

frutteti – oliveti – vigneti - castagneti da frutto;

nel caso di danni tali da rendere preferibile la sostituzione delle piante, il risarcimento è basato sul costo delle sostituzioni (messa a dimora completa), con una integrazione pari al valore del prodotto perduto stimata secondo i parametri precedentemente indicati.

rimboschimenti fino a tre anni dall‟impianto;

- nel caso di danni tali da rendere necessaria la sostituzione delle piantine danneggiate (per danni verificatisi entro tre anni dall‟impianto) il risarcimento è basato sul costo delle sostituzioni (messa a dimora completa).

Nel caso di danni rilevanti in rapporto alla superficie investita e tali da prevedere ingenti rimborsi, il Tecnico, effettuata la stima, si deve riservare del definitivo accertamento dopo averne data immediata comunicazione all‟Ambito Territoriale di Caccia.

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Nel caso in cui i danni interessino oltre che le produzioni agricole anche le strutture di frutteti, oliveti, vigneti ed altro, il Tecnico redigerà verbale descrittivo di quanto viene accertato senza la definizione percentuale o numerica del danno, informando immediatamente l‟Ambito Territoriale di Caccia.

3.9.2.2. MODALITÀ DI LIQUIDAZIONE

3.9.2.2.1. Definizione delle quantità dei prodotti agricoli da risarcire

Il Tecnico incaricato del sopralluogo dovrà definire la quantità di prodotto da risarcire in base alle produzioni medie definite dall‟Ambito Territoriale di Caccia, tenuto conto delle indicazioni qualitative della coltura danneggiata riportata nel verbale.

3.9.2.2.2. Calcolo degli importi di liquidazione

Il calcolo dovrà essere effettuato sulla base del prezzario predisposto dall‟Ambito Territoriale di Caccia ed approvato dall‟Amministrazione Provinciale per ogni annata agraria sulla base dei mercuriali della camera di commercio, industria e artigianato.

3.9.2.2.3. Liquidazione degli importi

La liquidazione dei danni risultanti dai conteggi potrà essere effettuata con le seguenti modalità:

in un'unica soluzione nei primi mesi dell‟anno successivo a quello dell‟accertamento;

immediatamente qualora il danno sia definito in modo forfettario ed il beneficiario abbia sottoscritto l‟impegno a non richiedere ulteriori integrazioni per l‟annata agraria di riferimento.

3.9.2.2.4. Detrazione per costi tecnici

Per ogni verbale di accertamento l‟Ambito Territoriale di Caccia potrà stabilire di effettuare una detrazione dall‟importo da liquidare a titolo di contributo per costi tecnici non superiore ad € 60,00. In caso di accertamenti, effettuati su richiesta, che abbiano dato un esito negativo con mancato riscontro di qualsiasi tipo di danno, l‟ATC potrà provvedere al recupero delle spese sostenute per costi tecnici richiedendo il relativo rimborso nei modi consentiti dalla legge.

3.9.2.2.5. Riduzione percentuale per mancata prevenzione

Qualora il richiedente non abbia provveduto ad effettuare interventi di prevenzione dei danni secondo le specifiche tecniche contenute nel successivo paragrafo, l‟Ambito Territoriale di Caccia potrà, in sede di liquidazione, ridurre l‟importo da corrispondere fino ad un massimo del 20%, diversificando tale riduzione in rapporto all‟ubicazione del territorio danneggiato. Tale riduzione non potrà essere comunque applicata se, su

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richiesta preventiva dell‟agricoltore, l‟A.T.C. non avrà provveduto al coinvolgimento della/e squadra/e di caccia al cinghiale, o di altri cacciatori, che operano nel territorio interessato al fine di coadiuvare l‟agricoltore nell‟adozione di misure di prevenzione compreso la messa in opera di strumenti di dissuasione (elettropascoli ect.)

Nel caso in cui il conduttore si sia rifiutato, su esplicita richiesta avanzata dal Tecnico incaricato del sopralluogo o dalla stessa ATC, di adottare misure di prevenzione al fine di limitare il protrarsi dei danni, potrà essere applicata una detrazione maggiore all‟importo da liquidare fino ad un massimo del 40%.

Il ripetersi negli anni di danni diffusi sullo stesso appezzamento di terreno e la mancata adozione di opportuni metodi di prevenzione può comportare, con provvedimento motivato approvato dal Comitato di Gestione dell‟ATC, l‟annullamento totale di qualsiasi rimborso.

3.9.2.3. TECNICHE DI PREVENZIONE DEI DANNI CAUSABILI DALLA FAUNA

Il problema dell‟impatto sulle produzioni agricole da parte della fauna selvatica si sta rivelando, anche nell‟ambito dell‟intero territorio provinciale vibonese, di sempre maggiore gravità in quanto talune specie selvatiche, quali ad esempio il cinghiale ed i corvidi, caratterizzate cioè da una più o meno spiccata plasticità ecologica (e quindi da un ampio spettro alimentare) evidenziano livelli di consistenza in progressivo aumento.

3.9.2.3.1. Specie selvatiche e danni alle produzioni agricolo-forestali

CINGHIALE

Costituisce la specie selvatica che arreca attualmente la maggiore entità di danni; in ambito provinciale presenta, di fatto, una distribuzione pressoché uniforme, con la sola eccezione delle più estese fasce di pianura ad agricoltura intensiva, prive di appezzamenti boscati.

Specie in grado di percorrere notevoli distanze durante la notte per la ricerca del cibo, è in grado di danneggiare ampie superfici soprattutto con l‟azione di scavo del terreno sia per la ricerca del seme che di altre fonti alimentari quali Artropodi, Anellidi, micromammiferi, radici, tuberi e residui di precedenti colture.

Le colture maggiormente colpite sono quelle cerealicole e foraggere, per quanto possano venire interessate anche in maniera sensibile anche colture quali la barbabietola da zucchero e i vigneti.

LEPRE

L‟impatto maggiore si rileva a carico di frutteti e vigneti di recente impianto, attraverso la rosatura della corteccia, e di colture orticole quali cavolo (in inverno) e melone e cocomero (in estate); mentre il danno su cereali autunno-vernini può rivelarsi evidente nella fase di levata.

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ISTRICE

I danneggiamenti diretti sulle produzioni agricole sono limitati occasionalmente ai cereali e al mais, rispetto alla possibilità del piegamento dei fusti in fase di maturazione.

FAGIANO

Specie prevalentemente granivora, il Fagiano denota comunque uno spettro alimentare piuttosto ampio, che può portare, in condizioni di elevata densità, alla manifestazione di danni soprattutto nei confronti delle produzioni cerealicole ed orticole, nonché di vigneti e colture a campo aperto.

PASSERIFORMI

STURNIDI

Lo Storno successivamente al periodo della nidificazione diviene frugivoro e granivoro, privilegiando i frutteti in genere, ma soprattutto i vigneti e gli oliveti. L‟entità dei danni da Storno si rende particolarmente manifesta in virtù del comportamento sociale della specie. Potendosi costituire infatti gruppi anche di alcune migliaia di individui, è possibile subire la distruzione completa del raccolto dopo un solo attacco.

PLOCEIDI

I passeri, più precisamente il Passero Domestico e la Passera Mattugia, sono caratterizzati anch‟essi da comportamento gregario; si rivolgono perlopiù a colture quali girasole, frumento, sorgo, in fase di maturazione.

FRINGILLIDI

Più frequentemente rappresentati da Fringuello, Verdone e Cardellino, presentano tipologie di impatto sulle produzioni agricole analoghe a quelle descritte per sturnidi e ploceidi, ai quali talvolta si uniscono aggravando ulteriormente l‟entità dei danni.

CORVIDI

In prevalenza Cornacchia Grigia e Corvo Comune possono provocare danni alle colture cerealicole, più che in fase di semina, in fase di germinazione, nonché arrecando danni a talune colture orticole specializzate in fase di maturazione.

COLUMBIFORMI

Il Colombaccio e la Tortora possono, a seconda della consistenza, provocare danni di una certa entità a colture quali frumento, soia, girasole, in fase di semina. A questi si aggiunge il comune Colombo che, seppure legato agli ambienti urbani, gravita sistematicamente nelle aree agricole con consistenze ben superiori rispetto alle due specie precedenti.

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3.9.2.3.2. Interventi di prevenzione

A. Recinzioni elettriche

Tipologia di intervento

Strutture di tipo mobile rappresentate da due fili zincati elettrificati disposti a 25 e 50 cm dal suolo, fissati a dei paletti tramite dei supporti di plastica.

Generalmente vengono alimentate a basso voltaggio da pile secche in parcelle di limitate dimensioni (inferiori a 5 ha) o da accumulatori a 12 volts per superfici superiori.

Tale struttura viene utilizzata, anche fornendo buon risultato, soprattutto per limitare i danni apportati dal cinghiale; può essere installata anche per non far avvicinare la lepre e l‟istrice. In tal caso i due fili devono essere collocati rispettivamente a 7 e 25 cm dal suolo e collegati ad un accumulatore a 12 volts oppure alla rete elettrica (220 volts).

Si rivela comunque di fondamentale importanza il costante controllo e la manutenzione della struttura.

B. Protezioni individuali

Tipologia di intervento

Strutture rigide di polipropilene (shelters) con altezza di 40/60 cm, per la lepre, o di rete (plastificata o zincata) ed altezza 120 cm, per il capriolo. Tali strutture, provviste di palo tutore e poste a protezione diretta del fusto, impediscono il morso e lo sfregamento, consentendo nel contempo il normale sviluppo della pianta.

C. Repellenti

Tipologia di intervento

Tale tipo di intervento produce un effetto sgradevole per l‟olfatto e/o per il gusto.

E‟ fondamentale che tali prodotti vengano distribuiti sulle gemme per un numero di volte variabile rispetto alle qualità del prodotto ed in condizioni di tempo sereno su piante asciutte.

I tipi di prodotti possono variare rispetto alla specie verso la quale è finalizzato l‟intervento medesimo (uccelli, lepre, Cervidi, cinghiale, ecc.) e sono di tipo chimico o naturale.

Nel primo caso, trattandosi generalmente di prodotti di terza e quarta classe di tossicità (ad es. Lentacol, Morkit), possono venire impiegati anche in ambiti protetti, mentre nel secondo caso sono generalmente concimi organici (Deer Away).

D. Palloni

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Tipologia di intervento

Tale sistema funziona attraverso la messa in opera di palloncini gonfiati ad elio di circa 40-60 cm di diametro e sospesi attraverso un filo. Possono essere colorati o caratterizzati da disegni (modello “Predator”) simulanti occhi di rapaci; si considerano comunque necessari circa 3-4 palloni/ha che devono essere periodicamente spostati anche alternandoli tra loro.

Sono attivi nei confronti dei passeri, degli storni e dei picchi, non facendoli avvicinare.

F. Nastro riflettente

Tipologia di intervento

Consiste in una striscia di larghezza variabile (5-20 cm), da stendere, torcendola a spirale 3-7 volte, a 60-80 cm sopra la coltura, in modo da farla brillare alla luce solare. Deve essere applicata a sostegni distanti 10-25 m, con una distanza tra un nastro ed il successivo di 5-10 m.

Il vento provoca una leggera ondulazione della striscia ed i raggi riflessi non fanno avvicinare gli uccelli.

G. Operazioni agronomiche

Tipologia di intervento

Rientrano in questa categoria di interventi diversi tipi di operazioni colturali che consentono, in funzione delle situazioni locali, di ridurre i danni arrecati dalla fauna selvatica. Tali operazioni possono essere riassunte nelle seguenti:

uso di varietà di frumenti resistenti all‟allettamento;

scelta di specie foraggere più opportune;

scelta di varietà precoci o tardive;

3.9.2.3.3. Modalità di accesso ai fondi per le attività di prevenzione dei danni da fauna selvatica

Per quanto attiene le procedure per la presentazione delle domande di contributo, sia nel caso di fondi agricoli ricadenti in Z.R.C. che all‟interno di A.T.C. si può fare riferimento a quanto riportato nel 4.8.4 (“Presentazione e istruttoria delle domande”).

Unica ulteriore precisazione riguarda i soggetti beneficiari, rispetto ai quali verrà data priorità di contributo a quegli interventi ricadenti in terreni già danneggiati negli anni precedenti.

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3.10. CRITERI PER LA CORRESPONSIONE DEGLI INCENTIVI IN FAVORE DEI

PROPRIETARI E CONDUTTORI DEI FONDI RUSTICI

3.10.1.PREMESSA: GLI INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO AMBIENTALE

L‟articolo 10 comma 8 della L. n° 157/92 relativo ai contenuti dei Piani faunistico venatori provinciali indica alla lettera g) che i Piani devono contenere i criteri per la corresponsione degli incentivi economici a favore dei proprietari e conduttori dei fondi che si impegnano ad adottare misure per la tutela ed il ripristino degli habitat naturali, ed all‟incremento della fauna selvatica.

L‟art. 14, comma 11 relativamente alla gestione programmata della caccia indica che l‟organismo di gestione dell‟ATC nel territorio di propria competenza “provvede al programma di interventi per il miglioramento degli habitat e provvede all‟attribuzione di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per realizzare misure tra cui:

ricostituzione di una presenza faunistica ottimale nel territorio

coltivazioni per l‟alimentazione naturale della fauna (colture a perdere)

ripristino di zone umide differenziazione delle colture ripristino di siepi, cespugli, alberature tutela dei nidi e dei nuovi nati difesa preventiva delle coltivazioni pasturazione invernale della fauna nei periodi di difficoltà

Le linee guida di seguito riporatte costituiscono i criteri tecnici ai quali la provincia e gli ATC dovranno attenersi al fine dell‟erogazioen dei contributi economici per le misure di miglioramnento ambientale realizzate sia nel territorio a gestione programmata (ATC) che all‟interno degli istituti faunistici realizzati dalla Provincia (ZRC, Oasi di protezione, Zone di protezione lungo le rotte di migrazione).

3.10.2. DIRETTIVE TECNICHE PER LA REALIZZAZIONE DEGLI INTERVENTI DI

MIGLIORAMENTO AMBIENTALE

3.10.2.1. INTERVENTI FINALIZZATI AL MIGLIORAMENTO DEGLI HABITAT

3.10.2.1.1. - Colture a perdere – Mis. 1)

In questa categoria di intervento sono comprese sia la semina di appezzamenti, appositamente realizzata per la fauna selvatica, sia il rilascio della fascia perimetrale più esterna di un appezzamento di coltura idonea, sempre ai fini dell‟alimentazione e rifugio della fauna selvatica.

Mis. 1A) Semina di colture

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L‟intervento prevede la realizzazione di piccole superfici di colture agricole da destinare all‟alimentazione naturale della fauna selvatica.

Nelle Zone di Ripopolamento e cattura è possibile attuare tali interventi sia nel periodo primaverile che in quello autunnale, mentre nel TCP risulta utile attuare le pratiche, successivamente indicate come 1A)-1B) e 1C), solo nel

periodo autunno/invernale.

La superficie di ciascun appezzamento (di un determinato tipo di coltura), deve essere compresa tra un minimo di 1.000 ed un massimo di 10.000 mq.

Gli appezzamenti di uguale coltura non dovranno essere contigui. La superficie complessiva di appezzamenti contigui di colture diverse (es: cereale autunno vernino, erba medica, mais o sorgo) non potrà comunque superare i 10.000 mq.

Sono da considerare non contigui gli appezzamenti distanti tra loro almeno mt 200.

Per quanto riguarda le specie vegetali utilizzabili, l‟epoca e le dosi di semina, il tipo di suolo richiesto e le consociazioni possibili, sarà fatto riferimento alla Tavola n° 8 del quaderno tecnico n°16 “I miglioramenti ambientali a fini faunistici” edito dall‟INFS (Allegato n° 1). Altre specie potranno essere aggiunte previo assenso della Provincia.

Quando la semina è attuata con cereali (orzo, grano, avena) la dose deve essere integrata con sementi di leguminose (ginestrino, lupinella, sulla).

L‟intervento comprende le seguenti operazioni:

- aratura superficiale alla profondità di 20-30 cm, erpicatura e amminutamento della superficie compreso eventuale apertura di fosse livellari.

- semina delle essenze prescelte, concimazione di fondo ed eventuale rullatura. - per le colture foraggiere può essere richiesto uno sfalcio in periodo non

pregiudizievole per la fauna.

E‟ escluso l‟utilizzo di pesticidi e la concimazione in copertura.

Quando si tratterà di colture a semina autunno/invernale, dovranno permanere in campo fino alla fine di agosto o fino a tutto gennaio dell‟anno successivo quando si tratti di colture a semina primaverile.

Costituiranno criterio di precedenza ai fini dell‟istruzione delle domande di finanziamento per gli interventi di cui alla presente Misura 1 A), i seguenti requisiti:

Interventi realizzati all‟interno di Zone di Protezione (ZRC-ZPM-Oasi-);

Interventi in aree vocate ai galliformi e lagomorfi individuate nel presente PFV;

Interventi che rispettino i minimi ed i massimi delle superfici degli appezzamenti indicati precedentemente;

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Interventi in appezzamenti situati all‟interno o al margine di aree boscate.

Mis. 1B) Rilascio di fasce di prodotto agricolo

L‟intervento consiste nel rilascio in piedi del prodotto presente nella fascia perimetrale esterna dell'appezzamento per una larghezza variabile tra 4 e 6 metri.

In tale fascia non dovranno essere impiegati pesticidi né effettuate concimazioni in copertura.

Il rimborso sarà ammesso soltanto per le colture idonee alla fauna selvatica di cui alla tabella citata per le colture a perdere e per gli stessi periodi di permanenza in campo.

Il contributo sarà riferito alla superficie effettiva della fascia rilasciata e di importo analogo/ha a quanto previsto per la Mis. 1A).

Questa misura potrà anche essere adottata, qualora esista adeguata disponibilità finanziaria, quando, a seguito di richiesta di verifica dei danni, il Tecnico accerti che i medesimi superano il 60% dell'intera superficie.

Quest'ultima erogazione sarà riferita all'intera superficie dell'appezzamento, che dovrà avere le dimensioni indicate per la Mis. 1A) e sarà commisurata al valore commerciale del prodotto.

I criteri di precedenza per l‟accesso ai finanziamenti sono i medesimi della misura 1°.

Mis. 1C)- Mantenimento di prati

L'intervento prevede il mantenimento di prati di essenze foraggere per un periodo max. di anni 5 dalla semina iniziale.

In detti appezzamenti andrà effettuato obbligatoriamente lo sfalcio nel periodo compreso tra il 1 e 30 settembre di ogni anno e quanto risultante sarà a disposizione del proprietario o conduttore del fondo.

Ogni anno dovrà essere presentata relativa domanda e l'eventuale autorizzazione è subordinata alla disponibilità economica per tali interventi.

L'ATC potrà prevedere contributi differenziati per impianto e manutenzione dei prati.

L'ATC potrà prevedere, inoltre, incentivi per prati umidi.

Mis. 1D) – Posticipazione della aratura

Tale intervento prevede la posticipazione delle operazioni di aratura dei residui colturali dopo il:

- 1 aprile per le successive semine primaverili; - 1 settembre per quelle autunnali.

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La finalità dell‟intervento è quella di incrementare i luoghi di alimentazione, in momenti di suo difficile reperimento, e quale rifugio per la prole.

3.10.2.1.2. - Recupero a fini faunistici di terreni incolti - Mis. 2)

L‟intervento è previsto per i terreni che presentino vegetazione erbacea o che siano moderatamente invasi da vegetazione arbustiva, ma che necessitino comunque di un‟operazione di ripulitura del terreno con mezzo meccanico dotato di idonea attrezzatura (decespugliatore, trinciastocchi).

Saranno esclusi dall‟intervento i terreni colonizzati in maniera estesa da cespugli quali ginestra, pruno, eriche e da specie arboree (querce, castagno).

Qualora l‟operazione di decespugliamento non sia necessaria a causa della sola presenza di vegetazione erbacea di modesta altezza, l‟intervento sarà assimilato alla Mis. 1A).

Sulla superficie ripulita sarà poi effettuata la semina delle colture (foraggere o da granella) di cui alla Mis. 1A), preceduta dalle operazioni necessarie (aratura, fresatura, concimazione di fondo) e per gli stessi periodi di permanenza in campo.

La superficie da sottoporre a contributo sarà quella del terreno ripulito e rimesso a coltura.

I criteri di precedenza ai fini dell‟istruttoria delle domande saranno i medesimi di cui all‟intervento Mis.1 A).

3.10.2.1.3. - Impianto di siepi - Mis. 3)

Formazione di siepi a composizione mista arborea ed arbustiva, o soltanto arbustiva, a fila semplice o doppia.

Le specie arboree ed arbustive saranno preferibilmente specie autoctone, scelte tra l‟elenco compreso nella Tavola n° 7 del quaderno tecnico n° 16 dell‟INFS (Allegato n° 2).

Il materiale di impianto sarà a radice nuda di due-tre anni di età o in fitocella.

Le distanze tra le piante saranno indicativamente di 1-2 mt per le specie arbustive e 5-10 mt tra le specie arboree. La distanza tra le file per le siepi doppie sarà indicativamente di 2-3 mt.

L‟intervento non sarà comunque ammissibile a distanza inferiore a 200 mt da fabbricati adibiti ad abitazione ed a luogo di lavoro e all‟interno dell‟area vocata per la gestione faunistica del cinghiale.

Le siepi realizzate dovranno essere mantenute per un periodo non inferiore ad anni 10.

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Sarà data precedenza alle domande di intervento in aree ad agricoltura intensiva ed i parametri di valutazione saranno la dimensione degli appezzamenti ed il grado di monocoltura; qualora venga ritenuto che la vegetazione naturale già esistente sia sufficientemente sviluppata, l'intervento non sarà ammesso.

Il finanziamento di questa misura è ammesso esclusivamente all‟interno delle aree indicate come vocate a fagiano, starna, coturnice, lepre italica e lepre europea nel presente PFV.

3.10.2.1.4. - Impianto o recupero di essenze arboree - Mis. 4)

Mis. 4a) Impianto essenze arboree e arbustive

L‟intervento consiste nella piantagione di essenze arboree autoctone che producono frutti appetibili per la fauna selvatica e la cui diffusione sia scarsa o insufficiente nelle aree di intervento. Le specie saranno quelle previste alla tavola n° 7 del quaderno tecnico INFS n° 16 (Allegato n° 2).

L‟operazione è alternativa alla realizzazione di siepi ed è prioritariamente autorizzata all‟interno del territorio vocato per la gestione faunistica del cinghiale.

Analogamente a quanto previsto per le siepi, le piantine da mettere a dimora sono a radice nuda di 2-3 anni o in fitocella.

La distanza tra le piantine non dovrà essere inferiore a 5 mt, e l'intervento dovrà essere effettuato a piccoli gruppi composti al massimo da 20 piante, di almeno tre specie diverse. I gruppi dovranno essere distanziati da almeno 500 mt.

Le piantine devono essere obbligatoriamente difese contro il morso e lo sfregamento degli ungulati e della lepre mediante shelters.

Per un periodo di almeno cinque anni dopo l'impianto si dovrà procedere a sfalciatura localizzata delle erbe intorno alla piantina ed eventuale lavorazione del terreno. Costituiscono elementi di priorità per questo tipo di intervento:

- appezzamenti situati al di sopra dei 400 mt s.l.m. - appezzamenti situati all'interno di aree boscate - appezzamenti situati lungo crinali montani o ad essi limitrofi (entro 300 mt).

Le piante messe a dimora non potranno essere sottoposte a taglio e dovranno essere obbligatoriamente lasciate a dimora qualora si proceda all‟utilizzazione del circostante soprassuolo forestale.

Il richiedente si impegna ad eseguire tutte le operazioni colturali che risultino necessarie al mantenimento in buone condizioni agronomiche dell‟impianto per 5 anni successivi, ed in tale periodo potranno essere disposti dalla Provincia sopralluoghi di verifica/collaudo.

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Qualora da tale accertamento risulti che l‟impianto non sia nelle condizioni agronomiche sopra previste o con fallanze superiori al 50%, il beneficiario del contributo sarà tenuto alla restituzione del 50% dell‟ammontare indebitamente percepito.

3.10.2.1.5. -Iinterventi finalizzati alla tutela dei nidi e dei nuovi nati di fauna selvatica - Mis. 6)

L'intervento consiste nell'adozione di misure di precauzione volte a diminuire la mortalità di fauna selvatica, in particolare galliformi e lepre ma anche piccoli cervidi (capriolo), causata dalle operazioni agricole di sfalcio delle colture foraggere e trebbiatura delle colture cerealicole.

L'intervento consiste in:

adozione della barra di involo che consiste in una struttura metallica dotata di spezzoni di catena metallica, da porre anteriormente alle strutture falcianti in modo da toccare e far allontanare gli animali prima che siano raggiunti dalla lama.

esecuzione delle operazioni di sfalcio/trebbiatura in modo centrifugo, cioè partendo dal centro dell'appezzamento, in modo da consentire alla fauna di allontanarsi.

alzare la barra falciante di almeno 15 cm dal suolo.

rilascio di piccole porzioni di coltura intorno a nidi eventualmente individuati.

L'ammissione al contributo potrà essere subordinata a preventiva verifica da parte di personale della Provincia, dell'effettiva presenza e riproduzione della fauna selvatica.

L‟intervento sarà prioritariamente ammesso nei seguenti casi:

appezzamenti di dimensioni fino a 3 ha.

appezzamenti situati all'interno o limitrofi ad aree boscate, siepi, cespugliati.

appezzamenti situati all'interno delle aree vocate per i galliformi individuate con successive direttive dirigenziali.

appezzamenti in cui siano stati segnalati e verificati dagli organi competenti casi precedenti di mortalità o di distruzione di nidi e covi.

appezzamenti situati all'interno di ZRV.

Potranno essere ammessi a contributo interventi in aree diverse, previo accertamento di riproduzione di fauna selvatica da parte degli uffici che istruiscono le domande.

Il contributo consiste in un incentivo economico per l'adozione delle misure di precauzione.

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La barra di involo sarà fornita dall‟ente che eroga il contributo o in caso contrario, sarà previsto un ulteriore contributo all‟acquisto.

3.10.2.1.6. -Realizzazione di strutture di ambientamento della fauna selvatica

Le strutture di ambientamento consentono un adattamento graduale della fauna selvatica proveniente da allevamento alle nuove condizioni naturali delle località di immissione, riducendo l‟effetto della mortalità dovuto sia alla difficoltà sia i soggetti incontrano nell‟alimentarsi in condizioni naturali, sia alla predazione, facilitata dall‟assenza di adattamento.

Tali strutture potranno essere previste sia per operazioni di reintroduzione (immissione di specie scomparse in epoca recente e per le quali esistano condizioni ancora idonee alla loro presenza; es: starna), sia per operazioni di ripopolamento, cioè di immissione di individui appartenenti a specie presenti ma con livelli di densità insufficienti, ai fini del loro incremento numerico.

Le presenti direttive tecniche hanno validità per le strutture di ambientamento finanziate con i fondi del PFV. Per le strutture che i comitati di gestione degli ATC intenderanno realizzare con fondi propri, le presenti direttive avranno valore di norme di indirizzo, da valutare caso per caso dall‟Amministrazione Provinciale con possibilità di deroga ai fini delle relative autorizzazioni.

Caratteristiche tecniche della struttura

La struttura di ambientamento, secondo le indicazioni tecniche fornite da specialisti del settore (cfr. A. Meriggi, Piano faunistico venatorio dell‟ATC Parma 6) e dall‟A.R.S.I.A. Toscana, sarà indicativamente costituita da un recinto di ambientamento di superficie minima pari a 1-2 ha, costituito da rete metallica alta 2 mt e interrata per 50 cm, sorretta da pali posti a distanza di circa 5 mt.

Il recinto dovrà essere ubicato in aree adatte alla specie e dovrà racchiudere, al suo interno, un appezzamento di cespugliato e/o di bosco in modo da consentire un utilizzo prolungato della struttura ed un maggior successo della fase di ambientamento.

All‟interno del recinto saranno realizzate due voliere di 10x20 mt anch‟esse con rete metallica di 2 mt di altezza e interrata per 20-30 cm. Le voliere saranno a cielo chiuso con rete di nylon elastica per evitare che gli animali si feriscano se disturbati.

Nel recinto e nelle due voliere saranno collocati alimentatori automatici con granaglie e abbeveratoi. Il 50% della superficie del recinto sarà coltivato ad erba medica e cereali.

Zona di rispetto venatorio

La struttura di ambientamento deve essere circondata da una zona di rispetto venatorio (ZRV) o di divieto di caccia (ZRC) di ampiezza variabile a seconda della specie e dell‟utilizzo (reintroduzione o ripopolamento).

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Questo elemento è indispensabile sia ai fini di una dispersione graduale dei soggetti immessi che di un razionale utilizzo venatorio delle aree limitrofe il punto di immissione che sia compatibile con irrinunciabili criteri di sicurezza. Tali condizioni saranno tanto più soddisfatte quanto maggiori saranno le dimensioni e quindi il perimetro dell‟area di rispetto.

La ZRV, oltre a diluire nel tempo la dispersione dei soggetti immessi, garantirà il mantenimento di una popolazione anche oltre la stagione venatoria con effetti positivi ai fini della progressiva colonizzazione dei territori circostanti.

La forma della ZRV sarà tale da minimizzare il rapporto perimetro/superficie, orientativamente sub-circolare o poligonale e la posizione della struttura di ambientamento dovrà essere centrale. La ZRV sarà istituita dalla Provincia, su proposta del comitato di gestione dell‟ATC competente.

L‟area di ubicazione dovrà avere caratteristiche di spiccata vocazione per la specie.

Utilizzo della struttura

Nelle voliere saranno immessi fino a 100 soggetti per volta che saranno liberati all‟interno del recinto dopo un periodo di ambientamento in voliera (indicativamente almeno 2-3 settimane). Le immissioni all‟interno dell‟intera struttura (recinto e voliere) non potranno essere effettuate, a norma di legge, oltre il 31 agosto. All‟interno e nei dintorni della struttura non sarà ammesso il controllo di carnivori tramite trappole.

Eventuali interventi di controllo all‟interno della ZRV saranno eseguiti per conto dell‟Amministrazione provinciale tramite i sistemi indicati dall‟INFS per le ZRC.

3.11. BANCHE DATI FAUNISTICHE (MATTIOLI L.)

Gli indirizzi approvati dalla Regione Calabria per la redazione dei Piani faunistico venatori provinciali indicano come obiettivo prioritario la realizzazione di banche dati informatizzate sui seguenti argomenti:

Carnieri

Censimenti faunistici

Danni

Controllo faunistico

Miglioramenti ambientali

Popolazione venatoria

Infrazioni venatorie

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Relativamente al punto 1. Si ritiene di basilare importanza l‟informatizzazione dei dati registrati dai cacciatori nel tesserino venatorio, e nelle schede giornaliere di caccia previste per la gestione del cinghiale.

Per la gestione del cinghiale è di grande importanza (vedi paragrafoxx) la creazione di banche dati relative al numero di battute effettuate da ciascuna squadra, con indicazione del numero di partecipanti alla battuta, numero di cinghiali osservati, numero di cinghiali abbattuti.

Tutti i dati di operazioni di monitoraggio effettuate nelle ZRC, così come in altre aree (conteggi notturni con faro di lepre, conteggi di galliformi a vista o in battuta) saranno inseriti in appositi database.

Per il punto3. Appare indispensabile la creazione di una banca dati unica a livello provinciale georiferita a livello di foglio catastale, sull‟esempio di quella realizzata dalla Provincia di Arezzo. La banca dati prevede un server unico nella Provincia, in cui gli ATC possono inserire tutte le pratiche relative agli episodi di danno di cui i proprietari dei fondi agricoli hanno richiesto il rimborso.

La banca dati sui danni può essere affiancata da una analoga banca dati, con uguale impostazione, relativa agli interventi di miglioramento ambientale (punto 5).

Ugualmente gli interventi di controllo della fauna selvatica dovranno essere registrati in apposito database.

Come indicazione generale per la realizzazione delle banche dati faunistiche si suggerisce di realizzare strumenti in ambiente WEB che consente il grande vantaggio di poter far lavorare, con apposito accreditamento tramite sistema di username e password riservate, personale anche situato in aree esterne ai soggetti pubblici (Provincia o ATC), con grande risparmio di tempo e denaro.

Tale sistema consente inoltre di incentivare il volontariato di singoli cacciatori o gruppi di cacciatori, ambientalisti, agricoltori.

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3.12. PIANO DI IMMISSIONE FAUNA SELVATICA

3.12.1. OBIETTIVI DELLE IMMISSIONI

La riqualificazione e il potenziamento delle zoocenosi costituiscono un aspetto importante della programmazione faunistico-venatoria della Provincia e dell‟attività di gestione degli A.T.C.

I piani di immissione da realizzare nel prossimo futuro dovranno tenere in considerazione quanto precedentemente detto per le singole specie nel paragrafo inerente gli obiettivi e la pianificazione delle attività gestionali (3.6.).

Gli interventi di immissione dovranno essere indirizzati prioritariamente all‟interno di zone di protezione (ZRC, Zone di protezione lungo le rotte di migrazione, aree protette) del territorio provinciale; l‟ente gestore che effettuerà l‟immissione dovrà adempiere a tutte le prescrizioni previste dalla normativa nazionale e regionale.

In particolare nei siti Natura 2000, fatto salvo il divieto di introduzione di popolazioni non autoctone ex art. 12 D.P.R. 357/97, ogni intervento di reintroduzione di fauna selvatica all‟interno dei siti è sottoposto a specifica valutazione di incidenza.

I piani di immissione devono porsi lo scopo di limitare gradualmente nel tempo la logica del ripopolamento, in modo che il prelievo venatorio sia basato sulla produzione spontanea della fauna e sulla dispersione di individui dalle aree in divieto di caccia.

In tale logica si indica come fattore strategico la creazione di ZRC ed altri istituti in divieto di caccia ove ricostituire popolazioni autosufficienti di specie appartenenti alla piccola fauna stanziale.

Qualora ciò non dovesse accadere, si ritiene che la stratega del ripopolamento “pronta caccia” sarebbe destinata fatalmente all‟insuccesso, o per lo meno a produrre effimeri benefici. Negli anni passati la liberazione di notevoli quantitativi di animali appartenenti a specie, sottospecie (o perfino ibridi) diverse da quelle autoctone ha determinato fenomeni di inquinamento genetico delle popolazioni locali.

A parte operazioni di reintroduzione (starna, coturnice, capriolo italico, lepre italica), per le specie di interesse faunistico-venatorio sarà consentita l‟immissione unicamente delle seguenti specie: Lepre europea e Fagiano.

La liberazione di esemplari appartenenti a queste specie potrà essere autorizzata a seguito della presentazione all'Amministrazione Provinciale di apposito progetto redatto da un operatore tecnico faunistico.

E‟ in ogni caso vietata l‟immissione di soggetti di cinghiale, ad eccezione di soggetti destinate ad aree recintate per l‟addestramento dei cani, e di capriolo non appartenenti alla sottospecie italicus.

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3.12.2. CRITERI DELLE OPERAZIONI DI IMMISSIONE

Notevoli sono i problemi legati all‟utilizzo di animali allevati nelle immissioni faunistiche, quali le condizioni sanitarie, le modificazioni del comportamento e della fisiologia indotte dall‟allevamento, la caratterizzazione genetica degli animali allevati e la difficoltà degli animali ad integrarsi nel contesto dell‟ambiente naturale dove sono immessi.

Si possono pertanto distinguere due tipologie di immissioni a seconda del tipo di materiale impiegato:

immissioni di soggetti di allevamento; immissioni di soggetti catturati e traslocati da aree limitrofe;

Le immissioni di soggetti di allevamento hanno scarso successo, soprattutto per la difficoltà di reperimento di soggetti di buona qualità. Sono in particolare da sconsigliare per specie di costo elevato come la lepre, per il bilancio costi/benefici particolarmente sfavorevole. Molto meglio impiegare i pochi fondi disponibili per la gestione del territorio e degli istituti faunistici.

Le operazioni di immissione più qualificate sono senza dubbio quelle realizzate con soggetti di cattura in ZRC o centri di produzione allo stato naturale. Attualmente però nella Provincia non sono state ancora istituite ZRC, pertanto le operazioni di immissione che dovessero essere effettuate, anche per ricostituire popolazioni iniziali nelle nuove ZRC, saranno effettuate probabilmente con soggetti di allevamento.

Dovranno essere ricercati soggetti provenienti da allevamenti locali, con rigorosa certificazione sanitaria.

In caso di operazioni di reintroduzione di coturnice, starna, lepre italica e capriolo italico, sarà necessario porre particolare attenzione all‟identità genetica dei soggetti utilizzati.

Le immissioni dovranno essere attuate in modo pianificato, tenendo conto delle caratteristiche della specie e delle peculiarità del territorio, esclusivamente all‟interno delle aree indicate come vocate per la specie nelle cartografie semplificate di cui al presente piano.

3.12.2.1. LEPRE

Nella gestione delle popolazioni di lepre per fini venatori il ripopolamento artificiale rappresenta uno strumento prezioso allorquando di debbano risolvere situazioni a tal punto compromesse da non lasciar sperare in un naturale recupero delle popolazioni in tempi ragionevoli (ripopolamento vero e proprio), oppure nel caso in cui si renda opportuno il reinsediamento di un nucleo iniziale in una zona ove la specie sia scomparsa (reintroduzione).

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Naturalmente in entrambi questi casi occorre considerare una serie di accorgimenti di carattere tecnico affinché l‟operazione abbia un risultato accettabile in termini di costi/benefici.

In primo luogo le immissioni di lepre devono essere indirizzate a creare popolamenti consistenti e presenti sul territorio tutto l‟anno; per tale motivo le immissioni dovranno essere attuate all‟interno di ZRC, aree protette o aree di rispetto.

I soggetti dovranno essere certificati dal punto di vista sanitario e provenienti esclusivamnente da allevamenti locali di cui si conosca la storia genetica, escludenso in ogni caso soggetti extra-nazionali.

Non si consigliano strutture di pre-ambientamento.

Deve essere previsto, anche in considerazione del fatto che le immissioni avvengono entro istituti faunistici, un monitoraggio almeno annuale degli esiti dell‟immissione dello sviluppo del nuopvo popolamento.

3.12.2.3. FAGIANO

Le immissioni di fagiani allevati in cattività, dovranno essere coerenti con le linee di gestione, indicate dall‟ex INFS, ispirate a criteri di razionale gestione faunistica, volti prioritariamente a costituire popolazioni selvatiche capaci di riprodursi allo stato di natura, vale a dire:

a) realizzare le immissioni prevalentemente all‟interno di Z.R.C di nuova costituzione, opportunamente individuate in funzione dell‟idoneità ambientale per la specie;

b) affiancare sempre alle immissioni programmi di miglioramento ambientale;

c) avviare ed estendere la pratica dell‟ambientamento dei fagiani da immettere in recinti a cielo aperto, ampi e specificatamente coltivati, collocati all‟interno di Z.R.C. (vedi Paragrafo: 3.10.2.1.6;

d) eliminare completamente le immissioni di fagiani durante la stagione venatoria;

e) impiegare per i ripopolamenti preferibilmente fagiani di età compresa tra i 50 ed i 120 giorni;

f) utilizzare nel tempo, quantità decrescenti di fagiani allevati, di pari passo con l‟aumento del numero dei riproduttori selvatici, mirando al loro totale azzeramento in corrispondenza della definitiva formazione di popolazioni selvatiche autosufficienti.

3.12.2.4. REINTRODUZIONI

Per quanto concerne operazioni di reintroduzione di coturnice, starna, lepre italica o capriolo italico, dovranno essere redatti specifici progetti.

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BIBLIOGRAFIA

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244

ALLEGATI:

ALLEGATO 1

Caratteristiche morfometriche dei principali corsi d‟acqua della Provincia di Vibo Valentia (per la parte ricadente all‟interno del territorio provinciale

BACINO Superficie

(km2)

Perimetro

(km)

Altitudine min

(m s.l.m.)

Altitudine max

(m s.l.m.)

Altitudine media

(m s.l.m.)

Mesima 813.36 145.62 0.0 1240.0 395.5

T. Vacale 62.11 45.79 45.0 968.0 440.3

T. Sciarapotamo 36.93 43.51 48.0 1000.0 475.5

F. Metramo dalle origini sino alla confluenza col T. Vacale escluso

109.60 56.28 45.0 1235.0 629.5

F. Metramo dalla confluenza col T. Vacale sino a quella col F. Mesima

24.75 32.68 24.0 661.0 253.4

F. Mesima dalla confluenza col F. Marepotamo sino a quella col F. Metramo escluso

10.39 19.67 26.0 250.0 84.1

F. Mesima dalla confluenza col F. Metramo fino alla sua foce in mare

44.95 39.44 1.0 137.0 39.2

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245

T. Melanda 12.84 25.54 100.0 1104.0 605.7

F. Marepotamo dalla confluenza col T. Morano fino a quella col F. Mesima

60.72 49.45 38.0 800.0 289.7

T. Filasa 14.62 20.37 131.0 1075.0 573.1

T. Petriano 53.22 37.95 100.0 1240.0 687.3

T. Morano 19.58 28.14 119.0 1091.0 591.9

Fiumara Rosario (T. Cornacchia) 22.99 26.21 131.0 1000.0 543.3

T. Cerasia 19.17 24.92 180.0 947.0 622.8

F. Marepotamo dalle origini sino alla confluenza col T. Morano, escluso

30.36 44.06 114.0 893.0 328.5

F. Mesima dalla confluenza col Rio Cridello sino a quella col F. Marepotamo

54.84 46.18 0.0 319.0 175.7

Fosso Cinnarello 41.98 46.05 0.0 509.0 213.6

T. Mammella 75.85 44.47 18.0 650.0 302.2

Rio Cridello 37.70 31.45 128.0 547.0 348.0

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246

F. Mesima dalle origini fino alla confluenza col Rio Cridello escluso

80.77 56.47 111.0 914.0 323.1

BACINO Superficie

(km2)

Perimetro

(km)

Altitudine min

(m s.l.m.)

Altitudine max

(m s.l.m.)

Altitudine media

(m s.l.m.)

Angitola 187.95 70.40 1.0 1004.0 388.8

F. Angitola dalla confluenza con la Fiumara Reschia fino alla sua foce in mare

54.56 40.98 1.0 609.0 217.0

Fiumara Reschia 57.17 35.68 30.0 1007.0 515.4

F. Angitola dalla confluenza col T. Falla fino a quella con la Fiumara Reschia esclusa

?28.39 25.33 32.0 941.0 270.3

F. Angitola dalle origini fino alla confluenza col T. Falla escluso

23.60 27.48 90.0 954.0 541.4

T. Falla. 24.36 35.94 90.0 925.0 452.2

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247

BACINO Superficie

(km2)

Perimetro

(km)

Altitudine min

(m s.l.m.)

Altitudine max

(m s.l.m.)

Altitudine media

(m s.l.m.)

Ancinale 173.84 82.24 1.0 1340.0 718.6

F. Ancinale dalla origini alla quota 600 m.

61.41 37.40 655.0 1340.0 917.2

F. Ancinale da quota 600 m. a quota 300 m.

63.57 41.42 347.0 1133.0 706.0

T. Ancinalesca. 17.74 23.42 162.0 1205.0 812.8

F. Ancinale da quota 300 m. fino alla confluenza col T. Ancinalesca, escluso.

8.69 14.79 125.0 869.0 393.7

Fosso Turriti. 8.22 23.14 21.0 632.0 326.3

F. Ancinale dalla confluenza col T. Ancinalesca sino a quella col Fosso Turriti, escluso.

4.56 11.35 22.0 400.0 165.3

F. Ancinale dalla confluenza col Fosso Turriti fino alla sua foce in mare.

9.63 22.94 1.0 894.0 283.2

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248

ALLEGATO 2

Check-list delle specie di uccelli della Provincia di Vibo Valentia e status legale

Ordine Famiglia Specie nome comune / nome scientifico Status

Dir

79/4

09/C

EE

All.

1

Con

v.

di

Ber

na,

All

2 C

onv.

di B

onn

app.

2 Li

sta

ross

a

SPEC

Podicipediformes Podicipedidae 1 Tuffetto Tachybaptus ruficollis

M reg, W, B, S par *

2 Svasso maggiore Podiceps cristatus M reg, W irr, B?

3 Svasso piccolo Podiceps nigricollis M reg, W irr * N

E

Procellariformes Procellariidae 4 Berta maggiore Calonectris diomedea M reg * * V

U 2

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249

5 Berta minore Puffinus puffinus M reg * V

U 4

Hydrobatidae 6 Uccello delle tempeste Hydrobates pelagicus M irr? * * V

U 2

Pelecaniformes Sulidae 7 Sula Morus bassanese M reg, W

Phalacroracidae 8 Cormorano

Phalacrocorax carbo M reg, W EN

9 Marangone dal ciuffo Phalacrocorax aristotelis A (s.d.) * * LR

10 Marangone minore Phalacrocorax pygmeus A (s.d.) * * * N

E

Ciconiiformes Ardeidae 11 Tarabuso Botaurus stellaris M reg * * * E

N 3

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250

12 Tarabusino Ixobrychus minutus M reg * * * LR

13 Nitticora Nycticorax nycticorax M reg * *

14 Sgarza ciuffetto Ardeola ralloides M reg * * V

U 3

15 Garzetta Egretta garzetta M reg * *

16 Airone bianco maggiore Ardea alba M reg * * * N

E

17 Airone cenerino Ardea cinerea M reg, W irr LR

18 Airone rosso Ardea purpurea M reg * * LR

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251

Ciconidae 19 Cicogna nera Ciconia nigra M reg * * * N

E

20 Cicogna bianca Ciconia ciconia M reg * * * LR

Threskiornithidae 21 Mignattaio

Plegadis falcinellus M reg * * * CR 3

22 Spatola Platalea leucorodia M reg * * * N

E

Phoenicopteriformes

Phoenicopteridae 23 Fenicottero

Phoenicopterus ruber M irr * * * NE

Anseriformes Anatidae 24 Cigno reale Cygnus olor A (s.d.) *

25 Cigno selvatico Cygnus cygnus A (s.d.) * * *

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252

26 Oca granaiola Anser fabalis A (s.d.) *

27 Oca lombardella Anser albifrons A (s.d.) *

28 Oca selvatica Anser anser M irr *

29 Volpoca Tadorna tadorna M reg, W irr * * E

N

30 Fischione Anas penelope M reg, W * N

E

31 Canapiglia Anas strepera M reg, W * C

R 3

32 Alzavola Anas crecca M reg, W * E

N

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253

33 Germano reale Anas platyrhynchos M reg, W, B? *

34 Codone Anas acuta M reg, W * N

E

35 Marzaiola Anas querquedula M reg * V

U 3

36 Mestolone Anas clypeata M reg, W * E

N

37 Fistione turco Netta rufina A (s.d.) * E

N 3

38 Moriglione Aythya ferina M reg, W * V

U 4

39 Moretta tabaccata Aythya nyroca M reg * * C

R 1

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254

40 Moretta Aythya fuligula M reg * C

R

41 Smergo minore Mergus serrator M reg *

Accipitriformes Accipitridae 42 Falco pecchiaiolo Pernis apivorus M reg, B irr * * * V

U 4

43 Nibbio bruno Milvus migrans M reg * * * V

U 3

44 Nibbio reale Milvus milvus M reg * * * E

N 4

45 Capovaccaio Neophron percnopterus M reg * * * C

R 3

46 Biancone Circaetus gallicus M reg * * * E

N 3

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255

47 Falco di palude Circus aeruginosus M reg * * * E

N

48 Albanella reale Circus cyaneus M reg * * * Ex 3

49 Albanella pallida Circus macrourus M reg * * *

50 Albanella minore Circus pygargus M reg * * * V

U 4

51 Astore Accipiter gentilis S, B * * V

U

52 Sparviere Accipiter nisus S, B, M reg, W * *

53 Poiana Buteo buteo S, B, M reg, W * *

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256

54 Aquila anatraia minore Aquila pomarina M irr * * *

55 Aquila anatraia maggiore Aquila clanga M irr * * *

56 Aquila reale Aquila chrysaetos M irr, ? * * * V

U 3

57 Aquila minore Hieraaetus pennatus M reg * * *

Pandionidae 58 Falco pescatore Pandion haliaetus M reg * * * Ex 3

Falconiformes Falconidae 59 Grillaio Falco naumanni M reg * * * LR

60 Gheppio Falco tinnunculus

M reg, S parz, B, W parz * *

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257

61 Falco cuculo Falco vespertinus M reg * * N

E

62 Smeriglio Falco columbarius M irr * * *

63 Lodolaio Falco subbuteo M reg, B? * * V

U

64 Falco della regina Falco eleonorae M reg, E irr * * * V

U 2

65 Lanario Falco biarmicus M irr * * * E

N 3

66 Sacro Falco cherrug M reg * *

67 Pellegrino Falco peregrinus S, B, M reg * * * V

U 3

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258

Galliformes Phasanidae 68 Coturnice Alectoris graeca S, B? * V

U 2

69 Starna Perdix perdix S, B ripopolata LR

70 Quaglia Coturnix coturnix M reg, B, W reg * LR

71 Fagiano comune Phasianus colchicus S, B ripopolato

Gruiformes Rallidae 72 Porciglione Rallus aquaticus M reg, W irr LR

73 Voltolino Porzana porzana M reg * * * E

N 4

74 Schiribilla Porzana parva M reg * * * C

R 4

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259

75 Schiribilla grigiata Porzana pusilla M irr * * N

E

76 Re di quaglie Crex crex M reg * * * E

N 1

77 Gallinella d'acqua Gallinula chloropus M reg, W, S, B

78 Folaga Fulica atra

M reg, W, S parz, B *

Gruidae 79 Gru Grus grus M reg * * * Ex 3

Charadriformes Haematopodidae 80 Beccaccia di mare

Haematopus ostralegus M reg EN

Recurvirostridae 81 Cavaliere d'Italia

Himantopus himantopus M reg * * LR

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260

82 Avocetta Recurvirostra avosetta M reg * * LR

Burhinidae 83 Occhione Burhinus oedicnemus M reg * * * E

N 3

Glareolidae 84 Pernice di mare Glareola pratincola M reg * * * E

N 3

Charadridae 85 Corriere piccolo Charadrius dubius M reg, B * * LR

86 Corriere grosso Charadrius hiaticula M reg * * N

E

87 Fratino Charadrius alexandrinus M reg, B? * * LR

88 Piviere tortolino Charadrius morinellus M reg * * * C

R

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261

89 Piviere dorato Pluvialis apricaria M reg * *

90 Pivieressa Pluvialis squatarola M reg *

91 Pavoncella Vanellus vanellus M reg, W irr *

Scolapacidae 92 Piovanello maggiore Calidris canutus M reg *

93 Piovanello tridattilo Calidris alba M reg * *

94 Gambecchio Calidris minuta M reg * *

95 Gambecchio nano Calidris temminckii M reg * *

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262

96 Piovanello Calidris ferruginea M reg * *

97 Piovanello pancianera Calidris alpina M reg, W irr * *

98 Gambecchio frullino Limicola falcinellus M irr * *

99 Combattente Philomachus pugnax M reg * *

100 Frullino Lymnocryptes minimus M reg, W *

101 Beccaccino Gallinago gallinago M reg, W * N

E

102 Croccolone Gallinago media M reg * * *

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263

103 Beccaccia Scolopax rusticola M reg, W * E

N 3

104 Pittima reale Limosa limosa M reg * C

R 2

105 Pittima minore Limosa lapponica M reg * *

106 Chiurlo piccolo Numenius phaeopus M reg *

107 Chiurlo maggiore Numenius arquata M reg * N

E

108 Totano moro Tringa erythropus M reg *

109 Pettegola Tringa totanus M reg * E

N 2

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264

110 Albastrello Tringa stagnatilis M reg * *

111 Pantana Tringa nebularia M reg *

112 Piro piro culbianco Tringa ochropus M reg, W irr * *

113 Piro piro boschereccio Tringa glareola M reg * * *

114 Piro piro piccolo Actitis hypoleucos M reg, B?, W irr * * V

U

115 Voltapietre Arenaria interpres M reg * *

Stercoraridae 116 Labbo Stercorarius parasiticus A

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265

Laridae 117 Gabbiano corallino Larus melanocephalus M reg, W? * * * V

U 4

118 Gabbianello Larus minutus M reg, W? *

119 Gabbiano comune Larus ridibundus M reg, W V

U

120 Gabbiano roseo Larus genei M reg, W? * * * E

N

121 Gavina Larus canus W irr, M irr

122 Zafferano Larus fuscus M reg, W

123 Gabbiano reale Larus cachinnans M reg, W, E

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266

124 Gabbiano tridattilo Rissa tridactyla M irr, W irr

Sternidae 125 Sterna zampenere Gelochelidon nilotica M reg * * * E

N 3

126 Sterna maggiore Sterna caspia M reg * * * N

E

127 Beccapesci Sterna sandvicensis M reg, W * * * V

U 2

128 Sterna comune Sterna hirundo M reg * * * LR

129 Fraticello Sterna albifrons M reg * * * V

U 3

130 Mignattino piombato Chlidonias hybridus M reg * * E

N 3

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267

131 Mignattino Chlidonias niger M reg * * * C

R 3

132 Mignattino alibianche Chlidonias leucopterus M reg * * C

R

Alcidae 133 Gazza marina Alca torda A

134 Pulcinella di mare Fratercula arctica A

Columbiformes Columbidae 135 Piccione selvatico Columba livia S, B V

U

136 Colombella Columba oenas M reg, W, B? C

R 4

137 Colombaccio Columba palumbus

M reg, W, S parz, B

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268

138 Tortora dal collare Streptopelia decaocto S, B

139 Tortora Streptopelia turtur M reg, B *

Cuculiformes Cuculidae 140 Cuculo Cuculus canorus M reg, B

Strigiformes Tytonidae 141 Barbagianni Tyto alba S, B, M reg LR

Strigidae 142 Assiolo Otus scops M reg, B LR

143 Gufo reale Bubo bubo S, B * V

U 3

144 Civetta Athene noctua S, B

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269

145 Allocco Strix aluco S, B

146 Gufo comune Asio otus M irr LR

147 Gufo di palude Asio flammeus M reg * N

E

Caprimulgiformes Caprimulgidae 148 Succiacapre Caprimulgus europaeus M reg, B * * LR

Apodiformes Apodidae 149 Rondone Apus apus M reg, B

150 Rondone pallido Apus pallidus M reg, B * LR

151 Rondone maggiore Apus melba M reg, B * LR

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270

Coraciformes Alcedidae 152 Martin pescatore Alcedo atthis M reg, B? * * LR

Meropidae 153 Gruccione Merops apiaster M reg, B * *

Coraciidae 154 Ghiandaia marina Coracias garrulus M reg * * * E

N 2

Upupidae 155 Upupa Upupa epops M reg, B *

Piciformes Picidae 156 Torcicollo Jynx torquilla

M reg, W, S parz, B *

157 Picchio verde Picus viridis S, B * LR

158 Picchio nero Dryocopus martius S, B * * D

D

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271

159 Picchio rosso maggiore Picoides major S, B *

160 Picchio rosso minore Picoides minor S, B * LR

Passeriformes Alaudidae 161 Calandra Melanocorypha calandra M reg * * LR

162 Calandrella Calandrella brachydactyla M reg, B * *

163 Cappellaccia Galerida cristata S, B D

D

164 Tottavilla Lullula arborea

M reg, W, S parz, B *

165 Allodola Alauda arvensis

M reg, W, S parz, B

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272

Hirundinidae 166 Topino Riparia riparia M reg *

167 Rondine montana Ptyonoprogne rupestris M reg, B *

168 Rondine Hirundo rustica M reg, B *

169 Rondine rossiccia Hirundo daurica M reg * C

R

170 Balestruccio Delichon urbica M reg, B *

Motacillidae 171 Calandro Anthus campestris M reg, B * *

172 Prispolone Anthus trivialis M reg *

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273

173 Pispola Anthus pratensis M reg, W * N

E

174 Pispola golarossa Anthus cervinus M irr *

175 Spioncello Anthus spinoletta M reg, W *

176 Cutrettola Motacilla flava M reg *

177 Ballerina gialla Motacilla cinerea S parz, B *

178 Ballerina bianca Motacilla alba

S parz, B, M reg, W *

Cinclidae 179 Merlo acquaiolo Cinclus cinclus S, B * V

U

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274

Troglodytidae 180 Scricciolo Troglodytes troglodytes S, B *

Prunellidae 181 Passera scopaiola Prunella modularis M reg, W *

Turdidae 182 Pettirosso Erithacus rubecula

M reg, W, S parz, B *

183 Usignolo Luscinia megarhynchos M reg, B *

184 Pettazzurro Luscinia svecica M reg, W irr * * N

E

185 Codirosso spazzacamino Phoenicurus ochruros

M reg, W, S parz, B *

186 Codirosso Phoenicurus phoenicurus M reg, B *

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275

187 Stiaccino Saxicola rubetra M reg *

188 Saltimpalo Saxicola torquata

S parz, B, M reg, W *

189 Culbianco Oenanthe oenanthe M reg, B *

190 Monachella Oenanthe hispanica M reg, B * V

U 2

191 Codirossone Monticola saxatilis M reg, B * LR

192 Passero solitario Monticola solitarius M reg, S, B *

193 Merlo dal collare Turdus torquatus M reg, W irr *

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276

194 Merlo Turdus merula M reg, W, S, B

195 Cesena Turdus pilaris M reg, W

196 Tordo bottaccio Turdus philomelos M reg, W, B?

197 Tordo sassello Turdus iliacus M reg, W parz N

E

198 Tordela Turdus viscivorus S, B, M reg, W

Sylviidae 199 Usignolo di fiume Cettia cetti S, B * *

200 Beccamoschino Cisticola juncidis S parz, B

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277

201 Salciaiola Locustella luscinoides M irr * *

202 Forapaglie castagnolo Acrocephalus melanopogon M reg * * * V

U

203 Forapaglie Acrocephalus schoenobaenus M reg * * C

R 4

204 Cannaiola verdognola Acrocephalus palustris M irr * *

205 Cannaiola Acrocephalus scirpaceus M reg, B * *

206 Cannareccione Acrocephalus arundinaceus M reg * *

207 Canapino maggiore Hippolais icterina M reg * * N

E

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278

208 Canapino Hippolais poliglotta M reg * *

209 Magnanina Sylvia undata S, B, W * * *

210 Sterpazzola di Sardegna Sylvia conspicillata M reg, B * *

211 Sterpazzolina Sylvia cantillans M reg, B * *

212 Occhiocotto Sylvia melanocephala S, B * *

213 Bigia grossa Sylvia hortensis M reg * * E

N 3

214 Bigiarella Sylvia curruca M irr * *

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279

215 Sterpazzola Sylvia communis M reg, B * *

216 Beccafico Sylvia borin M reg * *

217 Capinera Sylvia atricapilla S, B, M reg, W * *

218 Luí bianco Phylloscopus bonelli M reg * *

219 Luí verde Phylloscopus sibilatrix M reg * *

220 Luí piccolo Phylloscopus collybita

M reg, W, S parz, B * *

221 Luí grosso Phylloscopus trochilus M reg * * N

E

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280

222 Regolo Regulus regulus S parz, B *

223 Fiorrancino Regulus ignicapillus S parz, B *

Muscicapidae 224 Pigliamosche Muscicapa striata M reg, B * *

225 Balia dal collare Ficedula albicollis M reg, B * * * LR

226 Balia nera Ficedula hypoleuca M reg * *

Aegithalidae 227 Codibugnolo italiano Aegithalos caudatus S, B *

Paridae 228 Cincia bigia Parus palustris S, B *

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281

229 Cincia mora Parus ater S, B *

230 Cinciarella Parus caeruleus S, B *

231 Cinciallegra Parus major S, B *

Sittidae 232 Picchio muratore Sitta europaea S, B *

Certhiidae 233 Rampichino alpestre Certhia familiaris S, B * D

D

234 Rampichino Certhia brachydactyla S, B *

Remizidae 235 Pendolino Remiz pendulinus S, B

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282

Oriolidae 236 Rigogolo Oriolus oriolus M reg, B

Laniidae 237 Averla piccola Lanius collurio M reg, B * *

238 Averla cenerina Lanius minor M irr * * E

N 2

239 Averla capirossa Lanius senator M reg, B * LR

Corvidae 240 Ghiandaia Garrulus glandarius S, B

241 Gazza Pica pica S, B

242 Taccola Corvus monedula S, B

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283

243 Cornacchia Corvus corone S, B

244 Corvo imperiale Corvus corax S, B LR

Sturnidae 245 Storno Sturnus vulgaris M reg, W, B, S?

Passeridae 246 Passera d'Italia Passer italiae S, B

247 Passera mattugia Passer montanus S, B

248 Passera lagia Petronia petronia S, B, M reg, W

249 Fringuello Fringilla coelebs

M reg, W, S parz, B

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284

Fringillidae 250 Peppola Fringilla montifringilla M irr, W irr N

E

251 Verzellino Serinus serinus

S parz, B, M reg, W

252 Verdone Carduelis chloris

S parz, B, M reg, W *

253 Cardellino Carduelis carduelis

S parz, B, M reg, W *

254 Lucarino Carduelis spinus M reg, W, S, B * V

U 4

255 Fanello Carduelis cannabina

S parz, B, M reg, W

256 Crociere Loxia curvirostra S, B D

D

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257 Frosone Coccothraustes coccothraustes W irr, M reg * LR

258 Zigolo nero Emberiza cirlus

M reg, W, S parz, B *

Emberizidae 259 Zigolo muciatto Emberiza cia S parz, B *

260 Migliarino di palude Emberiza schoeniclus M reg, W *

261 Strillozzo Miliaria calandra

M reg, W, S parz, B

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Legenda simboli e abbreviazioni

S = sedentaria: presente tutto l'anno

M = migratrice: specie che compie annualmente spostamenti dalle aree di nidificazione ai quartieri di svernamento

B = nidificante: specie che porta a termine il ciclo riproduttivo

W = svernante: specie migratrice che si ferma a svernare

(W) = invernale: specie che capita in inverno senza svernare

A = accidentale: specie di comparsa rara, in genere con individui singoli o in numero molto limitato

(A) = accidentale storico: specie accidentale con segnalazioni ante 1950

E = estivante, specie che si trattiene durante il periodo estivo o per parte di esso, senza riprodursi

nnd = specie per la quale non si hanno nuovi dati rispetto alla check-list della Calabria di Scebba et al. 1992-93

reg = regolare

irr = irregolare

par = parziale, parzialmente

s.d. = no data

? = dato da accertare o dubbioso

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ALLEGATO 3

CHIROTTERI

Un terzo dei mammiferi selvatici terrestri italiani appartiene all'ordine dei chirotteri, i pipistrelli. Si tratta di uno dei gruppi zoologici più sensibili alle rapide modificazioni ambientali causate dall'uomo: attualmente il 50% dei mammiferi terrestri italiani inseriti nella lista IUCN delle specie considerate minacciate d'estinzione o prossime a divenire tali, è rappresentato da chirotteri.

Negli ecosistemi rivestono l'insostituibile ruolo di principali predatori notturni di insetti. A causa delle alterazioni ambientali provocate dall'uomo, sono divenuti uno dei gruppi faunistici più minacciati. Le cause di tale precario stato di conservazione sono molteplici: abuso dei pesticidi in agricoltura, distruzione/alterazione degli ambienti in cui i pipistrelli si alimentano e dei siti di rifugio - che essi utilizzano per riposare di giorno, trascorrere il periodo del letargo e riprodursi - episodi vandalici alimentati dal persistere di luoghi comuni assolutamente infondati.

I chirotteri sono protetti dalle Convenzioni di Berna e Bonn, in Italia sono operativi l‟Accordo sulla conservazione delle popolazioni di chirotteri (L. 104/2005) e la Direttiva 92/43/CEE che classifica i chirotteri fra le “specie d‟interesse comunitario”.

Dal punto di vista legislativo i chirotteri sono protetti in tutta Europa. Al lato pratico significa che l‟uccisione, la cattura e la detenzione di pipistrelli sono perseguite penalmente, esattamente come avviene per specie come l‟orso e il lupo.

E' inoltre vietato disturbare gli esemplari e distruggere o alterare i loro siti di rifugio. Purtroppo tali disposizioni sono quasi sempre "rimaste sulla carta", ignorate in un contesto generale di scarsa attenzione ai problemi dei chirotteri.

Le norme di significato nazionale riguardanti i chirotteri, attualmente in vigore in Italia, sono contenute nelle seguenti fonti:

L. 11 febbraio 1992, n. 157: "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio" (Legge quadro in materia di fauna selvatica e attività venatoria);

"Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa" (Convenzione di Berna), resa esecutiva in Italia dalla L. 5 agosto 1981, n. 503;

"Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica" (Convenzione di Bonn), resa esecutiva in Italia dalla L. 25 gennaio 1983, n. 42;

"Accordo sulla conservazione delle popolazioni di pipistrelli europei" (Bat agreement), reso esecutivo con L. 27 maggio 2005, n. 104;

Direttiva comunitaria 92/43/CEE del Consiglio del 21/05/92 "relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche"

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(Direttiva Habitat), attuata in via regolamentare col D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, integrato e modificato dal D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120;

Direttiva 2004/35/CE "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale"; attuata col Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Parte VI.

A causa delle scarse informazione riguardo ai chirotteri nel territorio della Provincia di Vibo Valentia ,vengono riportate le schede dei chirotteri la cui protezione è disciplinata dalla Dir. 92/43/CEE All. 2 tratte da Spagnesi e De Marinis (2002).

RINOLOFO EURÌALE (Rhinolophus euryale Blasius, 1853)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)

Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)

Sottospecie italiana: Rhinolophus euryale euryale Blasius,1853

La specie comprenderebbe quattro sottospecie: euryale Blasius, 1853 (dall‟Europa al Turkmenistan e all‟Iran); barbarus Andersen et Matschie, 1904 (Africa maghrebina); meridionalis Andersen et Matschie, 1904 (Algeria; forma probabilmente montana); judaicus Andersen et Matschie, 1904 (dalla Siria e Israele all‟Irak).

Geonemia

Corotipo Turanico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Europa meridionale (isole maggiori comprese, eccezion fatta per le Baleari e Creta; non segnalato per le Isole Maltesi), Africa maghrebina, da Israele alla Turchia (con Cipro) e alla Transcaucasia verso N, all‟Iran e al Turkmenistan verso E.

In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie molto probabilmente originatasi nel Bacino Mediterraneo. Da noi è nota in un deposito quaternario würmiano della Grotta dell‟Orso presso Gabrovizza (provincia di Trieste); citata anche per il Quaternario (Età del Bronzo) di Malta, dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e del Monte Circeo (provincia di Latina); un Rhinolophus del gruppo euryale è citato per il Quaternario della provincia di Foggia.

Biologia

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Predilige aree calde e alberate ai piedi di colline e montagne, soprattutto se situate in zone calcaree ricche di caverne e prossime all‟acqua. Ci risulta segnalato sino a 1.000 m di quota. Rifugi estivi prevalentemente in grotta nelle regioni più calde, talora nelle soffitte in quelle più fredde. Colonie riproduttive di 50-400 femmine, con presenza occasionale di qualche maschio. Di frequente condivide i rifugi e può formare colonie miste con altre specie congeneri e con Miniopterus schreibersii, Myotis emarginatuse, Myotis capaccinii. Rifugi invernali in grotte e gallerie minerarie, preferibilmente con temperature intorno ai 10-12 °C. Si attacca alle volte o alle pareti per mezzo dei piedi. Ha spiccate abitudini gregarie tanto che di solito lo si trova in gruppi in cui gli esemplari sono a stretto contatto fra loro; le colonie, talora miste, possono essere formate anche da migliaia di individui. Scarse le notizie sulla riproduzione. Gli accoppiamenti iniziano verso la fine di luglio, ma possono avere luogo anche durante l‟inverno; la femmina partorisce per lo più fra luglio e agosto. L‟unico piccolo, del peso di circa 4 g alla nascita, è di regola atto al volo tra l‟inizio e la metà di agosto, ma talora già verso la metà di luglio. Alcune osservazioni indicherebbero che in ambedue i sessi la maturità sessuale viene raggiunta a due anni di età o all‟inizio del terzo e che la maggior parte delle femmine partorisce a due anni. Mancano notizie sulla longevità. Lascia il rifugio nel tardo imbrunire; caccia volando basso sul terreno, preferibilmente in zone collinari con copertura arborea o arbustiva relativamente fitta. La specie presenta un volo lento, farfalleggiante e molto agile, con possibilità di eseguire anche quello di tipo stazionario (“spirito santo”). Abitudini alimentari e prede simili a quelle del Rhinolophus blasii. Di regola sedentario; il più lungo spostamento sinora registrato è di 134 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte).

RINOLOFO MAGGIORE (Rhinolophus ferrumequinum Schreber, 1774)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)

Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)

Sottospecie italiana: Rhinolophus ferrumequinum ferrumequinum (Schreber, 1774)

La specie comprenderebbe cinque sottospecie: ferrumequinum (Schreber, 1774) (Europa e Africa NO); creticus Iliopoulou-Georgudaki et Ondrias, 1985 (Creta);

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proximus Andersen, 1905 (dall‟Asia SO al Kashmir); tragatus Hodgson, 1835 (India N e Cina SO); nippon Temminck, 1835 (Cina N e centrale, Corea e Giappone).

Geonemia

Corotipo Centroasiatico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione verso est fino al Giappone compreso. Dall‟Europa settentrionale e dalla Gran Bretagna meridionale a quasi tutta la Sottoregione Mediterranea (isole maggiori e Maltesi comprese; Libia ed Egitto esclusi) e da questa, attraverso le regioni himalayane, sino alla Cina, alla Corea e al Giappone. In Italia la specie è presente su tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Pleistocene (Würmiano inferiore) della Sicilia. Citata anche per il Quaternario della provincia di Trieste, dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e del Monte Circeo (provincia di Latina).

Biologia

Predilige zone calde e aperte con alberi e cespugli, in aree calcaree prossime ad acque ferme o correnti, anche in vicinanza di insediamenti umani; si spinge eccezionalmente anche oltre i 2.000 m, ma per lo più si mantiene a quote non superiori agli 800 m. Rifugi estivi in edifici, fessure rocciose, cavi degli alberi e talora in grotte e gallerie minerarie; svernamento in cavità sotterranee naturali o artificiali con temperature di 7-12 °C, raramente inferiori; l‟ibernazione ha luogo da settembre-ottobre ad aprile, ma durante questo periodo il sonno può essere interrotto più volte, anche per procurarsi il cibo. Pende dal soffitto o dalle pareti, ove si attacca con i soli piedi, isolatamente o formando gruppi di regola piccoli, monospecifici e in cui i singoli individui si mantengono ad una certa distanza l‟uno dall‟altro; in alcuni casi le colonie sono più grandi, miste (con Rhinolophus euryale, R. mehelyi, Miniopterus schreibersii, Myotis emarginatus, ecc.) e con esemplari a stretto contatto reciproco; particolarmente fitte e numerose sono le colonie riproduttive, formate da 12-1.000, ma per lo più da 200 esemplari, in prevalenza di sesso femminile, dato che i maschi preferiscono estivare isolatamente; qui le femmine possono mantenersi isolate con il loro piccolo o riunirsi in gruppi. Gli accoppiamenti hanno luogo dalla fine dell‟estate a tutta la primavera successiva. Le femmine, che raggiungono la maturità sessuale a (2 ?) 3-4 anni, normalmente partoriscono il loro primo figlio fra i 3 e, nel nord Europa, i 4 anni di età; i maschi raggiungono la maturità non prima del secondo anno di vita; il parto, solo occasionalmente gemellare, ha luogo all‟incirca tra giugno e i primi di agosto, dopo una gestazione la cui durata, in parte condizionata dalle condizioni ambientali, si aggira sui due mesi e mezzo; avambraccio lungo 24, 32, 41 e 52 mm rispettivamente alla nascita e a 5, 10 e 20 giorni di età; peso alla nascita 5-6 g. Il piccolo apre gli occhi a circa sette giorni di vita ed è capace di volare dopo quattro settimane, diventando indipendente pressappoco all‟età di due mesi. La longevità media si aggira sui 3-4 anni, la massima nota è di 30 anni e mezzo, la maggiore tra quelle di tutti i pipistrelli europei. Lascia i

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rifugi all‟imbrunire per cacciare con volo farfalleggiante, piuttosto lento e usualmente basso (0,3-6 m); la localizzazione della preda, oltre che in volo, può avvenire anche da fermo, scandagliando lo spazio circostante col movimento della testa; aree di foraggiamento in zone con copertura arborea ed arbustiva sparsa, su pendici collinari, presso pareti rocciose, nei giardini, ecc.; le prede vengono talora catturate direttamente sul terreno. Abitudini alimentari e prede simili a quelle del Rhinolophus blasii. Sedentario; la distanza tra il rifugio estivo e quello invernale è usualmente di 20-30 km; il più lungo spostamento noto è di 320 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte e costruzioni).

RINOLOFO MINORE Rhinolophus hipposideros (Bechstein, 1800)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)

Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)

Sottospecie italiane: Rhinolophus hipposideros minimus Heuglin, 1861

Rhinolophus hipposideros majori Andersen, 1918 (Corsica)

Ambedue i taxa sono di dubbia validità. La specie comprenderebbe sette sottospecie: escalerae Andersen, 1918 (Marocco: Mogador); hipposideros (Bechstein, 1800) (dall‟Europa continentale a N delle Alpi all‟estremità E del Mar Nero); majori Andersen, 1918 (Corsica); midas Andersen, 1905 (dalla Transcaucasia e Iraq al Kazakistan e Kashmir); minimus Heuglin, 1861 (dall‟Europa S all‟estremità E del Mediterraneo; verso Sud fino all‟Etiopia e al Sudan); minutus (Montagu, 1808) (Gran Bretagna e Irlanda); vespa Laurent, 1937 (Marocco: Korifla).

Geonemia

Corotipo Turanico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione verso NO alla Gran Bretagna S e all‟Irlanda, verso S al Sudan, Eritrea ed Etiopia. Dall‟Irlanda, Francia, Iberia e Marocco al Kashmir e alla Kirghizia attraverso l‟Europa centrale e meridionale (isole maggiori e Maltesi comprese), l‟Africa maghrebina, l‟Egitto, l‟Arabia occidentale e settentrionale e il resto dell‟Asia sud-occidentale (anche a Cipro); Sudan, Eritrea, Etiopia. In Italia la specie è presente su tutto il territorio.

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Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario della Sicilia (Würmiano inferiore), di Malta (Età del Bronzo, Pleistocene superiore e medio) e dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia).

Biologia

Predilige zone calde, parzialmente boscate, in aree calcaree, anche in vicinanza di insediamenti umani. Nella buona stagione è stato osservato fino a 1.800 m e in inverno fino a 2.000 m. La più alta nursery conosciuta a 1.177 m. Rifugi estivi e colonie riproduttive prevalentemente negli edifici (soffitte, ecc.) nelle regioni più fredde, soprattutto in caverne e gallerie minerarie in quelle più calde. Ibernacoli in grotte, gallerie minerarie e cantine, preferibilmente con temperature di 4-12 °C e un alto tasso di umidità. Gli animali pendono dal soffitto o dalle pareti, ove si attaccano con i soli piedi, sempre isolatamente durante l‟ibernazione, anche a contatto reciproco nelle colonie riproduttive; queste sono formate in prevalenza da femmine (da una decina a un centinaio di esemplari, fino ad un massimo di 800) e da una minoranza di maschi adulti (sino al 20%), dato che questi estivano per lo più isolatamente; in dette colonie possono trovarsi anche altre specie quali Myotis myotis o Myotis emarginatus, le quali però non si mescolano ai gruppi del Rhinolophus hipposideros. Gli accoppiamenti hanno luogo soprattutto in autunno, talora anche in inverno. La maturità sessuale è raggiunta in ambo i sessi a 1-2 anni; il primo parto può avvenire a un anno di età. L‟unico figlio nasce, nella maggior parte dei casi, nella seconda metà di giugno; il piccolo, che alla nascita pesa poco meno di 2 g ed ha un avambraccio lungo 15-19 mm, apre gli occhi a circa dieci giorni di vita, è atto al volo a 4 settimane di età e raggiunge la completa indipendenza a 6-7 settimane. La longevità media è di poco superiore ai due anni, la massima nota è di 21 anni. Esce al tramonto e caccia con volo abile, abbastanza veloce, con movimenti alari quasi frullanti, usualmente a bassa quota (fino a circa 5 m); aree di foraggiamento in boschi aperti, parchi, boscaglie e cespuglieti; le prede vengono catturate anche direttamente sul terreno o sui rami. Si nutre di vari tipi di Artropodi, principalmente di Ditteri (tipule, zanzare, moscerini), Lepidotteri (piccole falene, ecc.), Neurotteri e Tricotteri, raramente di Coleotteri e ragni. Sedentario; la distanza tra il rifugio estivo e quello invernale è usualmente di 5-10 km; il più lungo spostamento noto è di 153 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “in pericolo”, cioè corre un altissimo rischio di estinzione nel prossimo futuro. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte e costruzioni).

RINOLOFO DI MÉHELY Rhinolophus mehelyi Matschie, 1901

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

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Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)

Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)

Sottospecie italiana: Rhinolophus mehelyi mehelyi Matschie, 1901

La specie comprenderebbe due sottospecie: mehelyi Matschie, 1901 (Europa e Asia O); tunetae Deleuil et Labbe, 1955 (Africa N).

Geonemia

Corotipo Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Europa meridionale, Africa a N del Sahara e Asia sud-occidentale; segnalato per la Corsica meridionale (zona di Bonifacio) ove la sua presenza potrebbe però essere occasionale per migrazione temporanea dalla vicina Sardegna. In Italia la specie è nota per la Sardegna, la Puglia, la Calabria e la Sicilia.

Origine delle popolazioni italiane

Specie molto probabilmente originatasi nel Bacino Mediterraneo. Citata per il Pleistocene della Sicilia (probabilmente la sottospecie tipica), nonché per il Quaternario dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e del Monte Circeo (provincia di Latina); la specie è rappresentata in una grotta di Malta dalla sottospecie mehelyi in uno strato del Pleistocene superiore e dalla sottospecie estinta Rhinolophus mehelyi birzebbugensis Storch, 1974 in uno strato del Pleistocene medio.

Biologia

Apparentemente simile a quella di Rhinolophus euryale; può spingersi fino a 1.200 m di quota, ma per lo più non supera i 500 m. Rifugi estivi e invernali in cavità sotterranee naturali o artificiali, situate in aree calcaree prossime all‟acqua, talora con altri rinolofi, Myotis blythii, Myotis capaccinii, Myotis myotis e Miniopterus schreibersii. Per quanto ci è noto la specie non frequenta le costruzioni umane. Fortemente gregaria, forma grosse colonie la cui consistenza varia da pochi a circa 2.000 individui; colonie numerose possono trovarsi in ogni stagione. In Sardegna gli animali non ibernanti stanno di regola a più o meno stretto contatto reciproco, mentre quelli ibernanti preferiscono distribuirsi su superfici più ampie, rimanendo separati l‟uno dall‟altro; qui la specie si rifugia in grotte che non superano i 600 m di quota e predilige temperature di circa 15-24 °C nelle colonie riproduttive, di circa 11-13 °C in quelle invernali. In Spagna è stata trovata in rifugi a 25-32 °C. Nell‟Azerbaigian, in un gruppo ibernante è stato osservato, fra novembre e metà marzo, che tutti gli esemplari, eccezion fatta per alcuni periferici, erano tra loro a contatto; la temperatura era di 12,2-14 °C e l‟umidità del 97-100%. Occasionalmente può tuttavia usare ibernacoli con temperature di poco superiori a 0 °C ed è sicuramente capace di spostarsi da una grotta a un‟altra anche in pieno inverno. La maturità sessuale viene raggiunta a 1-3 anni di età nelle femmine, a 2-3 nei maschi; le femmine partoriscono un solo figlio capace di involarsi nella seconda

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metà di luglio; la lunghezza dell‟avambraccio alla nascita è di 15-17 mm. La longevità media è di 2,5-3,6 anni, la massima conosciuta è di 11 nelle femmine e di 12 nei maschi. Lascia i rifugi al crepuscolo serale. Vola lentamente e con destrezza, alternando brevi tratti a volo planato; senza sforzo può decollare dal suolo e ciò fa pensare che possa cacciare anche sul terreno. Poco si sa sull‟alimentazione, verosimilmente simile a quella del Rhinolophus blasii. La specie è molto probabilmente sedentaria, limitandosi eventualmente a compiere brevi spostamenti tra quartieri estivi ed invernali.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte).

BARBASTELLO COMUNE Barbastella barbastellus (Schreber, 1774)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Specie monotipica: Barbastella barbastellus (Schreber, 1774)

Geonemia

Corotipo Europeo - Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con esclusione di parte dell‟Europa SE e dell‟Africa mediterranea (eccezion fatta per il Marocco) ed estensione al Caucaso, alle Canarie e forse al Senegal. L‟areale della specie comprende buona parte dell‟Europa (Corsica, Sardegna e Sicilia comprese; non segnalata per le Isole Maltesi), a N sin verso il 60° di latitudine (Scandinavia meridionale), ad E, attraverso la quasi totalità della Penisola Balcanica, all‟incirca fino al 30° meridiano (Ucraina), con un prolungamento meridionale fino alla Crimea, alla Turchia e al Caucaso; Marocco, Canarie e, forse, Senegal. In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea. Citata per il Quaternario dell‟Isola Palmaria (provincia di La Spezia); Barbastella cfr. barbastellus è citata per il Quaternario (Würmiano inferiore) della Sicilia.

Biologia

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Specie relativamente microterma, predilige le zone boscose collinari e di bassa e media montagna, ma frequenta comunemente anche le aree urbanizzate; rara in pianura; sulle Alpi è stata trovata sino a un‟altitudine di 2.000 m, di 2.260 sui Pirenei; la più alta colonia riproduttiva nota è stata trovata in Slovacchia a 1.100 m di quota. Rifugi estivi e nursery prevalentemente nelle costruzioni (spaccature dei muri, interstizi fra questi e le persiane, le travi e i rivestimenti, soffitte), talora nei cavi degli alberi e, al Sud, anche nelle grotte. Rifugi invernali in ambienti sotterranei naturali o artificiali (grotte, gallerie minerarie e non, cantine), occasionalmente in ambienti non interrati degli edifici e nei cavi degli alberi. Negli ibernacoli, talora ventilati e relativamente secchi (tasso igrometrico più basso accertato di 70%), sono state rilevate temperature di 0-8 °C, con estremi sino a -6 °C. La resistenza al freddo permette al Barbastello di cambiare rifugio anche in pieno inverno e, in grotta, di frequentare ambienti vicini all‟entrata, ove può trovarsi circondato da ghiaccioli o addirittura col pelame imbiancato di nevischio; per breve tempo può resistere a temperature molto basse, anche di -16,5 °C. Nei rifugi lo si trova incuneato nelle fessure, pendente dalle volte o aggrappato alle pareti e con esse a contatto. Sverna solitario o in gruppi, anche di mille individui, da ottobre-novembre a marzo-aprile; le colonie di svernamento, spesso con una forte prevalenza di maschi e talora miste ad altre specie (ad es. con Pipistrellus pipistrellus), possono raggiungere negli ibernacoli più vasti alcune migliaia di individui (fino a 7.800 in un tunnel abbandonato della Slovacchia). Le femmine, sessualmente mature nel secondo anno di vita, ma talora già nel primo, si accoppiano, a seconda delle località, dalla tarda estate ai primi di autunno, talvolta d‟inverno; a partire da giugno-agosto occupano le nursery, ove formano colonie composte anche da 100 individui, ma per lo più da 5-30. I maschi vivono separatamente, in piccoli gruppi, in primavera e nel periodo estivo precedente alla stagione degli amori. I parti, che iniziano a metà giugno dopo una gravidanza approssimativamente di 6 mesi, sono di solito semplici, talora bigemini. Il piccolo cresce rapidamente e raggiunge la taglia degli adulti a 8-9 settimane di vita o prima. La massima longevità sinora accertata è di 21 anni e 9 mesi (una precedente citazione di 23 anni è risultata errata). Di norma lascia il rifugio di buon‟ora, se non addirittura di giorno, anche col cattivo tempo, e caccia preferibilmente lungo percorsi regolari e circolari con un diametro di 50-100 m, a 4-5 m dal suolo o dal pelo dell‟acqua, più in alto quando foraggia al di sopra delle chiome degli alberi. Le prede, talora consumate appendendosi a un appiglio, sono rappresentate in larga maggioranza da piccoli e delicati Insetti e altri Artropodi catturati per lo più in volo o, talora, come ad esempio nel caso dei ragni, sui rami degli alberi e altri supporti; la bocca e la dentatura relativamente piccole ostacolano la cattura e il consumo di prede di una certa taglia. Le zone di foraggiamento sono rappresentate da corpi d‟acqua, boschi e loro margini, giardini e viali illuminati. Il volo, agile e con facilità di manovra, è descritto ora come lento (il che ben si accorda con le caratteristiche morfologiche delle ali), ora come pesante e frullante, ora come veloce; a momenti è quasi stazionario, quasi a “spirito santo”. La specie, sebbene sedentaria, è tuttavia capace di compiere spostamenti di una certa entità; quello più lungo sinora accertato è di 290 km.

Status e conservazione

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Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “in pericolo”, cioè corre un altissimo rischio di estinzione nel prossimo futuro. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo (alla quale la specie sembra essere particolarmente sensibile) nei rifugi situati in grotte e costruzioni, e dal taglio dei vecchi alberi cavi.

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VESPERTILIO DI BECHSTEIN Myotis bechsteinii (Kuhl, 1817)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Specie monotipica: Myotis bechsteinii (Kuhl, 1817)

Geonemia

Corotipi S-Europeo e Centroeuropeo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione alla Gran Bretagna S. Dall‟Europa [a N sino alla Gran Bretagna e alla Svezia meridionali; a S presente anche in Corsica e in Sicilia; manca in Sardegna, nelle Isole Maltesi (ove segnalato in depositi quaternari) e a Creta] al Caucaso, alla Turchia (manca a Cipro) e all‟Iran. In Italia la specie risulta presente nella maggior parte delle regioni continentali e peninsulari, nonché in Sicilia.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario di Malta (Pleistocene medio; subspecie robustus Topal, 1963, nota solo allo stato fossile) e della Sicilia (Würmiano inferiore; sottospecie non identificata). Biologia Predilige i boschi misti umidi, ma frequenta comunemente anche le pinete e le zone alberate in genere, come giardini e parchi, spingendosi sino a 1.350 m di quota nella buona stagione e sino a 1.800 m in inverno. Rifugi estivi e colonie riproduttive nei cavi degli alberi e nelle bat- e bird-box, meno spesso nelle costruzioni e di rado nelle cavità delle rocce. D‟inverno si rifugia soprattutto in cavità sotterranee, naturali o artificiali, molto umide e con temperature di (1) 7-8 (10) °C, occasionalmente anche nei cavi degli alberi; l‟ibernazione dura all‟incirca da ottobre-novembre a marzo-aprile. Per lo più si trova attaccato con i piedi all‟appiglio, donde pende liberamente, ma talora si insinua nelle fessure rocciose; cambia talora rifugio o si sposta da un punto all‟altro dello stesso. A differenza dei Plecotus, mantiene sempre diritte le lunghe orecchie in stato di riposo. Per lo più solitario, solo di rado si trova in piccoli gruppi formati al massimo da 10 individui; gli iberna coli possono essere condivisi con Rinolofidi e alcune specie di Vespertilionidi, quali Myotis nattereri, M. mystacinus, M. myotis, Plecotus e Barbastella. Gli accoppiamenti iniziano in autunno e si prolungano probabilmente sino alla primavera; non si sa a quale età viene raggiunta la maturità sessuale, probabilmente a un anno. Le colonie riproduttive, che si formano di regola tra la fine di aprile e maggio e si disperdono verso la fine di agosto, sono formate da 7-30 (80) femmine che cambiano frequentemente sede; i maschi vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente la stagione degli amori. L‟unico piccolo viene partorito tra la seconda metà di giugno e la fine di luglio, talora più precocemente, anche in maggio,

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dopo una gravidanza della durata approssimativa di 50-60 giorni; è capace di involarsi fra l‟inizio e la metà di agosto; lo svezzamento avviene a 6-7 settimane dalla nascita; il parto gemellare rappresenta un‟eccezione. La longevità massima nota è di 21 anni. Lascia il rifugio solo a notte fonda e lo riguadagna assai prima dell‟alba, di solito dopo avervi fatto temporaneamente ritorno alcune volte nel frattempo; il foraggiamento si svolge di regola nelle radure dei boschi, ai loro margini e lungo le strade che li attraversano, spesso a poche centinaia di metri dal rifugio. Il volo, farfalleggiante e all‟occorrenza assai agile, è di regola basso, fra 1 e 5 m di altezza; le prede, che possono esser catturate anche direttamente sui rami o a terra, constano soprattutto di falene, Ditteri e Coleotteri, ma anche di altri Artropodi, ragni e opilioni ad esempio. Sedentario; il più lungo spostamento noto è di 39 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, lo status della specie non è valutabile per “carenza di informazioni”. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei rifugi situati in grotte e costruzioni, e dal taglio dei vecchi alberi cavi.

VESPERTILIO DI BLYTH Myotis blythii (Tomes, 1857)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Sottospecie italiana: Myotis blythii oxygnathus (Monticelli, 1885)

Geonemia

Corotipo Centroasiatico-Europeo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Iberia, Francia centrale e meridionale (Corsica molto probabilmente esclusa), Svizzera, Italia (Sicilia compresa, Sardegna molto probabilmente esclusa), Isole Maltesi (?), regioni più meridionali dell‟Europa centrale, Penisola Balcanica (Creta inclusa); dall‟Ucraina meridionale, la Turchia (con Cipro), il Caucaso e l‟Iran verso E sino all‟India nord-occidentale, al Nepal, alla Mongolia (sin poco oltre il 50° parallelo) e alla Cina (Mongolia interna e Shanxi) attraverso i Monti Altai nord-occidentali e l‟Himalaya. In Italia la specie è nota per l‟intero territorio, con esclusione quasi certa della Sardegna.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e della Montagnola Senese (provincia di

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Siena); inoltre per il Quaternario (Età del Bronzo) di Malta; un Myotis cfr. blythii è citato per il Quaternario della provincia di Foggia.

Biologia

Dato che Myotis blythii e Myotis myotis sono stati distinti come specie solo in data relativamente recente e che ancora oggi non è sempre facile distinguerli in natura, la conoscenza della loro biologia necessita di ulteriori precisazioni; comunque sembra che la biologia del M. blythii sia in complesso molto simile a quella del M. myotis, differendone però sensibilmente per quanto concerne la dieta e, di conseguenza, le aree di foraggiamento preferite. Frequenta località dal livello del mare ad almeno 1.000 m di quota in Europa, fino a 2.500 m in Kirghizistan; ibernacoli di solito con temperatura di 4-14 °C; gli accoppiamenti, che possono iniziare in luglio, hanno luogo in prevalenza in autunno e verosimilmente si prolungano fino alla primavera, sebbene ciò non sia stato ancora accertato. Le nursery, che possono contare sino a 5.000 femmine in Europa e sino a 10.000 nel Kirghizistan [250 (3.459) 10.000], sono spesso condivise col Myotis

myotis. Longevità media di 2,3-3,6 anni, massima sinora accertata di 30 anni. Preda soprattutto Artropodi erbicoli, nutrendosi in netta prevalenza di Ortotteri Tettigonidi dalla tarda primavera all‟autunno, per lo più di Coleotteri Melolontidi in primavera, quando i Tettigonidi mancano o sono ancora scarsi; predilige pertanto cacciare nelle zone più o meno riccamente erbose, sia primarie (steppe, praterie) sia di origine antropica (prati, pascoli), evitando per esempio le aree aride e denudate, quelle erbose rasate di fresco o degradate e qualsiasi tipo di bosco e foresta. Occasionalmente capace di compiere spostamenti di una certa entità; lo spostamento più lungo sinora accertato è di 600 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei rifugi abituali (grotte e costruzioni).

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VESPERTILIO DI CAPACCINI Myotis capaccinii (Bonaparte, 1837)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Sottospecie italiana: Myotis capaccinii capaccinii (Bonaparte, 1837)

La specie comprenderebbe due sottospecie: capaccinii (Bonaparte, 1837) (dal NO Africa alla ex Jugoslavia); bureschi (Heinrich, 1936) (dalla Bulgaria al Turkmenistan).

Geonemia

Corotipo Centroasiatico-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione all‟Estremo Oriente Russo S (Primorye S). Contrade mediterranee dell‟Europa isole maggiori comprese, dubbio per l‟Arcipelago Maltese (ove è segnalato in depositi quaternari); Africa maghrebina; Turchia, Cipro, Israele, Iraq, Iran, Uzbekistan. In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie probabilmente originatasi nel Bacino Mediterraneo o in aree meridionali dell‟Asia paleartica. Citata per il Quaternario della Sicilia (Würmiano inferiore) e di Malta (Pleistocene medio).

Biologia

Predilige sia aree carsiche boscose o cespugliose, sia aree alluvionali aperte, purché, in ogni caso, prossime a fiumi o specchi d‟acqua, dal livello del mare a 825 m di quota (grotta in provincia di Rieti, Lazio). Pur non disdegnando di frequentare occasionalmente gli edifici, è animale tipicamente cavernicolo che ama rifugiarsi durante tutto l‟anno in cavità sotterranee naturali o artificiali, che possono essere diverse in stagioni, mesi o addirittura in giorni diversi. Lo si trova di regola aggrappato alle pareti con tutti e quattro gli arti o rintanato nelle fessure, sia solitario sia in colonie formate da centinaia o migliaia di individui, non di rado in compagnia o addirittura in promiscuità con altre specie, quali Rhinolophus euryale, R. ferrumequinum, R. mehelyi, Myotis blythii, M. daubentonii, M. myotis, ma soprattutto Miniopterus schreibersii. Durante lo svernamento si dimostra piuttosto euritermo e stenoigro, scegliendo rifugi con temperature fra i 4 e i 15 °C e umidità relativa del 90-100% o poco inferiore. Scarse le informazioni sulla riproduzione. Nelle nursery le femmine, possibilmente già mature a un anno di età, si aggrappano alla volta formando, nell‟ambito di una stessa nursery, più gruppi ognuno dei quali può raggiungere i 500 individui; una nursery formata da circa 10.000 femmine adulte è stata di recente scoperta in una grotta dell‟Albania; i

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maschi adulti vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente la stagione degli amori; recentemente è stata accertata la presenza, entro una torretta decorativa situata sulle rive del lago di Como, di una colonia riproduttiva mista a Myotis

daubentonii, consistente complessivamente di 1.300-1.500 esemplari (2.100-2.400 dopo la nascita dei piccoli). L‟unico piccolo, che viene partorito di regola in giugno dopo una gravidanza della durata approssimativa di 50-60 giorni, è capace di involarsi dopo circa un mese ed è svezzato a 6-7 settimane; il parto gemellare rappresenta un‟eccezione. Mancano dati sulla longevità. La caccia, che inizia dopo il tramonto ma prima della notte fonda, si svolge in aree aperte o ai margini di zone alberate, ma soprattutto sull‟acqua, anche a vari chilometri di distanza dai rifugi; le prede consistono in Insetti catturati in volo o sul pelo dell‟acqua. Il volo è rapido, agile, ora rettilineo con frequenti variazioni direzionali, ora ondulato, ora ad ali tese, ora contrassegnato da frequenti battiti d‟ala a escursione limitata, talora frullante. Preda Ditteri, Neurotteri e altri Insetti che vivono vicino o sull‟acqua. La specie è sedentaria ma, almeno in Bulgaria, sembra compiere spostamenti relativamente ampi tra quartieri estivi e invernali.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “in pericolo”, cioè corre un altissimo rischio di estinzione nel prossimo futuro. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei suoi rifugi abituali (grotte e costruzioni).

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VESPERTILIO SMARGINATO Myotis emarginatus (E. Geoffroy, 1806)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Sottospecie italiana: Myotis emarginatus emarginatus (E. Geoffroy, 1806)

La specie comprenderebbe quattro sottospecie: emarginatus E. Geoffroy, 1806 (Europa, Africa NO, Asia SO); desertorum (Dobson, 1875) [dall‟Arabia (Oman) all‟Afghanistan]; turcomanicus Bobrinskii, 1925 (Turkmenistan e Afghanistan); saturatus Kuzyakin, 1934 (Uzbekistan).

Geonemia

Corotipo Turanico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione alla Penisola Arabica. Dall‟Europa (a N fino all‟Olanda e alla Polonia meridionale; Corsica, Sardegna, Sicilia e Creta; non segnalato per le Baleari e le Isole Maltesi) al Turkmenistan, Uzbekistan e Afghanistan, attraverso la Crimea e il Caucaso; Arabia Saudita, Oman, Libano, Israele e Africa maghrebina. In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Non risultano noti reperti fossili per l‟Italia. Biologia Specie termofila che si spinge sin verso i 1.800 m di quota, prediligendo le zone temperato-calde di pianura e collina, sia calcaree e selvagge sia abitate, con parchi, giardini e corpi d‟acqua. Rifugi estivi al Nord soprattutto negli edifici, che condivide spesso con altre specie (quali Rhinolophus hipposideros e Myotis

myotis), ma anche nelle bat-box e nei cavi dei muri e degli alberi; al Sud prevalentemente in cavità sotterranee naturali o artificiali. Sverna in cavità sotterranee naturali o artificiali con temperature di 5-9 °C, di rado minori, da ottobre a marzo-aprile, talvolta fino a maggio; qui pende dalle volte o dalle pareti, singolarmente o in piccoli gruppi, ma talora si incunea nelle fessure; sono conosciuti gruppi in cui la specie era mescolata con Myotis myotis e M. bechsteinii. La maturità sessuale è raggiunta di regola a due anni di età in ambo i sessi; le femmine possono accoppiarsi anche entro il primo anno di vita, ma non è provato che effettivamente partoriscano a un anno di età; gli accoppiamenti hanno luogo dall‟autunno alla primavera successiva, ma non è stato ancora accertato se si verificano anche negli ibernacoli. Le colonie riproduttive, che si formano in aprile, almeno al Sud, o in maggio-giugno e si disperdono ad agosto-settembre, sono situate prevalentemente nelle soffitte nelle regioni più fredde, nelle grotte in quelle più calde; la temperatura ambiente nelle nursery è sempre notevolmente alta, compresa in genere tra i 25 e i 30 °C, ma con estremi compresi fra i 36 e i 40 °C; le

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colonie riproduttive, la più alta delle quali è stata osservata a 645 m di quota (Austria), contano ognuna da 20 a 1.000 femmine; detti ambienti sono talora condivisi con i Rinolofidi; i maschi vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente alla stagione degli amori. L‟unico piccolo viene messo al mondo da metà giugno all‟inizio di luglio, dopo una gravidanza di circa 50-60 giorni; può involarsi a un mese di età, ma lo svezzamento avviene a 6-7 settimane; il parto gemellare rappresenta un‟eccezione. La durata media della vita è di 2,8-3,5 anni, la longevità massima nota di 18 anni. Fuoriesce al crepuscolo, all‟incirca 40-45 minuti dopo il tramonto, utilizzando corridoi di volo sino alle aree di foraggiamento poste di solito a breve distanza dal rifugio (circa 500 m); caccia quasi sempre isolatamente, ai margini di boschi e siepi, tra la vegetazione o sull‟acqua, a 1-5 m di altezza, con volo molto agile e manovrato ove gli spazi sono limitati, prevalentemente rettilineo e, velocità a parte, simile a quello di rondini e rondoni nelle zone aperte. Si ciba di vari tipi di Insetti, ivi compresi i bruchi, e di ragni, dato che, oltre che al volo, è capace di catturare le prede direttamente sui rami e sul suolo. Fondamentalmente sedentario, compie per lo più spostamenti inferiori ai 40 km; quello più lungo noto è di 106 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei rifugi situati in grotte e costruzioni.

VESPERTILIO MAGGIORE Myotis myotis (Borkhausen, 1797)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Sottospecie italiane (presumibili):

Myotis myotis myotis (Borkhausen, 1797) (Italia continentale, peninsulare e prob. Sicilia)

Myotis myotis punicus Felten, 1977 (Sardegna).

I caratteri che permettono di distinguere tra loro in maniera attendibile M. blythii (Tomes, 1857) e M. myotis sono stati evidenziati solo in data recente; pertanto, in mancanza di un‟approfondita revisione dei problemi inerenti la loro sistematica e corologia, è attualmente impossibile definire con sufficiente approssimazione gli areali delle due specie, stabilire l‟appartenenza all‟una o all‟altra di alcune delle forme sinora descritte, nonché accertare una loro possibile divisione in sottospecie. I taxa nominali

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attribuibili con certezza o presumibilmente a M. myotis, dei quali è in parentesi indicata la località classica, sarebbero i seguenti: alpinus Koch, 1863 [Uri (Svizzera)]; latipennis (Crespon, 1844) [Gard (Francia)]; macrocephalicus Harrison et Lewis, 1961 [2 km E di Amchite (Libano)]; myotis (Borkhausen, 1797) [Turingia (Germania)]; ? omari Thomas, 1906 [50 miglia a O di Isfahan (Iran)]; punicus Felten, 1977 [Capo Bon (Tunisia)]; ? risorius Cheesman, 1921 [Shiraz (Iran)]; spelaeus Bielz, 1886; submurinus (Brehm, 1827) [Turingia (Germania)]; typus Koch, 1863 [Nassau (Germania)].

Geonemia

Corotipo Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione all‟Inghilterra meridionale e alle Azzorre (e possibilmente anche all‟area turanica, se omari è davvero una subsp. o un sinonimo di myotis). Europa, a N fino all‟Inghilterra meridionale e quasi al 55° parallelo in corrispondenza della Polonia nord-orientale e della Bielorussia; a E sino all‟Ucraina (zona di Odessa), alla Turchia e ad Israele, ma probabilmente (se omari è davvero una subsp. o un sinonimo di myotis) sino all‟Iran e al Turkmenistan; Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia, Isole Maltesi, Creta, Azzorre, Africa maghrebina e Libia. In Italia la specie è nota per l‟intero territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia).

Biologia

Specie termofila, predilige le località temperate e calde di pianura e di collina, ove frequenta gli ambienti più vari, ivi compresi quelli fortemente antropizzati, che anzi sono i preferiti nelle località relativamente più fredde del Nord o più elevate; lo stesso vale per l‟affine M. blythii, col quale vive in simpatria e spesso anche in sintopia nella vasta zona di sovrapposizione dei loro areali, ma dal quale si differenzia nettamente per quanto attiene alla nicchia trofica (aree di foraggiamento e preferenda alimentari). Frequenta di regola località comprese fra il livello del mare e i 600 m di quota, ma può spingersi sin verso i 2.000 m e, forse solo occasionalmente, sino ai 2.200 m (resti ossei recenti in una grotta pirenaica). Nella buona stagione si rifugia, anche per la riproduzione, nei fabbricati, ove può sopportare temperature elevate (sino a 45 °C), in ambienti sotterranei naturali o artificiali (cantine, grotte, miniere, ecc.) e, più di rado, nei cavi degli alberi e nelle batbox; si trova di regola appeso alle volte o alle pareti, sia isolato sia in colonie che possono raggiungere varie migliaia di individui, talora miste a esemplari di alcuni Rhinolophus, di altri Myotis, ecc., ma specialmente di Miniopterus

schreibersii; spesso si insinua in fessure naturali o in interstizi presenti nei fabbricati, ma solo raramente in spacchi molto stretti. Sverna di regola in ambienti sotterranei naturali o artificiali con temperature di 2-12 °C e alto tasso igrometrico (85-100%), ma è stato trovato anche a -4 °C e con umidità relativa del 50% o addirittura inferiore. Pende quasi sempre liberamente dal soffitto o dalle pareti, per lo più in gruppi che contano sino a un centinaio di esemplari, e solo raramente si rifugia in strette fessure. Gli ibernacoli di grandi dimensioni possono albergare colonie molto popolose, la

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maggiore delle quali, presente in un vecchio bunker della Polonia, conta fino a 5.000 individui; i luoghi di svernamento, che verrebbero raggiunti prima dalle femmine che dai maschi, sono occupati da settembre-ottobre a marzo-aprile ed è abbastanza frequente che vengano cambiati, anche in pieno inverno. La maturità sessuale è raggiunta in ambo i sessi a 1-2 anni di età; le femmine, che in piccola percentuale possono riprodursi già nel loro primo anno di vita, si accoppiano da agosto alla primavera successiva, anche negli ibernacoli, ma prevalentemente in autunno; i maschi posseggono harem dei quali possono far parte sino a cinque femmine. Le nursery, che vengono occupate a partire da marzo e abbandonate in luglio-agosto, sono state osservate sino a poco oltre i 1.000 m di altitudine, possono ospitare sino a 2.000 femmine e occasionalmente qualche maschio; questi, di regola, vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente la stagione degli amori. I parti, di rado gemellari e frequenti soprattutto nelle prime ore del mattino, si susseguono da maggio a luglio, dopo una gravidanza della durata approssimativa di 50-70 giorni. Le puerpere escono a caccia già durante la notte seguente al parto; i neonati vengono riuniti in gruppi e rimangono affidati ad alcune femmine che ritardano la loro uscita. Il piccolo appena nato pesa 6 g ed ha un avambraccio lungo 15-17 mm; quest‟ultimo ha una crescita giornaliera di 0,9-1,5 mm e misura 49 mm nel giovane di un mese di età; gli occhi si aprono a 4-7 giorni dalla nascita, la dentatura è definitiva a 30-35 giorni, la copertura pelosa è completa dopo circa 22 giorni, i primi voli avvengono a 23-27 giorni e lo svezzamento ha luogo a circa 5 settimane dalla nascita. La mortalità infantile, almeno al Nord, può superare il 40% nella stagione fredda. La durata media della vita, a seconda degli Autori, è di 2,4-2,7 o di 4-5 anni, la longevità massima sinora accertata di 22. Le uscite di caccia iniziano in genere poco dopo il tramonto, ma non di rado a notte inoltrata, e hanno di regola una durata di 4-5 ore; il volo è piuttosto lento, con ampi colpi d‟ala remeggianti, e si svolge per lo più tra il livello del suolo, sul quale l‟animale si posa di frequente per cacciare, e i 10 m di altezza. Preda soprattutto Artropodi terragnoli, in netta prevalenza Coleotteri Carabidi, in zone ove il suolo è facilmente raggiungibile, preferendo cacciare in corrispondenza di prati rasati di fresco, pascoli degradati, frutteti con ampie radure e boschi misti o pinete privi o poveri di sottobosco, evitando per esempio le aree coperte da ricca vegetazione erbacea e i boschi con fitto sottobosco; in certe aree geografiche caccia anche in ambienti semidesertici. Può compiere spostamenti, anche di oltre 200 km, tra i quartieri estivi e quelli invernali; lo spostamento più lungo sinora accertato è di 390 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei rifugi abituali (grotte e costruzioni).

MINIOTTERO DI SCHREIBER Miniopterus schreibersii (Kuhl, 1817)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

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Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia monotipica: Miniotteridi (Miniopteridae)

Sottospecie italiana: Miniopterus schreibersii schreibersii (Kuhl, 1817)

La specie comprenderebbe quindici sottospecie, ma l‟attribuzione sottospecifica di alcune popolazioni è ancora incerta.

Geonemia

Elemento Subcosmopolita (Sudeuropeo-Mediterraneo-Etiopico-Orientale-Australiano). Dall‟Europa meridionale e dalla porzione meridionale di quella centrale sino al Giappone, alla maggior parte della Cina e della Regione Orientale, attraverso il Caucaso e l‟Asia sud-occidentale; Nuova Guinea, Isole Salomone (Isola Bougainville compresa), Australia e Arcipelago delle Bismarck; isole maggiori del Mediterraneo e Isole Maltesi; Africa mediterranea e subsahariana, Madagascar e Comore. In Italia la specie è nota per l‟intero territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine tropicale (africana, asiatica o australiana). Citata per il Pleistocene della Sicilia, nonché per il Quaternario di Malta (Pleistocene superiore e medio) e per il Quaternario della provincia di Trieste e dell‟Isola Palmaria (provincia de La Spezia).

Biologia

I dati disponibili sono solo per la regione Paleartica.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è a più basso rischio”, ossia il suo stato di conservazione non è scevro da rischi. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall‟azione di disturbo da parte dell‟uomo nei rifugi situati in grotte e secondariamente in costruzioni.