L'impatto dell'allargamento sui movimenti di popolazione

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Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia 1 L’impatto dell’allargamento sui movimenti di popolazione * Rosa Balfour e Ferruccio Pastore 1 , CeSPI Luca Einaudi e Ludovica Rizzotti, PCM 5.1. Premessa. Processo di allargamento e movimenti di popolazione 5.1.1. Le conseguenze dell’adesione in base agli acquis UE e Schengen Fin dalle prime tappe dell'integrazione europea, la liberalizzazione dei movimenti internazionali di persone ne ha rappresentato una componente essenziale e trainante. La progressiva abolizione delle restrizioni alla libertà di circolazione, inizialmente limitata ai lavoratori subordinati, si è successivamente estesa ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti, per arrivare poi a interessare categorie non immediatamente produttive, come gli studenti e i pensionati 2 . L'edificazione di uno "spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali" (art. 14, comma 2, TCE 3 ) è un processo di riforma strutturale dalle implicazioni vastissime, che ha innescato cambiamenti a catena. Dapprima, a metà degli anni Ottanta, un gruppo ristretto di Stati (Benelux, Francia, Germania), consapevoli che i controlli sistematici di polizia alle frontiere interne rappresentavano ormai un ostacolo al pieno funzionamento del mercato interno, decise la soppressione graduale di tali controlli (accordo di Schengen, 1985). Pochi anni dopo, gli stessi Stati ritennero che l'abolizione dei controlli di frontiera, per non tradursi in una diminuzione del livello complessivo di "sicurezza interna" dell'area di libera circolazione così creata, dovesse essere accompagnata da una serie di "misure di compensazione". Si pervenne dunque alla Convenzione di applicazione (1990) dell'originario accordo di Schengen, che gettò le basi di una cooperazione europea in materia di giustizia e affari interni, dettando norme comuni in numerosi ambiti, tra cui i controlli alle frontiere esterne, il rilascio di visti per soggiorni di breve durata, la responsabilità degli Stati aderenti nell'esame delle domande di asilo 4 . Da questo nucleo di regole pattizie, progressivamente integrate dalla normativa secondaria adottata dal Comitato esecutivo Schengen, ha avuto origine una disciplina comune in materia migratoria, che un protocollo allegato al trattato di Amsterdam ha incorporato nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea 5 . * Capitolo 5 dello studio Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’italia, promosso dal Dipartimento per gli Affari Economici dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Aprile 2001. 1 Il capitolo è frutto di un lavoro comune, ma in particolare, i paragrafi 5.1, 5.3, sono da attribuire a R. Balfour e F. Pastore, e il paragrafo 5.2 a L. Einaudi e L. Rizzotti. 2 Per una panoramica dettagliata, cfr. Nascimbene (1998). 3 Si tratta della numerazione introdotta dal trattato di Amsterdam, che tuttavia, in questo caso, non dovrebbe risultare modificata dal trattato di Nizza. 4 Per un’approfondita analisi dei contenuti e delle complesse vicende applicative dell’accordo di Schengen e della successiva convenzione, con particolare riguardo alle implicazioni per l’Italia, si vedano i dossier elaborati dal Comitato parlamentare Schengen-EUROPOL (1997), (1998), (1999). 5 Il contenuto del cosiddetto “acquis di Schengen” e la base giuridica delle disposizioni in ambito UE sono stati definiti analiticamente con due decisioni del Consiglio del 20 maggio 1999 (cfr. GUCE, 176/1 e 176/17 del 10 luglio 1999).

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Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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L’impatto dell’allargamento sui movimenti di popolazione *

Rosa Balfour e Ferruccio Pastore1, CeSPILuca Einaudi e Ludovica Rizzotti, PCM

5.1. Premessa. Processo di allargamento e movimenti di popolazione

5.1.1. Le conseguenze dell’adesione in base agli acquis UE e Schengen

Fin dalle prime tappe dell'integrazione europea, la liberalizzazione dei movimentiinternazionali di persone ne ha rappresentato una componente essenziale e trainante. Laprogressiva abolizione delle restrizioni alla libertà di circolazione, inizialmente limitata ailavoratori subordinati, si è successivamente estesa ai lavoratori autonomi e ai liberiprofessionisti, per arrivare poi a interessare categorie non immediatamente produttive, come glistudenti e i pensionati2.

L'edificazione di uno "spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la liberacircolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali" (art. 14, comma 2, TCE3) è unprocesso di riforma strutturale dalle implicazioni vastissime, che ha innescato cambiamenti acatena. Dapprima, a metà degli anni Ottanta, un gruppo ristretto di Stati (Benelux, Francia,Germania), consapevoli che i controlli sistematici di polizia alle frontiere internerappresentavano ormai un ostacolo al pieno funzionamento del mercato interno, decise lasoppressione graduale di tali controlli (accordo di Schengen, 1985). Pochi anni dopo, gli stessiStati ritennero che l'abolizione dei controlli di frontiera, per non tradursi in una diminuzione dellivello complessivo di "sicurezza interna" dell'area di libera circolazione così creata, dovesseessere accompagnata da una serie di "misure di compensazione". Si pervenne dunque allaConvenzione di applicazione (1990) dell'originario accordo di Schengen, che gettò le basi diuna cooperazione europea in materia di giustizia e affari interni, dettando norme comuni innumerosi ambiti, tra cui i controlli alle frontiere esterne, il rilascio di visti per soggiorni di brevedurata, la responsabilità degli Stati aderenti nell'esame delle domande di asilo 4. Da questonucleo di regole pattizie, progressivamente integrate dalla normativa secondaria adottata dalComitato esecutivo Schengen, ha avuto origine una disciplina comune in materia migratoria,che un protocollo allegato al trattato di Amsterdam ha incorporato nell’ordinamento giuridicodell’Unione europea5.

* Capitolo 5 dello studio Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’italia,promosso dal Dipartimento per gli Affari Economici dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Aprile2001.1 Il capitolo è frutto di un lavoro comune, ma in particolare, i paragrafi 5.1, 5.3, sono da attribuire a R.Balfour e F. Pastore, e il paragrafo 5.2 a L. Einaudi e L. Rizzotti.2 Per una panoramica dettagliata, cfr. Nascimbene (1998).3 Si tratta della numerazione introdotta dal trattato di Amsterdam, che tuttavia, in questo caso, nondovrebbe risultare modificata dal trattato di Nizza.4 Per un’approfondita analisi dei contenuti e delle complesse vicende applicative dell’accordo diSchengen e della successiva convenzione, con particolare riguardo alle implicazioni per l’Italia, si vedanoi dossier elaborati dal Comitato parlamentare Schengen-EUROPOL (1997), (1998), (1999).5 Il contenuto del cosiddetto “acquis di Schengen” e la base giuridica delle disposizioni in ambito UEsono stati definiti analiticamente con due decisioni del Consiglio del 20 maggio 1999 (cfr. GUCE, 176/1 e176/17 del 10 luglio 1999).

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Questo breve excursus mostra come, nel corso degli ultimi quindici anni, si sianogenerate profonde interdipendenze, di natura politica ancora prima che giuridica, tra il principiodella libera circolazione intra-europea e il regime dei controlli alle frontiere esterne.All’evoluzione verso uno spazio interno di circolazione sempre più integrato se n’èaccompagnata una verso una frontiera esterna tendenzialmente unica, sorvegliata in manierasempre più rigorosa e omogenea.

Dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam (1° maggio 1999), l’acquis comunitarioin materia di libera circolazione e l’acquis di Schengen in materia di frontiere esterne (e, più ingenerale, di controlli migratori) coesistono, con uguale efficacia obbligatoria, nel sistemanormativo dell’Unione europea. Oggi, questi due insiemi normativi, con tutti gli oneri e leopportunità che essi generano, si impongono, a pari titolo, ai paesi che vogliano entrare a farparte dell’Unione.

Per quanto riguarda, in particolare, l’ acquis di Schengen, il principio della sua pienaobbligatorietà per i paesi candidati è stato affermato, in maniera esplicita e particolarmentenetta, dal Protocollo allegato al trattato di Amsterdam sull'integrazione dell'acquis di Schengennell'ambito dell'Unione europea, il cui articolo 8 recita: "Ai fini dei negoziati relativiall'adesione di nuovi Stati membri all'Unione europea, l'acquis di Schengen e le ulteriori misureadottate dalle istituzioni nell'ambito del suo campo di applicazione sono considerati un acquische deve essere accettato integralmente da tutti gli Stati candidati all'adesione".

L’atteggiamento rigoroso adottato dagli attuali Stati membri su questo punto non devestupire, sia per ragioni politiche contingenti (le inquietudini delle opinioni pubblichedell’Europa occidentale, su cui v. par. 5.1.2.), sia perché, come osserva Jörg Monar: “I regimi disicurezza hanno la tendenza ad essere espansionisti: hanno il duplice obiettivo di massimizzareil controllo nel loro territorio e di fornire una sicurezza ‘aggiuntiva’ creando zone protette al difuori del loro territorio. Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG) 6 dell’Unione non èun’eccezione”7. Ciononostante, la scelta di imporre l’acquis di Schengen ai paesi candidatiintegralmente e senza alcun margine di flessibilità ha dato luogo a critiche, che è utile quirichiamare.

Diversi paesi candidati, per esempio, hanno percepito come arbitraria l’imposizione diuna omogeneità assoluta in materia di “giustizia e affari interni” ai PECO, proprio nel momentoin cui si introducevano forti dosi di flessibilità nel sistema, tramite gli opt-out concessi a RegnoUnito, Irlanda e Danimarca, e tramite l’inserimento nei trattati dello strumento dellecooperazioni rafforzate. È stato sostenuto che il ricorso a tale doppio standard ha fatto sì che gliobblighi imposti in questo campo ai candidati “vanno oltre [...] gli obblighi attuali degli statimembri” 8. Gli argomenti addotti a sostegno di questa affermazione sono indubbiamente dotatidi una certa consistenza, perlomeno sul piano formale: “in primo luogo, la zoppicanteimplementazione di accordi vincolanti negli stati membri; secondo, la negazione dellapossibilità di negoziare opt-out in questo complicato settore di cooperazione; infine, l’obbligo diadottare legalmente strumenti non vincolanti, oltre alle misure che sono in corso di definizione”(Lavenex, 2000, p. 20).

Ma, al di là di queste asimmetrie, che hanno evidentemente una giustificazionepuramente politica, l’imposizione rigida dell’acquis di Schengen ai PECO candidati ha generatoobiezioni e difficoltà di ordine pratico, legate, per un verso, alla natura di tale acquis e, perl’altro, alla tempistica del processo di allargamento.

6 Si tratta della “Area of freedom, security and justice” (in italiano “spazio di libertà, sicurezza egiustizia”), il cui sviluppo è stato inserito dal trattato di Amsterdam tra gli obiettivi di lungo periododell’Unione europea (art. 2, TUE), e di cui l’acquis di Schengen, incorporato in ambito UE, rappresentaper ora un nucleo normativo essenziale.7 Monar, 2000a, pp.11-12.8 Lavenex, 2000, p. 20.

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Sotto il primo aspetto, bisogna infatti rilevare che il corpus di norme e di prassi a cui icandidati si devono adeguare è ancora piuttosto indeterminato9 ed estremamente dinamico. Nonbisogna dimenticare, infatti, che quella identificata come “Giustizia e affari interni” è una delle“ aree di policy-making dell’Unione di più rapida espansione”10. Questa rapida espansione,estremamente positiva in sé stessa, rende però particolarmente difficile, costoso epotenzialmente logorante il processo di convergenza per i paesi candidati.

A ciò si aggiunge il fatto che i PECO sono stati messi in condizione di avviare taleprocesso di adeguamento solo relativamente tardi. Sebbene, l’inserimento delle tematiche inquestione nella strategia di pre-adesione sia stata formalmente decisa dal Consiglio europeo diEssen (dicembre 1994), è solo dal 1997 che i fondi del programma PHARE possono esseredestinati a finanziare progetti in materia GAI ed è soltanto nel maggio 1999 – come abbiamovisto - che l’esatto (ma non definitivo) contenuto dell’acquis è stato comunicato ai candidati.

Sebbene su alcuni temi (in particolare, sulla lotta all’immigrazione clandestina), unconfronto tecnico e un dialogo politico fossero già stati avviati nel quadro del cosiddetto“Budapest process”11, la preparazione specifica ai negoziati in materia di “giustizia e affariinterni” è iniziata, per quanto riguarda i sei paesi del “gruppo di Lussemburgo”, tra il 1998 e il1999. Per gli altri sei candidati, l’avvio concreto delle attività preparatorie è, ovviamente, ancorapiù recente.

Dal quadro che abbiamo schematicamente tracciato, emerge la difficoltà e la delicatezzadel processo di allargamento nei campi che toccano, a diverso titolo, la mobilità delle persone, eche afferiscono rispettivamente ai capitoli negoziali dedicati alla “Libera circolazione dellepersone” e a “Giustizia e affari interni”. Nelle prossime pagine, passeremo in rassegna gliaspetti più problematici di questi ambiti di negoziato, con specifica attenzione alle implicazioniper l’Italia.

5.1.2. Il rilievo della tematica per le opinioni pubbliche e il dibattito europeo sullederoghe sui movimenti della popolazione

La prima presidenza svedese dell’Unione europea, durante il primo semestre del 2001,ha posto l’allargamento come priorità, insieme all’occupazione e all’ambiente, del suoambizioso programma. Secondo la Road Map preparata dalla Commissione europea, i negoziatidovrebbero procedere per tutto il 2001 fino alla metà del 2002 (Commissione Europea, 2000).Secondo la Road Map, La libertà di circolazione delle persone dovrebbe essere affrontata nelcorso del primo semestre del 2001, mentre il capitolo sulla Giustizia e Affari Interni dovrebbeessere aperto durante il secondo trimestre del 2001, durante la presidenza belga.

Ma la presidenza svedese intende accelerare il corso dei negoziati.12 Il Ministro degliEsteri Anna Lindh ha già discusso con i paesi che avranno le prossime presidenze (Belgio eSpagna) la possibilità di aprire i negoziati su alcuni capitoli in anticipo rispetto al calendarioindicativo della Commissione.13 In particolare, il presidente di turno del Consiglio Affari

9 Come abbiamo già ricordato, è solo nel maggio 1999, quando il trattato di Amsterdam era già entrato invigore, che il Consiglio ha definito in dettaglio (decisione 1999/453/CE) il contenuto dell’acquis diSchengen. Gran parte di questo patrimonio normativo, tuttavia, è in attesa di essere tradotto in strumenticomunitari, ed è pertanto suscettibile di modifiche.10 Monar, 2000b, p. 7.11 Si tratta di un foro di dialogo e di cooperazione intergovernativa incentrato sul contrastodell’immigrazione clandestina, il cui segretariato è attualmente assicurato dall’International Centre forMigration Policy Development (ICMPD) di Vienna (v. www.icmpd.org).12 Financial Times, “Enlarged EU as a priority for Sweden”, 2 gennaio 2001, p. 3.13 European Voice, “Stockhom faces daunting test of its ambition”, 14-20 dicembre 2000, pp. 14-15;Financial Times, “Pragmatism rules as Swedes fly EU flag”, 31 dicembre 2000, p. 3.

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Generali intende accelerare i negoziati sul difficile capitolo della libertà di circolazione dellepersone, capitolo aperto con i paesi del gruppo di Lussemburgo nel maggio 2000, e aprirloanche con tre paesi del gruppo di Helsinki (Lettonia, Lituania e Slovacchia). Inoltre, intendeiniziare i negoziati su alcuni capitoli “veramente di sostanza”, come Giustizia e Affari Interni(GAI), con i paesi del gruppo di Lussemburgo e anche con i paesi del gruppo di Helsinki cheavranno fatto sufficienti progressi nella loro preparazione14.

Tuttavia, proprio con l’inizio della fase più complicata dei negoziati, la strategiadell’Unione deve fare i conti con un’opinione pubblica che, nel migliore dei casi, si puòdescrivere sempre più tiepida verso l’ingresso dei paesi candidati. Nel 2000, solo il 38% deicittadini europei è favorevole all’allargamento, sette punti in meno rispetto al dato del 1999(Commissione europea, 2000b; Commissione europea, 1999). Inoltre, il valore reale di questodato è inferiore al 38%, dato che l’alto gradimento riscontrato da Norvegia e Svizzera, presentinell’indagine senza essere effettivamente candidati, ha alzato la media. Tra i paesi dell’Europacentro-orientale, il preferito dai cittadini europei è l’Ungheria, che gode del 46% dei favori. 15

Ma altri paesi, come Estonia e Slovenia (tra quelli appartenenti al gruppo più avanzato neinegoziati), oltre a Slovacchia, Lettonia, Bulgaria, Lituania e Romania riscontrano più opinionisfavorevoli al loro ingresso di quante non siano favorevoli (Commissione europea 2000b).

Meno di un cittadino su tre (il 27%) ritiene che la strategia dell’allargamento siaprioritaria per l'Unione 16. Tra gli Stati membri attuali, solo in Svezia, Danimarca e Grecia vi èuna maggioranza a favore dell’allargamento; e in ognuno di questi paesi, si nota una tendenzadell’opinione pubblica a privilegiare i paesi più vicini (i Baltici per i primi due, Cipro per laGrecia). In Austria e Germania, due paesi strategici sia geograficamente, sia per i loro storicirapporti “speciali” con i vicini orientali, si trovano più preoccupazioni nei confrontidell’allargamento, e i consensi raggiungono rispettivamente solo il 30% e il 34%. Non a caso, laCommissione europea ha lanciato nel corso del 2000 una campagna informativasull’allargamento con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica nei paesi membri ecandidati.

Anche se non sono state compiute indagini specifiche sull’atteggiamento delle opinionipubbliche nazionali UE sul rapporto tra allargamento e possibili movimenti di popolazione, isegnali preoccupanti non mancano. Tra le comunità straniere residenti in Europa occidentale, ifuturi cittadini dell’Unione sembrerebbero i meno amati. I cittadini dell’Europa dell’Estottengono solo il 50,8% della fiducia in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna,contro il 73,1% della fiducia nei confronti dei cittadini di altri Stati membri dell’Unione e il55,9% della fiducia verso cittadini di paesi extra-europei (Fondazione Nord Est, 2000).

Questi fattori rendono l’allargamento e la relativa libertà di circolazione delle personeuna questione politica, portando il dibattito sui negoziati dalla burocrazia di Bruxelles alla sferadel dibattito pubblico.

Per fronteggiare le preoccupazioni crescenti dell’opinione pubblica, nel dicembrescorso, in occasione di un discorso tenuto a Wieden, una città tedesca di frontiera a circa 30 Kmdalla Repubblica Ceca, il Cancelliere tedesco Gerhard Schröder ha annunciato che la Germaniachiederà periodi transitori in materia di libertà di circolazione delle persone17. In proposito, varilevato che le regioni orientali, confinanti con i futuri stati membri, sono quelle più povere, con

14 Agence Europe, Bulletin Quotidien Europe n. 7877, 10 gennaio 2001.15 Commissione europea (2000b). La domanda riguarda il favore o meno dei cittadini europei versol’adesione di singoli paesi.16 I rapporti dell’Eurobarometro non illustrano le percentuali di risposte incerte rispetto alle domandeposte. Si può ragionevolmente presumere che molti cittadini intervistati rispondano “non so”.17 Discorso di Gerhard Schröder, tenuto a Regionalkoferenz Oberpfalz 2000 “EU-Osterweiterung” lunedì18 gennaio 2000, Wieden. www.budnesregierrung.de/dokumente/Rede/ix_26831.htm (consultato il 10gennaio 2001).

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tassi di disoccupazione più alti della media nazionale, e più vulnerabili a fenomeni dixenofobia 18. L’Austria si è già manifestata alleata della Germania in questa richiesta19.

La proposta tedesca – che si basa su un generico riconoscimento del fabbisogno futurodi manodopera straniera in Europa, prevede l’introduzione di un periodo transitorio flessibile,articolato nel seguente modo:• Periodo di transizione di sette anni per la libera circolazione delle persone• Verifica del sistema transitorio dopo cinque anni di applicazione• Possibilità per i PECO di chiedere una sospensione delle limitazioni se sono presenti i

presupposti necessari• Facoltà per gli attuali paesi membri di mantenere, nell’ambito delle rispettive politiche di

ammissione nazionali, la possibilità di entrata controllata di manodopera straniera• Relativa limitazione della libertà di circolazione di alcuni servizi (come ad esempio

l’edilizia e l’artigianato) per evitare un aggiramento delle restrizioni provvisorie alla libertàdi circolazione dei lavoratori20.

La proposta tedesca non chiarisce un punto centrale: il tipo di norme i materia di libertàdi circolazione da applicare al cittadino dei nuovi membri dell’Unione, legalmente occupato inun vecchio paese membro secondo le politiche nazionali che resterebbero in vigore durante ilperiodo transitorio, in materia di libertà di circolazione. Rispetto ai periodi transitori introdottiper l’adesione di Grecia, Spagna e Portogallo (cfr. par. 5.4.2), bisogna sottolineare che i vigentiAccordi europei di associazione, oltre al garantire la parità di trattamento dei lavoratoriprovenienti dai PECO, offrono già condizioni migliori di quelle dei lavoratori iberici. Perquanto riguarda i familiari, “il coniuge e i figli legalmente residenti di un lavoratore legalmenteoccupato nel territorio di uno Stato membro, fatta eccezione per i lavoratori stagionali e per ilavoratori oggetto di accordi bilaterali (...), hanno accesso al mercato del lavoro dei quello Statomembro nel periodo di soggiorno di lavoro autorizzato di quel lavoratore”21.

La posizione di Schröder sembrerebbe trovare alcune opinioni favorevoli ancheall’interno della Commissione europea. Già nel gennaio 2000, il Commissario perl’allargamento Günther Verheugen aveva ventilato la possibilità di sviluppare uno “strumentonuovo e flessibile per i periodi transitori che sino ad ora non è mai stato utilizzato neinegoziati” 22, che permettesse l’uso di quote per paese e per settore per la progressiva entrata invigore della libertà di circolazione per i nuovi paesi membri. La posizione comune dellaCommissione europea in materia è attesa per marzo-aprile 2001, ma le prime reazionisembrerebbero non sfavorevoli alla proposta di Schröder23.

La proposta incontra invece dure critiche da tutti i paesi candidati, Polonia in testa. Ipaesi candidati ritengono che la proposta tedesca sia motivata principalmente da esigenze dipolitica interna. Contestano, inoltre, il tipo di flessibilità implicita nel modello transitorio:“Programmatori informatici potrebbero entrare prima, ma non i lavoratori edili. Questo èinaccettabile”, secondo Jacek Saryusz-Wolski, Segretario di stato polacco per l’integrazione

18 Con riferimento alla distribuzione regionale dei lavoratori PECO in Austria e Germania, tuttavia, èstato rilevato che questi tendono a concentrarsi nelle zone con maggiore domanda di lavoro (Honekopp,2000 par. 3.3.4).19 Statement del Ministro degli Interni austriaco Ernst Strasser, 11 gennaio 2001, Federal Chancellery,Federal Press Service.20 Discorso Schröder; Ambasciata della Repubblica Federale di Germania, Nota Verbale 6/2001.21 “Accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e gli Stati membri, cheagiscono nel quadro dell’Unione europea, da una parte, e la Repubblica di Slovenia, dall’altra”, Gazzettaufficiale n. L051 del 26/02/1999.22 Agence Europe, Uniting Europe, n. 83, 24 gennaio 2000.23 Agence Europe, Bulletin Quotidien Europe n. 7868, 21 dicembre 2000.

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europea24. L’impatto dei periodi transitori sui paesi candidati potrebbe avere, tra le sueconseguenze, un cosiddetto “brain drain” dei lavoratori specializzati e dei professionistibloccando invece la manodopera meno specializzata. Questo timore accomuna tutti i paesicandidati25. Il Primo Ministro polacco Jerzy Buzek ha recentemente ribadito le sue posizioni e ilsuo attaccamento al principio della parità di trattamento nell’Unione, sottolineando che è daescludere un flusso massiccio di cittadini polacchi verso la Germania, in seguito all’adesione. Alcontrario, secondo il premier polacco, è probabile il ritorno di molti polacchi già emigrati26.Questo scenario richiama in parte l’esperienza dei periodi transitori posti alla Spagna e alPortogallo nel 1986 (cfr. par. 5.2.2 e 5.4.1).

Anche per i governi dei paesi candidati, la libertà di circolazione delle persone potrebbetrasformarsi in una questione politica.27 Anche se il “ritorno in Europa” continua ad essere unobiettivo ampiamente condiviso nelle società dei PECO28, i cittadini iniziano a valutare piùattentamente i costi e benefici del processo di profonda trasformazione che l’adesione comporta.Con il procedere dei negoziati, il dibattito pubblico nei PECO promette di diventare piùinformato sulle tematiche rilevanti in ciascun paese. In Polonia, ad esempio, paesetradizionalmente con una larga maggioranza a favore dell’adesione (il 70% nel 1997[Commissione europea, 1997], sta crescendo il numero di euro-scettici, che è arrivato al 26%,mentre solo il 55% voterebbe a favore dell’adesione [CEORG, 2000]. Sia in Polonia, sia nellaRepubblica Ceca, è diffusa la percezione che sia l’attuale Unione a trarre più benefici generalidall’allargamento (CEORG, 2000). Nei paesi candidati, il sostegno dei cittadini alle profonde ecostose trasformazioni economiche, politiche e istituzionali, è sempre stato legato allaprospettiva di adesione. Questo sostegno dipenderà in larga misura dal modo in cui l’Unionegestisce i negoziati, e la libera circolazione delle persone rischia di essere un fattore generatoredi controversie (Grabbe e Hughes, 1999). Il risentimento causato dal regime di visti imposto allaRomania (l’impegno ad abolire l’obbligo di visto, da parte dei Quindici, è rimasto per ora sullacarta) illustra bene il valore, anche simbolico, che la libertà di circolazione assume per i cittadinidei PECO e, di conseguenza, per i loro governi.

24 Agence Europe, Uniting Europe, n. 127, 26 dicembre 2000.25 Agence Europe, Uniting Europe, n. 127, 26 dicembre 2000.26 Agence Europe, Uniting Europe, n. 128, 22 gennaio 2001. “Diamo una grande importanza al principiosecondo cui tutti, nell’Unione, ricevono pari trattamento, ovunque essi siano”. Ha aggiunto che “Non ciaspettiamo che molti polacchi, una volta membri dell’Unione, partano per andare in Germania o altronell’Unione attuale (...) Anzi, ci aspettiamo un’evoluzione in senso contrario: il ritorno di Polacchidall’estero o l’arrivo di cittadini della futura Unione allargata in Polonia”.27 Ricordiamo, inoltre, che quasi tutti i paesi candidati terranno un referendum popolare sull’adesioneall’UE.28 Nei PECO continua ad esservi una maggioranza di cittadini che voterebbe a favore dell’adesione.Tuttavia, in alcuni paesi cresce anche la percentuale di cittadini che esprimono opinioni scettiche versol’Unione o verso alcune sue politiche. Non è possibile in questa sede illustrare le opinioni complesse deicittadini dei PECO. Cfr. Commissione europea, 1997, 1998; CEORG, 2000; Central European PublicOpinion, 2000; e Grabbe e Hughes, 1999.

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5 2. Il potenziale migratorio dei paesi candidati e l’impatto dell’allargamento sui mercatidel lavoro nazionali degli attuali Stati membri

5.2.1. L’immigrazione dai paesi candidati negli anni novanta

La situazione demografica nei paesi candidatiLe prospettive demografiche dei paesi candidati si sono deteriorate in maniera

sostanziale nel corso degli anni novanta. Una volta avviata la transizione verso un’economia dimercato il declino delle forme di assistenza pubblica alla famiglia e la forte incertezza sul futurohanno causato una diminuzione della natalità. Le difficoltà economiche e nella gestione deisistemi sanitari hanno portato in alcuni casi alla riduzione delle aspettative di vita.

Oggi i paesi candidati conoscono, così come l’Europa occidentale, il doppio fenomenodel declino demografico e dell’invecchiamento della popolazione. L’impatto sulla popolazioneattiva rischia di essere devastante. Le stime dell’ONU sulle variazione della popolazione totaleda oggi al 2050, costruite con l’ipotesi di assenza di flussi migratori e di invarianza delletendenze della natalità, prevedono una riduzione media della popolazione nei paesi della primaondata pari al 14%, con punte del -25% per Ungheria e Slovenia. Per la seconda ondata ladiminuzione è ancora maggiore, pari al 25% medio, con punte del –31% per Bulgaria eLettonia. In Polonia e Romania, i due paesi più popolati tra quelli che partecipano al processo diallargamento, è prevista una riduzione della popolazione rispettivamente del 6% e del 26%(Cfr. Tav. 5.1 sulle prospettive demografiche dei paesi candidati).

Tav. 5.1 Prospettive demografiche dei paesi candidati

Popolazione(in migliaia)

Cambiamento popolazione Popolazione oltre i 65 anni(%)

2000 2050 Valore assoluto % 2000 2050Polonia 38765 36256 2509 -6 12 26Slovenia 1986 1487 499 -25 14 32Rep. Ceca 10244 7829 2415 -24 14 33Ungheria 10036 7488 2548 -25 15 28Estonia 1396 927 469 -34 14 29Totale 1a ondata 62427 53987 8440 -14 Romania 22327 16419 5908 -26 13 31Bulgaria 8225 5673 2552 -31 16 30Slovacchia 5387 4836 551 -10 11 27Lettonia 2357 1628 729 -31 14 27Lituania 3670 2967 703 -19 13 27Totale 2a ondata 41966 31523 10443 -25 Totale 10 candidati 104393 85510 18883 -18 Jugoslavia 10640 10548 92 -1 13 23Croazia 4473 3673 800 -18 15 26Bosnia 3972 3767 205 -5 10 27ONU, Replacement Migration: is it a solution to Ageing Polpulations?, March 2000.

Se le tendenze demografiche attuali verranno confermate nel futuro, i paesidell’allargamento non presenteranno un saldo demografico positivo da esportare. L’emigrazioneaggraverebbe una situazione demografica già squilibrata nel paese di provenienza. I fattoriclassici di espulsione della manodopera eccedente non si manifesterebbero, anche se un fortedeclino demografico comporterebbe necessariamente anche un declino economico, che potrebbea sua volta incentivare l’emigrazione.

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L’emigrazione dai paesi candidati negli anni novantaDopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 si sono verificati considerevoli movimenti

di popolazione dall’Europa dell’est verso l’UE ed in particolare verso la Germania, che haassorbito inizialmente gran parte di questi flussi. Secondo l’OCSE, la popolazione stranieratotale residente in Germania è passata da 4,5 a 7,4 milioni tra il 1988 ed il 1998, mentre quellainglese è cresciuta solo da 1,8 a 2,2 e quella italiana da 0,5 a 1,25. La Germania ha assorbitoinizialmente fino al 65% dei flussi netti totali di immigranti verso l’UE (attestatisi tra i 600.000ed gli 800.000 immigranti annui nel 1990-92) 29, a causa di un brusco riaggiustamento deglistock di popolazione dovuto a decenni di immigrazione repressa per ragioni politiche. Bisognaperò anche rilevare come tali flussi si siano notevolmente ridimensionati alla fine degli anni 90:i flussi netti di immigrazione totale verso l’UE sono scesi da 1 milione nel 1990 a 380.000 nel1998, dei quali solo 50.000 verso la Germania.

Nella fase iniziale i nuovi immigrati sono arrivati in larga parte dall’Europa dell’Est edalla Turchia (questi ultimi concentrati verso la Germania). Vi è poi stato chiaramente un effettodi richiamo sui nuovi immigrati delle comunità nazionali già presenti nei paesi di accoglienza. Inuovi flussi provenienti da un determinato paese tendono infatti a seguire in larga parte quelli dichi li ha preceduti (Algerini verso la Francia, Marocchini verso Francia e Italia, Albanesi versoGrecia e Italia, Turchi verso la Germania, etc.).

Vista la loro assoluta preponderanza in Europa, vale la pena di esaminare con qualchedettaglio i flussi verso la Germania. I flussi annui di immigrazione netta dai PECO10 verso laGermania sono passati da circa 130.000 unità nel periodo 1988-90 a un flusso negativo nel1993-94 (-55.000 e –6.000) per attestarsi a poche migliaia l’anno nella seconda metà degli anninovanta (l’ultimo dato disponibile è di 14.000 nel 1998, e –1.000 nel 1997 (Hönekopp, 1999).Lo stock di stranieri provenienti dai dieci paesi candidati si attesterebbe a circa 555.000persone nel 1998 (Brücker, 2000). I dati relativi ai maggiori paesi candidati indicano che vi èstato un forte aumento della comunità polacca dal 1973 al 1992, con una crescita da 41.800 a285.600, ma che dal 1992 il numero totale di polacchi oscilla senza avere più tendenza adaumentare, con una sorta di esaurimento della spinta all’emigrazione (per un esame delletendenze migratorie polacche v. Okolski, 1998). I dati OCSE relativi al 1998 indicano unasaldo migratorio totale della Polonia verso il resto del mondo di segno negativo. I forti aumentidei flussi da Romania e Bulgaria nei primi tre anni dopo la caduta del muro di Berlino el’apertura delle frontiere hanno ceduto il passo dopo il 1992 a sostanziali e continue riduzionidel numero di immigrati presenti in Germania. Il numero elevato di naturalizzazioni effettuatodalla Germania spiega solo in parte questa riduzione (cfr. Tav. 5.2 sulle Comunità stranierepresenti in Germania).

L’aumento della popolazione straniera residente in Germania è dovuta maggiormenteall’arrivo di cittadini provenienti dalla Turchia e dai Balcani (in particolare, dall’ex Jugoslavia)che non dai paesi candidati. La progressione della popolazione turca è stata costante (dai172.000 del 1967 ai 2.110.000 del 1998) e rappresentava nel 1998 il 28,8% della popolazionestraniera in Germania. L’aumento della presenza di jugoslavi, croati e bosniaci è stata anchesostanziale, ma di dimensioni più ridotte, dato che, considerati congiuntamente, rappresentano il15,3% della popolazione straniera in Germania nel 1998.

29 Dati Onu, Replacement migration.

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Tav. 5.2 Comunità straniere presenti in Germania (stock in migliaia) 1967 1973 1985 1989 1992 1998Greci 201,0 407,6 280,6 293,6 345,9 363,5Italiani 412,8 630,7 531,3 519,5 557,7 612,0Portoghesi 24,0 112,0 77,0 74,9 98,9 132,6Spagnoli 177,0 287,0 152,8 127,0 133,8 131,1Polacchi 54,0 41,8 104,8 220,4 285,6 283,6Rumeni 3,1 10,1 13,7 21,1 167,3 89,8Bulgari 2,0 3,1 4,3 5,7 59,1 36,0Turchi 172,4 910,5 1401,9 1612,6 1854,9 2110,2Jugoslavi 140,6 701,6 591,0 610,5 915,6 719,5Croati nd. nd. nd. nd. 82,5 208,9Bosniaci nd. nd. nd. n.d. 19,9 190,1Totale 1806,7 3966,2 4143,8 4378,9 6495,8 7319,6Barbara Marshall, The new Germany and migration in Europe, Manchester 2000, p.43.

Con riferimento ai PECO si osserva, invece, un incremento della presenza straniera dinatura temporanea, stagionale o transfrontaliera. In particolare, i lavoratori stagionaliprovenienti dai pesi dell’Europa centrorientale sarebbero aumentati da 163.000 unità nel 1993 a208.000 nel 1998 (Hönekopp, 1999). Oltre il 90% di questi è diretto verso le regioni dellaGermania occidentale, dove si trova la maggior disponibilità di posti di lavoro. Oltre allacomponente legale, è stato stimato che una parte consistente di migrazioni temporanee ependolarismo dai PECO nell’UE è volta a trovare lavoro illegalmente (Boswell, 2000).

Con riguardo alle migrazioni legali di breve periodo è stato osservato che questeapportano benefici ai paesi riceventi, rispondendo a fluttuazioni nella domanda di lavoro, senzacomportare sostanziali aggravi finanziari per gli attuali paesi membri. Infatti, questi migrantitemporanei in genere ricevono i benefici sociali, come l’assicurazione sanitaria, sussidi didisoccupazione e la previdenza sociale, dallo stato di origine e non dai membri UE. Inoltre,restando per brevi periodi, tendono a lasciare le proprie famiglie nel loro paese e quindi ancheda questo punto di vista non pesano sul welfare state e sui sistemi d’istruzione pubblica deipaesi riceventi (Amato e Batt, 1999, p. 49).

L’immigrazione dai paesi candidati in Italia negli anni novantaIn Italia l’aumento della popolazione straniera soggiornante regolarmente tra la fine del

1991 e settembre del 2000 è stato del 109%, pari a 710.000 persone. Per i tre principali paesicandidati per popolazione vi è stato un aumento più che proporzionale, in particolare per quelche riguarda la Romania (+699%), la Bulgaria, (+192%) e la Polonia (+149%). I valori assolutiperò sono limitati, vista la bassissima base di partenza, spesso poche centinaia di persone. Afine settembre 2000 gli stranieri provenienti dai paesi della “prima ondata“ soggiornanti in Italiaerano solo 41.000, 30.000 dei quali polacchi, mentre quello provenienti dai paesi della secondaondata erano 78.000, 66.000 dei quali rumeni (cfr. Tav. 5.3 Stranieri soggiornanti in Italia,provenienti dai paesi candidati).

Tra i paesi candidati però non vi sono stati flussi duraturi rilevanti con l’eccezione dellaRomania. I polacchi residenti in Italia sono saliti da 12.000 nel 1991 a 30.000 nel settembre2000, e negli ultimi quattro anni mostrano un andamento sostanzialmente stazionario, se siescludono gli effetti della regolarizzazione avviata nel 1998. Gli immigrati residenti in Italia nelsettembre 2000 e provenienti da Bulgaria, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria,Lituania, Lettonia, Estonia, Cipro e Malta, considerati congiuntamente, erano meno di 23.000.Per metà dei paesi candidati le presenze sono così limitate che si contano in centinaia di personementre i flussi annui sono valutati in decine di persone. I recenti flussi netti da questi paesi sisono quasi azzerati, con solo modestissimi arrivi dalla Bulgaria.

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Il caso della Romania è molto diverso. I crescenti legami economici e commercialitessuti dalle imprese italiane in quel paese, assieme alla crisi economica che si è sviluppata inRomania dal 1997 hanno spinto molti cittadini rumeni verso l’Italia. Tale movimento èattualmente favorito in modo particolare dall’apprezzamento manifestato a loro favore dagliimprenditori italiani delle zone del Nord Est, caratterizzate da forti carenze di mano d’opera. Icittadini rumeni sembrano essersi costruiti una buona reputazione rispetto ad altre comunitàpresenti in Italia. L’immigrazione dalla Turchia non è molto intensa, ma sta lentamentecrescendo, anche se i flussi rimangono prevalentemente di transito. I 9000 turchi presenti inItalia non sono comunque neanche lontanamente comparabili per numerosità ai 2,1 milioni diturchi presenti in Germania.

E’ importante notare per quel che riguarda l’Italia che l’immigrazione dall’Europadell’Est che suscita maggiore diffidenza nell’opinione pubblica non proviene da paesi cui l’UEha riconosciuto lo status di candidati, ma proviene da Albania e stati dell’ex-Jugoslavia ai qualiè stata promessa un’integrazione nell’Unione in tempi indefiniti e comunque molto lunghi. Al30 settembre 2000, i 119.000 immigrati provenienti dall’insieme dei 12 paesi candidati sononettamente meno numerosi di quelli provenienti dalla sola Albania (136.000 persone) e nonsono molto più numerosi di quelli provenienti dagli stati della ex-Jugoslavia pre-1991 (90.000persone). Le informazioni più recenti provenienti dall’Albania sembrano indicare che anche daquel paese i flussi migratori di autoctoni si stanno esaurendo (oltre il 20% della popolazione ègià emigrata dopo il 1990 secondo gli esperti albanesi) e che il paese si sta trasformando dapaese di origine in paese di transito per migranti provenenti da Medio-Oriente e Asia.

In linea generale l’incidenza dei cittadini provenienti dai 12 paesi candidati è moltoridotta (0,18% della popolazione residente in Italia a fine 1999), con punte del 0,60% nel Lazio,del 0,42% in Friuli-Venezia Giulia, del 0,34% in Trentino AA, del 0,31% in Umbria e del0,22% in Veneto. La forza di attrazione di Roma (dovuta anche alla numerosità dei permessi disoggiorno per motivi religiosi) è tale da portare la presenza nel Centro al di sopra di quella nelNord-est (0,40% contro 0,22%). Nel Nord-ovest la loro incidenza è inferiore alla medianazionale (0,15% della popolazione e nel sud e isole sono quasi del tutto assenti (0,06%), conun minimo in Puglia (0,02%). Alcune nazionalità si concentrano in maniera alquanto vistosa inalcune regioni. E’ il caso in particolare degli sloveni, 76,3% dei quali si trova in Friuli VeneziaGiulia, con situazioni simili a quelle dei frontalieri che vivono in Slovenia ma lavorano in Italia.Le due comunità più importanti dei paesi candidati sono concentrate a Roma: il 43% deipolacchi ed il 31,1% dei rumeni risiedono nel Lazio. I Bulgari si concentrano prevalentementein Lombardia (24,8%) e nel Lazio (23,5%), mentre il 45,4% degli slovacchi è residente nelNord-Est. In quest’area si concentrano anche il 58,7% dei croati e il 50,7% degli jugoslavi. Invalori assoluti oltre la metà dei cittadini provenienti dai dodici candidati risiede nel Centro, lamaggior parte dei quali nel Lazio (31.554 persone su 101.281 presenti in Italia al 31 dicembre1999).

Emerge chiaramente come le cifre analizzate siano rassicuranti per l’insieme dei paesicandidati, malgrado il ruolo preminente della Romania E’ dunque importante sottolineare ladistinzione tra i paesi candidati all’ingresso nell’Unione e i paesi dell’Est in generale. Questo alfine dei contrastare i timori e la percezione dell’opinione pubblica che vi sia un’invasione in attoe l’allarme sociale indistinto sull’immigrazione dall’Europa dell’Est.

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Tav. 5.3 Stranieri soggiornanti regolarmente in Italia e provenienti dai paesi candidati all’UE e dai Balcani. Anni 1991-2000.(Permessi di soggiorno) 31/12/91 31/12/92 31/12/93 31/12/94 31/12/95 01/01/97 01/01/98 01/01/99 01/01/00 30/09/00Polonia 12.139 10.490 11.719 12.400 13.955 23.163 22.938 23.258 29.478 30278Slovenia 3.575 3.469 3.476 3.720 3796Rep. Ceca 4.866 2.868 3.122 3.429 3349Cecoslovacchia 2.381 477Ungheria 2.506 2.690 2.815 3.428 3.318 3.625 3.690 3041Estonia 181 158 204 226 241Cipro 153 137 152 166 193Totale gruppo Lussemburgo 35.366 32.888 33.837 40.709 41.375Romania 8.250 8.419 9.756 12.026 14.212 26.894 28.796 33.777 61.212 65941Bulgaria 2.530 2.461 2.670 3.063 3.256 4.435 4.832 5.278 7.378 7397Slovacchia 2.489 1.389 1.913 2.087 2588Lettonia 187 228 264 333 400Malta 751 751 793 794 802Lituania 317 346 378 450 543Totale gruppo Helsinki 35.073 36.342 42.403 72.254 77.671Totale Polonia e Romania 20.389 18.909 21.475 24.426 28.167 50.057 51.734 57.035 90.690 96.219Totale 12 candidati 70.439 69.230 76.240 112.963 119.046Turchia 3.617 3.107 3.243 3.348 3.502 3.924 4.364 5.479 6.277 9257Turchia curdi 2234Albania 24.886 22.474 23.732 25.245 30.183 66.608 72.551 87.595 133.018 136012Ex Jugoslavia 26.727 34.954 64.636 73.450 73.538 74.761 73.492 82.067 92.791 89.583Jugoslavia 33.005 31.673 36.099 41.234 35973Jugoslavia Kosovo 2247Macedonia 13.764 14.199 16.995 19.844 21086Croazia 15.309 15.223 15.455 16.508 17101Bosnia 9.108 8.928 10.042 11.485 11627Total ex Jugoslavia e Albania 51.613 57.428 88.368 98.695 103.721 141.369 146.043 169.662 225.809 225.595Totale 18 paesi**** 78.149 84.286 118.262 132.222 141.461 212.157 216.168 247.905 341.329 354.583Totale stranieri soggiornanti in Italia 648.935 589.457 649.102 677.791 729.159 986.020 1.022.896 1.090.820 1.340.655 1359022Fonte : elaborazione Istat su dati del Ministero dell'Interno (1991-2000) e dati provvisori Ministero dell'Interno per settembre 2000.

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Tav. 5.4 Stranieri regolarmente soggiornanti in Italia al 31 dicembre 1999, distribuzione per regione. Totale

GruppoLussemburgo *

Totale 12candidati **

Totale 6Turchia+

Balcani occ. ***

Totale 18paesi ****

Totale stranierisoggiornanti in

Italia

Popolazione totaleresidente

Tasso didisoccupazione

regionale (media1999)

Stranieri in %popolazione

Stranieri 12candidati in %popolazione

Val d'Aosta 38 101 326 427 2499 119.993 5,3 2,08 0,08Piemonte 1314 8189 12344 20533 79069 4.288.051 7,2 1,84 0,19Lombardia 3260 12524 30316 42840 265833 9.028.913 4,8 2,94 0,14Liguria 516 1274 4617 5891 34725 1.632.536 9,9 2,13 0,08Nord-Ovest 5128 22088 47603 69691 382126 15069493 2,54 0,15Trentino AA. 1799 3188 8072 11260 29352 929.574 3,4 3,16 0,34Veneto 2450 9870 32842 42712 120515 4.487.560 4,5 2,69 0,22Friuli V.G. 3664 5028 14816 19844 37891 1.183.916 5,6 3,20 0,42Emilia R. 1985 5308 16925 22233 100883 3.959.770 4,6 2,55 0,13Nord -Est 9898 23394 72655 96049 288641 10560820 2,73 0,22Toscana 2371 7251 18857 26108 92627 3.528.563 7,2 2,63 0,21Umbria 1044 2555 5765 8320 24522 832.675 7,6 2,94 0,31Marche 1095 2701 8929 11630 30306 1.455.449 6,1 2,08 0,19Lazio 13180 31554 17952 49506 221182 5.255.028 11,7 4,21 0,60Centro 17690 44061 51503 95564 368637 11071715 3,33 0,40Abruzzo 802 1917 6567 8484 17135 1.277.330 10,1 1,34 0,15Campania 2855 4055 5396 9451 63360 5.792.580 23,7 1,09 0,07Molise 120 254 662 916 1869 328.980 16,2 0,57 0,08Basilicata 81 210 1242 1452 3178 607.853 17,1 0,52 0,03Puglia 380 982 23515 24497 43058 4.086.422 19,0 1,05 0,02Calabria 723 1232 3232 4464 15293 2.064.718 28,0 0,74 0,06Sicilia 873 2216 8634 10850 56736 5.098.234 24,5 1,11 0,04Sardegna 573 872 675 1547 11961 1.654.470 21,0 0,72 0,05Sud e isole 6407 11738 49923 61661 212590 20910587 1,02 0,06Totale 39123 101281 221684 322965 1251994 57612615 11,4 2,17 0,18Fonte: Ministero dell'Interno, Immigrazione regolare e irregolare, attività della Polizia di Stato anno 1999. ISTAT.Polonia, Rep. Ceca, Slovenia, Ungheria, Estonia, Cipro. Per la Repubblica Ceca e per la Slovacchia il dato è leggermente sottostimato per via della presenza di 478 soggetti ancora inpossesso di un passaporto cecoslovacco, non considerati in questa tabella.** Polonia, Rep. Ceca, Slovenia, Ungheria, Estonia, Malta, Cipro, Lituania, Lettonia, Romania, Bulgaria, Slovacchia.*** Turchia, Albania, Jugoslavia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia**** Polonia, Rep. Ceca, Slovenia, Ungheria, Estonia, Malta, Cipro, Lituania, Lettonia, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Turchia, Albania, Jugoslavia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia.

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5.2.2. Il potenziale migratorio dai nuovi stati membri

Innanzitutto, è necessario sottolineare che la disomogeneità e l’incompletezza dei datidisponibili sul fenomeno dell’immigrazione rendono alquanto aleatoria qualsiasi estrapolazione.Inoltre, le variabili che influenzano la decisione di emigrare sono complesse, difficili daponderare e variano, tra l’altro, tra gruppi sociali, regioni e settori di occupazione. Le stimenumeriche devono dunque essere interpretate con una certa cautela (Boswell, 2000).

Le principali determinanti dell’immigrazioneNella letteratura vengono considerati diversi fattori che influenzano di immigrazione.

Spesso vengono distinti i fattori di “spinta” dai paesi di origine da quelli di “attrazione” deipaesi riceventi l’immigrazione (OECD, 2000). Tra i primi vi sono fattori sia economici, quali iredditi relativi attesi (approssimati dai differenziali di livello di reddito pro capite ma anchedall’andamento relativo della crescita economica nei paesi di origine e nei paesi di accoglienza)sia politico-sociali. Tra i fattori non economici vanno considerati i costi psicologici di spostarsiin un altro paese, in parte attenuati dalla presenza di una rete di immigrati provenienti dallostesso paese di origine, ma anche la ricerca di asilo politico dalle persecuzioni e da catastrofiumanitarie. Sul fronte della domanda, tradizionalmente è stato sottolineato il ruolo delladomanda di lavoro insoddisfatta nei paesi di accoglienza (lavoro stagionale e permanente,lavoro poco qualificato e lavoro legato alla new economy). Tra i fattori considerati piùimportanti vi è, inoltre, la dinamica dei saldi demografici: declino demografico nel paeseospitante e/o crescita insostenibile nel paese di partenza.

Gli studi più recenti sul potenziale migratorio della regioneDi recente, considerato anche la rilevanza politica della questione, sono stati effettuati

diversi tipi di studi al fine, tra l’altro, di fornire delle previsioni circa i futuri flussi migratori(per una rassegna v. Boswell, 2000 e anche Commissione Europea 2001, p.32). Alcuni hannoutilizzato un approccio econometrico, costruendo dei modelli con le determinanti “quantitative”dell’immigrazione, quali i differenziali in termini di reddito e di disoccupazione. Il problemaprincipale con questo tipo di approccio è che, per quanto sofisticati, i modelli non riescono acatturare le complesse interazioni tra fattori economici, politici, sociali e psicologici cheinfluenzano il fenomeno migratorio. In genere vengono generalizzati i comportamenti di diversigruppi e in diversi periodi storici, senza riguardo alle specificità socio-culturali. Ad ogni modo,questi tipi di stime possono essere utili per individuare l’ordine di grandezza dei potenzialiflussi migratori provenienti dai candidati.

Brücker stima un modello per le determinanti dell’immigrazione utilizzando i datisull’immigrazione in Germania proveniente da 18 paesi (sono incluse Turchia ed ex-Jugoslavia)tra il 1967 e il 1998 (Boeri e Brücker 2000, parte A, par. 7.3, p. 111). La variabile dipendente èil tasso di variazione del rapporto tra lo stock di immigrati e la popolazione. Le variabiliconsiderate nella specificazione sono: il differenziale del reddito pro capite in PPA tra il paesedi origine e quello di destinazione, il tasso di disoccupazione sia nel paese di origine sia inquello di destinazione, il rapporto tra immigrati e popolazione nel periodo precedente e alcunedummy che dovrebbero catturare fattori istituzionali. I risultati, che riguardano sia i flussi dibreve periodo sia gli stock lungo periodo, vengono estrapolati per gli altri paesi membri sullabase della distribuzione attuale degli immigrati dai paesi candidati (v. Tav. 5.5 sugli stranieriresidenti nei paesi UE 15 provenienti dai candidati).

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Tav. 5.5 Immigrazione nei paesi UE 15Popolazione

1999 (in mln diabitanti)

PIL tot.1999

(in mlddi euro)

PIL procapite 1999in PPA %media UE

Tasso didisocc.

dic.1999

Flussi netti cum.di immigrati dai

PECO-10 dal1990-97 (1)

Stock diimmigrati daiPECO-10 nel

1998 (2)

Stock diimmigrati

dalla Turchianel 1998 (3)

Pop.straniera tot.residente nel

1998 (4)

Pop.straniera in% della pop

totale (4)

Austria 8,092 194,4 112 3,7 n.d. 103 000 53 000 737 000 9,1Belgio 10,239 223,1 111 8,8 4 225 10 773 74 000 892 000 8,7Danimarca 5,33 163,5 119 4,9 5 918 8 863 38 000 256 000 4,8Finlandia 5,171 121,7 101 10,1 1 931 11 985 inf. a 2.000 85 000 1,6Germania 82,164 1982,3 107 8,6 585 417 554 869 2 107 000 7 320 000 8,9Grecia 10,546 117,4 67 n.d. n.d. 20 131 n.d. n.d. n.d.Francia 58,746 1344,4 99 10,6 n.d. 22 000 198 000 3 260 000 5,5Irlanda 3,775 87,7 115 5,1 n.d. 200 n.d. 111 000 3Italia 57,68 1099,1 100 11,2 n.d. 69 535 4364 1 250 000 2,1Lussemb. 0,436 18,1 183 2,2 1,224 700 n.d. 153 000 35,6Olanda 15,864 369,5 113 2,8 14 410 9 606 115 000 662 000 4,4Portogallo 9,997 105,6 76 4,2 n.d. 781 inf. a 4.000 178 000 1,8Regno Unito 59,623 1352,7 102 6 1,257 39 000 63 000 2 207 000 3,8Spagna 39,441 559,3 82 15,2 n.d. 10,539 inf. a 16.000 720 000 1,5Svezia 8,861 223,9 102 6,8 18 723 26 191 18 000 500 000 5,6UE-15 375,967 7973,9 100 8,9 883 110 2 700 000 14 291 000 5,1Fonti: Eurostat,Boeri Brücker, OCSE,Note: PECO 10= tutti paesi candidati meno Malta, Cipro e Turchia. (1) Boeri- Brücker , Tab 5.2 (2) Boeri- Brücker, tab.5.2 e tab.6., dati riferitisolo ad alcuni paesi e anni diversi. Dato ISTAT per l'Italia. (3) Livi Bacci, (Il Sole 24-ore, 1.9.2000), e dati OCSE. (4) OCSE, Trends inimmigration and economic consequences, October 2000. Per la Francia censimento 1999. Il totale non include la Grecia

Tav.5.6 Paesi candidati e emigrazione verso l’UE Popolazione

1999(in mln. diabitanti)

PIL totale1999

(in mld dieuro) (1)

PIL pro capite1999 in PPA %media EU (2)

Livello stimatodel PIL 1999

rispetto al 1989(%)

Tasso didisocc.

1999 (%)

Stock di emigrantipresenti nell'UE

(dati 1997 o 1998)(3)

Stock diimmigrati

presenti nel paese(1998) (4)

Estonia 1,439 5 36 76 11,7 n.d. n.dPolonia 38,653 146 37 122 15,3 409.100 32.500

Rep. Ceca 10,278 50 59 93 8,7(con Slovac.)

39.100 219.800Slovenia 1,988 19 71 108 7,6 n.d 42 500Ungheria 10,043 45 51 99 7 69.100 143.800Bulgaria 8,191 12 22 68 17 37.300 91.000Lettonia 2,424 6 27 60 14,5 n.d n.dLituania 3,698 10 29 62 14,1 n.d n.dRomania 22,455 32 27 75 6,8 158.600 55.300

Slovacchia 5,399 18 49 101 16,2(con R. Ceca)

39.100 24.800Cipro 0,755 9 81 n.d. 3,6 n.d n.dMalta 0,380 3 n.d n.d. 5,3 n.d n.dTurchia 64,330 173 28 n.d. 7,6 2.700.000 n.dBosnia-Erzegovina 3,550 4 n.d. n.d. 39 n.d. n.d.Croazia 4,582 20 7110 78 19,1 n.d. 38 300FYR Macedonia 2,013 3 4530 73 32,4 n.d. n.d.Rep. Fed. Jugoslava 10,613 16 3500 n.d. 25,5 n.d. n.d.Tot. ex-Jugoslavia 22,746 63 n.d n.d. n.d. 1.162.100 n.d.Albania 3,401 4 2893 96 18 500-600.000? n.d.Fonti: Eurostat (Newcronos), EBRD, WIIW, Commissione Europea, OCSE.Note: (1) Dati in mld di USD per i paesi non candidati. (2) Dati in USD PPA per i paesi non candidati. (3) Calcolato su OCSE 2000,Trends in migration flows, tab.6, per Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Olanda e Svezia (1990 perFrancia e 1991 per l'Austria). (4) Calcolato su dati OCSE 2000, Trends in migration flows, tab.7, dati 1997 per Ungheria e Slovacchia,1998 per gli altri. Per Croazia e Slovenia dati 1997, OIM, World Migration Report, 2000

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

15

Il potenziale migratorio dai paesi candidati è stimato nel lungo periodo all’1% circadella popolazione dell’Unione (4% della popolazione dei candidati). In particolare, il picco nellostock di immigrati dovrebbe essere raggiunto in una trentina di anni mentre subito dopol’apertura delle frontiere sono attese circa 335.000 persone nel primo anno (220.000 delle qualiin Germania e 40.000 in Austria). Questo flusso annuo dovrebbe dimezzarsi nel corso di undecennio. Lo stock di stranieri CEEC-10 in Germania dovrebbe passare dai 536.000 attuali a1.891.000 nel 2010. In Italia il flusso annuo si attesterebbe a 13.500 unità all’apertura dellefrontiere, mentre lo stock di immigrati provenienti dai CEEC-10 aumenterebbe dai 34.500considerati nello studio a 117.500 persone nel 2010, per raggiungere il picco di 157.000 nel2030.

Tuttavia i coefficienti stimati, e le relative previsioni, possono risultare sovrastimati acausa dei forti influssi che la Germania ha ricevuto negli anni novanta, riconducibili in parte afenomeni una tantum. In particolare i conflitti nella ex-Jugoslavia hanno indotto un forteafflusso di richiedenti asilo (gli stranieri provenienti dalla ex-Jugoslavia hanno raggiunto ilmilione di persone in Germania a metà degli anni novanta).

In proposito, si osserva che mentre i dati utilizzati per gli altri paesi europeicorrispondono a quelli forniti da altre fonti, i dati usati per l’Italia sono gravemente sottostimatie alterano sostanzialmente le conclusioni. I dati per l’Italia nel 1998 sono di circa 69.000immigrati provenienti dai paesi candidati30 contro i 34.500 ipotizzati dallo studio. Laproporzione dell’Italia sul totale UE di immigrati dai candidati presenti nel 1998 passerebbedunque dal 4% a quasi l’8%. In aggiunta, il totale effettivo è salito a circa 119.000 nel 200031,prevalentemente a causa del forte aumento dei rumeni (v. Tav. 5.3 sugli stranieri soggiornanti inItalia provenienti dai paesi candidati). Dunque, utilizzando i dati aggiornati otteniamo che ilnumero totale di immigrati previsto dal rapporto per il 2010 è già presente in Italia oggi.Utilizzando la metodologia di Brücker andrebbero quindi rivalutati in maniera moltoconsistente (più che raddoppiati) i valori assoluti delle stime iniziali (rispettivamente a 235.000nel 2010 e 315.000 circa nel 2030) e andrebbero anche aumentati i flussi annui previsti (da13.500 a 27.000 nel 2002, e da 6.000 a 12.000 nel 2010).

Per quel che riguarda la Germania si potrebbe invece ipotizzare un aumento meno fortedi quello previsto dallo studio dato che Francia e Gran Bretagna, una volta introdotta la liberacircolazione, offrirebbero delle destinazioni alternative a quelle disponibili finora. Questorisultato sarebbe coerente con la forte riduzione della quota tedesca nella ricezione di immigratiprovenienti da tutto il mondo nell’UE verificatasi negli ultimi anni (dal 65% del 1990 al 13%nel 1998).

Hille e Straubhaar (2000) al fine di quantificare il potenziale migratorio derivantedall’allargamento ad Est si rifanno all’esperienza del precedente allargamento a sud (Grecia,Portogallo e Spagna) della Comunità Europea. Viene effettuata una stima econometrica deiflussi migratori Sud – Nord nel periodo dopo la rimozione dei vincoli alla mobilità del fattorelavoro (sette anni dopo l’ammissione) e si ipotizza che i parametri siano significativi perl’integrazione dei paesi dell’Europa centrorientale.

Nel modello la variabile dipendente è il tasso di emigrazione (il rapporto tra il numerodegli emigrati da un paese del sud e i suoi abitanti). Le variabili indipendenti, espresse inlogaritmi32 e ritardate di un periodo, includono la differenza nel reddito pro capite tra i due paesie nei rispettivi tassi di disoccupazione, lo stock di immigrati dal paese del sud che vive in quellodel nord, e la distanza tra le capitali. I valori ottenuti per i coefficienti vengono utilizzati perestrapolare l’immigrazione dai 10 paesi dell’Est candidati verso l’Unione considerando diversi

30 Dati ISTAT.31 Al 30 settembre, dati provvisori.32 Questa forma funzionale implica che l’immigrazione segua un sentiero che porta a una sorta disaturazione, in corrispondenza con una soglia superiore che non verrà superata.

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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scenari riguardanti il differenziale nel reddito pro capite (tra il 40% e il 70%) che risulta esserela variabile indipendente più importante.

Il tasso di migrazione potenziale dai PECO risulterebbe compreso tra lo 0,27% e lo0,86% della loro popolazione. In termini assoluti questo comporterebbe un flusso di immigraticompreso tra i 270.000 e gli 851.000 all’anno. Secondo gli autori queste cifre possono a primavista sembrare consistenti ma, considerando l’intera UE, rappresenterebbero solo lo 0,07%-0,22% della popolazione (376 milioni nel 1999). Inoltre, la stima dei parametri utilizzati derivadall’esperienza dei paesi del sud Europa negli anni subito dopo l’apertura delle frontiere; èpossibile che l’immigrazione nei primi anni sia più elevata di quella di lungo periodo. Sempresecondo gli autori la preoccupazione di massicce migrazioni in caso di mobilità dei lavoratorisembrerebbe ingiustificata e questa non dovrebbe risultare “destabilizzante” per l’UE.

In proposito si osserva che l’ipotesi di un differenziale di reddito di solo il 40% sembraottimistica, soprattutto per il secondo gruppo di paesi (cfr. cap. 1). In media i paesi candidatidell’Europa centrorientale si attestavano al 38% del reddito UE nel 1999, dunque sembra piùprobabile lo scenario che considera un differenziale del 60%. In questo caso, si prevede un tassodi emigrazione pari all’0,8 della popolazione, pari a circa 800.000 unità. Un limite diquest’analisi è che considera le due aree PECO10 e UE15 nel loro complesso e non dice nullasulla distribuzione dei flussi tra i singoli paesi. In particolare, in caso di concentrazionegeografica il fenomeno migratorio potrebbe risultare più consistente e meno “sostenibile” peralcuni paesi/regioni occidentali.

Anche Orlowski e Zienkowski utilizzano il caso dell’allargamento “a sud” per stimare ilpotenziale migratorio dalla Polonia nei 10-12 anni successivi all’accesso. Il modello include idifferenziali di reddito in PPA e la distanza geografica. Gli autori prevedono tre scenari, aseconda che la crescita del PIL in Polonia sia elevata (7%), media (4%) o nulla. Nel primo casoè prevista l’emigrazione di sole 380.000 unità nel corso di 10-12 anni, nel secondo caso di771.000 e in caso di mancanza di crescita si moverebbero quasi un milione e mezzo di persone(1.472.000). Anche questo modello ipotizza che ci siano similitudini significative nelcomportamento dei migranti dall’Europa del sud e della Polonia, non considerando lespecificità di diversi gruppi (ad esempio in termini di emigrazione temporanea e di lungoperiodo). Tuttavia è utile avere un’idea dell’impatto di diversi tassi di crescita del PIL inPolonia sul potenziale migratorio (Boswell, 2000). A questo riguardo dovrebbe essererassicurante l’andamento dell’economia polacca nel corso degli anni novanta. Questa hamostrato una delle migliori performance della regione con un tasso di crescita medio di oltre il5% nel periodo 1992-2000.

Di recente il Ministero del Lavoro tedesco ha presentato uno studio che sostiene lanecessità di rimandare l’apertura del mercato del lavoro ai paesi candidati (IFO, dicembre2000). Le variabili prese in considerazione per stimare l’aumento degli stock di immigrati daicinque paesi candidati più popolati (Polonia, Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca eUngheria) sono la dimensione della popolazione e del numero di immigrati presenti inGermania nel 1997, e il differenziale di reddito (PIL pro capite in PPA). Per stimare i parametridel modello sono stati usati i dati relativi al periodo 1974-1997 derivanti dai precedentiallargamenti alla Grecia, alla Spagna e al Portogallo, ma anche, con scelta arbitraria, i flussimigratori provenienti nello stesso periodo dall’Italia e dalla Turchia.

Si considerano due scenari migratori dai paesi candidati verso la Germania, ipotizzandoin un primo caso un tasso di crescita dei paesi candidati superiore a quello tedesco del 2% ed unaltro con identico tasso di crescita (assenza di catching up). Le stime prevedono che 15 annidopo l’allargamento vi saranno in Germania tra i 3,2 ed i 4 milioni di cittadini provenienti daicinque paesi candidati citati, di cui tra 1,6 e 2 milioni provenienti dalla Polonia e tra 1,1 e 1,4milioni provenienti dalla Romania (che comunque non farà parte del primo gruppo di ingressi).

Tuttavia, queste cifre, che sono di gran lunga le stime più alte emerse dagli studi piùrecenti in merito e risentono eccessivamente dell’inclusione della Turchia nel campione preso

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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come paragone. Gli immigrati turchi in Germania nel 1997 costituivano il 65% del totale degliimmigrati provenienti dai 5 paesi considerati nel campione e seguivano un andamento dicrescita esponenziale, contrariamente all’andamento decisamente più moderatodell’emigrazione proveniente dai quattro paesi UE. La Turchia non fa parte dell’UnioneEuropea, non è diventata un nuovo membro nel periodo di riferimento, presenta una diversasituazione demografica e le motivazioni e le condizioni che spingono ad emigrare da quel paeseverso la Germania sono radicalmente diverse da quelle che spingerebbero un polacco od unrumeno. L’emigrazione curda, e anche larga parte della restante emigrazione turca, hannomotivazioni legate al regime politico interno di quel paese, che non sussistono nei paesidell’allargamento, soprattutto nei probabili componenti della prima ondata. Va consideratainoltre la forza di attrazione della comunità turca già massicciamente presente nel 1974, anchecon riferimento ai ricongiungimenti famigliari oltre che ai rifugiati e ai nuovi emigrantieconomici. Pertanto l’utilizzo dei dati turchi nella stima dei parametri del modello, checonsidera essenzialmente variabili economiche, ha distorto i risultati, gonfiando le cifre finali.

Oltre agli studi di carattere econometrico sono state condotte una serie di indagini percercare di valutare il potenziale migratorio dai paesi candidati. Queste possono considerare lespecificità culturali e consentono una differenziazione tra diverse categorie di immigrati (adesempio secondo la durata, le qualifiche, il settore di occupazione, ecc). Tuttavia essendo basatesu campioni possono non essere del tutto rappresentative (Boswell, 2000).

Un’indagine condotta dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni tra i paesicandidati suggeriva, nel 1998, che il potenziale migratorio si attesta tra l’1% e il 2% dellapopolazione dei PECO. Questa inoltre confermava l’ipotesi che i fattori più importanti sono glistandard di vita e i salari all’estero e l’importanza di una rete di immigrati già presente nellascelta del paese di destinazione. Altre survey per un sottogruppo di paesi candidati tendono aconfermare questi risultati (Boswell, 2000). I paesi che invece presentavano il potenzialemigratorio maggiore erano la Jugoslavia e la Croazia, che non sono tra i paesi con più elevatepossibilità di entrare nell’UE nel futuro a breve (OIM, 2000). In proposito, occorre ricordare chele intenzioni di emigrare espresse dagli intervistati di questi paesi hanno necessariamenterisentito degli accadimenti avvenuti a ridosso del periodo in cui la survey veniva svolta. Lerecenti svolte politiche in Croazia e Jugoslavia, migliorando le prospettive dei paesi considerati,potrebbero invece comportare una diminuzione della propensione a emigrare.

Più di recente, da un’indagine svolta in Polonia Ungheria e Repubblica Ceca sulleimplicazioni dell’allargamento dell’Unione Europea, emerge che la maggioranza degliintervistati i questi paesi non è interessata a lavorare in un altro stato UE dopo l’ingresso. Ipolacchi sembrano esprimono il maggior interesse a cercare un lavoro in un altro stato membro(con il 10% dei rispondenti a favore), anche se non necessariamente le intenzioni sitramuteranno in azioni concrete (CEORG, settembre 2000).

Effetti dei precedenti allargamenti sui flussi migratori.Esaminando i dati relativi ai precedenti allargamenti a Grecia, Spagna e Portogallo, si

può verificare chiaramente che i timori espressi all’epoca di ricevere forti ondate migratorie sisono rivelati infondati. Durante il periodo transitorio furono concessi permessi per 1.000lavoratori spagnoli e 6.000 portoghesi ogni anno, compresi i rinnovi dei permessi (EuropeanCommission, April 2000). Questi flussi sono rimasti sostanzialmente stabili anche dopo la finedei periodi transitori. Secondo uno studio di Eurostat, l’introduzione dei periodi transitori noninfluisce sui flussi migratori: le restrizioni al libero movimento delle persone sonoessenzialmente neutrali, e non servono né a stimolare né a restringere i flussi (Salt e altri, 2000).Inoltre, l’esperienza dell’allargamento verso l’Europa meridionale non rivela un chiaro nesso traallargamento e movimenti di popolazione. L’adesione alla CEE ha comportato una riduzione delnumero di spagnoli residenti nel resto dell’Europa comunitaria, un aumento dei greci e lasostanziale stabilità dei portoghesi, anche se le naturalizzazioni hanno avuto l’effetto di ridurre

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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le presenze registrate dalle statistiche. Comunque l’esame dei flussi da Spagna e Portogallopermette di evidenziare l’abisso che si è creato tra il milione e mezzo di emigranti attesi daquesti due paesi e i 220.000 emigranti che si sono mossi effettivamente tra il 1987 ed il 1995(Salt 2000, p.181). I flussi effettivi sono stati sette volte inferiori a quelli attesi.

Anche in questo caso vale la pena di dedicare un’attenzione particolare ai dati dellaGermania (vedere grafico 5.2). Si può constatare, che la popolazione greca in Germania nel1998 era inferiore a quella presente nel 1973, malgrado l’adesione della Grecia alla CEE nel1981. Inoltre i flussi degli ultimi anni sono alquanto moderati: la popolazione greca in Germaniaè aumentata in totale di solo 17.000 unità tra il 1992 e il 1998, dopo un periodo di aumento piùsostenuto (vedere tav. 5.2 sulle comunità straniere presenti in Germania). Dato che circa l’80%della popolazione greca nell’UE vive in Germania, questi dati sono altamente rappresentatividell’insieme dell’emigrazione greca. Una situazione simile si può rilevare anche per la Spagna,entrata nella CEE nel 1986, la cui comunità in Germania è calata da 152.800 nel 1985 a 131.100nel 1998. Dei tre nuovi membri entrati nella CEE con elevato differenziale di reddito rispettoalla Germania, solo il Portogallo ha dato origine ad un aumento dello stock di cittadini residentiin Germania. La comunità portoghese è passata da 77.000 nel 1985 a 131.100 nel 1998.

La situazione della Francia è notevolmente più chiara: la data dell’adesione ha coincisosostanzialmente con il picco della presenza in Francia di italiani, spagnoli, greci e portoghesi(vedere grafico 5.1). Per tutti questi paesi l’accelerazione dello sviluppo portata dall’ingressonella CEE-UE ha significato che veniva meno la dolorosa necessità di emigrare e che erarealmente possibile esportare prodotti piuttosto che uomini.

I timori di aumenti importanti dell’immigrazione dai paesi candidati non appaionofondati alla luce delle esperienze passate. Viene spesso fatto notare che nei precedentiallargamenti i differenziali di reddito erano minori e che questo potrebbe contribuire a generaremaggiori emigrazione di quanta non sia avvenuto nelle esperienze passate. Bisogna peròconsiderare che l’adesione permette ai paesi con redditi pro capite di partenza relativamentebassi di avviare una fase di crescita economica accelerata, con buone prospettive e un tasso didisoccupazione tendenzialmente calante. La combinazione di questi fattori tende a scoraggiarel’emigrazione e contribuisce a spiegare perché le comunità italiane, spagnole, portoghesi egreche in Francia e in Germania si sono ridimensionate dopo l’adesione, o hanno conosciutouna crescita moderata e temporanea.

In generale vi è un consenso tra i vari studi considerati: i flussi attesi non sembrerebberotali da giustificare i timori che si riaccendono regolarmente ed in maniera ingiustificata ognivolta che l’Unione si espande. Negli anni sessanta francesi e tedeschi temevano l’invasioneitaliana, negli anni ottanta quella spagnola e portoghese, oggi quella dell’Europa centro-orientale. Questi flussi non si sono mai realizzate nelle dimensione prospettate inizialmente.

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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Grafico 5.1: Dimensioni delle comunità italiane, spagnole e portoghesi in Francia nelventesimo secolo

0100 000200 000300 000400 000500 000600 000700 000800 000900 000

1901

1911

1921

1926

1931

1946

1954

1962

1968

1975

1982

1990

1999

ItalianiSpagnoliPortoghesi

E. Temine, France, terre d'immigration , , Paris, Gallimard, 1999, p.150 e Haut Conseil à l'integration, Groupepermanent chargé des statistiques, Rapport pour l'année 1999 , Paris, 2001.

Grafico 5.2: Dimensione delle comunità italiane, greche, spagnole e portoghesi inGermania (1967-98)

0

100000

200000

300000

400000

500000

600000

700000

1967 1973 1985 1989 1992 1998

GreciItalianiPortoghesiSpagnoli

Dati tratti da Barbara Marshall, The new Germany and migration in Europe , Manchester 2000, p.43.

Impatto di tre scenari di allargamento sull’emigrazione verso l’ItaliaVediamo ora, alla luce di quanto sopra esposto quale potrebbe essere l’impatto

potenziale sul nostro paese di diverse ipotesi di allargamento a Est.

1. Allargamento a cinque (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia e Estonia):questo primo gruppo di candidati non sembra comportare rischi significativi diimmigrazione verso l’Europa a causa della scarsa popolazione (Estonia) o della relativaricchezza e della limitata tendenza ad emigrare riscontrata nell’ultimo decennio(Slovenia, Ungheria e Repubblica Ceca). La Polonia costituisce un caso a parte, essendoil paese più popoloso tra quelli candidati e con un reddito pro capite relativamente basso(37% della media UE). E’ importante notare però che la Polonia ha presentato la

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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migliore performance economica nell’area considerata e che dopo importati flussimigratori agli inizi degli anni novanta, il paese ormai ha un saldo migratorio nettonegativo (-13.261 nel 1998). Inoltre, il numero totale di immigrati polacchi presenti èsostanzialmente costante in Italia e in Germania (anche se continua a crescere il numerodi lavoratori stagionali verso la Germania – OIM, 2000 p. 173). Questo non significanecessariamente che non possano riprendere dei flussi dopo l’apertura delle frontiere,ma vi sono segnali che ridimensionano il problema.

2. Allargamento a dodici (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia e Estonia,Slovacchia, Lituania, Lettonia, Bulgaria, Romania, Malta e Cipro). Dei sette paesisupplementari di questo gruppo ben quattro hanno una popolazione ridotta. Flussirilevanti di immigrati potrebbero venire solo da Romania e in parte da Bulgaria, chehanno una popolazione consistente, un basso reddito pro capite (rispettivamente 27% e22% della media UE) e hanno presentato una performance economica insoddisfacentenella seconda metà degli anni ’90. In particolare, la Romania ha fronteggiato una graverecessione nel triennio 1997-99 (cfr. cap.1). Per quel che riguarda specificamentel’Italia esiste già un canale preferenziale per gli immigrati rumeni, alimentato dal forteaumento della penetrazione economica italiana in quel paese, da una comunitàimmigrata in Italia in rapida crescita e da storici legami culturali.

3. Allargamento a tredici (i precedenti più la Turchia): tra i paesi considerati la Turchia èdi gran lunga il paese con maggiori potenzialità di generare importanti flussi diimmigrazione. In particolare vi sono fattori demografici importanti: la Turchia ha unapopolazione di 63,9 milioni di abitanti in rapida crescita, mentre i PECO-10 hannopresentano un andamento della natalità simile a quello dei paesi dell’UE, con unatendenza alla diminuzione della popolazione. Vi sono inoltre fattori economici (laTurchia ha un reddito pro capite pari al 30% di quello medio dell’UE) e politici (larepressione delle popolazioni curde) che spingono verso l’emigrazione. Già oggi visono circa 2,7 milioni di turchi residenti nell’UE (di cui 2,1 milioni in Germania,198.000 in Francia e 115.000 nei Paesi Bassi) contro solo 900.000 cittadini dei PECO-10.33

In conclusione, sul fronte del potenziale migratorio, non sembra che il nostro paese siaesposto a rischi di flussi migratori insostenibili a seguito dell’allargamento a Est dell’UnioneEuropea. In particolare, nel medio periodo l’unico paese che sembra costituire una fonteimportante di immigrazione per l’Italia (la Romania) non farà presumibilmente parte del primogruppo di candidati che avrà accesso all’Unione (cfr. cap. 2).

5.2.3 Conseguenze per il mercato del lavoro nazionale

Vengono spesso espresse preoccupazioni sul fatto che l’immigrazione comportidisoccupazione più elevata e salari minori per la popolazione del paese ricevente, nonostantenon esista una relazione chiara tra immigrazione e disoccupazione (OECD, 2000 p. 193). Inteoria l’impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro dipende da come le qualifiche degliimmigrati si confrontano con quelle dei lavoratori nazionali. Ci si può aspettare che il redditodel fattore che si muove, in genere lavoro non qualificato, aumenti nel paese di partenza ediminuisca in quello di arrivo (o se i salari sono rigidi, in quest’ultimo aumenterà ladisoccupazione). Il contrario dovrebbe invece avvenire ai redditi dei fattori complementari (ad

33 Dati Livi Bacci-OCSE, sul Sole 24 ore del 1 settembre 2000.

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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esempio lavoro qualificato e capitale). Le perdite e i guadagni non sarebbero equamentedistribuiti tra i fattori della produzione: i fattori complementari ai lavoratori immigratidovrebbero guadagnare dall’immigrazione, mentre quelli che possono essere sostituitipotrebbero perdere. In particolare, si teme che i lavoratori poco qualificati nei paesi riceventipossano essere danneggiati in termini di salari o di occupazione.

Le analisi di tipo economico, dunque, si sono soffermate soprattutto sul ruolocompetitivo (l’effetto dell’immigrazione sull’occupazione e sui salari è negativo) ocomplementare (l’effetto risulta positivo) degli immigrati rispetto ai lavoratori nazionali. Questaimpostazione è riconducibile a due teorie in contrapposizione: ipotesi di sostituzione e ipotesidi segmentazione (per una rassegna v. Strozza, 1999).

In pratica, è difficile valutare l’ordine di grandezza e la natura di questi effetti, chedipendono da una serie di variabili (tra cui le caratteristiche degli immigrati: età, sesso, paesed’origine, status legale, etc.). Le evidenze empiriche per Stati Uniti, Canada e Svizzerasembrano convergere sulla seconda ipotesi: un forte afflusso di immigranti non costituisce unaseria minaccia per i nazionali. Questo sarebbe riconducibile alla forte mobilità interna dei fattoriin USA e alla selettività della politica migratoria in Svizzera e Canada (che controlla i volumi inmodo da evitare situazioni di competizione eccessiva riducendo il flusso nei periodo direcessione economica).

I risultati empirici per l’Europa, in particolare per la Germania sembrano meno chiari diquelli emersi per i paesi nordamericani. Gli effetti sui salari nazionali risultanocomplessivamente negativi, anche se l’impatto sarebbe positivo per i white collar. Gli effetti sultasso di disoccupazione risultano più discordanti: secondo alcuni studi l’effetto degli stranierisulla disoccupazione sarebbe negativo e statisticamente significativo, secondo altri semprenegativo ma statisticamente irrilevante (Strozza, 1999).

Di recente Boeri e Brücker hanno cercato di esaminare gli effetti sui mercati del lavorodi Austria e Germania, che sono i paesi maggiormente interessati da flussi migratori provenientidai paesi candidati (2000, p.85) I risultati suggeriscono che gli effetti negatividell’immigrazione si concentrano sui lavoratori poco qualificati nel settore manifatturiero e neiservizi. L’impatto sui lavoratori nazionali, tuttavia, è piuttosto contenuto. Gli autori stimano chel’incremento dell’1% della quota degli stranieri in un certo settore comporterebbe una riduzionedella crescita dei salari di solo lo 0,25% in Austria e dello 0,6% in Germania. Il rischio didiventare disoccupati, invece, potrebbe aumentare dello 0,8% in Austria e dello 0,2% inGermania. Per i lavoratori qualificati l’impatto è invece leggermente positivo o neutrale.

Al riguardo, sono necessarie alcune qualificazioni. Queste stime per Austria e Germaniasi riferiscono agli effetti dei lavoratori immigrati in generale, i lavoratori provenienti dai paesicandidati presentano caratteristiche diverse dai tradizionali immigrati (v. studio di Hönekopptav. 29 pag. 37 e Boeri- Brücker tav. 5.3 pag. 57). In particolare, i lavoratori provenienti daipaesi dell’Europa centrorientale presentano tassi di istruzione più elevati dei tradizionaliimmigrati ma anche dei lavoratori nazionali dei paesi ospitanti. Dunque la competizione dilavoratori non qualificati e la loro concorrenza sui nazionali a bassa qualifica dovrebbe esserepiù contenuta, soprattutto man mano che i lavoratori provenienti dai PECO riescono a trovarelavori più adeguati alla propria preparazione. In caso di immigrazione di lavoratori ad elevataspecializzazione, questi potrebbero essere complementari all’offerta di lavoro non qualificata,generando posti di lavoro anche per i nazionali. A ciò potrebbero contribuire sia ilriconoscimento delle qualifiche professionali e sia l’effetto di “regolarizzazione” derivantidall’attribuzione ai cittadini dei paesi ammessi dei diritti connessi alla partecipazioneall’Unione.

Per i paesi dell’Europa meridionale i lavori di questo tipo sono pressoché inesistenti siaperché il fenomeno migratorio è relativamente recente sia perché questi paesi presentano un tipodi immigrazione con una percentuale significativa di illegali ed un’economia irregolareconsistente.

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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Anche per l’Italia i contributi della letteratura economica sono limitati. L’attenzione si èconcentrata sulle conseguenze dell’utilizzo di immigrati nell’economia irregolare. In particolare,l’effetto competitivo degli stranieri sarebbe esercitato in modo indiretto provocando unospostamento di capitale (e parte del lavoro) dal settore ufficiale a quello irregolare, dove lecondizioni sono peggiori. I lavori di Venturini (1997 e 1998) sono principalmente focalizzati sulruolo dei lavoratori irregolari e sugli effetti delle regolarizzazioni sul mercato del lavoroitaliano. Le principali conclusioni circa l’effetto competitivo o complementare dei lavoratoriimmigrati è che questi tendono a concentrarsi nei settori a bassi salari e nelle aree a redditoelevato. In generale, sembra prevalere la complementarità al Nord mentre al Sud, dove il tassodi disoccupazione è più elevato, la competizione sarebbe più elevata, in particolare nel settoreinformale. Questo effetto potrebbe essere più forte nel settore agricolo. Se c’è un’offerta dilavoro di immigrati disposti a lavorare illegalmente a salari significativamente più bassi, ci potràessere un incremento dell’occupazione “in nero”, e ciò potrebbe spiazzare alcuni lavoratorinazionali a bassa qualifica. Tuttavia, il risultato dipenderà anche dalle politiche attuate daglistati membri per ridurre il lavoro nero (Boswell, 2000).

Dell’Aringa e Neri presentano una situazione di concorrenza indiretta in un mercatosegmentato tra mercato ufficiale e non ufficiale. La tesi sostenuta dagli autori è che gliimmigrati clandestini lavorano nell’economia sommersa e contribuiscono alla sua espansioneaggravando i problemi connessi alla sua stessa esistenza. A questo riguardo, tuttavia,l’allargamento e il conseguente aumento dell’offerta di lavoro “regolare” (i cittadini provenientidai paesi PECO sarebbero infatti portatori di diritti) avrebbe conseguenze inverse e positivesullo spostamento da settore irregolare a regolare.

Frey e Livraghi (1997) si soffermano sulla scarsità relativa di lavoro in determinatisettori o occupazioni, per cui vi è coesistenza di posti vacanti e disoccupazione. Le aree dipossibile conflitto tra lavoratori immigrati e residenti sono individuate soprattutto tradisoccupati locali e lavoratori immigrati in occupazioni regolari e tra lavoratori indipendentiregolari (commercio, manifattura…) e lavoratori immigrati irregolari nell’economia sommersa(venditori ambulanti…).

Il concetto di “carenza relativa di lavoro” può risultare particolarmente utile perconsiderare gli effetti dei lavoratori provenienti dai paesi candidati anche su mercati del lavorodi stati membri che presentano complessivamente un tasso di disoccupazione elevato, inparticolare in Italia (cfr. Tav. 5.5 - immigrazione nei paesi UE 15). Innanzitutto, in alcuni settoric’è una domanda di lavoro non soddisfatta (in Germania e Austria, ma anche in Italia). Inparticolare, c’è una domanda crescente nel settore dell’information technology e in quellosanitario. Ma continua anche la domanda per lavoratori meno qualificati, in particolare inconcomitanza con le fluttuazioni stagionali in agricoltura e nel turismo. In questi casil’immigrazione dai paesi candidati potrebbe essere benefica per diversi settori.

Nel caso specifico dell’Italia va considerata anche la peculiarità del mercato del lavoroche presenta un’elevata differenziazione nei tassi di disoccupazione a livello territoriale (cfr.tav.5.4). In generale, considerando la distribuzione territoriale dei lavoratori stranieri e lecaratteristiche del mercato del lavoro italiano, si può dire che l’offerta di lavoro degli immigratitende a seguire la domanda (v. grafico 5.3 con percentuale di stranieri per regione e tasso didisoccupazione regionale). In altre parole gli immigrati si dirigono effettivamente verso leregioni che offrono maggiori opportunità e soffrono di carena di manodopera, con l’eccezionedel Lazio, dovuta al peso della capitale. Gli stranieri provenienti dai paesi PECO sono inmaggioranza cattolici e tendono a concentrarsi a Roma più di quanto non facciano africani oasiatici (cfr. par. 5.2.1). L’attrazione del Nord Est, e la relativa domanda di manodopera, valeprincipalmente per i paesi più vicini (Slovenia e Slovacchia 34) e in maniera crescente nell’ultimoanno per la Romania.

34 Oltre che per Croazia, Bosnia e Jugoslavia tra i non candidati.

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Grafico 5.3: Correlazione tra bassa disoccupazione regionale e elevata presenza distranieri in Italia (in % della popolazione)

Lazio

CalabriaBasilicata

Molise Sardegna

Abruzzo

ItaliaLiguria

Piemonte

Friuli VGTrentino

UmbriaToscana

MarcheValle d'Aosta

Puglia

Emilia R

Lombardia Veneto

SiciliaCampania

0,00

0,50

1,00

1,50

2,00

2,50

3,00

3,50

4,00

4,50

0 5 10 15 20 25 30Tasso di disoccupazione 1999, media Istat

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Fonti: elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno e ISTAT

Sebbene la maggior parte dell’attenzione sugli effetti dell’immigrazione per i paesiriceventi si sia concentrata sui potenziali effetti negativi per i lavoratori nazionali, vi sono altrifattori “economici” da considerare. Tra questi, un incremento della domanda per beni e serviziprodotti nel paese, con ricadute positive anche per la domanda di lavoro (OECD, 2000).

In particolare, nel valutare gli effetti dell’immigrazione sulla crescita del paese riceventeparticolare rilevanza riveste il del capitale umano degli immigrati. Nel modello di Dolado,Ichino, Goria (1994) un alto capitale umano degli stranieri ha effetti positivi sui valori di statostazionario e sul tasso di crescita corrente del paese di destinazione. In media per 23 paesiOCSE tra il 1960 e il 1985 il rapporto tra capitale umano degli immigrati e quello dei nazionaliera pari a 0,65. Per i lavoratori provenienti dai paesi dell’Est, tuttavia, questo rapportorisulterebbe più elevato e se finora la maggior parte di questi risulta impiegata in lavori “umili”,il riconoscimento delle qualifiche professionali potrà consentire un miglior utilizzo del capitaleumano di cui gli stessi sono portatori35.

Un altro aspetto indagato dalla letteratura è l’effetto dell’immigrazione sulla spesasociale. Premesso che un’analisi di questo genere va oltre i limiti del presente studio, vasottolineato che i risultati rinvenuti dalla letteratura internazionale dipendono dalla struttura delwelfare state nei singoli stati. In Germania in genere si riscontra un effetto netto positivo, tenutoconto dei servizi ricevuti e delle tasse pagate dagli immigrati (v. Simon e Akbari , 1995).Bisogna tuttavia vedere se questa tendenza valida per il passato e per il presente proseguirà infuturo (a causa dell’invecchiamento della struttura per età della popolazione straniera inGermania). Per la Svezia i risultati risultano contrastanti a seconda del periodo analizzato e dellefonti utilizzate. Per il caso italiano assumono particolare rilevanza, nel determinare se il

35 Al riguardo, è stato evidenziata la possibilità che si verifichino problemi di brain-drain e skill-drain dainuovi Stati membri, con conseguenze negative sulle loro potenzialità di crescita.

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contributo degli immigrati sia positivo o meno, le entrate derivanti dai contributi sociali-previdenziali (Strozza, 1999). L’afflusso di lavoratori giovani, che pagano i contributi sociali,può contribuire temporaneamente al mantenimento dei sistemi pensionistici di paesi con unpopolazione che va invecchiando (in particolare Italia e Germania – Eatwell e al., 1997). Inparticolare, secondo alcune stime CER (2000 p. 241) il bilancio economico riconducibile allapresenza degli immigrati sarebbe positivo per i principali paesi europei (tranne che per laFrancia). Tra questi spicca la posizione dell’Italia, con un valore nettamente superiore a quellodegli altri paesi.

In generale, è difficile tener conto di tutti i costi e benefici per il paese ricevente. Se alivello aggregato il beneficio netto per la popolazione nazionale sembra positivo, vi può essereuna distribuzione diseguale dei costi e benefici tra gruppi diversi (OECD, 2000). Lecaratteristiche, in termini di qualifiche, e la distribuzione geografica degli immigrati provenientidai paesi candidati, tuttavia, fanno presumere un apporto positivo degli stessi all’economianazionale.

5.3. L’impatto dell’allargamento sui flussi migratori irregolari e clandestini

5.3.1. Flussi irregolari e clandestini originati nei futuri Stati membri e flussi da paesiterzi

Il punto di partenza necessario per valutare l’impatto di un allargamento dell’Unioneeuropea sui movimenti migratori di natura irregolare e clandestina 36 è rappresentato da unaconsiderazione dei flussi attuali, effettuata distinguendo tra:a) movimenti di cittadini dei paesi candidati;b) movimenti di cittadini di paesi terzi, che transitano (legalmente o illegalmente) sul territorio

dei paesi candidati per varcare poi la frontiera esterna dell’Unione.

Si tratta di due categorie di flussi che occorre trattare separatamente ai fini di questostudio. I flussi irregolari e clandestini dai paesi candidati verso gli attuali Stati membri sonoinfatti destinati a perdere gran parte della loro ragion d’essere in seguito all’adesione, poiché glistessi soggetti potranno beneficiare della libertà di circolazione in quanto cittadini europei.Tutt’al più, flussi di natura illegale potranno sussistere temporaneamente, nel caso in cuil’adesione venga condizionata a periodi transitori durante i quali la libertà di circolazione debbasubire restrizioni.

Al contrario, è evidente che il problema dell’immigrazione irregolare e clandestina daipaesi terzi sussisterà anche dopo l’adesione, anche se in forme parzialmente mutate. Tutti gliattuali candidati sono infatti destinati a diventare “frontiera esterna” dell’Unione. Questo valesia per le frontiere aeree (scali aeroportuali internazionali), sia per quelle marittime e terrestri. Ameno di regimi transitori, che consentano di mantenere i controlli ad alcune delle futurefrontiere interne, lo slittamento a est della frontiera esterna europea genera, come vedremo,problemi di notevole rilevanza.

In questa sede, non è possibile tracciare una mappa dettagliata dei flussi irregolari eclandestini dei due tipi (di cittadini di paesi candidati e di cittadini di futuri paesi terzi) 37. Ci

36 Utilizziamo la terminologia ormai dominante, secondo cui è “clandestino” il migrante che haattraversato illegalmente le frontiere dello Stato di soggiorno, mentre è “irregolare” colui che, entratolegalmente, si è trattenuto in maniera non autorizzata (overstayer).37 Sebbene la Commissione stia mettendo a punto un progetto che va in questa direzione, manca, atutt’oggi, un osservatorio europeo sui flussi migratori irregolari e clandestini. Il sistema di raccolta piùorganico e affidabile dei dati relativi ai flussi regolari è rappresentato dal sistema denominato SOPEMI,istituito presso l’OCSE (cfr. SOPEMI, 1999). I comitati CIREA e CIREFI, operanti nell’ambito del

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limitiamo, dunque, a segnalare alcune linee di tendenza che presentano un particolare interesseper l’Italia, e che dovranno essere tenute presente nella fase finale dei negoziati.

Flussi da paesi candidatiCome emerge con chiarezza dai dati relativi ai respingimenti e alle espulsioni

disaggregati per nazionalità relativi al triennio 1998-2000 (cfr. appendice), l’immigrazioneclandestina e irregolare dai PECO verso l’Italia è esigua e decrescente. L’unica eccezione di uncerto rilievo è rappresentata dai cittadini romeni, per i quali si registra una leggera tendenza allacrescita, in particolare nel numero delle espulsioni. Peraltro, il leggero incremento registrato(pur sempre, però, nell’ambito di valori assoluti relativamente modesti) potrebbe spiegarsi,almeno in parte, con un miglioramento dell’efficacia dei controlli.

Esaminando i dati sulle domande di regolarizzazione presentate nel 1998, comparati conle statistiche sulla presenza regolare (permessi di soggiorno al 1-1-1998 secondo l’ISTAT), sipuò ottenere a tale data una buona approssimazione della dimensione della presenza clandestinaper nazionalità. L’esame dell’incidenza dei singoli paesi sul totale delle domande diregolarizzazione presentate conferma il peso limitato dei paesi della prima ondata (2,5% deltotale di domande di regolarizzazione presentate, quasi tutte da cittadini polacchi). Nellaseconda ondata il peso elevato dei Rumeni (10,6% delle domande) è molto evidente, mentrenessuno degli altri paesi candidati arriva all’1% delle domande.

Dividendo il numero di domande di regolarizzazione per nazionalità per ilcorrispondente numero di permessi di soggiorno legali, si ottiene una sorta di “tasso dipropensione alla clandestinità”, il cui valore non è ovviamente generalizzabile ma solo riferito almomento specifico in cui si è svolta la regolarizzazione. Risulta che in media, per ogni quattroimmigrati regolari presenti in Italia, vi era un irregolare che ha presentato domanda, che laPolonia e l'Estonia erano in linea con la media nazionale, che i Bulgari erano piùfrequentemente clandestini della media (36,2% contro il 24,5%) e sopratutto che i Rumeni eranoquasi quattro volte più clandestini della media (93% contro il 24,5%), addirittura più degliAlbanesi (66%). Questo dato è sicuramente una conseguenza sia della forza dei pull factors,cioè della richiesta da parte del mercato italiano di lavoratori rumeni, che dei push factors (laRomania ha affrontato una grave crisi economica iniziata proprio nel periodo precedente laregolarizzazione). Questo dato è comunque fonte di preoccupazione, dato che segnala ipotenziali flussi repressi provenienti dalla Romania. Per gli altri paesi candidati vi sono "tassi dipropensione alla clandestinità" inferiori o molto inferiori alla media e non vi sono problemi inprospettiva.

Consiglio dei ministri UE, effettuano un monitoraggio dei flussi non autorizzati di migranti economici edi richiedenti asilo, i cui risultati hanno carattere riservato. Altre sedi di raccolta e analisi dei datidisponibili sono rappresentate dalle organizzazioni internazionali specializzate (in particolare,l’International Centre for Migration Policy Development-ICMPD, con sede a Vienna). Alcuni studirecenti sulle implicazioni migratorie dell’allargamento contengono anche analisi, per quanto possibilesistematiche, dei dati relativi ai flussi: cfr., per es., Subhan, (1999). Cfr. anche ICMPD-ÖFM (1998),studio realizzato per conto del governo federale austriaco.

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Tav. 5.7 Presenza regolare e irregolare in Italia evidenziata dalla regolarizzazione del 1998 Permessi di

soggiorno regolari al1-1-1998 (ISTAT)

Domande diregolarizzazione

presentate nel 1998(Min. Interno)

Domande diregolarizzazione

in % deipermessi disoggiorno

regolari

Domande diregolarizzazionein % del numero

totale didomandepresentate

Polonia 22.938 5.746 25,1 2,3Slovenia 3.469 65 1,9 0,0Rep. Ceca 2.868 202 7,0 0,1Ungheria 3.318 220 6,6 0,1Estonia 158 38 24,1 0,0Cipro 137 3 2,2 0,0

Totale 1a ondata 32.888 6.274 19,1 2,5Romania 28.796 26.719 92,8 10,6Bulgaria 4.832 1.749 36,2 0,7Slovacchia 1.389 174 12,5 0,1Lettonia 228 29 12,7 0,0Malta 751 8 1,1 0,0Lituania 346 34 9,8 0,0

Totale 2a ondata 36.342 28.713 79,0 11,4

Totale Polonia e Romania 51.734 32.465 62,8 12,9

Totale 12 candidati 69.230 34.987 50,5 13,9Turchia 4.364 500 11,5 0,2Albania 72.551 48.446 66,8 19,3Jugoslavia 31.673 3.021 9,5 1,2Macedonia 14.199 2.772 19,5 1,1Croazia 15.223 691 4,5 0,3Bosnia 8.928 1.188 13,3 0,5

Total ex Jugoslavia+Albania 142.57456.118 39,4 22,4

Totale 18 paesi**** 216.16891.605 42,4 36,5Tot. stranieri soggiornanti in Italia 1.022.896 250.966 24,5 100,0Fonti: ISTAT e Ministero dell’Interno.

Flussi da paesi terziPer gran parte degli anni Novanta, la principale rotta di ingresso clandestino in Italia è

stata quella balcanica (via Albania). Negli ultimi due anni, tuttavia, il potenziamento e lamodernizzazione dei controlli su quel fronte (anche attraverso una cooperazione sempre piùapprofondita con i paesi dell’area adriatico-ionica, Albania e Grecia in particolare) hannoprodotto una sostanziale diminuzione degli arrivi38. Ciò, unito ad altri fattori, ha portato, da unlato, a una crescita di importanza della rotta che attraversa il Mediterraneo centrale in

38 Gli sbarchi clandestini sulle coste pugliesi sono diminuiti dai 46.481 del 1999, ai 18.990 del 2000. Nelfrattempo, gli sbarchi in Calabria sono cresciuti da 1.545 nel 1999 a 5.045 nel 2000 (fonte: Ministerodell’Interno).

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provenienza dal Medio Oriente (Turchia, Libano, Cipro) e, dall’altro, a una crescita dellapressione sulla frontiera terrestre con la Slovenia 39.

5.3.2. Il processo di adeguamento all'acquis Schengen-UE dei sistemi di controllomigratorio dei paesi candidati

Nel corso degli ultimi vent’anni, in Europa occidentale 40 (e, più in generale, in tutti ipaesi economicamente sviluppati), le politiche di controllo migratorio hanno subito profondetrasformazioni, che ne hanno aumentato notevolmente i costi, il grado di complessità el’efficacia. In Europa, questa evoluzione qualitativa si è accompagnata a una marcata tendenzaall’armonizzazione giuridica, politica e amministrativa, innescata dalle interdipendenze naturaliche legano paesi che ormai appartengono a un unico bacino di immigrazione, ma resa più rapidae intensa dagli ulteriori legami generati dall’integrazione europea. Come abbiamo accennato inapertura di capitolo (par. 5.1.1.), questo processo di armonizzazione si è esteso all’Europacentrale, orientale (e ora a quella sud-orientale), investendo in maniera particolarmentepressante e vincolante i PECO candidati all’ingresso nell’Unione.

Nelle prossime pagine, analizzeremo il processo di adeguamento all’acquis Schengen-UE dei sistemi di controllo migratorio dei paesi candidati, concentrando l’attenzione sui duepaesi le cui performance in questo campo sono suscettibili, per ragioni diverse (v. 5.3.1.), diprodurre effetti più diretti e rilevanti sull’Italia: la Romania (il più importante paese diemigrazione verso l’Italia, tra quelli candidati all’adesione 41) e la Slovenia (il più importantepaese di transito migratorio verso l’Italia).

Ai fini della nostra analisi, adotteremo una prospettiva sistemica sugli apparati dicontrollo migratorio42. Non ci limiteremo, dunque, a prendere in considerazione gli strumentispecifici di prevenzione dell’immigrazione clandestina e irregolare (controllo delle frontiere epolitica dei visti: parr. 5.3.3. e 5.3.4.), ma esamineremo gli strumenti di enforcement dellenorme in materia di immigrazione (espulsioni, riammissioni: par. 5.3.5.), gli strumenti e lemisure di lotta alle organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento dell’immigrazioneclandestina (par. 5.3.6.) e, infine, la “capacità di trattenimento” degli Stati candidati (intesacome capacità di offrire occasioni di soggiorno regolare e di integrazione socio-economica sia a“immigrati economici”, sia a profughi, richiedenti asilo e rifugiati provenienti da paesi terzi)(parr. 5.3.7. e 5.3.8.).

39 Un buon indicatore è fornito dal numero di riammissioni chieste dalle autorità italiane a quelle slovene,che si impennano dalle 6.068 del 1999 (di cui 3.344 accolte) alle 18.044 del 2000 (di cui solo 3.522accolte) (fonte: Ministero dell’interno). Questi dati riflettono una tendenza più generale, che fa dellaSlovenia un crocevia sempre più importante per i movimenti di persone verso l’Europa, sia legali (sistima che, ogni anno, 180 milioni di persone attraversino legalmente le frontiere slovene), sia illegali (ilnumero degli attraversamenti illegali sarebbe quasi raddoppiato tra il 1997 e il 1998, e sarebbe in ulteriorecrescita).40 Per un'analisi comparativa, cfr.: Brochman e Hammar, (1999); Sciortino (2001).41 Tralasciamo, qui, il ruolo della Turchia, che pure è rilevantissimo sia in quanto paese di origine di flussimigratori, perlopiù clandestini, sia in quanto paese di transito. Per il momento, infatti, le effettiveprospettive di adesione di questo paese all’Unione appaiono così remote da non giustificare unapprofondimento in questa sede.42 Ai fini di questo studio, definiamo un sistema di controllo migratorio come un insieme organizzato dinorme, risorse (umane e finanziarie) e infrastrutture, finalizzato a gestire flussi migratori estremamenteeterogenei (quali sono quelli che attraversano attualmente l’Europa centrale e orientale, che comprendonomigranti economici clandestini, profughi, richiedenti asilo, rifugiati e altre persone bisognose diprotezione; vittime di tratta), distinguendone le diverse componenti e trattandole in maniera differenziata,conforme al diritto interno e internazionale, e nel pieno rispetto dei diritti umani fondamentali.

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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L’acquis Schengen-UE in materia migratoria non ha soltanto una dimensionenormativa, ma – nell’interpretazione rigida ed estensiva che gli attuali Stati membri neforniscono - incorpora anche modelli organizzativi, prassi amministrative e addirittura alcunescelte politiche di fondo (la politica dei visti, per esempio, condiziona fortemente lacollocazione internazionale di un paese). L’adeguamento a tale acquis richiede quindi sceltepolitiche e tecniche, e sforzi mirati e costanti, su ciascuno di questi livelli43.

Nelle pagine che seguono, terremo conto di questa multidimensionalità del processo diadeguamento all’acquis, cercando di evitare l’eccesso di astrazione che gli Stati membri hannotalvolta imputato alla Commissione, i cui Regular Reports (specialmente le prime edizioni) sonostati spesso criticati per essere troppo concentrati sulla dimensione normativa e organizzativadel processo di adeguamento all'acquis, e per accordare insufficiente attenzione alla suadimensione più squisitamente applicativa.

5.3.3. Contrasto delle migrazioni clandestine e controllo delle frontiere

Fino alla disgregazione del blocco socialista, in tutti i paesi dell’Europa centrale eorientale, la sorveglianza delle frontiere aveva finalità di difesa militare e di prevenzione degliespatri clandestini. Essa era quindi esercitata da forze inquadrate militarmente (in gran partemilitari di leva) ed era perlopiù concentrata sui confini occidentali, lungo la cosiddetta “cortinadi ferro”.

Oggi, per adeguarsi all’acquis Schengen-UE, questi apparati di controllo devono subireuna radicale "riconversione funzionale", articolata su due assi principali:a) demilitarizzazione e trasferimento delle funzioni a unità professionali di polizia, dotate di

competenze specialistiche in materia di contrasto delle migrazioni clandestine e di tutela deidiritti fondamentali dei migranti bisognosi di protezione o vittime di tratta;

b) spostamento progressivo del fulcro dei controlli da ovest a est. Per ora, la quota prevalentedelle risorse umane e tecniche di cui sono dotati gli apparati di controllo frontaliero deiPECO confinanti con Stati membri è ancora concentrata sui confini terrestri occidentali.Questa scelta strategica in merito alla distribuzione delle scarse risorse disponibili èdestinata, nella maggior parte dei casi, a soddisfare precise richieste degli Stati membristessi, che premono per ottenere collaborazione nella sorveglianza dell’attuale frontieraesterna UE. Ma, in vista, dell’adesione e dello spostamento della frontiera esterna a est, ladistribuzione delle risorse dovrà essere progressivamente invertita. La tempistica di questotrasferimento è cruciale e delicatissima.

Queste ragioni, unite all’intensità della pressione migratoria illegale, fanno del controllodelle frontiere uno degli ostacoli più seri, all’interno dell'ampio capitolo negoziale dedicato a"Giustizia e affari interni". Come sottolinea, in termini generali, lo Strategy Paper reso pubblicodalla Commissione nel novembre 2000: “più attenzione dovrebbe essere data [...] alla gestionedelle frontiere, un settore dove deve essere fatto ancora molto per garantire che i futuri confiniesterni dell’UE saranno gestiti secondo gli standard dell’Unione”44.

Ma, i problemi in questo campo, non nascono soltanto da una volontà politica talvoltacarente da parte dei governi dei PECO e dalla scarsità dei mezzi finanziari. Per i paesi candidati,la difficoltà di adeguarsi agli acquis in questo campo cruciale è aumentata dall’incertezza circal’esito generale dei negoziati, che rende impossibile, al momento attuale, stabilire quale sarà lafrontiera esterna dell’Unione in seguito alla “prima ondata” di allargamento. Per fare unesempio concreto, la Slovenia – di cui si può ragionevolmente supporre che farà parte del 43 Per la distinzione tra i quattro livelli di adeguamento all’acquis richiamati nel testo (politico, normativo,organizzativo, applicativo), cfr. Monar (2000b).44 Commissione europea (2000c), p. 23, traduzione non ufficiale.

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plotone dei paesi ammessi per primi, ignora se avrà come frontiera esterna UE da custodire soloquella con la Croazia (come è probabile) o anche il tratto di confine con l’Ungheria.Nell’incertezza, l’Unione invita i candidati a curare in uguale misura tutti i confini con Statiattualmente non membri dell’Unione. Ma questo comporta una dispersione degli sforziorganizzativi e finanziari notevole

Questa non è la sede per un esame sistematico del livello di conformità di ciascun paesecandidato agli standard europei. A questo fine, si fa rinvio ai Regular Reports dellaCommissione e, più in generale, alla documentazione ufficiale prodotta nel quadro dellastrategia di pre-adesione. Ci limiteremo qui a sottolineare i principali problemi esistenti, conriferimento specifico alle due situazioni nazionali di maggiore rilevanza per l’Italia (Romania eSlovenia).

In entrambi i paesi, esiste, innanzitutto, un problema di delimitazione dei confini. Lefrontiere romene con la Moldavia e con l’Ucraina non sono demarcate con esattezza e, nel casodelle relazioni con l’Ucraina, questo è un fattore di controversia. Questa indeterminatezzaproduce incertezze e dispersioni nei controlli, riducendone ulteriormente la già scarsa efficacia.Ma, l’esatta individuazione della linea di confine rappresenta un problema altrettanto delicatoalla frontiera tra Slovenia e Croazia, che ha acquisito rilevanza internazionale solo nel 1991.Anche in questo caso, l’indeterminatezza crea ostacoli logistici e giuridici (per es. problemi diprova dell’attraversamento clandestino), e l’efficacia complessiva dei controlli ne risultacompromessa.

In secondo luogo, in entrambi i paesi, si riscontrano problemi di status e diorganizzazione delle forze preposte al controllo delle frontiere. In Romania, è recentementeentrata in vigore (1° luglio 2000) l’importante ordinanza governativa n° 80/1999, che ha operatouna radicale riorganizzazione dei servizi di polizia di frontiera. Le competenze in questo campo,prima disperse tra tre diversi organismi, sono state ora concentrate in capo all'Ispettoratogenerale della polizia di frontiera, posto alle dirette dipendenze del Ministro dell'interno.Tuttavia, l’organico della polizia di frontiera è ancora in buona parte costituito da coscritti e siprevede che risulterà composto interamente da professionisti specializzati, come richiedel'acquis, solo nel 2005.

Dal punto di vista organizzativo, la situazione slovena appare ancora più arretrata,poiché: “In Slovenia non vi è ancora una polizia di frontiera addestrata e organizzataappositamente e il governo non ha in programma di adottare una nuova e necessaria legge sulcontrollo delle frontiere prima del 2002. La sorveglianza delle frontiere è attuata da unità dipolizia che non sono sempre preparate per questo compito” 45.

Nonostante questo preoccupante ritardo, che ha portato la Commissione a concludererecentemente che “sforzi nel controllo delle frontiere sono ancora necessari, e si tratta di unpriorità da affrontare” (Conclusioni Regular Report Slovenia, 2000), un segnale estremamentepositivo è rappresentato dal recente avvio (gennaio 2001) di un esperimento di pattugliamentocongiunto della frontiera italo-slovena, che dovrebbe portare a un’intensificazione dellasorveglianza, produrre una ricaduta positiva sul livello di professionalità delle forze di poliziaslovene, e facilitare le riammissioni conseguenti a respingimento. Dopo i primi mesi di prova, ilprogramma è stato confermato e rafforzato, alla luce dei buoni risultati conseguiti.

Un terzo ordine di problemi che è opportuno segnalare brevemente concerne leinfrastrutture tecnologiche finalizzate al controllo delle frontiere in base agli standardSchengen. In entrambi i paesi si riscontrano carenze di mezzi di trasporto adeguati (fuoristrada,elicotteri, natanti veloci) e di apparecchiature di rilevazione specialistiche (radar, rilevatoritermici, apparecchi per visione notturna, etc.); tali carenze appaiono particolarmente gravi nelcaso della Romania.

45 Monar (2000b) p. 40.

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Entrambi i paesi considerati, inoltre, accusano notevoli ritardi nell’informatizzazionedegli apparati di controllo. La Slovenia, pur essendosi dotata nel 1999 di una legge in materia diprotezione dei dati personali, è ancora lontana da una sua piena applicazione, che si è impegnataa garantire entro la fine del 2001. La Romania manca tuttora di una legislazione organica inmateria. A questo proposito, peraltro, occorre sottolineare che, allo stato attuale, nessuno deipaesi candidati sarebbe in grado di partecipare efficacemente al Schengen Information System(SIS)46.

5.3.4. Contrasto delle migrazioni irregolari e politica dei visti

La politica dei visti è un’articolazione essenziale di qualsiasi strategia integrata dicontrasto delle migrazioni irregolari. Subordinare l’ammissione sul territorio nazionale allatitolarità di un visto rilasciato dalle autorità consolari accreditate nel paese d’origine dellostraniero è, infatti, uno dei principali modi per anticipare ed esternalizzare i controlli migratori,aumentandone l’efficacia e riducendone i costi. Per queste ragioni, la politica dei visti haassunto un’importanza decisiva nel quadro della cooperazione europea in questo settore e ledisposizioni in materia di visti hanno acquisito una rilevanza centrale all’interno dell’acquisSchengen-UE in materia migratoria.

L’adeguamento agli standard europei in materia di visti rappresenta uno dei maggioriostacoli al processo di adesione. Tra i paesi che facevano parte del blocco socialista, infatti,esisteva in passato, e permane tuttora, un certo grado di libertà di circolazione (perlomeno persoggiorni di breve durata) che ha effetti positivi sotto diversi profili: per un verso, essorappresenta un fattore di prosperità economica, alimentando vivaci circuiti economici localitransfrontalieri; per un altro verso, tale limitata libertà di circolazione rafforza la stabilitàpolitica e sociale della regione, facilitando i contatti tra società nazionali e minoranze nazionalipresenti in altri paesi (il caso più rilevante è rappresentato dalle minoranze ungheresi stabilite ingran parte dei paesi limitrofi all’Ungheria, come in Romania) e lasciando sussistere un gradominimo di osmosi, se non di coesione, all’interno di una minoranza transnazionale perdefinizione, quale quella Rom. Lo stesso fenomeno si verifica, inoltre, tra alcuni paesi candidatie paesi non candidati, come nel caso dei rapporti storici tra Polonia e Ucraina, con scambi legatia flussi commerciali e di lavoratori transfrontalieri.

Come hanno sottolineato numerosi studi47, un rigido allineamento all’acquis Schengencomporterebbe la rescissione di tali vincoli storici ed economici e avrebbe, di conseguenzaeffetti negativi sia sul piano economico, sia su quello politico-sociale: “Una rigida insistenzasulla totale adozione dell’acquis di Schengen ha delle chiare conseguenze negative per quasitutti i PECO: la restrizione dei legami economici e culturali transfrontaleri tra i PECO e i lorovicini orientali inibisce lo sviluppo economico nelle regioni di confine, disturba i legami divecchia data tra le società, e crea tensioni nuove e non necessarie tra i loro governi” 48. Alcuni diquesti effetti perversi appaiono già evidenti: l'adeguamento da parte della Polonia ad alcuniparametri Schengen in materia di visti, di controllo delle frontiere e di status degli stranieri, peresempio, ha assestato un severo colpo ai floridi mercati locali sviluppatisi sulla frontiera conl'Ucraina e al "bazar russo" di Varsavia (Bort, 2000, p. 5).

Altri effetti, ancora più paradossali, sono facilmente prevedibili: il paradosso èparticolarmente acuto nel caso dei rapporti di vicinato tra Romania e Ungheria, regolati per orada un recente accordo, che assicura una ragionevole libertà di movimento tra i due paesi airappresentanti delle sostanziose minoranze transfrontaliere. Questo accordo, a suo tempoispirato e fortemente incoraggiato dall’Unione europea, dovrebbe ora essere messo in dubbio, 46 Monar, (2000b) p. 45.47 Si veda, per tutti, Amato e Batt (1999); Grabbe (2000a).48 Amato e Batt (1999), p. 52.

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per soddisfare le condizioni di adesione poste dalla stessa Unione. E’ un esempio clamorosodelle fondamentali contraddizioni esistenti tra le “logiche” di sicurezza interna - o “micro-security”, secondo la terminologia usata da Grabbe (2000b) - (tuttora imperniate sullaframmentazione dello spazio internazionale, mediante il rafforzamento dei controlli allefrontiere esterne) e le “logiche” di sicurezza esterna, o “macro-security” (basate, al contrario,sull’integrazione), che l’Unione europea, come attore internazionale, segue nella metà orientaledel continente.

Senza soffermarci oltre su questa problematica di ordine generale, ci limitiamo asegnalare alcuni problemi particolari in materia di visti, che si pongono nei due paesi su cuiabbiamo concentrato l’attenzione sinora. Va rilevato, innanzitutto, che sia la Slovenia sia laRomania hanno solo recentemente riformato le normative in materia di visti, riducendo ilrilascio del visto in frontiera – che fino a poco tempo fa rappresentava la norma – aun’eccezione. Dall’inizio del 1999, in Slovenia, e dal gennaio 2000, in Romania, una quotamaggioritaria e crescente dei visti d’ingresso è rilasciata dai consolati. Naturalmente, dal puntodi vista organizzativo e amministrativo si tratta di una rivoluzione che, per entrare a regime,avrà bisogno di tempo, formazione mirata e investimenti tecnologici (nessuno dei due paesidispone per esempio di una rete informatica che colleghi l’amministrazione centrale con lerappresentanze diplomatiche, secondo il modello europeo).

Per quanto riguarda, invece, la definizione dei paesi a cui è imposto l’obbligo di visto aifini dell’ammissione49, mentre la Slovenia ha compiuto recentemente progressi notevoli50, lasituazione della Romania rimane problematica, poiché essa consente tuttora l’ingresso nelpaese, senza autorizzazione preventiva, ai cittadini di paesi quali: la ex-Repubblica Jugoslava diMacedonia (FYROM), la Repubblica federale di Jugoslavia, la Moldavia, la Turchia, nonchétutti i paesi che fanno parte della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI).

5.3.5. La “capacità di allontanamento” dei nuovi Stati membri

Un sistema di controllo migratorio efficace deve necessariamente disporre, oltre che dimezzi di prevenzione dell’immigrazione clandestina e irregolare, anche di strumenti di tiposanzionatorio. L’acquis Schengen è tuttavia piuttosto limitato e vago, a questo proposito. Ladisposizione chiave rimane l’art. 3, comma 2, della Convenzione Schengen (ora incorporato neldiritto comunitario), che dispone: “Le Parti contraenti si impegnano a istituire sanzioni nel casodi passaggio non autorizzato delle frontiere esterne al di fuori dei valichi di frontiera e delle oredi apertura fissate”.

Gli Stati membri hanno però mantenuto ampia discrezionalità nel determinare la naturae il livello di tali sanzioni, cosicché all’interno dell’UE persiste una certa eterogeneità: alcuniStati configurano l’ingresso clandestino come semplice illecito amministrativo (comeattualmente l’Italia, salvo il caso di reingresso in seguito ad espulsione), mentre altri loqualificano come reato (che, però, nella maggior parte dei casi, è punito solo conl’allontanamento immediato e coattivo, e solo in ipotesi particolari comporta brevi penedetentive). Ma, nonostante queste differenze di impostazione, gli Stati membri hanno ormai

49 Com’è noto, a livello europeo, esistono due liste comuni di paesi per i quali il visto è obbligatorio: unalista di base, predisposta in ambito UE, che comprende attualmente 101 paesi (Regolamento del Consiglio574/1999, GUCE, N° L 72/2, 18 marzo 1999, da cui si deve ora eliminare la Bulgaria) e una lista piùampia, redatta in ambito Schengen, in cui figurano 133 Stati (tra cui diversi Stati membri delCommonwealth, a cui in ambito UE il Regno Unito rifiuta di imporre l’obbligo di visto). La seconda listaè, evidentemente, quella che si impone ai paesi candidati ai fini dell’adesione.50 Dall’inizio del 2000, è richiesto il visto d’ingresso ai cittadini di paesi “problematici”, quali FYROM,Romania, Russia e Turchia. Rimane il nodo della Croazia, i cui cittadini possono tuttora entrare inSlovenia con la sola carta d’identità.

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raggiunto un alto livello di armonizzazione nelle procedure di allontanamento, che contemplanogeneralmente strumenti di trattenimento coattivo/detenzione degli espellendi in attesadell’espulsione (per periodi massimi che variano ampiamente, e discutibilmente, da uno Statomembro all’altro) e regimi pattizi di riammissione con un numero vasto e sempre crescente dipaesi di origine e di transito dei flussi migratori.

La custodia degli espellendi e la riammissione rappresentano articolazioni essenziali deisistemi di enforcement migratorio dei paesi UE, che si impongono, come tali, anche ai paesicandidati. Ci soffermeremo ora, brevemente, sul livello di convergenza in questo campo, daparte dei due paesi che abbiamo scelto come casi di studio specifici. E’ opportuno sottolineare,in via preliminare, che l’adeguamento agli acquis europei in questo campo, oltre a comportarecosti politici spesso rilevanti, è gravoso sotto il profilo puramente economico (costi dellacustodia sorvegliata, costi dell’allontanamento coattivo). Da questo punto di vista, le risorse adisposizione dei paesi candidati risultano gravemente inadeguate e condizionano negativamentei loro sforzi.

La legislazione romena in materia di ingresso, soggiorno e allontanamento è obsoleta(risale al 1969). Esiste un progetto di riforma, che però si trova da anni all’esame delParlamento e non si è ancora tradotto in legge. Tra le numerose lacune normative, va segnalatain particolare l’assenza di un termine massimo per la detenzione in vista dell’espulsione, cheinoltre può essere disposta con semplice deliberazione amministrativa, senza un vagliogiudiziale successivo. Questi due aspetti rendono il sistema incompatibile con l’acquis UE, che– è bene ricordarlo – non ha solo una dimensione repressiva, ma anche una componente digaranzia dei diritti fondamentali, derivante in particolare dalla Convenzione europea dei dirittidell’uomo (CEDU).

Sotto il profilo dell’efficacia, il sistema di enforcement migratorio romeno è fortementepenalizzato dalla mancanza di un’adeguata rete di accordi di riammissione. Sebbene accordi diquesto tipo siano stati stipulati con 12 Stati membri, con cinque paesi candidati, con la Svizzerae con l’India, la Romania manca tuttora di intese specifiche con i paesi limitrofi (fatta eccezioneper l’Ungheria). Malgrado questa carenza, le autorità romene eseguono un numerorelativamente elevato di allontanamenti coattivi (1.564 nel 1998), la metà dei quali è effettuataper via aerea verso paesi non confinanti (763 nel 1998). Questi dati, valutati positivamente nelquadro dei negoziati per l’adesione, suscitano tuttavia perplessità alla luce delle carenze di cui,come abbiamo visto, l’ordinamento romeno soffre sotto il profilo delle garanzie e della tutelagiudiziaria dei diritti fondamentali.

Problemi in parte analoghi si constatano in Slovenia. Anche nella ex Jugoslavia, infatti,la detenzione degli stranieri in vista dell’espulsione può essere disposta dalle autorità di polizia,senza l’intervento di un magistrato indipendente, per un periodo massimo di sei mesi,rinnovabile una volta. L’assenza di controlli giudiziali in questo campo è in aperto contrasto conl’art. 5, comma 3, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Appare criticabile, inoltre, ilfatto che il “Centro di accoglienza transitoria per stranieri” di recente creazione ospiticontemporaneamente, e negli stessi locali, migranti clandestini in attesa di espulsione, profughibeneficiari di protezione temporanea e richiedenti asilo.

Anche sul piano dell’efficacia rimane ancora molto da fare. La maggior parte deirimpatri eseguiti (2.515 nel 1998) viene effettuata in direzione della Croazia e dell’Ungheria.Manca tuttora un accordo di riammissione con la Bosnia-Erzegovina e, fino a pochi mesi fa,l’assenza di relazioni diplomatiche con la Repubblica Federale Jugoslava e la situazione di crisiesistente nel paese ostacolavano le espulsioni in direzione di quel paese.

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5.3.6. La lotta alle organizzazioni criminali dedite al traffico di clandestini e alla tratta

Una quota crescente e probabilmente maggioritaria degli ingressi clandestini nelterritorio dell’Unione europea vede ormai il coinvolgimento di organizzazioni criminali cheassistono il migrante a fini di lucro immediato o successivo (mediante lo sfruttamento sessuale olavorativo del soggetto “trafficato”)51.

La consapevolezza di questa evoluzione sta facendo prevalere, all’interno della UE,un’impostazione politica in base alla quale l’azione di contrasto all’immigrazione clandestinanon può esaurirsi nell’adozione di misure sanzionatorie (respingimento ed espulsione, spessopreceduta da un periodo detentivo) a carico dei migranti stessi, come è stato sinora, ma deveavere come bersaglio prioritario le organizzazioni criminali.

Questo approccio, che pure non si è ancora tradotto in un corpus di norme costitutivedell’acquis UE52, si impone, se non altro sul piano politico, anche ai paesi candidati. In questosettore specifico, tuttavia, il processo di convergenza appare particolarmente difficoltoso pervarie ragioni.

In primo luogo, la lotta alle organizzazioni criminali dedite allo sfruttamentodell’immigrazione clandestina e alla tratta presenta difficoltà specifiche e oggettive (richiedeuna forte capacità di proiezione internazionale delle attività investigative e giudiziarie; devemisurarsi spesso con un’estrema reticenza a testimoniare da parte delle vittime, etc.), che nefanno un settore altamente problematico anche per le polizie e le magistrature dei paesi membri.In secondo luogo, non bisogna dimenticare la situazione generale - complessivamenteinsoddisfacente sebbene con forti differenze tra i singoli paesi - dei sistemi giudiziari penali e dipolizia di gran parte dei paesi candidati. In terzo luogo, in alcuni candidati all’adesione siriscontra una carenza di volontà politica nella lotta a una forma di criminalità dotata di grandecapacità corruttiva e che viene talvolta percepita come non immediatamente lesiva degliinteressi nazionali.

Questa mancanza di volontà politica fa sì che i ritardi nel processo di convergenza inquesto settore non riguardino solo il livello applicativo, ma si manifestino anche, con una certagravità, sul piano legislativo. Da questo punto di vista, la situazione della Slovenia appareparticolarmente problematica (Monar, 2000b). D’altra parte, anche nei paesi i cui codici penalicontengono disposizioni specifiche contro trafficanti e passatori, l’applicazione concreta di talinorme è spesso del tutto deficitaria. Nel caso romeno, per esempio, si registrano solo 19 arrestiper favoreggiamento di immigrazione clandestina nel 1998, che, secondo informazioniufficiose, sarebbero saliti a 27 nel 1999.

Una conferma clamorosa degli ostacoli di natura politica che sussistono in questocampo è venuta recentemente dall’esito della conferenza internazionale (Palermo, 12-15dicembre 2000) convocata dalle Nazioni Unite per la firma della Convenzione contro il crimineorganizzato transnazionale e dei due Protocolli allegati, dedicati rispettivamente alla tratta diesseri umani a fini di sfruttamento sessuale e lavorativo, e al traffico di clandestini. Inquell’occasione, mentre la Convenzione generale ha raccolto 118 firme, ai due protocolli, cheobbligano il paese firmatario a perseguire penalmente i comportamenti in questione con unacerta severità, non sono state apposte che 77 (tratta a fini di sfruttamento) e 74 (traffico diclandestini). Lo stato delle firme dei paesi candidati all’adesione alla UE segnala l’esistenza dinotevoli problemi:

51 Cfr. per tutti, la utile e aggiornata rassegna di letteratura pubblicata recentemente dall’IOM (2000).52 In seguito a un’iniziativa della presidenza francese dell’Unione, sono allo studio della Commissioneproposte normative finalizzate a dettare criteri minimi comuni per la definizione del reato di traffico diesseri umani e delle sanzioni relative (cfr. Commissione europea, 2000d).

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Tav. 5.8 Paesi candidati firmatari della Convenzione contro il crimine organizzatotransnazionale e dei Protocolli allegati (al 15 dicembre 2000)Paese* Convenzione Protocollo contro la tratta a fini

di sfruttamentoProtocollo contro il traffico

di clandestiniBulgaria SI’ SI’ SI’Cipro SI’ SI’ SI’Estonia SI’ NO NOLettonia SI’ NO NOLituania SI’ NO NOPolonia SI’ NO NORepubblica ceca SI’ NO NORomania SI’ SI’ SI’Slovacchia SI’ NO NOSlovenia SI’ NO NOTurchia SI’ SI’ SI’Ungheria SI’ SI’ SI’* Malta non risulta aver firmato alcuno degli strumenti aperti alla firma in occasione della Conferenza di Palermo.

L’assenza di un’azione incisiva di politica criminale appare particolarmente grave nelcaso della tratta di donne e bambini a fini di sfruttamento (sessuale e non). Come si sottolineanell’Enlargement Strategy Report, infatti: “Nonostante la sua proibizione legale, il traffico didonne e bambini è un problema crescente in alcuni paesi candidati, che sono diventati paesid’origine, di transito e di destinazione. L’abuso del sistema delle adozioni internazionali èun’altra questione preoccupante. Sono necessari sforzi significativi per prevenire questitraffici” 53.

La priorità che le istituzioni europee accordano attualmente a questo particolareproblema è stata confermata in un recente intervento del Commissario europeo responsabile delsettore “Giustizia e affari interni”, Antonio Vitorino, contenente un forte richiamo ai paesicandidati, affinché rinforzino la lotta contro la tratta di donne e bambini finalizzata allosfruttamento sessuale (e non) e si dotino di leggi più severe in questo campo54.

5.3.7. La “capacità di trattenimento” dei nuovi Stati membri: politica di ammissione econdizione degli stranieri

Nessun sistema di gestione dei movimenti migratori può prescindere da unacomponente “positiva”, cioè da un insieme di regole in materia di ammissione, soggiornoregolare e protezione (asilo, protezione sussidiaria, protezione temporanea), che definiscano icanali e i modi di ingresso e di permanenza in condizioni di regolarità in un determinato paese.

In generale, questa esigenza è determinata da fattori diversi: necessità demografiche edeconomiche (domanda di lavoro non soddisfatta dall’offerta interna), obblighi giuridici interni einternazionali (ricongiungimenti famigliari, asilo e altre forme di protezione). Nel contestoattuale - caratterizzato da una forte pressione migratoria clandestina, sfruttata sistematicamenteda organizzazioni criminali – le diverse forme di ammissione regolare acquistano anche unafunzione di prevenzione nei confronti dell’ingresso clandestino.

Anche in questo campo, i paesi candidati all’ingresso nell’UE sottostanno a determinatiobblighi, che riguardano sia le regole e le politiche in materia di immigrazione regolare, siaquelle in materia di asilo e protezione temporanea. L’interesse politico degli Stati membri attualia una rapida convergenza dei candidati verso gli standard comuni, in questi settori, è evidente.Quanto più equilibrate ed efficaci saranno le politiche dei nuovi Stati membri in materia di 53 Commissione europea (2000c), p. 16, traduzione non ufficiale.54 Financial Times, “EU urges drive on crime”, dispaccio Reuters, 25 gennaio 2001, p. 8.

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immigrazione regolare e di asilo, tanto maggiore sarà la loro “capacità di trattenimento” deiflussi migratori attuali e futuri, con una conseguente attenuazione della pressione sui quindicimembri attuali.

In questo campo, il processo di armonizzazione normativa e convergenza politica daparte dei paesi candidati è reso particolarmente complicato e incerto dal fatto che l’acquisesistente è composto in massima parte da atti di soft law adottati nel quadro del “terzo pilastro”,prima dell’entrata in vigore del trattato di Amsterdam. Il consolidamento e lo sviluppo di taleacquis sotto forma di diritto comunitario è un processo in pieno (e impetuoso) svolgimento. Neisettori analizzati in questo paragrafo e nel successivo, il coordinamento tra i due processi(sviluppo dell’acquis da parte dei Quindici e adeguamento all’acquis stesso da parte deicandidati) rappresenta, quindi, un problema particolarmente acuto e delicato.

Per quanto riguarda le politiche nei confronti dell’immigrazione regolare, è necessariopremettere che – come emerge dalle tabelle sui dati disponibili relativi agli stock e ai flussi diimmigrazione straniera – diversi PECO si possono già considerare “paesi di immigrazione” 55

(cfr. Tav 5.6, in particolare la colonna con la presenza straniera nei PECO e tav.5.9).

Tav. 5.9 Flussi di immigrazione economica tendenzialmente permanente(permessi di soggiorno di lunga durata rilasciati nei PECO)

1995 1996 1997Bulgaria n.d. n.d. 25.285Estonia 1.616 1.574 1.583Lettonia 2.799 2.747 2.913Lituania 2.020 3.025 2.536Polonia 8.121 8.186 8.426Rep. Ceca 10.540 10.857 12.880Romania n.d. n.d. 37.794Slovacchia 4.493 4.039 4.318Slovenia 5.873 8.003 n.d.Ungheria 13.185 12.537 n.d.Fonte: IOM-UN, 2000, p. 168

Questi dati, per quanto incompleti e poco aggiornati, indicano una tendenza che, conogni probabilità, è assai più marcata di quanto appaia. Infatti: “…è probabile che le cifreufficiali sottostimino notevolmente il numero reale di stranieri e migranti che vivono e lavoranonei PECO a causa dell’elevato numero di cittadini stranieri dell’Europa orientale che lavoranonell’economia informale”56.

Di fronte a questa tendenza, l’interesse degli Stati membri è duplice. Da un lato, vi è unmarcato interesse a che le norme e le prassi in materia di ingresso e soggiorno regolare nonsiano troppo permissive. In base all’acquis di Schengen, infatti, lo straniero che detenga unpermesso di soggiorno di lunga durata in corso di validità rilasciato da un paese membro può“circolare liberamente nel territorio delle altre Parti contraenti” (art. 22, comma 1, Conv.Schengen), purché disponga dei “mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista delsoggiorno, sia per il ritorno nel paese di provenienza” (art. 5, comma 1, lett. c, ibidem). Èevidente il timore degli Stati membri attuali che tale limitata libertà di circolazione sia sfruttataai fini di una successiva permanenza irregolare all’interno dei loro confini nazionali.

55 A causa delle carenze degli apparati di rilevazione statistica dei paesi in questione, peraltro, i daticontenuti nel testo sono datati. I valori attuali sono probabilmente assai superiori.56 IOM-UN (2000), p. 168, traduzione non ufficiale. La stessa fonte (p. 170) riporta stime del Ministeropolacco per il lavoro e le politiche sociali, secondo cui in Polonia entrerebbero da 100.000 a 150.000lavoratori stranieri illegali ogni anno. Negli altri PECO, tuttavia, le stime esistenti sono generalmentemolto più basse: le autorità romene, per esempio, valutano in 20-30.000 la popolazione clandestinastabilmente soggiornante nel paese.

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Dall’altro lato, vi è l’interesse a che norme e prassi in materia di ammissione e dicondizione degli stranieri non siano eccessivamente restrittive, illiberali o esposte all’arbitrioamministrativo. Le ragioni non sono soltanto di natura giuridico-politica (l’efficacia vincolantee il peso politico di alcuni strumenti internazionali – la CEDU, innanzitutto - posti a tutela deidiritti fondamentali di tutti gli individui, compresi gli stranieri). Un interesse degli Stati membriin questa direzione nasce anche da ragioni pratiche: uno status eccessivamente restrittivo odiscriminatorio per gli stranieri regolari rappresenta infatti un incentivo a “migrazionisecondarie” effettuate in condizioni di irregolarità verso altri paesi dell’Unione.

Alla luce di queste considerazioni, tanto la situazione slovena quanto quella romenapresentano – nonostante alcune differenze di fondo57 – problemi analoghi. In entrambi i paesi, siriscontrano, per un verso, disposizioni eccessivamente permissive rispetto agli orientamentiprevalenti all’interno della UE (in Romania, per esempio, uno straniero presente a titoloturistico può chiedere in loco un permesso di lavoro; in Slovenia, la conversione in permesso disoggiorno per motivi di lavoro di un titolo di soggiorno ottenuto a fini diversi è molto piùagevole che nella maggior parte degli Stati membri).

D’altra parte, in entrambi i paesi, vi sono aspetti della normativa eccessivamenterestrittivi rispetto agli standard comunitari (compresi quelli che si vanno delineando, sottoforma di proposte normative della Commissione) che rischiano di rappresentare potentiincentivi alla presenza irregolare: ci riferiamo, in particolare, alle disposizioni in materia diricongiungimenti famigliari e di rinnovo dei permessi di soggiorno.

5.3.8. La “capacità di trattenimento” dei nuovi Stati membri: i sistemi nazionali d’asilo

Nell’esame dei sistemi nazionali d’asilo dei paesi candidati, è opportuno partire dallaconstatazione che, da un punto di vista strettamente giuridico, il processo di adeguamento aimodelli prevalenti in ambito UE (trasfusi solo in parte, per ora, in una normativa comune) è inuno stadio relativamente avanzato: “In generale, si può dire che i paesi candidati, per lo meno isei del gruppo di Lussemburgo, hanno adottato i principi e strutture fondamentali dell’acquisdell’UE, ma che continua ad esservi diversità per quanto riguarda le garanzie procedurali percoloro che sono in cerca d’asilo. Tuttavia, sembrerebbe che questa diversità verrà eliminataentro il 2004 con legislazioni aggiuntive”58. L’osservazione che Monar riferisce essenzialmenteai paesi del “gruppo di Lussemburgo” è ora valida per un numero crescente degli altri candidati:nel corso del 2000, infatti, nuove leggi in materia di asilo sono state adottate a Malta e inRomania (decreto governativo del 29 agosto 2000).

In questo campo, dunque, ancor più che in altri, i problemi maggiori nel processo diadeguamento all’acquis europeo non si pongono sul piano normativo (sebbene in molti paesirimangano lacune e inadeguatezze, anche gravi), bensì a livello organizzativo e, soprattutto, diprassi e di indirizzi politici strategici.

Come dimostrano i dati riportati nella tabella 5.10, il grado di funzionalità dei sisteminazionali d’asilo dei paesi candidati varia notevolmente: in alcuni casi è ancora estremamentebasso (Romania e Polonia), in altri è alto (Repubblica Ceca e Ungheria) o addirittura molto alto(Slovenia). Nel caso di questi ultimi tre paesi, il livello di “generosità” del sistema - misurato inbase all’indicatore (certamente significativo, anche se non privo di ambiguità) fornito dalnumero di domande di asilo per ogni mille abitanti - è superiore a quello riscontrato in Italia.Sulla base di questo indicatore, la Slovenia – in seguito all’impressionante incremento nelledomande di asilo registrato nel 2000 - risulta, in termini relativi, il più importante paese d’asilo 57 La differenza principale riguarda l’apparato legislativo: mentre la Slovenia ha approvato recentemente(1999) una legge organica in materia di immigrazione e condizione degli stranieri, la Romania,nonostante i ripetuti tentativi di riforma, fa ancora affidamento su una obsoleta legge del 1969.58 Monar (2000b), p. 35, traduzione non ufficiale.

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in Europa. Naturalmente, questi dati, di per sé significativi, andrebbero integrati – ai fini di unapercezione equilibrata e completa – con i dati relativi ai rifugiati riconosciuti, riferiti agli stessianni (non ancora disponibili).

Ai fini di una valutazione d’impatto dell’allargamento sugli attuali Stati membri,peraltro, entrambe queste categorie di dati (domande d’asilo e rifugiati riconosciuti) devonoessere lette con piena consapevolezza del fatto che, anche dal punto di vista dell’asilo, moltipaesi candidati si configurano come paesi di transito . Secondo le testimonianze degli esperti ele scarse ricerche esistenti, infatti, è frequente che richiedenti asilo e rifugiati riconosciuti in unpaese candidato proseguano poi il loro percorso migratorio verso uno Stato membro, piùappetibile ai fini di una permanenza di lunga durata, anche se in condizioni di irregolarità.

Tav. 5.10 Domande di asilo su base annua in Europa (Stati UE, paesi candidati, Norvegia,Svizzera) Numero di domande Domande per 1000 abitantiPaese ricevente 1990 1995 1999 2000 1999 2000Austria 22.800 5.900 20.100 18.280 2,45 2,23Belgio 13.000 11.400 35.780 42.690 3,52 4,20Bulgaria n.d. 520 1.330 1.760 0,16 0,21Danimarca 5.300 5.100 6.470 10.080 1,22 1,90Finlandia 2.700 850 3.110 3.320 0,60 0,64Francia 54.800 20.200 30.910 38.590 0,52 0,65Germania 193.100 127.900 95.110 78.760 1,16 0,96Grecia 6.200 1.300 1.530 3.000 0,14 0,28Irlanda n.d. 420 7.720 10.920 2,07 2,93Italia 4.800 1.700 33.360 18.000 0,58 0,31Liechtenstein n.a. n.d. 520 10 16,25 0,31Lussemburgo n.d. n.d. 2.910 590 6,76 1,37Norvegia 4.000 1.500 10.160 10.320 2,28 2,31Paesi Bassi 21.200 29.300 39.300 43.890 2,49 2,78Polonia n.d. 840 2.960 4.290 0,08 0,11Portogallo 80 450 310 200 0,03 0,02Regno Unito 26.200 44.000 91.080 97.860 1,55 1,66Romania n.d. n.d. 1.670 1.360 0,07 0,06Svizzera 35.800 17.000 46.070 17.660 6,24 2,39Slovacchia n.d. 360 1.310 1.550 0,24 0,29Slovenia n.d. n.d. 870 9.240 0,44 4,65Spagna 8.600 5.700 8.410 7.040 0,21 0,18Svezia 29.400 9.000 11.230 16.370 1,26 1,84Rep. Ceca 1.800 1.400 7.290 8.770 0,71 0,86Ungheria 4.000 590 11.500 7.800 1,15 0,78EU-15 388.180 262.800 387.330 389.590 1,03 1,04EUROPA 471.010 452.350 1,03 1,04Fonte: Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

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5.4. Alcuni spunti propositivi

5.4.1. Un obiettivo strategico: creare un sistema di circolazione delle personesostenibile e virtuoso nell’Europa allargata

I capitoli dei negoziati di adesione esaminati in questo capitolo corrispondono atematiche fortemente sentite dalle opinioni pubbliche degli Stati membri, sulle quali tendonospesso a prevalere, all’interno dei singoli contesti nazionali, logiche politiche di breve periodo,o addirittura emergenziali.

E’ essenziale che le grandi scelte negoziali in questo campo, pur senza trascurare laforte componente emotiva dei policy fields in questione, rimangano coerenti con il quadro,sufficientemente univoco, che risulta dagli indicatori quantitativi e qualitativi, così comeinterpretati dalle numerose ricerche svolte negli ultimi anni.

Tale coerenza è di importanza cruciale, affinché il processo di allargamento conseguaquello che, in questo settore, è il suo obiettivo strategico: fare dell’Europa allargata uno spaziodi libera circolazione e uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, in cui la mobilità interna siauna risorsa pienamente valorizzata e in cui le migrazioni da paesi terzi siano governate inmaniera efficace, equa e sostenibile.

Dalla rapida rassegna di studi e documentazione che abbiamo effettuato in questocapitolo, risulta che la prospettiva di un allargamento graduale dell’Unione europea ai paesiattualmente impegnati nei negoziati non deve destare eccessive preoccupazioni ai paesi UE, e inparticolare all’Italia, sotto il profilo della mobilità dei cittadini dei nuovi Stati membri.

Pur tenendo conto dei numerosi fattori imponderabili, si può ragionevolmente prevedereche, in una prima fase, gli ingressi a titolo di libertà di circolazione saranno con ogni probabilitànon indifferenti, negli Stati membri che già conoscono (o hanno conosciuto in passato) flussimigratori rilevanti dai paesi candidati, ma inferiori a quelli della prima metà degli anni novanta.Per quanto riguarda l’Italia, un allargamento della libertà di circolazione delle persone ai paesidel gruppo di Lussemburgo non dovrebbe comportare un aumento rilevante dei flussi, dato ilnumero poco elevato di cittadini da questi paesi attualmente in Italia. E’ infatti utile ricordareche le rotte dell’immigrazione tendono a dirigersi in maniera preponderante verso paesi eregioni in cui già esistono delle consistenti comunità immigrate, della stessa nazionalità deinuovi emigranti.

L’afflusso verso gli Stati membri che già ospitano cittadini dei PECO sarà compensatodalla cessazione dei flussi irregolari che da alcuni PECO rimangono rilevanti, e che pongonoproblemi di particolare delicatezza. Inoltre, vi sono segnali che si tratterà, in massima parte, dimovimenti non definitivi, ossia di forme di “pendolarismo migratorio” (perlopiù su basestagionale, ma anche per periodi più brevi, nelle aree transfrontaliere) destinate a gravare inmisura estremamente modesta sui sistemi di welfare dei paesi riceventi.

Queste considerazioni non escludono che delle limitazioni transitorie alla libertà dicircolazione dei cittadini dei nuovi Stati membri possano risultare necessarie, soprattutto al finedi evitare reazioni di rigetto verso l’allargamento da parte di frange delle opinioni pubbliche (dialcuni) degli Stati membri attuali. Tali eventuali limitazioni, tuttavia, dovrebbero essere gestitecon la massima flessibilità, sia dal punto di vista temporale (frequenza delle verifiche), sia perquanto riguarda il rapporto con le politiche nazionali in tema di immigrazione lavorativa, chedovrebbero mantenere la loro piena autonomia.

Dall’analisi effettuata, risulta invece che l’allargamento porrà problemi di un certorilievo nel settore “Giustizia e affari interni”, in particolare con riguardo alle migrazioniclandestine e irregolari provenienti da paesi terzi.

Questo è un settore in cui il grado di integrazione tra i Quindici è cresciuto moltorapidamente negli ultimi anni ed è destinato ad aumentare ancora, con particolare intensità,perlomeno fino al termine del periodo transitorio (1999-2004) che il trattato di Amsterdam ha

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previsto per la piena “comunitarizzazione” delle politiche europee in materia di immigrazione edi asilo59. Gli Stati candidati si trovano quindi di fronte a un acquis vasto, eterogeneo e in rapidaespansione.

L’adeguamento a questo acquis è pertanto un processo tecnicamente complesso,notevolmente costoso, e che richiede il sostegno di una volontà politica particolarmente forte,coerente e costante.

E’ probabile che una parte dei candidati non sarà in grado di adeguarsi pienamenteall’acquis Schengen-UE in materia migratoria ancora per alcuni anni e che sarà dunquenecessario, anche in questo campo, prevedere soluzioni transitorie. E’ essenziale, tuttavia, chel’instaurazione di tali regimi transitori – necessariamente basati sul provvisorio mantenimentodei controlli alle frontiere interne tra vecchi e nuovi membri – sia accompagnata, da entrambe leparti, da un’intensificazione degli sforzi (politici, tecnici, finanziari) finalizzati a un loro rapidosuperamento.

E’ certamente vero, infatti, che nel lungo periodo, "L’inclusione di questi paesinell’Unione europea, con l’accettazione da parte loro delle sue regole e delle sue politiche,migliorerà la nostra capacità complessiva di salvaguardare l’ambiente, di lottare contro lacriminalità […] di governare i flussi migratori. Senza la loro adesione, risolvere questi problemisarebbe più difficile”60.

5.4.2. Spunti propositivi in materia di libertà di circolazione

Come già indicato, non sembrano esserci prospettive concrete nei prossimi anni di flussielevati di immigrati dai paesi candidati verso l’Italia, con l’eccezione della Romania, il cuiingresso sarà comunque ritardato. Inoltre, considerando la struttura del nostro mercato dellavoro e il concetto di “scarsità relativa” per qualifiche professionali e aree geografiche, ilnostro paese potrebbe avere interesse ad accogliere lavoratori, in genere caratterizzati da elevatilivelli di capitale umano, dai nuovi stati membri, geograficamente vicini ad aree del paese a“tensione” di manodopera (NordEst). Questa osservazione è ulteriormente rafforzata dalletendenze demografiche in atto e che già oggi, in assenza di immigrazione, porterebbero ad uncalo della popolazione italiana.

L’immigrazione post allargamento dai paesi candidati sarebbe necessariamente legale eciò faciliterebbe l’integrazione, favorita ulteriormente da elementi culturali comuni. Già oggi gliimprenditori delle regioni con maggiore carenza di manodopera mostrano di apprezzareparticolarmente i lavoratori rumeni, mentre gli slovacchi si sono conquistati un ruolo nel lavorostagionale in Trentino Alto Adige e gli sloveni nel Friuli Venezia Giulia. Da più parti emergeche le complicazioni inerenti alla politica di quote programmate d’ingresso potrebbero essereattenuate con la libera circolazione dei lavoratori da questi paesi. Da un punto di vista

59 A questo proposito, è importante sottolineare un aspetto. L’art. 67, comma 2, TCE, introdotto daltrattato di Amsterdam, prevede che, trascorso un periodo di cinque anni dall’entrata in vigore dello stessotrattato di Amsterdam, “il Consiglio, deliberando all’unanimità previa consultazione del Parlamentoeuropeo, prende una decisione al fine di assoggettare tutti o parte dei settori contemplati dal presentearticolo alla procedura di cui all’articolo 251 e di adattare le disposizioni relative alle competenze dellaCorte di giustizia”. Com’è noto, l’art. 251 disciplina la procedura di co-decisione, nel cui ambito ilConsiglio delibera a maggioranza qualificata. E’ importante che la decisione (che il Consiglio dovràprendere all’unanimità) di adottare questo metodo decisionale in materia migratoria sia assunta primadell’allargamento. In caso contrario, lo sviluppo ulteriore della politica europea in materia diimmigrazione e di asilo rischierebbe di essere paralizzato dal gioco dei veti incrociati che potrebbeinnescarsi all’interno di un’Unione più vasta, ma anche più eterogenea.60 Commissione europea, 2000c, p. 4, traduzione non ufficiale.

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economico, non sembrano esserci elementi che rendano necessarie per il nostro paese eventualirichieste di periodi transitori sulla mobilità delle persone dai nuovi stati membri.

Flussi di maggiori dimensioni potrebbero indirizzarsi verso la Germania, anche se inquesto capitolo si sostiene che saranno inferiori a quelli previsti da alcuni studi economici. Nonsi può perciò prescindere dal definire proposte per la posizione italiana in funzione dellaproposta già avanzata dal governo tedesco. Lo scorso dicembre il Cancelliere Schröder hapresentato una proposta tendente a limitare per sette anni la libera circolazione delle personenell’Unione Europea dopo l’allargamento, con la possibilità di verifiche dopo cinque anni e conmargini di flessibilità per i vecchi stati membri che desiderino consentire forme di accessocontrollato, già durante il periodo di transizione. Infine, la proposta suggerisce di limitare lalibera circolazione dei servizi in alcuni settori, quali l’edilizia e l’artigianato, al fine di evitarel’aggiramento delle restrizioni.

La proposta tedesca fa riferimento ai precedenti allargamenti della CEE. Già nei casidell’adesione di Grecia (1981), Spagna e Portogallo (1986), la Comunità aveva introdottoperiodi transitori per alcune questioni tra cui la libera circolazione delle persone, per attenuarediffuse paure di un’ondata migratoria di lavoratori meridionali verso l’Europa del nord. I perioditransitori introdotti per la libera circolazione delle persone furono di sette anni. Il Lussemburgoriuscì ad ottenere un periodo di dieci anni grazie alla sua già consistente popolazione di origineportoghese.61 Durante i periodi transitori l’emigrazione dei cittadini dei nuovi paesi membripoteva essere gestita secondo le norme in materia di ciascun paese membro. I cittadini dei nuovipaesi membri già residenti nella Comunità, potevano beneficiare della parità di trattamentogarantita dalla legislazione comunitaria. Per quanto riguarda i diritti delle famiglie deilavoratori, coloro che si ricongiungevano alle famiglie dopo la firma dell’Accordo di adesionepotevano accedere al mercato del lavoro gradualmente. Dopo cinque anni dal ricongiungimento,potevano usufruire di pari diritti e condizioni. I periodi transitori furono rivisti dal Consigliodopo cinque anni di applicazione e, dopo la verifica, accorciati a sei anni, otto per ilLussemburgo (European Commission, April 2000). Come già indicato, i flussi realizzatisi inseguito all’allargamento a Sud furono nettamente inferiori alle attese. Inoltre il riferimento alprecedente allargamento è reso problematico anche dal cambiamento del quadro giuridico dopoil 1986, con l’introduzione della libertà di movimento dei lavoratori all’interno dell’UE previstadall’Atto Unico del 1993.

Sebbene non vi sia un rilevante interesse italiano da difendere in quest’ambito, bisognaanche valutare che una chiusura alle richieste della Germania potrebbe avere riflessi sulprocesso stesso dell’allargamento. Inoltre comporterebbe il rischio di alimentare in Germaniafenomeni di sfruttamento politico della xenofobia e del razzismo.

Malgrado il fatto che i timori tedeschi appaiano eccessivi, considerazioni di naturapolitica/negoziale possono far propendere per un appoggio alla proposta tedesca, o meglio peruna mediazione tra questa e le ragioni dei paesi candidati. Ricordiamo infatti che la mobilitàdelle persone è un argomento estremamente sensibile anche per le opinioni pubbliche di questipaesi. Dunque, sarebbe opportuno ipotizzare:

• un accorciamento del periodo transitorio proposto dal governo tedesco. I sette anni:non sarebbero comunque sufficienti per permettere un sensibile catching up da partedei paesi candidati con elevati differenziali di reddito (v. Fisher e altri, 1998, BCE,2000)

• un accorciamento anche del periodo previsto per la revisione (3 anni invece di 5). Se,come previsto nel presente studio, gli impatti migratori dell’allargamento dovesseromostrarsi di dimensioni minori delle attese, sarebbe importante poter rimuovere

61 Atti relativi all’adesione della Repubblica ellenica alle Comunità europee, Gazzetta ufficiale delleComunità europee, n. L 291, 19 novembre 1979; Atti relativi all’adesione del Regno di Spagna e dellaRepubblica portoghese alle Comunità europee, Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, n. L 302, 15novembre 1985.

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rapidamente e consensualmente, ostacoli posti per rassicurare le opinioni pubbliche.Inoltre, è presumibile che alcuni candidati soddisfino relativamente presto i requisiti diMaastricht e entrino nella moneta unica. La mobilità dei fattori (tra cui il lavoro) è inquesto contesto uno degli strumenti principali di aggiustamento a eventuali shock.

Comunque, andrebbe assicurato: 1) ai cittadini dei candidati un trattamento almeno equivalentea quello di cui godono attualmente (es. possibilità di ingresso per turismo senza visto); 2) aglistati membri la possibilità di proseguire le politiche nazionali di ingresso regolamentato, comequella portata avanti dall’Italia, senza impedire ulteriori accordi specifici, come quello chesarebbe auspicabile concludere con la Slovenia in merito ai lavoratori frontalieri con il FriuliVenezia Giulia. A questo proposito occorre sottolineare che la proposta tedesca lascia irrisoltala questione dello status giuridico di cui godrebbero i cittadini dei nuovi paesi membrisottoposti a un periodo transitorio, i quali venissero ammessi in uno stato membro a titolo diimmigrazione lavorativa. In particolare, è da chiarire se costoro godrebbero della libertà dicircolazione nell’intero territorio comunitario, come vorrebbero i principi generali del dirittocomunitario, o meno.

Di recente la Commissione Europea ha presentato una nota sulla libera circolazione deilavoratori nel contesto dell’allargamento che ha messo sul tavolo del dibattito cinque proposteper la formulazione della posizione comune UE sul capitolo 2 (European Commission, marzo2001). Le opzioni considerate sono:

1) piena e immediata applicazione dell’acquis;2) clausole di salvaguardia;3) sistema flessibile di accordi transitori;4) fissazione di sistemi di quote;5) deroga completa dall’acquis per un limitato periodo di tempo.

Tra i due estremi rappresentati dalla piena mobilità all’ingresso, che ignora la sensibilitàdell’opinione pubblica di alcune regioni, e dallo status quo, che rappresenta una posizione piùteorica che un possibile proposta negoziale ai candidati, c’è un’ampia gamma di possibilità,ciascuna presenta pro e contro. Le opzioni centrali (2,3 e 4) possono essere differenziate perstato membro, settore e durata. Il sistema di quote (4) implica la restrizione al mercato dellavoro a un certo numero massimo prestabilito a livello UE, nazionale, regionale o settoriale.Questo comporta un’elevata prevedibilità e può essere modulato per alcuni settori e/o regioni aseconda delle esigenze. Tuttavia, il sistema richiede del tempo per adattare le quote fissate aeventuali modificate necessità, pone la necessità di mantenere controlli amministrativi (es. per ipermessi di lavoro) e il rischio di far crescere l’economia informale. L’opzione 3, con periodotransitori e meccanismi di revisione è quella più vicina alla proposta tedesca. Prevede unagraduale introduzione della mobilità dei lavoratori e lascia un ampio margine di flessibilità agliattuali stati membri: optare per la liberalizzazione piena, aprire solo parzialmente il propriomercato del lavoro, o adottare clausole di salvaguardia. Una clausola di salvaguardia (opzione2) consentirebbe la normale applicazione dell’acquis ma permette agli stati membri di imporrerestrizioni in caso di seri problemi sul mercato del lavoro, funzionando come una sorta di“assicurazione”. Questa tuttavia, richiede un continuo monitoraggio del mercato del lavoro erisente comunque di un lag temporale tra il manifestarsi dei problemi e l’applicazione dellemisure di salvaguardia. La Germania naturalmente propende per l’opzione 3, mentre gli statimembri che sono favorevoli a una maggiore libertà di ingresso preferirebbero la 2 (in subordinealla generale applicazione dell’acquis), ma non si può escludere un compromesso che considerielementi di entrambe.

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5.4.3. Spunti propositivi in materia di migrazioni irregolari e clandestine

Come abbiamo già rilevato, è probabile che il 1° gennaio 2003 - data entro cui l’Unionesi è dichiarata pronta a dare il via all’adesione dei paesi idonei – gran parte dei candidati saràancora lontana da una piena conformità all’ acquis Schengen-UE in materia migratoria.

Se la situazione negli altri campi negoziali fosse giudicata soddisfacente, tuttavia,questo ritardo non rappresenterebbe un impedimento all’adesione. La stessa strutturadell’acquis, in particolare di quello originato in ambito Schengen, consente infatti che si instauriuna piena membership formale, accompagnata dalla sospensione di alcune sue implicazionipratiche (soppressione dei controlli alla frontiere interne, accesso al SIS), fino al momento in cuigli altri membri giudichino unanimemente adeguate le “misure di compensazione” adottate dal“nuovo entrato”, in particolare in materia di controlli alle frontiere esterne e di sicurezza neltrattamento informatico dei dati personali.

Regimi transitori di questo tipo sono già stati applicati all’Italia (1990-1997/8),all’Austria (1995-1998), alla Grecia (1992-1999), e, da ultimo, ai paesi scandinavi (Danimarca,Finlandia e Svezia), che hanno firmato la convenzione di Schengen nel dicembre 1996, ma per iquali la piena applicazione dell’acquis è prevista solo a partire dal 25 marzo 200162.

Una soluzione simile (con alcune differenze, rispetto ad alcuni dei casi appena citati,derivanti dall’avvenuta incorporazione dell’acquis in ambito UE) si imporrebbe per i PECO chedivenissero membri dell’Unione, prima di aver raggiunto una piena conformità agli standardeuropei.

Dal punto di vista giuridico-istituzionale, questa sarà la strada da seguire per i paesiritenuti non ancora idonei a una membership piena e integralmente effettiva. Ma, alla lucedell’esperienza italiana, sarà estremamente importante gestire questa fase transitoria in manieratrasparente, equilibrata e lungimirante, per ridurre al minimo le tensioni e gli squilibri che nepotrebbero scaturire.Elenchiamo di seguito alcuni criteri e indirizzi di carattere generale a cui sarebbe utile attenersi:a) mantenere un’attenzione politica viva e costante nei confronti della situazione interna dei

nuovi paesi membri, nella fase transitoria. Un’adesione accompagnata dal mantenimentoprovvisorio dei controlli alle frontiere interne (ed eventualmente da limitazioni temporaneealla libertà di circolazione dei cittadini dei nuovi Stati membri) rischia, infatti, di generareproblemi maggiori di quelli che si vogliono evitare. Per esempio, vi è un rischio concretoche, in alcuni PECO, il senso di esclusione e di frustrazione collettiva derivante daun’ammissione “a titolo ridotto”, unito alle tensioni generate da una crescita della pressionemigratoria e della presenza straniera irregolare, alimentino derive xenofobe e nazionaliste.Prevenire simili dinamiche è, ovviamente, una responsabilità e un interesse comuneeuropeo;

b) prestare specifica attenzione al massimo livello politico ai potenziali effetti destabilizzanti(cfr. par. 5.3.4) del processo di adeguamento all’acquis Schengen-UE sul sistema di rapportitra i nuovi paesi membri e gli altri paesi della regione (sia i candidati esclusi in una primafase, sia quelli non candidati - v. in part. le considerazioni svolte nel par. 5.3.4). In questocampo sarebbe opportuno studiare soluzioni innovative finalizzate a preservare un gradolimitato di mobilità per determinate categorie, la cui libertà di circolazione svolgeattualmente una funzione importante al fine di garantire la stabilità e la prosperità dellaregione (ad esempio, si potrebbe valutare la possibilità di rilasciare visti di categoria avalidità multipla ai rappresentanti accertati di minoranze transnazionali o ai residenti inregioni transfrontaliere);

62 Cfr. il Comunicato stampa relativo al Consiglio GAI, 30 novembre-1° dicembre 2000, 13865/00(Presse 457).

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c) gestire la fase transitoria assicurando la massima trasparenza dei (e il massimocoinvolgimento nei) processi decisionali nei confronti dei nuovi Stati membri, anchequando questi fossero esclusi dall’applicazione pratica di una parte dell’acquis;

d) valutare l’opportunità di una messa in applicazione parziale (e differenziata a seconda deipaesi) dell'acquis Schengen/UE (per es. accesso al SIS, senza soppressione dei controlli allefrontiere interne; oppure – come è avvenuto nel caso italiano - soppressione dei controllialle frontiere aeree, ma non a quelle terrestri), che rappresenti un vincolo e un fattore dicompensazione parziale per gli Stati in questione nella difficile fase transitoria. Esiste infattiil rischio che tali Stati, sentendosi relegati nel “limbo” di un regime transitorio di durataelevata o addirittura indeterminata, si “adagino” e riducano l’impegno concreto nel campodei controlli alle nuove frontiere esterne (cfr. Monar, 2000b, pp. 59-60);

e) mettere a punto, a livello europeo, un piano d’azione integrato (interistituzionale einterpilastro), sul modello (o addirittura inserito all’interno) dello scoreboard dellaCommissione per il completamento dello “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (SLSG),finalizzato a eliminare, in tempi rapidi e certi, il gap che giustifica l’imposizione di regimitransitori. Un simile strumento potrebbe aiutare notevolmente a soddisfare leraccomandazioni elencate sopra [ai punti a) e b)]. Un simile piano d’azione integrato,finalizzato a ridurre al massimo la durata della fase transitoria e a incorporare al più presto ea pieno titolo i nuovi Stati membri nello SLSG, dovrebbe necessariamente avere unastruttura complessa e toccare i vari livelli di adeguamento all’acquis che abbiamo descrittonel testo (politico, normativo, organizzativo, esecutivo), indicando anche le fonti difinanziamento per le azioni previste, quando queste comportino un onere finanziario.

Quelle appena elencate sono alcune raccomandazioni di carattere metodologico-istituzionalerelative alle modalità di adesione e al periodo immediatamente successivo. Alla luce dell’analisisvolta in questo capitolo, tuttavia, è possibile fornire anche alcuni spunti propositivi riferitianche al breve-medio periodo, cioè alla fase negoziale in corso, che tengono specificamenteconto delle specificità e degli interessi italiani in questo delicato ambito negoziale:

A) per quanto riguarda i problemi di ordine tecnico-pratico (ritardi in campo organizzativo,amministrativo, tecnologico), facendo anche riferimento al piano Amato-Blair 63 per il contrastoall’immigrazione clandestina, l’Italia potrebbe utilmente:- valorizzare e intensificare la cooperazione bilaterale già avviata (che prevede forme di

pattugliamento congiunto) con la Slovenia in materia di controllo della frontiera comune,proponendola anche in ambito UE come modello da replicare altrove. Sarebbeestremamente utile applicare modalità di cooperazione simili alle frontiere orientali slovene,dove – come abbiamo visto – sussistono i problemi maggiori;

- impegnarsi affinché la istituenda Accademia europea di polizia, che l’Italia si è offerta diospitare abbia il border management tra le aree privilegiate di attività, e sia da subito apertaai funzionari preposti ai controlli di frontiera negli Stati candidati;

- valutare la possibilità che future cooperazioni rafforzate attivate in ambito UE in materiamigratoria (di controllo delle frontiere, in particolare) siano aperte – in forme e secondomodalità istituzionali da studiare – anche ai paesi candidati willing and able ;

- approfondire sul piano tecnico l’ipotesi di creare una “polizia di frontiera” europea dotata dicompiti operativi, nello scenario di un’Europa allargata64, proseguendonella direzioneattuale;

63 “Patto europeo contro la tratta degli schiavi”, Corriere della Sera e Observer on Sunday del 4 Febbraio2001.64 Attualmente, una simile prospettiva rimane oggetto di forti perplessità, a livello sia politico siascientifico (Monar, scrive, per esempio: "Sfortunatamente, pochi o nessuno dei paesi membri sembrainteressato a trasferire i loro controlli sulla frontiera esterna ad una forma di autorità comune, tanto meno

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- rafforzare l’impegno italiano nel quadro del programma PHARE, specialmente con riguardoai cosiddetti “gemellaggi”, nelle materie connesse al capitolo negoziale “Giustizia e affariinterni” e particolarmente in materia di border management65;

- insistere sulla necessità che i paesi candidati concludano accordi di riammissione con iprincipali paesi di origine di flussi migratori, e in particolare con quelli limitrofi.

B) per quanto riguarda la dimensione più propriamente economica dei problemi di adeguamentoall’acquis da parte dei candidati (grave penuria di risorse finalizzate a finanziare gliadeguamenti strutturali necessari in materia migratoria e il funzionamento futuro “a regime”degli apparati amministrativi operanti in questo settore), sarebbe utile:- approfondire sul piano tecnico, collocandola espressamente nel contesto dell’allargamento,

la proposta italiana (per ora presentata in termini vaghi e puramente politici) di un burden-sharing dei costi relativi al controllo delle frontiere esterne europee. Trasformare talerivendicazione in una proposta articolata, finalizzata a un rafforzamento complessivo delsistema europeo di controllo delle frontiere (marittime e terrestri, in particolare), farebbecompiere un salto di qualità al dibattito e aumenterebbe le chance di pervenire a un regimestrutturato di solidarietà europea in questo campo;

- per quanto riguarda il settore dell’asilo, è necessario porre da subito il problema del burdensharing nella prospettiva dell’allargamento, per evitare che i sistemi nazionali d’asilo degliStati candidati vengano sovraccaricati e arrivino a saturazione (o rimanganosostanzialmente inoperanti). A questo fine, occorre studiare soluzioni ad hoc (per es.potenziamento ed estensione ai paesi candidati del Fondo europeo rifugiati). In questa formadi burden sharing, contrariamente a quella riguardante i costi di polizia esterna, l’Italia sitroverebbe a dover accettare una quota maggiore dei costi dell’asilo in Europa, visto cheancora nel 2000 aveva una quota di richiedenti asilo per abitante pari ad un terzo dellamedia europea.

In conclusione, per quanto riguarda i problemi collegati al settore “Giustizia e AffariInterni”, con particolare riferimento alle migrazioni clandestine provenienti dai paesi terzi, ènecessario che eventuali periodi transitori nell’applicazione dell’acquis Schengen-UE sianoaccompagnati da sforzi (politici, tecnici e finanziari) da entrambe le parti per minimizzarel’impatto negativo dello spostamento della frontiera esterna.

Per quanto concerne la libera circolazione delle persone, l’introduzione di limitazionitransitorie per i cittadini dei nuovi paesi membri può risultare necessaria, soprattutto al fine dievitare reazioni di rigetto verso l’allargamento da parte delle opinioni pubbliche di alcuni statimembri. Tali limitazioni, tuttavia, dovrebbero essere gestite con la massima flessibilità sia sottoil profilo temporale (accorciando i tempi per le verifiche e gli eventuali i periodi transitori) chenel permettere ai singoli stati membri di adottare politiche migratorie con condizioni piùfavorevoli.

ad una polizia di frontiera di altri paesi. È improbabile che i paesi candidati adottino una posizione moltodiversa in questa materia” (Monar, 2000b, p. 64). Questo scetticismo sembra però basato essenzialmentesu considerazioni politiche. Se un’avanguardia di Stati membri importanti dimostrasse di confidare in unaprospettiva di questo tipo, queste obiezioni perderebbero molto del loro attuale peso.65 Attualmente, una quota rilevante dei progetti di gemellaggio interistituzionale finanziati da PHARE sicolloca nel settore GAI (70 progetti su un totale di 357) (cfr. allegato 4, Commissione europea, 2000c).L'Italia, però, partecipa a un numero ridotto di progetti di gemellaggio, rispetto ai partner più importanti opiù direttamente interessati dal processo di allargamento (19 nel biennio 1998-1999, contro i 99 dellaGermania, i 77 della Francia, i 45 del Regno Unito, i 28 dell'Austria e i 32 della Svezia). Va detto,tuttavia, che, dal 1998 al 1999, il livello di coinvolgimento italiano in questo tipo di progetti è più cheraddoppiato (da 6 a 13).

Allargamento a Est dell’Unione europea: sfide e opportunità per l’Italia

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Appendice capitolo 5: espulsioni e respingimentiTav. A5.a Stranieri respinti ed espulsi nel 1998 (prime 20 nazionalità)

Albania 6.013 Albania 4.379 Albania 5.519 Albania 92 Albania 8.821Iraq 3.306 Marocco 2.120 Romania 553 Tunisia 67 Marocco 6.764Romania 1.650 Jugoslavia 1.153 Jugoslavia 313 Romania 63 Romania 4.144Jugoslavia 1.495 Tunisia 469 Marocco 300 Jugoslavia 58 Jugoslavia 2.972Croazia 1.400 Iraq 435 Tunisia 267 Marocco 41 Nigeria 2.288Bosnia 1.159 Romania 229 Ucraina 223 Cile 26 Algeria 1.624Turchia 706 Pakistan 207 Macedonia 162 Argentina 15 Tunisia 1.604Polonia 605 Egitto 189 Nigeria 123 Slovenia 7 Cina Pop. 1.512Marocco 543 Macedonia 158 Colombia 112 Croazia 6 Iraq 1.296Ungheria 522 Algeria 163 Polonia 112 Polonia 5 Ucraina 1.066Slovenia 485 Sri Lanka 131 Brasile 108 Burkina Faso 5 Polonia 996Colombia 474 India 114 Algeria 80 Colombia 5 Macedonia 878Cina pop. 426 Turchia 97 Bangladesh 68 Algeria 4 Ghana 867Macedonia 389 Sierra Leone 93 Bulgaria 49 Bosnia 4 Bangladesh 767Ghana 358 Congo 72 Turchia 49 Nigeria 4 Bosnia 672Algeria 319 Palestina 60 Egitto 37 Perù 4 Sierra Leone 640Nigeria 311 Bangladesh 47 Cina Pop. 35 Ucraina 4 Senegal 584Pakistan 257 Cina Pop. 47 Slovenia 29 Turchia 3 Moldavia 403Svizzera 218 Croazia 38 Ungheria 29 Macedonia 3 Turchia 350Somali 217 Libia 36 Pakistan 22 Senegal 2 India 346Altre Naz. 8.740 Altre Naz. 5.327 Altre Naz. 356 Altre Naz. 14 Altre Naz. 5.527TOTALE 29.593 TOTALE 15.564 TOTALE 8.546 TOTALE 432 TOTALE 44.121Fonte: Servizio Immigrazione e Polizia di Frontiera e CED Interforze per i dati relativi alle espulsioni effettuate nel periodo 1 gennaio-26 marzo. * Si tratta di stranieri che si sono presentati ai valichi di frontiera e ai quali non è stato consentito l'ingresso nel territorio dello Stato** Si tratta di stranieri effettivamente allontanati dal territorio dello Stato*** Si trattai di stranieri a cui è stato ordinato di lasciare il territorio dello Stato entro 15 giorniN.B. Nella voce "Espulsi con accompagnamento alla frontiera" sono compresi anche 1567 stranieri accompagnati coattivamente alla frontiera dal 1 gennaio al 26 marzo ai sensi della precedente normativa (Legge 39/1990). Nello stesso periodo, i respinti alla frontiera sono stati 7798 e gli espulsi con intimazione 11861.

Espulsi con intimazione***Respinti alla frontiera* Respinti dai Questori**Espulsi con

accompagnamento alla frontiera**

Espulsi su provvedimento A.G.**

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Tav. A5.b Stranieri respinti ed espulsi nel 1999 (prime 20 nazionalità)

Albania 11.677 Albania 6.980 Albania 5.526 Tunisia 133 Romania 5.015Jugoslavia 4.377 Jugoslavia 862 Romania 986 Albania 124 Albania 4.959Iraq 3.385 Marocco 677 Marocco 851 Marocco 46 Jugoslavia 2.881Romania 1.821 Tunisia 337 Nigeria 790 Romania 35 Marocco 2.708Croazia 1.455 Macedonia 330 Tunisia 671 Macedonia 23 Nigeria 2.445Bosnia 1.358 Iraq 299 Moldavia 545 Jugoslavia 16 Ucraina 2.002Turchia 909 Cina Pop. 257 Algeria 291 Croazia 15 Cina Pop. 1.935Macedonia 825 Bangladesh 186 Ucraina 291 Moldavia 13 Moldavia 1.677Polonia 793 Romania 158 Jugoslavia 195 Nigeria 13 Turchia 1.279Marocco 513 Algeria 151 Ghana 165 Polonia 10 Polonia 1.235Ucraina 510 Turchia 140 Polonia 161 Ghana 10 Bangladesh 1.154Cina Pop. 505 Sierra Leone 130 Macedonia 141 Cile 9 Algeria 1.074Ungheria 452 Egitto 123 Brasile 129 Algeria 8 Iraq 1.025Colombia 421 India 108 Cina Pop. 110 Brasile 7 Tunisia 1.014Slovenia 394 Moldavia 97 Bosnia 97 Bosnia 6 Ghana 942Ghana 389 Sri Lanka 90 Croazia 82 Rep. Ceca 5 Macedonia 837Bulgaria 371 Somalia 79 Colombia 76 Camerun 4 Iran 597Nigeria 304 Bosnia 65 Bulgaria 64 Colombia 4 Sengal 547Ecuador 303 Pakistan 58 India 58 Turchia 4 Brasile 462Russia 293 Iran 49 Senegal 56 Bulgaria 3 Colombia 413Altre Naz. 5.882 Altre Naz. 324 Altre Naz. 751 Altre Naz. 32 Altre Naz. 6.288TOTALE 36.937 TOTALE 11.500 TOTALE 12.036 TOTALE 520 TOTALE 40.489Fonte: Servizio Immigrazione e Polizia di Frontiera e CED Interforze per i dati relativi alle espulsioni effettuate nel periodo 1 gennaio-26 marzo. * Si tratta di stranieri che si sono presentati ai valichi di frontiera e ai quali non è stato consentito l'ingresso nel territorio dello Stato** Si tratta di stranieri effettivamente allontanati dal territorio dello Stato*** Si trattai di stranieri a cui è stato ordinato di lasciare il territorio dello Stato entro 15 giorni

Espulsi con intimazione***

Respinti alla frontiera* Respinti dai Questori**Espulsi con

accompagnamento alla frontiera**

Espulsi su provvedimento A.G.**

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Tav. A5.c Stranieri respinti ed espulsi nel 2000 (prime 20 nazionalità)

Albania 10.913 Albania 5.489 Albania 7.446 Albania 97 Romania 7.657Croazia 2.044 Marocco 855 Marocco 1.186 Romania 45 Iran 6.542Jugoslavia 1.853 Iran 747 Romania 1.019 Tunisia 45 Albania 6.230Romania 1.070 Tunisia 543 Nigeria 893 Marocco 39 Marocco 4.739Iraq 926 Turchia 482 Tunisia 643 Nigeria 32 Turchia 3.947Turchia 904 Cina Pop. 416 Moldavia 409 Croazia 15 Cina Pop. 3.922Bosnia 781 Romania 348 Algeria 393 Jugoslavia 12 Ucraina 3.286Bulgaria 715 Algeria 290 Ucraina 369 Polonia 12 Jugoslavia 2.518Polonia 675 Jugoslavia 278 Jugoslavia 264 Algeria 10 Nigeria 2.160Macedonia 673 Iraq 262 Cina Pop. 229 Moldavia 9 Iraq 2.022Svizzera 619 Palestina 190 Polonia 177 Bulgaria 8 Moldavia 1.758Colombia 609 Sri Lanka 185 Ghana 154 Ucraina 8 Bangladesh 1.753Russia 591 Macedonia 146 Brasile 146 Colombia 7 Polonia 1.711Ungheria 577 Moldavia 144 Colombia 139 Macedonia 7 Algeria 1.571Marocco 443 Bangladesh 123 Macedonia 134 Lituania 6 Tunisia 1.243Ghana 389 India 119 Russia 107 Senegal 3 Senegal 1.062Nigeria 321 Bosnia 106 Senegal 103 Francia 2 Ecuador 937Slovenia 293 Pakistan 104 Bosnia 102 Grecia 2 Russia 810Tunisia 261 Egitto 101 Bulgaria 100 Slovenia 2 Macedonia 760Brasile 229 Libia 33 Slovacchia 46 Sud Africa 1 Ghana 749Altre Naz. 5.985 Altre Naz. 389 Altre Naz. 943 Altre Naz. 34 Altre Naz. 9.357TOTALE 30.871 TOTALE 11.350 TOTALE 15.002 TOTALE 396 TOTALE 64.734Fonte: Servizio Immigrazione e Polizia di Frontiera e CED Interforze per i dati relativi alle espulsioni effettuate nel periodo 1 gennaio-26 marzo. * Si tratta di stranieri che si sono presentati ai valichi di frontiera e ai quali non è stato consentito l'ingresso nel territorio dello Stato** Si tratta di stranieri effettivamente allontanati dal territorio dello Stato*** Si trattai di stranieri a cui è stato ordinato di lasciare il territorio dello Stato entro 15 giorni

Espulsi con intimazione***

Respinti alla frontiera* Respinti dai Questori**Espulsi con

accompagnamento alla frontiera**

Espulsi su provvedimento A.G.**

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