LA STORIA DEL MARZOLINO DI LUCARDO E DELL’USO DEL CAGLIO VEGETALE NEI FORMAGGI PECORINI TOSCANI

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Progetto per il recupero di una produzione tradizionale

a cura di Roberto Scalacci e Daniele Vergari

Contributi di:Giovanni Aggravi, Alessandra Alberti, Tamara Amadii,

Giovanni Brajon, Maria Gabriella Perfetti,

Alessandro Petreni, Paolo Piacenti, Cristina Pizzetti,

Alberto Profumo, Roberto Scalacci, Annamaria Stopponi,

Daniele Vergari

IL MARZOLINO DI

LUCARDO UN FORMAGGIO RITROVATO

Questa pubblicazione è stata realizzata da:

e la collaborazione dell’Accademia dei Georgofili che ha messo a dispo-

sizione il volume di G. Targioni Tozzetti Ragionamenti sopra l’agricoltu-ra toscana, presso J. Giusti, Lucca, 1759

della CIA provinciale di Firenze, della Cia Provinciale di Siena,

dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Toscana e del Lazio

(Sezione di Firenze e di Siena)

e dell’Associazione Giovan Battista Landeschi (San Miniato)

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TOSCANA

con il finanziamento di:

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INDICE

PresentazioneGiordano Pascucci (Presidente Cia Toscana) . . . . . . . . .pag. 7

Introduzione Maria Grazia Mammuccini (Amministratrice Arsia) . . . . .“ 9

Il progetto per il recupero

del Pecorino “Marzolino di Lucardo” . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 11

Alessandra Alberti

La storia del Pecorino “Marzolino di Lucardo” e dell’uso

del caglio vegetale nei formaggi pecorini toscani . . . . . . .“ 21

Daniele Vergari

La manifattura, l’uso del caglio vegetale

e la valutazione qualitativa del Pecorino

“Marzolino di Lucardo” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 37

Annamaria Stopponi, Cristina Pizzetti, Tamara Amadii, Paolo Piacenti, Alberto Profumo

L’analisi del rischio come strumento di valutazione

igienico sanitaria e l’indagine dell’Istituto Zooprofilattico

Sperimentale per il Pecorino “Marzolino di Lucardo” . . .“ 47

Roberto Scalacci

Valutazione del rischio igienico sanitario

in quattro caseifici che producono

il Pecorino “Marzolino di Lucardo” . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 51

Giovanni Brajon, Giovanni Aggravi, Maria Grazia Perfetti, Alessandro Petreni, Alberto Profumo

ConclusioniLa valorizzazione dei prodotti tradizionali toscani . . . . . .“ 63

Roberto Scalacci

Appendice documentariaI Prodotti Tradizionali in Toscana

(Art. 8 - D.Lgs. N. 173/98) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 69

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Presentazione

Giordano Pascucci

L’impegno della Cia Toscana per l’affermazione delle

produzioni di qualità, tipiche e tradizionali, per il recu-

pero, il rilancio e la valorizzazione della biodiversità ali-

mentare è ormai noto e con questa pubblicazione voglia-

mo non solo riconfermarlo, ma intendiamo far conosce-

re un’esperienza concreta, qual è il recupero della pro-

duzione tradizionale del Pecorino “Marzolino di

Lucardo”. Presentiamo questo progetto pilota con l’o-

biettivo di contribuire a sensibilizzare su questi temi le

comunità locali, gli agricoltori, le istituzioni, gli operato-

ri commerciali e i consumatori.

In una società dove globalizzazione e competitività

assumono un ruolo determinante è necessario che si

promuovano tutte le opportunità per lo sviluppo dell’e-

conomia, dell’agricoltura, delle imprese e delle comu-

nità rurali.

Questo progetto nasce e si afferma con l’ambizione di

avviare un percorso pilota, verificarne l’attuabilità, offri-

re spunti per intraprendere altre iniziative.

Abbiamo riscontrato per il Pecorino “Marzolino di

Lucardo” la fattibilità del percorso, per molte – ma è

auspicabile per tutte – delle produzioni tradizionali cen-

site in Toscana, concludendo che si tratta di un’espe-

rienza che può essere ripresa contestualizzando obietti-

vi, strategie, finalità, azioni e progettualità.

Per l’affermazione dello sviluppo della nostra economia

abbiamo bisogno di valorizzare al meglio il nostro patri-

monio, il nostro territorio, i nostri giacimenti e la nostra

biodiversità.

Le aree e le comunità rurali possono partire da qui, da

queste ricchezze, per costruire e realizzare la propria

competitività. È attraverso anche l’affermazione, econo-

mica, ambientale e sociale, della nostra tipicità e tradi-

zione che possiamo guardare con fiducia alla società

globalizzata. Occorre aggiornare, tuttavia, anche le stra-

tegie e le azioni promuovendo l’integrazione intersetto-

riale e la valorizzazione delle produzioni a partire dal-

l’ambito locale.

Nel concludere non posso che confermare il nostro

impegno nel sostenere tutte quelle iniziative che punte-

ranno all’affermazione sia delle produzioni di qualità,

tipiche e tradizionali, sia allo sviluppo delle aree e delle

comunità rurali.

In questo cammino è particolarmente importante sotto-

lineare lo straordinario ruolo svolto dell’ARSIA che,

quale strumento pubblico di valorizzazione, assistenza e

sostegno dell’agricoltura è stato, anche in questo proget-

to, elemento essenziale per la sua realizzazione.

Sono perciò contento di presentare il libro curato da due

dei protagonisti principali del progetto, Roberto Scalacci

e Daniele Vergari, che presentano la struttura e gli esiti

di un intervento affascinante e quanto mai fruttuoso in

vista delle politiche future, con l’auspicio che questo

lavoro stimoli le comunità locali per l’avvio di percorsi

di recupero e di valorizzazione di altre produzioni tipi-

che e tradizionali.

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Introduzione

Maria Grazia Mammuccini

Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un progressi-

vo impoverimento della biodiversità alimentare per

dare spazio ad un’agricoltura più produttiva e maggior-

mente legata a leggi ed esigenze del mercato. Tuttavia

da qualche anno si è fatta avanti la consapevolezza che

distruggere l’enorme patrimonio di prodotti locali signi-

fica distruggere le nostre tradizioni.

La nostra Regione può contare sull’enorme cultura eno-

gastronomica, da sempre elemento di riconoscibilità e

d’appartenenza per i cittadini al proprio territorio d’ori-

gine. Una risorsa su cui investire, quindi, che collega le

nostre radici alle grandi tradizioni e che in alcune zone

in cui si è raggiunta una particolare consapevolezza

significa già sviluppo economico e sociale, conservazio-

ne e caratterizzazione ambientale, traducendosi in sinte-

si in alta aspettativa occupazionale e qualità della vita.

Proprio da queste considerazioni, a partire dall’Elenco

Regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali censi-

ti, l’Arsia ha attivato dei progetti finalizzati allo svilup-

po integrato di un’area rurale (sia in termini economici

che sociali), attraverso il recupero di vecchie varietà e/o

razze locali o di metodiche tradizionali di lavorazione,

favorendo così iniziative di animazione territoriale, la

circolazione delle informazioni e la cooperazione fra

diversi soggetti sul territorio.

Ecco perchè l’Arsia ha creduto subito nel progetto per il

recupero e la valorizzazione del Pecorino “Marzolino di

Lucardo”. Tale progetto, che integra con le attuali esi-

genze, coinvolgendo i diversi attori di una filiera, con-

tribuisce ad innescare processi di sviluppo economico

9

ed a creare nuove opportunità d’impresa, soprattutto

per giovani e donne quali nuovi soggetti fautori di per-

corsi di sviluppo che svolgono per l’agricoltura un

nuovo ruolo multifunzionale.

Per questo il recupero di una produzione tradizionale

non significa soltanto ritorno alle nostre radici storico

culturali – elemento di fondamentale importanza – ma

ha lo scopo soprattutto di creare opportunità di reddito

per un’agricoltura alla quale sempre più vengono chie-

ste competitività, qualità e multifunzionalità.

Mi auguro che l’esperienza di questo progetto pilota

possa essere considerata un punto di partenza per

avviare altri percorsi di questo tipo, in un’ottica di

“sfruttamento” delle peculiarità nascoste della nostra

Regione.

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IL PROGETTO PER IL RECUPERO DEL PECORINO “MARZOLINO DI LUCARDO”

Alessandra Alberti

PremessaIl Pecorino “Marzolino di Lucardo” trae il proprio nome

dalla zona in cui originariamente veniva prodotto. È un

formaggio di latte di pecora, la cui lunga ed elaborata

lavorazione, condotta principalmente da donne, è atte-

stata da prima del XVII secolo. Si tratta di un pecorino

estremamente raffinato, la cui maggiore particolarità

risiede nell’utilizzazione nella propria manifattura di

fiori di cardo essiccato (detto presura) come caglio vege-

tale. Un formaggio che sembra raccontare attraverso il

proprio sapore anche la nostalgia del legame tra il fiore

selvatico e l’essere femminile, ben attestata dalla ricerca

storica di Daniele Vergari, che mostra come le donne

ricevessero un particolare valore sociale dalla propria

abilità nella lavorazione di questo formaggio.

Con il progetto per il recupero del Pecorino di Lucardo,

il Cipa.at Sviluppo Rurale Toscana (Centro di istruzione

professionale agricola ed assistenza tecnica) – associa-

zione di imprenditori agricoli e di tecnici dell’agricoltu-

ra, promossa dalla Cia (Confederazione Italiana

Agricoltori) Toscana – ha inteso proporre un intervento

volto al recupero effettivo della manifattura di un pro-

dotto tradizionale di altissima qualità la cui produzione

si registrava, prima di questa iniziativa, come del tutto

scomparsa. L’Associazione Cipa.at S.R., da sempre

impegnata in attività volte a favorire la crescita profes-

sionale degli imprenditori agricoli, nell’assistenza tecni-

ca come nella divulgazione e nell’animazione rurale, ha

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già operato in questi anni, in vari progetti territoriali per

il ripristino e la valorizzazione di specifiche produzioni.

L’interesse per il Pecorino di Lucardo, motivato tanto

dalla rilevanza del prodotto al livello della cultura,

quanto dagli aspetti di originalità che contraddistinguo-

no la sua lavorazione, ha rappresentato per l’associazio-

ne un impegno che si è concretizzato in un’esperienza

costruttiva ed entusiasmante. Un’esperienza in cui

conoscenze tecniche e scientifiche si sono coniugate con

tradizioni e saperi tramandati nel tempo, sulla scena di

un processo di animazione rurale ricco di spunti per le

attività future dei Servizi di Sviluppo Agricolo.

Il progetto che ha interessato il Pecorino, perciò, non è

configurabile soltanto come un intervento volto al man-

tenimento di una produzione a testimonianza di un’i-

dentità culturale. Si tratta piuttosto di un’operazione

finalizzata ad avere risvolti positivi anche sull’economia

locale attuale, nell’ambito delle filiere zootecnica-ovina

e casearia, sull’animazione per lo sviluppo rurale della

Val d’Elsa. Tutto ciò in linea con azioni che da alcuni

anni impegnano l’operato del Cipa.at S.R. Toscana.

Basti pensare, in quell’area, alla valorizzazione di pro-

dotti come il Carciofo di Empoli, la Cipolla rossa di

Certaldo, il Carciofo di San Miniato.

In una prospettiva più ampia, questo genere di inter-

vento ha avuto l’obiettivo di formulare e sperimentare

un modello di creazione e sviluppo di una rete produt-

tiva e di servizi tra tutti gli attori coinvolti nel recupero

del prodotto: a livello della ricerca, del progetto dell’a-

zione, della successiva manifattura e del controllo igie-

nico sanitario, nonché della consequenziale implemen-

tazione produttiva e commerciale.

I prodromi di questa iniziativa si descrivono in breve. Il

formaggio in questione viene segnalato nel 1999/2000

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dai tecnici della Cia, Cristina Pizzetti e Roberto Scalacci,

nell’ambito del progetto regionale, coordinato dall’Arsia

(Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione in

Agricoltura), per il censimento dei prodotti agricoli e

tradizionali di cui all’art. 8 del D.Lgs. 173/98 e e D.

Mipaf 350/99. Grazie ad alcune testimonianze orali rin-

venute sul posto e soprattutto all’interessamento di uno

studioso di storia dell’agricoltura, Daniele Vergari,

Pizzetti e Scalacci ricostruiscono in parte la tecnica di

produzione di questo formaggio, proponendo all’Arsia

la registrazione del Pecorino di Lucardo nell’elenco dei

prodotti tradizionali della Toscana.

Successivamente, durante lo svolgimento di un progetto

di individuazione delle potenzialità produttive, condot-

to dall’Arsia, con la collaborazione delle OO.PP.

(Organizzazioni professionali) agricole, si constata la

scomparsa di questo formaggio storico, la cui conserva-

zione, affidata negli ultimi anni soltanto a una produ-

zione familiare, è evidentemente stata abbandonata.

Il progetto per il recupero del Pecorino trova impulso,

diversamente da quel che è più facile immaginare, gra-

zie a un imprenditore appassionato, Paolo Piacenti, il

quale riesce a interpretare intimamente e più di altri le

finalità delle attività dei nostri organismi. Leggendo,

infatti, le pubblicazioni Arsia sui prodotti tradizionali, e

incuriosito in particolare dal Pecorino di Lucardo che è

un formaggio del proprio territorio, di cui immagina le

potenzialità, questo raffinato stagionatore di formaggi si

rivolge proprio all’Arsia Toscana, dove viene indirizza-

to ai tecnici che per primi hanno censito il Pecorino sotto

gli auspici di ulteriori sviluppi. Il progetto comincia qui,

quando Piacenti incontra le persone della Cia, con le

quali ha inizio il cammino alla riscoperta di questo anti-

co e prezioso prodotto.

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Il progettoIl programma di lavoro ha previsto innanzi tutto uno

studio sulle origini e sulla presenza storica del prodotto,

al fine di risalire a ulteriori informazioni sulla definizio-

ne dell’area di produzione tradizionale e sulle modalità

di trasformazione del prodotto rispetto a quelle acquisi-

te con il censimento dell’Arsia. La ricerca storica è stata

quindi commissionata a Daniele Vergari, studioso esper-

to della materia.

Successivamente, si è incaricato un medico veterinario,

Alberto Profumo dell’analisi delle fonti disponibili per

giungere alla valutazione dell’incidenza degli aspetti

alimentari degli ovini nella qualità del formaggio.

Alberto Profumo, peraltro ha fornito anche una lettura

degli elementi richiesti per la produzione, estendendo le

proprie osservazioni fino agli aspetti igienico sanitari.

Viene contattata quindi la Asl della Val d’Elsa Senese, il

dirigente veterinario Giovanni Aggravi, per valutare

l’opportunità e le possibilità offerte dalla normativa

vigente di utilizzare caglio vegetale nella trasformazio-

ne casearia, nonché l’Istituto Zooprofilattico

Sperimentale di Firenze, il dirigente veterinario

Giovanni Brajon, attento ed esperto della sicurezza ali-

mentare e veterinaria, per ricevere una valutazione tec-

nica del rischio igienico sanitario.

Quanto alla dimensione produttiva ed economica, è

stato cruciale nel progetto la considerazione prestata ad

alcune realtà agricole di produzione lattiero casearia ed

artigiane di stagionatura e commercializzazione di for-

maggi, già presenti nell’area di riferimento della produ-

zione del Pecorino di Lucardo (Val d’Elsa fiorentina e

senese), interessate alla valorizzazione dei prodotti loca-

li e delle tecniche tradizionali. Per cui si è proceduto

all’individuazione delle aziende agricole, in grado di

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eseguire la trasformazione di questo formaggio e quelle

artigiane di invecchiamento e stagionatura, interessate

ad eseguire le modalità produttive così come acquisite

dalle fonti storiche. Questa parte dell’operazione è stata

svolta dai tecnici del Cipa.at di Siena, Anna Stopponi e

Cristina Pizzetti e della Cia di Firenze, Giuseppe

Ferrara, che hanno eseguito prima un piccolo censimen-

to tra le aziende nelle province di Siena e Firenze, per

procedere successivamente al contatto.

Complessivamente sono state contattate quindici azien-

de agricole, giungendo a individuare quattro aziende

interessate alla produzione: tre in provincia di Siena

(due in Val d’Elsa senese e una in Val d’Orcia) e una in

provincia di Firenze (Val d’Elsa fiorentina).

Tra queste aziende sono state infine individuate quelle

con attività lattiero casearia che ancora impiegano il

caglio vegetale; probabilmente tra i pochi produttori di

fiori di cardo essiccati nell’area di riferimento. Abbiamo

così scoperto che la pianta da cui si ricava il caglio vege-

tale o “presura”, viene ancora coltivato presso alcune

aziende della provincia di Siena (in Val d’Orcia e in Val

d’Elsa) che si sono mostrate ricettive rispetto all’iniziati-

va. Consapevoli della centralità di questa caratteristica

nel ripristino della manifattura originale del Pecorino di

Lucardo, come il cuore stesso della specificità di questo

formaggio storico, è stato richiesto alle aziende agricole

Camporbiano di San Gimignano e Spereta di

Montalcino, sebbene ne producano una piccola quantità,

di mettere a disposizione la propria produzione di

cardo per le trasformazioni lattiero casearie utili alla

sperimentazione anche in altre aziende.

Una volta raccolte tutte le informazioni necessarie, e

organizzata l’implementazione del progetto, ha avuto

corso la sperimentazione vera e propria.

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Il progetto, sostenuto dall’Arsia Toscana, si è sviluppato

in due fasi. Nella prima si è trattato di sperimentare la

manifattura originale del Pecorino, fino alla presenta-

zione del prodotto. Nella seconda fase, che potremmo

dire “di animazione rurale”, sono state implementate

diverse azioni di carattere territoriale.

Quanto alla sperimentazione, si è commissionata la pro-

duzione di latte alle aziende individuate, alle quali è

stata affidata anche la successiva trasformazione del

prodotto, decidendo di non attivare l’alimentazione

degli ovini secondo le tecniche tradizionali per la scarsa

rilevanza dei metodi storici, come segnalatoci da

Profumo e da Vergari. Il latte prodotto e utilizzato è

stato, costantemente monitorato con la raccolta di cam-

pioni analizzati dall’Istituto Zooprofilattico della

Toscana e del Lazio. Sull’altro versante, si è provveduto

alla esecuzione di campioni e analisi di verifica del pro-

filo igienico sanitario del caglio vegetale ottenuto dal

Cardo, coinvolgendo l’Istituto Zooprofilattico di Siena.

Alla fine del 2004 si è realizzata una prima caseificazio-

ne, in tre delle quattro aziende individuate, secondo le

tecniche tradizionali, con analisi organolettica e valuta-

zione del prodotto eseguita dai partecipanti al progetto.

In tale occasione si è proceduto al confronto tra le diver-

se metodologie produttive effettuate dalle tre aziende,

concordando una procedura unificata per una successi-

va caseificazione.

Si è passati quindi ad una seconda caseificazione, sta-

volta del Marzolino di Lucardo, che ha interessato tutte

e quattro le aziende coinvolte. In questo caso si è proce-

duto all’ulteriore raccolta di dati analitici sul latte

impiegato, quello “marzolino” per l’appunto, indicato

nelle fonti storiche come quello più adatto alla manifat-

tura. Ed è stata coinvolta anche la ditta CEAM di

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Empoli, che ha messo a disposizione le proprie tecnolo-

gie informatiche per la rilevazione dei dati relativi al

processo di caseificazione.

Il 6 aprile 2005 è stata effettuata una prima presentazio-

ne del progetto all’Arsia con degustazione del prodotto

ottenuto. I lavori, si sono conclusi alla fine di giugno,

dopo una terza caseificazione in una sola azienda e la

presentazione pubblica del progetto e del prodotto otte-

nuto, il 12 luglio, a Lucardo Alto (Montespertoli - FI),

con la collaborazione dell’Amministrazione comunale

di Montespertoli e del Circondario Empolese Val d’Elsa.

Alla presentazione hanno partecipato circa ottanta per-

sone tra cui numerosi addetti al settore, autorità, veteri-

nari, rappresentanti delle Asl e delle Università Toscane.

I lavori di presentazione e degustazione sono stati ripre-

si anche da una Tv locale. La pubblicazione di parte dei

dati ricavati dal progetto è stata effettuata con un opu-

scolo di otto pagine, allegato al giornale mensile

Dimensione Agricoltura in ventiquattromila copie circa,

inviate ai soci della Confederazione Italiana Agricoltori

Toscana e a numerosi altri indirizzi di lettori e istituzio-

ni a cui normalmente viene inviato il mensile.

La seconda fase del progetto, come dicevamo, ha

riguardato diverse azioni di animazione rurale.

Si è proceduto, innanzi tutto, alla costituzione di un

Comitato locale di valorizzazione intersettoriale.

E’ stata inoltre effettuata una indagine sulla possibilità

di coinvolgimento di ulteriori soggetti, interessati alla

valorizzazione del prodotto nelle province di Firenze e

Siena e valutata la costituzione di un comitato di tutela

e valorizzazione del Pecorino di Lucardo.

È stato redatto, quindi, un “disciplinare di produzione”,

funzionale alla ricognizione dell’esperienza, da parte

del comitato locale di tutela e valorizzazione e una sche-

17

da di produzione del Pecorino Marzolino di Lucardo e

del Pecorino di Lucardo (prodotto da commercializzare

nei periodi diversi da quello di produzione del

Marzolino), per garantire il rispetto della manifattura

per la tutela del prodotto, in modo da rendere possibile

la rivendicazione dell’uso leale e costante della pratica

di trasformazione. Conseguenzialmente si è proposto di

aggiornare la scheda di produzione pubblicata

dall’Arsia, anteriormente al progetto, nell’elenco dei

prodotti Tradizionali Toscani.

Un’altra attività ha avuto come obiettivo lo studio e la

registrazione, a cura del comitato locale, di un marchio

privato ad uso collettivo, consistente nell’elaborazione

di un simbolo caratterizzante graficamente il prodotto,

nonché la redazione di un regolamento di uso del mar-

chio.

L’elaborazione e la pubblicazione dell’esperienza, non-

ché la presentazione degli esiti ai tecnici operanti nel

sistema regionale dei Servizi di sviluppo agricolo e rura-

le, è l’azione conclusiva del progetto e si incarna nell’o-

biettivo principale del presente volume. Con questo

lavoro intendiamo, infatti, restituire informazioni sia

sull’animazione realizzata, sia sui dati scientifici ricava-

ti dalle caseificazioni del Pecorino di Lucardo con le

valutazioni qualitative e igieniche del prodotto, sia, infi-

ne, sul caglio vegetale e sugli ambienti di trasformazio-

ne nei piccolissimi caseifici aziendali che hanno parteci-

pato al progetto. Inoltre l’Accademia dei Georgofili, con-

fermando la propria attenzione e sensibilità nella valo-

rizzazione dei prodotti agricoli tradizionali, ha autoriz-

zato la pubblicazione della copia anastatica della princi-

pale fonte storica da cui ha attinto il progetto: Discorsointorno alla qualità velenosa di certo Cacio, di G. Targioni

Tozzetti, letto in una ragguardevolissima Accademia di

18

Firenze nella Primavera del 1756 e pubblicato in“Ragionamenti sull’agricoltura Toscana” a Lucca nel 1759

presso Jacopo Giusti, che pubblichiamo insieme a que-

sto volume.

In questo volume verranno descritti i principali passag-

gi ed esiti del progetto, a partire dall’analisi storiografi-

ca del prodotto (cap. 2), dall’esplicitazione di tutte le fasi

della manifattura (cap. 3), fino alla trattazione degli

aspetti igienico sanitari e all’elaborazione di una meto-

dica di valutazione della sicurezza igienica nei piccoli

caseifici aziendali (capp. 4 e 5), per concludersi sull’im-

portanza della valorizzazione dei prodotti tradizionali

toscani nella prospettiva più ampia di uno sviluppo eco-

nomico attuale, integrato e multifunzionale (cap. 6).

19

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21

LA STORIA DEL PECORINO “MARZOLINO DI LUCARDO”

E DELL’USO DEL CAGLIO VEGETALE NEI FORMAGGI PECORINI TOSCANI

Daniele Vergari

PremessaLa riscoperta di un prodotto alimentare non è simile al

ritrovamento di un quadro perduto o di un testo inedito

di un poeta famoso: rappresenta qualcosa di più e qual-

cosa di meno.

Qualcosa di meno perché i prodotti di un territorio sono

legati ad esso, alle sue trasformazioni ed evoluzioni e,

quindi, dinamici per definizione. Riscoprire un prodotto

tipico o tradizionale – cosa diventata “di moda” negli ulti-

mi anni – a 100 o 200 anni dalla sua scomparsa non può

far “risuscitare” il prodotto così come era allora. Negli

ultimi due secoli le campagne toscane hanno subito

enormi modificazioni: sono cambiati i rapporti di lavo-

ro, le forme di conduzione del fondo, sono migliorate le

razze ovine e, infine, i gusti stessi delle persone sono

cambiati. La riscoperta di un prodotto quale il

Marzolino non può essere quindi che una mera rielabo-

razione. Qualcosa di più perché il recupero di un pro-

dotto e, soprattutto, della sua storia, è ritrovare una

parte di identità perduta, un frammento del vissuto

delle generazioni che ci hanno preceduto. È qualcosa di

più perché la storia ha un carattere fortemente evocati-

vo: ci richiama al nostro vissuto, ci riporta ad epoche

lontane, ci permette di vivere un sogno, è l’elemento che

permette alla tradizione di essere riproposta e compiuta

nel futuro. Ecco, quindi, il significato della riscoperta di

questo antico formaggio, “scomparso” da più di un

secolo e unico per bontà e qualità: il Marzolino di Lucardo.

La sua qualità – in gran parte legata alla lunga e labo-

riosa lavorazione – rendeva il Marzolino conosciuto ben

oltre i confini del Granducato di Toscana ed apprezzato,

secondo le testimonianze raccolte, da Papi – come

Clemente XI – ed altri importanti personaggi1.

Un formaggio diffuso ed apprezzato quindi che, alla

fine del XVIII secolo, riusciva ad ottenere sul mercato

fiorentino un prezzo molto più alto, quasi il doppio, di

altri stimati formaggi come il Marzolino del Chianti o il

Pecorino senese.

La manifattura del Marzolino di Lucardo e le sue originiLe origini del Marzolino non sono facilmente circoscri-

vibili: il formaggio è stato prodotto, probabilmente fin

dal medioevo, nell’area compresa fra Castelfiorentino e

Lucardo, località spesso associate alla produzione di

questo formaggio. Se si esclude qualche citazione in

opere letterarie e di cucina2, le prime informazioni scrit-

22

1) Cfr. G. TARGIONI TOZZETTI, Discorso intorno alla qualità velenosa di certoCacio, letto in una ragguardevolissima Accademia di Firenze nella Primavera del 1756,in “Ragionamenti sull’agricoltura Toscana”, Presso Jacopo Giusti, Lucca, 1759, p.

209. Il volume rappresenta uno degli esempi più interessanti del dibattito sull’a-

gricoltura in Toscana nella seconda metà del XVIII secolo. L’opera contiene

diverse relazioni e memorie che lo scienziato fiorentino lesse alle adunanze

dell’Accademia dei Georgofili. Unito al presente volume viene e viene ripropo-

sta in edizione anastatica allegata al seguente volume grazie alla generosa dispo-

nibilità dell’Accademia dei Georgofili.

2) Per il Marzolino non mancano illustri citazioni letterarie. Il formaggio è infat-

ti citato da Perlone Zipoli nel suo “Il Malmantile Riacquistato” e nel De ReCibaria, rara opera edita a Lione nella seconda metà del XVI secolo, cfr. I. BRUYE-

RINO CAMPEGIO, De Re Cibaria Libri XXII, Apud Sebast. Honoratum, Lugduni,

1560. Citazioni e descrizioni del formaggio sono inoltre diffuse nella trattatistica

agronomica toscana fino al XIX secolo a partire da D. VITALE MAGAZZINI,

Coltivazione Toscana, nella stamperia de’ Landini, Fiorenza, 1634. Infine per una

storia medioevale del marzolino si rimanda al recentissimo L. GALOPPINI,

Produzione e commercio dei formaggi nella Toscana del Medioevo, in Bollettino

dell'Accademia degli Euteleti, n. 73, 2006.

te sul Marzolino di Lucardo e la sua manifattura risal-

gono alla fine del ‘600 quando un veneziano, Paolo

Boccone, lo inserì in una memoria sui formaggi italiani

insieme ai cacicavalli di Sicilia, ai raveggioli di Cortona

e al Broccio di Corsica3.

L’opera di Boccone è la prima importante fonte storica

scritta che cita i marzolini stimati per i migliori che

si manifatturano in Castel Fiorentino, ed in Lucardo, ove se nefanno di venti e venticinque libbre il paio4.

La sua descrizione, abbastanza sommaria rispetto ad

altre fonti, evidenzia come il Marzolino fosse composto

esclusivamente di latte di pecora al quale veniva

aggiunto, come accagliante, il presame vegetale di

cardo. Tale operazione era, come poi confermano anche

le fonti successive, esclusivamente riservata alle donne

che contribuivano in questo modo ad incrementare un

magro bilancio familiare. Il ruolo della donna nella

manifattura del Marzolino era tale che, per le ragazze in

età da marito, conoscere l’arte di fare questo formaggio

era considerata in conto di dote e ne facilitava l’accasa-

mento. A tale proposito l’autore veneziano descrive

come il formaggio doveva essere lavorato da una

23

3) P. BOCCONE, Osservazione trigesima sesta, Intorno ai Latticini e Formagi d’Italia,in “Museo di Fisica e di Esperienze variato e decorato di osservazioni naturali,

note medicinali, e Ragionamenti secondo i principi de’Moderni”, Io. Baptistam

Zuccato, Venetia, 1697, pp. 217-224. Boccone (Palermo 1633 - Palermo 1704) si

dedicò, fin dalla giovinezza, alla storia naturale, frequentando l’Orto botanico

fondato a Messina da Pietro Castelli. Viaggiò in Sicilia, Italia ed Europa. Grande

naturalista iniziò le ricerche sistematiche sulla flora europea nelle Recherches etobservations naturelles pubblicate a Parigi nel 1671, trattò numerosi argomenti

naturalistici, fornendo contributi alla medicina e alla tossicologia. Nel 1682 entrò

nell'ordine dei Cistercensi. Linneo dedicò al naturalista siciliano il genere di

piante Bocconia della famiglia delle Papaveracee.

4) P. BOCCONE, Museo di Fisica, op. cit., p. 216.

[…] Donna polita, e che habbia le mani fresche, e che nonmaneggi Herba, che in questo i contadini ci sono superstitio-sissimi, e credono, ch’havendo le mani calde il Cascio riescaalido, e maneggiando Herba il Marzolino gonfi, e scoppi 5.

Un ruolo fondamentale che consisteva in

[…] un longo lunghissimo vaneggiamento di hore, ed hore,per stringerlo bene e cacciare il Siro, in che consiste il verolavorio del Cacio6 .

I contadini traevano tanto guadagno da questa manifat-

tura che avevano premura che

la Donna, che fa il Cascio in poche faccende si occupi, attesoche col toccare l’erba, ed alcune altre cose, dicono che il Casciosi sdegna, e si guasta, come anche superstiziosamente sosten-gono succedere nel Cascio medesimo, se si lasciarà vedere que-sti, prima d’essere in stato di perfezione, altrimenti pigliereb-bero Mal d’Occhio, ò sdegno, e che in tal caso comincia ilCascio à Scoppiare7.

Tuttavia Boccone descrive molto sinteticamente – forse

troppo – le operazioni necessarie per la manifattura del

Marzolino che per fortuna sono però riportate ed inte-

grate in fonti successive.

Certo è che il Marzolino di Lucardo continua ad essere

una produzione affermata nella zona anche durante il

XVIII secolo rimanendo legato ad una dimensione fami-

liare-poderale che non permette comunque di raggiun-

24

5) Ibidem.

6) Ibidem.

7) Ibidem.

gere greggi con un elevato numero di capi.

L’allevamento ovino era già da tempo in decadenza sia

per il continuo peggioramento dei pascoli – che veniva-

no trascurati dai proprietari e dagli agricoltori – sia per

la scarsa attenzione al miglioramento genetico delle

razze allevate8. Una dimensione quella dell’allevamento

ovino toscano fatta – escludendo la realtà dei grandi

greggi appenninici destinati alla transumanza – di pic-

coli greggi, i cui prodotti erano principalmente formag-

gio e lana, diffusi sul territorio e che molto raramente

superavano le dimensioni di 100 capi. È questo, proba-

bilmente, il quadro nel quale nel XVIII secolo la mani-

fattura del Marzolino continua nell’area fra

Castelfiorentino e Lucardo.

Dobbiamo però aspettare quasi mezzo secolo per trova-

re una fonte eccezionale per la storia di questo prodotto:

una relazione esposta presso l’Accademia dei Georgofili

da Giovanni Targioni Tozzetti e, in seguito, stampata

all’interno dell’opera Ragionamenti sull’agricoltura tosca-na 9, nel 1759.

Prendendo spunto da un evento accaduto a Firenze nel

Gennaio del 1756, quando un gruppo di frati gesuiti

rimase intossicato da questo formaggio, Targioni

25

8) Per un quadro interessante ed ampio dell’agricoltura toscana fra XVIII e XIX

secolo si vedano I. IMBERCIADORI, Campagna Toscana nel ‘700, Accademia

Economico Agraria dei Georgofili, Firenze, 1953; C. PAZZAGLI, L’agricolturatoscana nella prima metà dell’800. Tecniche di produzione e rapporti mezzadrili,Olschki, Firenze, 1973; F. MINECCIA, Campagne toscane in età moderna.Agricoltura e storia sociale (secoli XVI-XIX), Congedo Editore, Galatina, 2002; G.

BIAGIOLI, L’Agricoltura e la popolazione in toscana all’inizio dell’Ottocento, Pacini,

Pisa, 1976 e il classico J.C.L. SIMONDE DE SISMONDI, Tableau de l’agriculturetoscane, Paschoud, Genève, 1801, nell’edizione italiana curata da Giuseppina

Rossi edita nel 1995. Infine segnaliamo AA. VV., Alle radici dei prodotti agroali-mentari tradizionali della Toscana, in “I prodotti tradizionali della Toscana”, Arsia-

Regione Toscana, Firenze, 2001.

9) G. TARGIONI TOZZETTI, Ragionamenti sull’agricoltura toscana, op. cit.

Tozzetti – in questo caso nella sua veste di medico più

che di Georgofilo - analizzò quella che oggi definirem-

mo la “filiera” di produzione del Marzolino con una

metodologia analitica che manifesta sorprendenti analo-

gie con le procedure usate nella valutazione del rischio

per l’Hazard Analysis and Critical Control Points. Nel prezioso scritto, Targioni Tozzetti scrive che le forme

di Marzolino esaminate erano di

peso circ’a libbre tre per ciascheduna, fatte nella medesimaprimavera in Valdipesa, ed in Valdelsa, luoghi de’ più accredi-tati che abbiamo in Toscana per i Caci [ed erano fatte di] lattedi Pecora accagliato per mezzo di Presame, o sia di Carciofosalvatico 10.

La forma che aveva causato l’intossicazione dei frati dif-

feriva dalle altre per diverse caratteristiche: secondo il

cuoco del convento, all’interno vi era contenuto un certoumido giallastro, che non si ricordava di aver osservato nellealtre. All’aspetto la forma sembrava

di cacio alquanto magro, cioè scarso di parte burrosa, o fossestata questa di prima levata a posta (lo che non è credibile,massime perché non si usa farlo in quei Paesi) o fosse che illatte ne avesse di sua natura poca quantità. Dentro avea moltefessure e cavernette, che comunemente diconsi occhj, vale adire non era stata lavorata e calcata a tutta perfezione; si cono-sceva però che era stata, secondo il solito soleggiata nellasuperficie, ed aveva quel grado di secchezza che comportava lasua età, nonostante l’esteriore difesa d’unzione statavi fatta 11.

26

10) G. TARGIONI TOZZETTI, Ragionamenti sull’agricoltura toscana, op. cit., p. 159.

11) Ibidem, p. 160.

Infine anche il sapore era

acuto, e piccante, o come volgarmente dicesi, sapiente, un pocosuperiore alle altre di prima mangiate da quei PP. E alcunpoco superiore a quello che si suole comunemente osservarenel cacio dolce di quei medesimi paesi che abbia nove mesi 12.

Una serie di informazioni qualitative che se da una parte

confermano l’importanza della lunga manifattura per

ottenere forme prive di siero e perfettamente conserva-

bili nel tempo, dall’altra testimoniano la presenza diffu-

sa di questo formaggio in Toscana.

Al di là degli effetti causati ai poveri religiosi che se ne

cibarono, Targioni Tozzetti esaminò in dettaglio tutte le

fasi della manifattura a partire dal latte sostanza consi-

derata salubre ed amicissima al corpo umano e dal presame

vegetale che era dei più puliti ed innocenti che usare sipossa13. Il Presame, ottenuto dal fiore del cardo selvatico

- detto anche Sgalera - seccato all’ombra e in luogo

asciutto, era utilizzato in quantità ridotte: per dieci lib-

bre di latte si usava mezzo scropolo14 avendo cura di

aumentare la dose in caso che il latte sia più diluito.

27

12) Ibidem, p. 160.

13) A titolo di curiosità riportiamo i “tragici” effetti dell’intossicazione alimen-

tare dei Padri Gesuiti: "nello spazio di ore sei [...] dopo aver mangiato questo

Cacio [...] soffersero sconvolgimenti grandissimi di stomaco e tormini atroci

d’intestini con tensioni di basso ventre, [...]. Terminò finalmente questa dolorosa

tragedia in chi prima, in chi poi, o con penosi vomiti, o con tormentosi sciogli-

menti di corpo, ed in alcuni casi con ambedue queste evacuazioni". Cfr. G. TAR-

GIONI TOZZETTI, Ragionamenti sopra l’Agricoltura, op. cit., p. 161.

14) Non è mai facile verificare le equivalenze fra unità di misura prima dell’in-

troduzione del sistema metrico decimale all’inizio del XIX secolo. La Libbra

toscana dovrebbe corrispondere in quell’epoca a 339,5 g; Cfr. Ragguagli fra lemisure antiche Toscane con quelle del sistema metrico decimale, Tip. M. Ricci, Firenze,

1894. La Libbra si divideva in 12 Once le quali erano divise a sua volta in 20

Scropoli, unità di misura usata soprattutto in farmacia, che corrisponde dunque

Il presame era posto in infusione per alcune ore e utiliz-

zato per rappigliare il Latte. Una pratica che, secondo l’e-

rudito fiorentino, era antichissima e considerata in tutti

i paesi

come innocentissima e migliore di tutte per fare Caci dolci,pastosi e delicati 15.

La precisa analisi successivamente compiuta da Targioni

28

a circa 1,41 g. Secondo Targioni Tozzetti per circa 3,395 Kg di Latte veniva usato

una quantità ridottissima di presame secco, circa 0,7 g. Molinelli nella sua

memoria, invece, considera, per circa 6,700 Kg di latte, l’uso di circa un terzo

d’oncia (circa 9 g) di Presame vegetale che in questo caso però dovrebbe essere

fresco. Cfr. F. MOLINELLI, Sopra i formaggi di Toscana, in “Atti della RealAccademia dei Georgofili”, Vol. II, Presso Ant. Gius. Pagani, Firenze, 1795.

Sulla produzione del formaggio riteniamo interessante citare interamente parte

di un abbozzo di trattato Sul Cacio che lo scienziato fiorentino ha lasciato nei suoi

manoscritti e in gran parte riportato a p. 165 dei Ragionamenti : "I contadini delFiorentino che hanno mediocre quantità di latte, fanno caci preziosi in questa maniera.Prendono una pentola di Terra pulita, e vi legano alla bocca una pezza di pannolino puli-ta un poco lente, sicché nel mezzo faccia corpo. Su questa pezza versano l’infusione delpresame, insieme con le sfilacciature del presame medesimo; immediatamente doppo viversano a poco a poco il latte riscaldato alquanto a bagnomaria, se fosse munto di qual-che tempo, o la giornata fosse fresca, mentre se è calda, o se il latte è munto di subito, nonvi è bisogno di riscaldarlo. Finito che hanno di colare così il latte, coprono le pentole conun testo, o con un piatto, le pongono dentro ad una catinella d’acqua tiepida, e ve lolasciano stare a Bagnomaria tra la mezz’ora e di tre quarti d’ora, secondo la stagione piùo meno calda, poiché dentro a tal tempo la sottilissima sostanza del Presame mescolatacol latte, in quel semplice e breve passaggio che vi ha fatto, lo ha rappreso in Latticino.Se gli si pone attorno dell’acqua un poco più calda il cacio si rimette insieme meglio e piùpresto". Cfr. G. TARGIONI TOZZETTI, Opuscoli e schede di zoologia, vol. II, sec.

XVIII, cc 113-133, Manoscritto, Biblioteca Nazionale Centrale Firenze, Targ. Tozz.

211.

15) Targioni Tozzetti cita anche la possibilità di usare altri prodotti vegetali per

accagliare il latte come il Serpillo (Thymus Serpyllum): "In alcune parti dellaToscana usano rappigliare il Cacio con il Sermollino o Serpillo, ed altri mettono del ser-mollino polverizzato dentro alla pezza del Caglio, e vi versano sopra il Latte, il qualeridotto in Cacio fresco ha un buon odore, ma invecchiando prende un acuto spiacevole".Cfr. G. TARGIONI TOZZETTI, Ragionamenti sopra l’Agricoltura, op. cit., pp. 167-

168. Sull’uso del caglio sia di origine animale che vegetale Targioni Tozzetti con-

ferma che sono ambedue usati in Toscana per la manifattura dei formaggi anche

se l’uso del caglio animale dona al formaggio un sapore più acuto di quello che loabbia essendo rappreso col fiore. Quest’acutezza di sapore si chiama Sappiente. Inoltre

Tozzetti esclude anche eventuali contaminazioni del

fiore di Cardo o Carciofo da parte di piccoli insetti, ton-chi, bruci e scarabei, che possono risultare velenosi.

Una volta separato il siero dalla pasta, quest’ultima

veniva rotta, frammentata, pressata e spremuta con

pazienza – per un periodo da mezz’ora a due ore a

seconda della pezzatura della forma - affinché il siero

fosse eliminato il più possibile e poi, successivamente,

messa dentro le forme chiamate, nei dintorni di Firenze,

Cascine e nel Valdarno superiore Cassini 16.

Per facilitare la fuoriuscita del siero, considerata condi-

zione essenziale per avere un formaggio ottimo e

senz’occhi, venivano applicati dei pesi sopra le forme e

nel caso delle forme ovali di marzolino, per non defor-

marle, si inserivano durante la lavorazione dei fili di

paglia nella pasta affinché potessero fornire, una volta

estratti, dei canali per lo spurgo del siero17.

A questo punto il formaggio ottenuto era sottoposto a

salatura e poi le forme tenute

29

la differenza di caglio definisce anche due tipologie diverse di formaggio: quel-

lo realizzato con il presame vegetale si chiama cacio dolce, mentre quello fatto con

il caglio è denominato Cacio Forte, ivi, p. 174.

16) Una descrizione migliore delle forme si ha sempre nel trattato inedito citato

alle note precedenti: "Le forme da cacio sono assicelle di faggio di diversa altezza, pie-gate in forma di cerchio, ma sciolte, e da potersi allargare più o meno nel punto che sivuole. Si fermano con una cordicella passata per un rialto o sodo lasciato all’estremitàche sovrappone. Le lavorano i montanari che fanno le assicelle da scatole, e le portano avendere alla fiera. Variano il nome in diverse parti di Toscana, poiché si chiamano forme,cascine, cassini, fascette". Cfr. G. TARGIONI TOZZETTI, Opuscoli e schede di zoolo-gia, op. cit.

17) Cfr. G. TARGIONI TOZZETTI, Ragionamenti sopra l’Agricoltura, cit., p. 179.

Che la manifattura del formaggio non sia una cosa scontata ci viene confermato

dallo stesso Targioni Tozzetti che denuncia come "assai maggiore è la quantità delcacio bucherato e mal lavorato che si consuma in Toscana, che del cacio fitto, e bene spo-gliato del siero". (cfr., Ibidem, p. 181).

Sulla medesima asse, o sur’una caciaia di paglia, dentro allalor cassina o forma di legno per più giorni, e finoa dieci oquindici […] ma si avverte di rivoltarle tre volte al giorno, evia via, posarle sulla parte asciutta dell’asse, affinché nonprendano di sito18 .

Infine, quando la forma non gemeva più umido acquoso, il

Marzolino era avviato alla fase di stagionatura che

avveniva nella stessa stanza, fresca e asciutta. Se poi il

formaggio doveva durare nel tempo, era necessario inta-sare i pori della superfici con olio ed aceto, morchia d’oliomiscolatta con cenere o con farina di castagne, mettere le

forme in un orcio per otto giorni – rivoltandolo per due

volte al giorno - e poi riporle sulle assi per ritto a com-

pletare la stagionatura 19.

Analizzato dunque il processo di produzione del

Marzolino ed eliminato ogni dubbio che la manifattura

possa essere pericolosa per la salute, Targioni Tozzetti

prende in esame gli strumenti utilizzati per la lavorazio-

ne e che consistono, nel caso del Marzolino, in pentole di

terracotta invetriata – come era uso in Valdelsa e Val di

Pesa – e non in paioli e calderotti di rame utilizzati nella

produzione di altri formaggi.

Se tutta quella che oggi definiremmo la “filiera di pro-

duzione” del Marzolino è salubre - questa è la tesi pro-

posta dallo scienziato fiorentino - le cause dell’intossica-

zione dovevano essere ricercate altrove anche perché i

casi di “avvelenamento” dovuti a questo formaggio non

erano infrequenti anche se trascurabili: secondo il

Dottor Viligiardi, stimato medico fiorentino, sembra che

30

18) Cfr. G. TARGIONI TOZZETTI, Ragionamenti sopra l’Agricoltura, op. cit., p.

180.

19) Ibidem.

il Granduca di Toscana Cosimo III avesse inviato al Papa

Clemente XI molte forme di Marzolino in dono, e che il

Pontefice, a sua volta, le avesse distribuito a molte

comunità religiose di Roma in occasione della celebra-

zione del Vespro solenne, il giorno dell’Ascensione, con

la conseguenza che tutti i padri di un convento romano

soffersero gravissimi sconcerti di stomaco20.

Quale può essere stata allora la causa delle forme di

Marzolino “velenose”? La conclusione di Targioni

Tozzetti è semplice: la scarsa cura dei pascoli toscani, in

occasione di stagioni sfavorevoli, causa una scarsa qua-

lità dei foraggi ed obbliga gli animali a cibarsi di piante

– come l’Elleboro e la Titimali (una specie appartenente

alle Euforbiacee) – di cui sono note le capacità purgati-

ve. Le sostanze venefiche si ritrovano, concentrate, nel

latte e passano quindi nel formaggio, dando origine ai

disturbi che hanno colpito i frati fiorentini nel freddo

gennaio del 1756.

La conclusione dello scienziato fiorentino è rassicurante:

non è la manifattura del Marzolino, formaggio prodotto

seguendo una consolidata tradizione, ma l’ingestione da

parte delle pecore – a causa della scarsa cura dei pasco-

li – di alcune essenze vegetali tossiche i cui residui, con-

centrati nel formaggio, hanno certamente causato l’av-

velenamento.

L’interpretazione di Giovanni Targioni Tozzetti è affasci-

nante anche se poco verificabile e, probabilmente, errata

31

20) Cfr. G. TARGIONI TOZZETTI, ibidem, p. 209.

Questo non è il solo caso riportato dal Targioni. Un patrizio fiorentino, Lorenzo

Pio Bonfi, riporta che la "Compagnia dei Fiorentini di Roma suole ogni anno fare unagran provvista di forme di Marzolino di Lucardo per regalare a Roma a diversi perso-naggi nella sua festa della Natività di San Giovanni Battista, e mi ha assicurato che ditanto in tanto questi caci riescono, qualunque se ne sia la cagione, pregiudiciali a chi nemangia", ivi, p.210.

32

ma rappresenta un elemento significativo dell’intera

riflessione sull’agricoltura toscana che porta avanti lo

scienziato fiorentino: casi come questi devono non solo

risvegliare nei proprietari terrieri – spesso nobili fami-

glie fiorentine alle quali indirettamente lo stesso

Targioni destinò il suo libro – l’attenzione verso una

migliore cura delle proprie terre.

Ma anche interessare le premure del pubblico per mante-

nere la meritata fama che i famosi Caci Marzolini diLucardo riscuotono in Toscana ma anche negli altri stati

italiani ed esteri a testimonianza della loro ampia diffu-

sione21.

L’analitica sequenza della manifattura del Marzolino

descritta da Targioni Tozzetti resta, ancora oggi, il docu-

mento più interessante per ricchezza e completezza

delle informazioni, ed è per questo che ne viene ripre-

sentata la ristampa anastatica, ma un ultima fonte stori-

ca permette di completare il quadro relativo al

Marzolino: la memoria, presentata all’Accademia dei

Georgofili nel 1782 da Francesco Molinelli22.

Nel suo scritto la descrizione della produzione del

Marzolino è sostanzialmente simile a quella riportata da

21) La fama in Italia e all’estero dei formaggi di Lucardo è confermata dall’elo-

gio che ne fa Jean Bruyerin, medico al servizio di Enrico II di Francia, nella sua

opera De Re Cibaria dove il Marzolino viene paragonato per qualità al più noto

Parmigiano: "Proximi sunt saporis digitate, quos Florentia mittit, Marsolinos vocant.Hos tamen adulterari bubalino lacte audio. Figuram habent peponum longiorum: feruntbenem ætatem æquè ac Placentini: rariùs tamen in Gallias penetraverant ante ætatemnostram. Caseus, si tenui liquore conficitur, quam celerrimè vendendusest, dum adhucviridis succum retinet. Si pingui & opimo, longiorem patietur custodiam: sed lacte sieridebet syncero & quam recetissimo. Nam requietum vel mistum celeriter acorem conci-pit." (Cfr. I. BRUYERINO CAMPEGIO, De Re Cibaria Libri XXII, Apud Sebast.

Honoratum, Lugduni, 1560, pp. 750-751.

22) F. MOLINELLI, op. cit. p. 153-166. La memoria del Molinelli è la fonte più

conosciuta per la descrizione dei formaggi toscani e soprattutto del Marzolino di

Lucardo.

Targioni Tozzetti e da Boccone, anche se vi sono alcune

differenze e, soprattutto, informazioni aggiuntive.

Secondo quanto riporta Molinelli, le pecore infatti veni-

vano alimentate sia al pascolo, sia con una razione a

base di crusca di grano e di semi di lino, fave secche,

veccie e saggina, anche se questo non era determinante

per la qualità del formaggio come la cura nella manu-

tenzione delle pecore e l’elaborata manifattura.

Molinelli indica che per ottenere una forma di

Marzolino erano necessarie venti libbre di

latte smunto di fresco, un terzo d’oncia (ndr. 9 g circa) di pre-same vegetabile di fior di cardo, con due libbre incirca di sale.

Dopo una filtratura sommaria, il latte veniva scaldato a

fuoco dolce per circa tre ore fino alla coagulazione della

massa da cui si separavano due parti distinte: la prima,

detta “Liscio” era costituita dalla panna e veniva messa

da parte. La seconda – il Cacio – veniva riposto in un

piatto concavo e impastato per due ore. Al termine il for-

maggio assumeva una caratteristica forma tronco-conica

per poi essere reimmerso nella panna da cui era stato

separato.

A questo punto iniziava la fase più lunga della lavora-

zione: dopo aver avvolto il Marzolino in un panno di

lino fine, la forma veniva contemporaneamente com-

pressa e traforata con un bastoncino appuntito per

numerose volte. Questa operazione – la più delicata

della manifattura – poteva durare fino a 15-16 ore ed era

necessaria per far uscire dal Marzolino il siero contenu-

to all’interno che avrebbe potuto comprometterne la

qualità.

33

Terminata questa operazione il Marzolino era

riposto in un panno canapino come in una culla, da essi chia-mata la saccola23

e messo alla distanza di circa un metro da un camino

affinché il calore tiepido del fuoco lo asciugasse lenta-

mente per un giorno e ne permettesse una dolce fer-

mentazione. Una particolare attenzione doveva essere

riposta a non avere un calore troppo sostenuto per non

inquocere il formaggio ed impedirne così la fermentazio-

ne.

L’ultima fase di stagionatura avveniva in uno stanzino

buio e fresco dove il formaggio veniva riposto per un

tempo variabile tra i 30 e i 40 giorni al termine dei quali

doveva risultare, per essere perfetto, uniformemente

morbido. A questo punto il formaggio era pronto per

essere venduto, spesso in grosse partite, come nei casi

riportati da Targioni Tozzetti.

Le forme tradizionali erano due: quella classica, ovale,

ancora oggi utilizzata nella manifattura di altri formag-

gi con la stessa denominazione, e quella a forma di tron-

co di cono con un “capo” – chiamato Curuzolo24 o cappel-lino25 – che veniva messo in cesti di vimini, avvolto in

fieno o stoppa per non danneggiarlo e destinato soprat-

tutto ai mercati extraregionali. Il prezzo sul mercato fio-

rentino era di 10 crazie la libbra, quasi il doppio rispetto

agli altri formaggi pregiati come il Marzolino del

34

23) Ibidem p. 159.

24) Cfr. P. BOCCONE, op. cit., p. 219.

25) Cfr. F. MOLINELLI, op. cit., p. 153.

Chianti, a testimoniare l’importanza e l’apprezzamento

generale di cui godeva questo prodotto26.

Purtroppo vari fattori causarono il declino di questa

produzione già a partire dall’inizio del XIX secolo. Nel

1832 Attilio Zuccagni Orlandini, nel suo Atlante

Geografico del Granducato di Toscana, riporta che

di notissima bontà erano pure le formette o caciole di Lucardo,ma la loro manifattura è deteriorata e va a perdersi per dupli-ce ragione; per la mancanza cioè di buoni pascoli cagionata daicontinui disboscamenti e dissodamenti, e per moderna incuriadelle massare, le quali dovendo spremere mollemente e perlungo tempo il coagulo cacioso, usano ora di essiccarlo rapi-damente col fuoco, per cui rendesi di sapore piccante, a cagio-ne del siero che vi resta imprigionato27.

Questo laconico commento del geografo toscano è una

delle ultime testimonianze scritte sul Marzolino di

Lucardo.

Quasi scomparso dal commercio, il Marzolino è soprav-

vissuto fino ai giorni nostri custodito come un piccolo

segreto familiare dagli agricoltori della zona e, comun-

que, sempre presente nell’immaginario collettivo e nella

storia dell’agricoltura toscana.

35

26) Sul Marzolino del Chianti e la sua manifattura si veda F. RINALDI PALAGI,

Sulla produzione casearia nel Chianti: il cacio marzolino, in “Cronache e Memorie delChianti”, Studium, Radda in Chianti, 1992, A. II, S. I n. 1.

27) A. ZUCCAGNI ORLANDINI, Atlante geografico, fisico e storico del Granducatodi Toscana, Rist. Anast., Cassa di Risparmio di Firenze, Firenze, 1974.

36

LA MANIFATTURA, L’USO DEL CAGLIO VEGETALE

E LA VALUTAZIONE QUALITATIVADEL PECORINO “MARZOLINO DI LUCARDO”

Annamaria Stopponi, Cristina Pizzetti, Tamara Amadii,Paolo Piacenti, Alberto Profumo

La manifatturaPer procedere alla definizione della procedura di casei-

ficazione seguita da parte dei produttori/trasformatori,

in grado di recuperare l’antica tecnica che assisteva la

produzione del pecorino di Lucardo, si è partiti dall’a-

nalisi puntuale del procedimento descritto nella rico-

struzione storica prodotta da Daniele Vergari e dalla

scheda di rilevazione Arsia.

L’obiettivo è stato quello di perfezionare la tecnica di

caseificazione adattando alcuni aspetti tecnici allo stato

dell’arte attuale in quanto il procedimento riportato

avveniva in un’epoca in cui locali, attrezzature, tempe-

rature, tecniche di caseificazione e di conservazione

erano molto diversi.

Grazie alla collaborazione dei trasformatori, che hanno

fornito un prezioso apporto tecnico, sono state analizza-

te le varie fasi del processo di caseificazione e si è arri-

vati a definire la procedura da utilizzare per questa spe-

rimentazione. I parametri elaborati sono i seguenti:

a) il peso delle forme;

b) la quantità di cardo o presura da utilizzare;

c) il rapporto tempo/temperatura per la cagliata;

d) la quantità di sale da utilizzare;

e) la definizione condivisa di “ panna” o “liscio”;

f) la definizione del concetto di “impastatura

del formaggio”;

37

g) la tecnica di messa in forma;

h) la stagionatura.

Di seguito riportiamo per ciascun parametro il dettaglio

e le specifiche tecniche.

Il peso delle formeLa scheda Arsia prevede forme da kg 3-3.5 – probabil-

mente confondendo l’unità di misura libbra toscana con

quella inglese contemporanea – ma, nella scheda storica,

dove si parla della tecnica di caseificazione fa riferimen-

to a "venti libre di latte e ad un terzo d’oncia di presame

vegetabile di fior di cardo" cioè circa 6,8 kg di latte e

circa 9 g di presura per la realizzazione di una forma. La

resa del latte ovino prevede per la realizzazione di una

forma di circa 1 kg l’utilizzo di circa 7 kg di latte.

È stato pertanto deciso di procedere alla realizzazione di

forme di circa un chilogrammo ciascuna.

L’uso del caglio vegetaleIl caglio vegetale o “presura” utilizzato è direttamente

prodotto da Tamara Amadii titolare dell’azienda agrico-

la Spereta di Montalcino e da Patrizia e Piero Alberti

della azienda agricola Camporbiano di San Gimignano.

Il cardo utilizzato è stato raccolto direttamente nelle

aziende. Il prodotto proviene dal “Cynara

Cardunculus” coltivato presso le aziende, con metodo

dell’agricoltura biologica nel primo caso e con metodo

dell’agricoltura biodinamica nel secondo caso. Il fiore

della pianta viene raccolto nel periodo di luglio-agosto;

sul prodotto raccolto è effettuata anche un’analisi per

verificarne la conformità microbiologica presso l’Istituto

Zooprofilattico di Siena. Il prodotto può essere utilizza-

to fresco od essiccato. L’essiccazione avviene lentamen-

38

te (circa 2 mesi) in luogo fresco ed asciutto. Per l’estra-

zione del principio attivo il prodotto fresco od essiccato

è fatto rinvenire in poca acqua alla temperatura di circa

55°C per 20 minuti; dopodiché il liquido è filtrato ed uti-

lizzato per la cagliata.

La quantità di cardo o presura da utilizzareLa scheda storica parla di una quantità di circa 9 g che,

per il cardo fresco (pistilli), è stata ritenuta congrua

mentre, nel caso in cui si debba procedere alla caseifica-

zione utilizzando il cardo essiccato, occorre ridurre la

quantità per l’evidente perdita di peso. È stato convenu-

to di utilizzare 4 grammi di presura secca per 10 litri di

latte e circa 7 g di presura nel caso di utilizzazione del

prodotto fresco.

Il fiore della pianta viene raccolto nel periodo di luglio-

agosto e il processo di essiccazione avviene lentamente,

per circa 2 mesi, in luogo fresco ed asciutto.

Il rapporto tempo/temperatura per la cagliataLe schede parlano di un tempo di circa tre ore durante il

quale il latte veniva scaldato a fuoco dolce fino alla coa-

gulazione della massa ma è necessario valutare queste

informazioni alla luce delle conoscenze attuali. Il tempo

di coagulazione della cagliata con il caglio vegetale è

molto lungo (circa 2 ore) per cui il tempo delle tre ore è

stato inteso come riferito alla fase che va dallo scaldare

il latte all’estrazione della cagliata. Trattandosi di un for-

maggio “a crudo” il latte va portato alla temperatura di

38° C per poi aggiungere il caglio fatto rinvenire in

acqua tiepida. Tale temperatura deve essere mantenuta

fino alla completa coagulazione.

39

La quantità di sale da utilizzare Dalla scheda storica emerge che venivano utilizzate

circa due libbre di sale e cioè circa 680 g di sale al

momento della preparazione della cagliata. Il sale è un

anticoagulante che nella quantità descritta – eccessiva –

creerebbe problemi di coagulazione della massa. Tale

informazione, non sapendo anche la qualità del sale che

veniva utilizzata, è stata ritenuta inaffidabile e pertanto

la quantità di sale è stata rimessa, nella prima fase della

sperimentazione, all’esperienza del singolo operatore,

tenendo conto che il Lucardo era noto per "la sua pasta

morbida, il colore bianco crema, odore intenso e sapore

delicato, burrosa che vince ogni altro cacio". Dalla prima

sperimentazione è emerso che il quantitativo di sale uti-

lizzato è stato di circa 3 g di sale per litro di latte e quin-

di complessivamente circa 60 g, un decimo rispetto alla

quantità indicata dalla fonte storica. Il sale è stato asper-

so sulla superficie del formaggio appena pressato e l’o-

perazione è stata ripetuta per circa due giorni.

La definizione condivisa di “ panna” o “liscio”Nel testo storico il termine “panna” viene utilizzato nel

momento in cui, portato il latte a temperatura, "dalla

coagulazione della massa [...] si separavano due parti

distinte: la prima, detta Liscio, costituita dalla panna che

veniva messa da parte mentre la seconda – il cacio –

veniva riposto in un piatto concavo dove veniva succes-

sivamente impastato per due ore".

Dal confronto con gli operatori è stato deciso di defini-

re panna o liscio la parte che emerge al momento in cui

si scalda il latte, prima che lo stesso coaguli, e da toglie-

re con la schiumarola per poi riutilizzarla per la succes-

siva immersione del formaggio secondo le indicazioni

della relazione storica: "al termine [dell’impastatura] gli

40

veniva data una caratteristica forma tronco-conica per

poi reimmergere il cacio nella panna da cui era stato

separato perché se ne saturi".

La definizione del concetto di “impastatura del formaggio”Il testo storico recita che "il cacio veniva riposto in un

piatto concavo dove veniva impastato per due ore". Per

impastare il formaggio si è deciso di intendere la fase

dell’impasto con la panna della massa dopo la sua estra-

zione e la salatura del cacio. Pertanto i produttori hanno

proceduto a far assorbire una parte della panna alla

massa caseificata fino a dargli la caratteristica forma

tronco conica e a spalmarne una parte sull’esterno del

formaggio. Hanno poi proceduto alla salatura in super-

ficie del formaggio stesso.

La tecnica di messa in forma Dopo l’impastatura, il formaggio veniva avvolto in un

telo: la scheda Arsia parla di canapa, la scheda storica

parla di lino fine. Seguendo le indicazioni dei trasfor-

matori si è convenuto di utilizzare i teli misto lino che

sono attualmente in commercio. Dopodiché la forma

veniva traforata molte volte con un bastoncino appunti-

to mentre veniva anche compressa.

Questa operazione di spurgo richiedeva, secondo la

scheda storica, un tempo massimo variabile da 2 a circa

15/16 ore. La compressione avveniva anche stringendo

il formaggio posto nel panno con due bastoncini (canne)

e girato leggermente per far uscire il siero.

In questa sperimentazione il periodo per lo spurgo del

siero è stato valutato, in accordo con gli operatori, in un

tempo che varia dai due ai tre giorni. Terminata questa

operazione il formaggio veniva riposto in un panno di

41

canapa "come in una culla", e appeso per 24 ore a circa

un metro dal camino per la fermentazione e l’asciugatu-

ra. Quest’ultima fase è stata rielaborata ponendo il for-

maggio in un ambiente a temperatura costante e con la

giusta umidità e cioè nella parte più bassa dello scaffale

presente nella sala lavorazione.

La stagionaturaSecondo la scheda storica, l’ultima fase della stagionatu-

ra avveniva in uno stanzino buio fresco dove il formag-

gio veniva riposto per un tempo variabile tra i 30 e i 40

giorni al termine dei quali doveva risultare "uniforme-

mente morbido". Questa fase è stata svolta presso la can-

tina di Piacenti scavata nella parte antica di Certaldo.

Una cantina in tufo che rispondeva perfettamente alle

necessità di stagionatura (temperatura e umidità

costanti). In merito alla pratica di ungere la forma con

olio di oliva – "Per otto giorni la forma veniva rivoltata

giornalmente ungendola con olio di oliva" –, in accordo

con gli operatori è stato convenuto di ungere il formag-

gio a giorni alterni per circa 4 volte, togliendolo dal sac-

chetto per poi riporvelo dopo l’operazione. Per quanto

riguarda le forme la scheda storica parla sia di forme

coniche, vendute in panierini di vimini per il mercato

extra toscano, che di forme tonde. Si è deciso di utilizza-

re tutte e due le forme, sia conica che tonda a secondo

della preferenza degli operatori.

42

La tecnica di caseificazione adottata per la sperimenta-zione in sintesiCardo secco da usare: 4/6 g per 10 l di latte

Temperatura di cagliata: 38 °C

Tempo di cagliata: circa 2 ore

Peso della forma: 1/1.1 kg

Operazioni da effettuare a. Togliere il primo fiore del latte (“liscio”) prima che si

formi la cagliata.

b. Metterlo da parte per poi usarlo per reimpastare la

massa cagliata e per spalmarlo in superficie prima di

mettere il formaggio nel sacchetto o telo.

c. Rompere la cagliata, dopo circa due ore, in maniera

fine fino alla dimensione di un chicco di granturco.

d. Lasciare riposare la massa, compattare la cagliata e

lasciarla scolare.

e. Impastare la cagliata con parte del “liscio” e spalmare

il rimanente all’esterno della forma.

Partendo dall’esterno pressare la pasta per circa 20

minuti aggiungendo il sale in superficie.

f. Mettere il Marzolino nel telo di misto lino secondo la

forma tronco conica, e favorire la fuoriuscita del siero

bucando la forma con un sottile secchino.

g. Lasciare il formaggio a spurgare per un periodo

definito in due/tre giorni (la scheda storica parlava di

15/16 ore) tenendo conto tuttavia della valutazione

dell’operatore la cui esperienza è utile per

considerare conclusa questa fase. Al limite può essere

applicata una semplice pressione.

h. Appendere il formaggio nella cella frigorifera per

circa due giorni dopodiché ungere la superficie del

formaggio con olio di oliva.

43

i. Stagionare il formaggio per un tempo variabile tra i

30/40 giorni presso una cantina in tufo che risponde

alle caratteristiche di temperatura ed umidità

costanti.

I risultati della prima sperimentazione di caseificazionePer quanto riguarda i risultati della prima sperimenta-

zione di caseificazione, sono state prodotte 9 forme di

formaggio di peso variabile dai 700 e i 1200 g ed è stata

effettuata una valutazione sensoriale delle caratteristi-

che organolettiche del prodotto. Da questa valutazione è

emerso che la caratterizzazione del Marzolino dipende

molto dalla tecnica di caseificazione del singolo opera-

tore, dai mille piccoli accorgimenti messi in atto acquisi-

ti con l’esperienza per cui a partire dallo stesso latte si

possono ottenere prodotti differenti nell’aspetto e nel

sapore.

Valutazione qualitativa del prodotto riscopertoDopo circa un anno di lavoro, dall’inizio del progetto,

riuscire ad assaggiare il Pecorino di Lucardo, è un’emo-

zione fortissima. Ritrovare questo formaggio dopo aver-

ne perduto le tracce per tanto tempo sembra quasi

impossibile, invece è qui con tutta la sua storia.

Il prodotto fresco denota ancora il bisogno di crescere e

maturare per esaltare al massimo le proprie caratteristi-

che. Il colore della pasta è bianco latte. È leggermente

occhiato. La pasta tenerissima e burrosa. Il gusto è molto

delicato, con un leggero sentore di erbe nel retrogusto.

Dopo 6 mesi di stagionatura, il discorso cambia comple-

tamente. Il formaggio è veramente buono, e anche la

crosta annerita da muffe rustiche contribuisce alla for-

mazione dei sapori finali.

44

All’esame sensoriale, questo pecorino si presenta con un

colore giallo paglierino; un’occhiatura non abbondante,

segno che i protagonisti della fermentazione hanno

lavorato bene. La pasta è compatta senza essere né dura

né secca; i profumi che si riconoscono sono quelli di

fieno e paglia, ma sopratutto di erbe mediterranee. I

sapori marcati esprimono una notevole e lunga persi-

stenza gustativa con leggere componenti amare. Al

retrogusto, il pecorino si rivela eccellente, pieno, persi-

stente a prova del valore complessivo del prodotto.

45

46

47

L’ANALISI DEI RISCHI COME STRUMENTO DI VALUTAZIONE IGIENICO SANITARIA

E L’INDAGINE DELL’IZS PER IL PECORINO “MARZOLINO DI LUCARDO”

Roberto Scalacci

Dello studio rivelato in questo lavoro dello scienziato

fiorentino Targioni Tozzetti, oltre che una insostituibile

fonte per conoscere la manifattura del pecorino di

Lucardo, ci ha sorpreso l’attualità del metodo adottato

per interrogarsi sui motivi “dell’avvelenamento” provo-

cato da una partita di formaggio di Lucardo29. Possiamo

infatti affermare che lo stesso Targioni Tozzetti effettua

una vera e propria valutazione dei rischi mettendo in

campo le conoscenze di quel tempo e suggerendo solu-

zioni per comprendere i motivi dell’avvelenamento.Oggi, infatti, possiamo affermare che l’obbligo di effet-

tuare l’analisi dei rischi30 rappresenta una delle più

significative evoluzioni dell’approccio alla sicurezza ali-

mentare introdotto dalla UE nella propria legislazione.

In particolare l’introduzione di tale elemento presso le

imprese alimentari è individuabile nell’adozione dei

sistemi di autocontrollo con l’applicazione della meto-

29) Cfr. supra D. VERGARI, La storia del Marzolino di Lucardo e dell’uso del cagliovegetale nei formaggi pecorini toscani.

30) All’art. 3 (n. 9) del Reg. (CE) n. 178/2002, il rischio è definito come "la fun-

zione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conse-

guente alla presenza di un pericolo". Nello stesso articolo (n. 14) viene chiarito

che il pericolo o elemento di pericolo è "agente biologico, chimico o fisico conte-

nuto in un alimento o mangime, o condizione in cui un alimento o mangime si

trova, in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute"; sull’analisi del

rischio e il connesso principio di precauzione sono significativi anche i cons. 16,

17, 20 e artt. 6, 7 dello stesso regolamento.

48

dologia HACCP31, da parte del legislatore europeo a par-

tire dall’inizio degli anni ’9032 con apposite direttive defi-

nite verticali (applicabili ai singoli prodotti o settori).

Successivamente, la Comunità Europea passa a pro-

muovere lo sviluppo e l’implementazione di normative

applicabili trasversalmente a tutte le imprese che opera-

no nel campo della produzione di alimenti e bevande. In

questo contesto vengono emanate Direttive orizzontali33,

come la Dir. 93/43/CEE concernente l’igiene dei pro-

dotti alimentari con l’attuazione nazionale nel

D.Lgs.155/1997, che impone a tutte le industrie alimen-

tari (che fanno preparazione, trasformazione, fabbrica-

zione, confezionamento, deposito, trasporto, distribu-

zione, manipolazione, vendita o fornitura, somministra-

zione) di individuare, attraverso un sistema di autocon-

trollo, nel proprio processo produttivo, ogni fase poten-

zialmente “critica” per la sicurezza degli alimenti e

32) La Comunità Europea, nel corso degli anni ’80, avvia lo studio di normative

relative ai problemi igienici e sanitari per alcune tipologie di prodotti alimenta-

ri, giungendo, alla promulgazione di quelle che sono definite le Direttive verti-

cali tra cui: la Dir. 91/493/CEE e 91/498/CEE: norme in materia di produzione

e commercializzazione dei prodotti della pesca, con attuazione nel D.Lgs.

531/92; Dirr. 89/437/CEE e 91/498/CEE: norme relative alla produzione ed

immissione sul mercato degli ovoprodotti, con attuazione nel D.Lgs. 65/93; Dir.

92/46/CEE e 92/47/CEE: norme applicabili al latte e prodotti a base di latte con

disposizioni per darne attuazione nazionale contenute nel D.P.R. 54/97; Dir.

92/5/CEE: norme applicabili ai prodotti a base di carne (dai salami alle paste

fresche alimentari farcite con carne) con disposizioni per darne attuazione nazio-

nale contenute nel D.Lgs. 537/92. In questi provvedimenti è presente l’introdu-

zione dei sistemi di autocontrollo basati su: identificazione dei punti critici; defi-

nizione ed attuazione di metodi di sorveglianza e controllo; prelievo di campio-

ni per analisi; conservazione di una documentazione scritta; gestione bollatura

sanitaria; ritiro dal mercato in caso di rischio immediato per la salute.

33) E. SIRSI, L’H.A.C.C.P. nel settore agricolo, in L. Costato (a cura di), Trattatobreve di diritto agrario italiano e comunitario, Cedam, Padova, pp. 677-83.

31) Si veda sull’argomento A. ALBERTI, G. PASCUCCI E R. SCALACCI, Notepratiche sulla qualità igienico-sanitaria nel settore agricolo-alimentare, Agritec,

Firenze, 2002.

49

garantire che siano individuate, applicate, mantenute ed

aggiornate le adeguate procedure di sicurezza avvalen-

dosi dei principi del metodo HACCP. Questo approccio

diviene poi elemento guida in tutta la legislazione con-

seguente all’applicazione del libro bianco sulla sicurez-

za alimentare della Commissione Europea a partire dal

regolamento (CE) n. 178/200234.

Dal 1° Gennaio 2006 sono in vigore i nuovi regolamenti

comunitari di igiene, meglio conosciuti come ‘pacchettoigiene’ 35, nei quali si ribadiscono con forza i concetti di

filiera, di responsabilità che parte anche dalla produzio-

ne primaria, di principi di sicurezza alimentare per i

quali la singola azienda deve operare una valutazione

del rischio nei suoi processi di lavorazione utilizzando

le evidenze scientifiche atte ad eliminare ogni eventua-

le rischio per i consumatori.

Si va dunque oltre le semplici prescrizioni igienico sani-

tarie calate dall’alto senza una reale verifica del rischio.

La sicurezza alimentare di un prodotto si poggia sulla

valutazione del rischio effettuato attraverso l’insieme

delle conoscenze tecnico-scientifiche: dalla materia

prima, al processo necessario alla fabbricazione del pro-

dotto, alle modalità di conservazione al consumo.

34) Reg. (CE) n. 178/2002 “che stabilisce i principi e i requisiti generali della legi-

slazione alimentare e istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e

fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare”; pubblicato in GUCE L. 31

del 1.02.2002.

35) Si tratta essenzialmente dei Regg. (CE) n. 852/2004 “sull’igiene dei prodotti

alimentari”, (CE) n. 853/2004 “che stabilisce norme specifiche in materia d’igie-

ne per gli alimenti di origine animale”, (CE) n. 854/2004 “che stabilisce norme

specifiche per l’organizzazione di controllo ufficiali sui prodotti di origine ani-

mali destinati al consumo umano” - pubblicati in GUCE L. 139 del 30.04.2004 - e

di due Direttive riguardanti, l’una, il controllo dei prodotti di origine animale

(Dir. 2002/99 in tema di polizia sanitaria) e, l’altra, l’abolizione di numerose

norme esistenti e superate dalle nuove disposizioni (Dir. 2004/41 volta all’abro-

gazione delle precedenti direttive).

50

Rispetto alle posizioni assunte da alcuni paesi europei

negli anni passati, verso una eccessiva standardizzazio-

ne dei processi a garanzia della sicurezza igienico sani-

taria dei prodotti, si riscopre oggi in Europa la necessità

di mantenere e valorizzare la ricchezza del patrimonio

alimentare fornendo attraverso studi scientificamente

provati le opportune e comunque non derogabili garan-

zie di sicurezza alimentare. In questa logica, grazie al

supporto tecnico scientifico dell’Istituto Zooprofilattico

Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, abbiamo

potuto realizzare un approccio preliminare alla valuta-

zione del rischio igienico sanitario della produzione del

Pecorino Marzolino di Lucardo che rappresenta la base

per ulteriori studi sia nei confronti di questo formaggio

che per altri prodotti storici e tradizionali che si vanno

recuperando.

Le aziende che hanno partecipato a questa indagine

hanno potuto così verificare il loro approccio rispetto ai

rischi presenti nella produzione di questo formaggio e

attraverso un lavoro di audit, migliorare le loro condi-

zioni igienico sanitarie che pur partendo da un livello

ragionevole, in seguito all’implementazione delle noti-

zie ricavate dall’indagine, sono ad oggi ancora maggio-

ri.

51

VALUTAZIONE DEL RISCHIO IGIENICO SANITARIO

IN QUATTRO CASEIFICI CHE PRODUCONO IL PECORINO “MARZOLINO DI LUCARDO”

Giovanni Brajon, Giovanni Aggravi, Maria GabriellaPerfetti, Alessandro Petreni, Alberto Profumo

Obiettivi e metodologia di indagineSulla base dei dati aggiornati all’ottobre 2002 relativi al

V Censimento generale dell’Agricoltura (ISTAT), la

Toscana mantiene a livello nazionale la quarta posizione

dopo Sardegna, Sicilia e Lazio per patrimonio ovino e

produzione di latte36.

Negli ultimi anni è stata registrata una determinante

riorganizzazione del comparto conseguente all’applica-

zione delle norme europee che stabiliscono i requisiti di

igiene per la produzione di latte e dei prodotti derivati

con l’obiettivo di migliorare produttività aziendale e

qualità del latte prodotto. Alla riduzione degli alleva-

menti ha tuttavia corrisposto un aumento del numero di

capi allevati soprattutto nelle zone più vocate alla pasto-

rizia come nelle province di Grosseto, Siena e Pisa37.

Nell’anno 2006 risultano censite in Toscana complessive

1345 aziende agropastorali che nel tempo hanno miglio-

rato la loro efficienza senza tuttavia cambiare radical-

mente il modello produttivo basato sul prevalente

impiego del pascolamento e sull’integrazione con fieni e

36) REGIONE TOSCANA, Piano Zootecnico Regionale Supplemento al Bollettino

Ufficiale della Regione Toscana n. 26 del 30.06.2004-08-24.

37) BRAJON G., M. BENEDETTI, A. OLIVETTI, Provvedimenti tecnico legislativiregionali a confronto per nuove linee guida del D.P.R. 54/97 in Toscana, in “Il ProgressoVeterinario”, n. 11, 2003, pp. 527-29.

52

mangimi concentrati per la maggior parte prodotti in

azienda. Il processo di aziendalizzazione è stato favori-

to da un’elevata diffusione della proprietà e dalla con-

duzione prevalentemente familiare consentendo il rag-

giungimento in tempi brevi dei requisiti igienico-sanita-

ri richiesti dalla normativa comunitaria. Il latte di peco-

ra viene trasformato in formaggi pecorini e formaggi

misti con latte vaccino da una rete di caseifici distribui-

ta soprattutto nelle province di Grosseto e Siena. Nelle

province settentrionali (Massa Carrara, Lucca, Pistoia,

Firenze ed Arezzo) è invece diffusa e tende ad aumenta-

re la trasformazione aziendale, effettuata da piccoli

caseifici, molti dei quali risultano già riconosciuti.

Tabella 1 - Numero di aziende agro-pastorali in Toscana registrate ai sensi del

Regolamento (CE) n. 853/2004 e destino del latte prodotto (fonte Aziende

Sanitarie Locali della Toscana)

ASL Conferenti a Caseifici Aziendali

caseifici industriali Riconosciuti Non riconosciuti

1 Massa Carrara 0 0 5

2 Lucca 29 6 19

3 Pistoia 4 31 3

4 Prato 0 3 0

5 Pisa 89 6 0

6 Livorno 21 33 0

7 Siena 206 25 2

8 Arezzo 74 22 17

9 Grosseto 838 21 7

10 Firenze 64 18 0

11 Empoli 19 2 2

12 Versilia 1 12 4

Totale 1345 179 59

53

Tra i formaggi pecorini sono di notevole interesse com-

merciale quelli inseriti nell’elenco regionale dei prodotti

agro-alimentari tradizionali di cui al D.Lgs. n. 173/98 e

Decreto Mi.P.A.F. n. 350/99. Nell’elenco sono a tutt’oggi

inseriti complessivamente 31 formaggi e 3 ricotte di

pecora, la cui produzione si realizza in quasi tutte le pro-

vince toscane ad eccezione di quella di Prato e le quan-

tità oscillano da 1.500 a 900.000 Kg/anno sebbene, per 7

formaggi, considerati di nicchia, la quantità prodotta

per anno è veramente limitata.

Dei 31 formaggi, la maggior parte sono pecorini, alcuni

sono caprini e solo 1 formaggio è prodotto con latte

ovino e bovino (Pastorella del Cerreto di Sorano)38.

Oltre la metà dei formaggi tradizionali è fabbricata

senza che il latte sia stato sottoposto ad un trattamento

termico superiore ai 38°C mentre i rimanenti sono pro-

dotti con latte pastorizzato.

L’impiego di caglio naturale di agnello viene dichiarato

per 7 formaggi; un solo formaggio, Il Grande Vecchio di

Montefollonico, viene fabbricato mediante l’utilizzazio-

ne di caglio naturale di vitello mentre il Marzolino di

Lucardo si caratterizza per l’impiego di caglio vegetale39.

L’iscrizione nell’elenco regionale dei prodotti alimentari

che presentano caratteristiche tradizionali dà la possibi-

lità di avvalersi di deroghe al regolamento (CE) n.

852/2004 descritte nel Regolamento (CE) n. 2074/05: in

particolare tali deroghe riguardano i locali in cui i pro-

dotti sono esposti ad un ambiente che contribuisce par-

zialmente allo sviluppo delle loro caratteristiche ed i

38) REGIONE TOSCANA, Elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali RegioneToscana, D.Lgs. n. 173/98, Art. 8 – Decreto Mi. P.A.F. n°350/99. Sito web:

http://www.arsia.toscana.it

39) BRAJON G., Il latte di pecora e capra e la produzione di formaggi locali in Toscana,in “Ovini e Caprini”, n. 11, 2004, pp. 3-6.

54

materiali di cui sono costituiti strumenti ed attrezzature

utilizzati per la preparazione, confezionamento ed

imballaggio dei prodotti.

Per il Pecorino di Lucardo la deroga si applica dunque

sia ai locali di maturazione e/o stagionatura con pareti,

fondi e pavimenti di materiali tipici non lavabili sia

all’utilizzo degli attrezzi e materiali impiegati nella

lavorazione: spino di legno, panni di tela fine e sacche di

canapa e/o lino.

Le deroghe è ovvio non incidono sulla sicurezza ali-

mentare dei prodotti che deve comunque essere garanti-

ta attraverso la valutazione dei rischi fisici, chimici e bio-

logici dell’intero processo di produzione. In particolare:

il latte deve provenire da animali sani di allevamenti

ufficialmente indenni da brucellosi ed avere i requisiti

previsti dal Regolamento (CE) n.8537/2004 ed il for-

maggio, a latte crudo, deve rispondere ai requisiti

microbiologici previsti dal Regolamento (CE) n.

2073/2005.

Uno strumento utile per garantire i requisiti minimi di

sicurezza alimentare è l’analisi del rischio basata sui

punti critici di controllo (HACCP); strumento ormai

consolidato nelle industrie agro-alimentari ma applicato

anche in realtà di dimensioni minori. Purtroppo l’appli-

cazione di questo strumento in piccole aziende, è spesso

stata fatta in maniera automatica e standardizzata senza

tenere conto dei rischi reali e della formazione ed infor-

mazione degli addetti del settore con risultati in alcuni

casi poco efficaci40.

Al fine di valutare il rischio igienico sanitario dei casei-

fici coinvolti nel progetto di recupero tradizionale del

40) MARI E., A. BELLI, A. PIAZZA, F. CORRIAS, G. BRAJON, L. GRANCHI,

I Regolamenti Comunitari di Igiene nelle filiere corte, in “Obiettivi & DocumentiVeterinari”, n. 12, 2006, pp. 15-19.

55

Pecorino “Marzolino di Lucardo” è stata utilizzata una

lista di controllo che classifica ciascun caseificio con un

valore numerico rappresentante una classe di rischio

igienico sanitario. Per valutazioni sufficienti o scadenti i

responsabili della aziende possono intraprendere

opportune azioni correttive e garantire così la sicurezza

alimentare dei formaggi prodotti.

Le quattro aziende – 3 in provincia di Siena ed 1 in pro-

vincia di Firenze – sono tutte a conduzione familiare ed

allevano pecore di razza Sarda. L’alimentazione è basata

principalmente sul pascolamento di prati, praticato gior-

nalmente, con un’integrazione nel periodo invernale

costituita da foraggi secchi e concentrati per lo più

acquistati sul mercato.

Il latte prodotto viene in parte trasformato in formaggio

essendo stati realizzati negli ultimi anni piccoli caseifici

aziendali, dei quali: i 3 in provincia di Siena erano già

riconosciuti ai sensi del D.P.R.54/97 mentre quello in

provincia di Firenze era autorizzato ai sensi della Legge

283/62 che prevede la sola vendita diretta in azienda o

in deroga nei mercati.

Ogni azienda è stata visitata e sottoposta ad audit attra-

verso una lista di controllo precedentemente predispo-

sta e validata in caseifici industriali41. La lista di control-

lo è stata prodotta per valutare e classificare ciascun

caseificio con un valore numerico rappresentante una

classe di rischio igienico sanitario che può portare all’a-

dozione di misure di revoca della qualifica o all’obbligo

per il responsabile dell’azienda ad intraprendere oppor-

tune azioni correttive (v. Tabella 2).

Caratteristiche della lista di controllo sono: oggettività,

41) AGGRAVI G., M. MARI, M. REGINI, D. CASATI, G. FALCIANI, S. GRA-

DASSI, A. PETRENI, G. RAGIONIERI, G. BRAJON, La valutazione del rischio neicaseifici, in “Il Progresso Veterinario”, n. 1, 2005, pp. 25-29.

56

facilità di compilazione, riproducibilità, ripetibilità e

fruibilità sia per grandi che per piccoli caseifici.

La lista di controllo è suddivisa in 6 sezioni alle quali

vengono attribuiti valori qualitativi come

presenza/assenza e quantitativi numerici da –2 a + 2 e

dove 0 corrisponde alla normalità.

Le sezioni della lista riguardano i seguenti punti:

1. informazioni sull’ubicazione ed identificazione

dell’azienda;

2. quantità di latte lavorate per anno ed eventuale

raccolta da altre aziende limitrofe, giorni di

lavorazione, numero di addetti ed eventuale

pastorizzazione del latte prima di esser trasformato

in formaggio;

3. tipi di formaggi o derivati prodotti (ricotte ecc..);

4. modalità di approvvigionamento idrico: acquedotto

pubblico o privato, depositi e/o cisterne, impianti di

potabilizzazione o di addolcimento dell’acqua;

5. verifica a punti delle strutture, impianti

ed attrezzature partendo dalla zona di ricevimento

del latte al momento della produzione dei formaggi

e ricotte, della stagionatura, del magazzinaggio, del

confezionamento nonché dei servizi igienici

e depositi di acqua;

6. verifica a punti del piano di autocontrollo.

57

Tabella 2.

Classificazione dei caseifici in base al valore del rischio

Valore del rischio

Classe di rischio

Classificazionedel Caseificio

Comportamenti ispettivi

87-1005

Ottimo standardigienico sanitarioe di autocontrollo

Riduzione della frequenza dei controlli

2-30 1 Gravissime carenzestrutturali

e gestionali

31-55 2 Rischio elevato

Intensificazione dellafrequenza dei controlli.1. prescrizioni (con limi-tati tempi di risoluzione)relativamente a carenzestrutturali e del piano diautocontrollo;2. rallentamento, ovenecessario, della produ-zione3. valutazione accurata ditutte le fasi della lavora-zione, dall’arrivo dellatte alla spedizione deiprodotti finiti;4. verifiche di laboratorio(tamponi, campioni diprocesso e matrici ali-mentari) se necessario;5. sensibilizzazione e for-mazione a carico delresponsabile delCaseificio e delle mae-stranze.

56-73 3 Rischio leggero

Mantenimento delle fre-quenze di interventoindicate nei piani di pro-grammazione aziendalidel Servizio Veterinario

1. sospensione dell’attività;2. proposta di revoca

del bollo CE

74-86 4Elevato standardigienico-sanitarioe di autocontrollo

Possibile riduzione dellafrequenza dei controlli

58

Nel periodo marzo-maggio 2005 sono stati inoltre prele-

vati con cadenza casuale complessivamente 35 campio-

ni di latte di massa aziendale: almeno 7 per ciascuna

azienda. I campioni sono stati analizzati per grasso, pro-

teine, lattosio, residuo secco magro (RSM), indice crio-

scopico (IC), carica batterica totale (CBT) e cellule soma-

tiche (SCC) e ricerca di residui di antibiotici e sulfamidi-

ci.

I dati relativi alla qualità del latte sono stati sottoposti ad

analisi statistica descrittiva con il software JMP (SAS

Institute) e sono stati esaminati i valori ottenuti nei vari

punti delle liste di controllo.

Risultati e discussioneI risultati dei sopralluoghi nei caseifici hanno portato a

definire per ciascuna azienda il valore e la classe di

rischio secondo la seguente tabella:

Tabella 3.

Valore e classe di rischio dei quattro caseifici che producono Pecorino di Lucardo

L’azienda A ha ottenuto un punteggio eccellente rispet-

to alle aziende B e C che si classificano a rischio elevato

anche se con punteggi molto vicini al valore atteso di

normalità.

Azienda Valore del rischio Classe di rischio

A 62 3

B 42 2

C 39 2

D 18 1

59

L’azienda D ha presentato diverse carenze sia legate ai

requisiti delle strutture, impianti ed attrezzature sia per

la mancanza del piano di autocontrollo.

Gli aspetti che hanno fatto registrare le maggiori diffe-

renze sono:

1. Requisiti di strutture, impianti e attrezzature:• mancanza di asciugamani a perdere nei lavandini

• porta del bagno non autochiudente

• lavandino del bagno con comando manuale

• mancanza di contenitori portarifiuti

• mancanza del termometro nella cella frigorifera

2. Manutenzione e gestione igienica sanitaria di strutture, impianti ed attrezzature

• insufficiente manutenzione alle macchine

per il confezionamento, delle tavole nelle celle

frigorifere, degli armadietti del personale

e della porta delle celle frigorifere

• presenza di mattonelle rotte

• pareti con intonaco cadente

• reti antimosche rotte

• dispositivi della porta della cella frigorifera

non idonea

3. Requisiti dell’autocontrollo• non previsione della revisione del piano

• mancanza delle schede tecniche dei prodotti

• non definizione delle misure correttive

• procedure di disinfestazione e derattizzazione carenti

• mancanza di procedure per la bollatura sanitaria

• mancanza di procedure per reclami e resi

• mancanza di procedure per tarature strumenti

• mancanza di procedure per il controllo dell’acqua

• mancanza del piano di autocontrollo

4. Misure di applicazione dell’autocontrollo• registrazioni del monitoraggio CCP non regolari

60

• assenza di verifiche del programma di derattizzazione

• mancanza di registrazione degli interventi

di manutenzione straordinaria e ordinaria

• mancanza di documentazione attestante formazione

del personale

La qualità del latte prodotto e trasformato dalle singole

aziende è risultata variabile, tuttavia le differenze in

media fra grasso, proteine, lattosio, RSM e IC non sono

significative fra loro. Per converso, CBT e SCC sono

risultate in media più basse nell’azienda A rispetto alle

altre tre aziende, confermando che ad una valutazione

positiva del caseificio corrisponde pure una gestione

complessiva dell’allevamento eccellente, come visualiz-

zato nella tabella seguente

Tabella 4.

Risultati della qualità del latte di massa aziendale delle quattro aziende

che producono Pecorino di Lucardo

* Valori con le stesse lettere non differiscono significativamente

Azienda Grasso% Proteine % Lattosio % RSM % IC(°C) CBT x 1000* SCC x 1000*

A 6,12 5,17 4,80 11,08 -0,560 558,25 B 523,67 B

St. Dev. 1,93 0,98 0,22 0,14 0,02 869,02 197,37

B 5,96 5,56 4,82 11,04 -0,560 974,17 A 2.433,00 A

St. Dev. 0,43 0,11 0,11 0,07 0,023 1265,23 832,385

C 5,82 5,55 4,85 11,04 -0,570 2.434,67A 1.976,71 A

St. Dev. 0,35 0,12 0,07 0,13 0,01 1.731,68 246,40

D 6,40 5,60 4,74 11,04 -0,580 2.096,75 A 1.384,20 A

St. Dev. 0,55 0,22 0,11 0,18 0,02 1.640,43 531,47

Total 6,07 5,47 4,80 11,05 -0,569 1.515,95 1.579,39

St. Dev. 0,25 0,19 0,04 0,02 0,01 892,95 824,45

61

In conclusione, l’applicazione della lista di controllo in

piccoli caseifici aziendali è risultata uno strumento utile

per classificare il rischio igienico sanitario delle singole

aziende che, ad eccezione di una, non presentano gravi

problemi legati all’assetto impiantistico-strutturale. Le

quattro aziende sono dunque in grado di rispondere al

recepimento dei nuovi regolamenti comunitari per pro-

durre il Pecorino Marzolino di Lucardo avvalendosi delle

deroghe previste dal Regolamento (CE) n. 2074/05.

Si suggerisce l’adeguamento del piano di autocontrollo

in alcune fasi soprattutto per quanto riguarda la gestio-

ne del caglio vegetale e delle attrezzature utilizzate per

la preparazione del formaggio: teli di misto lino e stec-

chi.

L’elevata variabilità della qualità del latte prodotto dalle

singole aziende, oltre agli aspetti igienico sanitari, impo-

ne una riflessione sui cambiamenti conseguenti al

miglioramento genetico delle razze allevate ed alle tec-

niche di allevamento con particolare riguardo all’ali-

mentazione. Le caratteristiche organolettiche del latte

prodotto sono sicuramente diverse da quelle del latte

utilizzato per la produzione del Pecorino di Lucardo

descritto nelle fonti storiche. Sarebbe dunque necessario

un approfondimento tecnologico-caseario che, grazie

agli strumenti ed alle conoscenze oggi disponibili, può

portare a risultati qualitativi eccellenti e forse superiori

rispetto a quelli riportati nelle fonti storiche.

62

63

CONCLUSIONI

Roberto Scalacci

La valorizzazione dei prodotti tradizionali toscaniNegli ultimi anni, l’agricoltura si è affermata sia come

settore strategico dello sviluppo economico sia come set-

tore innovativo nella valorizzazione delle proprie pecu-

liarità. L’esaltazione della tradizione in agricoltura è un

elemento vincente per la qualità dei prodotti e per le

valenze ambientali, culturali e storiche del lavoro degli

agricoltori. Qualità e tradizione, sono elementi che,

accanto alla rappresentanza e della difesa del reddito

degli agricoltori, hanno rappresentato il riferimento

costante del lavoro della Cia Toscana e dei suoi Istituti e

Associazioni. La nostra Associazione sta elaborando

politiche per sviluppare azioni che permettano agli agri-

coltori di usufruire delle opportunità offerte dalla nuova

definizione di imprenditore agricolo, favorendo anche la

trasformazione diretta delle produzioni e quindi l’acqui-

sizione di un valore aggiunto dalla vendita dei prodotti

ottenuti. Occorre però rafforzare le iniziative per la com-

petitività dell’impresa agricola con particolare riferi-

mento alla valorizzazione delle produzioni territoriali di

qualità e alla loro commercializzazione.

Purtroppo negli ultimi anni assistiamo a un fenomeno di

visione “romantica” o “idilliaca” dell’agricoltura e dei

prodotti agricoli, mentre sappiamo bene, che accanto

all’idealizzazione del settore occorrono anche azioni che

permettano di lavorare e produrre reddito. L’agricoltura

non è solo una bella storia da vendere al pubblico, gli

agricoltori devono tornare ad essere gli interpreti princi-

pali e non fungere solo da fonte di ispirazione per chiun-

que chicchessia. I veri protagonisti, dello sviluppo rura-

le e della tradizione agricola e alimentare, sono gli agri-

coltori e le loro imprese.

DOP (Denominazione d’Origine Protetta), IGP

(Indicazione d’Origine Protetta), STG (Specialità

Tradizionali Garantite), metodi di produzione integrata

e biologico, PAT (Prodotti Agricoli Tradizionali regiona-

li), sono validi strumenti di valorizzazione, i quali però

hanno bisogno di essere interpretati in modo diversifi-

cato. Per la certificazione di una Denominazione di ori-

gine occorrono importanti risorse e quindi notevoli

quantità di prodotto e di produttori aggregati in

Consorzi forti. Non tutti i prodotti possono beneficiare

dello stesso strumento, occorre diversificare l’adesione

ai diversi contesti e cercare denominatori comuni.

La Cia ritiene che anche le produzioni tradizionali

Toscane censite ai sensi del D.Lgs.173/98 possono rap-

presentare un momento di traino per la nostra regione.

Una modalità efficace di qualificazione di produzioni

che non hanno una massa critica sufficiente ad ambire

alla DOP o alla IGP. Produzioni limitate, riscoperte e

definite dalle Regioni ed iscritte nell’elenco nazionale

dei prodotti agro-alimentari tradizionali, sono caratteri-

stiche di un ambiente locale nel quale l’uomo agricolto-

re ed artigiano ha elaborato alimenti eccellenti, utiliz-

zando tecniche molto semplici, spesso familiari, evolute

in armonia con la natura dei luoghi e consolidate nel

tempo.

Questa categoria di prodotti, o meglio questa qualifica-

zione, rappresenta una valida opportunità di sviluppo

per i prodotti agricoli e artigianali alimentari di limitate

dimensioni produttive, anche come espressione di un

modello di civiltà alternativo a quello della globalizza-

zione.

64

Tuttavia, i prodotti agro-alimentari tradizionali (PAT)

devono ancora trovare un maggiore collegamento al tes-

suto economico-produttivo e al contesto socio-culturale

locale, contribuendo al rafforzamento dell’immagine del

territorio della cultura e delle tradizioni delle aree di cui

sono patrimonio. È fondamentale, in questo senso,

attuare una strategia attraverso la creazione di un siste-

ma radicato nei sistemi agricoli territoriali. In particola-

re, necessita una politica di promozione degli strumenti

di tutela – come marchi collettivi, costituzione di comi-

tati locali – volta ad individuare strumenti in regime di

autodisciplina – come i consorzi tra produttori – che

possano garantire la lealtà e la costanza dei produttori

nella applicazione delle schede di prodotto censite

dall’Arsia42. Occorre agevolare l’uso in etichetta della

dicitura “prodotto tradizionale della Toscana” di cui

all’art.8 del D.Lgs 173/98, stabilendo le modalità di

garanzia dell’ autenticità delle produzioni tradizionali

che in questa dicitura possono essere contenute, senza

spingere tutti verso una DOP o una IGP, che invece

devono riguardare solo alcune produzioni sufficiente-

mente strutturate.

Le DOP e le IGP devono restare uno strumento per un

numero limitato di produzioni pregiate e sufficiente-

mente attrezzate, in questo senso lo slogan “tutte DOP

nessuna DOP” descrive esattamente il rischio che cor-

riamo nell’estendere questo strumento a troppi prodot-

ti. L’esperienza del progetto del Pecorino di Lucardo,

finanziato dall’Arsia, rappresenta un primo progetto,

65

42) Cfr. ALBERTI A., G. PASCUCCI, R. SCALACCI, R. TOVOLI, Appunti per laqualificazione e valorizzazione delle produzioni tipiche e di qualità, con la collabora-

zione di V. Vannelli, Agritec, Firenze 2002 e Atti della Giornata di lavoro di

Firenze “Oltre le Dop” – 7 dicembre 2005, a cura del Centro studi per la qualità

dell’Accademia dei Georgofili e dell’ ARSIA Regione Toscana, Firenze 2006.

che abbiamo definito pilota, per sviluppare esempi di

creazione di una microfiliera che possa divenire una

opportunità di reddito e di preservazione della tradizio-

ne.

La Tradizione ha un importante valore evocativo, come

messo in evidenza da alcuni lavori delle università

toscane43 e la realizzazione di un sistema di valorizza-

zione territoriale, insieme alla costituzione di consorzi di

produttori, può consentire di usufruirne. Gli agricoltori

toscani hanno aderito in modo consistente alla scelta di

produrre qualità, ma al loro impegno deve seguire

anche un’azione delle Istituzioni che colga la comples-

sità delle produzioni di qualità della nostra regione,

come opportunità diversificate di caratterizzazione

delle produzioni agricole.

Occorre un maggiore coordinamento degli strumenti

pubblici regionali e locali, che agevoli una rinnovata

strategia di filiera ed intersettoriale, per la valorizzazio-

ne, promozione e commercializzazione dei prodotti di

tutte le qualità pregiate della Toscana.

Con questo lavoro sul Pecorino di Lucardo è stato uti-

lizzato, infine, un metodo che ci sembra utile ripercorre-

re con altri prodotti.

Il metodo si è riferito infatti a un modello interdiscipli-

nare, avvalendosi di un gruppo di lavoro completo di

esperienze sia private – gli agricoltori, gli artigiani per la

stagionatura, i tecnici agricoli del Cipaa.at Sviluppo

rurale, uno studioso di Storia dell’agricoltura, un

66

43) Si veda AA.VV, Alle radici dei prodotti agroalimentari tradizionali della Toscana,

a cura di Laura Cassi e Monica Meini ARSIA Regione Toscana, Firenze, 2001 e

AA.VV., Guida per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici – concetti meto-di e strumenti, a cura di Arsia Toscana, Dipartimento di Agronomia e gestione

degli agrosistemi (Università di Pisa), Dipartimento di scienze economiche

(Università di Firenze), ARSIA Regione Toscana, Firenze 2006.

Veterinario, una ditta di tecnologie informatiche di rile-

vazione (la CEAM di Empoli) – sia pubbliche – con

l’Arsia, l’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle

Regioni Lazio e Toscana e l’Asl.

Il recupero ha richiesto d’altronde un’indagine rigorosa,

tanto sotto il profilo storico e delle tradizioni, quanto per

la parte tecnico-scientifica rispetto alle tecnologie ali-

mentari e igienico sanitarie.

La Confederazione italiana agricoltori, sapendo che la

storia e le tradizioni sono le fondamenta del futuro, li

considera un patrimonio da non disperdere e quindi

proseguirà questo lavoro di riscoperta e caratterizzazio-

ne con questo prodotto e anche con altri prodotti regio-

nali.

Questo progetto è stato possibile grazie all’entusiasmo

di molte persone. Un ringraziamento particolare va agli

Imprenditori che vi hanno collaborato, Domenico

Caboni, Maria Rita Deidda e Giovanni Porcu, Stefano

Gregu, non per ultimi Tamara Amadii e Paolo Piacenti

intervenuti anche nella redazione di questo resoconto, i

quali, nonostante le difficoltà logistiche e operative

hanno fatto in modo di coniugare il loro lavoro con la

nostra attività, mettendoci a disposizione, oltre al

tempo, l’esperienza, le tecniche e la loro passione. E

ancora un ringraziamento è per il prezioso supporto

ricevuto da Natale Bazzanti e Carla Lazzarotto

dell’Arsia Toscana, dalla Cia Firenze, dalla Cia Siena, da

Forme d’Arte-Formaggi (Certaldo), dalla sezione di

Firenze dell’Istituto zooprofilattico, dalla sezione di

Siena dell’Istituto zooprofilattico, dalla ASL 7 di Siena,

dal Comune di Montespertoli e dal Circondario

Empolese Val d’Elsa, dalla CEAM Equipment (Empoli),

dall’Azienda Agricola Podere del Grillo (San Miniato),

67

dall’Azienda agricola Camporbiano (San Gimignano),

da Giuseppe Ferrara, Gianni Vonci, Antonio Pugliese,

Francesca Camilli, Fabio Panchetti e Beatrice Pazzagli.

Senza la sinergia che si è creata tra tutti non avremmo

nuovamente assaggiato il Pecorino “Marzolino di

Lucardo”.

68

APPENDICE DOCUMENTARIA

I PRODOTTI TRADIZIONALI IN TOSCANA(ART. 8 - D.LGS. N. 173/98)

I prodotti tradizionali sono stati definiti, (D. Mipaf

350/99, D.M. 18 luglio 2000 e s.m) come quei "prodotti lecui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturarisultano consolidate nel tempo, praticate sul territorio inmaniera omogenea e secondo regole tradizionali, comunqueper un periodo non inferiore ai 25 anni". Questa categoria di prodotti o meglio questa qualifica-

zione di alcune produzioni, nasce dalle disposizioni

contenute nell’art. 8 del D.Lgs. n. 173/98 “Disposizioni

in materia di costi di produzione per il rafforzamento

strutturale delle imprese agricole” e dal successivo

decreto di attuazione del Ministero delle politiche agri-

cole e forestali n. 350 dell’8 settembre 1999. Questi primi

provvedimenti hanno consentito l’avvio delle operazio-

ni di mappatura dei prodotti tradizionali. In Toscana nel

1999 la Regione ha incaricato l’Arsia (Agenzia regionale

per lo sviluppo e l’innovazione nel settore agricolo e

forestale) di effettuare tale ricognizione e l’Agenzia, in

collaborazione con le organizzazioni professionali agri-

cole ed altri soggetti interessati, ha compilato il primo

elenco regionale approvato con la Deliberazione di

Giunta Regionale n° 551 del 29/05/2000 e Allegato n. 1

e A.

Per tali prodotti, inseriti poi nell’Elenco Nazionale dei

Prodotti Agroalimentari Tradizionali istituito presso il

Ministero delle Politiche agricole, annualmente aggior-

nato, non è prevista la protezione della designazione

d’origine in quanto l’indicazione dell’area geografica di

69

70

provenienza è unicamente finalizzata alla definizione

del prodotto e non costituisce indicazione di provenien-

za ai sensi della legislazione vigente. Se necessario al

mantenimento delle caratteristiche di tradizionalità e

fatto salvo l’assenza di eventuali rischi per i consumato-

ri, per tali produzioni è possibile accedere a delle dero-

ghe alla normativa igienico sanitaria, così come previsto

all'art. 4 del Decreto Mipaf 350/99, dal Regolamento CE

2074/2005 e dall’intesa tra il Governo e le Regioni e le

Province autonome di Trento e di Bolzano del 25 gen-

naio 2007.

L’ISCRIZIONE IN ELENCO

Le procedure di identificazione e riconoscimento.

Per iscrivere un prodotto tradizionale nell’elenco nazio-

nale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali si deve

effettuare una ricerca sulle tecniche dimenticate o in via

di estinzione, una ricerca antropologica della persisten-

za di comportamenti e tradizioni, oltre che un’analisi di

esperienze e progetti imprenditoriali di opportunità e

potenzialità di sviluppo, proporre al Ministero, nel tra-

mite della Regione, gli eventuali aggiornamenti degli

elenchi, modificando quelle già presenti o inserendo

nuove schede-prodotto.

L’elenco dei prodotti tradizionali della Toscana può

essere aggiornato annualmente con l’inserimento di

nuove schede e/o la modifica di quelle già presenti, che

possono essere consultate su web all’indirizzo

http://germoplasma.arsia.toscana.it/pn_prodtrad/index.php.Le richieste di aggiornamento possono essere promosse

sia da soggetti pubblici che da privati, seguendo una

procedura che contempla la compilazione di una speci-

fica modulistica scaricabile dallo stesso sito web

dell’Arsia Toscana.

Le informazioni richieste per la compilazione della

modulistica concernono i dati relativi al soggetto che

promuove la modifica o l’inserimento di un nuovo pro-

dotto, i dati relativi all’identificazione del prodotto,

eventuali richieste di deroga alla normativa igienico

sanitaria e tutte le informazioni sul prodotto (storiche,

merceologiche, iniziative ecc..). Le richieste di nuovi

inserimenti o di modifica alle schede dei prodotti già

inseriti devono essere proposte direttamente all’Arsia

Toscana.

LA SEGNALAZIONE DEI PRODOTTI

Per le richieste di nuovi inserimenti, oltre all’invio carta-

ceo, è necessario l’invio della documentazione per posta

elettronica, all’indirizzo: [email protected]

na.it, mentre le domande per la richiesta di modifica dei

prodotti già presenti nell’Elenco possono essere inviate

indifferentemente via e-mail, fax o per posta normale.

L’indirizzo a cui inviare la documentazione cartacea è:

Settore "Tutela e valorizzazione delle produzioni agroa-

limentari" A.R.S.I.A. Via Pietrapiana, 30 50121 Firenze;

il Fax: 055/2755234. Le richieste possono essere trasmes-

se entro il 31 ottobre di ogni anno.

A ciascuna richiesta di nuovo inserimento deve essere

allegato un documento, compilato in ogni sua parte, che

certifichi la presenza del prodotto sul territorio da alme-

no 25 anni. Occorre, inoltre, allegare alla scheda da inse-

rire, una immagine fotografica del prodotto ed una

breve relazione storica.

Tutta la documentazione pervenuta è oggetto di valuta-

71

zione da parte degli uffici competenti dell’ARSIA che

verificano la completezza e la chiarezza delle informa-

zioni nonché la rispondenza, del prodotto del quale si

richiede l’inserimento, alle indicazioni normative.

L’Arsia può eventualmente richiedere anche approfon-

dimenti ed integrazioni al materiale inviato. Una volta

completato il lavoro di aggiornamento l’ARSIA, entro il

12 aprile di ogni anno, invia copia della documentazio-

ne alla Giunta Regionale segnalando eventuali proble-

matiche che possono essersi verificate nel corso della

valutazione. La Giunta Regionale procede successiva-

mente all’approvazione dell’Elenco con le relative sche-

de, attraverso un apposito Decreto Dirigenziale (prima

con Delibera di Giunta regionale) e successivamente

invia il nuovo Elenco aggiornato al Ministero delle

Politiche Agricole e Forestali per l’aggiornamento

dell’Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari

Tradizionali.

LE SCHEDE DI PRODOTTO (SPECIFICHE PRODUTTIVE)

Le schede di prodotto devono essere chiare ed essenzia-

li, evidenziare le specifiche di prodotto e/o materia

prima e/o processo, che caratterizzano il prodotto tradi-

zionale differenziandolo da quelli similari, tanto dal

punto di vista produttivo, quanto da quello percettivo

del consumatore, devono fare riferimento ai caratteri di

tradizionalità ed essere centrati essenzialmente su:

- metodologie produttive agricolo-artigianali,

- uso consolidato nel tempo,

- ambito territoriale specifico.

Le modalità produttive devono essere basate su fattori

72

oggettivi, per i quali è possibile fornire evidenza, speci-

ficando eventuali peculiarità di processo, anche igienico

sanitarie, per individuare eventuali deroghe.

Gli elementi caratterizzanti il prodotto che devono esse-

re indicati nella scheda di produzione approvata dalla

Regione sono:

- la categoria merceologica;

- il nome del prodotto, compresi sinonimi e nomi

dialettali;

- il territorio interessato alla produzione;

- la descrizione sintetica del prodotto;

- la descrizione delle metodiche di lavorazione,

conservazione e stagionatura;

- la descrizione dei materiali, attrezzature e locali

utilizzati per la preparazione ed il condizionamento;

- la descrizione delle caratteristiche dei locali

di lavorazione, conservazione e stagionatura

normalmente in uso per ogni prodotto;

- i quantitativi prodotti

- gli elementi che dimostrano che le metodiche sono

state praticate in maniera omogenea e secondo regole

tradizionali per un periodo non inferiore ai 25 anni.

In ultimo, è possibile allegare alla scheda produttiva

anche un proposta motivata di eventuali deroghe, che

consentano di conservare la tradizionalità dei prodotti e

corredata di procedure operative comunque in grado di

assicurare uno stato soddisfacente di igiene e sicurezza.

LE DEROGHE DEI PRODOTTI TRADIZIONALI

Le deroghe previste per questi prodotti riguardano le

procedure di lavorazione conservazione e stagionatura,

il cui uso risulta consolidato nel tempo. Forse parlare in

73

questo caso di deroghe può essere improprio, infatti, più

che una deroga ad una regola bisognerebbe parlare di

una applicazione ragionata e pertinente della regola.

Infatti, queste opportunità, possono essere concesse solo

qualora sia possibile conciliare le esigenze di buone con-

dizioni igieniche, perseguite dalla legislazione comuni-

taria, con consuetudini di lavorazioni particolari per

materiali usati, locali di lavorazione, attrezzatura. Prima

con il citato DM 350/99 e poi con il Regolamento CE

2074/2005 e l’intesa tra il Governo e le Regioni e le

Province autonome di Trento e di Bolzano del 25 gen-

naio 2007, è stato stabilito che le deroghe devono essere

accordate in presenza di procedure operative comunque

in grado di assicurare uno stato soddisfacente di igiene

e disinfezione dei materiali di contatto e dei locali nei

quali si svolgono le attività produttive, salvaguardando,

nel contempo, le caratteristiche di tipicità e salubrità e

sicurezza del prodotto, in particolare per quanto attiene

la flora specifica (ad esempio elemento essenziale per la

stagionatura dei formaggi).

In Toscana con la Deliberazione della Giunta regionale

n.551 del 29 maggio 2000 è stato disposto il primo elen-

co regionale e le relative deroghe, tra queste oltre a spe-

cifiche pratiche correlate a singoli prodotti, compensate

dall’obbligo di operare con azioni preventive equivalen-

ti e desumibili dall’applicazione del metodo Haccp (ana-

lisi dei rischi e punti critici di controllo), anche la possi-

bilità di applicare a tutti i prodotti tradizionali, riportati

nell’elenco, le previsioni riportate nell’Allegato A della

stessa delibera. I Contenuti dell’allegato di questa deli-

berazione sono direttamente mutuati dalle indicazioni

concernenti il rilascio dell’autorizzazione sanitaria in

agricoltura emanate con l’importante, Deliberazione

della Giunta Regionale Toscana n. 206/99. Le direttive

74

riguardanti l’agricoltura, infatti, agevolano un percorso

che, partendo da considerazioni sulla diversa concezio-

ne strutturale dei locali di lavorazione esistenti in

ambienti rurali rispetto a quelli concepiti in epoca più

recente, propongono una intensificazione delle attenzio-

ni applicative dei sistemi di autocontrollo (metodo

Haccp) per sopperire agli eventuali limiti strutturali dei

locali di lavorazione dei prodotti agroalimentari tradi-

zionali. Nelle premesse alla Direttiva emanata con DGR

n. 206 del 01/03/1999, infatti, si può tra l’altro leggere

con riferimento alla normativa sulle autorizzazioni e il

suo intreccio con le nuove norme sull’autocontrollo:

“Considerando che le norme recentemente entrate in vigorenon hanno abrogato le leggi vigenti in materia, in presenzapertanto di una sovrapposizione di disposizioni ispirate amodelli concettuali diversi se non, per certi aspetti, tra di loroin contrasto, si rende necessario in questa fase coniugare ilregime precedentemente esistente ai nuovi orientamenti. Taleesigenza e’ tanto più marcata in agricoltura, dove specifichecondizioni strutturali e di lavorazione, molto spesso caratte-rizzate dall’obiettivo comune di salvaguardare sistemi produt-tivi tradizionali, hanno da sempre costituito ostacolo all’appli-cazione di norme rigide e generali”.

L’ ELENCO DEI PRODOTTI TRADIZIONALI TOSCANI

I risultati dell’indagine territoriale compiuta dall’Arsia

nel 1999-2000 ha portato all'individuazione di 302 pro-

dotti e questo primo elenco è stato approvato dal

Mi.P.A.F che li ha pubblicati con il DM 18 luglio 2000.

Per 63 dei 302 prodotti sono stati individuati i rischi ed i

possibili pericoli che possono generarsi durante le fasi di

75

lavorazione del prodotto, nonché le procedure operative

di buona prassi igienica in grado di assicurare uno stato

soddisfacente di igiene e disinfezione dei materiali

oggetto di contatto e dei locali nei quali si svolgono le

attività produttive, salvaguardandone le caratteristiche

di tipicità, salubrità e sicurezza del prodotto.

Nel 2000-2001, a seguito delle richieste di modifiche

delle vecchie schede e di inserimenti di nuovi prodotti

l’elenco ha raggiunto i 365 prodotti e l'aggiornamento

dei prodotti agroalimentari tradizionali toscani è stato

approvato con Delibera di Giunta Regionale n. 150 del

12/02/01. Gli elenchi di tutte le Regioni italiane sono

stati poi approvati dal Mi.P.A.F. con il DM 8 maggio

2001 integrato con il D. Mi.P.A.F 19 giugno 2001.

Le nuove segnalazioni ed inserimenti, coordinate da

uno specifico ufficio dell’Arsia, hanno portato nel 2002

l’elenco dei prodotti agroalimentari toscani a 372 pro-

dotti. Il relativo elenco è stato approvato con Delibera di

Giunta Regionale 363 del 15/04/02. Nel 2003 l’aggior-

namento dell’elenco ha portato nuovi inserimenti. Sono

stati segnalati 26 nuovi prodotti, alcuni sono stati elimi-

nati e/o accorpati fino ad un numero totale di 398 pro-

duzioni agroalimentari tradizionali. L'elenco è stato

approvato con Del. G.R. 273 del 24/03/03. A seguito di

ulteriori accorpamenti, l'ammontare dei prodotti iscritti,

con l'aggiornamento del 2004 , risultava di 424. L’elenco

è stato approvato con Del. G. R. n. 279 del 29/03/04. Nel

2005 l’elenco è passato a 440 prodotti ed è stato appro-

vato con Del. G.R. n. 496 del 05/04/05; i prodotti censi-

ti sono passati a 451 nel 2006 (elenco approvato con

Decr. Dir. 1778 del 13/04/2006) ed è in corso di aggior-

namento l’approvazione dell’elenco per l’anno 2007,

arrivando così a 455 prodotti censiti.

76

77

NOTIZIE SUGLI AUTORI

Giovanni Aggravi è dirigente veterinario presso l’Azienda

Sanitaria Locale USL 7 di Siena, si occupa di igiene degli alle-

vamenti e delle produzioni zootecniche ed in particolare della

filiera del latte.

Alessandra Alberti è agronoma, presidente del Cipa.at SR

Toscana e si occupa di servizi di sviluppo agricolo e rurale

coordinando regionalmente l’attività dei tecnici della CIA

Toscana.

Tamara Amadii è un imprenditrice agricola della Val d’Orcia,

alleva pecore, capre e suini di cinta senese. Produce formaggio

a latte crudo con caglio vegetale (presura), salumi, farine e

pasta di grano, tutto secondo il metodo dell’agricoltura biolo-

gica.

Giovanni Brajon è veterinario dirigente della Sezione di

Firenze dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni

Lazio e Toscana.

Maria Gabriella Perfetti è dirigente veterinaria presso la

Sezione di Siena dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale

delle Regioni Lazio e Toscana, si occupa di sanità , igiene degli

allevamenti e delle produzioni zootecniche

Alessandro Petreni è tecnico della prevenzione presso

l’Azienda Sanitaria Locale USL 7 di Siena.

Paolo Piacenti è un imprenditore artigiano, stagiona/affina e

commercializza formaggi rari, è titolare dell’impresa “Forme

d’arte” di Certaldo, si occupa anche di prodotti di qualità nel-

l’agroalimentare.

Cristina Pizzetti è responsabile provinciale per il Cipa.at di

Siena, dei servizi per l’assistenza alle imprese agricole per l’i-

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giene degli alimenti e del settore della formazione.

Alberto Profumo è veterinario, libero professionista e si occu-

pa di sanità e qualità delle produzioni animali.

Roberto Scalacci coordina i servizi regionali, per l’assistenza

alle imprese agricole per la valorizzazione della qualità delle

produzioni agricolo alimentari, del Cipa.at SR Toscana. Si

occupa per la CIA Toscana di sviluppo rurale, legislazione ali-

mentare e vitivinicola.

Annamaria Stopponi è responsabile provinciale, per la Cia di

Siena, dei servizi per l’assistenza alle imprese agricole alla

valorizzazione e promozione delle produzioni agricole nel ter-

ritorio senese e dei servizi alle imprese agricole per la sicurez-

za del lavoro.

Daniele Vergari agronomo e studioso di storia dell’agricoltu-

ra è Presidente dell’Associazione G.B. Landeschi, recentemen-

te fondata a San Miniato (PI) con il sostegno della Fondazione

Cassa di Risparmio di San Miniato, per promuovere il connu-

bio fra ricerca storica e agricoltura.

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Finito di stampare nel mese di maggio 2007

presso le Grafiche Leonardo sas

Via Volta, 50 - San Miniato Basso (Pi)

Tel. 0571.401241 - [email protected]