Incardona e il Gd M-1

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1 Gaetano Messina Nunzio Incardona e il «Giornale di Metafisica» (19822003) Quando a cinquantaquattro anni, nel 1982, Nunzio Incardona è designato alla direzione del «Giornale di Metafisica» i fondamenti del suo pensiero hanno ricevuto da tempo il loro statuto unitario e sono entrati nel dibattito della filosofia contemporanea (1). L’universo ideale di Nunzio è già una costruzione autonoma e originale che, senza abbandonare gli orientamenti speculativi di Michele Federico Sciacca, ne propone una personale interpretazione. Essa si richiama soprattutto alla dottrina dell’«integralità», rivissuta come esigenza di portare allo scoperto i nuclei più profondi della nostra «interiorità», oscuri e amletici a noi stessi, difficilmente esternabili e significabili agli altri. Quest’«interiorità» è tuttavia illuminata da una notevole apertura al versante metafisico, il quale non è luogo d’immobili certezze ma centro d’intensa attività dialettica. Di fronte ad esiti antinomici, la mente del nostro filosofo è continuamente sospinta a vagliare le ragioni dei singoli sistemi e a verificarne persino le valenze lessicali. Il discorso interiore gli si snoda per sentieri impervi, che celano ostacoli e pericoli di deviazione. Nasce da qui, ed è una cifra ricorrente in tutte le pagine di Nunzio, la «fatica» del pensare (2), che richiede una continua riorganizzazione delle risorse intellettuali. In questa congiuntura, le strutture autoctone, che reggono le basi della filosofia di Incardona, si proiettano, per così dire, sulla lingua e la modellano in modo da farla corrispondere esattamente alle configurazioni della mente. Si realizza così un immediato passaggio dall’ordine dei concetti all’ordito delle parole, tale da tradurre senza dilegui e dissipazioni il fitto intreccio dei ragionamenti. Lo strumento di quest’adeguazione è il particolarissimo linguaggio di Nunzio, la cui originalità attrae immediatamente l’attenzione del lettore. Incardona espone le sue idee collocandole in uno scrigno di letteraria eleganza con una tensione stilistica che si traduce non di rado in autentica prosa d’arte. La sua pagina è concepita come una «partitura», nella quale i segni della comunicazione, uscendo dai loro confini lessicali, diventano segnali di rinvio e di ostensione, ossia si rifanno o alludono a ben precisi nuclei speculativi, estrapolati dai più vari domini della filosofia. Un tale linguaggio dunque non solo «comunica» per concetti, ma abbonda anche di suggestioni e immagini, che concorrono alla formazione del carattere «ermeneutico» del testo. La scrittura di Incardona è pertanto «densa», per l’assiepamento di periodi, ordinati in plessi sintattici di straordinaria lunghezza, e organicamente «retorica», nel senso che in essa convivono tutte le metafore e le figure dell’oratoria, non per un vuoto gioco stilistico, ma con peculiari funzioni semantiche e strutturali (3). Queste notazioni preliminari intorno ai presupposti teoretici della filosofia di Nunzio e intorno alle peculiarità della sua scrittura, ci consentono di entrare in argomento senza altri indugi. Intendiamo qui presentare una breve rassegna della produzione scientifica del Nostro consegnata nelle pagine del «Giornale» durante il ventennio 19822002. Nel corso dell’esposizione, s’informeranno i lettori sui lavori di Incardona editi in altri sedi e sulle iniziative congressuali da lui promosse. Cercheremo di costruire una sintesi che consenta di recuperare in grandi linee la storia del pensiero del nostro filosofo, continuando il quadro d’insieme da lui stesso tratteggiato (4) e tenendo conto delle intenzioni programmatiche espresse nel I volume (unico uscito, purtroppo) della sua Opera omnia (5). Nell’ambito dei contributi pubblicati nel «Giornale», il decennio 19821991 è caratterizzato da un certo numero di saggi storiografici, in cui Nunzio, partendo dall’esame di singole opere, dà una convincente prosopografia degli autori e ne discute con minuziosa acribia le emergenze dottrinali facendo intendere se e come si configurino rispetti ai canoni

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Gaetano  Messina    Nunzio  Incardona  e  il  «Giornale  di  Metafisica»  (1982-­‐2003)    

 Quando  a  cinquantaquattro  anni,  nel  1982,  Nunzio  Incardona  è  designato  alla  direzione  

del   «Giornale   di  Metafisica»   i   fondamenti   del   suo  pensiero  hanno   ricevuto  da   tempo   il   loro  statuto   unitario   e   sono   entrati   nel   dibattito   della   filosofia   contemporanea   (1).   L’universo  ideale   di   Nunzio   è   già   una   costruzione   autonoma   e   originale   che,   senza   abbandonare   gli  orientamenti   speculativi   di   Michele   Federico   Sciacca,   ne   propone   una   personale  interpretazione.   Essa   si   richiama   soprattutto   alla   dottrina   dell’«integralità»,   rivissuta   come  esigenza   di   portare   allo   scoperto   i   nuclei   più   profondi   della   nostra   «interiorità»,   oscuri   e  amletici   a   noi   stessi,   difficilmente   esternabili   e   significabili   agli   altri.   Quest’«interiorità»   è  tuttavia   illuminata   da   una   notevole   apertura   al   versante   metafisico,   il   quale   non   è   luogo  d’immobili   certezze  ma   centro   d’intensa   attività   dialettica.   Di   fronte   ad   esiti   antinomici,   la  mente  del  nostro  filosofo  è  continuamente  sospinta  a  vagliare  le  ragioni  dei  singoli  sistemi  e  a  verificarne  persino  le  valenze  lessicali.   Il  discorso  interiore  gli  si  snoda  per  sentieri   impervi,  che  celano  ostacoli  e  pericoli  di  deviazione.  Nasce  da  qui,  ed  è  una  cifra  ricorrente  in  tutte  le  pagine  di  Nunzio,  la  «fatica»  del  pensare  (2),  che  richiede  una  continua  riorganizzazione  delle  risorse  intellettuali.      

In   questa   congiuntura,   le   strutture   autoctone,   che   reggono   le   basi   della   filosofia   di  Incardona,   si   proiettano,   per   così   dire,   sulla   lingua   e   la   modellano   in   modo   da   farla  corrispondere   esattamente   alle   configurazioni   della   mente.   Si   realizza   così   un   immediato  passaggio   dall’ordine   dei   concetti   all’ordito   delle   parole,   tale   da   tradurre   senza   dilegui   e  dissipazioni   il   fitto   intreccio   dei   ragionamenti.   Lo   strumento   di   quest’adeguazione   è   il  particolarissimo   linguaggio   di   Nunzio,   la   cui   originalità   attrae   immediatamente   l’attenzione  del  lettore.  Incardona  espone  le  sue  idee  collocandole  in  uno  scrigno  di  letteraria  eleganza  con  una   tensione   stilistica   che   si   traduce  non  di   rado   in   autentica  prosa  d’arte.   La   sua  pagina   è  concepita   come   una   «partitura»,   nella   quale   i   segni   della   comunicazione,   uscendo   dai   loro  confini  lessicali,  diventano  segnali  di  rinvio  e  di  ostensione,  ossia  si  rifanno  o  alludono  a  ben  precisi   nuclei   speculativi,   estrapolati   dai   più   vari   domini   della   filosofia.   Un   tale   linguaggio  dunque  non  solo  «comunica»  per  concetti,  ma  abbonda  anche  di  suggestioni  e  immagini,  che  concorrono   alla   formazione   del   carattere   «ermeneutico» del testo. La scrittura di Incardona è pertanto «densa»,   per   l’assiepamento   di   periodi,   ordinati   in   plessi   sintattici   di   straordinaria  lunghezza,  e  organicamente  «retorica»,  nel  senso  che  in  essa  convivono  tutte  le  metafore  e  le  figure  dell’oratoria,  non  per  un  vuoto  gioco  stilistico,  ma  con  peculiari  funzioni  semantiche  e  strutturali  (3).  

Queste  notazioni  preliminari  intorno  ai  presupposti  teoretici  della  filosofia  di  Nunzio  e  intorno  alle  peculiarità  della  sua  scrittura,  ci  consentono  di  entrare  in  argomento  senza  altri  indugi.  Intendiamo  qui  presentare  una  breve  rassegna  della  produzione  scientifica  del  Nostro  consegnata   nelle   pagine   del   «Giornale»   durante   il   ventennio   1982-­‐2002.   Nel   corso  dell’esposizione,   s’informeranno   i   lettori   sui   lavori   di   Incardona   editi   in   altri   sedi   e   sulle  iniziative  congressuali  da   lui  promosse.  Cercheremo  di  costruire  una  sintesi  che  consenta  di  recuperare   in   grandi   linee   la   storia   del   pensiero   del   nostro   filosofo,   continuando   il   quadro  d’insieme   da   lui   stesso   tratteggiato   (4)   e   tenendo   conto   delle   intenzioni   programmatiche  espresse  nel  I  volume  (unico  uscito,  purtroppo)  della  sua  Opera  omnia  (5).      

Nell’ambito   dei   contributi   pubblicati   nel   «Giornale»,   il   decennio   1982-­‐1991   è  caratterizzato  da  un  certo  numero  di  saggi  storiografici,  in  cui  Nunzio,  partendo  dall’esame  di  singole   opere,   dà   una   convincente   prosopografia   degli   autori   e   ne   discute   con   minuziosa  acribia   le  emergenze  dottrinali   facendo  intendere  se  e  come  si  configurino  rispetti  ai  canoni  

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del  suo  credo  filosofico.  In  una  nota  editoriale  del  1982,  Incardona  informa  i  lettori  sui  criteri  che  lo  guideranno  nella  direzione  della  rivista  e  chiarisce  il  suo  rapporto  «esistenziale»  con  la  cultura   contemporanea,   lamentando   l’assenza   di   un   «interlocutore»   autentico   che   risponda  alle  domande  fondamentali  della  filosofia  (6).    

Nel  1983   Incardona  pubblica  nel  «Giornale»  un   inedito  di  Maria  Teresa  Antonelli   (7)  scomparsa   tragicamente   nell’agosto   di   quell’anno.   Nelle   pagine   dell’articolo   (8),   che   ne  commemora   l’attività   di   studiosa,   l’eredità   e   la   presenza   di   Sciacca   sono   ricordate   come  ascendenze  ideali  dell’attività  scientifica  dell’Antonelli  (9).    

Il   1984   è   l’anno   del   bilancio   critico   (10)   dei   teoremi   «onto-­‐teologici»   introdotti   da  Claude   Bruaire   (11)   nella   sua   importante   opera   L’   Être   et   l’Esprit.     Incardona   ne   rileva   le  «aperture»   concettuali  movendosi   su  due  direzioni:   da  una  parte   evidenzia   le   aporie   cui   va  incontro  il  discorso  filosofico  quando  il  terreno  del  dibattito  è  comune  dominio  di  teologia  e  filosofia;  dall’altra  colloca  l’«ontodologie»  di  Bruaire  in  una  cornice  rigidamente  razionale.  Se  la   formula   del   filosofo   francese,   la   quale   discende   dall’essenza   trinitaria,   opera   veramente  un’efficace   mediazione   tra   l’«essere»   e   lo   «spirito»,   e   «l’essere   tutto   è   un   bruciare   come  attente  d’adoration,  ‘en  esprit  et  verité’»  non  c’è  il  rischio  –  si  chiede  Incardona  –  di  bruciare  anche,  «senza  fuoco  proprio,  la  radicalità  del  pensare?».  

Gli  ultimi  due   fascicoli  del  1985  sono  dedicati   al   tema:  «La  metafisica  e   le   sue   forme  dialettiche.  Sciacca  da  Tommaso  d’Aquino  a  Platone».  Il  contributo  di  Nunzio  (12)  è  un’analisi  sulla   nativa   costituzione   del   principio   del   filosofare   condotta   su   tre   testi   fondamentali:   la  Metafisica  di  Aristotele,  la  Summa  di  S.  Tommaso,  il  S.  Agostino    di  Sciacca.  Aristotele,  partendo  dalla  sua  lettura  di  Parmenide,  sostiene  che  a  fondo  di  ogni  pensato  c’è  sempre  la  sorgiva  del  pensiero,   ogni   pensato   è   «autorivelativo»   della   sua   essenza;   S.   Tommaso   riconduce  l’intelligenza   e   l’atto   intellettivo   alle   potenze   dell’anima;   per   Sciacca,   che   si   rifà   a   Rosmini,  «l’attualità  dell’Idea  è  attualità  della  mente,  originariamente  e  per  essenza,  in  quanto  la  mente  è   intuito   dell’Idea,   cioè   atto.   Non   vi   è   “intelletto”   in   potenza;   l’intelletto,   «come   tale   è   atto  costitutivo  dell’atto  primo  o  intuito  dell’essere».    

In  un  suo  studio  del  1986  (14),  Incardona  ritorna  sul  problema  originario  e  incoativo  della   filosofia,   cioè   sull’imperativo  categorico  della   costituzione   radicale  del  pensiero.  L’atto  del   conoscere   mentre   è   rivolto   al   suo   oggetto   non   scorge   in   trasparenza   le   sue   potenze  teoretiche  originarie.  Tutte   le   filosofie  contemporanee  guardano  alle  «cose»  e  non  riflettono  su   se   stesse,   sono   legate  alla   contingenza   storica,   soffrono  del   «complesso  di  Antigone»  che  «claustra»   l’atto   morale   nella   singolarità   del   «gesto»,   negando   alla   sua   essenza   etica   di  tradursi  in  un  valore  universale.       Ai  margini  di  un  rinnovato   interesse  per   i   temi  storiografici,   stanno  due  rassegne  del  1987   occasionate   da   una   riedizione   di  Esistenza  e  persona   (15)   di   Luigi   Pareyson   e   da   una  silloge  (16):  La  filosofia  della  scienza  in  Italia  nel  ‘900,  curata  da  Evandro  Agazzi.    

Il  primo  scritto,  con  riferimento  alla  filosofia  contemporanea  considera  squilibrata  («in  bilico»)   la   relazione   tra   l’uomo  nella   sua   concreta   e   storica   esistenza   e   le   concezioni   che   lo  colgono  nella  realtà  di  un  atto  di  pensiero  (Hegel).  Sicché  si  configurano  del  tutto  giustificate  le   posizioni   del   penultimo   Schelling   che   già   avviano   la   concezione   dell’uomo   su   un   terreno  teologico.  Siamo  del  tutto  fuori  dall’idealismo  hegeliano.  Dalle  riflessioni  del  Pareyson,  il  quale  ha  posto  a  presidio  dell’uomo  «concreto»  il  pensiero  di  Kierkegaard,  si  deduce  il  teorema  che  «La  notizia  trascendentale  dell’essere  e  del  conoscere  si  esprime  e  si  risolve  nell’esistenza  e  come  esistenza»  (p.  168).  :  Per  Incardona,  le  nuove  soluzioni  additate  da  Schelling,  superato  il  «nodo  gordiano»  del  loro  intreccio,  lasciano  impregiudicata  l’apertura  alla  trascendenza:  «La relatività dell’irrelativo regola il rapporto di convivenza all’interno di questa morsa, di esistenza e criticità, storia e giudizio, persona e trascendenza. La lezione di Schelling […] insiste e valica, io ritengo, il limite di razionalità dell’irrelativo  e  rinvia  a  un  giudizio  ancora  storico,  ancora  critico  e  dunque  senza  pregiudizio  per  ogni  diversa,  radicale  concezione  dello  speculativo»  (p.  191).  

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 Il   secondo   saggio   riconosce   l’importanza   e   i   progressi   della   filosofia   della   scienza.   Il  

punto  notevole  del  contributo  di  Agazzi  è  la  storia  del  passaggio  di  questa  disciplina  dalla  sua  originaria   matrice   positivistica   (commentario   e   classificazione   delle   teorie   scientifiche)   ad  autonoma   speculazione   fondata   sui   dati   e   sui   risultati   dell’indagine   scientifica,   alla   quale  contribuiscono   sia   i   filosofi   sia   gli   scienziati.   Classificata   da   un   punto   di   vista   strettamente  filosofico  come  «epistemologia»,  la  filosofia  della  scienza  si  articola  come  abito  teoretico  di  chi  si  occupa  dei  presupposti  e  delle  procedure  del  sapere  scientifico  (Popper,  Geymonat).  Dopo  aver  presentato  e  discusso  le  tesi  degli  autori  della  sinossi,  Incardona  così  argomenta:    

 «La  nascita  accidentata  della  filosofia  della  scienza  in  Italia  intercettata  dalle  fortune  della  contingenza  storica  e  del  riflusso  non  sempre  coerente  dei  suoi  sviluppi  tematici,  guadagna  così  un  esito  che  ne  rimette  in  gioco  tutte  le  polivalenze   istituzionali   consentendone   una   prospettiva   che   salvaguardia   l’impegno   e   la   specificità   del   suo  discorso   nell’orizzonte   contemporaneo   di   un’accidia   speculativa   la   quale   se   appesantisce,   paradossalmente,   la  forza  del  pensiero  negletto,  non  per  questo  alleggerisce   il  pondus,  ancora   insondabile,  della   filosofia  e  dei  suoi  silenzi»  (pp.  346-­‐347).    

L’attività  editoriale  del  1988  non  lascia  spazio  per  la  collaborazione  al  «Giornale».  Esce,  infatti,   Kèntron   (17)   (con   la   nota   introduttiva:   Perché   pensare?   e   con   la   chiusa   A   presente  memoria),  in  cui  sono  ripresentati   i  preludi  programmatici  dei  Convegni  celebrati  negli  anni  tra   1976   e   il   1988   (18).   Vede   inoltre   la   luce   Radicalità   del   pensare   (19),   un   capitolo  fondamentale   della   filosofia   di   Nunzio,   intorno   al   quale   si   addensano   i   corollari   della   sua  personale   visione   del   mondo.   Lo   scavo   teoretico   parte   dall’«anànke   del   concetto»   (p.   8)   e  perviene  al  «costituirsi  storico  della  metafisica»  (p.  10).    È  una  discesa  graduale  in  uno  «sfero  speculativo»   in   cui   «il   costituirsi   teoretico   della   filosofia   ha   inizio   e   fine   come  metafisica.   E  questa   metafisica,   a   sua   volta,   inside,   senza   termine   che   non   sia   il   principio,   per   potenza  dialettica  del  pensare,  nella  stessa  radicalità  del  pensare»  (p.  20).  

Un  ritorno  alla  storiografia  è  il  saggio  del  1989  La  inesorabilità  della  nuda  intelligencia  in  Zubiri   (20),   nel   quale   Incardona   analizza   il   cambiamento   di   orizzonte   della   speculazione  zubiriana   che,   già   approdata   ai   lidi   dell’ontologia,   entra   ora   nella   sfera   di   attrazione   della  metafisica.   Del   pensatore   spagnolo   (21)   si   discute   l’opera   Sobre   el   Hombre   (22):   il   perno  intorno   al   quale   ruotano   le   nuove   ragioni   di   Zubiri   è   facilmente   identificabile   nella   salda   e  duttile   struttura  del   suo  pensiero.  Nunzio,  nello   specifico,   annota   le  particolarità  del   lessico  dell’autore,  che  evita  i  «tecnicismi»  e,  servendosi  del  linguaggio  ordinario,  riesce  a  esprimere  con  grande  efficacia  i  concetti  più  astratti  (p.  153).          

Il   1990   è   un   anno   denso   di   studi   e   di   attività   editoriali.   Incardona   ritorna   alla  problematica   sull’origine   del   pensiero   e   sulla   sua   radicazione   nell’umanità   e   nel   mondo.  Dall’antichità  al  dibattito   contemporaneo,   la   relazione  mondo-­‐soggetto  domina  e  guida  ogni  apertura   verso   «l’alterità»:   quest’alterità   può   però   condurre   allo   «smarrimento»,   se   non   è  penetrata  dal  soffio  vivificante  della  metafisica  (23).  Alla  personalità  e  al  percorso  teoretico  di  Alberto  Caracciolo   (24),  Nunzio,   ricordandone   la  memoria,   dedica   un  preciso   ed   esauriente  articolo  (25).  Il  carattere  austero  di  Caracciolo,  il  suo  impegno  etico  e  culturale,  balzano  dalle  pagine  del  Nostro,  che  ne  mette   in  risalto   la  centralità  dei   temi  «esistenziali»  e  ne  verifica   il  quadro  di  riferimento:  sono  gli  autori  e  le  istituzioni  culturali  sui  quali  lo  stesso  Incardona  si  è  a  lungo  criticamente  soffermato  nel  corso  della  sua  carriera  accademica.    

Una  delle  più  belle   intelligenze  di  Francia,  Xavier  Tilliette  (26),  che  qui  ci   limitiamo  a  ricordare   come   autorevolissimo   studioso   del   pensiero   di   Schelling   e   come   teorico   della  «cristologia  filosofica»,  è  stato  un  ospite  assiduo  delle  Settimane  mediterranee  (26)  e  attento  interlocutore  di  Nunzio  Incardona.  Al  centro  della  speculazione  tilliettiana  sta  appunto  l’Idea  Christi,   assunta   come   paradigma   che   connota   tutto   l’arco   della   storia   della   filosofia.   In   un  articolo  del  1991  (27),   che  s’impone  per   l’equilibrio  e   la   finezza  del  gioco  dialettico,  Nunzio  

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discute   a   fondo   i   fondamenti   della   teoria   di   Tilliette.   Riferendola   alla   propria   concezione  dell’«anànke  ontica»,  che  domina  e  costituisce  gli  stessi  inizi  del  pensiero,  Incardona  svolge  la  tesi  di  una  «illimitatezza  del  limite  assoluto»,  in  cui  si  radica  la    «koinè  teologica»,  la  quale  di  per  sé  «designa  il  divario  relativo  al  sapere  come  filosofia  e  al  sapere  come  teologia»  (p.  308).  L’Idea   Christi,   posta   sul   terreno   delle   origini   stesse   del   pensiero,   pur   ammantata   della   sua  immensa   dignità   teologica,   rischia   di   cadere   nella   dialessi   problematica   connaturata   a   ogni  inizio   di   attività   teoretica.   Una   via   di   transito,   che   potrebbe   valere   come   un’efficace  mediazione,  sembrerebbe  aprirsi  sul  terreno  dell’ultimo  Schelling,  ed  è  questo  il  percorso  di  Tilliette.  Su  questo  punto,  però,  collidono  le  ragioni  di  una  filosofia  «totale»,  che  coglie  l’uomo  nella  sua  complessità  esistenziale,  con  le  ragioni  di  una  filosofia  «reale»,  che  vede  nell’uomo  soprattutto  un  essere  pensante.  Osserva  Nunzio:  «La  cristologia  di  Tilliette  è  dunque,  in  questi  termini,  una  dialettizzazione  trascendentale  le  cui  categorie  sono  sproporzionatamente  divise  tra  l’universo  munito  e  difficile  del  disputare  filosofico  e  la  solitudine  individua  e  assoluta  di  Cristo»  (p.  381)  (28).     I   temi   in   discussione   nel   1992   ripresentano   agli   studiosi   in   versione   approfondita  alcuni  aspetti  notevoli  dell’edificio  speculativo  di  Incardona.  In  un  primo  saggio  (29)  lo  strato  proemiale  di  ogni  riflessione  è  identificato  nel  «principio  di  determinazione»:  il  principio  per  cui  il  soggetto,  presa  coscienza  di  sé,  si  riconosce  come  fonte  del  giudizio,  e  per  ciò  stesso  del  sapere.  Tradotto  in  termini  di  pura  logica,  il  discorso  di  Nunzio  si  può  considerare  la  ricerca  di  un   criterio   che   valga   a   chiarire   come   il   soggetto,   uscendo   dalla   sua   soggettività,   possa  produrre   e   avallare   giudizi   «oggettivi».   La   proposta   di   Incardona   si   articola   in   una   sorta   di  dinamismo   dialettico,   per   cui   il   soggetto,   radicalmente   costituito   come   ente   autonomo   e  assoluto,   si   affranca   dalla   sua   soggettività   e   determina   nell’altro   da   sé   un   principio   di  oggettivazione  (30).     L’altro  articolo  del  1992  (31)  mostra  una  medesima  prospettiva.  Anche  qui  si  discende  alle  scaturigini  del  pensiero  incardoniano  e  alle  «figure»  che  ne  dominano  il  paesaggio.  Prime  fra   tutte   l’inchoatio   e   l’«ananke»,   indispensabili   inserti   speculativi   che   concorrono   alla  costituzione  del  concetto.  Quest’ultimo  può  configurarsi  sia  come  «segno  diacritico»  sia  come  «contrassegno  originario»,   sicché   in   termini  dialettici   è  analizzabile  da  un   lato  come  genere  apodittico,  dall’altro  come  genere  antilogico.  Il  principio  d’identità,  che  contrappunta  nelle  sue  articolazioni   l’ordine   delle   proposizioni,   esce   dai   suoi   schemi   logici   e   si   trasfigura   in   un  «diallelo  trascendentale».   Incardona  interpreta  quindi   l’isonomia  dei  ragionamenti  antilogici    come   fenomeno   speculare   dell’attività   logica.   Nell’antilogia   «bisogna   saper   riconoscere   lo  stesso  processo  storico  della  filosofia:  una  infondata  ijsosqevneia tw`n lovgwn» (p.  366).     In   tutt’altra  direzione   ci   conduce   la   raccolta  di  massime   (32)   stesa   a  margine  di   due  classici  della   letteratura   indiana  (33)  e  di  un’opera  famosa  di  Amiel  (34).  Esse  costituiscono  una   piccola   summa   di   sapienza   filosofica,   che   è   colta   in   filigrana   nei   versi   della   poesia  sanscrita  e,  con  una  più  ampia  ricognizione,  nelle  pagine  dello  scrittore  elvetico.     Nel   1993   Incardona   si   sofferma   ancora   sulle   radici   della   conoscenza   e   ne   enumera  quasi   in   forma   catechistica   i   principi   costitutivi   (35).   Alla   base   delle   sue   argomentazioni   si  avverte   l’esigenza   di   una   ricognizione   esaustiva   dell’atto   conoscitivo:   gli   elementi   che  concorrono   alla   formazione   del   giudizio   (la   deduzione,   la   relazione,   l’identità)   escono   dalla  loro  matrice  logica  e  si  trasformano  in  puri  referenti  di  una  realtà  ontologica  (36).        La   collaborazione   al   «Giornale»   segna   nel   1994   una   pausa.   Nunzio   pubblica   nella  rivista  una  sua  breve  «allocuzione» a commento dell’Incontro di Lecce (5/6 novembre 1991), per il quale aveva proposto il tema: Metafisica e archè (37). Come sostanzioso contraltare, l’editore L’Epos presenta in questo stesso anno Interrogazione e invocazione – Gli inferi del principio (38), che raccoglie i lavori del Convegno del 1992, uno dei vertici dell’attività congressuale del nostro filosofo. Tra le relazioni, dopo una breve «introduzione tematica», Incardona colloca un suo

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contributo di notevole interesse, sia per la chiara esposizione del suo concetto di filosofia, sia per il ricco corredo di inserimenti critici che propone alla riflessione del lettore (39).

Nel 1995 il «Giornale» ospita una replica di Xavier Tilliette (40) all’articolo di Nunzio del 1991 che «recensiva» la dottrina cristologica del filosofo francese (41). Alle tardive ma concise e ben argomentate risposte dell’ospite e amico, Incardona oppone un saggio, che, al di sopra e al di là delle qualità dialettiche della sua scrittura, rivela il profilo inconfondibile del suo pensiero, le ragioni ultime e definitive del suo credo filosofico, nonché un visibilissimo segno della persistente presenza del patrimonio ideale ereditato da Michele Federico Sciacca (42). Aggiungerò che in molti passaggi c’è un presentimento, direi quasi una precognizione, del panorama culturale del nostro tempo, dei problemi d’oggi, delle inattese e spesso sbalorditive aperture d’orizzonte che connotano la nostra vita spirituale. Il teorema centrale, intorno al quale ruotano i corollari evidenziati dall’analisi di Tilliette, è ripreso da Incardona (43) con rigore esemplare: un rinnovato corredo di coerenti argomentazioni riconferma il chorismòs tra l’ajlhvqeia del   principio   e   la   filosofia  cristologica.   Contro   la   teoria   di   una   necessaria   discesa   dell’Idea   Christi   in   uno   schema  categoriale,   postulato   come   primum   di   fronte   a   ogni   iniziale   conato   del   pensare,   Nunzio  formula  un  enunciato  di  rilevante  spessore  critico,  sorretto  e  giustificato  da  una  fitta  rete  di  riferimenti   storiografici.   L’originalità   della   dimostrazione   di   Nunzio   è   immediatamente  percepibile  nell’impianto  storico-­‐ideologico  della  sua  esposizione,  che  riprendendo  le  formule  di  Tilliette,  ne   ricostruisce   l’esatta  «curvatura   semantica».  Ci   si  muove   lungo  una   traiettoria  che   parte   dall’età   arcaica   («pensiero   chimerico»),   si   sofferma   sulle   antilogie   di   Gorgia   e   sui  circuiti  dell’ajgaqovn  platonico,  e  chiude  il  suo  percorso  nelle  pagine  dei  Vangeli  e  delle  Lettere  paoline.   Nel   dibattito,   tutti   i   termini   e   le   clausole   posti   alla   base   del   diallelo   cristologico  (frourav, ajlhvqeia, chorismòs,   hypokèimenon,   anànke,   ojxuvmwro~, a[topon, apòphasis  apophàntica,  das   lebendige   Individuum,   ecc.),   sono   attentamente   introdotti   come   elementi  probanti  del  dialogo  con  Tilliette.  I  testi  biblici,  che  occupano  una  parte  cospicua  dell’articolo,  riecheggiano   i   temi   in  discussione   con  precise   allusioni   e   risonanze,   segno  di   una   completa  padronanza  della  bibliografia  esegetica.  Questo  saggio  di  Nunzio  è  da  porre  tra  i  vertici  della  sua  intera  produzione  scientifica  e  letteraria.    

In  un  altro  scritto  dello  stesso  anno  (44),  Incardona  introduce  una  breve  pericwvrhsi~ intorno   alla   struttura   formale   del   pensiero   metafisico,   pensata   come   punto   di   arrivo   dello  «statuto  socratico»  nel  «palinsesto  aristotelico».  Si  pone  cioè   la  metafisica  nelle   linee  di  uno  sviluppo   storico,   in   cui   «si   consuma»   irreparabilmente   la   sua   potenza   originaria.   I   reiterati  tentativi   di   codificare   in   lessico   e   grammatica   una   sintassi   logica   che   è   invece   legata   per  essenza   a   simboli   e   a   metafore,   hanno   creato   «nominazioni   pseudo-­‐concettuali»   che  distraggono  la  mente  dall’oggetto  contemplato.  Di  fronte  all’assoluto  dell’idea  cresce  e  nidifica  una   vegetazione   urticante   per   asperità   dialettiche.   «Ma   a   sua   volta   –   conclude   Nunzio   –   il  catalogo   dell’assolutezza   ha   principio   nella   differenza   del   principio   da   sé   stesso»   (p,   460):  cogliendo  questa  differenza  una  metafisica  è  possibile  se  si  risolve  in  una  tesi  che  è  tesi  di  sé  stessa.  

L’argomento   che   Incardona   tratta   nel   1996   (45)   è   la   prolusione   alla   raccolta   delle  relazioni   presentate   negli   Incontri   del   «Giornale   di   Metafisica»   del   1992   e   del   1993   (46).  Definito  il  logos  –  con  un  richiamo  alla  «lethicità»  di  Gorgia  –  come  un  «apparire  primordiale»,  come  una  «potenza  di  privazione»  che  genera  un  «campo  gravitazionale»  nel  quale  precipita  l’essenza  della  verità,   l’autore  ne  chiarisce  la  virtù  rivelativa,   la  quale  per  ananke  ci  conduce  alla  scoperta  e  alla  concettualizzazione  dell’essere.  Il  processo  ideativo  da  cui  scaturisce  l’idea  dell’essere  (come  lo  stesso  ritmo  del  pensiero)  è  però  un  continuum  che  si  dispiega  nel  tempo. Il logos, nella visione di Incardona, «metamorfizza» la sua «interezza originaria, perde la sua costituzione ontologica «che fu e mai più sarà parola» e diventa nome, ossia continuità che si inscrive nella storia. Tradotta in termini parmenidei, la logica dell’«annientamento» ci mostra che

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l’essere nella sua essenza ontologica è negazione del tempo, e il tempo nel suo divenire storico è negazione dell’essere.

Il 1997 ci offre un lavoro di Incardona (47), che per il lindore della scrittura e la raffinatezza del corredo documentario è da iscrivere tra le sue cose migliori. Il talento letterario di Nunzio e le risorse del suo acume speculativo guidano il lettore per sentieri di fascinosa classicità, che dal mito conducono al logos. Il messaggio di Incardona è tratto, per allegoria e per metamorfosi di concetti, dall’Inno a Ermes (48) e dal Simposio platonico (49): i versi dell’inno omerico e le pagine del dialogo disegnano intorno ai miti di Ermes e di Eros una trama di pensieri che alludono e convengono alle mobili ambiguità del logos, fino a prefigurarne e a rilevarne le più intime strutture. Il nostro filosofo, dopo aver enunciato le ragioni speculative della sua ricerca, le colloca all’interno del tessuto mitico, che le comprende e le riflette con speculare evidenza. Ciò che spinge Nunzio a restringere  sotto  lo  stesso  fuoco  l’espediente  del  figlio  di  Maia  e  lo  spazio  di  De  Kooning  (50),  è  il  bisogno  di  fornire  alla  sua  tesi  sulla  refrettarietà  del  discorso  della  metafisica  un  esito  di  più  vasta  risonanza.  La  sua   lunga  periegesi  attorno  ai   luoghi  mitici  ove  trionfa   l’incantesimo  della   parola,   assume   l’aspetto   di   un   devoto   pellegrinaggio   quando   lungo   il   cammino  s’incontrano  prima  Omero,  Anassimandro,  Pindaro,  Euripide,  Aristotele,  e  poi  Leibniz,  Hegel,  von   Kleist,   Leopardi,   Nietzsche,   Mallarmé   e   Margueritte   (51).   Quando   poi   il   quadro   si  restringe   intorno   ai   sandali   di   Ermes,   lo   spazio   ctonio,   in   cui   essi   attuano   lo   stratagemma,  viene  a  coincidere  con  quello  dei  filosofemi  che  nascondono  la  verità.  A  questo  punto,  Nunzio  ritorna  sulle  notazioni  iniziali  intorno  alla  storia  critica  del  logos  e  si  addentra  in  una  dialessi  che  nega  l’ejphlusivh  della  metafisica,  ponendola  al  riparo  dai  sortilegi  del  discorso  criptico.  Le  allotropie  di  alcune  recenti  «scuole»  di  pensiero,  che  propongono  nuove  vie  al  filosofare,  sono  segnalate  da  Incardona  come  «fatuità  del  pleonasmo  contemporaneo»  (52).      

Gli  autori  che  nel  corso  del  1998  tengono  desta  l’attenzione  di  Incardona  e  lo  aiutano  a  esorcizzare   le  voci  discordanti  e   interroganti  del  suo   intelletto  sono  ancora  Platone  e  Hegel.  Platone  domina  l’intero  impianto  di  un  interludio  sui  principi  e  il   logos  (53)  e  condivide  con  Hegel  un  arduo  tentativo  di  sintesi,   consegnato   in  un  contributo  di  ampio  respiro,  nel  quale  ritornano  con  ritmo  martellante  le  grandi  coordinate  del  pensiero  di  Nunzio  (54).

Nel primo articolo, le pagine del Teeteto, che lodano la virtù «maieutica» di Socrate come una pratica capace di contrastare la sterilità della mente, mostrano, in realtà, nel loro fondo un paradosso, se «chi è sterile di sapienza è propriamente se non generatore almeno levatore di filiva  per   la  sofiva»   (p.   152). Il   rilievo   concesso   alla   «philo-­‐sophia»   è   dunque   la   conferma   di   un  «modus   in   principio»,   attraverso   il   quale   si   nasce   all’idea,   così   come,   nascendo,   ci   si   apre  all’esistenza  e  alla  vita.  Il  «paradigma  ontico»  è  poi  verificato  sui  contrafforti  della  tradizione  mitica,  nei  quali  sono  custoditi,  come  simboli  e  allegorie,  gli  archetipi  del  sapere.  Le  storie  di  Oto  e  di  Efialte,  di  Edipo  e  degli  Epigoni  entrano  negli  schemi  di  un  logos  retorico,  nei  quali  si  cerca  di  interpretarle  come  protologie  del  discorso  filosofico.  E  tuttavia  questo  logos  retorico  –  secondo  la  lettura  polemica  (55)  che  ne  dà  Incardona  –  non  risponde  all’interrogazione  della  filosofia   perché,   a   causa   dei   suoi   inizi   prometeici,   mentre   abbonda   di   «verbosità»,   non  possiede  il  dono  della  «verbalità»  (p.  158  s.).            

Il   saggio,   che   introduce   una   singolare   scenografia   tra   la   suvnoyi~ di   Platone   e   lo  Standpunkt  di  Hegel,  è  uno  degli  scritti  più  difficili  e  impegnativi  di  Incardona.  Ci  si  muove  in  un’atmosfera   speculativa   molto   rarefatta,   che   costringe   il   lettore   a   un   severo   esercizio   di  ossigenazione  mentale  per  mantenersi  al  livello  espositivo  dell’autore  (56).  Pur  giacendo  sullo  stesso   piano   semantico,   i   due   termini   hanno   una   diversa   dislocazione   storica,   quella   greca  appartiene  a  un  «primordio  arcaico»  che  non  è   circoscritto  a  Platone,  quella  hegeliana  a  un  «compimento  arcaistico»,  che  non  è  tale  soltanto  nella  logica  di  Hegel  (57).  L’«ottica  generale»  e  il  «punto  di  vista  più  elevato»  sono  uno  sguardo  gettato  sul  mondo  e  sulle  cose,  che  esercita  una   duplice   flessione   sull’operatività   dell’intelletto.   Da   una   parte,   infatti,   quest’apertura  d’orizzonte  dilata  la  visione  degli  enti,  dall’altra  acuisce  la  facoltà  di  investigare  la  natura  del  

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pensare.   Si   realizza   così   in   Platone   e   in  Hegel   una   sinossi   dialettica   che  mette   in   luce   a   un  tempo  i  processi  ideativi  e  la  loro  essenza  ontica.  Colto  in  un  processo  di  autoriflessione,  cioè  come  pura  attività  psichica,  l’atto  del  pensare,  tautologico  e  indeterminato,  non  è  altro  che  la  tesi   di   se   stesso;   ma,   uscito   da   questa   posizione,   esso   si   oggettivizza   immediatamente   nel  «pensato».   La   sua   costituzione   ontologica,   che   è   connaturata   a   quella   dell’essere,   non   lo  sottrae   al   flusso   del   tempo,   e   in   quello   vive   e   si  muove;   e   tuttavia   –   pur   scorrendo   –   ed   è  questo  il  rovello  di  Incardona  –  è  sempre  gravitazionalmente  attratto  dall’abisso  delle  origini.  Il  pensare,  è  vero,  coincide  con  la  cosa  pensata,  ma  il  pensiero  non  è  tutto  esaurito  dal  puro  esercizio  della  mente.  L’oggetto  «pensato»  non  è  sempre  rinchiuso  nella  frourav  della  logica;  il  sentimento,  le  emozioni,  le  volizioni  lo  attingono  nelle  loro  diverse  sfere:  si  passa  ancora  una  volta   dall’individuazione   all’indeterminazione   e   dall’indeterminazione   all’individuazione.   È  questo  il  destino  del  logos.  I  sentieri  della  suvnoyi~ e  dello  Standpunkt  (58)  s’intersecano  poi  e  si  congiungono  in  vaste  «radure»,  luoghi  di  decantazione  e  di  dibattito,  di  reciproche  inferenze  con   i   principi   filosofici   professati   da   Nunzio.   Sono   messi   in   discussione   i   parametri   che  discendono  dal  comune  assunto  di  Platone  e  di  Hegel  di  porre  la  loro  ricerca  sotto  il  segno  di          un’ottica  allargata  (59).    

Le  osservazioni  critiche  del  Nostro,  che  hanno  già  sottoposto  il  concetto  di  «sinossi»  a  una  verifica  radicale,  si  estendono  ora  ai  «teoremi»  sottostanti.   Il  protocollo  di  apertura  è   la  fondazione  dialettica  del  problema:  non  esiste  una  pianificazione  «cartesiana»  della  dottrina  dei  principi.  Essa  si  fonda  sul  «sentimento  fondamentale»  di  un’antinomia  tra  «soggettività»  e  «oggettività»,   che   è   insita   nell’essere   pensante   come   segno   della   sua   costituzione   logica   ed  esistenziale.   Il   pensiero   nasce   da   una   metamorfosi   del   sé   nell’altro,   che   non   è   l’altro  dell’idealismo   di   Fichte,   di   Hegel   e   del   primo   Schelling,   perché   non   è   concepito   come   una  produzione   dell’Io  ma   come   una   sua   proiezione.  Per   arrivare   alla   consapevolezza   dell’Io,   il  soggetto   soffre   nella   sua   mente   le   doglie   e   la   spossatezza   del   parto,   come   testimonia   il  ricorrente  accenno  alla  «fatica  del  pensare»  che  si  legge  in  molte  pagine  di  Nunzio.  Da  questa  matrice  di  dolorosa  e  difficile   iniziazione  sembra  naturalmente  discendere   la  «maieutica»  di  Socrate,  e  tutte  le  sinopie  del  mito  che  raccontano  il  travaglio  del  pensare.  La  stessa  teologia,  nelle  sue   forme  primitive  e  nelle  codificazioni  dei  canoni  è  sottoposta  al   torchio  dialettico  e  sospinta  a  chiarire  nel  logos  la  misteriografia  del  sacro  (60).  

Ora,  Incardona  vive  questa  dialettica  del  principio  facendosi  «attore  e  protagonista»  di  un   dramma   del   pensiero,   che   nelle   pagine   delle   sue   opere   è   trascritto   in   un   linguaggio  incandescente  per  l’incalzare  delle  metafore  (il  modulo  più  ricorrente  è  quello  dell’ossimoro)  (61),  per  la  inesauribile  creatività  onomaturgica  (62),  per  la  struttura  dei  suoi  periodi  ritmata  sul  gioco  delle  antitesi  e  delle  definizioni  e  contrario.      

Nel  1999,  l’anno  tragico  di  Nunzio,  funestato  dalla  morte  del  figlio  Marco  (63),  escono  due  articoli  stesi  quasi  certamente  prima  del  luttuoso  evento.  Essi  riprendono,  da  un  diverso  angolo  speculativo  e  con  un  inedito  approfondimento  concettuale,  le  «risposte»  di  Incardona  alle   sollecitazioni   teoretiche   che   gli   venivano   dalla   suvnoyi~ platonica   e   dallo   Standpunkt  hegeliano,   e   le   trasferiscono   alle   opere   di   Gorgia   (64)   e   di   Aristotele   (65),   senza   peraltro  abbandonare  i  riferimenti  ai  dialoghi  di  Platone,  alla  Wissenschaft  der  Logik  di  Hegel  e  agli  echi  filosofeggianti  della  poesia  di  Rilke.                                                               Il  saggio  su  Gorgia  (66)  sottopone  a  un’analisi  «metacritica»  la  teoria  dei  «contrari»  (82  B   3,   67     (in   op.   cit.   pp.   1614-­‐1616):   «termini   reciprocamente   opposti»   (ejnanativa gavr ejsti tauta ajllhvloi~),  definiti  da  Nunzio  «i  trascendentali  di  un  èlenchos  allotrio  irreciprocamente  all’apice   inespresso  del  nòema  incoativamente  anòeto   in  quanto  l’uno  e   l’altro  sono  avversi»  (p.  5).   Il  passo  del   sofista,   conservatoci  da  Sesto  Empirico,  poiché  sta  al   centro  dello  «scavo  teoretico»  di  Incardona  e  nelle  versioni  appare  condizionato  dall’ermeneutica  dei  traduttori,  per  essere  meglio  inteso  deve  essere  riportato  nel  testo  originale:      

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kai; dh; to; me;n mh; o]n oujk e[stin. eij ga;r to; mh; o]n e[stin, e[stai te a{ma kai; oujk e[stai: h|i me;n ga;r oujk o]n noei`tai, oujk e[stai, h|i de; e[sti mh; o[n, pavlin e[stai. pantelw`~ de; a[topon to; ei\naiv ti a{ma kai; mh; ei\nai: oujk a[ra e[sti to; mh; o[n. kai; a[llw~, eij to; mh; o]n e[sti, to; o]n oujk e[stai: ejnantiva gavr ejsti tau`ta ajllhvloi~, kai; eij tw`i mh; o[nti sumbevbhke to; ei\nai, tw`i o[nti sumbhvsetai to; mh; ei\nai. oujci; dev ge to; o]n oujk e[stin: <toivnun>   oujde; to; mh; o]n e[stai. (66)

L’allotria   dei   contrari,   sulla   quale   Gorgia   costruisce   il   suo   edificio   dialettico,   è   una  studiata   rimodulazione   degli   assiomi   parmenidei.   Nella   concezione   degli   Eleati   l’essere  riempie  l’intero  campo  del  conoscibile,  il  non-­‐essere  è  impensabile  e  indicibile.  La  negazione  del  non-­‐essere  consegnata   in  un  atto  di  pensiero  apre  al  sofista   la  via  per  affermarne  anche  l’esistenza.   Ora,   il   gioco   dei   contrari   (qui   sono   in   questione   l’«essere»   e   il   «non-­‐essere»)   si  chiude   con   una   conclamata   dichiarazione   di   nichilismo.   Incardona   introduce   allora   delle  importanti   osservazioni   che   chiosano   le   valenze   che   egli   attribuisce   alle   antilogie   di   Gorgia  (67).  Intanto  bisogna  chiarire  in  quale  ambito  s’intenda  situare  la  costituzione  «ex  enantias»,  perché   i   termini   in   questione,   come   «pensieri   pensati»,   possono   essere   collocati   sia   in   una  sfera  logica,  sia  in  una  sfera  ontologica.  Che  possano  essere  collocati  in  una  sfera  ontologica  lo  nega  lo  stesso  Gorgia  quando  ricorda  che  le  creazioni  del  mito  (Scilla  o  la  Chimera),  vive  nel  pensiero,   sono   solamente,   come   diceva   Senofane,  plavsmata tw`n protevrwn. Questi   pensieri  «in   libertà»,  che  occupano  porzioni  cospicue  del  nostro  mondo   ideale,  non  sono  tuttavia  del  tutto   disancorati   dai   centri   della   razionalità,   che   li   convertono   per   l’intervento   del   lògos  iatrikòs  in  unità  formali  aderenti  all’essenza  del  concetto.  Nella  dialettica  dei  contrari,  d’altra  parte,   il   senso  ultimo  della  predicazione  gorgiana   è   il   blocco   senza  uscita  del  positivo   e  del  negativo,  l’annullamento  degli  opposti  in  una  neutralità  assoluta.    

 L’intervento   di   Incardona   elimina   l’ambiguo   statuto   della   retorica   gorgiana:   nella  dinamica  delle  idee  ogni  processo  corrisponde  a  un  atto  di  pensiero.  Non  esiste  un  pensiero  vuoto,  ma  sempre  un  pensiero  di  qualcosa.    Quando  nella  mia  mente  contrappongo  l’essere  al  non-­‐essere,  non  genero  due  enti  che  lottano  per  la  sopravvivenza,  ma  due  concetti.  La  logica  opera  e  verifica  la  compatibilità  di  questi  due  concetti  con  le  leggi  generali  del  pensiero.  Fra  le  quali   emergono   i  principi  d’identità  e  di  non  contraddizione.  Si  potrà  decidere,   in   tal  modo,  quale  convenga  meglio  all’economia  di  questo  o  quel  sistema  rimanendo  fedeli  al  dettato  della  ragione.     Un   altro   argomento,   su   cui   si   sofferma   a   lungo   Incardona,   è   l’interpretazione   del  discrimine   che   pone   in   essere   la   contrapposizione   dei   contrari,     ossia   la   loro   «differenza».  Senza   di     essa,   che   li   associa   in   uno   stretto   vincolo   concettuale,   i   termini   contrari  acquisterebbero   una   loro   completa   autonomia:   la   differenza,   cioè   il   fatto   che   la   presenza  dell’uno   richiama   negativamente   quella   dell’altro,     è   pertanto   il   supporto   logico   della   loro  distinta   «oggettualità».   Abolire   il   nesso   antinomico   che   separa   l’essere   dal   non-­‐essere,  significherebbe   creare   due   idee   distinte   che   coesistendo   si   annichilerebbero   a   vicenda.   La  soluzione   di   Nunzio   postula   la   trascendentalità   dei   contrari,   la   cui   allotria   è   una   forma   di  associazione   mentale,   che   supera   l’èlenchos   e   disciplina   i   termini   in   opposizione   sotto   la  categoria  della  distinzione.  (68)                                                                             Il   saggio   Della   differenza,   che   riprende   il   Leitmotiv   di   Suvnoyi~ e   Standpunkt,   è   una  nuova  ricognizione  dei  capisaldi  della  logica  hegeliana  rivisitati  e  ridiscussi  con  il  concorso  dei    luoghi  aristotelici  che  definiscono  sofiva  ed  ejpisthvmh  mettendole  in  relazione  con  i  principi  e  con   le   cause   (ajrcai; kai; aijtivai) (69).   In   termini   aristotelici   è   anche   discusso   il   tema   della  «sterilita»  e  della  «competizione»  (70)  come  metafora  della  capacità  del  logos  di  superare  gli  sbarramenti  aporetici  che  si  sono  annidati  all’interno  della  «materia  amorfa  del  principio».  La  difficoltà  da  superare  è  dello  stesso  ordine  e  grado  di  quella  evidenziata  nella  logica  di  Hegel.  Il  «Meinen»  e   il  «Denken»  sono   il   simbolo  della  potenza  del  pensiero  che  supera   le   luci  e   le  ombre  del  «Dasein».    

Vie  praticabili,  come  il  gluku;~ ajgkwvn del Nilo (71), conducono al problema centrale che è il superamento, o meglio il dislocamento dialettico, della differenza secondo i due criteri individuati

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da Incardona. Da una parte bisogna valutare il significato «soprasegmentale» della differenza, ossia porla in un’ottica (Standpunkt) superiore che ne consenta l’eventuale lettura metafisica, dall’altra occorre recuperare i termini in opposizione nella loro autonoma e separata sfera semantica. Il nucleo speculativo portato alla luce «dagli inferi del principio» è da Nunzio studiosamente analizzato con un ampiamento sinottico, che accresce gli elementi comparativi tratti da Aristotele (e{xi~ e  tevknh  in  rapporto  al  lovgo~ ajlhqhv~)  e  introduce  alcuni  motivi  iconografici    e  dottrinali  dedotti   dall’Antico   e   dal   Nuovo   Testamento   (72).   In   quest’articolo,   Incardona   riprende   e  riconsidera  più  volte  il  suo  discorso  critico,  come  se  andasse  alla  ricerca  delle  nascoste  trame  di  un  palinsesto.  Questa  «ridondanza»  è  la  spia  sottile  del  suo  bisogno  di  un  «appoderamento»  concettuale,  per  la  cui  opera  trae  dal  vasto  orizzonte  delle  sue  letture  una  cornice  di  dotte  e  rare  «citazioni»  (73).  

Nel   IV   libro   della   Repubblica,   Platone   enuncia   per   bocca   di   Socrate   la   seguente  formulazione  del  principio  di  non  contraddizione  (436  b  8  –  c  1):  Dhlon o{ti taujto;n tajnantiva poiei`n h] pavscein kata; taujtovn ge kai; pro;~ taujto;n oujk ejqelhvsei a{ma, w{ste a[n pou eujrivskwmen ejn aujtoi~ tauta gignovmena, eijsovmeqa o{ti ouj taujto;n h\n ajlla; pleivw. Sulle  singole  voci   di   questo   luogo   paradigmatico,   Incardona   si   era   in   precedenti   studi   ripetutamente  soffermato.   Ora,   in   un   saggio   del   2000   (74),   egli   ne   riporta   nel   titolo   un   segmento   che  compendia   il   senso   della   frase.   Ci   si   aspetterebbe   quindi   una   ripresa   della   questione   già  trattata,  un  discorso  ancor  più  arricchito  e  approfondito  sulla  «trascendentalità»  dei  contrari.  Qui   però   tutto   l’impianto   «logico-­‐speculativo»   è   radicalmente   rivoluzionato   da  quell’«Allegretto   ma   non   troppo»,   che   non   soltanto   è   una   nota   inedita   del   repertorio   di  Nunzio,  ma   si   rivela   come  un   insistente   fil-­‐rouge   inteso  a  dimostrare   la  valenza   speculativa  dell’«ironia»,  anche  quando  si  trasferisce  nella  «comicità»  di  Aristofane  e  di  Boccaccio  (75).  

Siamo   di   fronte   a   uno   scritto   di   straordinaria   originalità,   ma   di   non   facile  comprensione,  per  la  paradossale  circostanza  che  l’impianto  piano  e  scorrevole  del  dettato  è  contro   le   regole   della   scrittura   di   Incardona.   L’incipit   del   discorso,   che   prende   l’avvio   da  Melville   (76),   non   ci   sorprende,   l’explicit   invece   con   la   citazione   delle   ottave   finali   della  Batracomiomachia  del  Leopardi  (77)  sembra  alludere  ad  un  rinvio,  a  un  mancato  approdo.      

La  dialettica  dei  contrari,  naturalmente,  segna   il   tracciato  dell’esposizione  e  rimane   il  motivo   dominante   anche   quando   si   attenua   per   l’inserimento   di   «variazioni»   e   di   «note»  marginali.   I   referenti   del  taujto;n tajnantiva   sono   sempre  Aristotele   e  Hegel   (78),   chiamati   a  testimoniare  sull’«intellettualismo  dell’essere  e  del  nulla».  Nunzio  analizza,  con  occhio  attento  alle   valenze   linguistiche,   i   singoli   vocaboli   usati   da   Aristotele   e   ne   emerge   la   singolare  constatazione   della   debolezza   delle   scritture   filosofiche   rispetto   alle   suggestioni   semantiche  espresse   dai   testi   letterari.   La   critica   alle   insufficienze   della   lingua   filosofica,   che   colpisce  anche  la  logica  di  Hegel,  ha  lo  scoperto  e  immediato  obiettivo  di  salvaguardare,  anzi  di  salvare,  i  fondamenti  della  metafisica.  Al  riguardo,  il  ricorso  alla  letteratura  offre  innumerevoli  risorse;  scrive   Incardona   (p.   408):   «Anche   da   questo   punto   di   vista   lo   scrittore,   Melville   appunto,  potrebbe   addottrinare   magistralmente   le   tante   cattedre   contemporanee   di   narratologia   ed  ermeneutica!».  

Nunzio   quindi   condanna   le   infiltrazioni   intellettualistiche   che   snaturano   la   filosofia  contemporanea   e   invita   a   ricostruire   i   tramiti   del   discorso   metafisico   attraverso   una  «rilettura»   delle   fonti   (soprattutto   di   quelle   platoniche)   (79),   alla   quale   va   associata  l’esplorazione  e  lo  scavo  semantico  dei  testi  letterari.  L’ironia  e  il  comico  sono  quindi  inseriti  nella  dialettica  delle  idee  come  potenze  «affabulatrici»  capaci  di  restituire  alla  filosofia  la  sua  originaria  e  unitaria  essenza;  queste  due  categorie,  infatti,  hanno  sempre  rimosso  la  sordità  e  le   sofisticazioni   del   pensiero   «adulterato».   Ma   a   questo   «restauro»   concorrono   con   un   più  esteso   piano   rigenerativo,   le   parole   della   sapienza   e   le   testimonianze   della   religione,  soprattutto  quelle  consegnate  nel  Libro  della  Genesi  e  nei  Vangeli.  

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La  lunga  «perorazione«  di  Incardona,  e  qui  si  annida  la  difficoltà  di  questo  scritto,  non  si  chiude  con  una  ripresa  del  dialogo  sui  contrari,  ma  con   la  citazione  di  Anassimandro  e  di  Parmenide,  di  Rilke  e  di  Leopardi,  quasi  a  confermare  una  direzione  da  seguire,  un  cammino  ancora  da  percorrere.  

I   contributi   pubblicati   da   Nunzio   nel   2001   sono   due   brevi   articoli:   il   primo   è   una  riflessione  sul  pensiero  e  l’attività  scientifica  di  Giuseppe  Masi  (80),  il  secondo  una  rinnovata  esortazione  ad  interpretare  la  metafisica  come  «forma»  delle  strutture  profonde  della  psiche  (81).  L’approfondimento  teoretico  dei  propositi  espressi  da  Masi  nel  volume  Studi  sul  pensiero  antico   e   dintorni   (Clueb,   Bologna   2000),   sospinge   Incardona   a   discutere   sul   concetto  «dell’oltre»,  che  l’autore  da  lui  recensito  aveva  introdotto  in  uno  scritto  pubblicato  nel  1966  dal   «Giornale di Metafisica» (82). Ricordate le benemerenze di Masi come studioso dello «spiritualismo antico», Nunzio identifica l’originalità delle sue «scoperte» nell’esatto rilievo del significato metafisico (o comunque di forte avvio verso il pensiero metafisico) dei contenuti culturali maturati in clima spiritualistico. Lo studioso ha descritto con sagacia gli statuti delle credenze religiose e il loro passaggio da uno stadio «naturalistico» e «rituale» a una fase «teistica» e «dommatica». Nella religione dell’antico Egitto, ad esempio, si possono individuare le fonti spirituali che dettero origine a taluni dogmi della religione cristiana. L’«ulteriorità» di Masi è dunque un’esigenza dell’intelletto che ci sospinge per vie diverse e con diversi modi alla «concettualità» della metafisica.

Gli aspetti «drammatici» del pensiero filosofico sono visti da Incardona sotto un duplice profilo: il primo, che potremmo definire «storiografico», riguarda le «sacre rappresentazioni» della nascente speculazione, qui rappresentate dalle articolazioni della dottrina di Parmenide nei due discorsi della Verità e della Doxa; il secondo, che potremmo definire «strutturale», ci dischiude i problemi interni all’organizzazione delle idee, alla loro costituzione gerarchica e categoriale. Nella filosofia di Parmenide, le «dramatis personae» incombono sul fondale anipotetico del mito, ma la «radicalità del dinamismo speculativo» le sospinge inesorabilmente alla periferia del pensabile, mentre la Verità domina la scena indossando una doppia maschera. Da una parte, come fa notare Nunzio, rappresenta la forza autonoma del pensiero che si rivela come essere, dall’altra è il risultato di una rivelazione, della rivelazione della Demone, che autocraticamente si riconquista un suo spazio vitale. Ma la tragica teatralità dell’irrompente monologo dell’essere lascia dietro le quinte i fantasmi della Doxa, li relega sullo sfondo, e, pur asserendo la loro «metafisica» inesistenza, ammette che possano (e debbano!) essere oggetto del pensiero. Cosa si nasconde, dunque, dietro il teorema di Parmenide? Incardona lo sa, ma non ce lo vuole dire direttamente.

Risponde per lui Nietzsche, il Nietzsche dell’«apollineo» e del «dionisiaco», e commenta Nunzio: «A questo modo acuminato e febbrile le origini della tragedia mimano la tragedia dell’origine, dissipandone un divertito, profetico baccanale; e non sussiste potenza di culto impudicamente cenobita che riesca ad architettare il corrompimento della grandiosa scolastica cattedrale delle filosofie la cui immanente metafisica consiste nell’esercizio intellettualistico di un ragionare ludicamente la tessitura apollinea del cogito/sum di contro alle tramature dialettiche dell’assolutezza apollinea dell’Idea: che condividono in fine la sorte ermafrodita dello scacco come misura imponderabile dello stesso ponderabile esserci del cuore della Verità (rotonda) predestinato a resuscitarsi dai dilaniamenti storici per celebrare la mortale resurrezione degli effimeri fatti ermeneutici», p. 448 s.

I «mali» della filosofia nascono dunque da una patologia del pensiero, da uno smarrimento del suo paradigma originario. L’analisi di Incardona percorre i sentieri di un possibile ritorno al linguaggio delle «origini», il quale non connota un’archeologia delle idee, non è la riconquista della dimensione storica di teorie dimenticate, ma riguarda solo ed essenzialmente il presente, la nostra ricerca quotidiana del «senso» da dare al nostro «esserci» e ai suoi problemi. Lo Standpunkt da cui è possibile guadagnare l’orizzonte della pura spiritualità non è posto sulla piramide eretta dalla «ragione discorsiva». Il viaggio da compiere è un’introspezione profonda, una discesa, come dice Nunzio, «agli inferi del principio».

Lo   sforzo   della   speculazione   allora   è   quello   di   «capire»   come   «funzionano»   i  «meccanismi»  del  pensiero,  ossia  di  operare  una  ricerca  del  trascendentale  che  restituisca  alla  «tessitura»   dei   concetti   la   sua   funzione   costruttiva.   Questa   indagine   conduce   appunto   alla  

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demolizione  degli  «idola»  e  al  riconoscimento  del  paradigma  fondamentale  della   filosofia.  Si  arriva   così   alla   certezza   che   tutta   la   storia  del  pensare   tende  a   costituirsi   come   storia  della  scoperta   del   pensiero   metafisico.   Si   era   già   tentato   in   passato,   con accorata   nostalgia, di sw/vzein ta; fainovmena, il  costante  pensiero  di  tutta  la  vita  di  Incardona  fu  quello  di  «salvare»  la  metafisica,  la  «sua»  metafisica  (83).              Note    (1)  L’evoluzione  e  i  punti  cardinali  del  pensiero  di  Incardona  sono  ben  documentati  nella  articolata  bibliografia  da  lui  stesso  presentata  in  Radici  metafisiche  della  filosofia  –  Scritti  per  Nunzio  Incardona,  a  cura  di  Giuseppe  Nicolaci  e  Paolo  Polizzi,  L’Epos,  Palermo,  2002,  pp.  417-­‐419  e  425-­‐427.  Le  rotte  della  sua  «navigazione  spirituale»  sono  indicate  sotto  le  insegne  di  tre  espressivi  indicatori:  «L’ormeggio»,  «La  cambusa»,  Guerra  di  corsa».    Scrive  di  sé  Nunzio:    «Manovale  del  pensiero;  bracciante  a  giornata  di  un  brogliaccio  senza  lunario  braccato  dal  salario  avaro  delle  origini;  non  imbalsamabile  nel  condotto  carsico  che  forza  il  dostoevskijano  sottosuolo,  e  i  suoi  ignari  e  anonimi  Ivàn  Matveîc,  a  imbastire  e  paludare,  anticipando,  i  ciarlieri  magniloquenti  catafalchi  della  memoria  (sempre  postuma),  calcinati  dall’epigrafe  aulica  di  quello  che  è  stato  e  soverchiati  da  quello  che  è  ancora  (le  effemeridi  del  vivere,  l’angoscia  del  futuro,  la  fatica  del  lavoro…):  in  questo  mio  attuale  cantiere  aperto  non  c’è  bonaccia  che  valga  ad  ammansire  e  ammaestrare  la  risacca  quieta  e  indolente  che  protegge  e  occulta  i  suoi  interni,  vorticosi  sommovimenti  che  drizzano  il  legno  del  pensiero  all’aperto  infinito  e  tempestante  della  sua  indomita,  inviolata  inquietezza»  –    Alla  sensibilità  culturale  di  Incardona  e,  soprattutto,  alle  sue  capacità  organizzative  si  devono  i  Convegni  internazionali  svoltisi  a  Palermo  e  in  altri  Centri  culturali  dal  1976  al  1994  e  gli  «Incontri  del  “Giornale  di  Metafisica”»,  ospitati  da  vari  Istituti  universitari  dal  1983  al  1995.  Le  due  manifestazioni  hanno  di  volta  in  volta  preso  l’avvio  sotto  l’insegna  di  urgenti  domande  teoretiche  che  dominavano  l’orizzonte  speculativo  di  Nunzio:  intorno  ad  esse  si  sono  addensati  i  contributi  di  una  vasta  platea  di  studiosi.      (2)  Si  veda,  a  titolo  di  esempio,  Libertà  e  principio,  «Giornale  di  Metafisica»  (d’ora  in  poi  MdG)  1979,  p.  293.    (3)  Nel  particolare,  l’orchestrazione  retorica  del  dettato  di  Incardona  presenta  una  quantità  impressionante  di  stilemi  caratterizzati  da  termini  o  sintagmi  (importati  soprattutto  dal  greco  e  dal  latino),  che  giocano  il  ruolo  di  referenti  naturali  del  suo  eloquio.  Sono  adoperati,  cioè,  come  termini  autonomi  del  suo  lessico  personale.  (È  il  caso,  per  citare  qualche  esempio,  di,  hosàytos,  chorismòs,  pròsopon,  hypostasis,  stoichèion,  anànke,  pondus,  crux,  idea  Christi,  flatus  verbi  ecc.).    Un  altro  aspetto  notevole  del  suo  stile  è  consegnato  nell’inesauribile  vena  «onomaturgica»,  con  cui  egli  ha  arricchito  di  neologismi  la  sua  terminologia  filosofica.  Questo  materiale  lessicale  è  così  imponente  e  talmente  «funzionale»  alla  lingua  di  Nunzio  da  giustificare  la  compilazione  di  uno  specifico  repertorio.  Sono  innumerevoli  le  espressioni  idiomatiche  di  alto  profilo,  in  cui  concetti  semanticamente  estranei  (spesso  opposti  nel  segno  dell’ossimoro)  sono  cesellati  in  sintagmi  formulari  –  Chi  legge  Incardona  percorre  sentieri  costipati  da  una  fitta  vegetazione:  si  avverte  l’avvolgente  intrico  dei  «filosofemi»  che  bisogna  districare  ramo  per  ramo.  Il  nostro  autore  è  certamente  «difficile»:  le  sue  pagine  pullulano  di  allusioni  e  di  riferimenti  a  testi  filosofici  e  letterari,  che  il  lettore  dovrebbe  essere  in  grado  di  cogliere  immediatamente  nella  «discorsività»  e  nelle  «cadenze  prosodiche»  in  cui  li  colloca  Incardona.  Si  celano  inoltre  tra  le  righe  dell’esposizione,  quasi  nei  termini  di  messaggi  subliminali,  sequenze  esplicative  destinate  a  tradursi  in  conseguenti  trame  di  pensieri.      

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 (4)  Nell’opera  Radici  metafisiche  della  filosofia  –  Scritti  per  Nunzio  Incardona,  su  citata.  La  bibliografia  presentata  da  Nunzio  era  stata  raccolta  nel  1990  e  ampliata  in  seguito  fino  al  2000.  Prima  di  ordinare  cronologicamente  i  suoi  scritti,  Incardona  nello  incipit  del  suo  inserto  si  definisce:  «Non  filov-sofo~;  nemmeno  filov-yogo~  meno  che  mai  sofov~»  (v.  Ibidem.  p.  415).    (5)  Cfr.  Nunzio  Incardona,  I.  karpov~ - buvblou de; karpo;~ ouj kratei` stavcun –  Tomo  I,  L’Epos,  Palermo  1991,  p.  7.  «Piano  dell’opera.  I. karpov~ Tomo  I:  1.  Problematica  interna  dello  spiritualismo  cristiano  [Bocca  (1952];  2.  Rosmini  e  la  problematica  idealistica  [Sodalitas  1955];  3.  Metafisica  di  una  crisi  [Bocca  1955]  –  Tomo  II  :  1.  Idealità  e  teoreticità  [Palumbo  1959];  2.  Filosofia  e  rivelazione  [Palumbo  1960)  –  II.  ejnteivnwn    Tomo  I  :  1.  Tentazione  e  persuasione  (Manfredi  1970);  2.  Per  l’uomo    Discorsi  contro  [Manfredi  1976]  –  Tomo  II  :  1.  Hosàytos    Controfilosofia  [Manfredi  1978];  2.  Analètheia    i  contemporanei  del  labirinto  [Manfredi  1983].  –  III. libav~ Tomo  I  :  1.  L’assunzione  come  critica  della  filosofia    Introduzione  alla  metafisica  del  principio  [Andò  1964];  2.  L’assunzione  hegeliana  [Andò  1965];  3.  Radicalità  e  filosofia  [Manfredi  1968]  –  Tomo  II  :  Concetto  di  metafisica  del  principio  [Manfredi  1982];  2.  Stupor  philosophicus    Il  destino  interrogato  –  Tomo  III  :  1.  Metafisica  del  principio  a)  L’arkilogia  originaria    b)  La  dilogia  del  fondamento  [1975–1976]  IV.  keu[q]mw`na Tomo  I  :  Actio  principii  –  Tomo  II  :  Principium    Contraddifferenza  e  sistema  della  determinazione  [1985-­‐1988]–  Tomo  III  :  Chorismòs  [1992-­‐1994]»    (6)  Cfr.  Sic  nos  non  nobis,  GdM  1982,  pp.  6-­‐7:  «I  roghi  contemporanei  son  ben  più  che  kantiani  perché  accendono  “carboni  infuocati”  che  rischiano  di  incenerire  le  radici  squarciandone  le  oscurità  profonde;  e  meritano,  per  questo,  chiose  che  debbono  riuscire  ad  essere  più  forti  di  quelle  hegeliane  oltre  tutto  perché  è  la  stessa  filosofia,  nel  rischio  radicalmente  metafisico  della  sua  stessa  consistenza,  ad  essere  in  gioco  talmente  che  la  folla  dei  suoi  interlocutori  può  essere  che  serva  soltanto  ad  occultare  e  mitizzare  il  destino  attuale,  inutilmente  tragico,  di  un  mancare  alla  filosofia  di  un  interlocutore  che  le  sia  proprio  e  intrinseco.  In  questo  rischio  e  in  questo  gioco  il  “Giornale  di  Metafisica”  ritiene  di  potere  e  di  dovere  assumere  di  correre  fino  in  fondo  il  rischio  del  pensare».  –  1982:  Enigma  e  metafora  (Atti  convegno  tra  studiosi  di  Filosofia  morale);  Concetto  per  il  principio  IV  (1981/1982);  Concetto  di  metafisica  del  principio  (Manfredi);  Atto  di  concetto  I,  (1982/1983).    (7)  La  matematica  delle  idee  e  il  problema  della  relazione  in  Giamblico  (GdM  1983,  pp.  391-­‐408)  –  Maria  Teresa  Antonelli  (1922-­‐1983),  ordinaria  di  Storia  della  Filosofia  alla  Facoltà  di  Lettere  dell’Università  di  Genova,  era  stata  allieva  di  Sciacca  e  aveva  con  lui  collaborato  nella  redazione  del  «Giornale  di  Metafisica».    (8)  Postscriptum,  GdM  1983,  pp.  409-­‐419.      (9)  Cfr.  GdM  1983,  pp.  411-­‐413.  Incardona  rievoca  (p.  412)  il  periodo  della  loro  comune  vita  universitaria  e  il  «cerchio  vitale»  che  li  legava  all’insegnamento  di  Sciacca.  Per  esso,  la  metafisica  sta  al  centro  di  ogni  costruzione  filosofica:  il  pensiero  che  non  vi  approda  manca  al  suo  nativo  slancio.  –  1983:  Atto  di  concetto  I,  Atto  di  concetto  II  (1983/1984);  Analètheia.  I  contemporanei  del  labirinto  (Manfredi  1983).  –  Settimane  mediterranee,    VII  Convegno  (12-­‐13-­‐14  maggio  1983)  :  Metafisica  e  umanesimo.  –  Incontri  del  «Giornale  di  Metafisica»,  (Palermo  10/11novembre  1983):  Ueberwindung  della  metafisica?  in  Ueberwindung  della  metafisica?,  Tilgher-­‐Genova,  Genova  1986.      

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(10)    Cfr.  GdM  1984,  pp.  397-­‐409:  L’«ontodologie»  di  Claude  Bruaire.  L’Être  et  l’Esprit  (PUF,  Paris  1983)  era  stata  molto  lodata  dagli  studiosi  di  formazione  cattolica,  che  avevano  nella  rivista  «Communio»  l’organo  ufficiale  della  loro  dottrina.                    (11)  Claude  Bruaire  (1932-­‐1986).  Filosofo  francese  di  grande  e  sottile  dottrina,  aveva  elaborato  una  sintesi  logicamente  compatibile  con  la  tradizione  scolastica,  assai  vicina  alla  «cristologia»  di  Xavier  Tilliette.    –  1984:  Critica  e  giusto  inganno,  Edizioni  Saint  Vincent  («Atti  convegno  kantiano»);  Determinazione  della  cognitio  e  cognitio  sapientiae;    Atto  di  concetto  III  (1984/1985).  –  Incontri  del  «Giornale  di  Metafisica»,  Perugia  (8/9  novembre  1984)  in  Metafisica  ed  ermeneutica,  Tilgher-­‐Genova,  Genova  1987  

 

(12)  GdM  1985,  pp.  175-­‐203:  L’enigmaticità  della  ragione  e  metafisiche  dialettiche.  –  La  tesi  qui  difesa  intende  mostrare  gli  sfondi  ambigui  di  una  ragione  che  interroga  se  stessa  e  quindi  la  inevitabile  dialettizzazione  di  ogni  metafisica.  L’ossimoro  creato  da  Incardona  (prosevnagco~ ajrch`qen («ciò  che  è  ultimo  fin  da  principio»)  affiancando  un  a[pax  dell’autore  del  Sublime  a  un  avverbio  vulgatissimo  esprime  efficacemente  la  radicazione  originaria  di  ogni  atto  ideativo.  Conclude  Incardona:  «La  forza  di  essere  ultimo  è  in  realtà  atto  plenario  che  spinge  al  principi.  Le  metafisiche  dialettiche  […]sono  ciò  che  la  metafisica  diventa  anche  attraverso  le  forme  che  esplicando  filosofia  lasciano  a  principio  la  stessa  enigmaticità  della  forma».  –  1985:  «Introduzione  a  “Le  formes  actuelles  du  vrai”»,  Entretiens  de  Palermo;  Contraddifferenza  e  principio,  I  (1985/1986).  –  Settimane  mediterranee,    VIII  Convegno  (Palermo  26-­‐27  marzo,  Giarre  28-­‐29  marzo  1985):  Forme  della  integralità  e  la  integralità  nella  filosofia  di  Sciacca  –  Incontri  del  «Giornale  di  Metafisica,  Lecce  (7/8  novembre  1985)  in  Metafisica  ed  ermeneutica,  Tilgher-­‐Genova,  Genova  1987.    (13)  GdM  1985,  p.  202.    (14)  GdM  1986,  pp.  3-­‐20  (=  Ueberwindung  della  metafisica?,  cit.,  pp.  9-­‐26):  Negazione  e  oltrepassamento  (del  pensare?).  Dallo  scritto  traspare  una  sostanziale  delusione  nei  confronti  dei  filosofi  che  avanzano  nuove  proposte,  convinti  di  poter  rifondare  il  pensiero  pensandone  uno  «nuovo».  Qualsiasi  altro  «nuovo  pensiero»,  ammonisce  Nunzio  ricordandosi  di  Sciacca  e  di  Rosmini,  è  sempre  solo  e  soltanto  pensiero.  È  pensiero  entrato  nella  storia.  –  1986:  «Ursprungliche  Wort  e  astrazione  teosofica»,  Ho  Theològos    –  Contraddifferenza  e  principio,  II  (1986/1987.  –  IX  Convegno  (7-­‐8-­‐9  maggio  1986):  Idea  e  ideologia  del  contemporaneo  –  Incontri  del  «Giornale  di  Metafisica»,  Urbino  (6/7  novembre  1986):  Metafisica  e  dialettica,  Tilgher-­‐Genova,  Genova  1988.    (15)  Il  melangolo,  Genova  1985.  –  Cfr.  GdM  1987,  pp.  153-­‐191:  Relatività  dell’irrelativo  –  Il  tema  della  filosofia  contemporanea,  il  penultimo  Schelling  ed  Esistenza  e  persona    di  Luigi  Pareyson.    –  Luigi  Pareyson  (1918-­‐1991)  –  Ha  sviluppato,  partendo  da  una  rilettura  critica  dell’esistenzialismo,  una  filosofia  della  «persona»  con  particolare  riferimento  all’estetica.  Nell’ultima  fase  della  sua  ricerca  ha  privilegiato  una  dottrina  sull’«ontologia  della  libertà»  che  coinvolge  temi  centrali  dell’ortodossia  cattolica.      16)  Franco  Angeli,  Milano1986.  –  Cfr.  GdM  1987,  pp.  333-­‐347:  La  filosofia  della  scienza  in  Italia  nel  ‘900.  –  Evandro  Agazzi  (1934)  unisce  ad  una  profonda  preparazione  scientifica  e  filosofica  solide  basi  teoretiche,  dalle  quali  discendono  originali  studi  specialistici  e  una  costante  osservazione  del  panorama  mondiale  dell’epistemologia  –  1987  :  Contraddifferenza  e  principio  III  (1987-­‐1988)  –  x  Convegno  (6-­‐7-­‐8-­‐9  maggio):  Essere  o  pensare?  –  Incontri  del  

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«Giornale  di  Metafisica»,  Padova  (5-­‐6  novembre  1987):  Metafisica  e  dialettica    –  Esce  l’importante  articolo  I  principi  della  tautologia    (Metafisica  ed  ermeneutica  Tilgher-­‐Genova,  Genova  1987,  pp.  9-­‐22,  in  cui  Incardona,  partendo  dal  principio  di  «coerenza  logica»  Aristotele  (Met.  1005b,  19-­‐20)  e  dalla  sinossi  che  ne  dà  Hegel  (Wissenschaft  der  Logik,  Hamburg  1967,  I,  p.  18),  enuncia  i  principi  della  tautologia  nei  termini  di  un  «sistema  di  ripetizione  delle  negazioni  senza  negazione»,  p.  21.    (17)  L’Epos,  Palermo  1988.        (18)  Il  volumetto  riproduce  quelli  del  1976:  Crisi  dell’Occidente  e  fondazione  della  cultura;  del  1979:  Persuasione  e  libertà  nel  mondo  contemporaneo;  del  1980:  Europa  della  cultura  e  profezia  politica;  del  1981:  Utopismo  e  storia;  del  1983:  Metafisica  e  umanesimo;  del  1985:  Forme  della  integralità  e  la  integralità  nella  filosofia;  del  1986:  Idea  e  ideologia  del  contemporaneo;  del  1987:  Essere  o  pensare;  del  1988:  La  nuova  soggettività.    (19)  Metafisica  e  dialettica,  Tilgher-­‐Genova,  Genova  1988,  pp.  7-­‐20.  –  1988:  Chorismòs/Fondamento  I  (1988/1989)  –  ˛xi  Convegno  (4-­‐5-­‐6-­‐7  maggio)  :  La  nuova  soggettività  –  Incontri  del  «Giornale  di  Metafisica»,  Trento  (8/9  novembre  1988):  Metafisica  e  principio  teologico.    (20)  GdM  1989,  pp.  127-­‐142.      (21)  Xavier  Zubiri  (1898-­‐1983)  –  Filosofo  spagnolo  formatosi  alle  lezioni  di  Husserl  e  di  Heidegger.  Studioso  di  vastissima  cultura  (ha  nutrito  vivi  interessi  per  la  matematica,  per  la  fisica,  per  la  medicina,  per  la  teologia,  per  le  lingue  antiche),  ha  conferito  al  concetto  di  «realtà»  una  dimensione  trascendentale  e  metafisica,  che  Incardona  non  ha  mancato  di  rilevare.    (22)  Alianza  Editorial,  Madrid  1986.  –  1989:  Logos  e  storicità,  (F.  Angeli)  –  Chorismòs/Fondamento  II  (1989/1990)  –  xii  Convegno  (2-­‐3-­‐4-­‐  maggio):  Il  logos  enigma  della  ragione  o  profezia  dell’origine?  –  Incontri  del  «Giornale  di  Metafisica»,  Bari  (7/8  novembre  1989):  Metafisica  e  soggettività.    (23)  Il  mondo  il  soggetto  lo  smarrimento,  GdM  1990,  pp.  3-­‐8.    (24)  Alberto  Caracciolo  (1918-­‐1990).  Iniziò  il  suo  insegnamento  universitario  a  Genova  come  titolare  della  cattedra  di  Estetica.  Studioso  di  grande  sensibilità  artistica,  approfondì  in  seguito  tutti  i  grandi  problemi  che  riguardano  la  sfera  morale  dell’uomo  e  il  dibattito  sugli  smarrimenti  della  società  contemporanea.  Fu  in  frequente  contatto  epistolare  o  legato  da  vincoli  di  amicizia  con  i  più  importanti  protagonisti  della  cultura  europea  del  Novecento.        (25)  Ethos  e  poiesis  in  Alberto  Caracciolo,  GdM  1990,  pp.  463-­‐456.–  1990:  «Tèlos  y  archè.  La  physis  del  logos»,  Anuario  filosofico  –  Pensiero-­‐evento  ed  entèleia  del  segno?,    Jaka  Book  –    Abolizione  e  differenza,  in  Metafisica  e  principio  teologico,  Tilgher-­‐Genova,  Genova  1990,  pp.  7-­‐32.  Il  saggio  parte  da  una  critica  della  scienza  e  confluisce  in  un  ricupero  di  conciliazione.  La  filosofia,  intanto,  se  si  considera  scienza,  è  «scienza  del  principio»,  e  cioè  metafisica.  La  scienza,  inoltre,  se  posta  in  rapporto  col  «principio»,  è  dissolta  in  quest’ultimo,  secondo  la  formula  di  Incardona:  «la  scienza  che  si  ha  del  principio  /  è  lo  stesso  principio  come  scienza  di  se  stesso».  Il  «principio»  però  è  anche  principio  della  teologia:  e  qui  s’innesta  una  divaricazione  che  reintroduce  la  dialessi  tra  filosofia  e  teologia.  Sotto  il  segno  

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dell’«abolizione»  e  della  «differenza»  si  dovrebbe  quindi  consumare  un  senso  eteronimo  del  concetto  di  «scienza».  Per  Nunzio,  tuttavia,  la  natura  stessa  del  pensiero  consente  di  salvare  nell’unità  della  scienza  sia  la  metafisica  sia  la  teologia  (p.  31).  –  Dobbiamo  qui  menzionare  anche  lo  scritto  Meditatio  in  curriculo  mortis  (L’Epos,  Palermo  1990),  in  cui  Nunzio,  racchiuso  nell’intimità  degli  affetti  familiari,  ripercorre  i  luoghi  della  passione  di  Cristo  e  li  riporta  agli  eventi  della  sua  umana  sofferenza  –  Convegno  di  Castelvetrano  (10-­‐12  ottobre  1990):  Attualità  di  Gentile  –  Incontri  del  «Giornale  di  Metafisica»,  Siena  (2/7  novembre  1990):  Metafisica  e  filosofie.    (26)  Xavier  Tilliette  (Corbie,  1921).  Gesuita  e  filosofo  francese,  ha  insegnato  nella  Pontificia  Università  Gregoriana  e  nell’Institut  Catholique  di  Parigi.  Ha  scritto  su  Jaspers,  Marcel,  Merleau  au-­‐Punty  e  Lequier.  È  uno  dei  più  fini  e  competenti  esegeti  di  Schelling.  Ha  posto  al  centro  della  «filosofia  cristiana»  il  pensiero  e  la  vita  di  Cristo,  interpretandoli  come  un  «segno  perenne»  impresso  nella  speculazione  di  tutti  i  secoli.      (27)  La  cristologia  di  Xavier  Tilliette,  GdM  1991,  pp.  363-­‐382.    (28)  L’opposizione  di  Nunzio,  cattolico  osservante,  riguarda  unicamente  la  questione  teoretica.  Ciò  appare  ancor  più  chiaramente  da  quanto  scrive  nelle  pp.  376  e  377  dell’articolo: «Ma,  d’altra  parte,  e  soprattutto  nel  suo  concetto,  una  filosofia  può  dirsi  cristiana  per  un  paradosso  iniziale  che  è  puntualmente  la  assolutezza  della  irriducibilità  del  Cristo  ad  una  qualunque  e  qualsivoglia  categorizzazione  che  non  sia  quella  stessa  ottenuta,  e  consumata,  per  morte  e  per  morte  di  croce,  per  incarnazione  e  sacrificio  supremo,  per  rovesciamento  dunque  di  tutte  le  categorie  e  per  annientamento  della  sovranità  del  suo  essere».  –  1991:  Trascendentalismo  dell’assolutezza  e  assolutezza  teologale,  Studi  in  onore  di  Ezio  Riondato  –  Opere:  Karpòs,  Tomo  I,    L’Epos,  Palermo  1991  –  Chorismòs/Fondamento  III  (1991/1992)  –  Seminario  internazionale  di  Studi  in  occasione  della  presentazione  dell’opera  di  M.F.  Sciacca,  S.  Agostino,  riedita  da  L’Epos  (Palermo,  9-­‐10-­‐11  maggio  1991):  Agostinismo  della  mens  e  modernità  della  ragione.  –  Incontri  del  «Giornale  di  Metafisica»,  Lecce  (5/6  novembre):  Metafisica  e  archè.    (29)  Soggettività  del  fondamento,  GdM  XIV  (1992,  n.  1),  pp.  5-­‐10.  Incontro  del  «Giornale  di  Metafisica»  su  Metafisica  e  soggettività  (Bari  7/8  novembre  1989).    (30)  Il  passaggio  del  pensiero  soggettivo  a  quello  «oggettivo»,  ossia  ad  «atto  di  concetto»  è  deducibile  da  quanto  osserva  Nunzio:  «Questo  essere  del  soggetto  è  allora  propriamente  il  suo  stesso  divenire  in  quanto  questo  divenire  sia  termine  di  compimento  dell’essere  (del  soggetto)  come  stabilità  del  suo  stato  di  principio  e  dunque,  complessivamente,  così  soggettualità:  ma  soggettualità  in  quanto  principio  di  limitazione  a  se  stesso  (soggetto)  del  fondamento  e  dunque  della  radicalità  della  sua  profondità  per  una  parte;  e,  per  l’altra,  essenzialmente  in  quanto  per  questo  stesso,  soggettualità  del  fondamento,  terminatività  compiuta  di  questo  suo  essere  principio  come  sistema  di  comprensione  dell’atto  in  quanto  l’atto  sia  e  sia  atto  di  concetto»    (p.  9).    (31)  Antilogia,  GdM  1992,  pp.  361-­‐372.  La  citazione  crisippea  (Von  Arnim,  II,  121)  si  legge  anche  in  Sesto  Empirico  e  in  Clemente  Alessandrino.      (32)  Enarrationes  in  tempus  et  exsistentiam  dal  Mahābhārata  e  dai  Fragments  d’un  journal  intime,  GdM  1992,  pp.  567-­‐574.    (33)  Mahābhārata,  a  cura  di  Vittore  Pisani,  Torino  1968.  –  Bhagavadgītā,  a  cura  di  Raniero  Gnoli,  Torino  1975.    

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(34)  Henri  Frédéric  Amiel  (1821-­‐  1881)  –  Filosofo  svizzero  che  ha  diffuso  il  suo  pensiero  anche  attraverso  la  saggistica  e  la  poesia.  È  soprattutto  ricordato  per  i  Fragments  d’un  journal  intime,  che  Incardona  legge  nell’edizione  a  cura  di  Bernard  Bouvier,  Paris  1931  –  1992:  Chorismòs-­‐infra    Determinazione/Negazione  I  (1992/1993)  –  XIII  Convegno  (7-­‐8-­‐9  maggio  1992):  Interrogazione  e  destino.  Gli  inferi  del  principio  –  Incontri  del  «Giornale  di  Metafisica»,  Macerata  (9/10  dicembre  1992):  Metafisica  e  teoreticità  del  pensare.  

(35) Physis e univocatio philosophiae, GdM XV (1993, n. 3), pp. 345-355. Sono qui raccolti i lavori dell’Incontro del «Giornale di Metafisica» su Metafisica e filosofie (Siena 6/7 novembre 1993).

(36) «La possibilità infinita delle relazioni definisce una relazione come unica e iniziale: iniziale o come iniziata o come termine della determinazione negata come indeterminazione e comunque determinata pur sempre come pensiero e come pensiero determinativo perché pensiero di quell’atto individuo; e dunque non pensiero per atto proprio, ma pensiero di quell’atto individuo, pensiero della physis. Physis è dunque una individualità determinata nella relazione come potenza della divisione: in questo senso è materia in quanto il suo essere contenuto è identico al suo essere potenza. […] L’interezza della physis si risolve in una univocatio fondamentale come filosofia fino a diventare determinativamente doppiamente e ambiguamente univocatio philosophiae» (pp. 333-335) – 1993: Chorismòs-infra Determinazione/Negazione II (1993/1994) – Convegno di studi patrocinato dal Centro internazionale di cultura filosofica Giovanni Gentile di Castelvetrano (Palermo/Castelvetrano, 2-3-4-5-6 dicembre 1993): Idealismo tedesco e neoidealismo italiano – Incontri del «Giornale di Metafisica», Verona (8/9 novembre 1993): Metafisica e trascendentalità.

(37) Breviarium principii – prosènanchos archèten, GdM XVI (1994, n. 3), pp. 293-297. Incardona si rifà ancora al concetto racchiuso nella diade prosevnagco~/ ajrch`qen,  un  luogo  topico  della  proiezione  in  cui  egli  situa  ogni  principio,  dialettizzandolo  in  un  movimento  di  pensiero,  che  antecedendo  il  tempo,  scaturisce  ejxaivfnh~. Questo  inatteso  e  improvviso  comparire,  è  avvertito  da  Nunzio  come  un  «traslato  […]  rinserrato  in  una  vincolatezza  aorgica  nella  quale  un  cominciare  pur  che  sia  adegua  se  stesso  al  cominciare  qualcosa»  (p.  294).   (38) Scrive al riguardo l’autore: «L’interrogazione, quello che appare nucleo sorgivo di un sapere soddisfatto dal suo stesso mancare a se stesso, è, in realtà, per dovere in qualche modo essere principio di tutto quanto ha detto di sé, ripensando e conoscendo, filosofia» (p. 6) – «Ed è fatale che i termini abbiano compimento nella perfezione della stessa interrogazione come quella sua compiuta, e compiente, determinazione che è l’invocazione: il destino appare così, per naturale tragedia, essere al termine del compimento della interrogazione come vocazione» (p. 7) – «Cosi dagli inferi che le filosofie hanno sotterrato nelle profondità non atterrite dallo stupore né stordite dal grido, le filosofie ricevono il paradosso del loro alimento storico […] negato, senza negazione e differenza, al principio e ai suoi inferi, perduti per la interrogazione e l’invocazione, ma, forse, non ancora per il pensare e la filosofia» (ibidem).

(39)  Del  Principio  (op.  cit.,  pp.  9-­‐20).  Il  nostro  filosofo  chiarisce  anzitutto  l’apparente  paradosso  di  una  comunità  di  studiosi  che,  concordi  nei  fini  e  nei  metodi,  finiscono  fatalmente  con  il  percorrere  vie  diverse,  vuoi  perché  condizionati  dalla  loro  forma  mentis,  vuoi  per  una  nativa  inclinazione  verso  specifici  orizzonti  culturali.  Se  poi  l’argomento  del  dibattito  non  rientra  propriamente  nelle  competenze  specialistiche  di  ciascun  partecipante,  si  rischia  di  raccogliere  risultati  inficiati  da  una  «dialessi  superficiale,  estemporanea  che  ci  coglie  disattenti  e  sorpresi  dalla  stessa  nostra  capacità  di  ascolto  delle  cose  profonde,  ma  disattenti  a  queste  voci  perché  estraniati  rispetto  a  tutto  quanto  riesce  pur  sempre  a  determinare  una  sorta  di  circuito  in  qualche  modo  infernale,  ma  angelicamente  infernale»  (p.  10).  E  tuttavia  da  questa  «disarmonia»  d’indirizzi  e  di  accenti  prende  avvio  un’unitaria  sedimentazione  di  pensieri  che  è  il  pregio  e  la  bellezza  della  filosofia.  E  ancora,  poiché  l’abito  del  filosofo  è  per  coerenza  un  «abito  di  vita»,  tra  le  varie  personalità  si  sviluppa  un  vincolo  «sociale»  che  attenua  in  ciascuno  «la  diatriba  fra  esistere  e  pensare»  (p.  17).  Ma  anche  così,  il  destino,  che  ci  assilla  e  ci  divide,  ci  trascina  verso  gli  inferi  del  principio.  Sennonché,  proprio  in  questa  discesa,  lo  stesso  destino  che  ci  trascina  agli  inferi,  ci  porta  ad  amarli  e  a  «circuirli»,  e  «circuire  gli  inferi  significa  aiutare  i  principi  a  dissotterrarsi,  a  diventare  contemplabili»  (p.  20).  Questo  scavo  però  non  allontana  l’assillo  dell’interrogazione:  

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per  Incardona  l’equivoco  che  si  genera  alle  fonti  del  pensare  è  «un  problema  che  rimane  profondamente,  radicalmente  aperto»  (ibidem)  –  1994:  Chorismòs-­‐infra    Determinazione/Negazione  III  (1994/1995).  –  Convegno  di  studi  patrocinato  dal  Centro  internazionale  di  cultura  filosofica  Giovanni  Gentile  di  Castelvetrano  (Castelvetrano  20-­‐21-­‐22  ottobre  1994)  :  Idealismo  della  filosofia  ed  esperienza  storica.  (40) Réponses à Nunzio Incardona et à quelques apories, GdM 1995, n. 1-2, pp. 225-228. Tilliette, con preciso e cortese riepilogo della materia del contendere, riassume in sette punti i capisaldi della critica incardoniana: 1) filosofia e teologia devono occupare ambiti separati; 2) la filosofia cristiana è un «equivoco storico e concettuale»; 3) tra il concreto evento dell’Incarnazione e la «teologalità» che lo interpreta in chiave filosofica si annida un’insanabile contraddizione: l’Idea Christi di Tilliette rappresenterebbe un secondo e nuovo Logos di fronte a quello della Rivelazione; 4) la filosofia cristiana si vede costretta a rifiutare la centralità del Cristo come Logos-Principe per non prestare il fianco alle obiezioni dei laici; 5) il tentativo – messo in campo da Tilliette – di innestare nel discorso filosofico le valenze critiche ed esegetiche della cristologia si riduce a una petizione di principio che aggrava le aporie; 6) Tilliette gioca abilmente su due scacchieri separati: nel primo manovra la teologia per mutarla in filosofia, nel secondo si serve della filosofia per fornire un sostegno e un alibi alla teologia; 7) la logica della secolarizzazione del Cristo storico conduce ad esiti di rifiuto o di confidante attesa: Tilliette, mosso da intenti apologetici, ha proposto un «Cristo filosofico e immanente alla metafisica»: tuttavia «la cristologia è inaccessibile alla filosofia». – Le obiezioni di Tilliette, di cui terrà conto Incardona nell’articolo pubblicato in questo stesso fascicolo del «Giornale», si possono così riassumere (traduco e adatto il testo francese): 1) filosofia e teologia sono indipendenti e autonome, ma non per questo separate; 2) la filosofia cristiana non è un incrocio tra storia e filosofia, ma una filosofia per la quale esiste il «soprannaturale», e su questo soprannaturale edifica la sua dottrina; 3 e 4) il Cristo «trascendentale», quello espresso dall’Idea Christi, è il Cristo vivente dei Vangeli, non esiste un «Cristo filosofico», per il cristiano, quindi, la «regalità» di Cristo non è un «fatto mondano» che possa essere impugnato dalla mentalità laica; 5) il «palinsesto sottile», cui allude Incardona, è un «libro scritto di dentro e di fuori»: il suo contenuto pertanto esclude un’unica lettura che si prefiguri come petizione di principio; 6 e 7) il filosofo e il teologo devono e possono convivere nel culto della verità, la quale non è un gioco di «incastri», di «adattamenti» o di reciproche «compromissioni»; la cristologia non pone problemi coscienziali: come la filosofia «positiva» di Schelling, si è liberi di rifiutarla e altrettanto liberi di accettarla». (41) Cfr. La cristologia di Xavier Tilliette, GdM 1991, pp. 363-382. (42) Cfr. M.F. Sciacca, Gli arieti contro la verticale, Marzorati, Milano 1972, cap. III – «Dio nella filosofia», pag. 63 : «D’altra parte ogni esistente è anche principio di oggettività, il lume infinito della verità. Posso deporlo? Non posso; se potessi farlo, cesserei di essere un soggetto pensante, diventerei una cosa. Ma il lume della verità nella sua infinità, non è l’infinito sussistente, bensì l’essere come oggetto del pensiero o Idea, quello che sant’Agostino chiama «verbo della mente» e Rosmini «Idea dell’essere», il «noetico» di Platone. E allora non posso deporre questo lume senza cessare di essere pensante; d’altra parte esso non è l’infinito sussistente ma solo ideale; né io soggetto finito posso essere la sussistenza dell’essere infinito come Idea, giacché se lo fossi sarei Dio».

(43) Idea Christi e Nus Kyriu – Theorèin hòsper en phrurà? – Discorso con Xavier Tilliette, GdM 1995, pp. 231-264.

(44) Assolutezza e differenza. Tesi di una metafisica possibile, GdM 1995, pp. 451-460. – 1995: Lògos diaphoròtetos hermenèia, Cedam (Studi in onore di V. Mathieu) – Del principio Incoatività/Ermetismo I (1995-1996) – Incontri del «Giornale di Metafisica», Palermo 6/7 novembre 1995 – Idealismo tedesco e neo-idealismo italiano, L’Epos, Palermo 1995. Presenta le relazioni del Convegno del 1993. Nella prolusione (Idealismo e idealismi), il Nostro accenna all’attualità dell’idealismo, una delle espressioni più alte e longeve della storia della filosofia. – Idealismo della filosofia ed esperienza storica, L’Epos, Palermo 1995, raccoglie i lavori del Convegno del 1994. Introduzione tematica di Nunzio Incardona.

(45) Essere e tempo. Il primordio dell’annientamento, GdM 1996, pp. 5-28.

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(46) ll primo (Metafisica e teoreticità del pensare) ebbe luogo a Macerata, il secondo (Metafisica e trascendentabilità) a Verona. – 1996: – Del principio Incoatività/Ermetismo II (1996-1997) – Convegno  di  Castelvetrano  (26-­‐29  aprile  1996)  :  Dalla  physis  di  Empedocle  al  logos  di  Gorgia.  Percorso  filosofico  antico  e  prospettive  contemporanee.      (47) I sandali di Ermes e lo spazio di De Kooning – Appunti per una possibile negazione dell’epelysìa di metaphysikà, GdM 1997, pp. 101-150.  

(48) Cfr. Inni omerici, a cura di F. Càssola, Milano 1975, Inno IV, pp. 153-225. Ermes è l’emblema del lovgo~ aijmuvlio~,  dal  quale  scaturisce  l’azione,  modulata  come  una  «rappresentazione».  Il  dio,  attore  e  protagonista,  recita  il  suo  «dramma»  donandosi  a  un  sapiente  intreccio  di  atti  e  di  parole.  I  suoi  ragionamenti  sono  gli  archetipi  delle  argomentazioni  che  difendono  gli  aspetti  contraddittori  della  speculazione  filosofica.  

(49) Citato da Platone, Convito, ed. I. Burnet, Oxonii 1967, 202d 13-14; 203b 1-d8; 206b 7 (tr. di C. Viano). Eros, figlio di Poros e Penia, è «sempre dietro a macchinare qualche insidia, desideroso di capire, scaltro, inteso a speculare tutta la vita, imbroglione terribile, maliardo e sofista» (tr. di G. Giardini). Questi caratteri della divinità entrano nella tipologia del discorso filosofico fornendogli gli elementi di una «liturgia» che mantiene il logos nella sua primitiva ambiguità.

(50)  William  De  Kooning  (1904-­‐1997)  –  Pittore  statunitense  di  origine  olandese.  Il  suo  stile  è  caratterizzato  da  una  scomposizione  parossistica  dell’oggetto,  operata  a  forti  tinte,  quasi  a  esprimere  una  violenta  e  radicale  ribellione  ai  canoni  del  realismo  pittorico.  Nel  gesto  di  De  Kooning  (p.  123  s.),  lo  spazio  figurativamente  dominato  dalle  dita  della  mano  è  il  luogo  in  cui  l’artista  esprime  i  suoi  fantasmi:  colori  e  voci  che  richiamano  nella  mente  di  Nunzio,  padre  di  un  pittore  e  di  un  musicista,  il  grido  di  Munch  e  l’urlo  dodecafonico  del  Mosè  di  Schönberg  (p.  126.)           (51) Cfr. pp.112 (Omero); 125 (Anassimandro); 126 (Pindaro); 112,114 (Euripide); 120 (Aristotele); 111 (Leibniz); 111,128, 130 (Hegel);129 (von Kleist); 124 (Leopardi); 128 (Nietzsche) . – Stéphane Mallarmé (1842-1898). Oeuvres complètes, Gallimard, Paris 1950: Incardona cita (p. 129 s.) da In libro veritatis - Divagations e da Brise marine. – Paul Margueritte (1860-1918), scrittore francese. Il brano riprodotto (p. 129) è tratto da Pierrot assassin de sa femme: pantomime,  Calmann-­‐Lévy,  Paris  1886.    (52)  Il  Nostro  si  riferisce  in  particolare  (p.  126  s.)  al  «pensiero  debole»  di  Vattimo,  al  «decostruzionismo»  di  Derrida,  all’«ermeneutica»  di  Heidegger,  Gadamer  e  Ricoeur  e  alla  «narratologia»  di  Todorov.  –  1997:  – Del principio Incoatività/Ermetismo III (1997-1998).    (53)  Modus  in  principio.  Il  logos  rhètor  e  l’interrogazione  inutile,  GdM  1998,  pp.  151-­‐161.        (54  Suvnoyi~ e  Standpunkt,  GdM  1998,  pp.  409-­‐448.  Per  i  dialoghi,  Incardona  rinvia  all’ed.  Burnet;  il  testo  base  per  Standpunkt  ẻ  G.W.F.  Hegel,  Wissenschaft  der  Logik,  Hamburg  1966.      (55)  Cfr.  p.  161:  «A  questo  punto  è  necessità  […]  fare  punto  per  il  bene  possibile  che  l’odierno  filosofare  deve  guadagnarsi  in  sorte  sia  per  continuare  a  ignorare  beatamente  (ermeneuticamente,  narratologicamente,  debolmente,  praticamente)  e  saputamente  del  principio  ogni  modus  (proprio  o  improprio  non  fa  differenza  per  questa  dotta  ignoranza);  sia  per  accreditare  la  potenza  impotente  della  multiformità  delle  trasgressioni  facili  che  l’ombra  di  Edipo,  pur  solenne  e  venerabile,  è  chiamata  ad  esorcizzare  per  la  residua  e  ottusa  persistenza  dei  riti  contemporanei  della  fine  del  secolo  e  dell’epicedio  delle  filosofie:  conclamato  dalla  incombenza  destinale  e  plurisecolare  dell’interrogazione  inutile».      

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(56)  Spia  acutissima  delle  asperità  del  dettato  di  Incardona  è  il  tessuto  terminologico  del  testo,  nel  quale  convivono  in  originale  e  in  trascrizione  un  altissimo  numero  di  termini  platonici  e  hegeliani  introdotti  direttamente  nella  discussione  come  elementi  normali  del  lessico  italiano.  Non  si  tratta  qui  di  un  espediente  stilistico:  Nunzio  ragiona,  in  realtà,  avendo  in  mente  e  sulle  labbra  il  greco  di  Platone  e  il  tedesco  di  Hegel.    (57)  Nella  ricognizione  delle  fonti  compaiono  con  qualche  insistenza  rinvii  a  più  antichi  testimoni  della  dottrina  platonica  (Cratilo  [p.  427],    Filolao  [431  s.]),  o  presentimenti  e  consonanze  del  testo  hegeliano  (Schönberg  [p.  429],  Uguccione  da  Pisa  [Derivationes,  citate  a  p.  435),  Dante  [Paradiso,  XIV,  vv.  34-­‐35,  52-­‐57,  94-­‐96,  citazioni  a  p.  434  s.],  Rilke  [5  passi  da  varie  opere  [pp.  422,  438  s.,  446  s).      (58)  Le  testimonianze  sono  tratte  da  Repubblica,  537  c  7  (passim),  da  Teeteto,  150  c  4,  7-­‐8)  (p.  417),  da  Protagora, 322 a 3 (p. 428). La Wissenschaft  der  Logik (cfr. supra nota 54), nonostante l’iniziale riferimento alla traduzione Moni-Cesa, è letta e interpretata nel testo originale. Il lessico tedesco è fittamente intrecciato al greco dei dialoghi, a tal punto da destare l’impressione di una «lingua franca» o di un idioma fortemente gergalizzato. (59) La dimensione dell’imponente analisi condotta da Incardona sul lessico dei due filosofi è rilevabile anche da questo (incompleto) repertorio dei termini da lui discussi.  I  vocaboli  platonici  sono:  «stoicheia»  (pp.  410,  412),  «dialektòteron»  (pp.  410,  413),  èschaton»  (pp.  410,  412,  415),  «àpeiron»  (pp.  410,  420,  rJhvmata  (pp.  413,  417),  «anànke»  (pp.  413,  417,  427,  428,  433),  «chaos»  (p.  414),  «kòsmos»  (p.  414),  «pròsopon»  (p.  414),  ei\doß (pp.  415,  444),  «mechanè»  e  «tèchnai»    (pp.  416,  433),  ei\dwlon (pp.  416-­‐419),  muqologhvmata (p.  422),  eujavggelo~ e    diavggelo~ (pp.  420,  422),  «nòstos»  (p.  424),  ànthropos»  (pp.  427,  428),  «hypokèimena  (p.  428)  moi\ra  (p.  428).  Nelle  pagine  hegeliane  sotto  l’insegna  dell’Innerlich  im  Denken  (pp.  410,  418)  si  raccoglie  una  nutrita  serie  di  vocabula  artis  come  «werden»  (a  fronte  di  givgnesqai)  (pp.  413,  428),  «Ursache»  (pp.  42,  422,  426,  431),  «Erhebung»  (p.  423),  «Entäußerung  (p.  424,  «Ueberwindung»  (p.  426),  «Unterschied»  (p.  431),  «Unmöglichkeit»  (pp.  434,  446),  «ursprüngliches  Wort»  (p.  434),  ecc.,  che  non  sono  «citazioni»  ma  «termini  in  questione»  inseriti  nel  dibattito.  Questa  connotazione  vale  anche  per  le  voci  rilkiane  come  «Frühgeburten»,  «Versuchung»,  «von  Stern  zu  Stern»,  «Unerhörtes  Haupt»  che  sigillano  l’ultima  parte  del  saggio.  Un  cenno  particolare  merita  l’inserimento  dei  versi  di  Dante,  che  non  è  un  espediente  esornativo,  ma  un  preciso  corollario  sulla  natura  della  divinità.    (60)  Il  discorso  su  Dio  e  sul  divino  (pp.  432-­‐435),  non  dimentico  delle  sue  origini  elleniche,  si  anima  e  si  sostanzia  come  filosofia  del  sacro:  si  avvia  cioè  a  rivestire  quel  manto  teologale  con  cui  entrerà  regalmente  nel  pensiero  cristiano.  Il  Nostro  ha  approfondito  la  sua  indagine  con  uno  scandaglio  sistematico  delle  fonti  greche  e  latine,  interpretate  spesso  alla  luce  di  una  logica  filosoficamente  orientata.  Un  dialogo  serrato  con  la  Wissenschaft  di  Hegel  lo  conduce  ad  un  controllo  attento  delle  sue  posizioni,  quasi  al  limite  di  una  profonda  revisione      dei  suoi  convincimenti  (cfr.  al  riguardo  le  pp.  430-­‐431).    (61)  Cito  dalla  sola  p.  419:  «la  panglossia  loquace  degli  scribi»,  «la  noluntas  indolente»,  «il mortale rigor vitae», «angelicamente diaboliche». A p. 417 aveva scritto: «Il nominalismo fatuo dei focherelli mondani e intramondani del fantasmatico vagare delle filosofie nel deserto di tutti i propri acconciati tartari» (corsivo mio).– Le pagine di Nunzio ricamano spesso ai margini o nel cuore stesso dell’argomentazione filosofica allusioni e rinvii – quasi un colto «ammiccamento» al lettore – sia accennando direttamente a un autore o a un’opera, sia riportandone in forma anonima frasi o addirittura una sola parola.    

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   (62) Si può dare solo qualche esempio delle innumerevoli innovazioni lessicali e stilistiche introdotte da Nunzio. La gran parte sono costituite da «coestensioni» morfologiche di sostantivi, aggettivi, verbi e avverbi (che potrebbero essere passati in qualche caso nella lingua contemporanea) (assuntivismo, assuntivistico, aplatonicamente, identitarietà, scientificazione, panicamente, pseudico, ermetizzante, insaputamente, disintrinsecante, trascendentalizzato, imperscrutatore, innominatezza, coniugatezza, preoroginario, panarcaico, cooriginario, radicatezza, coniugatezza, genitività, materizzare, conclamatezza, ecc. Una sezione particolare è rappresentata da voci greche e latine (cfr. le note 3 e 59) introdotte, soprattutto in trascrizione, come elementi normali del vocabolario italiano). Altrettanto cospicuo è il numero degli a[pax  incardoniani,  ne  cito  qualcuno:  ciecoveggente,  ciecoveggenza,  tautocronismo,  tautocronistico,  noomorfico,  transcorporeità,  cooriginario,  tautocronistoria).  Ci  sono  poi    termini  ricavati  da  fonti  letterarie  (soprattutto  poetiche)  che  Nunzio  ha  inserito  nel  suo  linguaggio  filosofico  con    precise  intenzioni  semantiche:  vedi  qui,  ad  esempio,  le  Frühgerburten  di  Rilke  e  l’  aorgico  (peraltro  molto  diffuso  negli  scritti  di  Incardona),  tratto  da  Hörderlin. – 1998: Inchoatio actus Il chiasmo difettivo: Utrum, Widerspruch, ajeiv. (63)  Scomparso  il  30  maggio  1999  a  soli  37  anni.  Già  affermato  pittore,  aveva  conseguito  in  mostre  e  avvenimenti  culturali  notorietà  e  consensi.  Attivo  fin  dagli  anni  80,  si  era  imposto  con  uno  stile  di  forte  impatto  cromatico,  reso  più  personale  e  incisivo  da  precise  scelte  letterarie  e  per  l’impegno  sociale.       (64)  La  costellazione  ex  enantìas  del  primordio  trascendentale.  Lògos  iatrikòs  e  Chìmaira  phronèin,  GdM  1999,  pp.  5-­‐30.  Nel  sottotitolo  Nunzio  si  richiama  all’opera   jIatriko;~ lovgo~,  attribuita  da  Diogene  Laerzio  a  Empedocle  (31,  A  1,  77  DK)  e  alla  frase  di  Gorgia  kai; ga;r Skuvlla kai; Civmaira kai; polla; tw`n mh; o[ntwn fronei`tai  (82  B  3,  80).  Cfr.  I  Presocratici  –  Prima  traduzione  integrale  con  testo  originale  a  fronte  della  testimonianze  e  dei  frammenti  nella  raccolta  di  Hermann  Diels  e  Walther  Kranz.  A  cura  di  Giovanni  Reale,  Bompiani,  Il  Pensiero  occidentale,  Milano  2006,  pp.  578  s.  e  1620  s.    –  Questo  fascicolo  doppio  (n.  1-­‐2,  Gennaio-­‐Agosto)  contiene  le  relazioni  del  Convegno  di  Castelvetrano  (26-­‐29  aprile  1996):  Dalla  physis  di  Empedocle  al  logos  di  Gorgia.  Percorso  filosofico  antico  e  prospettive  contemporanee  (cfr.  n.  46).    (65)  Della  differenza.  Nota  implicativa  del  principio  fra  ajgoniva  e  ajgwniva,  GdM  1999,  pp.  353-­‐374.   – jAgoniva  è  termine  aristotelico  (De  gen.  anim.);  ajgwniva «lotta»,  «esercizio»  ha  anche  il  senso  figurato  di  «stato di inquietudine, di ansia, di angoscia».    (66)  Incardona  usa  l’edizione  dei  Frammenti  curata  da  M.  Untersteiner,  La  Nuova  Italia,  Firenze  1961.  –  Dopo  aver  dimostrato  che  l’essere  non  esiste,  Gorgia  (3,  67)  sostiene  che  neppure  il  non-­‐essere  esiste.  Se  il  non-­‐essere  esistesse,  avrebbe  e,  nello  stesso  tempo,  non  avrebbe  un  futuro:  infatti,  se  è  pensato  come  non-­‐essere  non  avrà  un  futuro,  se  invece  esiste  come  non-­‐essere  avrà  un  futuro.  È  del  tutto  assurdo,  e  la  cosa  è  palmare,  che  qualcosa  possa  contemporaneamente  essere  e  non-­‐essere.  Pertanto  il  non-­‐essere  non  esiste.  E,  d’altro  canto,  se  il  non-­‐essere  esistesse,  non  ci  sarebbe  l’essere.  Si  tratta  quindi  di  termini in  reciproca  opposizione  tra  di  loro;  se  al  non-­‐essere  si  attribuisce  l’essere,  all’essere  si  attribuirà  il  non-­‐essere.  Ma  nel  caso  in  cui  l’essere  non  dovesse  esistere,  si  avrebbe  di  conseguenza  che  neanche  il  non-­‐essere  potrebbe  esistere.     (67)  Dalla  duplice  lettura  logica  e  ontologica  dell’«essere»  e  del  «non-­‐essere»,  con  il  relativo  problema  del  significato  dei  rJhvmata rispetto  all’universo  delle  cose,  deriva  necessariamente  la  interpretazione  trascendentale  della  teoria  gorgiana.  Nunzio  la  enuncia  guardando  alla  dislocazione  antinomica  dell’apodissi  (termine  squisitamente  aristotelico),  per  la  quale  pone  a  

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fianco  dell’ajpovdeixi~ ejx ejnantiva~ l’eujaggelikh; ajpovdeixi~  di  Eusebio.  Questa  prospettiva  è  vagliata  attraverso  il  filtro  della  logica  hegeliana  (Schein,  Meinen,  Werden)  e  intende  esorcizzare  l’«essere  senza  divenire»  delle  Frühgeburten  kleistiane  per  non  cadere  nel  «divenire  senza  essere  degli  indicibili».  Le  altre  articolazioni  della  logica  dell’identificazione  e  della  negazione  conducono  alla  specularità  dell’atto  di  pensiero  e  ai  criteri  di  verificabilità  del  vero  (mito  platonico  dello  sphvlaion).   (68)  La  logica  della  distinzione  per  un  verso  riconosce  la  componente  temporale  del  processo  ideativo,  e  per  un  altro  proietta  in  uno  schema  «chiastico»  le  alternative  che  si  deducono  dalla  dottrina  gorgiana.  Guardando,  infatti,  all’opposizione  tra  «essere»  e  «non-­‐essere»,  mentre  il  pensiero  dell’essere  e  l’essere  del  pensiero  appaiono  del  tutto  predicabili  e  si  può  ammettere  –  contro  il  teorema  di  Parmenide  –  un  pensiero  del  non-­‐essere,  il  non-­‐essere  del  pensiero  genera  una  sterile  formula  linguistica,  che,  appena  pensata  e  detta,  smentisce  se  stessa  e  afferma  il  suo  contrario.  La  teoria  di  Gorgia,  analizzata  nei  termini  di  una  sintassi  logica  rigorosa,  mostra  appunto  come  e  dove  il  pensiero  «gioca»  con  se  stesso,  generando  mostri  e  insanabili  contraddizioni.        (69)  Cfr.  Analyt.  post.  100  b  15-­‐18;  Met.  981  b  27-­‐29,  982  a  1-­‐3;  Eth.  Nic.  1139  b  31,  1140  a  20-­‐21.  –  «La  genealogia  degli  allucinati  topici  del  primordi»  è  ricostruita  da  Aristotele  mediante  una  corretta  diovrqwsi~ del  concetto  di  filosofia,  dalla  quale  appaiono  ridefiniti  i  cardini  del  pensiero  scientifico:  pensiero  «polivalente»  che  adatta  le  sue  regole  ai  singoli  ambiti  disciplinari.      (70)  Per  ajgoniva, cfr.  De  gen.  anim.  746  b  20,  747  a  33,  748  b  8,  748  b  12,  750  a  31,  767  a  27;  per  ajgwniva, cfr.  Eth.  Nic.  1114  a  8  e  Pol.  1288  b  18;  nei  Problemata  significa  «ansia»,  «inquietudine»,  con  riferimento  alla  fisiologia  delle  alterazioni  nervose.        (71)  Cfr.  Fedro  257  e  1.  Va  qui  segnalata  l’umbratile  e  diffusa  presenza  di  Platone  nella  dialettica  dei  diavfora.  Per  i  riferimenti  puntuali,  basti  qui  accennare  al  lektevon ti kai; ouj kaqeudhtevon ejn meshmbriva/ di  Fedro  259  d  8  e  ai  tou;~ tw`n eijdw`n fivlou~  di  Sofista  248  a  4.    Ma  l’intero  quadro  mostra  nello  sfondo  i  sortilegi  di  Eros,  l’incantamento  delle  Muse  e  «l’annidarsi  veritativo»  di  Thanatos.    (72)  Per  Aristotele  cfr.  pp.  361-­‐365;  per  la  letteratura  biblica  cfr.  pp.  368-­‐374.    (73)  Mediante  richiami  diretti  o  indiretti  sono  citati:  Esiodo  (pp.  355,  365),  Guglielmo  di  Moerbeke  (p.  359),  Ludwig  Wittgenstein  (p.  360),  Giacomo  Leopardi  (p.  366),  Martin  Heidegger  (ibidem),  Zenone  di  Elea  (pp.  367-­‐369),  Tertulliano  (ibidem),  Lautréamont    (p.  368),  Friedrich  Nietzsche  (p.  373).  –  1999:  Il  divino  e  il  filosofico.  Divagazioni  teoretiche  («Studi  in  onore  di  F.  Costa»),  Dipartimento  di  Filosofia,  Palermo  –  Presentazione  –  Michele  Federico  Sciacca,  La  casa  del  pane,  L’Epos.   (74)  Taytòn  tanantía  –  Allegretto  ma  non  troppo,  GdM  2000,  pp.  405-­‐430.    (75)  Di  Aristofane  sono  riportati  due  brani  dagli  Uccelli  (vv.  685-­‐709;  vv.  1515-­‐1518),  che  Nunzio  (p.  421  s.)  cita  dall’ed.  a  cura  di  G.  Zanetto,  Milano  1997.  Di  Boccaccio  (p.  412  s.)  si  coglie  la  vena  ironica  con  riferimento  al  personaggio  di  Ciappelletto.    (76)  Nunzio  (p.  403)  esordisce  proprio  con  un  passo  del  Moby  Dick  (trad.  di  C.  Pavese,  Milano  1987,  p.  543.  

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 (77)  Cfr.  G.  Leopardi,    Paralipomeni  della  Batracomiomachia,  a  cura  di  E.  Boldrini,  Loescher,  Torino  1970,  pp.  169  s.  I  versi  sono  tratti  dal  Canto  VIII  (45,  46).    (78)  In  particolare:  Met.  1005  b  19-­‐20  e  Wissenschaft  der  Logik,  ed.  cit.,  vol.  I.,  p.  67.  Nel  ruolo  di  testimoni  a  latere  compaiono  anche:  Buzzati  (p.  406),  il  Corpus  Hermeticum  (p.  407),  Quintiliano  (p.  411),  Nietzsche  (p.  416),  Rilke  (p.  417,  Lautréamont  (p.  423),  Borges  (p.  427).    (79)    Nunzio  attinge  soprattutto  dalla  Repubblica,  ma  cita  anche  dal  Timeo  e  dal  Teeteto  (p.  405).  –  2000:  Orizzonte  di  prima  luce.  Storia  di  Marco,  L’Epos,  Palermo  2000.  È  l’ultima  opera  di  Nunzio,  commovente  e  straziante,  non  solo  e  non  tanto  perché  piange  la  morte  di  Marco,  ma  perché  è  la  discesa  apocalittica  di  un’anima  nella  tempesta  del  dubbio  e  della  disperazione.  Il  dialogo  con  Dio,  la  desolazione  di  un  orizzonte  segnato  da  orride  devastazioni  spirituali  sono  le  note  dominanti  di  questo  libro,  che  è  una  singolare  testimonianza  dell’universo  culturale  di  Incardona  e  dell’altissimo  livello  della  sua  prosa  d’arte.        (80)  Una  enciclopedia  delle  origini  nella  filosofia  dell’oltre  di  Giuseppe  Masi,  GdM  2001,  pp.  367-­‐370.  –  Giuseppe  Masi  (1915-­‐2007),  docente  di  Storia  della  filosofia  antica  presso  l’Università  di  Bologna,  si  era  dedicato  in  precedenza  allo  studio  dei  filosofi  moderni  e  contemporanei  (Kierkegaard,  Jaspers,  Heidegger,  Wahl).  Autore  di  molte  pubblicazioni  in  vari  campi  dell’indagine  filosofica,  approfondì,  in  particolare,  la  storia  dello  spiritualismo  nelle  forme  peculiari  espresse  dalla  civiltà  egiziana,  da  quella  indiana,  da  quella  ellenistica  e  da  quella  cristiana.      (81)  La  metafisica  come  palinodia  tragica.  Filosofia  e  paradigma,  GdM  2001,  pp.  445-­‐458.    (82)  Giuseppe  Masi,  Ulteriorità  del  pensare,  GdM  1966,  n.  1-­‐2,  pp.  87-­‐94.