L'interpretazione del Risorgimento in Gioacchino Volpe

27
L’Interpretazione del Risorgimento in Gioacchino Volpe i La nuova periodizzazione Volpe ritiene che non sia possibile spiegare il Risorgimento racchiudendolo nei limiti ristretti degli avvenimenti ottocenteschi; alle spalle del decennio che porta al 1860 c’è una lunga preparazione, un progressiva maturazione di coscienza e volontà di giungere all’unità e creare lo Stato nazionale. Per la propria visione storiografica, l’abruzzese è portato ad enfatizzare il processo storico in una prospettiva di lungo periodo, nella sua dinamica di forze contrastanti; il suo metodo storiografico, infatti, poggia sulla convinzione che la storia sia essa stessa condizionata dalla storicità, che non ci siano casualismi o finalismi negli accadimenti, ma solo uno sviluppo che in se stesso, e nella sua assenza di logica, è la sola sintesi possibile. Volpe preferisce parlare di un lungo Risorgimento o di epoca del Risorgimento, per inquadrarlo in un contesto più ampio, europeo oltre che nazionale, le cui radici risalgono quantomeno al Settecento, nella battaglia di Torino del 1706, nella guerra di successione spagnola, fra il 1700 ed il 1713 e più in generale, nel riformismo dei despoti illuminati. Al fianco di questi condizionamenti esterni, agiscono fattori e “filoni indigeni”, come Volpe li definisce, che lavorano nel “sottosuolo” del tessuto culturale e sociopolitico della penisola e lentamente preparano la risorgenza nazionale. Elementi materiali ed economici concreti, che portano i segni dell’azione dell’uomo, che agiscono a livello 1

Transcript of L'interpretazione del Risorgimento in Gioacchino Volpe

L’Interpretazione del Risorgimento in Gioacchino Volpei

La nuova periodizzazione

Volpe ritiene che non sia possibile spiegare il Risorgimento

racchiudendolo nei limiti ristretti degli avvenimenti

ottocenteschi; alle spalle del decennio che porta al 1860 c’è una

lunga preparazione, un progressiva maturazione di coscienza e

volontà di giungere all’unità e creare lo Stato nazionale. Per la

propria visione storiografica, l’abruzzese è portato ad

enfatizzare il processo storico in una prospettiva di lungo

periodo, nella sua dinamica di forze contrastanti; il suo metodo

storiografico, infatti, poggia sulla convinzione che la storia sia

essa stessa condizionata dalla storicità, che non ci siano

casualismi o finalismi negli accadimenti, ma solo uno sviluppo che

in se stesso, e nella sua assenza di logica, è la sola sintesi

possibile. Volpe preferisce parlare di un lungo Risorgimento o di

epoca del Risorgimento, per inquadrarlo in un contesto più ampio,

europeo oltre che nazionale, le cui radici risalgono quantomeno al

Settecento, nella battaglia di Torino del 1706, nella guerra di

successione spagnola, fra il 1700 ed il 1713 e più in generale,

nel riformismo dei despoti illuminati. Al fianco di questi

condizionamenti esterni, agiscono fattori e “filoni indigeni”,

come Volpe li definisce, che lavorano nel “sottosuolo” del tessuto

culturale e sociopolitico della penisola e lentamente preparano la

risorgenza nazionale. Elementi materiali ed economici concreti,

che portano i segni dell’azione dell’uomo, che agiscono a livello

1

economico, al fondo della stratificazione sociale e che

trasformeranno il paese1.

L’acme della crisi seicentesca fa da spartiacque, quando la

consapevolezza della crisi effettiva e dell’inequivocabile

decadenza genera la volontà di riscatto; per il momento, si

identifica come semplice desiderio di liberarsi dal dominio

straniero. Solo quando quella volontà diventerà un tema politico,

un problema di rinascita e di liberazione, solo a quel punto si

sarà effettuato quel passaggio dalla volontà all’azione, dalla

potenza all’atto. Per l’attuazione di questo scatto sarà

determinante il ruolo di Casa Savoia, “una forza nuova” portatrice

di un proprio interesse di espansione e di consolidamento politico

che, per contingenza e calcolo, andrà a svolgere una politica via

via sempre più antiaustriaca. L’interesse di Casa Savoia e quello

dell’Italia andranno progressivamente a coincidere, cosi come

all’esigenza di indipendenza dallo straniero seguirà quella

dell’unità territoriale e politica. Non si potrebbe comprendere

l’assunzione di questo ruolo nazionale da parte della dinastia dei

Savoia se non si tenesse in conto un presupposto di fondo

metodologico ed interpretativo di Volpe. Probabilmente in questo

modo, tante accuse che gli sono state rivolte cadrebbero o,

almeno. alcune letture in merito al carattere del suo monarchismo

andrebbero riviste.

1 Il riferimento è agli studi economici di Einaudi, Prato e Pugliese sulPiemonte del Seicento e Settecento e che avevano fornito importanti elementi distoria concreta utili a ricomporre il quadro complessivo della preparazione delRisorgimento, cfr. G. Volpe, Progressi dell’economia italiana nel ‘700, ora in Momenti di storiaitaliana, Vallecchi, Firenze 1925, pp. 215 – 243; l’articolo era comparso una primavolta nel 1909 nella «Critica», con il titolo Studi di storia economica.

2

Metodologicamente, Volpe innova insieme a Croce e, su un

fronte diverso Gentile, il modo di pensare, scrivere e fare la

storia; in modo diverso tutti e tre si inseriscono nello stesso

filone intellettuale che lega la storia d’Italia al Risorgimento

facendone un problema di identità nazionale. Volpe, nello

specifico, innova partendo dal riconoscimento dei meriti e dei

limiti del cosiddetto indirizzo economico - giuridico e

dell’altro, meno noto, storico - diplomatico. Quest’ultimo

indirizzo di studio, portato avanti sempre sotto l’influsso del

tardo positivismo e dunque combattuto dalla «Critica» perché privo

di una visione interpretativa, -né nazionale ed identitaria né

complessiva - aveva avuto l’importante pregio, come sottolinea

Volpe, di mettere in evidenza i legami fra storia italiana e

storia europea, dimostrando che l’Italia partecipava alla

circolazione europea delle idee, ne respirava pienamente la

cultura sebbene non la vivesse nelle forme politiche e statuali.

Volpe, risalendo dal particolare di quegli studi settoriali di

storia diplomatica e militare a un’interpretazione della storia

d’Italia, sfatava un assioma della storiografia agiografica, cioè

che la soggezione allo straniero, fosse stato solo ed

esclusivamente un male, solo negatività e subordinazione; quasi

fosse un vanto dichiarare che il pensiero dell’unità era vivo da

secoli e per secoli si era stati incapaci di unirsi. La verità dei

fatti per Volpe è altra: la storia d’Italia testimonia che l’unità

nazionale è stata innanzitutto una conquista degli italiani su

loro stessi prima ancora che una conquista sugli stranieri. Uni Questo saggio costituisce la rielaborazione della relazione L’interpretazione delRisorgimento in Gioacchino Volpe tenuta a Savigliano, il 6 e 7 maggio 2011, inoccasione del Convegno su Interpreti e interpretazioni del Risorgimento organizzato dallaFondazione Centro Studi Augusto del Noce.

3

processo di maturazione dalla nazione culturale alla nazione

politica, una coscienza di appartenenza nazionale che per gradi

successivi si è ampliata e si è sviluppata da letterario –

culturale a civile e da civile a politica. Continuità della storia

d’Italia dunque, ma senza esclusione delle tesi politiche avverse

o delle forze contrarie al Risorgimento, perché, egli ritiene, la

fine della nazione comincia con la sua appropriazione politica o

partitica. Non è possibile vedere ovunque precursori del

Risorgimento come non è possibile condannare in blocco tutto

quanto è stato realizzato, sostiene lo storico; mentre è facile

osservare che le partigianerie storiografiche sul Risorgimento

sono la costante della nostra cultura, appropriazioni e

contestazioni sono avvenute dopo l’Unità, dopo la prima guerra

celebrata come la conclusione del Risorgimento o un suo male

estremo, nel fascismo, dopo il fascismo, nella Resistenza e contro

la Resistenza. Accuse reciproche, ugualmente sostenibili e

sostenute, contro le quali Volpe si scaglia nel 1935 avvertendo il

pericolo che la nazione finisca per essere divisa piuttosto che

unificata sotto il peso di questo genere di pressioni. In quel

momento preciso, a metà degli anni Trenta, Volpe guarda

all’aggregazione politica che si è polarizzata intorno al concetto

e al valore della nazione per sottolineare come all’appropriazione

politica del Risorgimento risalga la frattura fra sinistra e

nazione liberale, quella costruita sul binomio fra patria e

libertà, frattura che peserà negli anni successivi.

La positività di quella stagione settecentesca, quel

Risorgimento potenziale, quella preparazione allora, come si vede,

non è solo volontà di riscatto o preparazione alla guerra contro

4

gli “occupanti”; è crescita e sviluppo di una nazione moderna a

livello culturale nell’intera penisola, in forme e condizioni

concrete diverse da regione a regione; circostanza quest’ultima

che diventerà una caratteristica specifica anche nell’Italia del

Novecento ed oltre. Quanto detto, è già concettualizzato negli

anni Trenta, si tratta del fulcro dell’interpretazione volpiana

del Risorgimento, che Volpe definì da un lato, come un fatto

italiano nato nelle élite sociali e intellettuali e, dall’altro,

come fatto europeo maturato nel nuovo clima dell’Europa

settecentesca2.

La sua interpretazione parte da due elementi, il primo a

carattere strettamente politico – diplomatico e l’altro

rappresentato dai progressi della cultura laica, con la

conseguente attenzione per gli aspetti economici e l’esigenza di

ridisegnare i rapporti tra Chiesa e Stato. La cultura, infatti,

andava orientandosi verso il liberalismo sia sul piano filosofico

sia soprattutto come criterio per la gestione pubblica; una nuova

aristocrazia intellettuale proponeva riforme, lavorava per

rinnovare, si faceva portatrice di una nuova visione politica.

Questo clima di modernità culturale che circola solo fra

uomini di lettere fa spazio ad una prima percezione

dell’italianità come unità e come nazione; alla metà del XVIII

secolo è già iniziato un processo di comunicazione tra il Piemonte

sabaudo e le élites intellettuali sparse nella penisola; l’Italia,

respira la cultura europea delle più avanzate Francia ed

Inghilterra e gli uomini di lettere cominciano a partecipare con i

2 G. Volpe, Principi di Risorgimento nel ‘700 italiano, relazione presentata al XXXVCongresso per la Storia del Risorgimento a Bologna nel 1935, già in «Rivistastorica italiana» f.1, 1936; ora in Momenti di storia italiana, cit., pp. 245 – 290.

5

governi per l’attuazione di riforme che, al di là delle valenze

immediate, implicano la ricezione di una nuova visione politica.

Si diffondono i primi elementi di costituzionalismo, l’idea di

partecipazione, l’idea di Stato comincia ad essere slegata dalla

figura del sovrano, viene spersonalizzata per identificarsi con la

nazione. Alla fine del ‘700 si viene formando la borghesia

nazionale e con essa si afferma il liberalismo e l’idea di nazione

prende forma. L’esigenza di mercati più ampi si va ad identificare

con quella dell’indipendenza politica dallo straniero e con la

costituzione di una qualche forma di unità statuale; il

patriottismo non è più a carattere esclusivamente letterario,

l’interesse che lega le diverse regioni della penisola a

costituirsi in unità ha assunto un carattere ed un contenuto

concreto, ci sono anche problemi di vita pratica, civile ed

economica, una sostanza di vita sociale e civile che sono

diventate moderne e che modernamente hanno bisogno di uno stato

nazionale:

La differenza fra il ‘400 e il ‘700 è questa: che nel ‘700 oggetto di

comune interesse sono, in parte notevole, problemi di vita pratica, della

società italiana del popolo italiano. La letteratura è tutta civile. La

evanescente Italia dei letterati ha acquistato un contenuto sostanzioso, una

realtà che non aveva, per questo sforzo delle menti di accostarsi a essa,

penetrarla, intenderla, dominarla, rendervi ragione del suo passato e del suo

presente, dei suoi mali e delle sue possibilità. È diventata l’Italia degli

italiani, più amata veramente perché più conosciuta. Le parole con cui certi

scrittori esortano i principi italiani alla concordia possono essere simili a

quelle che da secoli gli uomini di lettere rivolgevano a loro: ma dentro c’è un

calore, una commozione che prima mancava. […]. È nato, sta nascendo quel

concreto patriottismo che è l’anima del Risorgimento, fatto, se si vuole, di

parole e di idee vecchie ma di sentimenti nuovi3. 3 Ivi, pp. 270 – 271.

6

Un clima culturale vivido e moderno mette in comunicazione

poche élites creando una forma embrionale di nazione italiana in

assenza di unità politico – statuale. Questa nascente nazione si

forma nella varietà e nella ricchezza delle province, in una

virtuale repubblica delle lettere presa da un processo osmotico

che la percorre internamente determinando uno scambio di energie

intellettuali tra le varie parti della penisola e tra essa e

l’Europa. Il contenuto che sostanzia le sterili e vecchie formule

letterarie che invocavano un’ipotetica Italia, è apportato dalla

maturazione – frutto della storia stessa e del suo procedere – in

tutti i campi del sociale, in tutti gli aspetti in cui si

configura l’umano svolgersi.

Risorgimento e Rivoluzione francese

Nella galleria dei padri fondatori della Stato nazionale, in

quello che ritiene il momento cruciale per le sorti della penisola

italica, Volpe colloca in primo piano Vittorio Alfieri, come fa,

del resto, lo stesso Gentile, impegnato filosoficamente, e dunque

teoreticamente - e non come Volpe sul piano più elementare dei

fatti accaduti ed interpretati - a slegare il Risorgimento dalla

Rivoluzione francese. Nell’interpretazione di Volpe, Alfieri

imprime un nuovo carattere alle lettere, un carattere civile, di

opposizione alle tirannidi e di affermazione della patria quale

sommo valore. Con lui la letteratura assume una nuova funzione un

carattere decisamente nazionale e politicamente propositivo: “Il

proposito di rinnovamento civile diventa più che mai di

rinnovamento politico”, in quanto si accompagna ad un’intenzione

operosa, una volontà di azione, che è consapevolezza e dunque, in7

se stessa, già un primo passo verso l’avvenire quale momento

dell’atto, quello precedente della potenza avendo già offerto i

suoi sviluppi. Alfieri si pone come prototipo di questo

“volgimento intellettuale” verso la nazione. Non a caso sarà visto

non tanto come un precursore, ma in piena identità con il

Risorgimento4 e, più correttamente seguendo Volpe, come

“iniziatore”, animatore, per la presenza nella sua opera

dell’elemento volontaristico. Ancora più caratteristico per Volpe

sono in lui il misogallismo e lo spirito antifrancese; gli scritti

di Alfieri, contemporanei agli avvenimenti della repubblica

partenopea, contribuirono nel loro insieme, a spingere all’azione.

Volpe ne offre la spiegazione: da un lato, la sua opera rispecchia

l’assimilazione delle dottrine libertarie in dispregio della

tirannia, facendosi specchio dell’avanzamento civile della

penisola; dall’altro, per l’atteggiamento antifrancese, egli è

caratteristico del clima disilluso degli ambienti

dell’intellettualità napoletana a seguito del fallimento

dell’esperimento repubblicano. Alfieri diventa l’emblema del

sentimento di italianità che covava sotto la ricezione

dell’esemplarità francese espressa dall’azione rivoluzionaria. Una

volta spazzata la superficie del filofrancesismo e compreso che

per compiere l’unità politica si doveva contare solo sulle forze

interne, ci si aggrappò a quel nocciolo di italianità già espresso

dall’Alfieri:

Così l’ondata rivoluzionaria francese, che in un primo momento

pareva doveva sommergere tutto e tutti, veniva via via assorbita, e

riemergeva, trascolorato, il terreno italiano. I giacobini e i francomani

4 W. Maturi, Risorgimento, in «Enciclopedia italiana», XXIX, Roma 1949, pp. 434 –439.

8

della prima ora passavano nell’ombra, mal visti e beffeggiati come

traditori e scioccamente ingenui. Alfieri prendeva nei teatri il posto

dei drammi francesi. Contro il troppo gallico parlare si faceva l’elogio

e si raccomandava l’uso della lingua italiana5

Nell’idea di un Risorgimento come fatto elitario, guardato

nelle componenti sociali italiane ma profondamente europeo quanto

ai motivi profondi a livello culturale, c’è la spiegazione di

fondo del rapporto fra Risorgimento e Rivoluzione francese. Volpe

rifiuta le due interpretazioni tradizionali opposte l’una

all’altra nell’affermazione del carattere in tutto indigeno o

allogeno di quel rapporto. Le origini del liberalismo italiano

sono nel giacobinismo napoletano, quel primo contatto con la

rivoluzione ha svelato le potenzialità del popolo, ha diffuso i

primi sentimenti di patriottismo e nazionalismo, di indipendenza.

Si trattò di una mescolanza fra elementi vecchi e nuovi, di un

risveglio di sentimenti sopiti, già pronti; l’elemento giacobino

costituì un esempio, servì da spinta al risorgimento politico,

alla traduzione in fatti di vecchie idee e pure teorie, ma quel

processo di individuazione nazionale era in atto e seguiva un

percorso autonomo. In merito agli avvenimenti della rivoluzione

napoletana del 1799, Volpe evidenzia una frattura fra progetto di

rinnovamento politico e progetto di rinnovamento sociale, nel

senso che non ci fu in questo caso, come non ci sarà nel

Risorgimento, l’unione fra rivoluzione politica e rivoluzione

sociale, cioè quella piena convergenza di interessi fra le classi

sociali protagoniste dell’azione rivoluzionaria, per ragioni

5 G. Volpe, Primo incontro con una rivoluzione, in Momenti di storia italiana, cit., p. 306. 9

diverse: nel caso napoletano, per un chiaro antagonismo di classe

fra elemento popolare da un lato e proprietari e galantuomini

dall’altro; nel caso della rivoluzione nazionale, sia per una

ridotta partecipazione dell’elemento popolare, sia soprattutto per

il prevalere dell’orientamento liberale6.

La rivoluzione francese come fatto ideale, secondo Volpe,

ugualmente non può essere chiusa nei confini di Francia. Prima di

svolgere i suoi effetti pratici, nell’‘89 riguardò l’intera

Europa. Allo stesso modo sarebbe falso sostenere che non ci fu

alcun impulso o collegamento e che il nostro Risorgimento si

svolse in completa autonomia, perché la rivoluzione francese agì

come un’effettiva spinta all’azione. Proprio il collegamento fra

Italia ed Europa, e cioè l’inserire il Risorgimento nel contesto

della civiltà europea, contribuì a restituirgli la sua reale

importanza; sarebbe una visione troppo ristretta ed angusta

racchiuderlo nei limiti esclusivi del patriottismo. Per tutto il

‘600 e il ‘700 il confronto culturale ha posto il problema

dell’unità politica e dell’identità nazionale a pena della stessa

sopravvivenza economica; tale confronto è ripreso con più forza

dopo la Restaurazione quando i Savoia hanno svolto un ruolo

centrale per le sorti della penisola in chiave di unificazione

6 G. Volpe, Momenti della rivoluzione napoletana, dal numero unico “FrancescoCaracciolo”, Federazione dei Fasci di Combattimento di Napoli 1942, ora inMomenti di storia italiana, cit., pp. 309 – 330. In dettaglio, la presenza francesedeterminò uno schieramento rivoluzionario a favore della repubblica, suddivisoin una parte moderata e una d’impronta più giacobina, interessato a proseguireil riformismo avviato dai Borbone e, in ragione dell’estrazione socialearistocratica o borghese, ad una rivoluzione eminentemente politica. Sul fronteopposto, i controrivoluzionari, cioè la massa popolare che mirava alle riformesociali, economiche e aveva i propri nemici nei francesi, nei giacobini e neipossidenti. Secondo Volpe, questa frattura impedì all’esperimento di duraretogliendo al Mezzogiorno la possibilità di farsi promotore della rivoluzionenazionale.

10

nazionale. La Restaurazione, seguendo gli interessi di Inghilterra

e Austria, portò all’ingrandimento dello Stato sabaudo e in

qualche modo contribuì a creare le condizioni favorevoli perché

quel cammino di individuazione nazionale potesse proseguire:

Il Risorgimento italiano cioè la formazione dello stato nazionale in

Italia, è forse il fatto di maggior portata europea del XIX secolo, quello che

per un verso rappresentò nel modo più perfetto il nuovo principio nazionale –

liberale e quindi la nuova vita dell’Europa […] principio questo dominante in

Europa fino alla seconda guerra7

il periodo della Restaurazione si caratterizza secondo Volpe

per la presenza di un forte elemento volontaristico che

alfierianamente avvierà una nuova fase nella storia del popolo

italiano. Dal 1815 al 1860, con forte enfasi sull’elemento

processuale e continuativo del cursus historiae, c’è un costante

progresso nel cammino verso l’unità; i protagonisti sono i

giacobini e i patriotti del periodo napoleonico, quella minoranza

colta costituita da elementi borghesi su posizioni intellettuali

avanzate e moderne che portavano avanti idee di libertà politica e

costituzionalismo; con una forte modernità anche sul piano sociale

che derivava loro dall’avanzamento economico realizzato, dagli

uffici pubblici svolti e dall’acquisizione di una nuova posizione

sociale che incarnava a pieno l’ideale liberale europeo intriso di

dinamismo e spirito d’iniziativa. L’elemento in più rispetto al

passato fu la consapevolezza di dover assumere il compito su loro

stessi, la “volontà di far da sé”, di assumersi appieno le

responsabilità del progetto politico dell’unificazione; i popoli

sono artefici della propria storia, purché siano in grado di unire

7 G. Volpe, L’Italia del Risorgimento e l’Europa, in Nuove questione di storia del Risorgimento edell’unità d’Italia, Marzorati, Milano1961, p. 178.

11

le proprie forze, purché abbiano senso di appartenenza nazionale.

Ormai i tempi erano maturi, c’era la consapevolezza che l’unità e

l’identità nazionale erano “un lavoro antico di secoli” come

afferma Volpe, che ora necessitava di un atto di volontà di

popolo, sotto la guida della classe dirigente.

C’è una stessa direzione di marcia nel lavoro intellettuale di

Gentile e Volpe, che è interessante sottolineare perché indicativo

della cultura italiana del tempo segnata del neoidealismo. Del

Noce ha sostenuto che nel pensiero di Gentile il Risorgimento è

una categoria filosofica, non è cioè semplicemente un fatto

storico, ma ha un ruolo come idea nella sua visione etica e

politica, più precisamente ha spiegato come non sia possibile

comprendere la posizione attualista senza partire dal presupposto

che il Risorgimento è collegato, è “imparentato” con la

Restaurazione. Nel fare questa operazione, Gentile evidentemente

prende una strada che sul piano filosofico va a diversificare

l’attualismo dall’hegelismo, che è pensamento della realtà storica

sorta dalla rivoluzione francese; mentre sul piano storico,

legittima lo sganciamento della rivoluzione nazionale italiana

dalla rivoluzione francese. Inoltre Del Noce, ha dimostrato che in

Gentile la comprensione della storia della filosofia italiana nel

suo rapporto con il processo europeo del pensiero è legata alla

ricerca “dell’unificazione culturale dell’Italia quale superamento

delle culture regionali e compimento morale, in ciò, dell’unità

risorgimentale” e ancora che “Risorgimento significa invece

ripresa e affinamento di una tradizione, dopo che essa è stata

messa in crisi”8. Molti i temi comuni fra i due autori: l’enfasi

8 A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, IlMulino, Bologna 1990, pp. 125 – 126 e p. 130. Il capitolo in questione era

12

sulla Restaurazione, il richiamo ad Alfieri, il tema della

circolazione Italia – Europa, la stessa definizione di

misogallismo9. Entrambi, evidentemente, si adoperavano, su piani

diversi, per la costruzione dell’identità nazionale sorta dal

Risorgimento, entrambi facevano della “storia” - storia della

filosofia o storia fattuale - un criterio di interpretazione, un

sistema di pensiero, nello stesso modo in cui, è sempre Del Noce a

sottolinearlo, De Sanctis lo aveva fatto con la storia della

letteratura italiana.

La varietà ideale

L’elemento di difficoltà evidente, che Volpe riscontra fin

dagli anni Trenta, è quello che egli definisce la “varietà

interna” del nazionalismo italiano. Si tratta della particolare

storia peninsulare, delle varie forme di governo che qui si sono

succedute e del conseguente riflesso nei caratteri della borghesia

nazionale – quella che vuole costruire la nazione - anch’essa

composita, un insieme di forze socialmente ed ideologicamente

diverse, che un po’ per loro conto un po’ per azione comune, si

rendono protagoniste del progetto unitario.

La varietà interna di correnti ideali e di progetti politici,

intuisce Volpe, avrà un effetto duraturo, sarà la forza e insieme

la debolezza dell’Italia, il segno inequivocabile della storia

apparso nel 1968 come saggio con il titolo L’idea di Risorgimento come categoria filosofica inGiovanni Gentile, nel «Giornale critico della filosofia italiana».9 Nelle pagine dell’Italia moderna, del resto, Volpe trattando le figure di Mazzinie di Gioberti rimanda esplicitamente ai Profeti del Risorgimento di Gentile pubblicatoda Sansoni nel 1923. Si tratta di un dato documentale di notevole importanzaconsiderando il ruolo che ha il giobertismo all’interno dell’attualismo e per ilquale, sinteticamente, si può dire che la filosofia di Gentile è pensamentodella realtà sorta dalla connessione fra Risorgimento e Restaurazione religiosa,dunque creatrice, né illuministica né meramente politica.

13

trascorsa, il residuo di secoli che unitariamente ora chiama tutte

le correnti ad agire, ma che le richiama attraverso voci diverse,

evocando progetti, diversi, sulla base di tradizioni diverse,

dalle federazioni all’impero, dai comuni medievali alle monarchie

straniere dal guelfismo al repubblicanesimo giacobino10.

In questa sede, non è possibile soffermarsi sull’analisi delle

correnti ideali del Risorgimento prese in rassegna da Volpe

nell’Italia moderna, nell’Italia in cammino e in tanti altri brevi

interventi, probabilmente, senza tralasciarne nessuna. È

importante invece, tirare le somme del suo ragionamento in

proposito; il primo elemento, quello della varietà ideale,

determinerà progetti politici e disegni costituzionali diversi, di

Italia diversa nei principi e nei valori fondanti, enfasi di volta

spostata su aspetti libertari, sociali, costituzionali e cosi via.

Il 1848 – ‘49 secondo Volpe, interviene a far chiarezza in questa

varietà imponendo un progetto sugli altri indicando, e questo è un

punto centrale, la strada più adatta e più facilmente

percorribile. Ciò accade per merito del genio piemontese di

Cavour, attraverso quella che Volpe definisce “progressività degli

obbiettivi”, rendendo una luce ben diversa alla cosiddetta

moderazione, alle accuse di compromesso o incompiutezza della

rivoluzione nazionale rivolte alla monarchia sabauda.

Volpe, inoltre, analizza anche le ragione del fallimento di

ciascuno dei progetti di Italia alternativi a quello che

oggettivamente si è realizzato nel ’61: quello neoguelfo, ad

esempio, per interna ed intrinseca contraddizione; quelli

10 Il riferimento per un inquadramento generale del tema è a G. Volpe, A chi legge,prefazione a L’Italia in cammino, Treves, Milano 1927; Id., Italia moderna 1815 – 1915,Sansoni, Firenze 1943.

14

democratici avanzati e socialisti perché prematuri sia

nell’elemento popolare -assai meno rivoluzionario di quanto

idealizzato dal mito francese- sia nell’elemento della classe

dirigente che indietreggia innanzi alla rivoluzione sociale;

l’idea federale, per il prevalere dell’obiettivo unitario, questo

sì maturo nella coscienza collettiva. Un elemento infine fu

decisivo, il discredito che i moti del ‘20 – ‘21 avevano gettato

sulle altre dinastie disposte ad aprirsi al liberalismo, ma chiuse

davanti all’ipotesi unitaria.

Il Risorgimento nei fatti: Casa Savoia

Al contrario, Casa Savoia si era mostrata disposta ad assumere

la guida del popolo italiano e a mettere al servizio dell’unità il

suo credito fra le nazioni europee, il suo esercito e la sua

diplomazia. Cavour è per Volpe l’espressione più brillante della

furba ragionevolezza, la ragionevolezza della mediazione fra gli

opposti, della cautela e della progressività, del politicamente

possibile.

La progressività negli obiettivi da raggiungere, della quale

la politica di Cavour è altissimo esempio, è la chiave di volta

dell’intero processo di unificazione in atto: la politica sabauda,

e quindi la direzione dall’alto del movimento unitario,

rappresentano per Volpe, uno dei due poli che si dirigono verso

quella convergenza di obiettivi che viene realizzandosi fra le

varie forze sociali, attivatesi per l’affermazione dell’idea di

nazione; l’altro polo è costituito dalla base popolare nazionale

conversa anch’essa su un progetto altrettanto concreto e

ragionevole.

15

Governo sabaudo e base popolare, dunque, sono i due poli del

continuum rappresentato dagli avanzamenti in termini di formazione

della coscienza nazionale, avanzamenti assolutamente e

preliminarmente necessari perché i vaghi e antichi richiami

all’unità si trasformassero in azione politica; la modalità di

attuazione sarà la progressione, la politica del possibile; nel

mezzo, lungo l’asse, la sostanza del continuum, per così dire, è

data dalla varietà ideale del Risorgimento ovvero i progressi di

volta in volte compiuti.

Cavour, è messo da Volpe, al fianco dei padri della patria,

insieme a Mazzini e Garibaldi, “figure che già in se stesse, e

indipendentemente dalle idee che incarnavano, sono singolare ed

energica manifestazione della nuova vita d’Italia, degne di

rappresentare idealmente un popolo che risorgeva”:

In lui sfociava come pensiero, il meglio delle correnti moderate anteriori

al ’48, il meglio del giobertismo, quel che di esso non si era dimostrato

utopia, in conformità agli ideali libertari che gli erano propri cercava di dare

vita nel Piemonte ad un ordinato regime costituzionale e parlamentare, […] per

accreditar il Regno sardo agli occhi dei liberali italiani ed europei; si

adoperava a raccogliere nelle sue mani le fila del movimento nazionale e

liberale italiano e a suscitare, orientare verso il Piemonte, disciplinare

nell’idea monarchica le forze rivoluzionarie della penisola, realizzando una

politica interna di sviluppo e rafforzamento e politica estera di iniziative, di

occasioni colte, e al bisogno, create: l’una e l’altra politica, viste e

praticate nel loro organico nesso11.

11 Ivi, p. 20. Secondo Volpe “di uomini che cumulino le qualità di un Mazzini e di unCavour, la storia ne genera sempre pochi: meno che mai poteva generarne nell’Italiadell’800, quando il quadro in cui si muovevano i sui politici era troppo ristretto edefinito, cioè i piccoli Stati della penisola, o troppo vasto e indeterminato, cioè lacosmopoli liberale e rivoluzionaria”, ibidem, p. 24.

16

La rivoluzione incompiuta: gli esclusi

Volpe ritiene che senza una mediazione dei programmi massimi

non si sarebbe potuta attuare l’unità politica; perché si

giungesse a risultati concreti era necessario rinunciare a

qualcosa in termini ideali. La scissione fra rivoluzione politica

e rivoluzione sociale nel programma d’azione degli uomini del

Risorgimento, che lo caratterizza in termini conservatori dal

punto di vista sociale, è nell’opinione di Volpe, conseguenza

immediata della necessità di procedere per gradi e di rispettare

la priorità accordata agli aspetti propriamente politici. Il

problema dell’unità e dell’indipendenza posero in secondo piano i

problemi che riguardavano le modalità di organizzazione dello

Stato unitario, il suo assetto, la sua coloritura politica e

l’indirizzo politico generale da imprimere al governo. Era

evidentemente necessario innanzitutto assicurarsi l’esistenza e la

stabilità dello Stato unitario. Dunque l’estrema varietà ideale,

carattere che abbiamo visto essere preminente nell’interpretazione

volpiana del Risorgimento, determinava l’individuazione di

problemi variamente ordinati ed intesi come prioritari dalle forze

politiche, per comporre un quadro complesso composto da numerosi

punti programmatici, ed obiettivi che solo a scaglioni entreranno

a far parte delle forze direttrici del moto unitario:

Era forse inevitabile che cosi avvenisse. L’Italia si è, nell’ultimo

secolo, mobilitata a scaglioni successivi e ben distinti, essendo in essa poca

omogeneità e compattezza di popolo. Distinti e successivi, perciò anche i

problemi da risolvere. Impossibile sentirli, vederli. E tanto meno affrontarli

in blocco. Chi volle bruciare le tappe, chi credé che si potesse e dovesse

17

operare disponendo in ordine diverso quei problemi e anche solo fondendoli

insieme, si dové ricredere, magari pagando con la vita il generoso errore12

La realizzazione dell’unità passò attraverso la via della

gradualità che in se stessa è imperfezione, contraddizione, nella

misura in cui è compromesso:

Nella nuova temperie cavouriana, opera del tempo e opera di lui, si

attenuò il gran contrasto delle dottrine e partiti e tendenze italiane.

Impallidirono certe pregiudiziali. L’Italia non fu più una lizza di giostranti.

Uomini di natura provenienza diverse trovarono, anche senza cercarlo, un minimo

di elementi comuni in cui quietare e collaborare. Vennero in prima linea i fini

politici […] “Primum vivere”: quindi, essenzialmente, l’indipendenza, dietro la

quale, sia pur con linea ancora incerta quanto ai modi dell’attuazione,

l’unità13.

È questa la circostanza che determina la percezione -più

vivida alla fine del processo di unificazione che ai suoi albori-

che buona parte della popolazione sia esclusa ed estranea a quegli

stessi avvenimenti e che identifica, quindi, il risultato del

Risorgimento nella nascita di due nazioni distinte: quella della

classe dirigente e quella degli esclusi. Da un lato chi partecipò

al processo di unificazione attivamente, dall’altro coloro che

rimasero passivi e che, avendolo in buona parte subito, nulla

avevano apportato e nulla avevano assorbito dello spirito

nazionale.

12 Ivi, p. 26. Il riferimento è a Pisacane, che legava la rivoluzione nazionale agli aspettisociali e intendeva abbattere l’ordine politico coinvolgendo le masse; Volpe nonapprezzava l’impostazione del problema dello Stato nazionale in termini “di lotta e nondi collaborazione sociale”, ibidem, p.27. L’altro riferimento è a Ferrari, nel quale ilprogramma rivoluzionario socialisteggiante era per di più privo di ogni accento nazionalee invocando l’intervento francese come risolutore del problema italiano si muoveva su unfondo di internazionalismo incompatibile con le convinzioni ideologiche e la visionestoriografica del Risorgimento di Volpe, ivi, pp. 43 – 44. 13 Ibidem, p. 25.

18

Del resto è innegabile, che il “decennio risolutivo” cosi come

viene definito da Volpe, dal ‘48 – ‘49 al ‘59 – ‘60, trovando la

guida nella monarchia sabauda e in Cavour, registrò un forte

blocco di forze estranee giungendo inevitabilmente ad un risultato

imperfetto e parziale e che lasciò il ben più gravoso e noto

compito di dare corpo e concretezza all’Italia, proprio fra gli

esclusi. La classe dirigente avvertiva questo compito con forza e

urgenza consapevoli che l’unità era presente più nei loro spiriti

ed ideali che non nella realtà dei fatti.

Dunque, il Risorgimento fu realizzato da una minoranza che,

diversa per provenienza geografica e sociale, rappresentava la

“vera aristocrazia morale della nazione” proprio perché – animata

dal sentimento nazionale ed espressione di “frammenti di classi

diverse” – non agì come classe economica e sociale ma come

avamposto della prima classe nazionale, che si mobilita in nome

della nazione, ponendosi un obiettivo squisitamente politico.

Anche se il Sud ha lasciato l’iniziativa della rivoluzione

nazionale dopo il fallimento del ’99, il movimento che è partito

dal ’96 non è andato perduto, precisa Volpe, in quanto anche i

patriotti e gli stessi oppositori dei giacobini, i contadini del Sud,

avevano contribuito all’avanzamento delle idee liberali e

costituzionali nel loro complesso, almeno in un’ottica di lungo

periodo. Ciò non toglie naturalmente che grossi blocchi della

popolazione ne rimasero esclusi:

Assente in un modo o in un altro, buona parte della nobiltà. Assente, un

grandissimo numero di cattolici militanti. Assente o contrario, salva la

parentesi di Pio IX, il 1846 – 48, il clero. […] E, col clero, la totalità dei

contadini, che formavano sempre un mondo a sé e mancavano di ogni affiatamento

con i novatori politici; come questi, e in genere il più della borghesia,19

mancavano ancora di ogni disposizione ad intendere la vita di quelli, i loro

bisogni, i loro sentimenti o anche pregiudizi14.

Dunque la minoranza artefice dell’unità, assume il carattere

di avanguardia morale della nazione definita da Volpe come una

“una specie di Internazionale” liberale – nazionale, che si muove

contro le monarchie assolute in nome di ideali politici moderni,

mossa “dalla coscienza di un diritto, dal sentimento dei nuovi

temi, dalla fede nel progresso, dall’ottimismo liberale proprio di

tutte le borghesie del XIX secolo”.

All’obiezione che l’Italia come entità politica unitaria non

esiste, o è una creazione posticcia o fittizia, Volpe risponde con

il realismo del proprio metodo storiografico: la realtà,

l’oggettività dell’Italia, sta nella concretezza e nella forza

della sua idea. Che l’idea di Italia sia più o meno storicamente

fondata, è un problema diverso per lo storico, l’idea d’Italia ha

agito e ha creato l’unità:

L’idea, l’immagine di un’Italia già unita e potente, avanti che barbariche

invasioni e poi straniero dominio la riducessero alla divisione e quasi

all’annullamento, dominarono le menti e le fantasie, come non mai. Qualunque

fosse il valore storico di tale idea o immagine, certo essa accompagnò tutto il

Risorgimento, ne fu il mito animatore, concorse a creare la coscienza di un

diritto e la fede nell’avvenire. La stessa parola “Risorgimento”, entrata

nell’uso, col suo significato specifico, attorno al 1848, aveva a presupposto la

nozione di quell’antica grandezza, anche politica dell’Italia. Su due età

specialmente s’affissarono gli Italiani, come principio di vita e fonte

d’ispirazione: quella di Roma antica e quella dei Comuni. E taluni, certe

correnti politiche e ideologiche, più su la prima; altri più sulla seconda […].

Ma guardato in sintesi, il passato dell’Italia si poteva chiamare con una parola

sola, Roma: Roma repubblicana innanzi tutto e Roma papale; Roma due volte

14 Ibidem, p. 34.20

maestra di civiltà al mondo e due volte datrice di unità; Roma capace, con

questo suo passato e in virtù della legge immanente del progresso, di dare agli

Italiani e al mondo una unità ancora più alta e comprensiva, quella dei popoli

affratellati15.

Il Risorgimento per realizzarsi doveva svolgere quest’azione

di ricucitura del presente, segnato dalla decadenza, con il

passato e con la storia, recuperandone la tradizione e facendola

propria. Il passato diventava mito che sollecitava l’azione. Il

recupero del passato seguiva però due direzioni: da un lato in

chiave positiva spingeva all’azione, dall’altro sottolineava la

debolezza del carattere italiano guardando alla recente decadenza

e all’incapacità di reagire per cosi a lungo. Volpe si riferiva

esplicitamente ad un rafforzamento del senso civico, al

rafforzamento dell’identità nazionale a “quasi un esame di

coscienza nazionale” che non avvenisse nella chiusura dei propri

confini. È un punto importante della sua analisi, quello in cui

richiama al processo osmotico fra la cultura europea e quindi alla

necessità di aprirci all’Europa anche per individuarci come

nazione. Anche nella cultura europea c’è continuità, l’Europa vive

della vita delle nazioni e queste si arricchiscono con questa in

uno scambio reciproco e costante. Il mito della nazione per Volpe

si fonda proprio su questa duplicità: recupero come individuazione

nazionale e recupero come scambio, con questi due movimenti,

quello verso il passato per recuperare la tradizione e l’altro

verso il presente per arricchirci e crescere con il confronto con

altre culture; in questa duplicità, in questo insieme, sta il

nocciolo dell’individualità nazionale:

15 Ibidem, p. 38 – 39.21

La nazione era idealizzata, esaltata, quasi divinizzata, sul fondamento di

un principio proprio che essa portasse in essa e con sé; nel tempo stesso, si

auspicava un affratellamento fra le nazioni, una nostra collaborazione attiva

con l’Europa, nella persuasione che solo cosi si poteva risanare la nazione dai

mali del secolare isolamento, potenziare l’Italia16.

Il mito della rivoluzione mancata, il secondo risorgimento, la patria divisa e

l’identità nazionale nel dopoguerra

Poiché l’Italia nasce da una cooperazione imperfetta di forze

varie al loro interno, ma fortemente consapevoli del problema

nazionale contrapposte alla massa popolare, era normale che

sorgesse “il senso di due Italie morali cucite insieme alla

meglio”, in quanto intere province furono assenti se non contrarie

e subirono l’unificazione, mal sopportarono il nuovo ordine

istituzionale, culturalmente a loro estraneo e che non capivano.

Eppure per Volpe non si trattò di un’usurpazione illegittima: fu

l’Italia possibile, quella che concretamente poteva realizzarsi e

nei soli modi in cui s’è realizzata. La necessità

dell’indipendenza dallo straniero, attraverso i Savoia, sostiene,

creò un legame di fatto sebbene precario e parziale tra re e

popolo colto, quell’unità tra re e nazione che era alla base di

alcuni stati moderni e che nel caso italiano era un tentativo

riuscito solo in parte. Il tema del Risorgimento incompiuto

troverà ampio spazio nell’opera volpiana insieme a quello

dell’integrazione delle masse nello stato, inteso non come mera

assimilazione amministrativa, ma in perfetta consequenzialità

rispetto all’idea di sviluppo progressivo della coscienza

16 Ibidem p.40.22

nazionale, come integrazione morale e partecipativa, come adesione

spirituale alla nazione. La dilatazione della periodizzazione in

effetti, andrà oltre il 1870 per inglobare la guerra di Libia,

come trasfigurazione della guerra coloniale in guerra patriottica

e di espansione della nazione oltre i confini territoriali;

infine, soprattutto, la prima guerra mondiale, quale IV guerra di

indipendenza ed esame di riparazione della nazione a riscatto

delle cattive prove militari del passato17.

La tesi di Volpe, partendo dalla differente composizione

ideologica delle forze consapevoli del problema nazionale italiano

e della conseguente varietà programmatica di questa classe

nazionale, afferma la necessità di un compromesso o di una base di

accordo minima, ma comune, affinché si avviasse la costruzione

effettiva dello Stato unitario. La conseguenza di un’impostazione

dell’unificazione di questo genere è il carattere provvisorio e

strumentale di questo accordo che necessariamente, una volta

raggiunto l’obiettivo primario, doveva infrangersi e riportare

alla luce i nodi ideali in un primo tempo messi da parte. In

effetti, quei motivi iniziali riaffiorano dopo l’unità nelle varie

configurazioni del mito nazionale, nel diverso modo di intendere

la terza Roma e l’idea di missione; ma soprattutto, quei motivi

riaffioreranno in ogni momento critico dello Stato nazionale,

davanti all’intervento nella prima guerra mondiale e dopo, davanti

al fascismo, nella guerra civile e nel cosiddetto “secondo

Risorgimento” dei resistenti. Da allora la divisione si è

sclerotizzata nella formula fascismo – antifascismo fino a quando

17 Sul punto si vedano G. Belardelli, Il mito della nuova Italia. Gioacchino Volpe tra guerra efascismo, Edizioni del lavoro, Roma 1988; p. 20 ss. G. Volpe, Italia moderna 1910 - 1914,Sansoni, Firenze 1973; p. 372 ss.

23

De Felice e Del Noce hanno avviato l’erosione di questa dicotomia

che impediva la comprensione della storia e della cultura del

paese, non lo faceva andare avanti o, per dirla con Volpe, non

conduceva ad un “esame di coscienza” nazionale.

In tutti i grandi pensatori, ci sono pagine che restano

insuperate, intuizioni che rimangono sempre attuali; nel caso di

Volpe probabilmente è il concetto di varietà ideale del

nazionalismo italiano che ancora oggi è un valido criterio

interpretativo della storia d’Italia. In ciascuno dei momenti di

crisi, infatti, quella varietà ideale, si è trasformata in

divisione nazionale e appropriazione dell’idea di nazione; come a

dire che, quel “senso di due Italie cucite insieme alla meglio”,

riferito al post risorgimento, non sia stato del tutto superato.

L’intuizione di Volpe va oltre, egli non si limita infatti a

notare la composizione varia del paese che deriva dalla diversa

tradizione- comuni, signorie, monarchie, dominazioni straniere -;

egli più volte sottolinea che questa caratteristica è la forza e

insieme la debolezza dell’italianità, probabilmente un carattere

proprio e non cancellabile, con il quale bisogna “fare i conti”,

usando un termine a lui caro.

Anche nell’intenzione dei costituenti, la necessità di

conciliare visioni politiche diverse e valori contrapposti fu

presa in considerazione, dando vita ad un assetto costituzionale

che faceva del pluralismo e della rappresentanza proporzionale i

suoi pilastri, sulla base di un costituzione materiale che

accoglieva valori di compromesso fra i tre due grandi partiti di

massa. Gli elementi che difettavano nel sistema politico della

prima Repubblica, in effetti, e che incidevano sul suo cattivo24

funzionamento, erano riconducibili alla rappresentanza e alla

dinamica fra classe dirigente e base popolare, cioè a quella

“debolezza” riferita dallo storico. Forza o debolezza, diventa

quasi un’opzione della classe dirigente ed intellettuale; anche

l’esperienza del ventennio fascista portava a questa possibilità

che si rispecchia in una precisa presa di posizione di fronte

all’opzione fascismo – antifascismo protratta in una battaglia

culturale.

La categoria volpiana della “varietà” ha una seconda

conseguenza, quella di determinare accordi ed alleanze temporanee

che presto cadono in frantumi; pensiamo ai primi anni del regime –

a tal proposito sarà lo stesso Volpe a parlare di “vario fascismo”

prima che diventasse regime in senso stretto – o ancora, per dirla

con Bobbio alle “ideologie della resistenza” dove, ad esclusione

del Partito d’Azione secondo lui caratterizzato specificamente

come lotta antifascista, le ideologie resistenziali sono quelle

del liberalismo e del comunismo legate dall’accordo temporaneo in

funzione antifascista ma lontane nell’obiettivo finale: la

dittatura del proletariato da una parte e la restaurazione della

libertà dall’altra. Liberaldemocratici e comunisti, entrambi

“passarono attraverso la resistenza ma non vi si identificarono”18.

Laddove l’azionismo, l’ideologia dell’antifascismo totale, unendo

i due nemici del fascismo – liberalismo e comunismo – non voleva

né restaurare la vecchia democrazia né voleva la rivoluzione, ma

partiva dall’assunto gobettiano del fascismo come autobiografia

della nazione e guardava al fallimento del Risorgimento, alla

18 N. Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Einaudi, Torino 1986, p. 25. 25

mancata rivoluzione e vedeva nella resistenza il secondo

risorgimento, quella guerra popolare che non c’era stata nell’800.

Si è citato Bobbio, proprio perché con i suoi distinguo

evidenzia palesemente quell’effetto divisorio sull’identità

nazionale. Bobbio, è fra coloro che maggiormente hanno inteso

radicalizzare lo scontro fascismo – antifascismo portando fascismo

e cultura all’antitesi massima, come ha chiarito Del Noce, senza

tentare alcuna conciliazione fra Croce e Gentile, ma rigettando

tutto l’attualismo come spiritualismo immanentista e Gentile come

cattivo filosofo, con pieno capovolgimento di tutto il senso

dell’opera del filosofo ridotto a “retore dell’ideologia

italiana”19. Rosario Romeo, a commento di un convegno di storici

nel 1978 -organizzato dalla Fondazione Feltrinelli e dalla Società

Siciliana di Storia Patria-, emblematicamente ai poli del paese,

ricordava ai lettori de «Il Giornale» che gli storici sono da

sempre divisi sull’interpretazione dell’Italia liberale di qua e

di là dagli anni del fascismo, come già sul Risorgimento le

opinioni sono contrapposte

Per gli uni, il processo della società e dello Stato italiano, fra

inevitabili contraddizioni e battute d’arresto, va tuttavia inteso come un

graduale sviluppo che ha portato il nostro paese rimasto ai margini della

società europea nei secoli della “decadenza”, a partecipare in larga misura alle

più avanzate esperienze del mondo moderno. Per gli altri, il nuovo organismo

nacque già inceppato nel 1860, e nel corso di oltre un secolo non è mai riuscito

19 A. Del Noce, Giovanni Gentile, op. cit., pp. 287 – 290. In questo modo, Bobbiodava un’interpretazione senza scampo di Gentile filosofo di Mussolini e delfascismo, dell’attualismo chiuso rispetto alla cultura europea, antilibertarioin contrapposizione a Croce, che aveva rinnegato e capovolto l’insegnamentocrociano; Gentile diventava così filosofo dell’altra Italia quella dellaretorica, dei primati e delle missioni.

26

a superare il suo vizio d’origine, che solo una drastica rottura rivoluzionaria

potrebbe eliminare.

Romeo, nell’esprimere la propria posizione a sostegno

dell’Italia liberale, quella che non ha fatto la rivoluzione, ma

che ha fatto i conti con il proprio passato, richiama Volpe quando

evoca la “prospettiva gradualistica”:

Nonostante la drammatica esperienza del ventennio fascista e della seconda

guerra mondiale, l’Italia unita si è mostrata in grado di portare la società

italiana a livelli impensabili un secolo fa anche senza la rottura

rivoluzionaria auspicata e proclamata anzi inevitabile dalle correnti di

opposizione, già al momento dei plebisciti. (…) le vecchie strutture hanno

mostrato una duttilità e una capacità di adattamento che di fatto smentisce le

apocalittiche e sempre ricorrenti profezie di sognatori di rivoluzione e che

consente di vedere nella storia unitaria una misura non trascurabile di

successo. A questa prospettiva gradualistica e moderatamente positiva si sono

raccordati molti storici che trent’anni fa furono fra i primi a denunciare i

presunti vizi organici e la mancanza di avvenire della costruzione unitaria

e chiude:

Le discussioni sulla storia d’Italia non sono mai state un

lusso di eruditi e di cultori delle patrie memorie; ma una

battaglia per il controllo e la guida della coscienza politica e

civili degli italiani20

Di Isabella Valentini

20 R. Romeo, Apologia del fallimento, in «Il Giornale», 23 dicembre 1978, ora in Scritti storici, Saggiatore, Milano 1990, pp. 341 – 343.

27