Incardona e il Gd M-1
-
Upload
independent -
Category
Documents
-
view
0 -
download
0
Transcript of Incardona e il Gd M-1
1
Gaetano Messina Nunzio Incardona e il «Giornale di Metafisica» (1982-‐2003)
Quando a cinquantaquattro anni, nel 1982, Nunzio Incardona è designato alla direzione
del «Giornale di Metafisica» i fondamenti del suo pensiero hanno ricevuto da tempo il loro statuto unitario e sono entrati nel dibattito della filosofia contemporanea (1). L’universo ideale di Nunzio è già una costruzione autonoma e originale che, senza abbandonare gli orientamenti speculativi di Michele Federico Sciacca, ne propone una personale interpretazione. Essa si richiama soprattutto alla dottrina dell’«integralità», rivissuta come esigenza di portare allo scoperto i nuclei più profondi della nostra «interiorità», oscuri e amletici a noi stessi, difficilmente esternabili e significabili agli altri. Quest’«interiorità» è tuttavia illuminata da una notevole apertura al versante metafisico, il quale non è luogo d’immobili certezze ma centro d’intensa attività dialettica. Di fronte ad esiti antinomici, la mente del nostro filosofo è continuamente sospinta a vagliare le ragioni dei singoli sistemi e a verificarne persino le valenze lessicali. Il discorso interiore gli si snoda per sentieri impervi, che celano ostacoli e pericoli di deviazione. Nasce da qui, ed è una cifra ricorrente in tutte le pagine di Nunzio, la «fatica» del pensare (2), che richiede una continua riorganizzazione delle risorse intellettuali.
In questa congiuntura, le strutture autoctone, che reggono le basi della filosofia di Incardona, si proiettano, per così dire, sulla lingua e la modellano in modo da farla corrispondere esattamente alle configurazioni della mente. Si realizza così un immediato passaggio dall’ordine dei concetti all’ordito delle parole, tale da tradurre senza dilegui e dissipazioni il fitto intreccio dei ragionamenti. Lo strumento di quest’adeguazione è il particolarissimo linguaggio di Nunzio, la cui originalità attrae immediatamente l’attenzione del lettore. Incardona espone le sue idee collocandole in uno scrigno di letteraria eleganza con una tensione stilistica che si traduce non di rado in autentica prosa d’arte. La sua pagina è concepita come una «partitura», nella quale i segni della comunicazione, uscendo dai loro confini lessicali, diventano segnali di rinvio e di ostensione, ossia si rifanno o alludono a ben precisi nuclei speculativi, estrapolati dai più vari domini della filosofia. Un tale linguaggio dunque non solo «comunica» per concetti, ma abbonda anche di suggestioni e immagini, che concorrono alla formazione del carattere «ermeneutico» del testo. La scrittura di Incardona è pertanto «densa», per l’assiepamento di periodi, ordinati in plessi sintattici di straordinaria lunghezza, e organicamente «retorica», nel senso che in essa convivono tutte le metafore e le figure dell’oratoria, non per un vuoto gioco stilistico, ma con peculiari funzioni semantiche e strutturali (3).
Queste notazioni preliminari intorno ai presupposti teoretici della filosofia di Nunzio e intorno alle peculiarità della sua scrittura, ci consentono di entrare in argomento senza altri indugi. Intendiamo qui presentare una breve rassegna della produzione scientifica del Nostro consegnata nelle pagine del «Giornale» durante il ventennio 1982-‐2002. Nel corso dell’esposizione, s’informeranno i lettori sui lavori di Incardona editi in altri sedi e sulle iniziative congressuali da lui promosse. Cercheremo di costruire una sintesi che consenta di recuperare in grandi linee la storia del pensiero del nostro filosofo, continuando il quadro d’insieme da lui stesso tratteggiato (4) e tenendo conto delle intenzioni programmatiche espresse nel I volume (unico uscito, purtroppo) della sua Opera omnia (5).
Nell’ambito dei contributi pubblicati nel «Giornale», il decennio 1982-‐1991 è caratterizzato da un certo numero di saggi storiografici, in cui Nunzio, partendo dall’esame di singole opere, dà una convincente prosopografia degli autori e ne discute con minuziosa acribia le emergenze dottrinali facendo intendere se e come si configurino rispetti ai canoni
2
del suo credo filosofico. In una nota editoriale del 1982, Incardona informa i lettori sui criteri che lo guideranno nella direzione della rivista e chiarisce il suo rapporto «esistenziale» con la cultura contemporanea, lamentando l’assenza di un «interlocutore» autentico che risponda alle domande fondamentali della filosofia (6).
Nel 1983 Incardona pubblica nel «Giornale» un inedito di Maria Teresa Antonelli (7) scomparsa tragicamente nell’agosto di quell’anno. Nelle pagine dell’articolo (8), che ne commemora l’attività di studiosa, l’eredità e la presenza di Sciacca sono ricordate come ascendenze ideali dell’attività scientifica dell’Antonelli (9).
Il 1984 è l’anno del bilancio critico (10) dei teoremi «onto-‐teologici» introdotti da Claude Bruaire (11) nella sua importante opera L’ Être et l’Esprit. Incardona ne rileva le «aperture» concettuali movendosi su due direzioni: da una parte evidenzia le aporie cui va incontro il discorso filosofico quando il terreno del dibattito è comune dominio di teologia e filosofia; dall’altra colloca l’«ontodologie» di Bruaire in una cornice rigidamente razionale. Se la formula del filosofo francese, la quale discende dall’essenza trinitaria, opera veramente un’efficace mediazione tra l’«essere» e lo «spirito», e «l’essere tutto è un bruciare come attente d’adoration, ‘en esprit et verité’» non c’è il rischio – si chiede Incardona – di bruciare anche, «senza fuoco proprio, la radicalità del pensare?».
Gli ultimi due fascicoli del 1985 sono dedicati al tema: «La metafisica e le sue forme dialettiche. Sciacca da Tommaso d’Aquino a Platone». Il contributo di Nunzio (12) è un’analisi sulla nativa costituzione del principio del filosofare condotta su tre testi fondamentali: la Metafisica di Aristotele, la Summa di S. Tommaso, il S. Agostino di Sciacca. Aristotele, partendo dalla sua lettura di Parmenide, sostiene che a fondo di ogni pensato c’è sempre la sorgiva del pensiero, ogni pensato è «autorivelativo» della sua essenza; S. Tommaso riconduce l’intelligenza e l’atto intellettivo alle potenze dell’anima; per Sciacca, che si rifà a Rosmini, «l’attualità dell’Idea è attualità della mente, originariamente e per essenza, in quanto la mente è intuito dell’Idea, cioè atto. Non vi è “intelletto” in potenza; l’intelletto, «come tale è atto costitutivo dell’atto primo o intuito dell’essere».
In un suo studio del 1986 (14), Incardona ritorna sul problema originario e incoativo della filosofia, cioè sull’imperativo categorico della costituzione radicale del pensiero. L’atto del conoscere mentre è rivolto al suo oggetto non scorge in trasparenza le sue potenze teoretiche originarie. Tutte le filosofie contemporanee guardano alle «cose» e non riflettono su se stesse, sono legate alla contingenza storica, soffrono del «complesso di Antigone» che «claustra» l’atto morale nella singolarità del «gesto», negando alla sua essenza etica di tradursi in un valore universale. Ai margini di un rinnovato interesse per i temi storiografici, stanno due rassegne del 1987 occasionate da una riedizione di Esistenza e persona (15) di Luigi Pareyson e da una silloge (16): La filosofia della scienza in Italia nel ‘900, curata da Evandro Agazzi.
Il primo scritto, con riferimento alla filosofia contemporanea considera squilibrata («in bilico») la relazione tra l’uomo nella sua concreta e storica esistenza e le concezioni che lo colgono nella realtà di un atto di pensiero (Hegel). Sicché si configurano del tutto giustificate le posizioni del penultimo Schelling che già avviano la concezione dell’uomo su un terreno teologico. Siamo del tutto fuori dall’idealismo hegeliano. Dalle riflessioni del Pareyson, il quale ha posto a presidio dell’uomo «concreto» il pensiero di Kierkegaard, si deduce il teorema che «La notizia trascendentale dell’essere e del conoscere si esprime e si risolve nell’esistenza e come esistenza» (p. 168). : Per Incardona, le nuove soluzioni additate da Schelling, superato il «nodo gordiano» del loro intreccio, lasciano impregiudicata l’apertura alla trascendenza: «La relatività dell’irrelativo regola il rapporto di convivenza all’interno di questa morsa, di esistenza e criticità, storia e giudizio, persona e trascendenza. La lezione di Schelling […] insiste e valica, io ritengo, il limite di razionalità dell’irrelativo e rinvia a un giudizio ancora storico, ancora critico e dunque senza pregiudizio per ogni diversa, radicale concezione dello speculativo» (p. 191).
3
Il secondo saggio riconosce l’importanza e i progressi della filosofia della scienza. Il
punto notevole del contributo di Agazzi è la storia del passaggio di questa disciplina dalla sua originaria matrice positivistica (commentario e classificazione delle teorie scientifiche) ad autonoma speculazione fondata sui dati e sui risultati dell’indagine scientifica, alla quale contribuiscono sia i filosofi sia gli scienziati. Classificata da un punto di vista strettamente filosofico come «epistemologia», la filosofia della scienza si articola come abito teoretico di chi si occupa dei presupposti e delle procedure del sapere scientifico (Popper, Geymonat). Dopo aver presentato e discusso le tesi degli autori della sinossi, Incardona così argomenta:
«La nascita accidentata della filosofia della scienza in Italia intercettata dalle fortune della contingenza storica e del riflusso non sempre coerente dei suoi sviluppi tematici, guadagna così un esito che ne rimette in gioco tutte le polivalenze istituzionali consentendone una prospettiva che salvaguardia l’impegno e la specificità del suo discorso nell’orizzonte contemporaneo di un’accidia speculativa la quale se appesantisce, paradossalmente, la forza del pensiero negletto, non per questo alleggerisce il pondus, ancora insondabile, della filosofia e dei suoi silenzi» (pp. 346-‐347).
L’attività editoriale del 1988 non lascia spazio per la collaborazione al «Giornale». Esce, infatti, Kèntron (17) (con la nota introduttiva: Perché pensare? e con la chiusa A presente memoria), in cui sono ripresentati i preludi programmatici dei Convegni celebrati negli anni tra 1976 e il 1988 (18). Vede inoltre la luce Radicalità del pensare (19), un capitolo fondamentale della filosofia di Nunzio, intorno al quale si addensano i corollari della sua personale visione del mondo. Lo scavo teoretico parte dall’«anànke del concetto» (p. 8) e perviene al «costituirsi storico della metafisica» (p. 10). È una discesa graduale in uno «sfero speculativo» in cui «il costituirsi teoretico della filosofia ha inizio e fine come metafisica. E questa metafisica, a sua volta, inside, senza termine che non sia il principio, per potenza dialettica del pensare, nella stessa radicalità del pensare» (p. 20).
Un ritorno alla storiografia è il saggio del 1989 La inesorabilità della nuda intelligencia in Zubiri (20), nel quale Incardona analizza il cambiamento di orizzonte della speculazione zubiriana che, già approdata ai lidi dell’ontologia, entra ora nella sfera di attrazione della metafisica. Del pensatore spagnolo (21) si discute l’opera Sobre el Hombre (22): il perno intorno al quale ruotano le nuove ragioni di Zubiri è facilmente identificabile nella salda e duttile struttura del suo pensiero. Nunzio, nello specifico, annota le particolarità del lessico dell’autore, che evita i «tecnicismi» e, servendosi del linguaggio ordinario, riesce a esprimere con grande efficacia i concetti più astratti (p. 153).
Il 1990 è un anno denso di studi e di attività editoriali. Incardona ritorna alla problematica sull’origine del pensiero e sulla sua radicazione nell’umanità e nel mondo. Dall’antichità al dibattito contemporaneo, la relazione mondo-‐soggetto domina e guida ogni apertura verso «l’alterità»: quest’alterità può però condurre allo «smarrimento», se non è penetrata dal soffio vivificante della metafisica (23). Alla personalità e al percorso teoretico di Alberto Caracciolo (24), Nunzio, ricordandone la memoria, dedica un preciso ed esauriente articolo (25). Il carattere austero di Caracciolo, il suo impegno etico e culturale, balzano dalle pagine del Nostro, che ne mette in risalto la centralità dei temi «esistenziali» e ne verifica il quadro di riferimento: sono gli autori e le istituzioni culturali sui quali lo stesso Incardona si è a lungo criticamente soffermato nel corso della sua carriera accademica.
Una delle più belle intelligenze di Francia, Xavier Tilliette (26), che qui ci limitiamo a ricordare come autorevolissimo studioso del pensiero di Schelling e come teorico della «cristologia filosofica», è stato un ospite assiduo delle Settimane mediterranee (26) e attento interlocutore di Nunzio Incardona. Al centro della speculazione tilliettiana sta appunto l’Idea Christi, assunta come paradigma che connota tutto l’arco della storia della filosofia. In un articolo del 1991 (27), che s’impone per l’equilibrio e la finezza del gioco dialettico, Nunzio
4
discute a fondo i fondamenti della teoria di Tilliette. Riferendola alla propria concezione dell’«anànke ontica», che domina e costituisce gli stessi inizi del pensiero, Incardona svolge la tesi di una «illimitatezza del limite assoluto», in cui si radica la «koinè teologica», la quale di per sé «designa il divario relativo al sapere come filosofia e al sapere come teologia» (p. 308). L’Idea Christi, posta sul terreno delle origini stesse del pensiero, pur ammantata della sua immensa dignità teologica, rischia di cadere nella dialessi problematica connaturata a ogni inizio di attività teoretica. Una via di transito, che potrebbe valere come un’efficace mediazione, sembrerebbe aprirsi sul terreno dell’ultimo Schelling, ed è questo il percorso di Tilliette. Su questo punto, però, collidono le ragioni di una filosofia «totale», che coglie l’uomo nella sua complessità esistenziale, con le ragioni di una filosofia «reale», che vede nell’uomo soprattutto un essere pensante. Osserva Nunzio: «La cristologia di Tilliette è dunque, in questi termini, una dialettizzazione trascendentale le cui categorie sono sproporzionatamente divise tra l’universo munito e difficile del disputare filosofico e la solitudine individua e assoluta di Cristo» (p. 381) (28). I temi in discussione nel 1992 ripresentano agli studiosi in versione approfondita alcuni aspetti notevoli dell’edificio speculativo di Incardona. In un primo saggio (29) lo strato proemiale di ogni riflessione è identificato nel «principio di determinazione»: il principio per cui il soggetto, presa coscienza di sé, si riconosce come fonte del giudizio, e per ciò stesso del sapere. Tradotto in termini di pura logica, il discorso di Nunzio si può considerare la ricerca di un criterio che valga a chiarire come il soggetto, uscendo dalla sua soggettività, possa produrre e avallare giudizi «oggettivi». La proposta di Incardona si articola in una sorta di dinamismo dialettico, per cui il soggetto, radicalmente costituito come ente autonomo e assoluto, si affranca dalla sua soggettività e determina nell’altro da sé un principio di oggettivazione (30). L’altro articolo del 1992 (31) mostra una medesima prospettiva. Anche qui si discende alle scaturigini del pensiero incardoniano e alle «figure» che ne dominano il paesaggio. Prime fra tutte l’inchoatio e l’«ananke», indispensabili inserti speculativi che concorrono alla costituzione del concetto. Quest’ultimo può configurarsi sia come «segno diacritico» sia come «contrassegno originario», sicché in termini dialettici è analizzabile da un lato come genere apodittico, dall’altro come genere antilogico. Il principio d’identità, che contrappunta nelle sue articolazioni l’ordine delle proposizioni, esce dai suoi schemi logici e si trasfigura in un «diallelo trascendentale». Incardona interpreta quindi l’isonomia dei ragionamenti antilogici come fenomeno speculare dell’attività logica. Nell’antilogia «bisogna saper riconoscere lo stesso processo storico della filosofia: una infondata ijsosqevneia tw`n lovgwn» (p. 366). In tutt’altra direzione ci conduce la raccolta di massime (32) stesa a margine di due classici della letteratura indiana (33) e di un’opera famosa di Amiel (34). Esse costituiscono una piccola summa di sapienza filosofica, che è colta in filigrana nei versi della poesia sanscrita e, con una più ampia ricognizione, nelle pagine dello scrittore elvetico. Nel 1993 Incardona si sofferma ancora sulle radici della conoscenza e ne enumera quasi in forma catechistica i principi costitutivi (35). Alla base delle sue argomentazioni si avverte l’esigenza di una ricognizione esaustiva dell’atto conoscitivo: gli elementi che concorrono alla formazione del giudizio (la deduzione, la relazione, l’identità) escono dalla loro matrice logica e si trasformano in puri referenti di una realtà ontologica (36). La collaborazione al «Giornale» segna nel 1994 una pausa. Nunzio pubblica nella rivista una sua breve «allocuzione» a commento dell’Incontro di Lecce (5/6 novembre 1991), per il quale aveva proposto il tema: Metafisica e archè (37). Come sostanzioso contraltare, l’editore L’Epos presenta in questo stesso anno Interrogazione e invocazione – Gli inferi del principio (38), che raccoglie i lavori del Convegno del 1992, uno dei vertici dell’attività congressuale del nostro filosofo. Tra le relazioni, dopo una breve «introduzione tematica», Incardona colloca un suo
5
contributo di notevole interesse, sia per la chiara esposizione del suo concetto di filosofia, sia per il ricco corredo di inserimenti critici che propone alla riflessione del lettore (39).
Nel 1995 il «Giornale» ospita una replica di Xavier Tilliette (40) all’articolo di Nunzio del 1991 che «recensiva» la dottrina cristologica del filosofo francese (41). Alle tardive ma concise e ben argomentate risposte dell’ospite e amico, Incardona oppone un saggio, che, al di sopra e al di là delle qualità dialettiche della sua scrittura, rivela il profilo inconfondibile del suo pensiero, le ragioni ultime e definitive del suo credo filosofico, nonché un visibilissimo segno della persistente presenza del patrimonio ideale ereditato da Michele Federico Sciacca (42). Aggiungerò che in molti passaggi c’è un presentimento, direi quasi una precognizione, del panorama culturale del nostro tempo, dei problemi d’oggi, delle inattese e spesso sbalorditive aperture d’orizzonte che connotano la nostra vita spirituale. Il teorema centrale, intorno al quale ruotano i corollari evidenziati dall’analisi di Tilliette, è ripreso da Incardona (43) con rigore esemplare: un rinnovato corredo di coerenti argomentazioni riconferma il chorismòs tra l’ajlhvqeia del principio e la filosofia cristologica. Contro la teoria di una necessaria discesa dell’Idea Christi in uno schema categoriale, postulato come primum di fronte a ogni iniziale conato del pensare, Nunzio formula un enunciato di rilevante spessore critico, sorretto e giustificato da una fitta rete di riferimenti storiografici. L’originalità della dimostrazione di Nunzio è immediatamente percepibile nell’impianto storico-‐ideologico della sua esposizione, che riprendendo le formule di Tilliette, ne ricostruisce l’esatta «curvatura semantica». Ci si muove lungo una traiettoria che parte dall’età arcaica («pensiero chimerico»), si sofferma sulle antilogie di Gorgia e sui circuiti dell’ajgaqovn platonico, e chiude il suo percorso nelle pagine dei Vangeli e delle Lettere paoline. Nel dibattito, tutti i termini e le clausole posti alla base del diallelo cristologico (frourav, ajlhvqeia, chorismòs, hypokèimenon, anànke, ojxuvmwro~, a[topon, apòphasis apophàntica, das lebendige Individuum, ecc.), sono attentamente introdotti come elementi probanti del dialogo con Tilliette. I testi biblici, che occupano una parte cospicua dell’articolo, riecheggiano i temi in discussione con precise allusioni e risonanze, segno di una completa padronanza della bibliografia esegetica. Questo saggio di Nunzio è da porre tra i vertici della sua intera produzione scientifica e letteraria.
In un altro scritto dello stesso anno (44), Incardona introduce una breve pericwvrhsi~ intorno alla struttura formale del pensiero metafisico, pensata come punto di arrivo dello «statuto socratico» nel «palinsesto aristotelico». Si pone cioè la metafisica nelle linee di uno sviluppo storico, in cui «si consuma» irreparabilmente la sua potenza originaria. I reiterati tentativi di codificare in lessico e grammatica una sintassi logica che è invece legata per essenza a simboli e a metafore, hanno creato «nominazioni pseudo-‐concettuali» che distraggono la mente dall’oggetto contemplato. Di fronte all’assoluto dell’idea cresce e nidifica una vegetazione urticante per asperità dialettiche. «Ma a sua volta – conclude Nunzio – il catalogo dell’assolutezza ha principio nella differenza del principio da sé stesso» (p, 460): cogliendo questa differenza una metafisica è possibile se si risolve in una tesi che è tesi di sé stessa.
L’argomento che Incardona tratta nel 1996 (45) è la prolusione alla raccolta delle relazioni presentate negli Incontri del «Giornale di Metafisica» del 1992 e del 1993 (46). Definito il logos – con un richiamo alla «lethicità» di Gorgia – come un «apparire primordiale», come una «potenza di privazione» che genera un «campo gravitazionale» nel quale precipita l’essenza della verità, l’autore ne chiarisce la virtù rivelativa, la quale per ananke ci conduce alla scoperta e alla concettualizzazione dell’essere. Il processo ideativo da cui scaturisce l’idea dell’essere (come lo stesso ritmo del pensiero) è però un continuum che si dispiega nel tempo. Il logos, nella visione di Incardona, «metamorfizza» la sua «interezza originaria, perde la sua costituzione ontologica «che fu e mai più sarà parola» e diventa nome, ossia continuità che si inscrive nella storia. Tradotta in termini parmenidei, la logica dell’«annientamento» ci mostra che
6
l’essere nella sua essenza ontologica è negazione del tempo, e il tempo nel suo divenire storico è negazione dell’essere.
Il 1997 ci offre un lavoro di Incardona (47), che per il lindore della scrittura e la raffinatezza del corredo documentario è da iscrivere tra le sue cose migliori. Il talento letterario di Nunzio e le risorse del suo acume speculativo guidano il lettore per sentieri di fascinosa classicità, che dal mito conducono al logos. Il messaggio di Incardona è tratto, per allegoria e per metamorfosi di concetti, dall’Inno a Ermes (48) e dal Simposio platonico (49): i versi dell’inno omerico e le pagine del dialogo disegnano intorno ai miti di Ermes e di Eros una trama di pensieri che alludono e convengono alle mobili ambiguità del logos, fino a prefigurarne e a rilevarne le più intime strutture. Il nostro filosofo, dopo aver enunciato le ragioni speculative della sua ricerca, le colloca all’interno del tessuto mitico, che le comprende e le riflette con speculare evidenza. Ciò che spinge Nunzio a restringere sotto lo stesso fuoco l’espediente del figlio di Maia e lo spazio di De Kooning (50), è il bisogno di fornire alla sua tesi sulla refrettarietà del discorso della metafisica un esito di più vasta risonanza. La sua lunga periegesi attorno ai luoghi mitici ove trionfa l’incantesimo della parola, assume l’aspetto di un devoto pellegrinaggio quando lungo il cammino s’incontrano prima Omero, Anassimandro, Pindaro, Euripide, Aristotele, e poi Leibniz, Hegel, von Kleist, Leopardi, Nietzsche, Mallarmé e Margueritte (51). Quando poi il quadro si restringe intorno ai sandali di Ermes, lo spazio ctonio, in cui essi attuano lo stratagemma, viene a coincidere con quello dei filosofemi che nascondono la verità. A questo punto, Nunzio ritorna sulle notazioni iniziali intorno alla storia critica del logos e si addentra in una dialessi che nega l’ejphlusivh della metafisica, ponendola al riparo dai sortilegi del discorso criptico. Le allotropie di alcune recenti «scuole» di pensiero, che propongono nuove vie al filosofare, sono segnalate da Incardona come «fatuità del pleonasmo contemporaneo» (52).
Gli autori che nel corso del 1998 tengono desta l’attenzione di Incardona e lo aiutano a esorcizzare le voci discordanti e interroganti del suo intelletto sono ancora Platone e Hegel. Platone domina l’intero impianto di un interludio sui principi e il logos (53) e condivide con Hegel un arduo tentativo di sintesi, consegnato in un contributo di ampio respiro, nel quale ritornano con ritmo martellante le grandi coordinate del pensiero di Nunzio (54).
Nel primo articolo, le pagine del Teeteto, che lodano la virtù «maieutica» di Socrate come una pratica capace di contrastare la sterilità della mente, mostrano, in realtà, nel loro fondo un paradosso, se «chi è sterile di sapienza è propriamente se non generatore almeno levatore di filiva per la sofiva» (p. 152). Il rilievo concesso alla «philo-‐sophia» è dunque la conferma di un «modus in principio», attraverso il quale si nasce all’idea, così come, nascendo, ci si apre all’esistenza e alla vita. Il «paradigma ontico» è poi verificato sui contrafforti della tradizione mitica, nei quali sono custoditi, come simboli e allegorie, gli archetipi del sapere. Le storie di Oto e di Efialte, di Edipo e degli Epigoni entrano negli schemi di un logos retorico, nei quali si cerca di interpretarle come protologie del discorso filosofico. E tuttavia questo logos retorico – secondo la lettura polemica (55) che ne dà Incardona – non risponde all’interrogazione della filosofia perché, a causa dei suoi inizi prometeici, mentre abbonda di «verbosità», non possiede il dono della «verbalità» (p. 158 s.).
Il saggio, che introduce una singolare scenografia tra la suvnoyi~ di Platone e lo Standpunkt di Hegel, è uno degli scritti più difficili e impegnativi di Incardona. Ci si muove in un’atmosfera speculativa molto rarefatta, che costringe il lettore a un severo esercizio di ossigenazione mentale per mantenersi al livello espositivo dell’autore (56). Pur giacendo sullo stesso piano semantico, i due termini hanno una diversa dislocazione storica, quella greca appartiene a un «primordio arcaico» che non è circoscritto a Platone, quella hegeliana a un «compimento arcaistico», che non è tale soltanto nella logica di Hegel (57). L’«ottica generale» e il «punto di vista più elevato» sono uno sguardo gettato sul mondo e sulle cose, che esercita una duplice flessione sull’operatività dell’intelletto. Da una parte, infatti, quest’apertura d’orizzonte dilata la visione degli enti, dall’altra acuisce la facoltà di investigare la natura del
7
pensare. Si realizza così in Platone e in Hegel una sinossi dialettica che mette in luce a un tempo i processi ideativi e la loro essenza ontica. Colto in un processo di autoriflessione, cioè come pura attività psichica, l’atto del pensare, tautologico e indeterminato, non è altro che la tesi di se stesso; ma, uscito da questa posizione, esso si oggettivizza immediatamente nel «pensato». La sua costituzione ontologica, che è connaturata a quella dell’essere, non lo sottrae al flusso del tempo, e in quello vive e si muove; e tuttavia – pur scorrendo – ed è questo il rovello di Incardona – è sempre gravitazionalmente attratto dall’abisso delle origini. Il pensare, è vero, coincide con la cosa pensata, ma il pensiero non è tutto esaurito dal puro esercizio della mente. L’oggetto «pensato» non è sempre rinchiuso nella frourav della logica; il sentimento, le emozioni, le volizioni lo attingono nelle loro diverse sfere: si passa ancora una volta dall’individuazione all’indeterminazione e dall’indeterminazione all’individuazione. È questo il destino del logos. I sentieri della suvnoyi~ e dello Standpunkt (58) s’intersecano poi e si congiungono in vaste «radure», luoghi di decantazione e di dibattito, di reciproche inferenze con i principi filosofici professati da Nunzio. Sono messi in discussione i parametri che discendono dal comune assunto di Platone e di Hegel di porre la loro ricerca sotto il segno di un’ottica allargata (59).
Le osservazioni critiche del Nostro, che hanno già sottoposto il concetto di «sinossi» a una verifica radicale, si estendono ora ai «teoremi» sottostanti. Il protocollo di apertura è la fondazione dialettica del problema: non esiste una pianificazione «cartesiana» della dottrina dei principi. Essa si fonda sul «sentimento fondamentale» di un’antinomia tra «soggettività» e «oggettività», che è insita nell’essere pensante come segno della sua costituzione logica ed esistenziale. Il pensiero nasce da una metamorfosi del sé nell’altro, che non è l’altro dell’idealismo di Fichte, di Hegel e del primo Schelling, perché non è concepito come una produzione dell’Io ma come una sua proiezione. Per arrivare alla consapevolezza dell’Io, il soggetto soffre nella sua mente le doglie e la spossatezza del parto, come testimonia il ricorrente accenno alla «fatica del pensare» che si legge in molte pagine di Nunzio. Da questa matrice di dolorosa e difficile iniziazione sembra naturalmente discendere la «maieutica» di Socrate, e tutte le sinopie del mito che raccontano il travaglio del pensare. La stessa teologia, nelle sue forme primitive e nelle codificazioni dei canoni è sottoposta al torchio dialettico e sospinta a chiarire nel logos la misteriografia del sacro (60).
Ora, Incardona vive questa dialettica del principio facendosi «attore e protagonista» di un dramma del pensiero, che nelle pagine delle sue opere è trascritto in un linguaggio incandescente per l’incalzare delle metafore (il modulo più ricorrente è quello dell’ossimoro) (61), per la inesauribile creatività onomaturgica (62), per la struttura dei suoi periodi ritmata sul gioco delle antitesi e delle definizioni e contrario.
Nel 1999, l’anno tragico di Nunzio, funestato dalla morte del figlio Marco (63), escono due articoli stesi quasi certamente prima del luttuoso evento. Essi riprendono, da un diverso angolo speculativo e con un inedito approfondimento concettuale, le «risposte» di Incardona alle sollecitazioni teoretiche che gli venivano dalla suvnoyi~ platonica e dallo Standpunkt hegeliano, e le trasferiscono alle opere di Gorgia (64) e di Aristotele (65), senza peraltro abbandonare i riferimenti ai dialoghi di Platone, alla Wissenschaft der Logik di Hegel e agli echi filosofeggianti della poesia di Rilke. Il saggio su Gorgia (66) sottopone a un’analisi «metacritica» la teoria dei «contrari» (82 B 3, 67 (in op. cit. pp. 1614-‐1616): «termini reciprocamente opposti» (ejnanativa gavr ejsti tauta ajllhvloi~), definiti da Nunzio «i trascendentali di un èlenchos allotrio irreciprocamente all’apice inespresso del nòema incoativamente anòeto in quanto l’uno e l’altro sono avversi» (p. 5). Il passo del sofista, conservatoci da Sesto Empirico, poiché sta al centro dello «scavo teoretico» di Incardona e nelle versioni appare condizionato dall’ermeneutica dei traduttori, per essere meglio inteso deve essere riportato nel testo originale:
8
kai; dh; to; me;n mh; o]n oujk e[stin. eij ga;r to; mh; o]n e[stin, e[stai te a{ma kai; oujk e[stai: h|i me;n ga;r oujk o]n noei`tai, oujk e[stai, h|i de; e[sti mh; o[n, pavlin e[stai. pantelw`~ de; a[topon to; ei\naiv ti a{ma kai; mh; ei\nai: oujk a[ra e[sti to; mh; o[n. kai; a[llw~, eij to; mh; o]n e[sti, to; o]n oujk e[stai: ejnantiva gavr ejsti tau`ta ajllhvloi~, kai; eij tw`i mh; o[nti sumbevbhke to; ei\nai, tw`i o[nti sumbhvsetai to; mh; ei\nai. oujci; dev ge to; o]n oujk e[stin: <toivnun> oujde; to; mh; o]n e[stai. (66)
L’allotria dei contrari, sulla quale Gorgia costruisce il suo edificio dialettico, è una studiata rimodulazione degli assiomi parmenidei. Nella concezione degli Eleati l’essere riempie l’intero campo del conoscibile, il non-‐essere è impensabile e indicibile. La negazione del non-‐essere consegnata in un atto di pensiero apre al sofista la via per affermarne anche l’esistenza. Ora, il gioco dei contrari (qui sono in questione l’«essere» e il «non-‐essere») si chiude con una conclamata dichiarazione di nichilismo. Incardona introduce allora delle importanti osservazioni che chiosano le valenze che egli attribuisce alle antilogie di Gorgia (67). Intanto bisogna chiarire in quale ambito s’intenda situare la costituzione «ex enantias», perché i termini in questione, come «pensieri pensati», possono essere collocati sia in una sfera logica, sia in una sfera ontologica. Che possano essere collocati in una sfera ontologica lo nega lo stesso Gorgia quando ricorda che le creazioni del mito (Scilla o la Chimera), vive nel pensiero, sono solamente, come diceva Senofane, plavsmata tw`n protevrwn. Questi pensieri «in libertà», che occupano porzioni cospicue del nostro mondo ideale, non sono tuttavia del tutto disancorati dai centri della razionalità, che li convertono per l’intervento del lògos iatrikòs in unità formali aderenti all’essenza del concetto. Nella dialettica dei contrari, d’altra parte, il senso ultimo della predicazione gorgiana è il blocco senza uscita del positivo e del negativo, l’annullamento degli opposti in una neutralità assoluta.
L’intervento di Incardona elimina l’ambiguo statuto della retorica gorgiana: nella dinamica delle idee ogni processo corrisponde a un atto di pensiero. Non esiste un pensiero vuoto, ma sempre un pensiero di qualcosa. Quando nella mia mente contrappongo l’essere al non-‐essere, non genero due enti che lottano per la sopravvivenza, ma due concetti. La logica opera e verifica la compatibilità di questi due concetti con le leggi generali del pensiero. Fra le quali emergono i principi d’identità e di non contraddizione. Si potrà decidere, in tal modo, quale convenga meglio all’economia di questo o quel sistema rimanendo fedeli al dettato della ragione. Un altro argomento, su cui si sofferma a lungo Incardona, è l’interpretazione del discrimine che pone in essere la contrapposizione dei contrari, ossia la loro «differenza». Senza di essa, che li associa in uno stretto vincolo concettuale, i termini contrari acquisterebbero una loro completa autonomia: la differenza, cioè il fatto che la presenza dell’uno richiama negativamente quella dell’altro, è pertanto il supporto logico della loro distinta «oggettualità». Abolire il nesso antinomico che separa l’essere dal non-‐essere, significherebbe creare due idee distinte che coesistendo si annichilerebbero a vicenda. La soluzione di Nunzio postula la trascendentalità dei contrari, la cui allotria è una forma di associazione mentale, che supera l’èlenchos e disciplina i termini in opposizione sotto la categoria della distinzione. (68) Il saggio Della differenza, che riprende il Leitmotiv di Suvnoyi~ e Standpunkt, è una nuova ricognizione dei capisaldi della logica hegeliana rivisitati e ridiscussi con il concorso dei luoghi aristotelici che definiscono sofiva ed ejpisthvmh mettendole in relazione con i principi e con le cause (ajrcai; kai; aijtivai) (69). In termini aristotelici è anche discusso il tema della «sterilita» e della «competizione» (70) come metafora della capacità del logos di superare gli sbarramenti aporetici che si sono annidati all’interno della «materia amorfa del principio». La difficoltà da superare è dello stesso ordine e grado di quella evidenziata nella logica di Hegel. Il «Meinen» e il «Denken» sono il simbolo della potenza del pensiero che supera le luci e le ombre del «Dasein».
Vie praticabili, come il gluku;~ ajgkwvn del Nilo (71), conducono al problema centrale che è il superamento, o meglio il dislocamento dialettico, della differenza secondo i due criteri individuati
9
da Incardona. Da una parte bisogna valutare il significato «soprasegmentale» della differenza, ossia porla in un’ottica (Standpunkt) superiore che ne consenta l’eventuale lettura metafisica, dall’altra occorre recuperare i termini in opposizione nella loro autonoma e separata sfera semantica. Il nucleo speculativo portato alla luce «dagli inferi del principio» è da Nunzio studiosamente analizzato con un ampiamento sinottico, che accresce gli elementi comparativi tratti da Aristotele (e{xi~ e tevknh in rapporto al lovgo~ ajlhqhv~) e introduce alcuni motivi iconografici e dottrinali dedotti dall’Antico e dal Nuovo Testamento (72). In quest’articolo, Incardona riprende e riconsidera più volte il suo discorso critico, come se andasse alla ricerca delle nascoste trame di un palinsesto. Questa «ridondanza» è la spia sottile del suo bisogno di un «appoderamento» concettuale, per la cui opera trae dal vasto orizzonte delle sue letture una cornice di dotte e rare «citazioni» (73).
Nel IV libro della Repubblica, Platone enuncia per bocca di Socrate la seguente formulazione del principio di non contraddizione (436 b 8 – c 1): Dhlon o{ti taujto;n tajnantiva poiei`n h] pavscein kata; taujtovn ge kai; pro;~ taujto;n oujk ejqelhvsei a{ma, w{ste a[n pou eujrivskwmen ejn aujtoi~ tauta gignovmena, eijsovmeqa o{ti ouj taujto;n h\n ajlla; pleivw. Sulle singole voci di questo luogo paradigmatico, Incardona si era in precedenti studi ripetutamente soffermato. Ora, in un saggio del 2000 (74), egli ne riporta nel titolo un segmento che compendia il senso della frase. Ci si aspetterebbe quindi una ripresa della questione già trattata, un discorso ancor più arricchito e approfondito sulla «trascendentalità» dei contrari. Qui però tutto l’impianto «logico-‐speculativo» è radicalmente rivoluzionato da quell’«Allegretto ma non troppo», che non soltanto è una nota inedita del repertorio di Nunzio, ma si rivela come un insistente fil-‐rouge inteso a dimostrare la valenza speculativa dell’«ironia», anche quando si trasferisce nella «comicità» di Aristofane e di Boccaccio (75).
Siamo di fronte a uno scritto di straordinaria originalità, ma di non facile comprensione, per la paradossale circostanza che l’impianto piano e scorrevole del dettato è contro le regole della scrittura di Incardona. L’incipit del discorso, che prende l’avvio da Melville (76), non ci sorprende, l’explicit invece con la citazione delle ottave finali della Batracomiomachia del Leopardi (77) sembra alludere ad un rinvio, a un mancato approdo.
La dialettica dei contrari, naturalmente, segna il tracciato dell’esposizione e rimane il motivo dominante anche quando si attenua per l’inserimento di «variazioni» e di «note» marginali. I referenti del taujto;n tajnantiva sono sempre Aristotele e Hegel (78), chiamati a testimoniare sull’«intellettualismo dell’essere e del nulla». Nunzio analizza, con occhio attento alle valenze linguistiche, i singoli vocaboli usati da Aristotele e ne emerge la singolare constatazione della debolezza delle scritture filosofiche rispetto alle suggestioni semantiche espresse dai testi letterari. La critica alle insufficienze della lingua filosofica, che colpisce anche la logica di Hegel, ha lo scoperto e immediato obiettivo di salvaguardare, anzi di salvare, i fondamenti della metafisica. Al riguardo, il ricorso alla letteratura offre innumerevoli risorse; scrive Incardona (p. 408): «Anche da questo punto di vista lo scrittore, Melville appunto, potrebbe addottrinare magistralmente le tante cattedre contemporanee di narratologia ed ermeneutica!».
Nunzio quindi condanna le infiltrazioni intellettualistiche che snaturano la filosofia contemporanea e invita a ricostruire i tramiti del discorso metafisico attraverso una «rilettura» delle fonti (soprattutto di quelle platoniche) (79), alla quale va associata l’esplorazione e lo scavo semantico dei testi letterari. L’ironia e il comico sono quindi inseriti nella dialettica delle idee come potenze «affabulatrici» capaci di restituire alla filosofia la sua originaria e unitaria essenza; queste due categorie, infatti, hanno sempre rimosso la sordità e le sofisticazioni del pensiero «adulterato». Ma a questo «restauro» concorrono con un più esteso piano rigenerativo, le parole della sapienza e le testimonianze della religione, soprattutto quelle consegnate nel Libro della Genesi e nei Vangeli.
10
La lunga «perorazione« di Incardona, e qui si annida la difficoltà di questo scritto, non si chiude con una ripresa del dialogo sui contrari, ma con la citazione di Anassimandro e di Parmenide, di Rilke e di Leopardi, quasi a confermare una direzione da seguire, un cammino ancora da percorrere.
I contributi pubblicati da Nunzio nel 2001 sono due brevi articoli: il primo è una riflessione sul pensiero e l’attività scientifica di Giuseppe Masi (80), il secondo una rinnovata esortazione ad interpretare la metafisica come «forma» delle strutture profonde della psiche (81). L’approfondimento teoretico dei propositi espressi da Masi nel volume Studi sul pensiero antico e dintorni (Clueb, Bologna 2000), sospinge Incardona a discutere sul concetto «dell’oltre», che l’autore da lui recensito aveva introdotto in uno scritto pubblicato nel 1966 dal «Giornale di Metafisica» (82). Ricordate le benemerenze di Masi come studioso dello «spiritualismo antico», Nunzio identifica l’originalità delle sue «scoperte» nell’esatto rilievo del significato metafisico (o comunque di forte avvio verso il pensiero metafisico) dei contenuti culturali maturati in clima spiritualistico. Lo studioso ha descritto con sagacia gli statuti delle credenze religiose e il loro passaggio da uno stadio «naturalistico» e «rituale» a una fase «teistica» e «dommatica». Nella religione dell’antico Egitto, ad esempio, si possono individuare le fonti spirituali che dettero origine a taluni dogmi della religione cristiana. L’«ulteriorità» di Masi è dunque un’esigenza dell’intelletto che ci sospinge per vie diverse e con diversi modi alla «concettualità» della metafisica.
Gli aspetti «drammatici» del pensiero filosofico sono visti da Incardona sotto un duplice profilo: il primo, che potremmo definire «storiografico», riguarda le «sacre rappresentazioni» della nascente speculazione, qui rappresentate dalle articolazioni della dottrina di Parmenide nei due discorsi della Verità e della Doxa; il secondo, che potremmo definire «strutturale», ci dischiude i problemi interni all’organizzazione delle idee, alla loro costituzione gerarchica e categoriale. Nella filosofia di Parmenide, le «dramatis personae» incombono sul fondale anipotetico del mito, ma la «radicalità del dinamismo speculativo» le sospinge inesorabilmente alla periferia del pensabile, mentre la Verità domina la scena indossando una doppia maschera. Da una parte, come fa notare Nunzio, rappresenta la forza autonoma del pensiero che si rivela come essere, dall’altra è il risultato di una rivelazione, della rivelazione della Demone, che autocraticamente si riconquista un suo spazio vitale. Ma la tragica teatralità dell’irrompente monologo dell’essere lascia dietro le quinte i fantasmi della Doxa, li relega sullo sfondo, e, pur asserendo la loro «metafisica» inesistenza, ammette che possano (e debbano!) essere oggetto del pensiero. Cosa si nasconde, dunque, dietro il teorema di Parmenide? Incardona lo sa, ma non ce lo vuole dire direttamente.
Risponde per lui Nietzsche, il Nietzsche dell’«apollineo» e del «dionisiaco», e commenta Nunzio: «A questo modo acuminato e febbrile le origini della tragedia mimano la tragedia dell’origine, dissipandone un divertito, profetico baccanale; e non sussiste potenza di culto impudicamente cenobita che riesca ad architettare il corrompimento della grandiosa scolastica cattedrale delle filosofie la cui immanente metafisica consiste nell’esercizio intellettualistico di un ragionare ludicamente la tessitura apollinea del cogito/sum di contro alle tramature dialettiche dell’assolutezza apollinea dell’Idea: che condividono in fine la sorte ermafrodita dello scacco come misura imponderabile dello stesso ponderabile esserci del cuore della Verità (rotonda) predestinato a resuscitarsi dai dilaniamenti storici per celebrare la mortale resurrezione degli effimeri fatti ermeneutici», p. 448 s.
I «mali» della filosofia nascono dunque da una patologia del pensiero, da uno smarrimento del suo paradigma originario. L’analisi di Incardona percorre i sentieri di un possibile ritorno al linguaggio delle «origini», il quale non connota un’archeologia delle idee, non è la riconquista della dimensione storica di teorie dimenticate, ma riguarda solo ed essenzialmente il presente, la nostra ricerca quotidiana del «senso» da dare al nostro «esserci» e ai suoi problemi. Lo Standpunkt da cui è possibile guadagnare l’orizzonte della pura spiritualità non è posto sulla piramide eretta dalla «ragione discorsiva». Il viaggio da compiere è un’introspezione profonda, una discesa, come dice Nunzio, «agli inferi del principio».
Lo sforzo della speculazione allora è quello di «capire» come «funzionano» i «meccanismi» del pensiero, ossia di operare una ricerca del trascendentale che restituisca alla «tessitura» dei concetti la sua funzione costruttiva. Questa indagine conduce appunto alla
11
demolizione degli «idola» e al riconoscimento del paradigma fondamentale della filosofia. Si arriva così alla certezza che tutta la storia del pensare tende a costituirsi come storia della scoperta del pensiero metafisico. Si era già tentato in passato, con accorata nostalgia, di sw/vzein ta; fainovmena, il costante pensiero di tutta la vita di Incardona fu quello di «salvare» la metafisica, la «sua» metafisica (83). Note (1) L’evoluzione e i punti cardinali del pensiero di Incardona sono ben documentati nella articolata bibliografia da lui stesso presentata in Radici metafisiche della filosofia – Scritti per Nunzio Incardona, a cura di Giuseppe Nicolaci e Paolo Polizzi, L’Epos, Palermo, 2002, pp. 417-‐419 e 425-‐427. Le rotte della sua «navigazione spirituale» sono indicate sotto le insegne di tre espressivi indicatori: «L’ormeggio», «La cambusa», Guerra di corsa». Scrive di sé Nunzio: «Manovale del pensiero; bracciante a giornata di un brogliaccio senza lunario braccato dal salario avaro delle origini; non imbalsamabile nel condotto carsico che forza il dostoevskijano sottosuolo, e i suoi ignari e anonimi Ivàn Matveîc, a imbastire e paludare, anticipando, i ciarlieri magniloquenti catafalchi della memoria (sempre postuma), calcinati dall’epigrafe aulica di quello che è stato e soverchiati da quello che è ancora (le effemeridi del vivere, l’angoscia del futuro, la fatica del lavoro…): in questo mio attuale cantiere aperto non c’è bonaccia che valga ad ammansire e ammaestrare la risacca quieta e indolente che protegge e occulta i suoi interni, vorticosi sommovimenti che drizzano il legno del pensiero all’aperto infinito e tempestante della sua indomita, inviolata inquietezza» – Alla sensibilità culturale di Incardona e, soprattutto, alle sue capacità organizzative si devono i Convegni internazionali svoltisi a Palermo e in altri Centri culturali dal 1976 al 1994 e gli «Incontri del “Giornale di Metafisica”», ospitati da vari Istituti universitari dal 1983 al 1995. Le due manifestazioni hanno di volta in volta preso l’avvio sotto l’insegna di urgenti domande teoretiche che dominavano l’orizzonte speculativo di Nunzio: intorno ad esse si sono addensati i contributi di una vasta platea di studiosi. (2) Si veda, a titolo di esempio, Libertà e principio, «Giornale di Metafisica» (d’ora in poi MdG) 1979, p. 293. (3) Nel particolare, l’orchestrazione retorica del dettato di Incardona presenta una quantità impressionante di stilemi caratterizzati da termini o sintagmi (importati soprattutto dal greco e dal latino), che giocano il ruolo di referenti naturali del suo eloquio. Sono adoperati, cioè, come termini autonomi del suo lessico personale. (È il caso, per citare qualche esempio, di, hosàytos, chorismòs, pròsopon, hypostasis, stoichèion, anànke, pondus, crux, idea Christi, flatus verbi ecc.). Un altro aspetto notevole del suo stile è consegnato nell’inesauribile vena «onomaturgica», con cui egli ha arricchito di neologismi la sua terminologia filosofica. Questo materiale lessicale è così imponente e talmente «funzionale» alla lingua di Nunzio da giustificare la compilazione di uno specifico repertorio. Sono innumerevoli le espressioni idiomatiche di alto profilo, in cui concetti semanticamente estranei (spesso opposti nel segno dell’ossimoro) sono cesellati in sintagmi formulari – Chi legge Incardona percorre sentieri costipati da una fitta vegetazione: si avverte l’avvolgente intrico dei «filosofemi» che bisogna districare ramo per ramo. Il nostro autore è certamente «difficile»: le sue pagine pullulano di allusioni e di riferimenti a testi filosofici e letterari, che il lettore dovrebbe essere in grado di cogliere immediatamente nella «discorsività» e nelle «cadenze prosodiche» in cui li colloca Incardona. Si celano inoltre tra le righe dell’esposizione, quasi nei termini di messaggi subliminali, sequenze esplicative destinate a tradursi in conseguenti trame di pensieri.
12
(4) Nell’opera Radici metafisiche della filosofia – Scritti per Nunzio Incardona, su citata. La bibliografia presentata da Nunzio era stata raccolta nel 1990 e ampliata in seguito fino al 2000. Prima di ordinare cronologicamente i suoi scritti, Incardona nello incipit del suo inserto si definisce: «Non filov-sofo~; nemmeno filov-yogo~ meno che mai sofov~» (v. Ibidem. p. 415). (5) Cfr. Nunzio Incardona, I. karpov~ - buvblou de; karpo;~ ouj kratei` stavcun – Tomo I, L’Epos, Palermo 1991, p. 7. «Piano dell’opera. I. karpov~ Tomo I: 1. Problematica interna dello spiritualismo cristiano [Bocca (1952]; 2. Rosmini e la problematica idealistica [Sodalitas 1955]; 3. Metafisica di una crisi [Bocca 1955] – Tomo II : 1. Idealità e teoreticità [Palumbo 1959]; 2. Filosofia e rivelazione [Palumbo 1960) – II. ejnteivnwn Tomo I : 1. Tentazione e persuasione (Manfredi 1970); 2. Per l’uomo Discorsi contro [Manfredi 1976] – Tomo II : 1. Hosàytos Controfilosofia [Manfredi 1978]; 2. Analètheia i contemporanei del labirinto [Manfredi 1983]. – III. libav~ Tomo I : 1. L’assunzione come critica della filosofia Introduzione alla metafisica del principio [Andò 1964]; 2. L’assunzione hegeliana [Andò 1965]; 3. Radicalità e filosofia [Manfredi 1968] – Tomo II : Concetto di metafisica del principio [Manfredi 1982]; 2. Stupor philosophicus Il destino interrogato – Tomo III : 1. Metafisica del principio a) L’arkilogia originaria b) La dilogia del fondamento [1975–1976] IV. keu[q]mw`na Tomo I : Actio principii – Tomo II : Principium Contraddifferenza e sistema della determinazione [1985-‐1988]– Tomo III : Chorismòs [1992-‐1994]» (6) Cfr. Sic nos non nobis, GdM 1982, pp. 6-‐7: «I roghi contemporanei son ben più che kantiani perché accendono “carboni infuocati” che rischiano di incenerire le radici squarciandone le oscurità profonde; e meritano, per questo, chiose che debbono riuscire ad essere più forti di quelle hegeliane oltre tutto perché è la stessa filosofia, nel rischio radicalmente metafisico della sua stessa consistenza, ad essere in gioco talmente che la folla dei suoi interlocutori può essere che serva soltanto ad occultare e mitizzare il destino attuale, inutilmente tragico, di un mancare alla filosofia di un interlocutore che le sia proprio e intrinseco. In questo rischio e in questo gioco il “Giornale di Metafisica” ritiene di potere e di dovere assumere di correre fino in fondo il rischio del pensare». – 1982: Enigma e metafora (Atti convegno tra studiosi di Filosofia morale); Concetto per il principio IV (1981/1982); Concetto di metafisica del principio (Manfredi); Atto di concetto I, (1982/1983). (7) La matematica delle idee e il problema della relazione in Giamblico (GdM 1983, pp. 391-‐408) – Maria Teresa Antonelli (1922-‐1983), ordinaria di Storia della Filosofia alla Facoltà di Lettere dell’Università di Genova, era stata allieva di Sciacca e aveva con lui collaborato nella redazione del «Giornale di Metafisica». (8) Postscriptum, GdM 1983, pp. 409-‐419. (9) Cfr. GdM 1983, pp. 411-‐413. Incardona rievoca (p. 412) il periodo della loro comune vita universitaria e il «cerchio vitale» che li legava all’insegnamento di Sciacca. Per esso, la metafisica sta al centro di ogni costruzione filosofica: il pensiero che non vi approda manca al suo nativo slancio. – 1983: Atto di concetto I, Atto di concetto II (1983/1984); Analètheia. I contemporanei del labirinto (Manfredi 1983). – Settimane mediterranee, VII Convegno (12-‐13-‐14 maggio 1983) : Metafisica e umanesimo. – Incontri del «Giornale di Metafisica», (Palermo 10/11novembre 1983): Ueberwindung della metafisica? in Ueberwindung della metafisica?, Tilgher-‐Genova, Genova 1986.
13
(10) Cfr. GdM 1984, pp. 397-‐409: L’«ontodologie» di Claude Bruaire. L’Être et l’Esprit (PUF, Paris 1983) era stata molto lodata dagli studiosi di formazione cattolica, che avevano nella rivista «Communio» l’organo ufficiale della loro dottrina. (11) Claude Bruaire (1932-‐1986). Filosofo francese di grande e sottile dottrina, aveva elaborato una sintesi logicamente compatibile con la tradizione scolastica, assai vicina alla «cristologia» di Xavier Tilliette. – 1984: Critica e giusto inganno, Edizioni Saint Vincent («Atti convegno kantiano»); Determinazione della cognitio e cognitio sapientiae; Atto di concetto III (1984/1985). – Incontri del «Giornale di Metafisica», Perugia (8/9 novembre 1984) in Metafisica ed ermeneutica, Tilgher-‐Genova, Genova 1987
(12) GdM 1985, pp. 175-‐203: L’enigmaticità della ragione e metafisiche dialettiche. – La tesi qui difesa intende mostrare gli sfondi ambigui di una ragione che interroga se stessa e quindi la inevitabile dialettizzazione di ogni metafisica. L’ossimoro creato da Incardona (prosevnagco~ ajrch`qen («ciò che è ultimo fin da principio») affiancando un a[pax dell’autore del Sublime a un avverbio vulgatissimo esprime efficacemente la radicazione originaria di ogni atto ideativo. Conclude Incardona: «La forza di essere ultimo è in realtà atto plenario che spinge al principi. Le metafisiche dialettiche […]sono ciò che la metafisica diventa anche attraverso le forme che esplicando filosofia lasciano a principio la stessa enigmaticità della forma». – 1985: «Introduzione a “Le formes actuelles du vrai”», Entretiens de Palermo; Contraddifferenza e principio, I (1985/1986). – Settimane mediterranee, VIII Convegno (Palermo 26-‐27 marzo, Giarre 28-‐29 marzo 1985): Forme della integralità e la integralità nella filosofia di Sciacca – Incontri del «Giornale di Metafisica, Lecce (7/8 novembre 1985) in Metafisica ed ermeneutica, Tilgher-‐Genova, Genova 1987. (13) GdM 1985, p. 202. (14) GdM 1986, pp. 3-‐20 (= Ueberwindung della metafisica?, cit., pp. 9-‐26): Negazione e oltrepassamento (del pensare?). Dallo scritto traspare una sostanziale delusione nei confronti dei filosofi che avanzano nuove proposte, convinti di poter rifondare il pensiero pensandone uno «nuovo». Qualsiasi altro «nuovo pensiero», ammonisce Nunzio ricordandosi di Sciacca e di Rosmini, è sempre solo e soltanto pensiero. È pensiero entrato nella storia. – 1986: «Ursprungliche Wort e astrazione teosofica», Ho Theològos – Contraddifferenza e principio, II (1986/1987. – IX Convegno (7-‐8-‐9 maggio 1986): Idea e ideologia del contemporaneo – Incontri del «Giornale di Metafisica», Urbino (6/7 novembre 1986): Metafisica e dialettica, Tilgher-‐Genova, Genova 1988. (15) Il melangolo, Genova 1985. – Cfr. GdM 1987, pp. 153-‐191: Relatività dell’irrelativo – Il tema della filosofia contemporanea, il penultimo Schelling ed Esistenza e persona di Luigi Pareyson. – Luigi Pareyson (1918-‐1991) – Ha sviluppato, partendo da una rilettura critica dell’esistenzialismo, una filosofia della «persona» con particolare riferimento all’estetica. Nell’ultima fase della sua ricerca ha privilegiato una dottrina sull’«ontologia della libertà» che coinvolge temi centrali dell’ortodossia cattolica. 16) Franco Angeli, Milano1986. – Cfr. GdM 1987, pp. 333-‐347: La filosofia della scienza in Italia nel ‘900. – Evandro Agazzi (1934) unisce ad una profonda preparazione scientifica e filosofica solide basi teoretiche, dalle quali discendono originali studi specialistici e una costante osservazione del panorama mondiale dell’epistemologia – 1987 : Contraddifferenza e principio III (1987-‐1988) – x Convegno (6-‐7-‐8-‐9 maggio): Essere o pensare? – Incontri del
14
«Giornale di Metafisica», Padova (5-‐6 novembre 1987): Metafisica e dialettica – Esce l’importante articolo I principi della tautologia (Metafisica ed ermeneutica Tilgher-‐Genova, Genova 1987, pp. 9-‐22, in cui Incardona, partendo dal principio di «coerenza logica» Aristotele (Met. 1005b, 19-‐20) e dalla sinossi che ne dà Hegel (Wissenschaft der Logik, Hamburg 1967, I, p. 18), enuncia i principi della tautologia nei termini di un «sistema di ripetizione delle negazioni senza negazione», p. 21. (17) L’Epos, Palermo 1988. (18) Il volumetto riproduce quelli del 1976: Crisi dell’Occidente e fondazione della cultura; del 1979: Persuasione e libertà nel mondo contemporaneo; del 1980: Europa della cultura e profezia politica; del 1981: Utopismo e storia; del 1983: Metafisica e umanesimo; del 1985: Forme della integralità e la integralità nella filosofia; del 1986: Idea e ideologia del contemporaneo; del 1987: Essere o pensare; del 1988: La nuova soggettività. (19) Metafisica e dialettica, Tilgher-‐Genova, Genova 1988, pp. 7-‐20. – 1988: Chorismòs/Fondamento I (1988/1989) – ˛xi Convegno (4-‐5-‐6-‐7 maggio) : La nuova soggettività – Incontri del «Giornale di Metafisica», Trento (8/9 novembre 1988): Metafisica e principio teologico. (20) GdM 1989, pp. 127-‐142. (21) Xavier Zubiri (1898-‐1983) – Filosofo spagnolo formatosi alle lezioni di Husserl e di Heidegger. Studioso di vastissima cultura (ha nutrito vivi interessi per la matematica, per la fisica, per la medicina, per la teologia, per le lingue antiche), ha conferito al concetto di «realtà» una dimensione trascendentale e metafisica, che Incardona non ha mancato di rilevare. (22) Alianza Editorial, Madrid 1986. – 1989: Logos e storicità, (F. Angeli) – Chorismòs/Fondamento II (1989/1990) – xii Convegno (2-‐3-‐4-‐ maggio): Il logos enigma della ragione o profezia dell’origine? – Incontri del «Giornale di Metafisica», Bari (7/8 novembre 1989): Metafisica e soggettività. (23) Il mondo il soggetto lo smarrimento, GdM 1990, pp. 3-‐8. (24) Alberto Caracciolo (1918-‐1990). Iniziò il suo insegnamento universitario a Genova come titolare della cattedra di Estetica. Studioso di grande sensibilità artistica, approfondì in seguito tutti i grandi problemi che riguardano la sfera morale dell’uomo e il dibattito sugli smarrimenti della società contemporanea. Fu in frequente contatto epistolare o legato da vincoli di amicizia con i più importanti protagonisti della cultura europea del Novecento. (25) Ethos e poiesis in Alberto Caracciolo, GdM 1990, pp. 463-‐456.– 1990: «Tèlos y archè. La physis del logos», Anuario filosofico – Pensiero-‐evento ed entèleia del segno?, Jaka Book – Abolizione e differenza, in Metafisica e principio teologico, Tilgher-‐Genova, Genova 1990, pp. 7-‐32. Il saggio parte da una critica della scienza e confluisce in un ricupero di conciliazione. La filosofia, intanto, se si considera scienza, è «scienza del principio», e cioè metafisica. La scienza, inoltre, se posta in rapporto col «principio», è dissolta in quest’ultimo, secondo la formula di Incardona: «la scienza che si ha del principio / è lo stesso principio come scienza di se stesso». Il «principio» però è anche principio della teologia: e qui s’innesta una divaricazione che reintroduce la dialessi tra filosofia e teologia. Sotto il segno
15
dell’«abolizione» e della «differenza» si dovrebbe quindi consumare un senso eteronimo del concetto di «scienza». Per Nunzio, tuttavia, la natura stessa del pensiero consente di salvare nell’unità della scienza sia la metafisica sia la teologia (p. 31). – Dobbiamo qui menzionare anche lo scritto Meditatio in curriculo mortis (L’Epos, Palermo 1990), in cui Nunzio, racchiuso nell’intimità degli affetti familiari, ripercorre i luoghi della passione di Cristo e li riporta agli eventi della sua umana sofferenza – Convegno di Castelvetrano (10-‐12 ottobre 1990): Attualità di Gentile – Incontri del «Giornale di Metafisica», Siena (2/7 novembre 1990): Metafisica e filosofie. (26) Xavier Tilliette (Corbie, 1921). Gesuita e filosofo francese, ha insegnato nella Pontificia Università Gregoriana e nell’Institut Catholique di Parigi. Ha scritto su Jaspers, Marcel, Merleau au-‐Punty e Lequier. È uno dei più fini e competenti esegeti di Schelling. Ha posto al centro della «filosofia cristiana» il pensiero e la vita di Cristo, interpretandoli come un «segno perenne» impresso nella speculazione di tutti i secoli. (27) La cristologia di Xavier Tilliette, GdM 1991, pp. 363-‐382. (28) L’opposizione di Nunzio, cattolico osservante, riguarda unicamente la questione teoretica. Ciò appare ancor più chiaramente da quanto scrive nelle pp. 376 e 377 dell’articolo: «Ma, d’altra parte, e soprattutto nel suo concetto, una filosofia può dirsi cristiana per un paradosso iniziale che è puntualmente la assolutezza della irriducibilità del Cristo ad una qualunque e qualsivoglia categorizzazione che non sia quella stessa ottenuta, e consumata, per morte e per morte di croce, per incarnazione e sacrificio supremo, per rovesciamento dunque di tutte le categorie e per annientamento della sovranità del suo essere». – 1991: Trascendentalismo dell’assolutezza e assolutezza teologale, Studi in onore di Ezio Riondato – Opere: Karpòs, Tomo I, L’Epos, Palermo 1991 – Chorismòs/Fondamento III (1991/1992) – Seminario internazionale di Studi in occasione della presentazione dell’opera di M.F. Sciacca, S. Agostino, riedita da L’Epos (Palermo, 9-‐10-‐11 maggio 1991): Agostinismo della mens e modernità della ragione. – Incontri del «Giornale di Metafisica», Lecce (5/6 novembre): Metafisica e archè. (29) Soggettività del fondamento, GdM XIV (1992, n. 1), pp. 5-‐10. Incontro del «Giornale di Metafisica» su Metafisica e soggettività (Bari 7/8 novembre 1989). (30) Il passaggio del pensiero soggettivo a quello «oggettivo», ossia ad «atto di concetto» è deducibile da quanto osserva Nunzio: «Questo essere del soggetto è allora propriamente il suo stesso divenire in quanto questo divenire sia termine di compimento dell’essere (del soggetto) come stabilità del suo stato di principio e dunque, complessivamente, così soggettualità: ma soggettualità in quanto principio di limitazione a se stesso (soggetto) del fondamento e dunque della radicalità della sua profondità per una parte; e, per l’altra, essenzialmente in quanto per questo stesso, soggettualità del fondamento, terminatività compiuta di questo suo essere principio come sistema di comprensione dell’atto in quanto l’atto sia e sia atto di concetto» (p. 9). (31) Antilogia, GdM 1992, pp. 361-‐372. La citazione crisippea (Von Arnim, II, 121) si legge anche in Sesto Empirico e in Clemente Alessandrino. (32) Enarrationes in tempus et exsistentiam dal Mahābhārata e dai Fragments d’un journal intime, GdM 1992, pp. 567-‐574. (33) Mahābhārata, a cura di Vittore Pisani, Torino 1968. – Bhagavadgītā, a cura di Raniero Gnoli, Torino 1975.
16
(34) Henri Frédéric Amiel (1821-‐ 1881) – Filosofo svizzero che ha diffuso il suo pensiero anche attraverso la saggistica e la poesia. È soprattutto ricordato per i Fragments d’un journal intime, che Incardona legge nell’edizione a cura di Bernard Bouvier, Paris 1931 – 1992: Chorismòs-‐infra Determinazione/Negazione I (1992/1993) – XIII Convegno (7-‐8-‐9 maggio 1992): Interrogazione e destino. Gli inferi del principio – Incontri del «Giornale di Metafisica», Macerata (9/10 dicembre 1992): Metafisica e teoreticità del pensare.
(35) Physis e univocatio philosophiae, GdM XV (1993, n. 3), pp. 345-355. Sono qui raccolti i lavori dell’Incontro del «Giornale di Metafisica» su Metafisica e filosofie (Siena 6/7 novembre 1993).
(36) «La possibilità infinita delle relazioni definisce una relazione come unica e iniziale: iniziale o come iniziata o come termine della determinazione negata come indeterminazione e comunque determinata pur sempre come pensiero e come pensiero determinativo perché pensiero di quell’atto individuo; e dunque non pensiero per atto proprio, ma pensiero di quell’atto individuo, pensiero della physis. Physis è dunque una individualità determinata nella relazione come potenza della divisione: in questo senso è materia in quanto il suo essere contenuto è identico al suo essere potenza. […] L’interezza della physis si risolve in una univocatio fondamentale come filosofia fino a diventare determinativamente doppiamente e ambiguamente univocatio philosophiae» (pp. 333-335) – 1993: Chorismòs-infra Determinazione/Negazione II (1993/1994) – Convegno di studi patrocinato dal Centro internazionale di cultura filosofica Giovanni Gentile di Castelvetrano (Palermo/Castelvetrano, 2-3-4-5-6 dicembre 1993): Idealismo tedesco e neoidealismo italiano – Incontri del «Giornale di Metafisica», Verona (8/9 novembre 1993): Metafisica e trascendentalità.
(37) Breviarium principii – prosènanchos archèten, GdM XVI (1994, n. 3), pp. 293-297. Incardona si rifà ancora al concetto racchiuso nella diade prosevnagco~/ ajrch`qen, un luogo topico della proiezione in cui egli situa ogni principio, dialettizzandolo in un movimento di pensiero, che antecedendo il tempo, scaturisce ejxaivfnh~. Questo inatteso e improvviso comparire, è avvertito da Nunzio come un «traslato […] rinserrato in una vincolatezza aorgica nella quale un cominciare pur che sia adegua se stesso al cominciare qualcosa» (p. 294). (38) Scrive al riguardo l’autore: «L’interrogazione, quello che appare nucleo sorgivo di un sapere soddisfatto dal suo stesso mancare a se stesso, è, in realtà, per dovere in qualche modo essere principio di tutto quanto ha detto di sé, ripensando e conoscendo, filosofia» (p. 6) – «Ed è fatale che i termini abbiano compimento nella perfezione della stessa interrogazione come quella sua compiuta, e compiente, determinazione che è l’invocazione: il destino appare così, per naturale tragedia, essere al termine del compimento della interrogazione come vocazione» (p. 7) – «Cosi dagli inferi che le filosofie hanno sotterrato nelle profondità non atterrite dallo stupore né stordite dal grido, le filosofie ricevono il paradosso del loro alimento storico […] negato, senza negazione e differenza, al principio e ai suoi inferi, perduti per la interrogazione e l’invocazione, ma, forse, non ancora per il pensare e la filosofia» (ibidem).
(39) Del Principio (op. cit., pp. 9-‐20). Il nostro filosofo chiarisce anzitutto l’apparente paradosso di una comunità di studiosi che, concordi nei fini e nei metodi, finiscono fatalmente con il percorrere vie diverse, vuoi perché condizionati dalla loro forma mentis, vuoi per una nativa inclinazione verso specifici orizzonti culturali. Se poi l’argomento del dibattito non rientra propriamente nelle competenze specialistiche di ciascun partecipante, si rischia di raccogliere risultati inficiati da una «dialessi superficiale, estemporanea che ci coglie disattenti e sorpresi dalla stessa nostra capacità di ascolto delle cose profonde, ma disattenti a queste voci perché estraniati rispetto a tutto quanto riesce pur sempre a determinare una sorta di circuito in qualche modo infernale, ma angelicamente infernale» (p. 10). E tuttavia da questa «disarmonia» d’indirizzi e di accenti prende avvio un’unitaria sedimentazione di pensieri che è il pregio e la bellezza della filosofia. E ancora, poiché l’abito del filosofo è per coerenza un «abito di vita», tra le varie personalità si sviluppa un vincolo «sociale» che attenua in ciascuno «la diatriba fra esistere e pensare» (p. 17). Ma anche così, il destino, che ci assilla e ci divide, ci trascina verso gli inferi del principio. Sennonché, proprio in questa discesa, lo stesso destino che ci trascina agli inferi, ci porta ad amarli e a «circuirli», e «circuire gli inferi significa aiutare i principi a dissotterrarsi, a diventare contemplabili» (p. 20). Questo scavo però non allontana l’assillo dell’interrogazione:
17
per Incardona l’equivoco che si genera alle fonti del pensare è «un problema che rimane profondamente, radicalmente aperto» (ibidem) – 1994: Chorismòs-‐infra Determinazione/Negazione III (1994/1995). – Convegno di studi patrocinato dal Centro internazionale di cultura filosofica Giovanni Gentile di Castelvetrano (Castelvetrano 20-‐21-‐22 ottobre 1994) : Idealismo della filosofia ed esperienza storica. (40) Réponses à Nunzio Incardona et à quelques apories, GdM 1995, n. 1-2, pp. 225-228. Tilliette, con preciso e cortese riepilogo della materia del contendere, riassume in sette punti i capisaldi della critica incardoniana: 1) filosofia e teologia devono occupare ambiti separati; 2) la filosofia cristiana è un «equivoco storico e concettuale»; 3) tra il concreto evento dell’Incarnazione e la «teologalità» che lo interpreta in chiave filosofica si annida un’insanabile contraddizione: l’Idea Christi di Tilliette rappresenterebbe un secondo e nuovo Logos di fronte a quello della Rivelazione; 4) la filosofia cristiana si vede costretta a rifiutare la centralità del Cristo come Logos-Principe per non prestare il fianco alle obiezioni dei laici; 5) il tentativo – messo in campo da Tilliette – di innestare nel discorso filosofico le valenze critiche ed esegetiche della cristologia si riduce a una petizione di principio che aggrava le aporie; 6) Tilliette gioca abilmente su due scacchieri separati: nel primo manovra la teologia per mutarla in filosofia, nel secondo si serve della filosofia per fornire un sostegno e un alibi alla teologia; 7) la logica della secolarizzazione del Cristo storico conduce ad esiti di rifiuto o di confidante attesa: Tilliette, mosso da intenti apologetici, ha proposto un «Cristo filosofico e immanente alla metafisica»: tuttavia «la cristologia è inaccessibile alla filosofia». – Le obiezioni di Tilliette, di cui terrà conto Incardona nell’articolo pubblicato in questo stesso fascicolo del «Giornale», si possono così riassumere (traduco e adatto il testo francese): 1) filosofia e teologia sono indipendenti e autonome, ma non per questo separate; 2) la filosofia cristiana non è un incrocio tra storia e filosofia, ma una filosofia per la quale esiste il «soprannaturale», e su questo soprannaturale edifica la sua dottrina; 3 e 4) il Cristo «trascendentale», quello espresso dall’Idea Christi, è il Cristo vivente dei Vangeli, non esiste un «Cristo filosofico», per il cristiano, quindi, la «regalità» di Cristo non è un «fatto mondano» che possa essere impugnato dalla mentalità laica; 5) il «palinsesto sottile», cui allude Incardona, è un «libro scritto di dentro e di fuori»: il suo contenuto pertanto esclude un’unica lettura che si prefiguri come petizione di principio; 6 e 7) il filosofo e il teologo devono e possono convivere nel culto della verità, la quale non è un gioco di «incastri», di «adattamenti» o di reciproche «compromissioni»; la cristologia non pone problemi coscienziali: come la filosofia «positiva» di Schelling, si è liberi di rifiutarla e altrettanto liberi di accettarla». (41) Cfr. La cristologia di Xavier Tilliette, GdM 1991, pp. 363-382. (42) Cfr. M.F. Sciacca, Gli arieti contro la verticale, Marzorati, Milano 1972, cap. III – «Dio nella filosofia», pag. 63 : «D’altra parte ogni esistente è anche principio di oggettività, il lume infinito della verità. Posso deporlo? Non posso; se potessi farlo, cesserei di essere un soggetto pensante, diventerei una cosa. Ma il lume della verità nella sua infinità, non è l’infinito sussistente, bensì l’essere come oggetto del pensiero o Idea, quello che sant’Agostino chiama «verbo della mente» e Rosmini «Idea dell’essere», il «noetico» di Platone. E allora non posso deporre questo lume senza cessare di essere pensante; d’altra parte esso non è l’infinito sussistente ma solo ideale; né io soggetto finito posso essere la sussistenza dell’essere infinito come Idea, giacché se lo fossi sarei Dio».
(43) Idea Christi e Nus Kyriu – Theorèin hòsper en phrurà? – Discorso con Xavier Tilliette, GdM 1995, pp. 231-264.
(44) Assolutezza e differenza. Tesi di una metafisica possibile, GdM 1995, pp. 451-460. – 1995: Lògos diaphoròtetos hermenèia, Cedam (Studi in onore di V. Mathieu) – Del principio Incoatività/Ermetismo I (1995-1996) – Incontri del «Giornale di Metafisica», Palermo 6/7 novembre 1995 – Idealismo tedesco e neo-idealismo italiano, L’Epos, Palermo 1995. Presenta le relazioni del Convegno del 1993. Nella prolusione (Idealismo e idealismi), il Nostro accenna all’attualità dell’idealismo, una delle espressioni più alte e longeve della storia della filosofia. – Idealismo della filosofia ed esperienza storica, L’Epos, Palermo 1995, raccoglie i lavori del Convegno del 1994. Introduzione tematica di Nunzio Incardona.
(45) Essere e tempo. Il primordio dell’annientamento, GdM 1996, pp. 5-28.
18
(46) ll primo (Metafisica e teoreticità del pensare) ebbe luogo a Macerata, il secondo (Metafisica e trascendentabilità) a Verona. – 1996: – Del principio Incoatività/Ermetismo II (1996-1997) – Convegno di Castelvetrano (26-‐29 aprile 1996) : Dalla physis di Empedocle al logos di Gorgia. Percorso filosofico antico e prospettive contemporanee. (47) I sandali di Ermes e lo spazio di De Kooning – Appunti per una possibile negazione dell’epelysìa di metaphysikà, GdM 1997, pp. 101-150.
(48) Cfr. Inni omerici, a cura di F. Càssola, Milano 1975, Inno IV, pp. 153-225. Ermes è l’emblema del lovgo~ aijmuvlio~, dal quale scaturisce l’azione, modulata come una «rappresentazione». Il dio, attore e protagonista, recita il suo «dramma» donandosi a un sapiente intreccio di atti e di parole. I suoi ragionamenti sono gli archetipi delle argomentazioni che difendono gli aspetti contraddittori della speculazione filosofica.
(49) Citato da Platone, Convito, ed. I. Burnet, Oxonii 1967, 202d 13-14; 203b 1-d8; 206b 7 (tr. di C. Viano). Eros, figlio di Poros e Penia, è «sempre dietro a macchinare qualche insidia, desideroso di capire, scaltro, inteso a speculare tutta la vita, imbroglione terribile, maliardo e sofista» (tr. di G. Giardini). Questi caratteri della divinità entrano nella tipologia del discorso filosofico fornendogli gli elementi di una «liturgia» che mantiene il logos nella sua primitiva ambiguità.
(50) William De Kooning (1904-‐1997) – Pittore statunitense di origine olandese. Il suo stile è caratterizzato da una scomposizione parossistica dell’oggetto, operata a forti tinte, quasi a esprimere una violenta e radicale ribellione ai canoni del realismo pittorico. Nel gesto di De Kooning (p. 123 s.), lo spazio figurativamente dominato dalle dita della mano è il luogo in cui l’artista esprime i suoi fantasmi: colori e voci che richiamano nella mente di Nunzio, padre di un pittore e di un musicista, il grido di Munch e l’urlo dodecafonico del Mosè di Schönberg (p. 126.) (51) Cfr. pp.112 (Omero); 125 (Anassimandro); 126 (Pindaro); 112,114 (Euripide); 120 (Aristotele); 111 (Leibniz); 111,128, 130 (Hegel);129 (von Kleist); 124 (Leopardi); 128 (Nietzsche) . – Stéphane Mallarmé (1842-1898). Oeuvres complètes, Gallimard, Paris 1950: Incardona cita (p. 129 s.) da In libro veritatis - Divagations e da Brise marine. – Paul Margueritte (1860-1918), scrittore francese. Il brano riprodotto (p. 129) è tratto da Pierrot assassin de sa femme: pantomime, Calmann-‐Lévy, Paris 1886. (52) Il Nostro si riferisce in particolare (p. 126 s.) al «pensiero debole» di Vattimo, al «decostruzionismo» di Derrida, all’«ermeneutica» di Heidegger, Gadamer e Ricoeur e alla «narratologia» di Todorov. – 1997: – Del principio Incoatività/Ermetismo III (1997-1998). (53) Modus in principio. Il logos rhètor e l’interrogazione inutile, GdM 1998, pp. 151-‐161. (54 Suvnoyi~ e Standpunkt, GdM 1998, pp. 409-‐448. Per i dialoghi, Incardona rinvia all’ed. Burnet; il testo base per Standpunkt ẻ G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, Hamburg 1966. (55) Cfr. p. 161: «A questo punto è necessità […] fare punto per il bene possibile che l’odierno filosofare deve guadagnarsi in sorte sia per continuare a ignorare beatamente (ermeneuticamente, narratologicamente, debolmente, praticamente) e saputamente del principio ogni modus (proprio o improprio non fa differenza per questa dotta ignoranza); sia per accreditare la potenza impotente della multiformità delle trasgressioni facili che l’ombra di Edipo, pur solenne e venerabile, è chiamata ad esorcizzare per la residua e ottusa persistenza dei riti contemporanei della fine del secolo e dell’epicedio delle filosofie: conclamato dalla incombenza destinale e plurisecolare dell’interrogazione inutile».
19
(56) Spia acutissima delle asperità del dettato di Incardona è il tessuto terminologico del testo, nel quale convivono in originale e in trascrizione un altissimo numero di termini platonici e hegeliani introdotti direttamente nella discussione come elementi normali del lessico italiano. Non si tratta qui di un espediente stilistico: Nunzio ragiona, in realtà, avendo in mente e sulle labbra il greco di Platone e il tedesco di Hegel. (57) Nella ricognizione delle fonti compaiono con qualche insistenza rinvii a più antichi testimoni della dottrina platonica (Cratilo [p. 427], Filolao [431 s.]), o presentimenti e consonanze del testo hegeliano (Schönberg [p. 429], Uguccione da Pisa [Derivationes, citate a p. 435), Dante [Paradiso, XIV, vv. 34-‐35, 52-‐57, 94-‐96, citazioni a p. 434 s.], Rilke [5 passi da varie opere [pp. 422, 438 s., 446 s). (58) Le testimonianze sono tratte da Repubblica, 537 c 7 (passim), da Teeteto, 150 c 4, 7-‐8) (p. 417), da Protagora, 322 a 3 (p. 428). La Wissenschaft der Logik (cfr. supra nota 54), nonostante l’iniziale riferimento alla traduzione Moni-Cesa, è letta e interpretata nel testo originale. Il lessico tedesco è fittamente intrecciato al greco dei dialoghi, a tal punto da destare l’impressione di una «lingua franca» o di un idioma fortemente gergalizzato. (59) La dimensione dell’imponente analisi condotta da Incardona sul lessico dei due filosofi è rilevabile anche da questo (incompleto) repertorio dei termini da lui discussi. I vocaboli platonici sono: «stoicheia» (pp. 410, 412), «dialektòteron» (pp. 410, 413), èschaton» (pp. 410, 412, 415), «àpeiron» (pp. 410, 420, rJhvmata (pp. 413, 417), «anànke» (pp. 413, 417, 427, 428, 433), «chaos» (p. 414), «kòsmos» (p. 414), «pròsopon» (p. 414), ei\doß (pp. 415, 444), «mechanè» e «tèchnai» (pp. 416, 433), ei\dwlon (pp. 416-‐419), muqologhvmata (p. 422), eujavggelo~ e diavggelo~ (pp. 420, 422), «nòstos» (p. 424), ànthropos» (pp. 427, 428), «hypokèimena (p. 428) moi\ra (p. 428). Nelle pagine hegeliane sotto l’insegna dell’Innerlich im Denken (pp. 410, 418) si raccoglie una nutrita serie di vocabula artis come «werden» (a fronte di givgnesqai) (pp. 413, 428), «Ursache» (pp. 42, 422, 426, 431), «Erhebung» (p. 423), «Entäußerung (p. 424, «Ueberwindung» (p. 426), «Unterschied» (p. 431), «Unmöglichkeit» (pp. 434, 446), «ursprüngliches Wort» (p. 434), ecc., che non sono «citazioni» ma «termini in questione» inseriti nel dibattito. Questa connotazione vale anche per le voci rilkiane come «Frühgeburten», «Versuchung», «von Stern zu Stern», «Unerhörtes Haupt» che sigillano l’ultima parte del saggio. Un cenno particolare merita l’inserimento dei versi di Dante, che non è un espediente esornativo, ma un preciso corollario sulla natura della divinità. (60) Il discorso su Dio e sul divino (pp. 432-‐435), non dimentico delle sue origini elleniche, si anima e si sostanzia come filosofia del sacro: si avvia cioè a rivestire quel manto teologale con cui entrerà regalmente nel pensiero cristiano. Il Nostro ha approfondito la sua indagine con uno scandaglio sistematico delle fonti greche e latine, interpretate spesso alla luce di una logica filosoficamente orientata. Un dialogo serrato con la Wissenschaft di Hegel lo conduce ad un controllo attento delle sue posizioni, quasi al limite di una profonda revisione dei suoi convincimenti (cfr. al riguardo le pp. 430-‐431). (61) Cito dalla sola p. 419: «la panglossia loquace degli scribi», «la noluntas indolente», «il mortale rigor vitae», «angelicamente diaboliche». A p. 417 aveva scritto: «Il nominalismo fatuo dei focherelli mondani e intramondani del fantasmatico vagare delle filosofie nel deserto di tutti i propri acconciati tartari» (corsivo mio).– Le pagine di Nunzio ricamano spesso ai margini o nel cuore stesso dell’argomentazione filosofica allusioni e rinvii – quasi un colto «ammiccamento» al lettore – sia accennando direttamente a un autore o a un’opera, sia riportandone in forma anonima frasi o addirittura una sola parola.
20
(62) Si può dare solo qualche esempio delle innumerevoli innovazioni lessicali e stilistiche introdotte da Nunzio. La gran parte sono costituite da «coestensioni» morfologiche di sostantivi, aggettivi, verbi e avverbi (che potrebbero essere passati in qualche caso nella lingua contemporanea) (assuntivismo, assuntivistico, aplatonicamente, identitarietà, scientificazione, panicamente, pseudico, ermetizzante, insaputamente, disintrinsecante, trascendentalizzato, imperscrutatore, innominatezza, coniugatezza, preoroginario, panarcaico, cooriginario, radicatezza, coniugatezza, genitività, materizzare, conclamatezza, ecc. Una sezione particolare è rappresentata da voci greche e latine (cfr. le note 3 e 59) introdotte, soprattutto in trascrizione, come elementi normali del vocabolario italiano). Altrettanto cospicuo è il numero degli a[pax incardoniani, ne cito qualcuno: ciecoveggente, ciecoveggenza, tautocronismo, tautocronistico, noomorfico, transcorporeità, cooriginario, tautocronistoria). Ci sono poi termini ricavati da fonti letterarie (soprattutto poetiche) che Nunzio ha inserito nel suo linguaggio filosofico con precise intenzioni semantiche: vedi qui, ad esempio, le Frühgerburten di Rilke e l’ aorgico (peraltro molto diffuso negli scritti di Incardona), tratto da Hörderlin. – 1998: Inchoatio actus Il chiasmo difettivo: Utrum, Widerspruch, ajeiv. (63) Scomparso il 30 maggio 1999 a soli 37 anni. Già affermato pittore, aveva conseguito in mostre e avvenimenti culturali notorietà e consensi. Attivo fin dagli anni 80, si era imposto con uno stile di forte impatto cromatico, reso più personale e incisivo da precise scelte letterarie e per l’impegno sociale. (64) La costellazione ex enantìas del primordio trascendentale. Lògos iatrikòs e Chìmaira phronèin, GdM 1999, pp. 5-‐30. Nel sottotitolo Nunzio si richiama all’opera jIatriko;~ lovgo~, attribuita da Diogene Laerzio a Empedocle (31, A 1, 77 DK) e alla frase di Gorgia kai; ga;r Skuvlla kai; Civmaira kai; polla; tw`n mh; o[ntwn fronei`tai (82 B 3, 80). Cfr. I Presocratici – Prima traduzione integrale con testo originale a fronte della testimonianze e dei frammenti nella raccolta di Hermann Diels e Walther Kranz. A cura di Giovanni Reale, Bompiani, Il Pensiero occidentale, Milano 2006, pp. 578 s. e 1620 s. – Questo fascicolo doppio (n. 1-‐2, Gennaio-‐Agosto) contiene le relazioni del Convegno di Castelvetrano (26-‐29 aprile 1996): Dalla physis di Empedocle al logos di Gorgia. Percorso filosofico antico e prospettive contemporanee (cfr. n. 46). (65) Della differenza. Nota implicativa del principio fra ajgoniva e ajgwniva, GdM 1999, pp. 353-‐374. – jAgoniva è termine aristotelico (De gen. anim.); ajgwniva «lotta», «esercizio» ha anche il senso figurato di «stato di inquietudine, di ansia, di angoscia». (66) Incardona usa l’edizione dei Frammenti curata da M. Untersteiner, La Nuova Italia, Firenze 1961. – Dopo aver dimostrato che l’essere non esiste, Gorgia (3, 67) sostiene che neppure il non-‐essere esiste. Se il non-‐essere esistesse, avrebbe e, nello stesso tempo, non avrebbe un futuro: infatti, se è pensato come non-‐essere non avrà un futuro, se invece esiste come non-‐essere avrà un futuro. È del tutto assurdo, e la cosa è palmare, che qualcosa possa contemporaneamente essere e non-‐essere. Pertanto il non-‐essere non esiste. E, d’altro canto, se il non-‐essere esistesse, non ci sarebbe l’essere. Si tratta quindi di termini in reciproca opposizione tra di loro; se al non-‐essere si attribuisce l’essere, all’essere si attribuirà il non-‐essere. Ma nel caso in cui l’essere non dovesse esistere, si avrebbe di conseguenza che neanche il non-‐essere potrebbe esistere. (67) Dalla duplice lettura logica e ontologica dell’«essere» e del «non-‐essere», con il relativo problema del significato dei rJhvmata rispetto all’universo delle cose, deriva necessariamente la interpretazione trascendentale della teoria gorgiana. Nunzio la enuncia guardando alla dislocazione antinomica dell’apodissi (termine squisitamente aristotelico), per la quale pone a
21
fianco dell’ajpovdeixi~ ejx ejnantiva~ l’eujaggelikh; ajpovdeixi~ di Eusebio. Questa prospettiva è vagliata attraverso il filtro della logica hegeliana (Schein, Meinen, Werden) e intende esorcizzare l’«essere senza divenire» delle Frühgeburten kleistiane per non cadere nel «divenire senza essere degli indicibili». Le altre articolazioni della logica dell’identificazione e della negazione conducono alla specularità dell’atto di pensiero e ai criteri di verificabilità del vero (mito platonico dello sphvlaion). (68) La logica della distinzione per un verso riconosce la componente temporale del processo ideativo, e per un altro proietta in uno schema «chiastico» le alternative che si deducono dalla dottrina gorgiana. Guardando, infatti, all’opposizione tra «essere» e «non-‐essere», mentre il pensiero dell’essere e l’essere del pensiero appaiono del tutto predicabili e si può ammettere – contro il teorema di Parmenide – un pensiero del non-‐essere, il non-‐essere del pensiero genera una sterile formula linguistica, che, appena pensata e detta, smentisce se stessa e afferma il suo contrario. La teoria di Gorgia, analizzata nei termini di una sintassi logica rigorosa, mostra appunto come e dove il pensiero «gioca» con se stesso, generando mostri e insanabili contraddizioni. (69) Cfr. Analyt. post. 100 b 15-‐18; Met. 981 b 27-‐29, 982 a 1-‐3; Eth. Nic. 1139 b 31, 1140 a 20-‐21. – «La genealogia degli allucinati topici del primordi» è ricostruita da Aristotele mediante una corretta diovrqwsi~ del concetto di filosofia, dalla quale appaiono ridefiniti i cardini del pensiero scientifico: pensiero «polivalente» che adatta le sue regole ai singoli ambiti disciplinari. (70) Per ajgoniva, cfr. De gen. anim. 746 b 20, 747 a 33, 748 b 8, 748 b 12, 750 a 31, 767 a 27; per ajgwniva, cfr. Eth. Nic. 1114 a 8 e Pol. 1288 b 18; nei Problemata significa «ansia», «inquietudine», con riferimento alla fisiologia delle alterazioni nervose. (71) Cfr. Fedro 257 e 1. Va qui segnalata l’umbratile e diffusa presenza di Platone nella dialettica dei diavfora. Per i riferimenti puntuali, basti qui accennare al lektevon ti kai; ouj kaqeudhtevon ejn meshmbriva/ di Fedro 259 d 8 e ai tou;~ tw`n eijdw`n fivlou~ di Sofista 248 a 4. Ma l’intero quadro mostra nello sfondo i sortilegi di Eros, l’incantamento delle Muse e «l’annidarsi veritativo» di Thanatos. (72) Per Aristotele cfr. pp. 361-‐365; per la letteratura biblica cfr. pp. 368-‐374. (73) Mediante richiami diretti o indiretti sono citati: Esiodo (pp. 355, 365), Guglielmo di Moerbeke (p. 359), Ludwig Wittgenstein (p. 360), Giacomo Leopardi (p. 366), Martin Heidegger (ibidem), Zenone di Elea (pp. 367-‐369), Tertulliano (ibidem), Lautréamont (p. 368), Friedrich Nietzsche (p. 373). – 1999: Il divino e il filosofico. Divagazioni teoretiche («Studi in onore di F. Costa»), Dipartimento di Filosofia, Palermo – Presentazione – Michele Federico Sciacca, La casa del pane, L’Epos. (74) Taytòn tanantía – Allegretto ma non troppo, GdM 2000, pp. 405-‐430. (75) Di Aristofane sono riportati due brani dagli Uccelli (vv. 685-‐709; vv. 1515-‐1518), che Nunzio (p. 421 s.) cita dall’ed. a cura di G. Zanetto, Milano 1997. Di Boccaccio (p. 412 s.) si coglie la vena ironica con riferimento al personaggio di Ciappelletto. (76) Nunzio (p. 403) esordisce proprio con un passo del Moby Dick (trad. di C. Pavese, Milano 1987, p. 543.
22
(77) Cfr. G. Leopardi, Paralipomeni della Batracomiomachia, a cura di E. Boldrini, Loescher, Torino 1970, pp. 169 s. I versi sono tratti dal Canto VIII (45, 46). (78) In particolare: Met. 1005 b 19-‐20 e Wissenschaft der Logik, ed. cit., vol. I., p. 67. Nel ruolo di testimoni a latere compaiono anche: Buzzati (p. 406), il Corpus Hermeticum (p. 407), Quintiliano (p. 411), Nietzsche (p. 416), Rilke (p. 417, Lautréamont (p. 423), Borges (p. 427). (79) Nunzio attinge soprattutto dalla Repubblica, ma cita anche dal Timeo e dal Teeteto (p. 405). – 2000: Orizzonte di prima luce. Storia di Marco, L’Epos, Palermo 2000. È l’ultima opera di Nunzio, commovente e straziante, non solo e non tanto perché piange la morte di Marco, ma perché è la discesa apocalittica di un’anima nella tempesta del dubbio e della disperazione. Il dialogo con Dio, la desolazione di un orizzonte segnato da orride devastazioni spirituali sono le note dominanti di questo libro, che è una singolare testimonianza dell’universo culturale di Incardona e dell’altissimo livello della sua prosa d’arte. (80) Una enciclopedia delle origini nella filosofia dell’oltre di Giuseppe Masi, GdM 2001, pp. 367-‐370. – Giuseppe Masi (1915-‐2007), docente di Storia della filosofia antica presso l’Università di Bologna, si era dedicato in precedenza allo studio dei filosofi moderni e contemporanei (Kierkegaard, Jaspers, Heidegger, Wahl). Autore di molte pubblicazioni in vari campi dell’indagine filosofica, approfondì, in particolare, la storia dello spiritualismo nelle forme peculiari espresse dalla civiltà egiziana, da quella indiana, da quella ellenistica e da quella cristiana. (81) La metafisica come palinodia tragica. Filosofia e paradigma, GdM 2001, pp. 445-‐458. (82) Giuseppe Masi, Ulteriorità del pensare, GdM 1966, n. 1-‐2, pp. 87-‐94.