La tabacchiera dell'Altro. L'Italiano del Risorgimento alla prova dell'Estraneità
L'interpretazione del Risorgimento in Gioacchino Volpe
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L’Interpretazione del Risorgimento in Gioacchino Volpei
La nuova periodizzazione
Volpe ritiene che non sia possibile spiegare il Risorgimento
racchiudendolo nei limiti ristretti degli avvenimenti
ottocenteschi; alle spalle del decennio che porta al 1860 c’è una
lunga preparazione, un progressiva maturazione di coscienza e
volontà di giungere all’unità e creare lo Stato nazionale. Per la
propria visione storiografica, l’abruzzese è portato ad
enfatizzare il processo storico in una prospettiva di lungo
periodo, nella sua dinamica di forze contrastanti; il suo metodo
storiografico, infatti, poggia sulla convinzione che la storia sia
essa stessa condizionata dalla storicità, che non ci siano
casualismi o finalismi negli accadimenti, ma solo uno sviluppo che
in se stesso, e nella sua assenza di logica, è la sola sintesi
possibile. Volpe preferisce parlare di un lungo Risorgimento o di
epoca del Risorgimento, per inquadrarlo in un contesto più ampio,
europeo oltre che nazionale, le cui radici risalgono quantomeno al
Settecento, nella battaglia di Torino del 1706, nella guerra di
successione spagnola, fra il 1700 ed il 1713 e più in generale,
nel riformismo dei despoti illuminati. Al fianco di questi
condizionamenti esterni, agiscono fattori e “filoni indigeni”,
come Volpe li definisce, che lavorano nel “sottosuolo” del tessuto
culturale e sociopolitico della penisola e lentamente preparano la
risorgenza nazionale. Elementi materiali ed economici concreti,
che portano i segni dell’azione dell’uomo, che agiscono a livello
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economico, al fondo della stratificazione sociale e che
trasformeranno il paese1.
L’acme della crisi seicentesca fa da spartiacque, quando la
consapevolezza della crisi effettiva e dell’inequivocabile
decadenza genera la volontà di riscatto; per il momento, si
identifica come semplice desiderio di liberarsi dal dominio
straniero. Solo quando quella volontà diventerà un tema politico,
un problema di rinascita e di liberazione, solo a quel punto si
sarà effettuato quel passaggio dalla volontà all’azione, dalla
potenza all’atto. Per l’attuazione di questo scatto sarà
determinante il ruolo di Casa Savoia, “una forza nuova” portatrice
di un proprio interesse di espansione e di consolidamento politico
che, per contingenza e calcolo, andrà a svolgere una politica via
via sempre più antiaustriaca. L’interesse di Casa Savoia e quello
dell’Italia andranno progressivamente a coincidere, cosi come
all’esigenza di indipendenza dallo straniero seguirà quella
dell’unità territoriale e politica. Non si potrebbe comprendere
l’assunzione di questo ruolo nazionale da parte della dinastia dei
Savoia se non si tenesse in conto un presupposto di fondo
metodologico ed interpretativo di Volpe. Probabilmente in questo
modo, tante accuse che gli sono state rivolte cadrebbero o,
almeno. alcune letture in merito al carattere del suo monarchismo
andrebbero riviste.
1 Il riferimento è agli studi economici di Einaudi, Prato e Pugliese sulPiemonte del Seicento e Settecento e che avevano fornito importanti elementi distoria concreta utili a ricomporre il quadro complessivo della preparazione delRisorgimento, cfr. G. Volpe, Progressi dell’economia italiana nel ‘700, ora in Momenti di storiaitaliana, Vallecchi, Firenze 1925, pp. 215 – 243; l’articolo era comparso una primavolta nel 1909 nella «Critica», con il titolo Studi di storia economica.
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Metodologicamente, Volpe innova insieme a Croce e, su un
fronte diverso Gentile, il modo di pensare, scrivere e fare la
storia; in modo diverso tutti e tre si inseriscono nello stesso
filone intellettuale che lega la storia d’Italia al Risorgimento
facendone un problema di identità nazionale. Volpe, nello
specifico, innova partendo dal riconoscimento dei meriti e dei
limiti del cosiddetto indirizzo economico - giuridico e
dell’altro, meno noto, storico - diplomatico. Quest’ultimo
indirizzo di studio, portato avanti sempre sotto l’influsso del
tardo positivismo e dunque combattuto dalla «Critica» perché privo
di una visione interpretativa, -né nazionale ed identitaria né
complessiva - aveva avuto l’importante pregio, come sottolinea
Volpe, di mettere in evidenza i legami fra storia italiana e
storia europea, dimostrando che l’Italia partecipava alla
circolazione europea delle idee, ne respirava pienamente la
cultura sebbene non la vivesse nelle forme politiche e statuali.
Volpe, risalendo dal particolare di quegli studi settoriali di
storia diplomatica e militare a un’interpretazione della storia
d’Italia, sfatava un assioma della storiografia agiografica, cioè
che la soggezione allo straniero, fosse stato solo ed
esclusivamente un male, solo negatività e subordinazione; quasi
fosse un vanto dichiarare che il pensiero dell’unità era vivo da
secoli e per secoli si era stati incapaci di unirsi. La verità dei
fatti per Volpe è altra: la storia d’Italia testimonia che l’unità
nazionale è stata innanzitutto una conquista degli italiani su
loro stessi prima ancora che una conquista sugli stranieri. Uni Questo saggio costituisce la rielaborazione della relazione L’interpretazione delRisorgimento in Gioacchino Volpe tenuta a Savigliano, il 6 e 7 maggio 2011, inoccasione del Convegno su Interpreti e interpretazioni del Risorgimento organizzato dallaFondazione Centro Studi Augusto del Noce.
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processo di maturazione dalla nazione culturale alla nazione
politica, una coscienza di appartenenza nazionale che per gradi
successivi si è ampliata e si è sviluppata da letterario –
culturale a civile e da civile a politica. Continuità della storia
d’Italia dunque, ma senza esclusione delle tesi politiche avverse
o delle forze contrarie al Risorgimento, perché, egli ritiene, la
fine della nazione comincia con la sua appropriazione politica o
partitica. Non è possibile vedere ovunque precursori del
Risorgimento come non è possibile condannare in blocco tutto
quanto è stato realizzato, sostiene lo storico; mentre è facile
osservare che le partigianerie storiografiche sul Risorgimento
sono la costante della nostra cultura, appropriazioni e
contestazioni sono avvenute dopo l’Unità, dopo la prima guerra
celebrata come la conclusione del Risorgimento o un suo male
estremo, nel fascismo, dopo il fascismo, nella Resistenza e contro
la Resistenza. Accuse reciproche, ugualmente sostenibili e
sostenute, contro le quali Volpe si scaglia nel 1935 avvertendo il
pericolo che la nazione finisca per essere divisa piuttosto che
unificata sotto il peso di questo genere di pressioni. In quel
momento preciso, a metà degli anni Trenta, Volpe guarda
all’aggregazione politica che si è polarizzata intorno al concetto
e al valore della nazione per sottolineare come all’appropriazione
politica del Risorgimento risalga la frattura fra sinistra e
nazione liberale, quella costruita sul binomio fra patria e
libertà, frattura che peserà negli anni successivi.
La positività di quella stagione settecentesca, quel
Risorgimento potenziale, quella preparazione allora, come si vede,
non è solo volontà di riscatto o preparazione alla guerra contro
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gli “occupanti”; è crescita e sviluppo di una nazione moderna a
livello culturale nell’intera penisola, in forme e condizioni
concrete diverse da regione a regione; circostanza quest’ultima
che diventerà una caratteristica specifica anche nell’Italia del
Novecento ed oltre. Quanto detto, è già concettualizzato negli
anni Trenta, si tratta del fulcro dell’interpretazione volpiana
del Risorgimento, che Volpe definì da un lato, come un fatto
italiano nato nelle élite sociali e intellettuali e, dall’altro,
come fatto europeo maturato nel nuovo clima dell’Europa
settecentesca2.
La sua interpretazione parte da due elementi, il primo a
carattere strettamente politico – diplomatico e l’altro
rappresentato dai progressi della cultura laica, con la
conseguente attenzione per gli aspetti economici e l’esigenza di
ridisegnare i rapporti tra Chiesa e Stato. La cultura, infatti,
andava orientandosi verso il liberalismo sia sul piano filosofico
sia soprattutto come criterio per la gestione pubblica; una nuova
aristocrazia intellettuale proponeva riforme, lavorava per
rinnovare, si faceva portatrice di una nuova visione politica.
Questo clima di modernità culturale che circola solo fra
uomini di lettere fa spazio ad una prima percezione
dell’italianità come unità e come nazione; alla metà del XVIII
secolo è già iniziato un processo di comunicazione tra il Piemonte
sabaudo e le élites intellettuali sparse nella penisola; l’Italia,
respira la cultura europea delle più avanzate Francia ed
Inghilterra e gli uomini di lettere cominciano a partecipare con i
2 G. Volpe, Principi di Risorgimento nel ‘700 italiano, relazione presentata al XXXVCongresso per la Storia del Risorgimento a Bologna nel 1935, già in «Rivistastorica italiana» f.1, 1936; ora in Momenti di storia italiana, cit., pp. 245 – 290.
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governi per l’attuazione di riforme che, al di là delle valenze
immediate, implicano la ricezione di una nuova visione politica.
Si diffondono i primi elementi di costituzionalismo, l’idea di
partecipazione, l’idea di Stato comincia ad essere slegata dalla
figura del sovrano, viene spersonalizzata per identificarsi con la
nazione. Alla fine del ‘700 si viene formando la borghesia
nazionale e con essa si afferma il liberalismo e l’idea di nazione
prende forma. L’esigenza di mercati più ampi si va ad identificare
con quella dell’indipendenza politica dallo straniero e con la
costituzione di una qualche forma di unità statuale; il
patriottismo non è più a carattere esclusivamente letterario,
l’interesse che lega le diverse regioni della penisola a
costituirsi in unità ha assunto un carattere ed un contenuto
concreto, ci sono anche problemi di vita pratica, civile ed
economica, una sostanza di vita sociale e civile che sono
diventate moderne e che modernamente hanno bisogno di uno stato
nazionale:
La differenza fra il ‘400 e il ‘700 è questa: che nel ‘700 oggetto di
comune interesse sono, in parte notevole, problemi di vita pratica, della
società italiana del popolo italiano. La letteratura è tutta civile. La
evanescente Italia dei letterati ha acquistato un contenuto sostanzioso, una
realtà che non aveva, per questo sforzo delle menti di accostarsi a essa,
penetrarla, intenderla, dominarla, rendervi ragione del suo passato e del suo
presente, dei suoi mali e delle sue possibilità. È diventata l’Italia degli
italiani, più amata veramente perché più conosciuta. Le parole con cui certi
scrittori esortano i principi italiani alla concordia possono essere simili a
quelle che da secoli gli uomini di lettere rivolgevano a loro: ma dentro c’è un
calore, una commozione che prima mancava. […]. È nato, sta nascendo quel
concreto patriottismo che è l’anima del Risorgimento, fatto, se si vuole, di
parole e di idee vecchie ma di sentimenti nuovi3. 3 Ivi, pp. 270 – 271.
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Un clima culturale vivido e moderno mette in comunicazione
poche élites creando una forma embrionale di nazione italiana in
assenza di unità politico – statuale. Questa nascente nazione si
forma nella varietà e nella ricchezza delle province, in una
virtuale repubblica delle lettere presa da un processo osmotico
che la percorre internamente determinando uno scambio di energie
intellettuali tra le varie parti della penisola e tra essa e
l’Europa. Il contenuto che sostanzia le sterili e vecchie formule
letterarie che invocavano un’ipotetica Italia, è apportato dalla
maturazione – frutto della storia stessa e del suo procedere – in
tutti i campi del sociale, in tutti gli aspetti in cui si
configura l’umano svolgersi.
Risorgimento e Rivoluzione francese
Nella galleria dei padri fondatori della Stato nazionale, in
quello che ritiene il momento cruciale per le sorti della penisola
italica, Volpe colloca in primo piano Vittorio Alfieri, come fa,
del resto, lo stesso Gentile, impegnato filosoficamente, e dunque
teoreticamente - e non come Volpe sul piano più elementare dei
fatti accaduti ed interpretati - a slegare il Risorgimento dalla
Rivoluzione francese. Nell’interpretazione di Volpe, Alfieri
imprime un nuovo carattere alle lettere, un carattere civile, di
opposizione alle tirannidi e di affermazione della patria quale
sommo valore. Con lui la letteratura assume una nuova funzione un
carattere decisamente nazionale e politicamente propositivo: “Il
proposito di rinnovamento civile diventa più che mai di
rinnovamento politico”, in quanto si accompagna ad un’intenzione
operosa, una volontà di azione, che è consapevolezza e dunque, in7
se stessa, già un primo passo verso l’avvenire quale momento
dell’atto, quello precedente della potenza avendo già offerto i
suoi sviluppi. Alfieri si pone come prototipo di questo
“volgimento intellettuale” verso la nazione. Non a caso sarà visto
non tanto come un precursore, ma in piena identità con il
Risorgimento4 e, più correttamente seguendo Volpe, come
“iniziatore”, animatore, per la presenza nella sua opera
dell’elemento volontaristico. Ancora più caratteristico per Volpe
sono in lui il misogallismo e lo spirito antifrancese; gli scritti
di Alfieri, contemporanei agli avvenimenti della repubblica
partenopea, contribuirono nel loro insieme, a spingere all’azione.
Volpe ne offre la spiegazione: da un lato, la sua opera rispecchia
l’assimilazione delle dottrine libertarie in dispregio della
tirannia, facendosi specchio dell’avanzamento civile della
penisola; dall’altro, per l’atteggiamento antifrancese, egli è
caratteristico del clima disilluso degli ambienti
dell’intellettualità napoletana a seguito del fallimento
dell’esperimento repubblicano. Alfieri diventa l’emblema del
sentimento di italianità che covava sotto la ricezione
dell’esemplarità francese espressa dall’azione rivoluzionaria. Una
volta spazzata la superficie del filofrancesismo e compreso che
per compiere l’unità politica si doveva contare solo sulle forze
interne, ci si aggrappò a quel nocciolo di italianità già espresso
dall’Alfieri:
Così l’ondata rivoluzionaria francese, che in un primo momento
pareva doveva sommergere tutto e tutti, veniva via via assorbita, e
riemergeva, trascolorato, il terreno italiano. I giacobini e i francomani
4 W. Maturi, Risorgimento, in «Enciclopedia italiana», XXIX, Roma 1949, pp. 434 –439.
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della prima ora passavano nell’ombra, mal visti e beffeggiati come
traditori e scioccamente ingenui. Alfieri prendeva nei teatri il posto
dei drammi francesi. Contro il troppo gallico parlare si faceva l’elogio
e si raccomandava l’uso della lingua italiana5
Nell’idea di un Risorgimento come fatto elitario, guardato
nelle componenti sociali italiane ma profondamente europeo quanto
ai motivi profondi a livello culturale, c’è la spiegazione di
fondo del rapporto fra Risorgimento e Rivoluzione francese. Volpe
rifiuta le due interpretazioni tradizionali opposte l’una
all’altra nell’affermazione del carattere in tutto indigeno o
allogeno di quel rapporto. Le origini del liberalismo italiano
sono nel giacobinismo napoletano, quel primo contatto con la
rivoluzione ha svelato le potenzialità del popolo, ha diffuso i
primi sentimenti di patriottismo e nazionalismo, di indipendenza.
Si trattò di una mescolanza fra elementi vecchi e nuovi, di un
risveglio di sentimenti sopiti, già pronti; l’elemento giacobino
costituì un esempio, servì da spinta al risorgimento politico,
alla traduzione in fatti di vecchie idee e pure teorie, ma quel
processo di individuazione nazionale era in atto e seguiva un
percorso autonomo. In merito agli avvenimenti della rivoluzione
napoletana del 1799, Volpe evidenzia una frattura fra progetto di
rinnovamento politico e progetto di rinnovamento sociale, nel
senso che non ci fu in questo caso, come non ci sarà nel
Risorgimento, l’unione fra rivoluzione politica e rivoluzione
sociale, cioè quella piena convergenza di interessi fra le classi
sociali protagoniste dell’azione rivoluzionaria, per ragioni
5 G. Volpe, Primo incontro con una rivoluzione, in Momenti di storia italiana, cit., p. 306. 9
diverse: nel caso napoletano, per un chiaro antagonismo di classe
fra elemento popolare da un lato e proprietari e galantuomini
dall’altro; nel caso della rivoluzione nazionale, sia per una
ridotta partecipazione dell’elemento popolare, sia soprattutto per
il prevalere dell’orientamento liberale6.
La rivoluzione francese come fatto ideale, secondo Volpe,
ugualmente non può essere chiusa nei confini di Francia. Prima di
svolgere i suoi effetti pratici, nell’‘89 riguardò l’intera
Europa. Allo stesso modo sarebbe falso sostenere che non ci fu
alcun impulso o collegamento e che il nostro Risorgimento si
svolse in completa autonomia, perché la rivoluzione francese agì
come un’effettiva spinta all’azione. Proprio il collegamento fra
Italia ed Europa, e cioè l’inserire il Risorgimento nel contesto
della civiltà europea, contribuì a restituirgli la sua reale
importanza; sarebbe una visione troppo ristretta ed angusta
racchiuderlo nei limiti esclusivi del patriottismo. Per tutto il
‘600 e il ‘700 il confronto culturale ha posto il problema
dell’unità politica e dell’identità nazionale a pena della stessa
sopravvivenza economica; tale confronto è ripreso con più forza
dopo la Restaurazione quando i Savoia hanno svolto un ruolo
centrale per le sorti della penisola in chiave di unificazione
6 G. Volpe, Momenti della rivoluzione napoletana, dal numero unico “FrancescoCaracciolo”, Federazione dei Fasci di Combattimento di Napoli 1942, ora inMomenti di storia italiana, cit., pp. 309 – 330. In dettaglio, la presenza francesedeterminò uno schieramento rivoluzionario a favore della repubblica, suddivisoin una parte moderata e una d’impronta più giacobina, interessato a proseguireil riformismo avviato dai Borbone e, in ragione dell’estrazione socialearistocratica o borghese, ad una rivoluzione eminentemente politica. Sul fronteopposto, i controrivoluzionari, cioè la massa popolare che mirava alle riformesociali, economiche e aveva i propri nemici nei francesi, nei giacobini e neipossidenti. Secondo Volpe, questa frattura impedì all’esperimento di duraretogliendo al Mezzogiorno la possibilità di farsi promotore della rivoluzionenazionale.
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nazionale. La Restaurazione, seguendo gli interessi di Inghilterra
e Austria, portò all’ingrandimento dello Stato sabaudo e in
qualche modo contribuì a creare le condizioni favorevoli perché
quel cammino di individuazione nazionale potesse proseguire:
Il Risorgimento italiano cioè la formazione dello stato nazionale in
Italia, è forse il fatto di maggior portata europea del XIX secolo, quello che
per un verso rappresentò nel modo più perfetto il nuovo principio nazionale –
liberale e quindi la nuova vita dell’Europa […] principio questo dominante in
Europa fino alla seconda guerra7
il periodo della Restaurazione si caratterizza secondo Volpe
per la presenza di un forte elemento volontaristico che
alfierianamente avvierà una nuova fase nella storia del popolo
italiano. Dal 1815 al 1860, con forte enfasi sull’elemento
processuale e continuativo del cursus historiae, c’è un costante
progresso nel cammino verso l’unità; i protagonisti sono i
giacobini e i patriotti del periodo napoleonico, quella minoranza
colta costituita da elementi borghesi su posizioni intellettuali
avanzate e moderne che portavano avanti idee di libertà politica e
costituzionalismo; con una forte modernità anche sul piano sociale
che derivava loro dall’avanzamento economico realizzato, dagli
uffici pubblici svolti e dall’acquisizione di una nuova posizione
sociale che incarnava a pieno l’ideale liberale europeo intriso di
dinamismo e spirito d’iniziativa. L’elemento in più rispetto al
passato fu la consapevolezza di dover assumere il compito su loro
stessi, la “volontà di far da sé”, di assumersi appieno le
responsabilità del progetto politico dell’unificazione; i popoli
sono artefici della propria storia, purché siano in grado di unire
7 G. Volpe, L’Italia del Risorgimento e l’Europa, in Nuove questione di storia del Risorgimento edell’unità d’Italia, Marzorati, Milano1961, p. 178.
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le proprie forze, purché abbiano senso di appartenenza nazionale.
Ormai i tempi erano maturi, c’era la consapevolezza che l’unità e
l’identità nazionale erano “un lavoro antico di secoli” come
afferma Volpe, che ora necessitava di un atto di volontà di
popolo, sotto la guida della classe dirigente.
C’è una stessa direzione di marcia nel lavoro intellettuale di
Gentile e Volpe, che è interessante sottolineare perché indicativo
della cultura italiana del tempo segnata del neoidealismo. Del
Noce ha sostenuto che nel pensiero di Gentile il Risorgimento è
una categoria filosofica, non è cioè semplicemente un fatto
storico, ma ha un ruolo come idea nella sua visione etica e
politica, più precisamente ha spiegato come non sia possibile
comprendere la posizione attualista senza partire dal presupposto
che il Risorgimento è collegato, è “imparentato” con la
Restaurazione. Nel fare questa operazione, Gentile evidentemente
prende una strada che sul piano filosofico va a diversificare
l’attualismo dall’hegelismo, che è pensamento della realtà storica
sorta dalla rivoluzione francese; mentre sul piano storico,
legittima lo sganciamento della rivoluzione nazionale italiana
dalla rivoluzione francese. Inoltre Del Noce, ha dimostrato che in
Gentile la comprensione della storia della filosofia italiana nel
suo rapporto con il processo europeo del pensiero è legata alla
ricerca “dell’unificazione culturale dell’Italia quale superamento
delle culture regionali e compimento morale, in ciò, dell’unità
risorgimentale” e ancora che “Risorgimento significa invece
ripresa e affinamento di una tradizione, dopo che essa è stata
messa in crisi”8. Molti i temi comuni fra i due autori: l’enfasi
8 A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, IlMulino, Bologna 1990, pp. 125 – 126 e p. 130. Il capitolo in questione era
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sulla Restaurazione, il richiamo ad Alfieri, il tema della
circolazione Italia – Europa, la stessa definizione di
misogallismo9. Entrambi, evidentemente, si adoperavano, su piani
diversi, per la costruzione dell’identità nazionale sorta dal
Risorgimento, entrambi facevano della “storia” - storia della
filosofia o storia fattuale - un criterio di interpretazione, un
sistema di pensiero, nello stesso modo in cui, è sempre Del Noce a
sottolinearlo, De Sanctis lo aveva fatto con la storia della
letteratura italiana.
La varietà ideale
L’elemento di difficoltà evidente, che Volpe riscontra fin
dagli anni Trenta, è quello che egli definisce la “varietà
interna” del nazionalismo italiano. Si tratta della particolare
storia peninsulare, delle varie forme di governo che qui si sono
succedute e del conseguente riflesso nei caratteri della borghesia
nazionale – quella che vuole costruire la nazione - anch’essa
composita, un insieme di forze socialmente ed ideologicamente
diverse, che un po’ per loro conto un po’ per azione comune, si
rendono protagoniste del progetto unitario.
La varietà interna di correnti ideali e di progetti politici,
intuisce Volpe, avrà un effetto duraturo, sarà la forza e insieme
la debolezza dell’Italia, il segno inequivocabile della storia
apparso nel 1968 come saggio con il titolo L’idea di Risorgimento come categoria filosofica inGiovanni Gentile, nel «Giornale critico della filosofia italiana».9 Nelle pagine dell’Italia moderna, del resto, Volpe trattando le figure di Mazzinie di Gioberti rimanda esplicitamente ai Profeti del Risorgimento di Gentile pubblicatoda Sansoni nel 1923. Si tratta di un dato documentale di notevole importanzaconsiderando il ruolo che ha il giobertismo all’interno dell’attualismo e per ilquale, sinteticamente, si può dire che la filosofia di Gentile è pensamentodella realtà sorta dalla connessione fra Risorgimento e Restaurazione religiosa,dunque creatrice, né illuministica né meramente politica.
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trascorsa, il residuo di secoli che unitariamente ora chiama tutte
le correnti ad agire, ma che le richiama attraverso voci diverse,
evocando progetti, diversi, sulla base di tradizioni diverse,
dalle federazioni all’impero, dai comuni medievali alle monarchie
straniere dal guelfismo al repubblicanesimo giacobino10.
In questa sede, non è possibile soffermarsi sull’analisi delle
correnti ideali del Risorgimento prese in rassegna da Volpe
nell’Italia moderna, nell’Italia in cammino e in tanti altri brevi
interventi, probabilmente, senza tralasciarne nessuna. È
importante invece, tirare le somme del suo ragionamento in
proposito; il primo elemento, quello della varietà ideale,
determinerà progetti politici e disegni costituzionali diversi, di
Italia diversa nei principi e nei valori fondanti, enfasi di volta
spostata su aspetti libertari, sociali, costituzionali e cosi via.
Il 1848 – ‘49 secondo Volpe, interviene a far chiarezza in questa
varietà imponendo un progetto sugli altri indicando, e questo è un
punto centrale, la strada più adatta e più facilmente
percorribile. Ciò accade per merito del genio piemontese di
Cavour, attraverso quella che Volpe definisce “progressività degli
obbiettivi”, rendendo una luce ben diversa alla cosiddetta
moderazione, alle accuse di compromesso o incompiutezza della
rivoluzione nazionale rivolte alla monarchia sabauda.
Volpe, inoltre, analizza anche le ragione del fallimento di
ciascuno dei progetti di Italia alternativi a quello che
oggettivamente si è realizzato nel ’61: quello neoguelfo, ad
esempio, per interna ed intrinseca contraddizione; quelli
10 Il riferimento per un inquadramento generale del tema è a G. Volpe, A chi legge,prefazione a L’Italia in cammino, Treves, Milano 1927; Id., Italia moderna 1815 – 1915,Sansoni, Firenze 1943.
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democratici avanzati e socialisti perché prematuri sia
nell’elemento popolare -assai meno rivoluzionario di quanto
idealizzato dal mito francese- sia nell’elemento della classe
dirigente che indietreggia innanzi alla rivoluzione sociale;
l’idea federale, per il prevalere dell’obiettivo unitario, questo
sì maturo nella coscienza collettiva. Un elemento infine fu
decisivo, il discredito che i moti del ‘20 – ‘21 avevano gettato
sulle altre dinastie disposte ad aprirsi al liberalismo, ma chiuse
davanti all’ipotesi unitaria.
Il Risorgimento nei fatti: Casa Savoia
Al contrario, Casa Savoia si era mostrata disposta ad assumere
la guida del popolo italiano e a mettere al servizio dell’unità il
suo credito fra le nazioni europee, il suo esercito e la sua
diplomazia. Cavour è per Volpe l’espressione più brillante della
furba ragionevolezza, la ragionevolezza della mediazione fra gli
opposti, della cautela e della progressività, del politicamente
possibile.
La progressività negli obiettivi da raggiungere, della quale
la politica di Cavour è altissimo esempio, è la chiave di volta
dell’intero processo di unificazione in atto: la politica sabauda,
e quindi la direzione dall’alto del movimento unitario,
rappresentano per Volpe, uno dei due poli che si dirigono verso
quella convergenza di obiettivi che viene realizzandosi fra le
varie forze sociali, attivatesi per l’affermazione dell’idea di
nazione; l’altro polo è costituito dalla base popolare nazionale
conversa anch’essa su un progetto altrettanto concreto e
ragionevole.
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Governo sabaudo e base popolare, dunque, sono i due poli del
continuum rappresentato dagli avanzamenti in termini di formazione
della coscienza nazionale, avanzamenti assolutamente e
preliminarmente necessari perché i vaghi e antichi richiami
all’unità si trasformassero in azione politica; la modalità di
attuazione sarà la progressione, la politica del possibile; nel
mezzo, lungo l’asse, la sostanza del continuum, per così dire, è
data dalla varietà ideale del Risorgimento ovvero i progressi di
volta in volte compiuti.
Cavour, è messo da Volpe, al fianco dei padri della patria,
insieme a Mazzini e Garibaldi, “figure che già in se stesse, e
indipendentemente dalle idee che incarnavano, sono singolare ed
energica manifestazione della nuova vita d’Italia, degne di
rappresentare idealmente un popolo che risorgeva”:
In lui sfociava come pensiero, il meglio delle correnti moderate anteriori
al ’48, il meglio del giobertismo, quel che di esso non si era dimostrato
utopia, in conformità agli ideali libertari che gli erano propri cercava di dare
vita nel Piemonte ad un ordinato regime costituzionale e parlamentare, […] per
accreditar il Regno sardo agli occhi dei liberali italiani ed europei; si
adoperava a raccogliere nelle sue mani le fila del movimento nazionale e
liberale italiano e a suscitare, orientare verso il Piemonte, disciplinare
nell’idea monarchica le forze rivoluzionarie della penisola, realizzando una
politica interna di sviluppo e rafforzamento e politica estera di iniziative, di
occasioni colte, e al bisogno, create: l’una e l’altra politica, viste e
praticate nel loro organico nesso11.
11 Ivi, p. 20. Secondo Volpe “di uomini che cumulino le qualità di un Mazzini e di unCavour, la storia ne genera sempre pochi: meno che mai poteva generarne nell’Italiadell’800, quando il quadro in cui si muovevano i sui politici era troppo ristretto edefinito, cioè i piccoli Stati della penisola, o troppo vasto e indeterminato, cioè lacosmopoli liberale e rivoluzionaria”, ibidem, p. 24.
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La rivoluzione incompiuta: gli esclusi
Volpe ritiene che senza una mediazione dei programmi massimi
non si sarebbe potuta attuare l’unità politica; perché si
giungesse a risultati concreti era necessario rinunciare a
qualcosa in termini ideali. La scissione fra rivoluzione politica
e rivoluzione sociale nel programma d’azione degli uomini del
Risorgimento, che lo caratterizza in termini conservatori dal
punto di vista sociale, è nell’opinione di Volpe, conseguenza
immediata della necessità di procedere per gradi e di rispettare
la priorità accordata agli aspetti propriamente politici. Il
problema dell’unità e dell’indipendenza posero in secondo piano i
problemi che riguardavano le modalità di organizzazione dello
Stato unitario, il suo assetto, la sua coloritura politica e
l’indirizzo politico generale da imprimere al governo. Era
evidentemente necessario innanzitutto assicurarsi l’esistenza e la
stabilità dello Stato unitario. Dunque l’estrema varietà ideale,
carattere che abbiamo visto essere preminente nell’interpretazione
volpiana del Risorgimento, determinava l’individuazione di
problemi variamente ordinati ed intesi come prioritari dalle forze
politiche, per comporre un quadro complesso composto da numerosi
punti programmatici, ed obiettivi che solo a scaglioni entreranno
a far parte delle forze direttrici del moto unitario:
Era forse inevitabile che cosi avvenisse. L’Italia si è, nell’ultimo
secolo, mobilitata a scaglioni successivi e ben distinti, essendo in essa poca
omogeneità e compattezza di popolo. Distinti e successivi, perciò anche i
problemi da risolvere. Impossibile sentirli, vederli. E tanto meno affrontarli
in blocco. Chi volle bruciare le tappe, chi credé che si potesse e dovesse
17
operare disponendo in ordine diverso quei problemi e anche solo fondendoli
insieme, si dové ricredere, magari pagando con la vita il generoso errore12
La realizzazione dell’unità passò attraverso la via della
gradualità che in se stessa è imperfezione, contraddizione, nella
misura in cui è compromesso:
Nella nuova temperie cavouriana, opera del tempo e opera di lui, si
attenuò il gran contrasto delle dottrine e partiti e tendenze italiane.
Impallidirono certe pregiudiziali. L’Italia non fu più una lizza di giostranti.
Uomini di natura provenienza diverse trovarono, anche senza cercarlo, un minimo
di elementi comuni in cui quietare e collaborare. Vennero in prima linea i fini
politici […] “Primum vivere”: quindi, essenzialmente, l’indipendenza, dietro la
quale, sia pur con linea ancora incerta quanto ai modi dell’attuazione,
l’unità13.
È questa la circostanza che determina la percezione -più
vivida alla fine del processo di unificazione che ai suoi albori-
che buona parte della popolazione sia esclusa ed estranea a quegli
stessi avvenimenti e che identifica, quindi, il risultato del
Risorgimento nella nascita di due nazioni distinte: quella della
classe dirigente e quella degli esclusi. Da un lato chi partecipò
al processo di unificazione attivamente, dall’altro coloro che
rimasero passivi e che, avendolo in buona parte subito, nulla
avevano apportato e nulla avevano assorbito dello spirito
nazionale.
12 Ivi, p. 26. Il riferimento è a Pisacane, che legava la rivoluzione nazionale agli aspettisociali e intendeva abbattere l’ordine politico coinvolgendo le masse; Volpe nonapprezzava l’impostazione del problema dello Stato nazionale in termini “di lotta e nondi collaborazione sociale”, ibidem, p.27. L’altro riferimento è a Ferrari, nel quale ilprogramma rivoluzionario socialisteggiante era per di più privo di ogni accento nazionalee invocando l’intervento francese come risolutore del problema italiano si muoveva su unfondo di internazionalismo incompatibile con le convinzioni ideologiche e la visionestoriografica del Risorgimento di Volpe, ivi, pp. 43 – 44. 13 Ibidem, p. 25.
18
Del resto è innegabile, che il “decennio risolutivo” cosi come
viene definito da Volpe, dal ‘48 – ‘49 al ‘59 – ‘60, trovando la
guida nella monarchia sabauda e in Cavour, registrò un forte
blocco di forze estranee giungendo inevitabilmente ad un risultato
imperfetto e parziale e che lasciò il ben più gravoso e noto
compito di dare corpo e concretezza all’Italia, proprio fra gli
esclusi. La classe dirigente avvertiva questo compito con forza e
urgenza consapevoli che l’unità era presente più nei loro spiriti
ed ideali che non nella realtà dei fatti.
Dunque, il Risorgimento fu realizzato da una minoranza che,
diversa per provenienza geografica e sociale, rappresentava la
“vera aristocrazia morale della nazione” proprio perché – animata
dal sentimento nazionale ed espressione di “frammenti di classi
diverse” – non agì come classe economica e sociale ma come
avamposto della prima classe nazionale, che si mobilita in nome
della nazione, ponendosi un obiettivo squisitamente politico.
Anche se il Sud ha lasciato l’iniziativa della rivoluzione
nazionale dopo il fallimento del ’99, il movimento che è partito
dal ’96 non è andato perduto, precisa Volpe, in quanto anche i
patriotti e gli stessi oppositori dei giacobini, i contadini del Sud,
avevano contribuito all’avanzamento delle idee liberali e
costituzionali nel loro complesso, almeno in un’ottica di lungo
periodo. Ciò non toglie naturalmente che grossi blocchi della
popolazione ne rimasero esclusi:
Assente in un modo o in un altro, buona parte della nobiltà. Assente, un
grandissimo numero di cattolici militanti. Assente o contrario, salva la
parentesi di Pio IX, il 1846 – 48, il clero. […] E, col clero, la totalità dei
contadini, che formavano sempre un mondo a sé e mancavano di ogni affiatamento
con i novatori politici; come questi, e in genere il più della borghesia,19
mancavano ancora di ogni disposizione ad intendere la vita di quelli, i loro
bisogni, i loro sentimenti o anche pregiudizi14.
Dunque la minoranza artefice dell’unità, assume il carattere
di avanguardia morale della nazione definita da Volpe come una
“una specie di Internazionale” liberale – nazionale, che si muove
contro le monarchie assolute in nome di ideali politici moderni,
mossa “dalla coscienza di un diritto, dal sentimento dei nuovi
temi, dalla fede nel progresso, dall’ottimismo liberale proprio di
tutte le borghesie del XIX secolo”.
All’obiezione che l’Italia come entità politica unitaria non
esiste, o è una creazione posticcia o fittizia, Volpe risponde con
il realismo del proprio metodo storiografico: la realtà,
l’oggettività dell’Italia, sta nella concretezza e nella forza
della sua idea. Che l’idea di Italia sia più o meno storicamente
fondata, è un problema diverso per lo storico, l’idea d’Italia ha
agito e ha creato l’unità:
L’idea, l’immagine di un’Italia già unita e potente, avanti che barbariche
invasioni e poi straniero dominio la riducessero alla divisione e quasi
all’annullamento, dominarono le menti e le fantasie, come non mai. Qualunque
fosse il valore storico di tale idea o immagine, certo essa accompagnò tutto il
Risorgimento, ne fu il mito animatore, concorse a creare la coscienza di un
diritto e la fede nell’avvenire. La stessa parola “Risorgimento”, entrata
nell’uso, col suo significato specifico, attorno al 1848, aveva a presupposto la
nozione di quell’antica grandezza, anche politica dell’Italia. Su due età
specialmente s’affissarono gli Italiani, come principio di vita e fonte
d’ispirazione: quella di Roma antica e quella dei Comuni. E taluni, certe
correnti politiche e ideologiche, più su la prima; altri più sulla seconda […].
Ma guardato in sintesi, il passato dell’Italia si poteva chiamare con una parola
sola, Roma: Roma repubblicana innanzi tutto e Roma papale; Roma due volte
14 Ibidem, p. 34.20
maestra di civiltà al mondo e due volte datrice di unità; Roma capace, con
questo suo passato e in virtù della legge immanente del progresso, di dare agli
Italiani e al mondo una unità ancora più alta e comprensiva, quella dei popoli
affratellati15.
Il Risorgimento per realizzarsi doveva svolgere quest’azione
di ricucitura del presente, segnato dalla decadenza, con il
passato e con la storia, recuperandone la tradizione e facendola
propria. Il passato diventava mito che sollecitava l’azione. Il
recupero del passato seguiva però due direzioni: da un lato in
chiave positiva spingeva all’azione, dall’altro sottolineava la
debolezza del carattere italiano guardando alla recente decadenza
e all’incapacità di reagire per cosi a lungo. Volpe si riferiva
esplicitamente ad un rafforzamento del senso civico, al
rafforzamento dell’identità nazionale a “quasi un esame di
coscienza nazionale” che non avvenisse nella chiusura dei propri
confini. È un punto importante della sua analisi, quello in cui
richiama al processo osmotico fra la cultura europea e quindi alla
necessità di aprirci all’Europa anche per individuarci come
nazione. Anche nella cultura europea c’è continuità, l’Europa vive
della vita delle nazioni e queste si arricchiscono con questa in
uno scambio reciproco e costante. Il mito della nazione per Volpe
si fonda proprio su questa duplicità: recupero come individuazione
nazionale e recupero come scambio, con questi due movimenti,
quello verso il passato per recuperare la tradizione e l’altro
verso il presente per arricchirci e crescere con il confronto con
altre culture; in questa duplicità, in questo insieme, sta il
nocciolo dell’individualità nazionale:
15 Ibidem, p. 38 – 39.21
La nazione era idealizzata, esaltata, quasi divinizzata, sul fondamento di
un principio proprio che essa portasse in essa e con sé; nel tempo stesso, si
auspicava un affratellamento fra le nazioni, una nostra collaborazione attiva
con l’Europa, nella persuasione che solo cosi si poteva risanare la nazione dai
mali del secolare isolamento, potenziare l’Italia16.
Il mito della rivoluzione mancata, il secondo risorgimento, la patria divisa e
l’identità nazionale nel dopoguerra
Poiché l’Italia nasce da una cooperazione imperfetta di forze
varie al loro interno, ma fortemente consapevoli del problema
nazionale contrapposte alla massa popolare, era normale che
sorgesse “il senso di due Italie morali cucite insieme alla
meglio”, in quanto intere province furono assenti se non contrarie
e subirono l’unificazione, mal sopportarono il nuovo ordine
istituzionale, culturalmente a loro estraneo e che non capivano.
Eppure per Volpe non si trattò di un’usurpazione illegittima: fu
l’Italia possibile, quella che concretamente poteva realizzarsi e
nei soli modi in cui s’è realizzata. La necessità
dell’indipendenza dallo straniero, attraverso i Savoia, sostiene,
creò un legame di fatto sebbene precario e parziale tra re e
popolo colto, quell’unità tra re e nazione che era alla base di
alcuni stati moderni e che nel caso italiano era un tentativo
riuscito solo in parte. Il tema del Risorgimento incompiuto
troverà ampio spazio nell’opera volpiana insieme a quello
dell’integrazione delle masse nello stato, inteso non come mera
assimilazione amministrativa, ma in perfetta consequenzialità
rispetto all’idea di sviluppo progressivo della coscienza
16 Ibidem p.40.22
nazionale, come integrazione morale e partecipativa, come adesione
spirituale alla nazione. La dilatazione della periodizzazione in
effetti, andrà oltre il 1870 per inglobare la guerra di Libia,
come trasfigurazione della guerra coloniale in guerra patriottica
e di espansione della nazione oltre i confini territoriali;
infine, soprattutto, la prima guerra mondiale, quale IV guerra di
indipendenza ed esame di riparazione della nazione a riscatto
delle cattive prove militari del passato17.
La tesi di Volpe, partendo dalla differente composizione
ideologica delle forze consapevoli del problema nazionale italiano
e della conseguente varietà programmatica di questa classe
nazionale, afferma la necessità di un compromesso o di una base di
accordo minima, ma comune, affinché si avviasse la costruzione
effettiva dello Stato unitario. La conseguenza di un’impostazione
dell’unificazione di questo genere è il carattere provvisorio e
strumentale di questo accordo che necessariamente, una volta
raggiunto l’obiettivo primario, doveva infrangersi e riportare
alla luce i nodi ideali in un primo tempo messi da parte. In
effetti, quei motivi iniziali riaffiorano dopo l’unità nelle varie
configurazioni del mito nazionale, nel diverso modo di intendere
la terza Roma e l’idea di missione; ma soprattutto, quei motivi
riaffioreranno in ogni momento critico dello Stato nazionale,
davanti all’intervento nella prima guerra mondiale e dopo, davanti
al fascismo, nella guerra civile e nel cosiddetto “secondo
Risorgimento” dei resistenti. Da allora la divisione si è
sclerotizzata nella formula fascismo – antifascismo fino a quando
17 Sul punto si vedano G. Belardelli, Il mito della nuova Italia. Gioacchino Volpe tra guerra efascismo, Edizioni del lavoro, Roma 1988; p. 20 ss. G. Volpe, Italia moderna 1910 - 1914,Sansoni, Firenze 1973; p. 372 ss.
23
De Felice e Del Noce hanno avviato l’erosione di questa dicotomia
che impediva la comprensione della storia e della cultura del
paese, non lo faceva andare avanti o, per dirla con Volpe, non
conduceva ad un “esame di coscienza” nazionale.
In tutti i grandi pensatori, ci sono pagine che restano
insuperate, intuizioni che rimangono sempre attuali; nel caso di
Volpe probabilmente è il concetto di varietà ideale del
nazionalismo italiano che ancora oggi è un valido criterio
interpretativo della storia d’Italia. In ciascuno dei momenti di
crisi, infatti, quella varietà ideale, si è trasformata in
divisione nazionale e appropriazione dell’idea di nazione; come a
dire che, quel “senso di due Italie cucite insieme alla meglio”,
riferito al post risorgimento, non sia stato del tutto superato.
L’intuizione di Volpe va oltre, egli non si limita infatti a
notare la composizione varia del paese che deriva dalla diversa
tradizione- comuni, signorie, monarchie, dominazioni straniere -;
egli più volte sottolinea che questa caratteristica è la forza e
insieme la debolezza dell’italianità, probabilmente un carattere
proprio e non cancellabile, con il quale bisogna “fare i conti”,
usando un termine a lui caro.
Anche nell’intenzione dei costituenti, la necessità di
conciliare visioni politiche diverse e valori contrapposti fu
presa in considerazione, dando vita ad un assetto costituzionale
che faceva del pluralismo e della rappresentanza proporzionale i
suoi pilastri, sulla base di un costituzione materiale che
accoglieva valori di compromesso fra i tre due grandi partiti di
massa. Gli elementi che difettavano nel sistema politico della
prima Repubblica, in effetti, e che incidevano sul suo cattivo24
funzionamento, erano riconducibili alla rappresentanza e alla
dinamica fra classe dirigente e base popolare, cioè a quella
“debolezza” riferita dallo storico. Forza o debolezza, diventa
quasi un’opzione della classe dirigente ed intellettuale; anche
l’esperienza del ventennio fascista portava a questa possibilità
che si rispecchia in una precisa presa di posizione di fronte
all’opzione fascismo – antifascismo protratta in una battaglia
culturale.
La categoria volpiana della “varietà” ha una seconda
conseguenza, quella di determinare accordi ed alleanze temporanee
che presto cadono in frantumi; pensiamo ai primi anni del regime –
a tal proposito sarà lo stesso Volpe a parlare di “vario fascismo”
prima che diventasse regime in senso stretto – o ancora, per dirla
con Bobbio alle “ideologie della resistenza” dove, ad esclusione
del Partito d’Azione secondo lui caratterizzato specificamente
come lotta antifascista, le ideologie resistenziali sono quelle
del liberalismo e del comunismo legate dall’accordo temporaneo in
funzione antifascista ma lontane nell’obiettivo finale: la
dittatura del proletariato da una parte e la restaurazione della
libertà dall’altra. Liberaldemocratici e comunisti, entrambi
“passarono attraverso la resistenza ma non vi si identificarono”18.
Laddove l’azionismo, l’ideologia dell’antifascismo totale, unendo
i due nemici del fascismo – liberalismo e comunismo – non voleva
né restaurare la vecchia democrazia né voleva la rivoluzione, ma
partiva dall’assunto gobettiano del fascismo come autobiografia
della nazione e guardava al fallimento del Risorgimento, alla
18 N. Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Einaudi, Torino 1986, p. 25. 25
mancata rivoluzione e vedeva nella resistenza il secondo
risorgimento, quella guerra popolare che non c’era stata nell’800.
Si è citato Bobbio, proprio perché con i suoi distinguo
evidenzia palesemente quell’effetto divisorio sull’identità
nazionale. Bobbio, è fra coloro che maggiormente hanno inteso
radicalizzare lo scontro fascismo – antifascismo portando fascismo
e cultura all’antitesi massima, come ha chiarito Del Noce, senza
tentare alcuna conciliazione fra Croce e Gentile, ma rigettando
tutto l’attualismo come spiritualismo immanentista e Gentile come
cattivo filosofo, con pieno capovolgimento di tutto il senso
dell’opera del filosofo ridotto a “retore dell’ideologia
italiana”19. Rosario Romeo, a commento di un convegno di storici
nel 1978 -organizzato dalla Fondazione Feltrinelli e dalla Società
Siciliana di Storia Patria-, emblematicamente ai poli del paese,
ricordava ai lettori de «Il Giornale» che gli storici sono da
sempre divisi sull’interpretazione dell’Italia liberale di qua e
di là dagli anni del fascismo, come già sul Risorgimento le
opinioni sono contrapposte
Per gli uni, il processo della società e dello Stato italiano, fra
inevitabili contraddizioni e battute d’arresto, va tuttavia inteso come un
graduale sviluppo che ha portato il nostro paese rimasto ai margini della
società europea nei secoli della “decadenza”, a partecipare in larga misura alle
più avanzate esperienze del mondo moderno. Per gli altri, il nuovo organismo
nacque già inceppato nel 1860, e nel corso di oltre un secolo non è mai riuscito
19 A. Del Noce, Giovanni Gentile, op. cit., pp. 287 – 290. In questo modo, Bobbiodava un’interpretazione senza scampo di Gentile filosofo di Mussolini e delfascismo, dell’attualismo chiuso rispetto alla cultura europea, antilibertarioin contrapposizione a Croce, che aveva rinnegato e capovolto l’insegnamentocrociano; Gentile diventava così filosofo dell’altra Italia quella dellaretorica, dei primati e delle missioni.
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a superare il suo vizio d’origine, che solo una drastica rottura rivoluzionaria
potrebbe eliminare.
Romeo, nell’esprimere la propria posizione a sostegno
dell’Italia liberale, quella che non ha fatto la rivoluzione, ma
che ha fatto i conti con il proprio passato, richiama Volpe quando
evoca la “prospettiva gradualistica”:
Nonostante la drammatica esperienza del ventennio fascista e della seconda
guerra mondiale, l’Italia unita si è mostrata in grado di portare la società
italiana a livelli impensabili un secolo fa anche senza la rottura
rivoluzionaria auspicata e proclamata anzi inevitabile dalle correnti di
opposizione, già al momento dei plebisciti. (…) le vecchie strutture hanno
mostrato una duttilità e una capacità di adattamento che di fatto smentisce le
apocalittiche e sempre ricorrenti profezie di sognatori di rivoluzione e che
consente di vedere nella storia unitaria una misura non trascurabile di
successo. A questa prospettiva gradualistica e moderatamente positiva si sono
raccordati molti storici che trent’anni fa furono fra i primi a denunciare i
presunti vizi organici e la mancanza di avvenire della costruzione unitaria
e chiude:
Le discussioni sulla storia d’Italia non sono mai state un
lusso di eruditi e di cultori delle patrie memorie; ma una
battaglia per il controllo e la guida della coscienza politica e
civili degli italiani20
Di Isabella Valentini
20 R. Romeo, Apologia del fallimento, in «Il Giornale», 23 dicembre 1978, ora in Scritti storici, Saggiatore, Milano 1990, pp. 341 – 343.
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