"Nei dintorni di Perino. Francesco Salviati a Genova in un documento inedito", In "Mitteilungen des...

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MITTEILUNGEN DES KUNSTHISTORISCHEN INSTITUTES IN FLORENZ LV. BAND — 2013 HEFT 2

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MITTEILUNGENDES KUNSTHISTORISCHEN INSTITUTESIN FLORENZ

LV. BAND — 2013

HEFT 2

MITTEILUNGENDES KUNSTHISTORISCHEN INSTITUTESIN FLORENZ

_ Aufsätze _ Saggi

_ 147 _ Laura FenelliIl convento scomparso. Note per una ricostruzione del complesso fiorentino di Santa Maria al Sepolcro (Le Campora)

_ 183 _ Francesco CagliotiVenezia sul Lago di Garda: l’altare di Giovanni Dalmata per la Scuola Grande di San Marco

_ 239 _ Corinna Tania GalloriUn’Allegoria del segno della croce tra Polonia, Italia e Messico

_ 267 _ Roberta J.M. Olson - Anna Ottani CavinaIdentifying Felice Giani’s Double Portrait with Michael Köck and the Friendship Portrait in Late Settecento Rome

_ Miszellen _ Appunti

_ 287 _ Michela Corso - Antonio GeremiccaNei dintorni di Perino: Francesco Salviati a Genova in un documento inedito

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Inhalt | Contenuto

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1 Francesco Salviati, Adorazione dei pastori. Firenze, Galleria degli Uffizi

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1 Iris H. Cheney, “Francesco Salviati’s North Italian Journey”, in: The Art Bulletin, XLV (1963), pp. 337–349; eadem, “Comment: The Date of France-sco Salviati’s French Journey”, in: The Art Bulletin, LXXIV (1992), pp. 157sg. 2 Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, nelle reda-zioni del 1550 e 1568, a cura di Paola Barocchi/Rosanna Bettarini, Firenze 1966–1987, V, pp. 511–536. 3 L’esistenza del foglio era stata segnalata per primo da Michael Hirst su indicazione di Christoph L. Frommel (Michael Hirst, “Francesco Salviati: Some Additions and Reflections”, in: Francesco Salviati et la Bella Maniera: actes des colloques de Rome et Paris 1998, a cura di Michel Hochmann/Philippe Co-stamagna/Catherine Monbeig Goguel, Roma 2001, pp. 69–89: 89). Lo studioso, tuttavia, non ne riferiva i contenuti e ne segnalava una collocazione archivistica imprecisa. Questo potrebbe giustificare la poca risonanza otte-

nuta dalla preziosa informazione e lo scarso interesse suscitato nella critica successiva. 4 Se ancora non hanno avuto esito positivo le ricerche su “Georgio de Frivere”, il ‘Bonifacius connotarius’ citato nel documento potrebbe essere Bonifacius De Grangia, registrato tra i notai capitolini per il decennio 1542–1551 (Repertorio dei notari romani dal 1348 al 1927: dall’Elenco di Achille Francois, a cura di Romina De Vizio, Roma 2011, p. 46). 5 Finora non è stato possibile reperire, ammesso che ancora esista, il te-stamento originale del tintore, che potrebbe a questo punto fornire la data sicura del viaggio di Francesco a Genova. Una prima ricognizione è stata condotta sulle carte del notaio capitolino Vespasianus Collatea, attivo tra il 1517 e il 1553, anche se non è certa la sua identificazione con il “Vespasia-num Colle” menzionato nel documento.

A seguito dei fondamentali studi con i quali Iris H. Cheney ha precisato le date e le circostanze dei soggiorni di Francesco Salviati nell’Italia settentrionale (1539–1541) e in Francia (1556/57), con la sosta milanese sulla via del ritorno, le tappe principali del percorso dell’artista al di fuori dei contesti fiorentino e romano sembravano essere state individuate in maniera definitiva.1 Giunge dunque inattesa la scoperta di un soggiorno del pittore a Geno-va, episodio non menzionato dalla biografia vasariana né sinora rintracciato in altre fonti contemporanee relative all’artista.2 Ad informare di tale parentesi ligure, così come di un viaggio di Cec-chino a Roma nel dicembre del 1546, pure sin qui sconosciuto, è un documento inedito dell’Archivio di Stato di Roma, che getta inoltre nuova luce sulla cerchia romana del pittore.3

Il foglio cui si fa riferimento è la “Testimonialis littera pro domino Francisco de Salviatis Florentino”, registrata dal notaio Ludovicus Reydettus alla presenza del vescovo di Albenga Giovan Battista Cicada, auditore della Camera Apostolica, con testimoni “Georgio de Frivere et Bonifacio connotariis”.4 L’atto notarile ha la finalità di attestare la presenza di Francesco nell’Urbe, condi-zione imprescindibile per consentirgli di ricevere i “serramenta et vasa” ereditati dal tintore Pietro di Giovanni da Pinerolo in Pie-monte; quest’ultimo, mentre Cecchino dimorava a Genova (“dum ipse Franciscus Genuae moram haberet”), aveva steso il suo te-stamento presso il notaio Vespasiano Colle lasciando alcuni beni all’artista, a condizione che quest’ultimo tornasse a prenderli non più tardi di un anno dopo la sua morte.5 A confermare l’identità

Nei dintorni di PerinoFrancesco Salviati a Genovain un documento inedito

Michela Corso - Antonio Geremicca

Miszelle

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di Francesco sono due personaggi: ‘Dominicus Marillianus’, seta-iolo genovese non altrimenti conosciuto, e ‘Petrus alias Perinus de Pagis’, pittore piacentino residente a Roma e menzionato da Mel-chiorre Missirini tra coloro che si iscrissero all’Accademia di San Luca dopo il Sacco.6 Entrambi i testimoni, per attestare l’identità di Salviati, forniscono non poche informazioni sul suo conto: il primo sostiene di conoscerlo da molto tempo, di aver vissuto con lui per un anno, ospitandolo in casa propria, addirittura di aver-lo accompagnato in un viaggio a Venezia e a Genova (“una cum eodem Francisco semel contulisse se Venetias et Genuam”); il se-condo dichiara invece di frequentarlo da 14 anni, periodo duran-te il quale entrambi furono alle dipendenze del testatore (“Dixit inservisse dicto testatori”), pertanto già a partire dal 1532, poco dopo l’arrivo dell’artista nella città pontificia.

L’atto è significativo poiché consente di apprendere i nomi di alcuni di quei personaggi che Francesco doveva frequentare gior-nalmente, il pittore piacentino Perino ‘de Pagis’, ma soprattutto il setaiolo Domenico Marigliano e il tintore Pietro di Giovanni da Pinerolo. Un mondo, quello degli artigiani del tessuto, all’in-terno del quale non è da escludere Salviati si fosse inserito sin dal suo arrivo in città; d’altronde suo padre era tessitore ed egli stesso aveva ricevuto i primi rudimenti del mestiere.7 Cecchino, a quanto sembra di poter desumere dal documento, collaborava con Pietro di Giovanni, fornendogli forse disegni di sue invenzioni e coltivando con lui un rapporto di grande familiarità; Salviati non disdegnava questo tipo di collaborazioni, specialmente con orefici e arazzieri,8 ed emerge con evidenza dalle Vite che, sebbene gli pia-cesse “il praticare con persone letterate e con grand’uomini”,9 non mancava di circondarsi di artisti, tra i quali possono annoverarsi i numerosi allievi che lo assistevano nell’esecuzione dei grandi cicli ad affresco, ricordati da Vasari al termine della sua biografia, i

tessitori citati nel documento in esame e i molti orefici e vasai pure menzionati dall’aretino.10

Di maggiore importanza è la notizia del soggiorno di Fran-cesco a Genova, del quale si dovranno indagare e comprendere le ragioni e le implicazioni, in prima battuta nel tentativo di ri-tagliare, entro la sua fitta e ormai consolidata cronologia, il mo-mento in cui collocarlo. Fino alla scoperta di questo documento, infatti, il percorso del pittore, grazie al racconto di Vasari e al supporto di altre fonti testuali e visive,11 appariva ricostruibile con coerenza e sintetizzabile in sei momenti principali: la for-mazione a Firenze (1523–1531) – città dove l’artista nacque il 12 febbraio del 151112 –, il primo soggiorno romano (1531–1539), il viaggio nell’Italia settentrionale (1539–1541), la se-conda permanenza nell’Urbe (1541–1543), il ritorno alla corte di Cosimo I de’ Medici (1543–1548) e l’ultimo lungo periodo romano (1548–1563), interrotto dal soggiorno a Orvieto nel 1551 e dal viaggio alla corte di Enrico II.13

Dove inserire dunque la tappa genovese? Difficile supporre che l’artista si sia allontanato dalla corte pontificia durante sia il primo (1531–1539) che il secondo soggiorno romano (1541–1543): nel primo caso Salviati appare oberato dalle commissio-ni, come riferisce il racconto vasariano con tanto di riferimenti cronologici, in parte riscontrabili attraverso altre fonti,14 mentre nel secondo sembra invece monopolizzato da Pier Luigi Farnese, addirittura responsabile di un suo periodo di carcerazione; noti-zia, quest’ultima, che è possibile desumere da una missiva inviata all’artista da Annibal Caro il 29 febbraio del 1544,15 lettera di cruciale importanza per comprendere il passaggio di Francesco alla corte dei Medici. L’ipotesi più verosimile, dunque, è che il pittore si sia recato a Genova durante il suo viaggio nell’Italia settentrionale tra il 1539 e il 1541.

6 Melchiorre Missirini, Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma 1823, p. 14. 7 Vasari (nota 2), V, p. 511. 8 Jennifer Jane Bird, Designs for the Decorative Arts by Francesco Salviati, MA diss., Queen’s University, Kingston, Ontario, 2001. 9 Vasari (nota 2), V, p. 533. 10 Tra gli allievi e collaboratori dell’artista Vasari ricorda Annibale Lippi, Roviale Spagnolo, Giuseppe Porta e Domenico Romano; tra gli orefici, oltre al cugino Giovan Francesco di Piero da Diacceto (in compagnia del quale fu pure iniziato ai segreti dell’oreficeria dallo zio), Francesco di Girolamo dal Prato e Piero di Marcone. Amico del pittore era poi il vasaio Aveduto del Cegia (Vasari [nota 2], V, pp. 511–536). 11 Sull’artista si vedano almeno i seguenti contributi: Iris H. Cheney, Francesco Salviati 1510–1563, PhD diss., New York University, 1963, Ann Arbor 1975; Luisa Mortari, Francesco Salviati, Roma 1992; Francesco Salviati et la Bella Maniera (nota 3); Francesco Salviati (1510–1563) o la Bella Maniera, cat. della mostra Roma/Parigi 1998, a cura di Catherine Monbeig Goguel, Milano 1998.

12 In questa sede si propone di riconoscere l’artista in quel “Francesco et Michelangelo di Michelangelo di Marco tessitore” menzionato nei regi-stri battesimali di Santa Maria del Fiore: “Febbrafo [sic] MCCCCCX [stile fior.]. Mercholedì addì 12. Francesco et Michelangelo di Michelangelo di Marco tessitore. Popolo di Sancto Gallo. N[ato] addì detto hore 12” (Fi-renze, Archivio dell’Opera del Duomo, Registro 7, Maschi, 5–13 febbraio 1511, c. 320). Diversa, anche se attualmente non documentabile, è la pro-posta avanzata da Gaetano Milanesi, che riferisce essere il padre del pittore un tale Michelangelo di Francesco di Giovanni d’Andrea (Le opere di Giorgio Vasari, a cura di Gaetano Milanesi, Firenze 1878–1885, VII, p. 5). 13 È noto anche un breve soggiorno a Firenze nel 1561. Si vedano: Cheney (nota 11), I, p. 311; Vasari (nota 2), V, p. 529. 14 Si veda in proposito ibidem, pp. 514–518, e, per le opere eseguite su com-missione del cardinale Giovanni Salviati, suo principale committente in questa fase, Philippe Costamagna, “Le mécénat et la politique culturelle du cardinal Giovanni Salviati”, in: Francesco Salviati et la Bella Maniera (nota 3), pp. 217–252. 15 Annibal Caro, Lettere familiari, a cura di Aulo Greco, Firenze 1957–1961, I, pp. 294–296. L’omissione vasariana di questo episodio potrebbe essere

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dovette sostare tra la fine di giugno e il principio di luglio, come si evince incrociando le informazioni desumibili non solo dalle Vite di Vasari, ma dai suoi Ricordi e dal Carteggio (Cheney 1963 [nota 1], p. 337, nota 3). 21 Sulle opere e la cronologia del periodo veneziano si veda Michel Hoch-mann, “Francesco Salviati a Venezia”, in: Francesco Salviati o la Bella Maniera (nota 11), pp. 56–60. 22 Paolo Giovio, Lettere, a cura di Giuseppe Guido Ferrero, Roma 1956–1958, I, p. 238. Sul rapporto intessuto da Salviati con l’umanista lombardo si veda Roberto Bartalini, “Paolo Giovio, Francesco Salviati, il Museo degli uomini illustri”, in: Prospettiva, 91/92 (1998), pp. 186–196. 23 Vasari (nota 2), V, p. 518. 24 Cheney (nota 11), II, p. 643, doc. 9. 25 Caro (nota 15), I, pp. 294–296. 26 Luisa Mortari, “Francesco Salviati nella chiesa di Santa Maria dell’Ani-ma”, in: Scritti di storia dell’arte in onore di Federico Zeri, Milano 1984, I, pp. 388–400. Si veda, inoltre, Alessandro Nova, “Francesco Salviati and the ‘Mark-grafen’ Chapel in Santa Maria dell’Anima”, in: Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXV (1981), pp. 355–372.

Occorre infatti tenere presente che nel documento la sosta a Genova è descritta quale tappa di un unico viaggio congiunto al soggiorno a Venezia: “una cum eodem Francisco semel contulis-se se Venetias et Genuam”, cioè nella stessa circostanza, sostiene il Marigliano. Non essendo quest’ultimo un collaboratore abi-tuale di Cecchino, sembra ovvio mantenere insieme le due perma-nenze. La possibilità che Salviati sia stato nella città ligure tra il 1539 e il 1541 spinge a riesaminare le ragioni del suo allontana-mento da Roma non appena compiuta la Visitazione nell’Oratorio di San Giovanni Decollato (fig. 3). L’illazione di Vasari secondo cui Salviati avrebbe abbandonato il cantiere dell’Oratorio a causa della concorrenza con Jacopino del Conte, lasciando così spazio all’intrusione di Battista Franco, non è infatti fondata, sia perché risulta che i lavori all’Oratorio ripresero solo nel 1541, sia perché la continuità di rapporti tra Salviati e Jacopino è comprovata, fino in ultimo, dai documenti recentemente resi noti da Sickel.16

A seguire il racconto vasariano, Salviati lascia Roma e torna a casa per vedere la famiglia, e subito dopo parte per Venezia di sua iniziativa, a quanto ne sappiamo senza essere chiamato da un committente.17 Hermann Voss aveva correttamente interpre-tato l’improvviso abbandono di Roma e il frettoloso soggiorno fiorentino quale prova del desiderio dell’artista di aggiornarsi sulla pittura settentrionale;18 in quel momento Francesco pote-va approfittare della presenza in laguna del cardinale Giovanni Salviati,19 a Roma suo principale committente e patrocinatore, così come della compagnia del Marigliano, il quale era genovese d’origine e, all’occorrenza, avrà offerto il suo sostegno per il sog-giorno nella città ligure.

Nel passaggio da Firenze nella primavera del 1539 Salvia-ti principia una scena per gli apparati delle nozze ducali, poi si sposta a Bologna, dove è presente in giugno, e arriva a Venezia

in qualche modo un suo gesto di discrezione nei confronti dell’amico, del quale certamente non voleva infangare la memoria. Sui rapporti intercorsi tra Salviati e Vasari si veda Iris H. Cheney, “The Parallel Lives of Vasari and Salviati”, in: Giorgio Vasari tra decorazione ambientale e geografia artistica, atti del convegno Arezzo 1981, a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze 1985, pp. 301–308. 16 Lothar Sickel, “Francesco Salviati’s Inventory and His Lost Life of Christ on Silver Cloth”, in: Studiolo, 7 (2009), pp. 125–138. 17 Vasari (nota 2), V, p. 518. 18 Hermann Voss, Die Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz, Berlino 1920; ed. italiana, La pittura del tardo Rinascimento a Roma e Firenze, Roma 1994, p. 161. 19 Si veda Pierre Hurtubise, Le famille-témoin: les Salviati, Città del Vatica-no 1985, e Catherine Monbeig Goguel in: Francesco Salviati o la Bella Maniera (nota 11), p. 327, n. 136; Costamagna (nota 14), pp. 244sg. 20 L’artista è a Venezia già l’11 luglio, come suggerisce una lettera inviata da Pietro Aretino a Leone Leoni (Pietro Aretino, Lettere, a cura di Paolo Procaccioli, Roma 1997–2002, II, pp. 128–130: 130). A Bologna il pittore

qualche settimana dopo.20 Difficile immaginare che l’artista sia andato a Genova prima di recarsi nella città lagunare, perché i tempi appaiono troppo serrati, mentre è più probabile una sosta sulla strada di ritorno verso Roma, dopo le tappe di Verona e Mantova.21 Il desiderio di Francesco di studiare le celebri imprese perinesche e la volontà di trovare la protezione di un commit-tente di prestigio, proprio in questa tornata di anni, sono certo motivazioni sufficienti a giustificare un viaggio verso la città di Andrea Doria. Non va dimenticato che già al principio del 1540 Pietro Aretino, in accordo con Paolo Giovio, tentava di promuo-vere l’artista – che forse già si era accorto di non avere spazio in laguna – alla corte milanese di Alfonso d’Avalos, progetto poi naufragato.22

Questa prima ipotesi non contravviene al racconto di Vasa-ri, il quale sostiene che Cecchino rientrò a Roma per la “via di Romagna”,23 poiché quest’ultima informazione non esclude una digressione genovese. Su questa fase della storia di Cecchino la biografia vasariana è molto affrettata, omissiva, e in qualche caso persino depistante. Lo storiografo per esempio ridimensiona dra-sticamente il ruolo giocato da Pietro Aretino in favore di Salviati nel corso del periodo veneziano ed elude i rapporti intessuti con Francesco Marcolini. Giorgio arriva a Venezia solo quando Fran-cesco ha già lasciato la città, ed effettivamente l’aretino fa non poca confusione nel ricostruire il percorso del pittore in questi anni, anche dopo il suo ritorno a Roma. Il biografo non menziona il Re Pipino eseguito nella zoccolatura della Stanza dell’Incendio di Borgo negli appartamenti pontifici, pagato a Salviati nel luglio del 1541;24 tace sul rinnovato rapporto con Pier Luigi Farnese;25 ancora colloca erroneamente in questa fase gli affreschi per la cap-pella del cardinale di Brandeburgo in Santa Maria dell’Anima, che ormai sappiamo con certezza databili tra il 1549 e il 1550.26

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A questo punto non sembra azzardato supporre che, poco in-formato sul viaggio di ritorno, Vasari abbia fatto in parte percor-rere a Cecchino quella strada da lui stesso seguita tra l’ottobre e il dicembre del 1541, quando, invitato da Pietro Aretino, si recò a Venezia e ne approfittò per vedere le opere di Correggio e altri artisti a Modena e Parma, quelle di Giulio Romano a Mantova e le antichità a Verona,27 tappe in qualche misura obbligate per coloro che da Roma e Firenze s’incamminavano verso Venezia; d’altronde lo stesso percorso fu seguito anche da Francisco de Hollanda, che, come presumibilmente fece il Salviati, si spinse fino a Genova: nelle sue memorie del viaggio in Italia compiuto a partire dal 1538, il pittore e scrittore portoghese racconta che tale iter gli fu suggerito addirittura dal Buonarroti, il quale si sarebbe soffermato proprio sull’importanza di studiare Perino e i suoi lavori per Andrea Doria.28 Possiamo supporre che durante il suo viaggio per Genova Francesco sostasse pure a Parma, come già ipotizzato dal Voss, per vedere Parmigianino.29 Non v’è dub-bio che l’artista avesse avuto modo di ammirare opere del par-mense sia a Roma che a Bologna; tuttavia, la rinnovata vicinanza formale allo stile del Mazzola potrebbe essere dovuta ad un breve passaggio alla Steccata, magari incoraggiato dallo stesso Giulio a Mantova: il Pippi, infatti, nel corso del 1540 era stato coinvolto nelle vicende legate alla commissione degli affreschi.30

Con un soggiorno genovese di Salviati un dipinto come l’A-dorazione dei pastori della Galleria degli Uffizi (fig. 1) troverebbe così la sua più pertinente giustificazione. Collocato dalla critica subito dopo il ritorno a Roma, il dipinto coniuga molti elementi perineschi all’appena scoperto e sperimentato colorismo veneto e a forti suggestioni parmigianinesche. Potrebbero così spiegarsi quelle concordanze di ritmi compositivi e di stile che accomuna-no l’opera con la Pala Basadonne di Perino del Vaga, e non casual-mente Roberto Longhi richiamava il legame tra le due tavole nel 1969, quando espungeva il dipinto degli Uffizi dal catalogo di Lelio Orsi, uno degli artisti cui era stato attribuito, e lo spostava proprio su Perino.31 Lo studioso proponeva in quella sede una lettura concisa ma straordinariamente efficace dell’Adorazione dei pastori, sottolineando giustamente gli elementi raffaelleschi del di-

pinto: “il paesaggio vibrante quasi può dirsi polidoresco, la testa del San Giuseppe ricorda i tipi di Giulio Romano nel ‘Santo Stefano’ del ’23, pur esso fatto per Genova”.32

È viceversa poco probabile che Salviati si sia recato a Genova nella fase successiva al rientro a Roma o nei primi tempi del suo ritorno a Firenze, dove era approdato al più tardi il 20 agosto del 1543, come documenta il pagamento di una cornice per un dipinto eseguito per Jacopo Salviati;33 inoltre, l’artista doveva es-sere al lavoro per le Storie di Furio Camillo già dalla fine dell’anno, considerato che il 9 ottobre il Riccio aveva ricevuto dal Duca, attraverso una missiva di Lorenzo Pagni, l’ordine di fornire al pittore il programma iconografico.34 Per gli affreschi, nel cor-so del 1544, sono noti pagamenti che si scalano con continuità l’11 febbraio, il 18 maggio, il 18 settembre, il 15, 18, 24 e 31 ot-tobre, ancora il 15 novembre e infine il 6 dicembre.

Il 1545 non sembra iniziare diversamente dall’anno prece-dente. A solo un mese dall’ultimo pagamento, il pittore viene nuovamente retribuito per le Storie di Furio Camillo il 5 gennaio, e poi ancora l’8 maggio, il 6 giugno, l’11 luglio, l’11 novembre. L’artista doveva essere in città anche a marzo, quando il Duca lo soccorse con duecento scudi, utilizzati per monacare una sua sorella, così in aprile quando ricevette un acconto per comprare dell’oltremarino, e ancora il 21 maggio, giorno in cui fu ammesso all’Accademia Fiorentina in compagnia di Baccio Bandinelli.35 La lettera inviata l’11 settembre da Giovio ad Alessandro Farnese, al fine di aggiornarlo su alcune questioni fiorentine, non fa riferi-mento ad un’eventuale assenza del pittore dalla città mentre men-ziona i suoi lavori nella Sala dell’Udienza in Palazzo Vecchio.36 Infine, Salviati riceve un altro pagamento il 15 ottobre, questa volta dall’arazzeria medicea.37

Meno fitta la rete di occorrenze documentarie per il 1546, sebbene sia necessario segnalare che finora sono stati rintracciati solo i pagamenti relativi alla metà degli ottocento scudi che, se-condo don Miniato Pitti, l’artista ricevette quale ricompensa per le Storie di Furio Camillo.38 Con certezza l’artista è a Firenze per il carnevale – una lettera di Niccolò Martelli a Luc’Antonio Ridol-fi dell’8 marzo documenta la sua partecipazione alle scenografie

27 Vasari (nota 2), VI, pp. 381sg. 28 Francisco de Hollanda, Dialoghi di Roma, a cura di Rita Biscetti, Roma 1993, pp. 85–87. 29 Voss (nota 18), p. 161, nota 3. 30 Si legga in merito almeno la lettera inviata dal Parmigianino a Giulio Romano il 4 aprile del 1540 (Giulio Romano: repertorio di fonti documentarie, a cura di Daniela Ferrari, Roma 1992, II, p. 839). 31 Roberto Longhi, “Ancora sul Machuca”, in: Paragone, XX (1969), 231, pp. 34–39: 37. 32 Ibidem. 33 Cheney (nota 11), II, p. 644, doc. 12.

34 Firenze, Archivio di Stato, Mediceo del Principato, 1170, c. 361; Che-ney (nota 11), II, p. 645, doc. 14. 35 Documento citato in: Alessandro Cecchi, “Il Bronzino, Benedetto Var-chi e l’Accademia Fiorentina: ritratti di poeti, letterati e personaggi illustri della corte medicea”, in: Antichità Viva, XXX (1991), 1/2, pp. 17–28: 28, nota 67. 36 Giovio (nota 22), II, Roma 1958, pp. 17–20. È in questa medesima lettera che l’umanista ricorda le statue che Baccio Bandinelli stava eseguendo per l’Udienza del Salone dei Cinquecento. 37 Cheney (nota 11), II, p. 649, doc. 22. 38 Ibidem, I, pp. 217sg.

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per le commedie messe in scena in quell’occasione39 – e in agosto, quando è menzionato in una lettera indirizzata da don Miniato Pitti a Vasari.40 I ritmi di lavoro con cui procedeva la decorazio-ne della Sala dell’Udienza, non ancora compiuta al principio del 1547,41 e la spedizione di Cecchino a Roma alla fine del 1546, attestata dal documento che qui si pubblica, tendono pure infine a far escludere che la puntata a Genova possa risalire a questo momento.

L’aggiunta della tappa genovese al percorso di Salviati con-sente una significativa riflessione sul suo linguaggio figurativo, spostando l’attenzione su quella forte componente perinesca del-la sua cultura sinora non sufficientemente messa a fuoco dalla cri-tica. In realtà sin dalla biografia vasariana, seconda per estensione solamente a quella di Michelangelo, emerge con evidenza quanto il Bonaccorsi fosse assurto a modello ineludibile per gli artisti della generazione di Salviati, in quanto erede della bottega di Raffaello e depositario delle novità germogliate all’ombra della sua scuola.42 È in quest’ottica che il viaggio di Salviati a Genova assume un valore precipuo, con quel che ne consegue in termini di studio sui lavori perineschi della villa di Fassolo.

Del resto, il corpus grafico di Cecchino dimostra quanto egli avvertisse come insostituibile la lezione del Vaga e degli allievi dell’urbinate. Una serie di disegni, infatti, documenta l’interes-se per l’arte antica e Raffaello, da lui febbrilmente studiati, ma anche verso opere più recenti: la Sala di Costantino e le facciate dipinte da Polidoro da Caravaggio, ad esempio, diventano chiavi di accesso al classicismo, testi su cui esercitarsi e tramite i quali sviluppare la propria identità artistica.43 Si veda, a tal proposito,

il giovanile disegno del Louvre raffigurante un gruppo di cavalie-ri,44 tratto dal fregio con Storie dei figli di Niobe di Palazzo Milesi a Roma e realizzato da Polidoro in prossimità del Sacco dei Lanzi, oppure la posizione di Gesù nella Sacra Famiglia con san Giovannino del Museum of Art di Toledo (circa 1550), che ricorda uno degli eroti della cappella di Fra Mariano in San Silvestro al Quirinale.45

La stessa attenzione è evidente in Vasari, il quale cerca fre-quentemente di assimilare le invenzioni e la ‘maniera’ del Bonac-corsi, come nella Deposizione di Arezzo (1536/37), opera in cui il centurione in primo piano evoca un dettaglio del Martirio dei diecimila martiri, progettato da Perino per l’Oratorio di Camaldo-li:46 il cartone, secondo l’aretino, divenne una vera scuola di idee, così come quello michelangiolesco per la Battaglia di Cascina lo era stato per la generazione precedente.47 Il biografo ricorda, infine, che un’ulteriore occasione di aggiornamento sui modelli del Vaga furono gli apparati effimeri allestiti a Firenze nel 1536 in occa-sione delle nozze del duca Alessandro de’ Medici.48

La statura di Perino appare ancora più imponente se analiz-zata nel contesto romano, dove, in seguito al suo rientro (1537), egli si assicurò ben presto la maggior parte delle imprese artisti-che promosse in città, forte dell’esperienza maturata all’interno della bottega di Raffaello e delle opere licenziate per Andrea Do-ria. Già entro il 1538 Angelo Massimi gli commissionò la deco-razione del palazzo Massimo di Pirro49 e quella della sua cappella di famiglia in Trinità dei Monti. Grazie a quest’ultima impresa, Perino conquistò definitivamente la fiducia del cardinale Alessan-dro Farnese, dando uno slancio decisivo alla propria carriera.50 L’ininterrotto successo del pittore è testimoniato dalle numerose

39 Alessandro Cecchi, “Salviati e i Medici (1543–1548)”, in: Francesco Sal-viati o la Bella Maniera (nota 11), pp. 61–65: 62. 40 Karl Frey, Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, Monaco 1923–1930, I, pp. 168sg. Don Miniato Pitti manda a Vasari i saluti del pittore, che dunque a quel momento doveva essere in città. 41 Ad attestare che al 20 febbraio 1547 gli affreschi non erano ancora termi-nati è Ludovico Domenichi, nella lettera dedicatoria indirizzata all’artista nella sua traduzione del De pictura di Leon Battista Alberti. Si veda Leon Battista Alberti, La pittura […] tradotta per M. Lodovico Domenichi, Venezia 1547, fol. Aiii r. 42 Si vedano Bernice Davidson, “Perino del Vaga e la sua cerchia: addenda e corrigenda”, in: Master Drawings, VII (1969), pp. 404–409; Elena Parma, Perin del Vaga: l’anello mancante, Genova 1986, pp. 73–152; Perino del Vaga tra Raffaello e Michelangelo, cat. della mostra, a cura di Elena Parma Armani, Milano 2001, pp. 197–262; Silvia Ginzburg, “Vasari e Raffaello”, in: Giorgio Vasari e il cantiere delle ‘Vite’ del 1550, atti del convegno Firenze 2012, a cura di Barbara Agosti/Silvia Ginzburg/Alessandro Nova (in corso di stampa). 43 Vasari (nota 2), V, p. 115. Il racconto di Vasari riferisce anche dell’a-bitudine di scambiarsi, sempre con Cecchino, i disegni realizzati durante il giorno (ibidem, VI, p. 371). 44 Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, inv. 6168. Si veda Catherine Monbeig Goguel, in: Francesco Salviati o la Bella Maniera (nota 11), pp. 88sg., n. 3.

45 Sui disegni di Salviati tratti da opere di Michelangelo, Raffaello e la sua scuola si vedano: Hirst (nota 3), pp. 73–76; Anna Petrioli Tofani, “Francesco Salviati e Polidoro da Caravaggio: sulle tracce di una conso-nanza”, in: Francesco Salviati et la Bella Maniera (nota 3), pp. 377–403; Paul Joannides, “More on Francesco Salviati as a Copyist”, in: Master Drawings, XLVIII (2010), pp. 315–326; David McTavish, “Nature and Art in the Early Drawings of Francesco Salviati”, in: Master Drawings, XLVIII (2010), pp. 291–314. A proposito delle copie da Polidoro, si veda anche Vasa-ri (nota 2), IV, p. 459. Interessante, infine, è quanto registrato da Gian Paolo Lomazzo, Scritti sulle arti, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Firenze 1973–1975, I, pp. 357sg. 46 L’invenzione è nota grazie al “disegno piccolo” conservato presso l’Al-bertina di Vienna (inv. 2933 SL 384). Si veda Barbara Agosti, “Frustoli vasariani: su alcuni artisti, amici e committenti nel carteggio vasariano”, in: Prospettiva, 137 (2010), pp. 97–102: 97. 47 Vasari (nota 2), V, pp. 130–132. 48 Gli apparati sono descritti in una lettera del 3 giugno 1536 di Giorgio Vasari a Pietro Aretino (Frey [nota 40], I, 1923, p. 69). 49 Parma 1986 (nota 42), pp. 177–184; pp. 283sg., n. A.XII. 50 Dell’opera, perduta, rimangono solamente la scena con la Resurrezione di Lazzaro, conservata a Londra (Victoria and Albert Museum), e alcuni disegni preparatori. Si veda ibidem, pp. 184–188 e pp. 284–286, n. A.XIII.

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3 Francesco Salviati (copia da ?), Visitazione. Londra, British Museum, inv. 5211-27

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2 Francesco Salviati, Visitazione. Roma, Oratorio di San Giovanni Decollato

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4 Perino del Vaga, Schizzi di figure. Londra, British Museum, inv. 1946,0713.564

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grafiche, tuttavia, inducono a ritenere che egli ne sia stato ini-zialmente partecipe. Nel 1538 Jacopino del Conte, a distanza di poco tempo dalla sua prima prova realizzata nell’Oratorio, ovvero la scena con l’Annuncio dell’angelo a Zaccaria (1536/37), tornò a lavorare per la confraternita, affrescando la Predica del Battista. Da un punto di vista stilistico la Predica rivela una difformità notevole dall’episodio dell’Annuncio, pur di poco precedente. La presenza di un disegno preparatorio inizialmente attribuito a Jacopino,53 ma ormai concordemente riferito alla paternità di Perino del Vaga,54 consente di giustificare il divario. Poiché, come si è detto,

commesse ricevute dal pontefice e dal suo entourage, tra le quali vale la pena ricordare almeno la spalliera per la Cappella Sistina, il basamento della Stanza della Segnatura, gli appartamenti pa-pali in Castel Sant’Angelo e nel Palazzo del Campidoglio.51 Il numero elevato di commissioni spinse Perino ad assumere diversi collaboratori e allievi, riservandosi il ruolo di progettista, super-visore e coordinatore.

Nel contesto poc’anzi descritto, un caso del tutto singolare è l’Oratorio di San Giovanni Decollato di Roma,52 cantiere all’in-terno del quale il Bonaccorsi non è documentato; alcune prove

51 Per l’analisi di queste commissioni si rimanda alla letteratura su Perino del Vaga, già in parte citata in nota. Per la commissione in Campidoglio si veda Paola Picardi, Perino del Vaga, Michele Lucchese e il palazzo di Paolo III al Campidoglio: circolazione e uso dei modelli dall’antico nelle decorazioni farnesiane a Roma, Roma 2012. 52 Sull’Oratorio si vedano almeno i seguenti contributi: Jean Shepard Weisz, Pittura e Misericordia: The Oratory of S. Giovanni Decollato in Rome, PhD diss., Cambridge, Mass., Harvard University, 1982, Ann Arbor 1984 (con bibliografia precedente); Ludovica Trezzani, “L’Oratorio di San Giovanni

Decollato”, in: Francesco Salviati: affreschi romani, a cura di Anna Coliva, Milano 1998, pp. 23–33. 53 Anny E. Popp, “Jacopino del Conte (1510–1598)”, in: Old Master Drawings, II (1927), 5, pp. 7–8. 54 Si vedano: Mostra di disegni di Perino del Vaga e della sua cerchia, cat. della mo-stra, a cura di Bernice Davidson, Firenze 1966, p. 39, n. 35; Michael Hirst, “Perino del Vaga and his Circle”, in: The Burlington Magazine, CVIII (1966), pp. 398–405: 402; Elena Parma, in: Perino del Vaga tra Raffaello e Michelangelo (nota 42), p. 177, n. 70.

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55 Ibidem. A proposito della mancata conclusione dei lavori di Perino nel duomo di Pisa e a conferma di quanto l’impresa fosse stata già avviata alme-no nell’esecuzione di disegni preparatori, cfr. Vasari (nota 2), V, p. 146. 56 Budapest, Szépmuvészeti Múzeum, inv. 1838. Per un riepilogo delle vicende attributive di questo foglio cfr. Stefano Pierguidi, “Avvicendamento d’artisti e direzione di cantiere nella decorazione dei tre oratori romani”, in: Bollettino d’Arte, XC (2005), 132, pp. 23–34: 32, nota 10. 57 Julian Kliemann/Michael Rohlmann, Wandmalerei in Italien: Hochrenais-sance und Manierismus, Monaco 2004, p. 326. 58 Arthur E. Popham, The Drawings of Parmigianino, Londra 1953, fig. XLVI. 59 Michael Hirst, “Francesco Salviati’s ‘Visitation’ ”, in: The Burlington Maga-zine, CIII (1961), pp. 236–240. 60 Alessandro Cecchi, in: Francesco Salviati o la Bella Maniera (nota 11), pp. 118sg., n. 20. 61 Si veda, ad esempio, David McTavish, “Review of Rome and Paris Salviati exhibition”, in: Master Drawings, XXXVIII (2000), pp. 66–70: 68. 62 Michael Hirst, “Perino not Salviati”, in: The Burlington Magazine, CXLIV (2002), pp. 164sg. 63 Catherine Monbeig Goguel, “Attualità della ricerca su Francesco Salvia-ti, dieci anni dopo la monografia di Luisa Mortari”, in: Per la storia dell’arte in Italia e in Europa: studi in onore di Luisa Mortari, Roma 2004, pp. 203–211: 206sg. 64 Philip Pouncey/John A. Gere, Italian Drawings in the Department of Prints and Drawings in the British Museum, Raphael and His Circle, Londra 1962, I, pp. 105sg., n. 176. 65 Arthur E. Popham, Catalogue of Drawings in the Collection Formed by Sir Thom-as Phillipps […], Londra 1935, p. 106, n. 6. Si veda anche Gli affreschi di Paolo III a Castel Sant’Angelo: progetto ed esecuzione, 1543–1548, cat. della mostra,

McTavish,61 e successivamente lo stesso Hirst propose di asse-gnare il foglio a Perino, giudicandolo una copia dall’affresco.62 Le perplessità di McTavish sono state accolte anche da Catherine Monbeig Goguel, secondo la quale il disegno sarebbe da assegnare ad un collaboratore di Salviati, nello specifico Roviale Spagnolo.63

Sfuggito all’attenzione della critica, invece, benché già segnala-to da Philip Pouncey e John A. Gere,64 è il nesso che lega la figu-ra di anziano ricurvo su un bastone e della donna distesa con un bambino ai suoi piedi, presenti nella Visitazione di Salviati, ad un fo-glio di certa attribuzione perinesca del British Museum di Londra (fig. 4) tradizionalmente datato agli anni quaranta, collocazione che andrebbe più verosimilmente anticipata ad una fase a cavallo tra Genova e Roma.65 In questo disegno, infatti, è presente la stessa invenzione, parzialmente in controparte (il che esclude si tratti di una ripresa di Perino dall’affresco), idea scelta da Cecchino come modello per la sua composizione e riutilizzata più volte a distanza di anni.66 Nel medesimo foglio, inoltre, una figura femminile che incede da sinistra verso destra, congiungendo le braccia e portan-dole in avanti, sembrerebbe punto di riferimento per l’Elisabetta dell’affresco salviatesco. Tale vicinanza tra i due artisti non deve stupire, anzi anticipa e spiega la realizzazione del Re Pipino da parte di Salviati nel basamento della Stanza dell’Incendio di Borgo in Vaticano (1541), cantiere, come quello della Segnatura, diretto da Perino.67

non un documento lega il Bonaccorsi al cantiere dell’Oratorio, Michael Hirst ipotizzò che il foglio fosse stato eseguito da Perino per la cappella di San Giorgio e San Giovanni Battista nel duomo di Pisa e che, a seguito del suo rientro a Roma nel 1537, l’artista lo avesse poi consegnato al giovane Jacopino.55

Come è noto, proprio sulla scia del riconoscimento del foglio viennese al Bonaccorsi, alcuni studiosi hanno tentato di individua-re altre tracce di un suo coinvolgimento nella regia del ciclo affre-scato. È stato ipotizzato, ad esempio, che il disegno raffigurante il Banchetto di Erode, schizzato da Perino sul verso di un foglio di studio per la decorazione della Cappella Massimo a Roma, fosse stato pensato per l’Oratorio.56 La stessa proposta è stata avanzata per il foglio n. 5211-27 del British Museum di Londra (fig. 3) – rappresentante una Visitazione molto simile a quella realizzata da Salviati nell’Oratorio (fig. 2) –, che Julian Kliemann ha ipotizzato essere uno schizzo preparatorio di mano del Vaga poi utilizzato da Cecchino.57 Invero, il disegno è al centro di una lunga querelle attributiva che non si è mai del tutto conclusa e che rende diffi-cile interpretarne la funzione nel contesto del cantiere romano. Inizialmente riferito al Parmigianino da Arthur E. Popham,58 il foglio fu per la prima volta assegnato a Salviati da Hirst, che lo riteneva un autografo destinato all’Oratorio.59 Con questa attribu-zione il disegno fu quindi esposto alla mostra dedicata a Salviati nel 1998,60 ma il riferimento all’artista non fu accettato da David

a cura di Filippa Maria Aliberti Gaudioso/Eraldo Gaudioso, Roma 1981, II, n. 60. Sono condivisibili le perplessità di Elena Parma circa la datazione del foglio agli anni quaranta (Parma 1986 [nota 42], p. 297, n. A.XV.4), anche perché le medesime caratteristiche tecniche e stilistiche ed alcune tan-genze iconografiche si ritrovano in disegni eseguiti da Perino tra Genova e Roma alla fine degli anni trenta. Si vedano, per confronto, i fogli riprodotti ibidem, pp. 103, 183, 216, conservati rispettivamente a Vienna, Graphische Sammlung Albertina, inv. 25097; Londra, collezione privata; Chicago, Art Institute, inv. 1922.477. 66 Come è stato già osservato da Alessandro Nova, la figura dell’anziano, che probabilmente deriva dall’arte antica, si ritrova nel foglio con Saul che unge il giovane David (Parigi, Louvre, Département des Arts graphiques, inv. 5901), copia da un originale perduto, e nel disegno raffigurante Giuseppe che spiega il sogno del Faraone, preparatorio per uno degli arazzi del duca Cosimo (Londra, collezione privata); si veda Alessandro Nova, “Salviati, Vasari and the Reuse of Drawings in Their Working Practice”, in: Master Drawings, XXX (1992), pp. 83–108: 94 e figg. 18, 20. L’invenzione della donna distesa torna sia in una xilografia attribuita a Nicola Vicentino, tratta da un ottagono del soffitto della Sala di Psiche nel Palazzo Grimani a Venezia (Roma, Istituto Nazio-nale per la Grafica, Gabinetto Disegni e Stampe, inv. F. N. 40369, 3497; riprodotto in: Francesco Salviati o la Bella Maniera [nota 11], pp. 176sg., n. 53), sia in una Crocifissione incisa presumibilmente da Girolamo Faccioli da uno dei disegni consegnatigli da Salviati durante il soggiorno bolognese (Londra, British Museum, Department of Prints and Drawings, inv. 1951-4-7-82; ri-prodotto ibidem, p. 140, n. 32). 67 Cheney (nota 11), II, p. 643, n. 9; eadem 1963 (nota 1), p. 338; Parma 1986 (nota 42), pp. 286sg., n. A.XIV.

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Alla luce dell’importanza che il Vaga assunse appena tor-nato a Roma, delle tangenze formali che accomunano Salviati al suo magistero proprio negli anni dell’Oratorio e della noti-zia qui pubblicata di un suo soggiorno genovese, sembra lecito ipotizzare che lasciando Roma nel 1539 Francesco fosse partito con l’intenzione di fare un viaggio di aggiornamento al Nord. A guidarlo, credibilmente, la voglia di conoscere la pittura moderna degli allievi di Raffaello: di Giovanni da Udine a Venezia, di Giulio Romano a Mantova e di Perino del Vaga a Genova.

Questo saggio è dedicato a Barbara Agosti e Silvia Ginzburg, senza le quali questo articolo non sarebbe probabilmente mai stato scritto, a ringraziamento delle appassionate discussioni sulla pittura romana della prima metà del Cin-quecento e del sostegno intellettuale ed emotivo che sempre sono disposte a offrire. Siamo grati, inoltre, a Vincenzo Belmonte e Francesco Sorce per i suggerimenti e i consigli.

Il testo è frutto di un dialogo costante tra i due autori, fondato in primo luogo sull’affetto, oltre che sulla stima reciproca; nondimeno, ad Antonio Gere-micca spetta la redazione della prima parte, dedicata al documento e al soggiorno di Francesco Salviati a Genova (pp. 287–291); Michela Corso si è invece occupata della seconda parte, incentrata sul rapporto tra il pittore e Perino del Vaga (pp. 291–295).

Appendice

Roma, Archivio Storico, Notari del Tribunale dell’Auditor Camerae, Atti di L. e G. Reydettus, 6144, fol. 3 (recto e verso).

Littera testimonialis pro domino Francisco de Salviatis Flo-rentino

Die 28 decembris 1546

Johannes Baptista Cicada, Dei et apostolicae Sedis gratia Episcopus Albingaunensis, Sanctissimi domini nostri Papae eius-que camerarii necnon curiae causarum camerae apostolicae gratis Auditor Romanaeque curiae iudex ordinarius sententiarumque et censurarum in eadem Romana curia et extra latarum universalis exequutor, universis et singulis presentes nostras litteras testimo-niales inspecturis, visuris, lecturis pariter et audituris salutem in Christo et nostram humanam fidem indubiam adhibete. Noveritis quod nuper comparuit coram nobis Franciscus, alias Cechus, de Salviatis Florentinus et exposuit ad eius noticiam nuper devenisse quod quidam magister Petrus quondam Johannis de Pinarolo Pe-demontano, tinctor in urbe et sororius suus, dum ipse Franciscus Genuae moram haberet, suum ultimum condidit testamentum et inter coetera legatorum iura reliquit et sibi quaedam serramenta et alia quaedam vasa tinctoria in quadam domo hic in urbe exi-

stentia prout latius [in] dicti testamenti instrumento, rogati per dominum Vespasianum Colle, notarium publicum, ad quod re-lationem haberi noluit, contineri dixit et dictum testatorem sibi suprascripta serramenta et vasa tinctoria cum hac conditione legasse quod, nisi ipse Franciscus infra annum, ad ipsius testatoris obitus [sic] computandum, ad urbem se conferret, legatum sibi factum minime consequeretur. Ne igitur usquam a quovis de adventu suo ad urbem et de sibi a dicto testatore iniunctae conditionis adimplemento dubitari contingat, ad futuram rei memoriam ac ad omnes alios meliores finem et effectum se coram nobis por-tavit et ad docendum quod ipse sit ille quem se facit induxit co-ram nobis testibusque nostris duos testes, videlicet Dominicum Marillianum, Genuensem setarolum, et Petrum alias Perinum de Pagis, Placentinum pictorem in urbe, omnes qui per nos admissi et deinceps compulsi ad iurandum de perhibendo testimonium veritati iurarunt se dicere veritatem et interrogati per nos an ve-rum sit quod dictus Franciscus, in nostri ipsorumque praesentia personali constitutus, sit ille quem se facit, mediis suis iuramentis responderunt eum esse illum et in causa scientiae dictus Domini-cus dixit eum bene cognoscere a pluribus annis quia in domo sua dictus [verso] Franciscus per annum inhabitavit et una cum eodem Francisco semel contulisse se Venetias et Genuam et multis an-nis eum cognovisse et cognovisse etiam dictum testatorem. Petrus vero dixit bene eundem cognoscere Franciscum, nam cum eo dixit inservisse dicto testatori per annos 14, cum quo Francisco erat maxima familiaritas et frequens conversatio; se esse illum quem se facit et ab omnibus eius cognoscentibus pro tali semper habitum fuisse. In quorum omnium et singulorum fidem et testimonium has praesentes fieri et per notum nostrum infrascriptum ac coram nobis scribam subscribi sigillique meo, quo in similibus utimur, iussimus et fecimus appensione muniri.

Datum Romae in aedibus nostris sub anno 1546, Indictione 4, die vero 28 decembris, Pontificatus Sanctissimi in Christo Pa-tris et devotissimi domini Pauli divina providentia pape 3 anno duodecimo, praesentibus hic testibus dominis Georgio de Frivere et Bonifacio connotariis testibus.

Referenze fotografiche

Gabinetto fotografico del Polo Museale Fiorentino, Firenze: fig. 1. – Antonio Quattrone, Firenze: fig. 2. – British Museum, Londra: figg. 3, 4.